I GIORNALE LIGUSTICO Di ARCHEOLOGIA, STORIA E BELLE ARTI FONDATO E DIRETTO DA L. T. ‘BELGRANO ed JL. TSLERI ANNO SECONDO GENOVA TIPOGRAFIA DEL R. ISTITUTO SORDO MUTI M DCCC LXXY —— ■ - . GIORNALE LIGUSTICO DI ARCHEOLOGIA, STORIA E BELLE ARTI SOCIETÀ LIGURE DI STORIA PATRIA (Continuazione dalla pag. 476 del volume I) XXVI. Sezione di Archeologia. Tornata del 4 luglio 1874. Presidenza del Preside avv. Pier Costantino Remondini. Il socio Tammar Luxoro legge: Di alcune antichità a Lai- aued'M e nella valle di Andora. £> ò Dico poche parole a riguardo di alcuni avanzi e monumenti di arte archeologica, che lo scorso inverno ebbi occasione di vedere a Laigueglia e nella valle di Andora; ma ho d’ uopo di benigna indulgenza perchè sono ben lontano da quegli studi che abbisognano sul difficile tema, e tanto più aprendo bocca innanzi a questa adunanza della Società Ligure di Storia Patria ove chiari uomini, per sempre nuovi ed eruditi lavori, riscuotono ammirazione e plauso universali. Io pertanto dichiaro astenermi da ogni discussione ed apprezzamento ; soltanto accenno a quanto vidi, perocché qualche cosa sia nota se ancora noi fosse, e non rimanga dimenticato ciò che è conosciuto. Il paese di Laigueglia si onora di una vastissima chiesa; e parecchi de’ suoi altari in istile barocco appartenevano, secondo intesi colà, a templi in Genova demoliti. Osservai con 4 GIORNALE LIGUSTICO interesse il grande e bello organo; e la sua forma e le pitture che lo decorano mi rammentarono 1’ Haffner. Confesso che tale strumento su quella orchestra mi pareva piuttosto trasportato che nato; e fattane dimanda in proposito, ne ebbi in risposta che prima d’ ora apparteneva alla chiesa dei PP. Filippini in Genova. Ciò mi persuase tosto ; e deplorai che quell’ organo fosse stato tolto dal luogo di origine, ove tanto doveva armonizzare con tutto 1’ assieme omogeneo del san Filippo, per collocarvene un altro il quale, rispetto allo stile, è ben lontano dallo avere sostituito il primo. Laigueglia è attraversata da due strade: una a mare e 1 altra O O a monte, che è la più antica. Verso la estremità di questa, a ponente, nella facciata di una modesta casa che guarda a tramontana, vi è dipinta a fresco la Beata Vergine col Bambino in una nicchia quadrata, ed intorno, nello esterno di essa, un santo colla spada in mano, ed altro che credo sant Antonio 'abate. Tra i guasti del tempo ed i ristori più barbari, poco si può apprezzare di tale dipinto ; ma è duopo avvertire un’ avanzo di scritta che ancora vi si legge e dice così : ' BERNARDO . . • A .2. FILIA SVA CATARINA I529 II JVLII A. 9. Seguendo la detta via si riesce ad una cappella che s intitola dalla Madonna del Carmine; ed in prossimità di essa, poco discosto dallo abitato, vi sono campi di olivi in isca-glioni, sorretti da lunghi, antichi e ben costrutti muri. Fra questi, un tratto di circa dieci metri, per due e mezzo di altezza, è costruzione romana nota col nome di opus reticti- 1 attimi nè certamente per la diligenza con cui e fatto, e per la sua importanza direi decorativa, si può argomentare che abbia avuto in origine lo scopo a cui trovasi attualmente destinato. La via di cui ho parlato è certamente la romana : essa GIORNALE LIGUSTICO 5 scavalca sul dorso la Colla, ossia il monte che a mezzogiorno sporge la sua estremità sul" mare ed è chiamato il Capo delle Mele. Io svoltai questo Capo per la strada provinciale, e raggiunsi 1’ antica valle d’ Andora a due chilometri circa dalla spiaggia in testa ad un ponte sul Merula. Questo apparisce in più riprese rifabbricato, ma la tradizione vuole fosse costrutto dai Romani ; e ciò si rende molto probabile pel fatto che lo stesso trovasi in raccordo colla via sopra menzionata. Salendo la stessa via, che rimette per quella parte a Laigueglia, in mezzo ai campi di olivi, sempre sorretti da an-* tiche muraglie, incontrai una costruzione ad uso di fontana, che i contadini chiamano nuova. Per darsi contezza di tale denominazione bisogna credere che prima di essa ve ne fosse un’ altra ; la qual cosa se pare a prima vista semplicissima, abbastanza strana però si presenta quando si conosca che la fontana nuova è opera romana. Essa consta di un volto a tutto tondo, il cui arco esterno e le poche pietre che avanzano allo intorno sono di un carattere così evidente da non porre in dubbio 1’ epoca sopra indicata. Non abbisognano molti passi da questo interessante avanzo, per giungere ai piedi di una grande torre quadrata sorretta da arcate, per le quali si entra in un recinto di mura che racchiude la località detta Castello. Questa torre è alta, imponente e costrutta di pietre riquadrate; ma la parte superiore è rifatta. Qui siamo in medio evo; e le mura suddette e tutto ciò che di fabbricato in esse si racchiude con evidenza lo dice. Io non toccherò della storia che di questo luogo fa note le vicende ; ma il luogo medesimo è di essa un testir monio che merita davvero qualcuna di quelle cure, che in Liguria invano da tanto tempo si reclamano. Delle arcate suddette della torre, 1’esterna è a sesto acuto e 1’ opposta a tutto tondo; sulla prima sonvi traccie di pittura, ed in una terza arcata chiusa a destra (aneli’ essa a tutto 6 ■ GIORNALE LIGUSTICO sesto) ancora si conserva in buono stato un antichissimo fresco rappresentante 1’ Annunciazione di' M. V. Oltrepassata la torre, mi trovai innanzi la chiesa che porta il titolo dei santi Giacomo e Filippo. Ciascun di noi rammenta per fermo, o Signori, gli avanzi del san Michele di Fassolo che non ha molti anni ancora si vedeano nella nostra citta, ed in ispecie i tre absidi che tuttavia duravano intatti. Ebbene io posso dire di averli riveduti, tanto ai medesimi sono simili quelli della chiesa di Castello ; onde mi dispenso dal descriT verli. Questa però non ebbe la disgrazia dell’ altra, che lu prima abbandonata, indi ricostrutta verso la meta del secolo XVII, poi abbandonata ancora e finalmente distrutta affatto per dar luogo alla Stazione occidentale della via ferrata. Il Casalis parlando della chiesa di Castello la dice diroccata; ma invece io la vidi in piedi non solo nei suoi tre absidi, ma nei suoi lati, nella sua facciata , nel suo interno. Soltanto il tetto che era caduto fu di recente ricostrutto, perchè da quei terrazzani si volle il tempio riaperto al culto. L’ esterno e l’interno di esso è tutto a pietra tagliata ; la facciata è divisa in tre parti, quella di mezzo più alta finisce a cuspide e le laterali hanno le estremità inclinate. La porta è arcuata a tutto centro sopra una riquadratura sporgente, e si interna con cinque archi concentrici basati sopra colonnine in marmo. L’ arco chiuso porty traccie di pittura. Nello spazio superiore della facciata si apre una finestra ad arco acuto; nei lati minori a destra di chi guarda ve ne e una piccola decorata in terra cotta, a sinistra una bifora ad archi acuti. Nella parte posteriore della chiesa, sul muro che sopravanza all’ abside di centro si apre una finestra circolare; nei muri bassi laterali ve ne sono tre per parte, alte e strette a guisa di feritoie, ed altrettante nelle pareti superiori di mezzo. Si entra in chiesa scendendo cinque gradini in pietra, ed altrettanti se ne salgono per accedere al Presbitero. L’interno GIORNALE LIGUSTICO 7 è diviso in tre navi, e si contano cinque arcate a sesto acuto. La più parte delle colonne che le reggono sono cilindriche , alcune ottagone ; e quella sottostante al moderno pulpito è antica come le altre. Queste sono in pietra di colore cenere, detto colà colombino, e formate a strati. In capo ai muri delle navate minori si scorgono traccie della imposta dei volti. L’ altare è moderno; ma dietro allo stesso vi è un Crocifisso in legno di grandezza naturale, ai piedi del quale pende un cartellino postovi di recente che dice : Onesto Crocifisso è stato fabbricato I’ anno 1301 e ristorato I’ anno 18)7. Io non discuto le date, ma è vero che in questo caso ristoro e guasto sono sinonimi; onde converrebbe che quella interessante scoltura fosse rimessa, se possibile, al suo pristino stato. Ancora devo accennare ai capitelli delle colonne. Essi sono il solito dado tagliato inferiormente a forma semicircolare. In tre di questi si scorgono scolpite a basso rilievo delle figure simboliche, delle quali confesso non essere conoscitore : noto una specie d’ àncora rovescia, un serpe, una testa di bue, una testa umana in mezzo a due croci ed una testa di montone. Ho già detto che alla vista di questa chiesa rammentai il san Michele in grazia della perfetta somiglianza degli absidi; e perchè una idea ne chiama un’ altra, col san Michele rammentai il pittore Manfredino da Pistoia. Molti anni addietro frequentando di sovente gli avanzi del tempio di Fassolo, ne tolsi i disegni d’ogni lato ; ed accadutomi un giorno di osservare suile pareti interne degli absidi, sotto una imbiancatura forse provvidenziale, dei contorni di figure, credetti perciò fosse il caso di esplorazione. Tosto ne tenni parola al eh. Cristoforo Gandolfi, ed egli, buon anima, e Francesco suo figlio , esimio dipintore di cui piangiamo la recente ed immatura perdita, si accinsero con ogni cura e diligenza a discoprire. Il risultato si fu, che vennero fuora pitture di artista fino allora ignoto, il cui nome si s GIORNALE LIGUSTICO legge sotto 1’ affresco di mezzo ( che ogni abside ne aveva uno) nella nota iscrizione: magister manfredinvs pistoriensis ME PINXIT MCCLXXXXII IN MENSE MADII. Noto di passaggio, che mentre si stava lavorando allo scoprimento degli affreschi (era la infausta primavera del 1849), la truppa prendeva posizione in quella località per prepararsi ai prossimi assalti degli insorti all’ Arsenale dello Spirito Santo; ed io mi affrettai a disfare il palco che era alzato innanzi ai dipinti, e ne dispersi le tavole acciocché non si potesse nuocere agli stessi. Due medaglie poteronsi togliere in seguito e trasportare all’ Accademia Ligustica ; ma la terza era in troppo cattivo stato. Il lavoro costò fatica e dispendio ; e come della prima vuoisi dar lode ai Gandolfi, dell’ altro si hanno da render grazie al Municipio. Ora per questo fatto di vecchia data parevami che nella chiesa dei santi Giacomo e Filippo, sorèlla al san Michele sì da convincermi essere entrambe fattura di uno stesso architetto, avrei potuto trovare ancora il Manfredino; ma nello interno nessuna pittura, e le traccie di quella accennata sulla porta non erano certo sufficienti a dare indizio alcuno di autore. Era giunto tardi, perchè, secondo mi fu detto, è da poco tempo che ne scomparvero due rimanenti teste. Del resto non poteva avanzare una pretesa su ciò, e mio malgrado dovetti allontanarmi da quello interessante monumento rinunciando al pittore pistoiese. Ho percorso la restante salita che mena alla sommità della collina di Castello, e sui miei passi incontrai mura e case diroccate, dovunque avanzi di sempre uniformi costruzioni medioevali e traccie di antichi dipinti sopra ruderi di un edificio che chiamano l’Ospedale. Sulla casa Sifredi, ridotta abitabile per recenti ristori, vidi una lapide con stemma a tre striscie orizzontali ai cui lati vi sono rosoni ed alle estremità iniziali GIORNALE LIGUSTICO 9 gotiche — un A ed una M se male non ricordo. Nella casa di certo Micheri, presso ad un pozzo, scorsi gli avanzi di altra lapide assai logora; e sull’ uscio di altra casa pur di un Si-fredi feci scoprire un frammento di epigrafe onde non mi è dato presentare che un imperfetto calco ; ma da cui non dispero che 1’ egregio nostro collega sac. Remondini possa, colla consueta sua abilità, cavare un qualche costrutto. Presso a questa ultima abitazione trovasi un Oratorio, il cui esteriore è sempre in armonia di antichità col già descritto ; ma l’interno venne goffamente rifatto. Giunsi in fine sulla parte più elevata della località, e quivi trovai gli avanzi di un vasto castello che appunto a quella dà il nome. I contadini lo chiamano Paxo, e Paraxo il Ca-salis ; il quale dice che ivi si contenevano un seicento uomini d’ arme, si amministrava la giustizia, avevano luogo le adunanze dei magnifici Anziani non che quelle del generale Parlamento. I marchesi di Clavesana, che ne erano signori, lo cedettero alla Repubblica insieme alla villa ed al borgo di Andora nel 1252, pel prezzo di lire ottomila (1); ed ora è proprietà dello omonimo Comune. Questo edificio è in pessimo stato e le mura sono quasi tutte diroccate ; esiste però qualche parte di volto, e la pianta potrebbesi ancora rilevare. Esaminando questi antichi avanzi, che sempre ed a chicchessia destano interesse, vidi in più parti traccie di pitture le quali accennano ad ornamenti e stemmi; ma più di tutte mi fermò una medaglia ove si scorge il Bambino che tiene un uccelletto ed è sorretto dalla Madonna come si arguisce per le mani che restano. Alla destra poi dello spettatore si vede un santo con libro fra le mani. In quello che di tale dipinto ci avanza sia per la somiglianza del disegno, sia per la intonazione specialmente verdastra delle carni e sia pel tutto (1) Liber Jurium Reip. Gen., tom. I, col. 1155 e segg. IO GIORNALE LIGUSTICO assieme, parvemi proprio riconoscere il pennello dicolui che aveva invano desiderato trovare in chiesa. Era una illusione od una realtà ? Sopra una parete vicina a questa ove è tale pittura mi apparvero ad una certa altezza indizi di uno scritto, e chiesi tosto una scala ed uno straccio bagnato. Salii, e lievemente inumidito quel tratto , in caratteri identici a quelli della medaglia del san Michele, mi si svelò la lettera A ed il nome Manfredinvs. 10 faccio voti perchè, senza dilazione, qualcuno più esperto di me in cose di arte e di archeologia vada a visitare i luoghi dei quali ho troppo imperfettamente parlato, sicuro che da un esame intelligente potranno avvantaggiarsi gli studi dei quali questa nobile Società si onora. Ma sopratutto desidero che alla vista di quei preziosi avanzi l’amore per la conservazione delle patrie memorie si rinvigorisca, onde del nostro glorioso passato non abbiano fra poco a rimanere che le eloquenti sì, ma troppo nude pagine della storia. XXVII. Sezione di Storia. Tornata del 20 luglio. Presidenza del Preside Antonio Pitto. 11 socio Neri prosegue e termina la lettura delle Curiose avventure di Luca Assarino genovese, storico, romanziere e giornalista del secolo XVII (1). Capo II. L’ Assarino compilatore di novelle (giornali) — Sua corrispondenza col Malanno, e colla Repubblica di Lucca. — Prime relazioni colla Corte di Torino. — In qual concetto V avessero i concittadini. Dobbiamo adesso considerare 1’ Assarino sotto un nuovo aspetto, quello cioè di giornalista, o come allor dicevasi no- (1) Ved. a pag. 462 del volume I. GIORNALE LIGUSTICO II vellista o gazzettante. Gli avvisi o notizie incominciarono a porsi in giro fra noi sul cadere del secolo XVI, e furono un cespite di guadagno pe’ loro autori, i quali dovendole mandare attorno manoscritte erano costretti esemplarne più copie, ricevendo per ciò adeguata mercede dai governi, ministri, ambasciatori od altri cui piaceva essere istrutti delle cose politiche. Varie furono le vicende di cosi fatte pubblicazioni, in ispecie da che incominciarono a stamparsi nella prima metà del seicento, ma io volentieri mene passo dovendo esse appunto porgere soggetto d’una singolare monografia; bastami per adesso avvertire che i novellari in Genova non solamente erano seggetti alla revisione dei Residenti di Palazzo e degli Inquisitori, ma alcuna fiata costituirono un privilegio speciale, donde il governo ritraeva un non spregevole utile, e dir si potevano senza meno gazzette ufficiali. Non debbo però tacermi dal porre in sodo come tutti i compilatori di questi fogli, non fossero contenti di quello andavano sponendo ne’ pubblici per via di stampa ; ma usassero a chi pagavali con certa larghezza inviare eziandio un foglietto segreto, dove registravano quegli avvisi che per la loro qualità non potevano aver luogo ne’ novellari comuni, e se ciò tornava a danno della patria non monta, purché gli scudi colassero in buon dato nella lor borsa. La prima volta che ci occorre nei documenti il nostro Assarino sì come compilatore de’ novellar] si è nel settembre del 1647, leggendosi a lui ed al Botticella intimato un decreto del Senato intorno a quel loro ufficio ; è però fuor dubbio incominciasse fin dall’ anno innanzi i suoi fogli di nuove, codesto rilevasi chiaramente dalla raccolta de’ novellari del nostro Archivio regio , dove conservaci in due volumi i fogli dal 21 Aprile 1646 al 30 Marzo 1652. In fine a quello del 12 Maggio 1646 leggesi un avvertimento che il Foglio indirizza al lettore, in cui si dichiara come i nomi scritti a mano sul margine servono a 12 GIORNALE LIGUSTICO distinguerli, affinchè altri non abbia a farli rinascere altrove O ' adulterati ; e dice che volentieri si appiglia nel far ciò alle letame per baver propiito V ora prò me ; questa la cagione del-T essere ogni foglio contrassegnato a penna del nome d’ un santo sul margine dove si congiungono le due carte. Alcune di queste gazzette si intitolarono II Sincero e recano al paro delle altre 1’ accennato nome, e sapendosi come 1 Assarino abbia qualche fiata cosi intitolato i suoi fogli vuol ragione a lui si assegnino gli altri eziandio ; oltreché manifesto si pare della forma dello scritto, che se bene in breve nome pure agevolmente si riconosce col confronto delle lettere autografe appartenere alla sua mano. Or perchè al novellista importava sopra tutto procacciarsi buoni clienti, cui dovessero riuscire accette le pubbliche novità e più le segrete affinchè gli fossero ben pagate, il nostro non mancò porsi in relazione colla Corte di Torino e col Cardinale Mazzarini; ed io argomento si debba appunto assegnare a questa qualità di gazzettante , il primo inizio della sua corrispondenza epistolare col marchese di S. Tommaso , e poi 1’ invio d’ alcune sue opere alla Duchessa Cristina, stimando ben fatto ingrazio-sirsi il di lei ben noto liberale animo verso quegli scrittoli facili all’ adulazione ed alla lode servile. Nella istessa guisa e’ scriveva al Mazzarino non solo profferendosi con grande zelo a servire la Corte, ma eziandio in modo particolare lui stesso, al quale intanto indicava come potessero di presente avvantaggiarsi gli interessi della Francia, di che riceveva sensi di vivo gradimento e promesse di futuri vantaggi (i). E di qual sorte questi fossero egli forse già sapea per prova, imperciocché fino dal Giugno 1646 il Cardinale scriveva di Parigi a Giannettino Giustiniani parergli 1’ Assarino ben affetto alla Francia, meritare per ciò qualche dimostrazione e (1) Lett. Mazzarino Mass. vol. II, 13 marzo 1648. GIORNALE LIGUSTICO e chiedevagli se avesse reputato conveniente regalarlo ed in quale maniera. Il che vale altresì a confermarci maggiormente, aver egli in quest’anno appunto del 1646 dato mano alla divulgazione dei suoi novellari, sembrandomi mólto probabile da essi arguisse il Mazzarino 1’ affetto suo per la corona del Cristianissimo; onde non andrebbe gran fatto lungi dal vero chi affermasse essere stato ne’ suoi fogli partigiano di Francia, come il suo competitore Botticella lo era di Spagna; riuscendo così chiarito il dubbio posto intorno a ciò dal eh. Bongi nella erudita monografìa sulle prime gaiette d’Ita'ia (1). Cui piaccia persuadersene di vantaggio scorra i novellari e vedrà con quanta maggior cura si studia porre in ampia e bella luce i fatti che a Francia si riferiscono ; e sempre trova una parola di lode per il Cardinale Grimaldi, per Tobia Pallavicino e per Giannettino Giustiniani, tutti com ognun sa parzialissimi di Francia, del quale ultimo in ispecie è si amorevole da far pubbliche e le incumbenze, come che pòco importanti e naturali in agente diplomatico, a lui affidate dalla Corte, e le onorificenze impartitegli, e i doni inviatigli; e quasi direbbesi che in quanto ha riguardo alle notizie di quello Stato, tutto attinga dagli spacci indiritti al Giustinani sì come più fiate egli dichiara. È poi certo che il nostro Luca riceveva in un cogli altri quelle lettere comuni di notizie, che il ministro francese era solito inviare e ai confidenti, e ai suoi parziali, e ai divulgatori di novelle, come più esempi ce ne porgono i registri manoscritti del suo carteggio. Intorno a questo proposito mi cade in acconcio toccaie di una certa malizia usata dall’ Assarino, onde procacciarsi profumata mercede pei suoi segreti servigi; io la rilevo da una sua lettera ad Ottavio Orsucci segretario della Repubblica di Lucca , al quale egli mandava sì gli stampati novel- (1) Nuova Antol. voi. n, pag. 311-346. 14 GIORNALE LIGUSTICO lari, sì il foglio segreto. Ivi lo avverte come da qualche tempo riceve da Parigi con molto dispendio un foglio ogni settimana di cui gli manda copia, a fin che vegga se gli torna gradito, perchè in tal caso continuerà ad inviarlo, ma bisognerà, così segue , che per ìa mercé d’esso V. S. si compiaccia di dichiarare il suo sentimento, sendo che a me costa denari e risico per essere ( a dirla a Lei in confidenza ) copia d’ una lettera che personaggio grande scrive con ogni ordinario al Granduca di Firenze, et uno de’ Segretari di detto personaggio ne manda una copia a me. Ciò scriveva ai 12 Decembre 1648, e lo invio delle ricordate lettere di notizie veniva a. lui fitto dal Mazzarino o dall’ Ondendei suo segretario dopo il Marzo d’ esso anno : agevole quindi 1’ argomentare che il risico, il dispendio le difficoltà e tutto il resto erano una favola recata da ‘lui innanzi per trarne maggior utile pecuniario; poiché questi avvisi vantati con tanta ciarlataneria non erano, secondo io penso, se non copia di quelle stesse lettere circolari del Cardinale. Un altro brano della citata lettera riesce poi assai notevole, facendoci conoscere in modo singolare la natura del nostro novellista. Tornando poscia a’nostri interessi, scrive all’ Or succi, io ho da dire a V. S. che i nostri fogli sono pagati conforme la pattuita condittione per tutto questo mese. Ma sendo per le feste di Natale solito in Roma, Firenze, Napoli, Venefici, Vienna, Milano, Torino e Parigi dar la mercè dupplicata , si spera il medesimo dalla bontà di V. S. E tanto più si spera da Lei quanto che il foglio segreto che le si manda non e, in j'e d’ huomo d’ onore, comune se non a due altri Principi Granii. Oltre che detto foglio è sempre tanto abbondante di roba di sostanza quanto ella stessa può vedere. Si che, sen^’ altro, aspetterò la detta mercede; la quale finalmente, tralasciando che è cosa di pochissimo momento, viene poi una volta I’ anno. I quali argomenti conclude con uno studioso periodo, donde volendo fare apparire eh’ ei per ?è giornale ligustico 15 non domanda, fa però intendere molto chiaro che chi ricerca buon servigio conviene ponga mano alla borsa. E (la mercede), dice, noi la cerchiamo da altri per gentilezza perchè ci viene cercata dai nostri servitori, dai nostri giovani e dai nostri operai per giustizia, e bisogna dar la mancia a tutti altrimenti 1’ uomo non è servito bene (1). Avendo veduto come egli serviva ad un tempo in cosi fatta guisa, e le Corti di Francia e di Savoja e la Repubblica di Lucca, non farà maraviglia lo intendere che in egual modo corrispondeva col Principe Tri-vulzio e col Duca di Mantova. Ma i suoi disegni miravano a procacciarsi un comodo stato per via d’ orrevole e lucroso ufficio appo un qualche principe, e reputando essere più agevole ottenere il suo fine alla Corte Piemontese, di preferenza coltivava le sue relazioni coi ministri di Cristina e con lei stessa; e parlo sempre della Reggente, come chè mi sappia avere Carlo Emmanuele II assunto il potere a’ 19 Giugno del 1648 mercè il colpo eseguito in Ivrea, ma egli fu Duca solo di nome. Cosi adoperando mostrava l’Assarino conoscere molto bene come la si pensava colassù, e quanto si fosse inchinevoli a circondarsi di uomini venali e piaggia-tori , a’ quali era pur uopo dirigere la penna a seconda delle proprie voglie, tanto maggiormente poi quando costoro intendevano a scrivere istorie; di guisa che ora strisciandosi con bassa adulazione, or ponendosi sull’ offeso e il punti-gliato , sempre continuando nel poco nobile ufficio di referendario, giunse dopo alcuni anni a render pago finalmente il suo ardente desiderio. Prova luminosa del suo abile destreggiarsi e del mettersi opportunamente innanzi come uomo di levatura e di gran fama ci porge una sua lettera al marchese di S. Tommaso, dove querelandosi perchè il conte Filippo d’ Agliè non gli avea. risposto scrive in questa sentenza: E (1) R. Arch. di Lucca Seg. fol. 81. giornale ligustico pure mi pare che ad un uomo come me, il quale è noto, sia detto sen~xa iattanza, nell’Italia e fuori dell’Italia, ed al quale ■molti. Principi grandi non isdegnano di far gratta col rispondere non solo alle sue lettere, ma eziandio con qualche altra benigna dimostrazione (il che però è effetto tutto della loro innata bontà e non punto frutto del mio poco merito) mi pare, dico, che non sarebbe cosa strana che detto signore mi avesse risposto (2). Cionondimeno colui che mostra sentire di sè cosi altamente, cui onorano in varia guisa principi grandi, non disdegna ricordare poco dopo avere oggimai diritto pei lunghi e fedeli servigi, a quel segno della gratitudine che e propria di una Principessa che colla reale grandezza delle sue azioni ha riempiuto -e continua a riempiere il mondo di stupore. Nè il segno si fece aspettare, chè il Marchese di Pianezza a nome di Madama Reale gli inviava indi a poco un bellissimo anello (3). Egli s’ era poi tanto introdotto a questo tempo nelle grazie della Corte, che gli era mandata la cifra particolare affinchè ne usasse nelle ordinarie sue corrispondenze per maggior sicurezza, mostrando così d ,-uer0 in conto d’ ufficioso e fedelissimo confidente. D’ altri donatrv 1 a lui fatti in gioie od in danaro prima che avesse officio a Torino d’ istoriografo non trovo memoria, ma devesi senza meno argomentare seguitasse a ricevere le mercedi, oh ei li chiedeva nella sua qualità di pubblico novellista e di segreto informatore; nè sarebbe affatto fuor luogo il sospetto che alcune largizioni in danaro gli fossero fatte da Torino per mezzo d’ intermediario , quasi a non offendere certe sue apparenti suscettibilità, imperciocché persona bene informata avvisa appunto di colà il Senato che il notissimo Giannettino Giustiniani riceve di tempo in tempo certe somme dalla Corte di Savoja, a fine di regalare in Genova ed in Milano Coloro (1) Claretta 1. c. pag. 5. (2) Claretta 1. c. pag. 16. giornale ligustico 17 che riferiscono (1). E quanto questi fosse nelle buone grazie di Madama Reale ce lo insegna lo stesso Assarino, recando a notizia del pubblico con ampollose parole nel novellario del 30 Marzo 1647 aver quegli ricevuto con garbata lettera in dono dalla bella Reggente, il ritratto di S. A. R. incastonato in un orologio fra mezzo a gran copia di diamanti. Ma le teorie e le opinioni del nostro gazzettiere intorno agli scrittori che ricevano doni ci occorreranno là dove si farà discorso della sua Istoria d’ Italia, e manifesto ci fia con quale onesta parvenza egli intenda scagionarsi d’ una colpa per avventura appostagli anche ai suoi dì. In qual concetto poi lo avessero i concivi, ben si pare da una curiosa scrittura ritrovata fra le carte dell’ Archivio nostro. A mezzo Settembre del 1650 raccoglievansi in gran copia e dame e cavalieri delle migliori casate genovesi in Albaro ad intrattenersi in geniale e festevole danza ; quivi facean bella mostra le più riputate e vaghe signore, le quali, comechè mogli, figlie, sorelle o madri de’ legislatori, sfolgoravano per non più veduti ornamenti ed acconciature d’ oro e di gemme, per nastri, pizzi e seriche vestimenta, contraddicendo in sì fatta guisa alla prammatica, che mai non giunse a por modo ai soverchi dispendi, d’ un lusso trapotente. E ciò sopra tutto avveniva a cagione della fiacchezza de’ governanti, i quali non sapeano far rispettare le leggi loro ne manco dalle proprie famiglie. Si fatta lussuriosa mollezza non andava disgiunta dalla pravità d’ una vita licenziosa, dove postergato ogni senso morale si facea lecito ogni libito. Non è già questa la prima volta eh’ io tocco il doloroso argomento, avendone già scritto con sì amare parole da essere notato di parziale (2) ; se non che più lun- (1) R. A. Secret. Fil. 17. (2) Accennai a sì fatto argomento nelle notizie intorno al Casoni (Ved. anno i.° pag. 184 e 280 di questo Giornale). La critica, sebbene troppo onorevole per me, comparve nel Cittadino Giornale quotidiano di Genova l8 GIORNALE LIGUSTICO ghe e pazienti ricerche eseguite nelle carte di quella età, non solo non mi porgono cagione di correggere que’ primi giudizi, ma m’inducono a riconfermarli con acerbezza mag- *D ' giore. E come non dovrebbe essere cosi quando frequenti e ributtanti ci occorono gli scandali, le prepotenze, i delitti? Le chiese or fatte ritrovo di pettegoli crocchi e di nefandi amorazzi, or teatro di vigliacche offese e di sanguinose rappresaglie; le logge e le private conversazioni non più luoghi di modesto ricreamento, sì di ruinosi e vietati giuochi, d’orgie e di bagordi; le donne'còlla immodestia del vestire e del tratto provocatrici e procaci, i giovani rotti al vizio, inconsci d’ ogni civile costumanza, impudenti ed arditi. Ma basti di tanta sozzura, e sol giovi osservare come il Senato ne’ segreti consessi si dichiari più volte insufficente a raffrenare tanta licenza, e per bocca dei Segretari faccia vivissime ammonizioni a’ componenti il Minor Consiglio, a fin che le loi famiglie ritraggano da sì vergognoso costume. Cui piacesse più addentro investigare a qual miserevole segno fosse appo i troppo vantati nostri avi la pubblica morale, si cacci nelle vecchie carte; oltreché fin d’ ora potrà giudicarne dalla vita privata de’ genovesi, e meglio in breve leggendone la ristampa augumentata di due cotanti dal mio egregio amico Belgrano. In quella festa d’ Albaro adunque, una delle più qualificate dame servita da Gabriele Durazzo con mordacissimi detti si scatenò contro Gio. Andrea Spinola, il quale pochi giorni dopo mandò attorno una lettera manoscritta, ripiena di stranissime e concettose frasi, che servivano però a fil di rasojo la maledica lingua. Non volle essere da meno il Durazzo e rispose in egual modo vituperando 1’ avversario: lo scandalo num. 64. Dispiacque eh’ io dichiarassi i nobili di quel tempo patria plebaglia; venne però poco dopo a darmi ragione 1’ egregio amico mio Marchese Marcello Staglieno, in una sua scrittura in questo Giornale pubblicata (anno i.° pag. 363 e segg.). GIORNALE LIGUSTICO 19 fu grande tanto più che le offese si rinnovarono in pubblico a Banchi e ne seguirono duelli. Ma alla comparsa delle due lettere, era venuta fuori pur manoscritta un’ altra scrittura in forma di ragguaglio di Parnaso. Fingeasi che Apollo stomacato di quelle due sdutte lettere , dettate senza garbo e piene di spropositi badiali, avesse intentato un processo agli autori ed eletto a ciò commissario Luca Assarino, come quegli che pretendea sapere ogni cosa ed era pratichissimo in ispiare li più occulti negozi della città; ma perchè conosceva il suo uomo, gli ordinava che sotto pena della sua disgrazia non dovesse lasciarsi trasportare dall’ interesse dei donativi, che potesse aspettare dalle parti ; e per allontanare il pericolo di corruzione, incaricava Carlo Pallavicino ed Emmanuele Bri-gnole banchieri ricchissimi a pagargli 30 doble. Segue lo scritto narrando il giudizio e la sentenza apollinea, ch’io intrametto non giovando a mio uopo ; solamente ricordo che ad uf-cio di consultore si deputa il poeta Giacomo Cavallo in cui lode 1’ Assarino dettò un sonetto nel nostro dialetto (1). Da questo documento chiaro apparisce eziandio, che i genovesi giudicavano il lor concittadino uom corruttibile e venale. Chi poi amasse leggere un curioso ma vero ritratto dell’ autor nostro, cerchi il Cane di Diogene del P. Francesco Fulvio Frugoni, e vegga nel Ragionamento Vili come egli descrive lo Storico venale ed il Novellista. Una singolare circostanza fa palese a lui riferirsi quanto egli con mordace satira espone : Principessa vi fu d’ alto grado, cosi scrive, e d’ altro grido , che gli lasciò morendo nn legato, afin di legarlo a scrivere bene di lei, che col regalo non potea esser reale (2); or (1) A. R. Genov. Miscel. Polit. Econom. Fil. 4. (2) Frugoni, Cane di Diogeni, Rag. Vili, pag. 83 e segg. Potendo-misi opporre che non può riguardare 1’ Assarino quanto in questo libro si dice essendo stampato nel 1687, rimando il lettore all’ Epulone dello stesso Frugoni, perchè vegga in fine (carta S sen^a numero) quel eh’ ei ragiona dell’ opera citata. 20 GIORNALE LIGUSTICO questo fatto avvenne appunto all* Assarino, il quale in un codicillo della Duchessa Cristina di Savoja apparisce legatario di ducatoni 500 (1). Quando egli smettesse dal mandar fuori i suoi fogli per le stampe non sortii ritrovare ; la raccolta di che ragionai innanzi, da lui contrassegnata col nome manoscritto d’un santo per ogni foglio, cessa col 30 Marzo 1652 nè fino a qui mi fu dato vederne continuazione veruna. Cionondimeno leggendosi come nel 1657 gli Inquisitori di Stato avvisano i Collegi d’ aver fatto, dietro loro decreto, una intimazione ai novellisti sopra lo scrivere intorno ai principi, si dee credere fossero almen due; e non è quindi impossibile l’un d essi continuasse ad essere 1’ Assarino. E che nel 1653 seguitasse a produrre suoi fogli, appare manifesto da una briga che egli ebbe con un tal prete Giona. L’Assarino aveva avvisato costui che s’ astenesse dallo scrivere foglietti a mano e divulgarli, perchè ciò nuoceva a chi avea avuto il privilegio di stampare le novelle; ma il prete imbizzito ed eccitato, a quanto pare, dagli emuli del nostro Luca, un giorno contro di lui si scagliò sul Ponte Reale vituperandolo, e lo avrebbe altresì ferito di coltello, se un De Marini suo amico non si fosse interposto dando modo all’ Assarino di fuggirsene in casa. Gli Eccellentissimi di Palazzo ammonirono poi severamente il prete, e per il tentato ferimento, e perchè dava voce di volersi ad ogni modo vendicare (2). Da un altro documento appare altresì che nel 1656 seguitava ad inviare i suoi avvisi segreti. Gli Inquisitori di Stato sopravvegliavano rigorosamente al passaggio ed alla trasmissione delle corrispondenze epistolari, ond’ è che i postieri venivano col loro beneplacito eletti e doveano seguire in tutto i loro ordini. Un accurato esame era sempre eseguito sulle lettere, le quali (1) Claretta, Storia delia Reggenza di Cristina, Tom. II. pag. 481. (2) A. R. Gen. Eccel. di Palalo a. 1653. GIORNALE LIGUSTICO 21 si aprivano, e secondo reputavasi opportuno se ne traeva copia e quindi rimettevansi cui erano indirette; altra fiata faceansi trattenere appostatamente i corrieri per eseguirne a Palazzo la revisione; erano soltanto rispettati i pieghi dei residenti e dei ministri, e di questo mezzo appunto si servivano i novellisti per 1’ invio dei loro fogli manoscritti. Chi voleva poi sottrarsi a si fatta inquisizione indettavasi cogli stessi corrieri, e mercè una buona mancia o riceveva o consegnava loro le lettere fuori le porte della città. Non avendo usata veruna di sì fatte previdenze, s’ ebbe il nostro Assarino sequestrata una sua missiva al Cardinale di S. Pietro, nella quale, secondo il solito, scriveva le nuove della città e del governo. Sappiamo eziandio che circa questi anni viveasi al soldo del Governo Genovese, come lo fa manifesto una ricevuta di suo figlio Luigi, dal quale ebbe non poche e gravi dispiacenze, che ritirò certa somma dagli Eccellentissimi di Palazzo per conto di suo padre (i). Quindi è che non si scosterebbe molto dal vero, chi giudicasse abbia seguito il suo ufficio di novellista per tutto il tempo eh’ egli rimase ancora in Genova, cioè fino all’ anno 1660. Capo III. '9 L’ Assarino a Milano ed a Mantova. — È nominato istoriograjo ducale a Torino. Posto termine adunque circa l’indicato tempo alla pubblicazione dei suoi novellàri, 1’ Assarino si partì senza meno da Genova e si recò a Milano, dove egli afferma aver dato opera nel 1660 ad instituire l’Accademia dei Faticosi (2). La cagione del trovarsi egli colà ci è rivelata da un biglietto di calice (1) A. R. Genov. Ecell. di Pal. Fil. 1657-58. (2) Giustiniani, Lett. Mem. Tom. Ili, pag. 415. 22 GIORNALE LIGUSTICO del 1663 (1) , nel quale dandosi avviso della sua andata in in Torino chiamatovi dal Duca, si afferma aver già servito il Principe Trivulzio ; quale ufficio avesse appo questi non è noto. Ma quel che, secondo parmi, riesce degno di qualche considerazione, si è il riciso affermare avere egli promossa la summentovata Accademia appunto nel 1660, mentre il Sassi (2), in ciò seguito dal Quadrio e dal Tiraboschi, ne assegna lo inizio al 1662. Come chè il nostro Luca debbasi avere in certo sospetto, è però qui ovvio che nel 1661, anno in cui scrive al Giustiniani, non poteva divinare gli avvenimenti del successivo, e si dee conchiudere sia stata veramente instituita 1’ Accademia nel 1660: quanto alla vantata qualità di promotore non trovai alcun riscontro a conforto, ma leggendosi orrevolmente citato dal Bosca (3) come luminoso sozio di quell’ istituto letterario, non si scosterebbe gran fatto dal vero chi questa volta nel suo dire riponesse credenza. Tanto più perchè sul vero promovitore non concordano gli scrittori, altri volendo fosse il Padre Meazza (4), altri invece il Padre Quattrocase unitamente al Padre Rabbia (5), tutti chierici regolari teatini, essendo stata per appunto nel loro convento di S. Antonio fondata l’Accademia, la quale in breve si levò in fama mercè il favore del dotto mecenate Giovanni Borromeo. In qual guisa e quando precisamente 1’ Assarino passasse da’servizi del Trivulzio a quelli del Duca di Mantova non rilevasi; ma ciò fu certo nell’anno 1661 fra 1’Aprile e il Novembre, veggendosi scritta in quel (1) A. R. Genov. Secret. Fil. 25. (2) Saxius , De studiis lit. med.. pag. 171. (3) Hemidecas , Bib. Ambros. pag. 160. (4) ArgeL, Bib. Script. Med. T. II, col. 904; Vezzosi, Scritt. Teat. T. II, pag. 49. (5) Saxius, loc. cit.; Quadrio, Stor. e Rag. etc. T. VII. pag. 14; Stor. Lett. Tom. Vili, pag. 87. GIORNALE LIGUSTICO 23 mese da Milano la lettera al Giustiniani, in questo 1 altra da Casale all’Abate Bonino, dove dichiara scrivere la Istoria all’ombra serenissima di quel Duca; oltre che in capo ad essa opera, uscita non molto dopo dai torchi milanesi, aperto a’ suoi lettori il bandisce. Dal già citato biglietto di calice apparisce che dopo avere alcun tempo servito il Duca di Mantova, e prima d’essere chiamato a Torino cioè fra il 1662 e la metà del 1663, tornò ad acconciarsi presso il Trivulzio col quale sembra fosse in grande dimestichezza; e questo spiega agevolmente il perchè a quel nobile milanese inviasse nel 1665 1’ arietta musicale da lui composta nella nascita del Principe di Piemonte, e incontanente si facesse a raggua gliare la Duchessa Giovanna magnificandole questa sua relazione col Trivulzio , e consigliandola a procacciarsi con lu. corrispondenza, come quegli che avrebbe potuto servile lo Stato (1). Ma oggimai era presso a toccare la tanto deside rata meta, imperciocché nei primi mesi del 1663 recossi in Torino a petizione del Duca stesso. Niuno fino a qui ci seppe dire la data delle lettere patenti, mercè le quali ebbe ufficio di storiografo ducale , non essendosi ritrovato documento di sorta che lo accennasse ; ciò nondimeno riguai-dando quel eh’ ei scriveva in fino dal 1648 , quando il Marchese di S. Tommaso lasciavagli intravedere la possibilità di chiamarlo un giorno a quella Corte, divisare cioè non cangiar clima se certo non fosse d’ aver sicuro nido e proporzionato alla sua condizione (1), e pensando all ufficio che in quel tempo aveva appo il Trivulzio, potrebbesi argomentare non siasi partito da Milano senza securanza da pai te del Duca di Savoja d’ eleggerlo a storiografo , il che dee in quel torno essere avvenuto : e cel testimonia eziandio una (1) Claretta op. cit. pag. 18. (2) Id., pag. 13. H GIORNALE LIGUSTICO lettera de’ 12 aprile 1663 ad Agostino Spinola, dove afferma trovarsi in quella Corte con carattere ed ufficio di cui può contentarsi (1). L’ Abate Costanzo Gazzera (2) ed il P. Spotorno (3) reputarono ottenesse l’Assarino si fatta onorificenza, pel grido in che erasi levato a cagione della sua Istoria, la quale opinione osservò egregiamente il eh. Claretta non potersi ornai più ammettere (4) : nè in vero 1’ ammettevano i contemporanei dell’ autor nostro, chè l’informatissimo scrittore del biglietto summentovato, notando come in quella Storia si leggessero pagine poco favorevoli alla Corte di Torino aggiungeva: L’ haverlo perciò chiamato il detto Duca è stimato che gli vogli far scrivere nova historia che emendi la prima, ovvero vogli con questo pretesto dargli segnalata reprensione. L’ anonimo s’ apponeva ; non lo si chiamava già per infliggergli una riprensione, si per comprarlo a fin che correggesse la storia. In fatti subito stanziatosi colà, dava mano col beneplacito del Duca alla ristampa del primo tomo ed alla continuazione che disegnava condurre fino al 1660; cosi nel febbrajo 1665 ultimata la impressione nella tipografia del Zavatta mandava il volume al San Tommaso perchè lo rivedesse ed, ove occorressero, gliene avvisasse le correzioni (5) ; era quindi divulgato e l’Assarino riceveva nel Marzo la croce mauriziana. A me non venne fatto trovare nelle nostre biblioteche la prima edizione della istoria, nè potei per ciò istituirne ragguaglio colla torinese secondo era mio desiderio ; ben posso affermare che avendo questa alquanto ricorsa , parvemi fosse giudicata con molta libertà la Corte di Savoja, in ispecie nel racconto della (1) A. R. Genov., Mise. Pot. Econom. Fil. 4. (2) Lett. Bib. pag. 38. (3) Nuovo Giorn., Serie II, vol. I. pag. 2. (4) Op. cit. , pag. 17. (5) Claretta, op. cit. pag. 23. Quivi però è stampato per errore 1669. GIORNALE LIGUSTICO 2J guerra del 1625 e della congiura del Vacherò; forse incerti luoghi dove più spiccatamente si narra qualche fatto poco onorevole per il Duca, aggiunse 1’ autore un inciso dubitativo, o se ne riportò alla voce che ne correva, accagionandola alcuna fiata di manco veritiera e maligna. Comechessia niun retto giudizio fia possibile recarne, senza tenere a confronto la prima stampa. Quanto e’ sentisse altamente sul fatto della verità istorica, manifesto si pare dalla prefazione alle guerre di Catalogna , e meglio dalla lettera all’ Ab. Bonino. Quivi ogni frase è inspirata a que’ nobili sensi onde animo onesto deve mai sempre informarsi, di guisa che lo storico , secondo la sua dottrina, sebbene esposto a quei moti di fortuna che fanno maggiormente crollare le penne, non dee traviare da quella strada calcata dai più chiari uomini ; ed avendo cara la propria riputazione più presto che 1’ altrui gloria non può macchiare la sua fama, che, altrimenti adoperando, passerà dal sugo del proprio ingegno attoscata nella memoria dei posteri, imperciocché quelle carte historiche le quali non sono rese lucide colla vernice della verità, non pomo stare a botta del tempo. Se non che egli ammette possa lo scrittore ricevere regali da quel Principe, cui piaccia vedersi magnificato nelle istorie , ed anzi debba tenersene, stimandolo pregio come stimavanlo gli antichi, semprechè non sia il vero alterato; la quale condizione ci apparisce assai ingenua, singolarmente poi ponendo mente alle parole colle quali conchiude : Non sarebbe ridicola cosa, e’dice, il pretendere che sia lecito il premiare il dottore perchè difenda le liti, ed il medico perchè conservi la sanità, e lasciare all’ incontro a denti secchi coloro che difendono le memorie ? E pure questa tal paççia vien pretesa da molti ignoranti (1). Ma la dialettica dell’ Assarino spoglia d’ ogni orpello si palesa ben chiara nella lettera al Giustiniani: avea- (1) Giust. Lett. Mem. T. III. pag. 150-151. 26 GIORNALE LIGUSTICO gli questi domandato parere sulla convenienza di scrivere intorno alle gesta de’ suoi maggiori, ed egli rispondeva sentenziando potersi tutte le proposizioni in questo mondo difendere od impugnare , essere quindi soverchio il dubbio se lecito sia dettare intorno a’ propri' avi, perchè con una distinzione si finisce ogni controversia (2). La vita dell’ autor nostro dee per fermo compendiarsi in una continua distinzione, avendo mai sempre studiato la più accomodata guisa di porre d’ accordo 1’ utile materiale con quella parvenza d’ onestà eh5 egli affettava. / Capo IV. Relazione, col Governo Genovese. — Corrispondenza col Duca d’ Os'suna a Milano. — Conclusione. Nel Dicembre dell’anno 1666 per mezzo di Filippo Fieschi l’Assarino trasmetteva un esemplare dell’istoria al Senato genovese, insieme ad una dignitosa lettera ripiena di frasi ossequiose e nobilmente altere, toccava dei maligni che avevano voluto dipingerlo con poco onesti colori e ben diverso da quello veramente si fosse ; diceva della incorrotta sua vita menata in patria, ed a testimonio citava que’ Serenissimi co’ quali aveva avuto dimestichezza; ma ahimè! l’ultimo periodo rivelando la cagione dello scrivere, contraddice altresì a tutta quella nobiltà dinnanzi spiegata con tanta pompa. Sendo dunque egli sullo stendere il racconto pel secondo tomo, nel quale più volte sarebbegli occorso discorrere della Repubblica Genovese, quando VV. SS. SS.™, così scrive, si degnassero di farmi bavere le notizie più necessarie, io goderei molto che la loro benignità vedesse, che dove in ardine a me non fosse per giungere la poca habilitade, arrivarebbem la olta devozione; e dichiara singolare gloria prostrasi sè e la sua penna al Sere-(1) Giustiniani, Lett. Menu, T. Ili, pag. 415. GIORNALE LIGUSTICO 27 riissimo Trono (1). Gli Inquisitori incaricati dai Collegi di esaminare la lettera ed il volume, di leggieri s’avvidero con quale uomo aveano a fare , e riferirono molto vantaggiosamente intorno all’opera, affermando esser l’Assarino il solo istorico che con maggior verità avesse scritto delle cose della Repubblica , laonde reputavano dicevol cosa a mezzo di qualche suo corrispondente fargli persuadere, per acquistare maggior merito , di rifiutare nella continuazione gli errori detti dagli altri scrittori ed in ispecie dal Brusoni, nel racconto delle congiure Balbi e Raggio e della pràtica di Malta, al quale effetto verrebbergli inviate le note opportune ; ed intanto gli si mandasse un qualche donativo a titolo di riconoscimento della sua buona volontà, dandogli insieme speranza della di lui reintegrazione nella grazia de’ governanti, soddisfacendo all’ obbligo suo nel continuare 1’ Istoria (2). Il donativo proposto dagli Inquisitori era di duecento reali da otto, e si fatta somma veniva dai Collegi approvata. Non erano però del pari cosi solleciti a dar ordine fosse rimessa al-1’ Assarino, imperciocché il suddetto Magistrato nel Settembre dell’ anno stesso 1667, nel far noto ai Serenissimi come nel recente volume del Mercurio l’Abate Siri avesse parlato con poco decoro della Repubblica, ripetevano quel tanto aveano già detto sul conto del nostro autore, stimando di pubblico servizio mantenerlo in quelle buone disposizioni mostrate nella prima parte del lavoro , e più efficacemente rese manifeste dalla sua lettera; oltre che un qualche agiuto di costa, o sia i duecento reali, avrebberlo sempre più allettato. Tanta sollecitudine dispiegata dagli Inquisitori a prò’ dell’ Assarino, e lo studio eh’ e’ ponevano nell’ amicarsene 1’ animo, derivava per fermo da recondita cagione ; ciò era a fine d’ indurre lo ( 1) A. R. Genov. Mis. polit, econom. Fil. 4. (2; Id., id. ! 28 GIORNALE LIGUSTICO antico novellista a seguitare il suo ufficio di segreto relatore; e carico sì fatto ei si tolse poiché incominciando appunto dal 1667 ci occorono frequenti nelle filze de’segreti gli avvisi da Torino di tutto suo pugno. Ma Luca volgeva nell’animo una smodata ambizione, di guisa che s’impuntava ogni qual volta gli sembrasse esser lasciato da banda, o posposto ad altri, secondo egli pensava, da meno di lui e manco zelanti. Così adoperando riusciva a mio avviso ad ottenere doppio fine, quello cioè di porsi innanzi come uomo qualificato e 1’ altro d’ allontanare qualsivoglia sospetto di sua devota fede alla Corte, donde, mercè 1’ assidua frequenza , traeva quelle notizie eh’ egli trasmetteva poi a Genova ed altrove eziandio come si vedrà fra poco. Gli eterni litigi a cagione dei confini fra la Repubblica e il Duca di Savoia, eransi risollevati con qualche acerbezza sullo scorcio del 1667, essendo avvenute contese e rappresaglie fra gli uomini di Triora e della Briga; e per poco veniasi ad anticipare di cinque anni quella guerra, onde ebbe sì grave macchia il nome di Carlo Emanuele II, se opportunamente intromessosi nel piato il Vescovo di Ventimiglia, Monsignor Mauro Promontorio della Spezia, non fosse stato concluso un temporaneo componimento, sebbene di non molta soddisfazione di tutte due le parti. L’ Assarino era informatissimo di tali faccende, e de’ reconditi sensi del Duca, e dei negozianti, come vedesi dagli anzidetti avvisi da lui inviati a Genova sotto il rado velame di certe strane e curiose frasi; che affettano quell’ aria di mistero divenuta ornai parte integrale di sua natura. Se non che vivo era in lui il desiderio, che il Duca dell’ opera sua si fosse giovato nelle mentovate contese, e sebbene non stimasse dicevole muover lagni perchè fu lasciato in disparte, pur giunta certa opportunità non volle restarsi dal discoprire 1’ animo suo al Marchese di S. Tommaso. Parvegli ne’ ricevimenti ufficiali del i.° Gennaio GIORNALE LIGUSTICO 2 9 1668 il Duca non gli rivolgesse parole così benevole come agli altri cortigiani, ond’egli muovevane querele col Marchese per lettera, e quivi appunto usciva a dire : Se avessi preteso appresso al Duca mio signore di maneggiare io il negozio che S. A. R. sa, avrei ecceduto i termini e della modestia e quegli insieme della prudenza. La mia pretensione non 'e mai stata questa, perche io so benissimo che non vaglio rie poco ne niente. Parole queste che sotto la apparenza di una falsa modestia palesano in bocca dell’ Assarino un mal celato dispetto di sapersi forse creduto un da poco, o più tosto di fede dubbia, e chiaro il dimostra quanto seguitando egli dice: Ho ben preteso d’ avere in Genova tanti amici de’ priìni di questi signori che avrebbero mosso il Senato (e so quel che io dico) a fai una deputazione, la quale avesse poi negoziato coi ministri di S. A. R. E da ciò sarebbe risultata una delle due cose, 0 la sentenza favorevole al Duca mio signore, 0 il dilucida-mento delle sue ragioni fatte chiarire in guisa che mutandosi i soggetti del Governo, come sogliono nella Repubblica mutarsi ogni anno, avrebbero forse abbracciato quell’ accordo che gli antecessori avessero per avventura rifiutato, apportando in questa maniera alla Repubblica quegli utili e quelle comodità che dai primi non fosse/0 stati conosciuti, tanto più in tempi ed vi congiunture cosi dubbie e piene di timori come sono quelle che oggi giorno corrono (1). Chi si fa a riflettere intorno ai fatti ed ai documenti qui discorsi, non sa persuadersi come un sì caldo zelatore degli interessi ducali potesse poi in segreto tradire tanto spudoratamente chi lo aveva innalzato a nobile ufficio; ma la ragione de’ tempi c’ insegna come in quella età disgraziata i principi corruttori e i cortigiani corruttibili troppo abbondassero , e giungessero perfino, i primi a sancire il 'favoritismo (1) Claretta, op. cit. pag. 22, 125, 126. 30 GIORNALE LIGUSTICO precipua parte dell’ arte- di governo, i secondi a fare delle onorificenze vile coperchio a turpe mercato. Torna pure acconcia a questo luogo una osservazione già innanzi esposta, potersi cioè reputare nell’ Assarino artifiziato ogni dimostramento di tal sorte, e solo indiritto ad allontanare qualsivoglia sospetto di tepida fedeltà. Fatto è che nel mentre in quella guisa scriveva al S. Tommaso, si esibiva agli Inquisitori genovesi parato a comunicare importantissimo segreto, mercè che fosse a lui inviata persona di confidenza e di cervello. Ei non parlava a’ sordi ; il Magistrato facendogli pagare certa somma, spediva il commessario domandato; ma 1’ Assarino pretestando aver ricevuto le notizie con giuramento di non palesarle, se non gliene fosse data autorità dalla persona che gliele avea confidate, e non rispettando la promessa correr risico di andar prigione ed aver ogni cosa confiscata, essendovi di più il pericolo che non potendo egli produrre prove nè scritture a conforto del suo affermare si tenesse per menzognero, nulla rivelò all5 inviato. Xon cessava tuttavia dallo scrivere che ove si trovasse modo di non esporlo a gravi danni nella persona e nella roba e5 manderebbe quelle stoffe, si noti la metafora, oltra ogni dire preziose adatte a tutte le stagioni ; e quindi a dar peso e importanza a quei misteri, dicea la tragedia dover scoppiare appena pubblicato 1’ esito dei negoziati per la pace, alla quale non si prestasse fede giovando solo a nascondere le intenzioni che altri cova in cuore. Intanto giungeva in Genova il figlio di Luca, uscito allora allora di religione e perchè privo di patrimonio ecclesiastico vietatogli il celebrare; stremo d’ ogni modo del vivere conduceasi difilato appo gli Inquisitori, e riferiva aver ordine dal padre di maniiestare il segreto sotto stretto giuramento soltanto a certo Cappuccino, il quale faccia giudizio se la propalazione è di tal sorta da render meritevofe 1’ Assarino di ricompensa e quanta, e che consentita e pagata dal Magistrato riveli; questo il GIORNALE LIGUSTICO partito, se si rifiuta non se ne parli più mai. Nel tempo stesso 1’ ex frate domandava luogo in qualche pia opera onde trarne sostentamento. Indugiatasi cosi alquanto la bisogna, Luca tornava poi a scrivere da Torino dichiarando sarebbe palesato il negozio anziché al Cappuccino a Filippo Fiesco; ma il figlio regalato di alcuni scudi, nel sollecitare di bel nuovo un ufficio chiesastico francamente diceva il segreto essere questo : L’Ambasciatore di Francia residente a Torino è stato dal Duca di Savoja a richiedergli persona pratica delle marine del Genovesato, la quale da esso Ambasciatare mandata a riconoscere la città e positura di Noli, gli ha riferto potersi nel promontorio di detta città, detto il Capo di Noli, fabricare una fortezza, la quale dominerebbe a’ vascelli che passano e servirebbe a soggettare il Finale potendo anche quel posto servire di porto ai vascelli (i). Era veramente questa la peregrina ed importante notizia? Noi credo, e ne manco lo hanno creduto allora i Collegi, i auali intravvidero o una menzogna o una rivelazione fatta i O a metà, e deliberarono nulla si dovesse fare a prò del figlio, se il padre non si portasse in Genova e manifestasse aperto quanto sapeva. Se ciò sia avvenuto o se in altro modo ebbero gli Inquisitori dall’ Assarino il tanto vantato segreto non rilevasi dalle carte ; parmi però poter senza meno argomentare dalle parole colle quali egli faceva intendere sul principio la qualità del segreto , e la tragedia che affermava prepararsi, e le recondite intenzioni covate in cuore da alcuno, volessero alludere agli ambiziosi disegni di Carlo Emanuele, ed a qualche indizio di accordi, eh’ ei fin da quell’ anno forse procac-ciavasi con i genovesi male affetti al Governo della Repubblica. Mi conforta maggiormente in tale sospetto un avviso di persona ben nota agli Inquisitori (il nome si tace nel documento) , donde rilevasi aver essa saputo da un suo pa- (i) A. R. Genov., Miscet, potit, econ. Fi!, num. 4 32 GIORNALE LIGUSTICO rente dimorante appo di Principe di stretta relazione colla Corte di Francia, ordirsi un trattato di ribellione contro la Repubblica. U anno seguente 1669 rivolgeasi nuovamente 1’ Assarino ai Collegi, domandando le opportune notizie e i ■ documenti necessari a dettare il racconto della oppugnazione di Tortona avvenuta nel 1642; imperciocché le memorie somministrategli da altri tornavano, cóme egli dicea, in non lieve danno della onestà del Governo Genovese, e stimava non poter ridondare in servigio pubblico lo scrivere sì fatte cose. Ma gli Inquisitori cui era affidato il negozio reputarono non esser dicevole inviare scrittura di sorta, suggerivano lo storico si rimettesse a quanto aveane detto il Siri nel suo Mercurio, essendo quello racconto assai fedele ; ben conchiudeano avvisare che VAssarino in luogo delle scritture, che dice sarebbe di mestieri vedesse, desideri più tosto qualche recognitione di ciò che abbi a scrivere per la Ser.ma Repubblica. Ed i Collegi consentendo nella opinione del Magistrato in quanto era delle scritture, deliberavano ai 5 Luglio gli fossero rimessi pezzi cento reali da otto, che incontantenente veniangli pagati da Gio. Giorgio Giustiniani. Se non che pare non si contentasse di somma sì fatta, imperciocché una lettera di Tobia Negrone Presidente degli Inquisitori, indiritta al nostro Luca li 14 Agosto , ci avverte come gli si trasmettevano alcune scritture insieme ad una rimessa di danaro, eh’ egli doveva ricevere con tutto quel gradimento che porta seco la qualità del donatore e la cagione del dono. Si deve quindi credere che maestro nella nobilissima arte di far denari, col pretesto delle notizie, or volgendosi al Giustiniani ora al Negrone, sia pervenuto al desiato fino d’ empiere quanto più poteva il borsello. E perchè non sarà più mestieri ricordare la Storia cui applicava, dirò qui per fine che la parte seconda fu sì impressa dal Zavatta, ma non essendo stata posta fuori innanzi la sua morte, venne, GIORNALE LIGUSTICO 33 dopo eh’ egli se ne fu passato, ritirata ne’ Ducali Archivi per ordine di Carlo Emanuele, il quale ne proibì la divolgazione. Ciò fa nascere il sospetto che lo storico abbia mal servito il principe padrone, o più presto siasi governato nello scrivere con quella studiata ambiguità, che mostra il proposito di contentare le due parti ; ma o discostandosi troppo dal vero od esponendolo monco ed oscuro non riesce a soddisfare veruno. Questo andazzo ne’ governi e ne’ principi di corrompere gli scrittori era una delle maggiori piaghe del secolo, e Genova nostra, come che retta con quella tanto vantata, ma per me problematica libertà, ne fu come ogni altra incancherita. [Deesi dire tuttavia che 1’ avvedutezza degli Inquisitori di Stato più fiate si ruppe contro la mala fede degli storici, ma così interviene a cui fa gitto della pubblica pecunia empiendone 1 epa ai disonesti. Onde non è a meravigliare se il Siri lautamente pagato e tenuto a bocca dolce colle paste e i confetti di Genova e 1’ acque lanfe e delicature d’ ogni maniera, avventò poi strali avvelenati contro la Repubblica; se il Brusoni, fior di briccone, ingoiati ben 8oo ducati scrisse la guerra del 1672 straniando in guisa la verità, che quasi torna in lode anzi che in biasmo del Duca di Savoja; e dicasi altrettanto del Gualdo-Priorato, e del Pastoris avventuriero polacco ignoto nella repubblica letteraria, raggiratore sopra fino, del quale aspettarono i Padri a ricercare informazioni dopo che fuggitivo con spoglie opime se ne era perduta, in un col danaro ogni traccia. Scrittori corrotti ben degni d’ un governo corruttore. Erano del tutto dimenticate le tradizioni degli antichi, quando imponevasi allo storico rifiutasse la menzogna ed alla verità sola si attenesse, rejecta falsitate et mera veritate amplexa, e in sì .fatto modo dovesse dettarsi il racconto degli avvenimenti genovesi così prosperi come avversi; non ricordavansi le giuste lodi onde fu esaltato Jacopo D’Oria per aver scritto senza dipartirsi dal vero ; obliati i belli esempli lasciatici dal Giusti- 3 34 GIORNALE LIGUSTICO niani e dal Partenopeo , e da quel Giorgio Stella loro antecessore di cui a buon dritto ebbe a dire il gran Muratori, doversi in lui spezialmente far conto della moderazione dell’animo e del giudizio, che alieno con veramente raro esempio dal civil parteggiare, loda e vitupera secondo ragione cosi le azioni dei Guelfi come quelle dei suoi Ghibellini. Grande iattura quindi derivava alla storia dal pessimo costume e falliva in tutto al fine cui per lo innanzi intendeva, quello cioè, per dirla collo stesso nostro Stella, di crescere decoro alle nazioni, recare a’ popoli diletto , mercè gli esempi delle passate gesta renderli cauti, ed a nobile emulazione lo spinto eccitarne spingendolo alla virtù, e porgendo ammaestramenti a ben comporre il vivere civile; essere in somma maestra e specchio di prudenza. Tornando a discorrere dell’ Assarino brevi cose restanmi ad esporre. Era così in lui connaturale il poco nobile ufficio del riferire, che non potea restarsi dal tener corrispondenze con più parti; in fatti non contento di servire la Repubblica in tale bisogna, altra volta erasi adoperato per trovare a Milano persona a mezzo della quale fossegli agevole far giungere 1 segreti avvisi al Governatore; ma se per avventura non eragli riuscito ciò ottenere dal Masserati, cui aveane fatto proposta mentre governava la Lombardia il Duca di Sesto , alcuni anni più tardi trovò modo di farsi strada appo il Duca *d’ Ossuna. Giovavasi dell’ opera di certo Gio. Ambrogio Tirazzo genovese bandito dal dominio della Repubblica, ed a questi affidava le imbasciate pel Duca, facendolo viaggiare da Torino a Milano latore di spacci e più sovente d’avvisi verbali a fine d’ allontanare ogni pericolo d’ essere scoverto. Stanziava allora in Milano in qualità di agente ufficiale del Governo genovese Gio. Battista Fiesco, ma, secondo ne andava costume, sfavagli da costo certo Bernardo De Ferrari segreto informatore adoperato in servigi speziali che richiedevano, così allora di- GIORNALE LIGUSTICO 35 ceasi, una qualche industria. Costui adunque, eccellente segugio , aggirandosi pel palazzo del governatore, venuto come egli era in certa dimestichezza co’ segretari, vide un giorno il Tirazzo uscire dall’udienza dell’Ossuna, e conoscendolo da lunga mano s’ avvisò qualche importante cagione lo avesse mosso ad irsene colà. Nè s’ ingannava. Postosegli a canto e proffertosegli buon servitore, tanto lo strinse che lo condusse a palesargli non solo la missione onde avea avuto carico dall’ Assarino quella fiata, sì' ogni più minuta particolarità che si passava fra loro e persino la corrispondenza epistolare. Breve, pochi scudi e la promessa d’ essere liberato dal bando, bastarono per indurre il Tirazzo a comunicare al De Ferrari, tutti gli avvisi così scritti come verbali inviati dall’ Assarino al Duca d’ Ossuna, e ciò, secondo manifestano i documenti, per tutto quel tempo che corse dal 1669 al 1671. È poi assai piacevole vedere le proteste del nostro Luca nello affermare uno affetto ed uno attacamento singolarissimo , non tanto alla persona del Governatore quanto al Governo spa-gnuolo, collimare perfettamente con quelle che, quasi colle istesse parole, faceva alla Repubblica di Genova ed al Duca di Savoja. Nè riesce di minor gusto prender lingua dalle carte, della guisa misteriosa onde confidava i segreti al Tirazzo allor quando recavasi a Torino, dove sullo annottare con-ducealo nella chiesa di S. Nicolò, e quivi con certa solennità volea si legasse con sacramento a non palesare le notizie ad altri che al d’ Ossuna medesimo (1). Intanto ossequiente a Carlo Emanuele, a Madama Reale ed al Marchese di S. Tommaso, sempre nuovi favori e doni e danaro sapea trarre con quell’ arte in che era divenuto maestro ; e perchè in capo a’ suoi pensieri stava eziandio la vita comoda e gioiosa, non si ristava dal chiedere tutto ciò che (1) A. R. Genov. Misceli. Econ. Polit. Fil. 4. 36 GIORNALE LIGUSTICO ad agio potea tornargli; ed ora approvecciavasi della carrozza del Marchese a fine di dare spasso alla moglie, ora si deliziava co’ vini, cogli ortolani e con succosi manicaretti da quegli donatigli (1). Se non che la sua salute da ben un anno volgeva alla peggio, ed infermatosi poi gravemente nel Settembre del 1672 ai 7 del successivo Ottobre se ne mori (2). Agevole fia a qualsivoglia giudicare dal fin qui detto dell’uomo, che quanto allo scrittore il giudizio dee essere pronunciato alla stregua del secolo. Certo a’ suoi di tenne luogo distinto fra i più letterati, e fu reputato il migliore romanziere di quel tempo; nè in vero havvi manco ne’ suoi libri di fervida immaginazione, di tratti commoventi e d’affetto alcuna volta eloquente; ma lo stile sazievole, la frase ora ampollosa ora vile, e il concetto spinto sovente fuor del naturale ne rendono poco accetta la lettura; arrogi che la ragione stessa del subbietto riduce a nulla, 0 a ben poco, l’utilità del leggere. Cionondimeno spiccata differenza riscontrasi fra le molte sue operette di vario argomento e le due istorie di Catalogna e d’Italia, chè quivi s’avviene il lettore in una dizione assai facile e spesso nobile e dignitosa, rado incontrandosi il periodo manierato e concettoso ; onde a buon dritto, secondo parmi, scrisse lo Spotorno aver schivato in esse opere il gusto corrotto del secolo, e per questa parte si può consentire nell’ opinione del Mazzucchelli, che il giudicò uno dei buoni storici del seicento; ma niuno vorrà, per avventura, oggimai seguire 1’ erudito barnabita la dove afferma non meritare 1’ accusa di menzognero applicata con troppa ragione a Gregorio Leti (3). Imperciocché se, come ho già osservato, appare a prima giunta dettata la Istoria d’Italia con certa libertà, non è men vero che i singoli fogli fossero riveduti dal (1) Claretta op. cit. pag. 24, 25. (2) Claretta op. cit. pag. 30. (3) Spot. Stor. Lett. Lig., T. IV. pag. 59. GIORNALE LIGUSTICO 37 Marchese di S. Tommaso cui sottoponeagli l’Assarino stesso, oltre che le remunerazioni avute dalla Corte ducale e i casi della sua vita, sono per fermo aperto documento della sua versatile natura e del facile parteggiare. La sete dell’oro e del vivere agiato, unita ad una smodata ambizione il trasse nello sconcio decbino; le ottenute onorificenze furono per lui più presto servile livrea che premio di nobile scrittore, dimentico com’ ei fu dell’ utile ricordo lasciatoci dal Castelvetro: essere vilissima cosa ad uomini bennati vendere a caro prezzo i propri pensamenti. Terminata la lettura del socio Neri, il Preside con accomodate parole dichiara concluso il periodo delle sedute della Sezione per 1’ anno accademico 1873-74. XXVIII. Assemblea Generale. Tornata del 12 luglio. ‘Presidenza del Presidente comm. Antonio Cuocco. Il Presidente partecipa che a seguito delle facoltà state concedute nell’ adunanza del 19 aprile all’ Ufficio di Presidenza, questo ha pregato il socio onorario prof. cav. Roberto De Vi-siani di rappresentare la Società nelle feste del quinto centenario del Petrarca in Arquà ed in Padova; e soggiunge che il cav. De Visiani ha accettato cortesemente 1’ invito. Vengono proclamati soci effettivi i signori avv. Francesco Bisagno, sac. Luigi Cerruti, Angelo Facchinetti, avv. Vincenzo Poggi, prof. Giovanni Quinzio pittore, ed Alessandro Rossi incisore. Sono pure nominati soci onorarii i signori Conte Riant residente a Parigi e Barone Beniamino Heath Console Ge- 38 GIORNALE LIGUSTICO nerale d’ Italia a Londra; ed eletti soci corrispondenti i signori Francesco Alfonso Belin Console Generale di Francia a Costantinopoli, cav. sac. Isidoro Carini e barone Raffaele Starrabba direttori dell’ *Archivio Storico Siciliano residenti a Palermo, e cav. Giovanni Sforza residente a Lucca. Il Presidente presenta due nuovi fascicoli degli *Atti, dei quali sarà poi fatta distribuzione ai socii. Contengono il principio della Collezione epigrafica-ligure del medio evo, cui intende il collega sac. Marcello Remondini. * j ■ Il Segretario Generale enunzia i doni di molte ed importanti opere pervenute alla Società dopo 1’ adunanza già detta del 19 aprile; e piglia quindi a leggere una sua Relazione sulle lapidi genovesi di Galata, della conservazione delle quali si trattò per 1’ appunto nella citata seduta. Questa Relazione corredata da una serie di documenti verrà quanto prima a luce negli tAtti. XXIX. Sezione di Belle Arti. Tornata del 18 luglio. Presidenza del Preside cav. prof. Federigo Alizeri. Il Preside concludendo le tornate della Sezione* riassume le notizie artistiche esposte alla medesima nel corso dell’ anno accademico; e nota che se il novello risorgere della statuaria nel Quattrocento si palesa nelle varie opere di figura e di ornato già da lui rammentate, si manifesta in modo speciale in quel complesso di mirabili lavori che è la fronte della cappella del Precursore in Duomo. Perciò annunzia che di quest’ opera dovrà egli in particolar guisa occuparsi nelle tornate dell’anno venturo. GIORNALE LIGUSTICO 39 XXX. Sezione di Archeologia. Tornata del 25 lyglio. » 'Presidenza del Preside avv. Pier Costantino Remondini. Il socio Belgrano presenta a nome del collega dott. Luigi Filippi le fotografie di alcuni oggetti di romana antichità, come olle, tazze, lucerne, vasi unguentari o lacrimali ecc., rinvenuti dall’ ingegnere Giovanni Grossi all’ Abbatina presso Carrù, in occasione degli scavi che furono colà praticati per le opere della ferrovia Sa-rçona-Torino ; e di siffatti oggetti brevemente ragiona. Il socio D. Marcello Remondini dichiara una epigrafe già murata nella torre di papa Clemente a Caffa ed ora serbata nel Museo di tale città. Questa pietra larga quasi due metri ed alta poco più d’uno, è ornata in capo da cinque stemmi e reca in otto linee di scrittura dieci versi leonini. Di essa fa cenno il nostro Oderico nelle Lettere Ligustiche; e la produssero come per fac-simile il Waxel ( 1) il Dubois de Mont-pereux (2), e 1’Jurgievicz (3) dal quale appunto la Società Ligure ne ebbe testé un bell’ esemplare fotografico. L’ interpretazione del Remondini, non tentata finora completamente e felicemente da altri, suona così : f ANNIS MILLE DEI TRECENTIS OCTO Q.VADRENIS MENSE MAH FVIT OCTAVA LVCE PATENTE MAGNI PONTIFICIS CLEMENTIS GRACIA DATA CRVCIS IN AVGVMENTVM HEC TVRRIS HEDIFICATA . INNICIVM SVMPSIT FVNDATA PRESTITE IHESV . EST MALIS IN STRAGEM CV-NCTIS LAVDEMQ.VE SVPERNI . PRESVLEM ERMIRIVM TVNC CONSVLEM ESSE PATEBAT NOMINE MONDINVM Q.VEM CHRISTVS VERE REGEBAT . PROTEGAT HANC DEVS CVIVS VOCABVLO TVTA SEMPER ERIT LAVDEMQ.VE SVAM CONTINVO PVTA. (1) 'Recueil de quelques antiquités etc., num. 20. (2) Nell’ Atlante onde si correda il suo Voyage autour du Caucase etc. (3) SvCemorie della Società di storia ed antichità di Odessa, tomo V. 40 giornale ligustico Avverte il Remondini che l’canno 1348 segnato nella lapide dà ragione al Dubois ed all’Heyd (i), i quali opinarono doversi riportare il fatto dell’erezione al pontificato di Clemente VI ; e soggiunge come del Console caffese ivi notato col nome di Mondino Ermirio sorgesse nella chiesa di sant’Agostino in Genova il sepolcro , eh’ egli si preparò vivente, con iscrizione conservataci dal Piaggio (2). Il socio Desimoni presenta la fotografìa, gentilmente procurata alla Società dal collega Carlo Prayer , di una rilevante parte del Portolano delineato nel 1460 dal veneto Andrea Bianco ed ora custodito nella Biblioteca Ambrosiana in Milano. Presenta del pari una riproduzione fotografica del Portolano delineato nel 1318 dal genovese Pietro Visconte, eseguita colla ben nota diligenza e cortesia del Preside della Sezione; e da siffatte presentazioni trae opportunità di ragionare alcun poco della incipiente collezione cartografica alla quale intende la Società. Finalmente lo stesso Preside con affettuose parole dichiara chiuse le tornate della classe. XXXI. ' Assemblea Generale. Tornata del 2 agosto. Presidenza del Presidente comm. Antonio Crocco. Dopo la presentazione di alcune opere delle quali venne fatto recente omaggio alla Società, si proclamano soci effettivi i signori Luigi Malatesta, Erasmo Piaggio, ingegnere Giuseppe Ratto, e cav. ingegnere Lazzaro Romairone. Il Presidente con applaudita allocuzione pronuncia la chiusura delle adunanze per l’anno accademico 1873-74. (1) Le colonie degli italiani in Oriente ecc., vol. II, pag. 36. (2) [Monumenta Genuensia, mss. della Civico-Beriana. Pasquale Fazio Responsabile. GIORNALE LIGUSTICO 41 ELENCO DI CARTE ED ATLANTI NAUTICI DI AUTORE GENOVESE OPPURE IN GENOVA PATTI O CONSERVATI Il Ministero per la Pubblica Istruzione , desiderando che l’Italia sia degnamente rappresentata al Congresso generale di Geografia che nel prossimo luglio si aprirà a Parigi, affidò alla Società Geografica Italiana 1’ onorevole ufficio di invitare i dotti, ed anche gli uomini di buona volontà che si piacciono di questi studi, a dirigere le loro ricerche in tutti i rami della disciplina e raccoglierne i risultati. Secondo il costante proposito della Società Ligure di Storia Patria, di studiare specialmente quelle parti più trascurate finora dai nostri storici, noi avevamo da più anni rivolta 1’ attenzione a quel ramo di geografia storica che ha tratto alla carte marittime del medio evo. Perciò prendemmo nota di tutte siffatte carte, portolani, planisferi ed atlanti che ci avvenne di trovare nelle Biblioteche e nei Musei, lungo le nostre troppo rapide scorse a Londra, Parigi, Ginevra, Torino, Parma, Bologna e Firenze. Inoltre estraemmo simili note da tutti i libri o manoscritti che ci capitarono alle mani in casa o fuori; donde ci pare aver raccolto un materiale, in parte poco o nulla conosciuto, e ad ogni modo da non potersi raggranellare senza molto tempo e fatica dalle opere dei dotti che trattarono di questi studi. Frutto delle medesime note fu un primo catalogo, che colla cooperazione dell’ amico e collega Belgrano compilammo ed inserimmo tra gli Atti della Società Ligure (vol. IV, pag. ccxL-ccxLix ). In quel catalogò sono classificati secondo i tempi quei soli atlanti e carte marittime che furono delineati 0 da genovesi 0 da stranieri in Genova, oppure GIORNALE LIGUSTICO quelli che in questa città tuttora si conservano o si ha memoria che già vi si conservassero. Il sullodato amico e noi, siccome onorati dalla dotta Presidenza della Società Geografica, intendiamo preparare altre somiglianti comunicazioni anche sulle carte e atlanti non genovesi; ma specialmente sui viaggi, commerci e compagnie genovesi del medio evo; come già iu cominciato colla pubblicazione ed illustrazione dell5 A tlante Ltixoro, degli Opuscoli di Benedetto Scotto e dei documenti riguardanti le relazioni dei genovesi colla Fiandra, nei primi tre fascicoli del volume \ degli Atti. Ai quali devono far seguito i documenti di Tunisi e dell5 Africa in generale, già quasi in pronto e da pubblicarsi, come appendice alla Memoria analoga di che l5 illustre Amari onorò il quarto fascicolo dello stesso volume. Frattanto abbiamo creduto non inutile riprodurre qui il so-vraindicato catalogo od elenco delle carte che per l5 autore o pel luogo si possono chiamare genovesi; il quale per gli studi continuati potè essere pressoché duplicato sovra quello della prima impressione, ed inoltre fu corretto da alcuni errori tipografici e mutato in alcune date che per più maturo esame parvero meno antiche. Sebbene la maggior parte delle carte di questo elenco sia stata veduta da noi, tuttavia preterimmo quasi sempre citare gli autori che rispettivamente ne parlarono; sia perchè più autorevoli di noi, sia perchè ebbero più agio ad esaminarle o potesono, più che a noi non sia dato qui, allungarsi nelle descrizioni. AVVERTENZE Laddove nei casi particolari non sia spiegato altrimenti, s5 intende : i.° Che il nome di *Atlante indica la riunione di due o più carte o tavole; il nome di ‘Portolano indica una descrizione GIORNALE LIGUSTICO 43 di coste marittime senza il corredo delle tavole; il nome di Planisfero dinota una carta cosmografica, comprendente tutto il mondo abitabile come era concepito dall’ autore di essa. 2.° Che gli atlanti, carte ecc. sotto descritte sono delineate a mano in pergamena, ed hanno in alto la tramontana come le carte moderne ; salvocchè la piccolezza del formato richieda una orientazione diversa. 3.0 Che ordinariamente comprendono soltanto il Mediterraneo, il Mar Nero, le coste atlantiche dallo stretto di Gibilterra fin verso l’Elba, le coste occidentali dell’Africa al più fino al Capo Verde, le isole Britanniche più o meno mutilate a tramontana ed occidente, le isole Canarie, le Azore, e più tardi anche quelle del Capo Verde. 4.0 thè la proiezione delle dette carte è la piana per sviluppo cilindrico; e che esse sono regolate sulle rose da 32 venti, senza i gradi di longitudine o latitudine; i quali se più tardi vi sono indicati, sono più d’apparenza che di sostanza. 5.0 Che il disegno dei mari e delle coste è di una generale esattezza meravigliosa fino dal XIV secolo, e costantemente imitata nei seguenti. Ma vi sono pure tre costanti difetti. In primo luogo tutta la parte di tramontana e giù fino al-l’Olanda è inesattamente tracciata, non essendo percorsa allora dai nostri. Vedasi per esempio il Planisfero di Prete Giovanni di cui sotto al numero 2. Secondariamente il parallelo medio, invece di procedere diritto da levante a ponente, piega a maestro (Nord-Ovest) per cinque o più gradi, in grazia della declinazione della calamita che si supponeva battere il preciso punto di tramontana. Perciò il golfo di La-rissa a confini della Siria e dell’ Egitto, viene ad essere quasi sulla stessa direzione che è lo stretto di Gibilterra. In terzo luogo il Mar Nero è alcuni gradi più a ponente di quel che non dovrebbe essere rispetto al Mediterraneo orientale. Il meridiano che sorge un po’ a levante da Alessandria d’Egitto 44 GIORNALE LIGUSTICO tocca la parte orientale del golfo di Satalia, entra nel Mar Nero a Tino (Filgias) e taglia l’estremità occidentale della penisola di Crimea; inclinandosi così verso levante di circa sradi 2 e mezzo. 3 faciebat in civitate Neapoli. 68. Secolo xvi, 2.a metà, o principio del xvii. — Carta di anonimo, proveniente dalla Libreria dei Cappuccini ed ora conservata nella Biblioteca di questa Regia Università. Lunghezza metri 0. 76 */2 e col collo metri 1 ‘/2, largh. 0. 46 ‘/2. Vi manca il Mar Nero. Questa e le seguenti quattro carte senza data sembrerebbero a primo aspetto del secolo XV, perchè al solito sono imitazioni di fattura di que’ tempi. Pure ben considerandole è più sicuro riportarle, come noi abbiamo fatto, alla seconda metà del XVI secolo 0 anche più tardi. 69. Secolo xvi, 2.a metà, — Carta di Gerolamo Costo, colla leggenda: Carta navigatoria fatta per me Gieronimo Costo genovese in Ztor(cellona). Queste ultime sillabe non vi si leggono più, ma furono lette quando erano apparenti. Donata GIORNALE LIGUSTICO alla Società Ligure dal socio cav. prof. Gerolamo Da Passano. Ved. Atti, IV. pag. clxiii. Dapprima io la credeva della prima metà dello stesso secolo, ma meglio considerata mi pare più recente; Misura circa cent. 80 per 63. Vi è parte del Baltico e della Svezia colle isole della Danimarca. 70. Secolo xvi, 2.» metà? — Fotografìa di un atlante anonimo in quattro carte, donata alla Società Ligure di Storia Patria dalla Società di Storia ed Antichità di Odessa. Non vi è il Mar Nero; misura cent. 25 per 30 '/2- U originale si conserva nella Biblioteca della lodata Società Odessiana, e si dice proveniente dal dono fattole or sono circa 30 anni da un signor Padlerski polacco. La Società nostra ne possédé inoltre una breve illustrazione ms.; lavoro del distinto orientalista signor Blau, console germanico in Odessa. Egli pensa con ragione che l’atlante sia d’autore francese. 71. Secolo xvii, al principio? — Carta piegata in due a foggia di libro, posseduta dal cav. Tammar Luxoro; anonima; lunghezza totale cent. 56 per 40 '/3. Manca il Mar Nero. 72. Secolo xvii, al principio? — Carte due piegate in un codice posseduto dal sullodato cav. Luxoro ; anonime ; lunghezza totale cent. 67 per 40 2/3. 1 La prima carta è generale al solito, ma senza il Mar Nero, assomigliando a quella del numero precedente; la seconda descrive 1’ Arcipelago. 73. Principio del xvii secolo? — Atlante in carte quindici di Francesco Gisolfo (che dal cognome si presume genovese). Si conserva nella Riccardiana di Firenze. 74. 1602. — Carta di Giovanni Costo, colla leggenda: Joannes Costo fecit banc cartam in Janua anno Domini 1602 GIORNALE LIGUSTICO 65 die / iulii. Già posseduta dal eh. comm. Canale. Ved. la sua Storia del commercio ecc., pag. 481. 75. 1613. — Carta di Gio. Francesco Monno di Monaco (Liguria), che si conserva nel palazzo del Principe D’Oria a Roma, piano superiore. Vista dal sullodato cav. Luxoro, che ne ha copiato la leggenda seguente: Cartam mediterraneam ab antiquis erroribus purgatam nunc cum locorum gradibus ve-risq. ventorum viis manu propria descriptam Jo. Fran.cus Monus patefecit fanue. Anno a Virginis partu XIII supra milesimum sexcentesimum. 76. 1618. — Globe maritime avec l’usage et pratique des longitudes; e Navigatione che Benedetto Scotto Gentilhuomo Genovese propone di passare diverso il polo artico e di andare al Cattai e China, ecc. Sono due opuscoli stampati ad Anversa nel 1618 e ristampati negli Atti dalla Società Ligure, vol. V, pag. 273 e seg. con illustrazione di L. T. Belgrano. Ma essi, e specialmente il primo opuscolo, suppongono una carta analoga, che manca e probabilmente restò manoscritta. Su Benedetto Scotto ed altre sue carte, vedi anche Atti, vol. IV, pag. clxv. 77. 1620. — Carte varie delineate a Londra da un Giovanni Damele, che dal cognome si presume genovese. Si conservavano già alla Palatina di Firenze; ora saranno nella Biblioteca Nazionale. 78. 1622. — Carta di Gio. Francesco Monno di Monaco di Liguria, conservata nella privata Biblioteca del march. Marcello Durazzo fu Giacomo Filippo. Ved. il Catalogo della Biblioteca di un amatore bibliofilo, pag. 115. La leggenda è: 66 GIORNALE LIGUSTICO Cosmographia ex operibus Jo. Francisci Moni Januensis in Civitate Janue anno salutis nostre XXII supra milesimum sexcentesimum. 79. 1633. — Codice cartaceo custodito nella Biblioteca della Regia Università di Genova, con carte geografiche marittime in parte cartacee, ma le più grandi e principali in pergamena. Queste maggiori carte sono in tutta la lunghezza cent. 43 '/2 Per 29 '/r II- codice è intitolato: Arte della vera navegatione con il regime della tramontana et del sole. Di Gio. Francesco Monno di o • Monaco chirurgico, con un Portolano con le coste figurate ecc., V anno... MDCXXXIII. La leggenda è eguale a quella del numero precedente, salvochè v’è di più la parola jam avanti di ab antiquis nella prima linea , e la data è cambiata in MDCXXXIII. Nelle tre prime membrane è il tracciato marittimo generale, e nelle due che vengono più sotto è 1 Arcipelago. Nella seconda parte è il portolano descrittivo, dove ad ogni capo precede il disegno delle rispettive coste. Codice bello e ben conservato. Da questo numero si vede che il nome dell’ autore era Monno, ma latinamente ei lo scriveva Monus, Moni, ecc. (num. 75 e 78); onde venne 1’ errore del Catalogo Durazzo che lo qualifica per Moni, avendo trovato sulla leggenda della carta di cui al num. 78 : Cosmographia ex operibus Jo. Francisci Moni ecc. Lo scrivente possédé un quadro della Madonna degli Angeli, in cui sul dorso della tela è scritto: Gio. Francesco Monno. t 80. 1639. — Carta di Giambatista Cavallini di Livorno, donata alla Società Ligure di Storia Patria dal sacerdote Angelo Remondini; misura cent. 66 per 44. Ivi è scritto: Jovan Batta Cavallini in Livorno Ano i(>iy. Questo cartografo mi è GIORNALE LIGUSTICO 67 noto per altre due carte del 1664 e 1669, che si conservano al Museo Britannico. Ved. Catalogo delle carte e mappe di quel Museo (in inglese), vol. II, pag. 34; ed Atti, IV. pag. clxv. Una terza di data non ben certa, ma verso gli stessi tempi, è descritta a pag. 182 del Catalogo della Collezione di Guglielmo Libri sovra citata. È un atlante colla leggenda : Joanne Oliva e Jovan Batta Cavallini in Livorno ano... 81. 1645. — Atlante di quattordici piccole carte in i2.mo, di Alberto di Stefano (forse meglio di S. Stefano) genovese, colla leggenda: Fato per mano di Alberto di Stefano anno Domini 164J nella nobile Città di Genova. Appartenne già all’ illustre Barone di Walckenaer, ed è descritto al num. 2906 del Catalogo de’ suoi libri e carte geografiche, Parigi, 1853, pag. 237. Ivi era pure al num. 2835 il portolano del genovese Francesco Maria Levanto, citato già negli Atti della Società, IV. pag. clvi-vii. 82. 1662. — Atlante in otto carte di Francesco Maria Levanto, che si conserva nella prelodata Biblioteca Durazzo. Ved. il Catalogo già citato di essa Biblioteca, a pag. 131. A me pare la seconda parte dello Specchio del mare dello stesso autore, la cui prima fu stampata a Genova nel 1664. Ved. Atti, IV. pag. clvi-vii. 83. Secolo xvii. — Flambeau de mer contenant tous les ports et rades de la coste d’Espagne etc., conservato a Torino nella Biblioteca del Duca di Genova. Si reputa aver appartenuto ai marchesi Pallavicini di Genova, perchè ne ha lo stemma. 84. Secolo xviii. •— Recueil des ports et rades, nella prelodata Biblioteca Durazzo. Codice cartaceo di 109 fogli. Ved. il citato Catalogo, pag. 190. 68 GIORNALE LIGUSTICO ATLANTkE CARTE ANONIME il cui Autore, fu sospettato genovese serica che sieno sufficientemente chiari i motivi di quella opinione 85. 1384. — Atlante anonimo, già posseduto dal fu Barone di Walckenaer e notato al num. 2903 pag. 236 del di lui Catalogo di libri e carte sovra citato. Consta di sei carte, oltre il calendario; lunghe cent. 30 per 23. Ved. la descrizione del sig. D’ Avezac : Fragments d’une notice sur un atlas ms., Paris, Martinet 1847. ^ dotto Francese non ammette i criterii onde il Walckenaer credeva poter qualificare per genovese questo atlantino. Io avrò occasione altra volta di spiegarmi su tali criterii: osservo frattanto che vi potrebbe essere una relazione genovese, almeno per un altro titolo. Pare che 1’ atlante provenisse dalla Biblioteca Pinelli, non del veneziano Maffeo le cui carte furono diligentemente notate nel Catalogo fattone dal Morelli, ma del genovese Gian Vincenzo Pinelli, la cui Biblioteca andò dispersa, ed una parte si conserva all’Ambrosiana; dove difatti io trovai carte marittime col nome di lui scrittovi sopra. Ved. Atti, III. pag. cxii e seg. 86. Secolo xiv. — Carta anonima, già nell’Archivio delle Riformagioni a Firenze, che il signor Hommaire De Hell dichiara evidentemente genovese. Ved. il già citato articolo del San-tarem nel Bulletin de Géographie, Paris 1847, I. 306, num. 10. 87. 1489. — Carta genovese del 1489, citata senza altre indicazioni dall’Humboldt, Asie Centrale, II. pag. 220. Il che però mi dà forte sospetto di errore. 88. 1504. — Atlante in cinque carte, anonimo, trovato dal lodato Hommaire De Hell alla Magliabecchiana, e che a lui sembra fattura genovese Ved. Bulletin loc. cit. a pag. 295, num. 3. GIORNALE LIGUSTICO 89. Secolo xvii, principio. — Il ch. P. Alberto Guglielmotti, con lettera di Roma 27 gennaio 1869, scrive: « Ho tra le mani una pergamena che mostra tutte le coste del Medi-terraneo e dell’Eusino; lunga 0. 83, alta o. 49; anonima, ma probabilmente genovese «per la maniera di scrivere i nomi: bina, Portofìn, ecc. ». PORTOLANI O MANOSCRITTI CARTACEI con piccoli schizzi a disegno inseriti nel testo 90. Secolo xv. — Liber insularum Arcipelagi. Si conserva nella privata Libreria del compianto avv. Francesco Ansaldo, ed è un bello e ben conservato esemplare del noto libro del fiorentino Cristoforo Buondelmonti. Questo libro fu stampato dal De Sinner a Lipsia nel 1824, ma senza le figure delle isole. Ved. Atti, IV. pag. clx. 91. 1633. — Portolano di Gio. Francesco Monno di Monaco. Fa seguito al suo Atlante di carte in pergamena ; perciò fu notato sopra al num. 79. PORTOLANI MSS. CARTACEI E DESCRIZIONI DI VIAGGI non forniti delle Tavole relative 92. Secolo xvi. — Roteiro da Viagem de Fernam de Ma-galhaes; Ms. nella Biblioteca Nazionale di Parigi, anonimo, ma comunemente attribuito a Battista da Genova, che fu pi- lo.to in una delle navi della spedizione di Magellano. Ora è stampato nelle Noticias para a historia e geographia das na-çôes ultr amar inas, Lisbona 1831. Ved. Giornale Ligustico, 1874, pag. 333; e Amat di san Filippo, Bibliografia dei Viaggiatori italiani, Roma 1874, pag. 50. 70 GIORNALE LIGUSTICO 93. Secolo xvi. — Leone Pancaldo da Savona, che fu anch’ esso piloto nella spedizione di Magellano fece similmente una descrizione di quel viaggio medesimo; nia ora pare perduta. Ved. Giornale Ligustico, loc. cit. • 94. Secolo xvi. — Cosmografia universale, in italiano, dedicata a Cosmo I duca di Toscana; in fogli 193 ? divisa in libri iv, capi 77. È nella Mediceo-Laurenziana, e fu descritta dal Bandini, Catal. Biblioth. Leopold., III. pag. 349, il quale la intitola: Cosmographia Universalis auctore anonimo, forte Januensu . 95. 1600. — Arte del navigare, di Gio. Batta Pavese di Savona. Ved. Soprani, Gli Scrittori Liguri, pag. 152; ma non si conosce se il ms. si conservi ancora. 96. 1607. — Portolano bello scritto di mano del R■ F-Andrea Rios Monacho... professore en sacra Theologici dell Oi-dine di San Benedetto di Catalugna. Pare appartenesse già alla famiglia Calcagnino; ed ora si conserva nella Biblioteca del-1’ Università di Genova come i due seguenti. « 97. Secolo xvii, principio. — Portolano di piccolo formato, anonimo, ma già posseduto da un Silvestro Saivago. L’autore vi parla di fatti da lui visti al tempo di Clemente Vili. (1592-1605). 98. Secolo xvii inoltrato. — Portolano anonimo e senza titolo, di carattere sbiadito. Comincia con Genova lei bella. Pare appartenesse alla famiglia Di Negro. N. B. Questo e i due precedenti Portolani devono essere anche composti in Genova, perchè la descrizione dei viaggi comincia sempre da questa città sia partendo pel levante come pel ponente. GIORNALE LIGUSTICO 71 99- — Periplo del Mediterraneo del capitano Saettone di Va-ra^ze; Ms. in foglio atlantico, ricordato dal ch. P. Spotorno nelle Annotazioni agli Annali del Giustiniani, Genova 1854, vol. I, pag. 515. Il capitano maritimo Guglielmo Saettone morì nel 1640, secondo il Fazio: Varale e il suo distretto, Genova 1867, pag. 129. 100. 1687. — Portulano di me Giorgio Bellingero qm. Gio. Battista di Spotorno... l’anno di nostra salute 1687 i.° settembre. È in Genova nella Biblioteca della Missione Urbana. 101. Secolo xviii. — Carta di navigare, che si conserva alla Civico-Beriana di Genova. In fine vi è scritto : Hiero-nimus A^urius Vicomercatensis scripsit hunc libellum. 102. — Arte del navigare di Alessandro Cesareo; Ms. nella Biblioteca privata degli eredi del fu march. Massimiliano Spinola. SOPRA AGOSTINO NOLI E VISCONTE MAGGIOLO CARTOGRAFI Lettera al cav. avv. Cornelio Desimoni, letta alla Sezione d’Archeologia della Società Ligure di Storia Patria, nella tornata del ij luglio 1871. Genova, 12 luglio 1871. Preg.mo Signore Ella si rammenterà certamente come molti mesi addietro ripigliando io a sfogliare quella numerosa collezione di vecchie carte del nostro Archivio Governativo, distinta col nome di fogliazzi Diversorum Cancellariae, Le diceva che forse avrei trovato qualche documento relativo ai cartografi genovesi. 72 GIORNALE LIGUSTICO Or bene son lieto di annunziarle che mi sono rimasto deluso nella mia speranza, e che se soltanto due sono i documenti che mi venne fatto di vedere, li credo però abbastanza importanti per essere notati. Imperocché dall’ uno di essi ricaviamo il nome di un nuovo Magister cartarum prò navigando; ed abbiamo dall’ altro non poche e preziose notizie sopra quel Visconte de Majolo, del quale la S. V. negli *Atti della nostra Società ha indicato diverse carte marittime, ed io stesso, altra volta in una lettera a Lei diretta, dava contezza di una che serbasi nella Biblioteca Ambrosiana di Milano e della quale pur si fe’ cenno negli *Atti indicati (i). Il primo dei documenti di cui ora è caso è una domanda per l’esenzione dalle tasse e dalle avarie, inoltrata al Doge Tomaso da Campofregoso ed al Consiglio degli Anziani sotto la data del 7 novembre 1458 da un Agostino Noli. Egli si dice il solo che eserciti nella nostra città la professione di delinear carte marittime, e dopo aver esposto come a’ Genovesi è causa di infiniti beneficii e guadagni, nonché di riputazione e di onore 1’ arte della navigazione, osserva che senza carte essa è impossibile, giacché solo da quelle i nocchieri conoscono le rotte che devono tenere, ed i porti dove approdare ; per cui in vista dell’ utilità immensa di tal arte, domanda 1’ esenzione dalle avarie, e conclude con argomento stringente dicendo, che poiché già gode franchigia ed immunità il maestro fabbricante delle bussole, magister qui agogias prò navigando conficit, con uguale diritto la dovrebbe goder lui che fa le carte, giacché se senza bussola riesce impossibile la navigazione, tanto più lo è senza le carte marine. Segue la sua domanda il decreto del Doge e del Consiglio ; i quali in considerazione di conservar a Genova un’ arte tanto necessaria alla navigazione, dal cui eser- (1) Ved. Atti, vol. Ili, pag. CXI-XII. GIORNALE LIGUSTICO 73 cizio il ricorrente non poteva metter da parte grandi somme, perchè molto laboriosa, lo esentano da qualsiasi pubblica gravezza, eccettuato il ^testatico (cabdia capitis'). In appresso 1 Ufficio di moneta a cui toccava, perchè materia di finanza del Comune, interloquir nella faccenda, limitava la fatta esenzione a soli dieci anni, e vi annetteva la clausola che Agostino dovesse istruire e far perito nell’ arte in discorso un suo fratello. Ciò soltanto si apprende dal documento; ma, domando io, chi è che sentendo il nome di Agostino Noli disegnatore di carte nautiche, e leggendo la data del 1438 non corre col pensiero a quell’Antonio Noli, il quale in compagnia di Bartolomeo suo fratello e di Raffaele suo nipote, secondo ci dite il Barros, verso il 1440 scoperse le isole di Capo Verde? Questo legame, direi dell’arte, fra un cosmografo ed un navigatore di uguale cognome, non sarebbe per avventura un indizio di parentela fra loro? Senonchè a ciò disgraziatamente non si può fare soddisfacente risposta, tutto riducendosi ad una supposizione basata sopra indizii, e nulla si ricava dall’allegato documento che valga a confortarla con positivi argomenti. Comunque però sia, il medesimo non cessa di essere importante; chè, se non altro, accresce di un nuovo nome la schiera dei cartografi genovesi. Il De Majolo è personaggio già noto, da che il dottissimo P. Spotorno nel volume quarto della sua Storia letteraria della Liguria ce lo indicava chiamato a Genova con altri eletti ingegni da Ottaviano Fregoso, ed ora per i documenti pubblicati dal eh. avvocato Canale nella sua Storia del commercio degli Italiani, si sa che era_g.gli_ stiftgndi del Comune dal-l’anno 1519. Dirolle però che quello da me rinvenuto, mentre in certo modo riesce a conferma di tutto ciò, ci offre non pochi ragguagli sulla vita di questo cartografo per 6 74 GIORNALE LIGUSTICO cui nella sua importanza non lo reputo inferiore al precedente. Esso porta la data del 3 marzo 1523, ed è un ricorso al Governo, con cui il Maggiolo lamentandosi di dover sempre consumare gran tempo ed inoltrare molte istanze per poter esigere il suo stipendio di lire 100 assegnatogli dal Comune, e non trovandosi abbastanza bene in Genova, chiede licenza di andarsene, a meno che non vogliasi por rimedio a quel-l’abuso inscrivendo nel bilancio ordinario del Comune la spesa del suo onorario, e per soprappiù concedergli l’esenzione e l’immunità da ogni gabella riguardante il pane ed il vino nonché ogni altra cibaria : pro frumentis et vino ac aliis ad victum pertinentibus. Senonchè tali richieste, come la minaccia di andar via, che leggonsi spesso in domande di sirnil genere, fatte per produrre impressione ed in osservanza alla massima di chiedere molto per ottener qualche cosa, non sortirono 1 effetto desiderato; giacche dal decreto del Doge Antoniotto Adorno e del Consiglio degli Anziani, i quali udirono anche veibai-mente il nostro cartografo, appare che la licenza gli fu senz’ altro negata, ingiungendoglisi anzi di dover rimanere in città ad esercitare ed insegnare la sua arte, e che si passò sopra, senza nemmeno accennarla, alla richiesta, di franchigia. Riconosciuti però giusti i lamenti del Maggiolo per la riscossione dello stipendio, e non potendo esser questo stabilito nel bilancio ordinario, comandano all’ Ufficio di Moneta gli sia d’ ora in avanti, senza dilazione, pagato. Questo è il sunto del documento per quel che ha tratto f alla sostanza ed al fine del medesimo, che è di ottenere senza difficoltà lo stabilito onorario ; e per ciò si collega con quelli pubblicati dal commendator Canale e con diversi altri che leggonsi nel registro del cancellier Botto, sopra i quali credo inutile fermarmi, non essendo gli stessi che ordini di pagamento per il convenuto stipendio, e disposizioni perchè gli giornale ligustico 75 fosse senza dilazione pagato; nuli’altro avendo che possa intei essarci, senonchè il conoscere come lo stesso gli era cominciato a decorrere dal 12 maggio 1519 (1). Ma, come la S. V. non tralascerà di osservare, nella parte espositiva, che è la prima, sono quei particolari relativi al Maggiolo, i quali noi crediamo del maggior interesse. Imperciocché da essi si ricava come egli, genovese di origine, stava a Napoli, ivi domiciliato ed ammogliato con donna di quella città, e vi era qual cittadino riconosciuto in forza di non so qual privilegio: che di là fu richiesto dal Governo Genovese, cioè da Ottaviano Fregoso sin dal 1518, onde volesse trasportarsi qui colla sua famiglia per esercitarvi l’arte della cosmografia e farvi degli allievi, colla promessa di lire 100 di onorario sul pubblico bilancio, oltre quel tanto che avrebbe potuto guadagnarsi particolarmente : che egli perciò, ed anche spinto dall’affetto alla patria, qui trasferissi e del 1519 gli si cominciò ad assegnare lo stabilito onorario confermatogli poscia con decreti del 1520 e del 1521. Apprendiamo pure dal documento in discorso che egli aveva numerosa figliolanza, e come eragli fratello un Antonio i cui figli, per esser questi deceduto, accolse con sè, e mantenne non senza grave sua jattura, nelle critiche contingenze di quei tempi, nei quali ebbe a soffrire molto danno e particolarmente in occasione del saccheggio dato alla città dalle truppe imperiali l’anno 1522. Quali indicazioni tutte ci aiutano grandemente a farci una idea della vita del Maggiolo non solo, ma della sua famiglia, nella quale l’esercizio della cosmografia si conservò per molto tempo, e ci obbligano ad accrescere di un nome l’albero della stessa inserito negli Atti della nostra Società (2), in- (1) Archivio Governativo: Cod. ‘Diversorum Francisci Botti, ann. 1520-1521. (2) Ved. Atti, vol. IV, pag. CLXII-XI;I. ?6 GIORNALE LIGUSTICO scrivendovi 1’ Antonio fratello al Visconte, il quale perciò scende a disputarsi coi nipoti la paternità del Visconte giu-niore, di cui è la carta della Biblioteca Ambrosiana colla data del 20 dicembre 1587. E qui' poiché sono in tema di genealogia, mi permetta, egregio signor cavaliere, un po’di digressione dovendo, non senza rincrescimento, dissentire da quanto il prelodato avvocato Canale disse a riguardo della famiglia del nostro cartografo, che cioè fosse nobile ed illustre. Imperocché se è incontestabile che a quei tempi si conosceva in Genova una famiglia Maggiolo ragguardevole e doviziosa, oltre che essa non apparteneva alle nobili ma bensì alle popolari, nulla può farci credere fosse quella del Visconte; anzi dobbiamo arguire il contrario, chè nel 1528 quando cominciò la di lei nobiltà coll’ aggregazione di essa all’ Albergo Usodimare, fra i nomi degli inscritti non trovasi nè quel di Visconte, nè d’ alcuno de’ suoi figli ; onde la conseguenza che non alla chiarezza dei natali, ma alla sua perizia ed al suo ingegno deve il nostro cartografo e la di lui famiglia tutta la rinomanza che ne ha raccomandato il nome insino a noi. Il cognome Maggiolo ben noto negli atti e carte genovesi dal secolo XIII, e tuttor vivo in Genova e nella Liguria, è comune a diverse famiglie, le quali, secondo dice il Federici, originarono da varii luoghi della riviera di levante come Nervi, Recco, Rapallo e Chiavari. Il cav. Rossi nella sua storia d’ Albenga, in una nota, segna la Maggiolo fra le nobili di quella città. Ma non è a ritenersi originaria di quel luogo, sibbene la stessa di Genova; chè nelle carte di famiglia trovo Agostino Maggiolo figlio di Teramo, bisnonno di mia madre, colà commissario della Repubblica, ammogliato con una damigella degli Spelta-Valdoni, ascritto, co suoi figli nati e da nascere, a quella nobiltà sotto la data del 4 luglio 1708. Lo stemma Maggiolo porta un leon d’ oro coronato con GIORNALE LIGUSTICO 77 un giglio in una zampa, in campo azzurro traversato da sbarra nella quale vedesi un tralcio di vite, allusione al cognome che pronunziato in dialetto corrisponde all’ italiano magliuolo. Due famiglie ascritte alla nobiltà se ne conoscevano in Genova a’principii del secolo nostro, distinta 1’una dal vescovo di Albenga., mio prozio materno, e l’altra dal vescovo di Sarzana e poi di Savona. La prima ripeteva la sua ascrizione dal 1528 e la seconda dal 1782. Entrambe or sono estinte, e la più antica nel 1863 colla morte dell’ottima mia genitrice. Questo è quanto, secondo le mie deboli cognizioni, posso osservare a riguardo dei due documenti da me trovati, i quali per disteso le trascrivo in seguito alla presente, onde possano in ogni loro particolarità servire di oggetto alle sue investigazioni. Ma prima di finire mi permetta che per analogia di materia aggiunga ancora alcune parole per dirle che, trovandomi ultimamente a Bologna, ho avuto agio di esaminare il portolano dello Scotto indicato dalla S. V. (1), il quale si conserva nella bella e ben ordinata biblioteca comunale collocata nell’Archiginnasio, palazzo ove era l’antica rinomata Università. Lo stesso è un codice membranaceo in 4.0, composto di sette tavole nautiche disposte a foggia di libro, delineate a penna ed a colori, con la seguente iscrizione nella prima pagina di esso : Jacobus Scottus Genovensis anno Domini i;p3 faciebat in civitate Neapoli. Alla quale descrizione, che leggesi nella scheda del catalogo che lo riguarda, gentilmente comunicatami da quel bibliotecario signor dottor Frati, aggiungerò che il volume ha nella prima pagina scritto di mano moderna : Idrografia di Giacomo Scotio Genovese; che ciascuna delle tavole, ossia fogli (1) Ved. Atti, vol. IV, pag. clxiv. 7s GIORNALE LIGUSTICO aperti, misura circa trenta centimetri in larghezza e ventuno in altezza, e poiché sono addossate per metà 1’una coll’altra, formano un volumetto di otto pagine largo quindici centi-metri sopra ventuno, coperto da una bella legatura originale in pelle scura rabescata d’ oro, la quale trovasi come tutte le tavole in buonissimo stato di conservazione. E con ciò chiudo la presente, già abbastanza lunga e forse noiosa, e raccomandando me e le mie osservazioni alla di Lei benevolenza ed amicizia, ho l’onore di rassegnarmele Dev.mo Servo ed Amico M. Staglieno.. DOCUMENTI I. (A tergo) Pro Augustino de Naulo Magistro cartarum prò navigando. ('Intus) Vobis Illustrissimo principi et Excellentissimo domino, domino Thome de Campofregoso, dei gratia Duci Januensium, et eorum libertatis clarissimo defensori, vestroque Magnifico consilio dominorum Antianorum , Humillime ac devote suplicatur parte pauperrimi Augustini de naulo eiusdem dominationis devotissimi servitoris. Exponentis quod cum ipse Augustinus solus in hac urbe tam preclara ac magnifica sit qui cartas constitutas pro arte navigandi conficiat, nec ullus alius magister in dicta civitate sit qui ipsas cartas ordinare seu conficere sciat, et ut clarissime Reipublice Januensis notissimum est, ars navigandi a seculo fuit et hodie est illa que procreavit acquisivit ac peperit infinita beneficia infinitasque facultates, tum etiam omnes honores ac dignitates quibus Januenses in dies potiuntur/et quoniam ars ipsa navigationis tante reputationis, extimationis tum etiam opportunitatis et maximi onoris est et tantam ineffabilem vim confert januensibus quod absque navigamenta, nec mercatores seu aliquos alios valerent non solum mercari, verum etiam vivere non possent nec ab impetis inimicorum eorum se tueri. Cumque res ipsa sit tante et talis nature quod tantos honores tantaque beneficia pariat pariter et dignitates ut in dies latissime experitur nec sine ipsis cartis non posset ullo pacto quispiam navigari quoniam lie sunt que prebent ipsis navigantibus salva itinera, et portus obtendant. Suplicat igitur prelibate dominationi totis visceribus quatenus dignetur et velit eumdem supplicantem habere de GIORNALE LIGUSTICO 79 cetero ìmmunetn et exemptum ab omnibus angariis ac avariis realibus et personalibus comunis Janue tum etiam pro victu et vestitu ipsius et eius familie dum vixerit. Attento maxime quod ille magister qui in hac urbe agogias pro navigando conficit simili gaudet immunitate a cuius gradu supplicans ipse inferior esse non debet nec de jure potest. Quoniam si sine agogiis navigare non potest, multo etiam minus sine ipsis cartis. Faciens denique intuitu Dei et pietatis se prelibate dominationi commendatum. f MCCCCXXXVIII die VII novembris. Illustris et excelsus dominus Thomas de Campofregoso Januensium dux et libertatis eorum deffensor ac magnificum consilium dominorum antia-norum in sufficienti et legitimo numero congregatorum. Considerantes opus esse continue in hac civitate magistris ad artem navigationis conservandam qui necessaria in ipsa arte conficiant et specialiter cartas ad navigandum. Cognoscentes etiam suprascriptum Augustinum supplicantem pauperem non posse ex dicta arte multum laboriosa magnas cumulare pecunias ipsum pro exemplari bono et honore Reipublice Januensis exemerunt et exemptun1! esse voluerunt in vita ipsius et quandiu vixerit a quibuscumque avariis mutuis et angariis realibus et personalibus comunis Janue, cabella capitis excepta, cui dictus supplicans diu suppositus est, ipso supplicante dictam artem cartarum pro navigando exercente ita ut de cetero non possit nec debeat staliari in aliqua avaria mutuo vel impositione ac angaria comunis Janue immo ab eis omnibus sit exemptus liber et absolutus etiam comprehensa avaria que nunc fit. Mandantes quibuscumque rectoribus officialibus magistratibus ac exactoribus comunis Janue ad quos actinere videatur signantes autem quibuscumque presen-tibus et futuris partitoribus avariarum et onerum communis quatenus présentera deliberacionem observent et faciant inviolabiliter observari sub pena sindicamenti. f éo anno die secunda decembris. Venerandum officium monete communis Janue in pleno numero congregatum, visa immunitate et gratia suprascriptis predicto Augustino concessis et contentis in eis, absolvens se prius ad ballas albas et nigras repertis ballis omnibus albis affirmativis et nulla nigra, annuit et consensit illis per annos decem proxime venturos dummodo predictus Augustinus dictam artem cartarum exerceat et in ea instruat ac peritum faciat fratrem suum et non aliter (i). (i) Archivio del Governo: Fogliazzo 31, Diversorum Caliceli ariac y ann. 1458-39. 8o GIORNALE LIGUSTICO II. (A tergo) Supplicatio M. Vescontis de Majolo magistri cartarum a navigando. ('Intus) Illustris et excelse Domine Dux et Magnifici Senatores Genue exponitur reverenter parte devoti illarum oratoris Magistri Vescontis de Majolo quod cum esset civis neapolitanus etiam ex privilegio et ibi uxoratus uxore neapolitana fuit anno superiori de MDXVIII elapso, requisitus pluries etiam per litteras Ill.mi Domini tunc Gubernatoris Genue ut vellit accedere ad presentem civitatem et hic habitandum cum uxore et familia ut posset exercere in presenti civitate eius doctrinam et experientiam in fabricandis cartis navigandi ac aliis ad ipsam artem pertinentibus quibus presens civitas et omnes genuenses ut plurimum se exercent, etiam attento quod ipse exponens esset de natione genuensi et propterea esset sub promissione quod de publico sibi provideretur singulis annis de libris centum januinorum pro salario, ultra suas mercedes singulares seu particulares, venit com uxore et familia ad habitandum in presenti civitate. Et exinde anno de MDXVIIII fuerunt sibi constitute de publico dicte libre centum solvende post alios creditores comunitatis, et inde anno de MDXX fuit alio decreto ordinatum per Illustrem Dominum tunc Gubernatorem et magnificum Senatum quod dicte libre centum solverentur ipsi Vesconti singulis annis ex veris et bonis pecuniis spectati officii monete declarato etiam in preallegato decreto et maxime in alio decreto de MDXXI quod ipse magister Vescontes habere debeat dictas libras centum quandiu in civitate ista permanserit sive fuerit sanus sive infirmus, et sive fuerit habilis persone ad exercendam artem de qua supra et pro ut latius in dictis decretis et privilegiis que exhibet. Verum cum ipse Vescontes quo'ibet anno dictas pecunias ut supra constitutas cum magna difficultate et amissione temporis exigat ex quo non sunt constitute in salariis ordinariis prefati officii monete et cum etiam habeat gravem familiam precipue attenta morte q. Antonii de Maiolo eius fratris cuius filios recepit sub eius alimentis. et constanter cum difficultate vivat in presenti civitate in qua omnia victualia multo carius venduntur quam in dicta civitate neapolitana juncto etiam quod ipse M. Vescontes etiam passus est magnam ruinam in bonis suis in preda generali que fuit in presenti civitate. Idcirco ipse Vescontes habuit necesse recurrere ad Dominationes Vestras ipsis humiliter supplicando prout'suplicat ut dignentur pro sua clementia ipsi Magistro Vesconti concedere licentiam recedendi a presenti civitate cum eius familia, et eundi ad civitatem neapolitanam aut quo GIORNALE LIGUSTICO- 8l melius sibi videbitur habitandum, aut saltem suo novo decreto providere quod dicte pecunie que singulis annis fuerunt constitute pro salario eidem Magistro Vesconti ponantur in dictis ordinariis salariis et pro ordinario constituantur, sicut sunt constituta salaria officialium palacii ut illas possit habere a massario seu cancellario prefati officii monete in omnibus et per omnia prout habent alii officiales dicti palacii comunis Janue; Et ulterius sibi concedere exemptionem et immunitatem in forma legitima et opporturyi pro quibuscumque victualibus sibi et eius familie necessariis, et sic pro frumentis et vino ac aliis ad victum pertinentibus ut possit dictam artem suam ad publicam genuensium utilitatem in presenti civitate exercere, et prout credit Dominationes vestras pro sua clementia facturas quibus humiliter se comendat. f MDXXIII die III martii. Illustris et excelsus dominus Antonius Adurnus Dux januensium etc. et Magnificum consilium Dominorum Antianorum Comunis Janue in legitimo numero congregatum, intellecto tenore suprascripte supplicationis et super ea verbo etiam audito dicto Magistro Vesconte petente et requirente secundum et pro ut superius in ea continetur ad formam non consentiunt requisitioni dicti supplicantis circa licentiam recedendi de presenti civitate pro ut per ipsum requiritur. Quinimmo volunt et mandant ipsum in civitate permanere debere ad ipsam artem exercendam et docendam pro ut in suo privilegio legitur, et quia in ordinario pecuniarum comunis connumerari non possunt dicte libre centum que quotannis ipso Magistro Vesconti dantur virtute dicti privilegii per comune Janue sive spectatum officium monete attenta distributione omnium dictarum pecuniarum in parte facta aliis personis et officialibus ut ex ipso ordinario apparet quod libenter facerent Dominationes prelibate si id fieri posset, tamen quia conventum est quod ipse pecunie sive libre centum annuatim solvantur dicto Magistro Vesconti ut in privilegio suo dicitur. Ideo ordinant et mandant spectato officio monete ut sine dilationibus quotannis ex aliis pecuniis comunis dictas libras centum absque ullis dilationibus persolvat et persolvere debeat dicto Vesconti et pro ut iam per ipsum Magistrum Vescontem et seu suos procuratores ordinatum extitit non obstantibus obstantiis quibuscumque (i). (i) Archivio del Governo: Fogliazzo 83, Diversorum Cancellariae , ann. 1523-1528. 82 GIORNALE LIGUSTICO CHI SIA L’AUTORE DELLA TAVOLA DELL’ANNUNZIATA NELLA CHIESA DI SANTA MARIA DI CASTELLO IN GENOVA. Fra i diversi documenti artistici ehe di questi ultimi tempi mi vennero favoriti da parecchi dotti i quali mi onorano di loro benevolenza, trovasi il seguente eh’ io debbo alla squisita gentilezza del eh. sig. cav. Michele Caffi che lo ha scoperto nel Cartegg o Ducale dell’ Archivio di Stato in Milano. Non isfuggirà certo ai lettori la singolare importanza di tale atto, siccome quello che vale a rivelarci positivamente I autore di uno dei più insigni dipinti che ci rimangono del Quattrocento; e che appunto, per la sua straordinaria bellezza, porse argomento di studi ad uomini intendentissimi. II eh. Alizeri che già per varie e non ispregevoli induzioni aveva stimato di potere ascrivere a Nicolò da Voltri una tavola siffatta (i), propose invece or non è molto (benché con prudente ed assennato reserbo) il nome di Vincenzo Foppa da Brescia (2); mentre il Rosini ed il Selvatico, sempre che videro la nostra pala, si avvisarono giudicarla opera di Antonio Vivarini da Murano. Tenni anch’io all’autorità di questi ultimi (3); e nella mia opinione convenne anche per altri argomenti 1’ egregio amico mio L. T. Belgrano (4). Ora il documento eh’ io produco dimostra in altra guisa la verita, additandoci essere l’autore del dipinto non altri che (1) Alizeri, Guida artistica di Genova, vol. I, pag. 364. (2) Id., 'ìsLotixje dei professori del disegno ecc., vol. I, pag. 378. (3) Confesso che per quante volte mi trovai in Venezia a visitare i molti quadri de’ Vivarini che in quelle chiese e Pinacoteca si conservano, sempre più mi parve attingerne la convinzione che la nostra Annunziata appartenesse 0 ad alcun di loro o alla loro scuola almeno ; nè tralasciai di farne numerosi appunti ne’ miei esemplari delle Guide di quella città. (4) Belgrano, ‘Dì una tavola della B. V. Annunciata tee..-, nel vol. IV degli lAtti della Società Ligure di Storia Patria, pag. 275 e segg. GIORNALE LIGUSTICO 83 l’alessandrino Giovanni Mazone. La carta non ha data, ma sembrò al Caffi che «appartenga alla fine del secolo XV »; e le indicazioni che noi possiamo aggiungere pienamente il confermano. Difatti un istrumento del 6 novembre 1497, prodotto dal lodato Alizeri, ci fa palese come il nostro Giovanni di Barbagelata si obbligasse a due còrsi da Calvi di facere et depingere maie-statem unam Beate Nlinciate ... de illa bonitate, qualitate, pul-critudine et ditioritate seu dilligentia, ac magnitudine altitudinis et longitudinis qualis est maiestas illa in ecclesia seu monasterio sancte Marie de Castello sita in predicta ecclesia a parte dextra introeundo in dicta ecclesia per ostium de medio diete ecclesie (1). Dunque nel 1497 1’ opera di Giovanni d’ Alessandria era già collocata nella cappella destinatale, la quale precisamente sorgeva in fondo alla destra nave come c’insegnano coll’atto testé recitato più altre notizie, e come ancora si vide fino a’ dì nostri. Oltre di che la detta cappella era appunto allora di patronato di quel Giacomo Marchione che commise il dipinto (2), e contro del quale perciò si querelava il valoroso alessandrino nella supplica che segue. Santo Varni. {Extra) Supplicatio Johannis Mazoni de Alexandria pictoris in Janua. (Intus) Illustrissimo et excellentissimo Principi domino Duci Mediolani. Exponitur per magistrum Johannem de Alexandria pictorem in Janua, quod jam annis duobus exactis promissit pingere altare unum sub vocabulo Beate Annunciate Jacobo Marchiono civi januensi, et illud pingere toto posse quod dignum et laudabile videretur arbitrio peritorum in arte. Et dictus Jacobus promixit solvere ipsi magistro Johanni dignam merce-dem secundum et prò ut convenirent frater Augustinus monasterii ecclesie sancte Marie de Castello ordinis beati Dominici et .Hieronimus de Savi-gnono civis Janue, arbitrio quorum declaranda erat merces ipsius Johannis. Secutum est quod ipse magister Johannes complevit opus quidem egre- (1) Alizeri, 'HJotizje ecc., vol. II, pag. 190-92. (2) Vigna, Illustrazione delt' antichissima chiesa di santa Maria di Castello, pag. 212. 84 GIORNALE LIGUSTICO giura et laudabile arbitrio peritorum in arte; et altare ipsius Deo dedicatum repositum est in dicta ecclesia. Instetit autem ut sibi satisfieret; et cum valeat opus non et minus libris trecentum Janue, vix habere potuit libras centum quadraginta, et jam anno exacto fuit ipsum altare repositum in dicta ecclesia; nec dicti frater Augustinus et Hieronimus curaverunt convenire et opus extimare , nec hoc solicitavit dictus Jacobus. Et quamvis multis modis curaverit ipse magister Johannes hoc declarare, tamen nunquam obtinere potuit satisfactionem suam, nec isto modo est habiturus finem; quia, ut concipit ipse magister Johannes, dictus frater Augustinus nimium reveretur dictum 'Jacobum, et dictus Hieronimus est sibi coniun-ctus sanguine et nimia familiaritate, quod ignorabat a principio ipse magister Johannes. Preterea non possunt cogi ad judicandum quia non constat eos acceptasse; et quamvis constaret non possunt ferre sentenciam que poneret in tuto ipsum magistrum Johannem, quia nulla est apposita pena standi sentencie eorum. Item quia ex forma capitulorum Janue ubi aliter non est dictum potestas et bailia arbitrorum non durat ultra sex menses; et huiusmodi conventio intervenit uno anno exacto et ultra; et non est equum quod ipse magister Johannes laboraverit per noctes et dies, et de sudore suo fiat Deo elemosina ab eo qui satisfacere non vult ipsi supplicanti pro labore suo. Supplicando itaque-prefate Dominationi Vestre, petit et orat adversus hanc iniuriam sibi provideri ut que sua sunt consequi (possit?), committendo hanc causam alicui officiali existenti in civitate Janue cognoscendam et terminandam, sola facti veritate inspecta, vel rescribendo illustri domino Vicegubernatori Janue ut provideat ita et taliter in hoc negocio quod veritati locus sit ; et ipse magister Johannes consequatur suam debitam mercedem. Est enim artifex et pictor qui vivit industria et sudore suo, et male potest versari in judiciis longo tempore. SIGILLO DEL MAGISTRATO DI SANITÀ IN GENOVA II sigillo che qui produciamo appartiene al Magistrato di Sanità, e rimase finora sconosciuto. Trovasi applicato, insieme con uno del Comune, a piè di due patenti, o come di quei tempi dicevansi bullettini di Sanità, con cui addi 19 marzo del 1480 il doge Gio. Battista di Campofregoso notifica essersi GIORNALE LIGUSTICO 85 manifestata la peste nella centrale e meridionale Italia e in quel d’Avignone e d’Arles, ed ordina si stabilisca in quolibet istius riparie (orientalis et occidentalis) loco novum Officium Sanitatis (1). II sigillo misura in diametro millimetri 19, e porta nel suo mezzo san Sebastiano col capo cinto d’aureola ed il corpo trafitto da otto freccie. Tutto all’ intorno poi vi ha questa leggenda officiu : sanitatis. L’immàgine di san Sebastiano è qui certamente impressa a memoria del voto fatto nel 1450 dal Senato, di alzare una chiesa al detto Santo, per cui intercessione era pia credenza fosse cessata una morìa che avea mietute le vite di molti cittadini. Può quindi credersi che alla stessa epoca risalga l’istituzione del Magistrato, intorno al fissare la quale non vanno d’ accordo gli storici. Il più antico documento però fin qui noto ed *n cui di esso Magistrato si faccia ricordo, è del 18 aprile 1452. Con questo il doge Pietro di Campofregoso ed il Consiglio degli Anziani cum audissent quosdam urbes Lombardie et alias ianuensibus finibus vicinas a suspicione pe-stilentie non usquequaque mundas esse; veriti vernos calores qui eam luem excitare non reprimere solent; creaverunt et tuende sanitati publice prefecerunt nobiles et egregios viros Nicolaum de Auria quondam A c elini, Nicolaum Guiglionum, Franciscum Ca-vallum et Bartholomeum Italianum, ut precedente auxilio Dei, ea clades quantum humano consilio permissum est devitetur. Seguitano quindi attribuendo a’ sunnominati cittadini la facoltà di promulgare quelle leggi che stimassero più opportune a preservare la Repubblica dalla pestilenza (2). Carlo Astengo. (1) Archivio di Stato: Fogliazzo ‘Diversorum Cancellariae, num. 18. (2) Bruzza Ant. Luigi , Origine e. progresso della Igiene Navale, pag. 151. 86 GIORNALE LIGUSTICO DOCUMENTI riguardanti alcuni dinasti dell’ Arcipelago, pubblicati per saggio di studi paleografici da Alfredo Luxoro e Giuseppe Pinelli-Gentile. ( Continuazione della pag. 221 del vol. I) N. 11. Dorino Gattilusio signore di Metellino e Foglievecchie costituisce procuratori a ratificare la pace col Re di Aragona. 1428, 14 ottobre (Arch. Gov., Fogliazzo Diversorum Cancellariae, num. 2) In nomine Domini amen. Magnificus et potens dominus dominus Dorinus Gatelusius civitatis et insule Mitileni et Foliarum veterarum (sic) dominus etc., audiens de pace facta et composita inter serenissimum principem et dominum dominum Regem Aragonum, catalanos eius subditos complices et adherentes ipsius serenissimi domini Regis ex una parte, et présidentes Janue ac îanuenses eorum complices et sequaces ex parte altera; et audiens quod ipse magnificus dominus potest dictam pacem confirmare, et in ea se ponere et aggregare cum dictis presidentibus, et ianuensibus; dictam pacem initam et compositam ut supra, omni modo, iure, via et forma quibus melius potest ratificat et approbat, dicens et protestans se velle uti beneficio dicte pacis, et ad maiorem et abundantem cautelam fecit, constituit et ordinavit, ac facit, constituit et ordinat ipsius magnifici domini procuratores , factores et nuncios speciales, et quicquid de iure melius dici et esse potest, nobiles et egregios viros dominos Paulum Spinulam et Salvagium eius fratrem, Franciscum, Anthonium et Baptistam de Auria, Nicolaum de Gri-maldis, Petrum Centurionum et Baptistam de Marinis olim Pessagnum, absentes tanquam présentes, et quemlibet eorum in solidum ita quod occupantis conditio me.ior non existât, sed quod unus ipsorum inceperit alter et alii possint et valeant prosequi, mediare et finire, specialiter et expresse ad ratificandum et approbandum in Janua et ubicumque fuerit expediens dictam pacem et omnia et singula in ea contenta pro parte ipsius domini; et ad iurandum, si fuerit expediens, in animam ipsius domini observantiam dicte pacis ; et ad promittendum et obbligandum ipsum magnificum dominum super observantiam dicte pacis et contentorum in ea, et de predictis fieri faciendum unum et plura instrumentum et instrumenta, si erit expediens, cum solemnitatibu^ debitis et opportunis. Et GIORNALE LIGUSTICO 37 ad faciendum in predictis et circa predicta omnia et singula que ipse magnificus dominus facere potuisset et posset si presens esset; dans et concedens in predictis dictis suis procuratoribus et cuilibet eorum in solidum, plenam, liberam et generalem administrationem sive mandatum, promittens se perpetuo habere et tenere rata, grata et firma quecumque dicti procuratores et quilibet eorum in solidum fecerint seu facienda dixerint; sub obligacione omnium bonorum suorum habitorum et habendorum. Et volens dictus magnificus dominus relevare dictos suos procuratores et quemlibet eorum in solidum a satisdacione de iudicato solvendo et aliis prout esset expediens dicte pacis, promisit mihi notario infrascripto stipulanti nomine et vice dictorum procuratorum et omnium et singulorum aliorum quorum intererit de iudicio sisti et iudicatum solvendo, et omnibus aliis prout dictatur et continetur in capitulis dicte pacis, sub ypo-theca et obligatione premissis. Renuntians iuri de principali et omni alii iuri. Actum in civitate Mitileni, videlicet 'in domo habitationis ipsius magnifici domini, in eius camera cubiculari, anno dominice nativitatis millesimo quadringentesimo vicesimo octavo, indictione sexta secundum • cursum Janue, die iovis quartadecima octobris in terciis, presentibus testibus ad hec specialiter vocatis et rogatis domino Lodovico de Monte-galdono iuris perito, vicario prelibati domini, Thoma de Murta, Johanne Gatelusio, Galeatio Palavecino et Brancaleono de Pinu habitatoribus Mitileni. N. 12. 1 procuratori di Dorino Gattilusio ratificano la pace col Re d' Aragona. 1429, 29 aprile (Ardi. Gov., Fogliazzo citato) In nomine Domini amen. Nobiles et egregii viri Nicolaus de Grimaldis, Petrus Centurionus, Anthonius de Auria, Baptista de Marinis et Salvagius Spinula, cives Janue, procuratores, factores et nuncii magnifici et potentis viri domini Dorini Gatilusii domini Mitileni et Phocee veteris, habentes ad infrascripta omnia et singula amplam potestatem et arbitrium vigore publici instrumenti scripti manu Anthonii Erberici notarii anno proximo preterito die xim octobris, cuius tenor talis est. In nomine Domini amen etc. (Ved. il Documento precedente). , Constituti in presentia mei notarii et cancellarii infrascripti tamquam persone publice stipulantis et recipientis nomine et vice serenissimi ac 88 GIORNALE LIGUSTICO preclarissimi principis et domini domini Alfonsi Dei gratia Aragonum etc. regis, ac omnium et singulorum quorum interest, intererit vel interesse poterit in futurum, et agentes nomine ac vice predicti magnifici domini Dorini Mitileni ac Phocee veteris domini, habentes certam et indubitatam scientiam esse in contractu pacis et compositionis firmate anno proxime preterito die quinta maii inter magnificos dominos legatos et commissa-rios dicti serenissimi domini^regis Aragonum ex una parte, spectabiles sindicos magnifici Communis Janue ex altera, articulum quendam cuius dispositione inter cetera conceditur liberum arbitrium dicto magnifico domino Mitileni et Phocee veteris comprehendi et includi pro se et suis subditis ac districtualibus, civitatibusque ac castris, terris et locis sibi subiectis in ipso contractu pacis predicte si voluerit, faciendo declarationem et ratificationem eorum que et prout in ipso articulo continentur infra' annum unum et dimidium a die contractus dicte pacis proxime secuturum, et infra id tempus faciente dicto Communi Janue intimationem ipsi serenissimo domino regi de predictis declarationem et ratificationem, ac mittente instrumentum ipsarum prout verbis dicti articuli, ad quem relatio habenda est, late continetur. Omni igitur via, iure, modo et forma quibus melius et validius fieri potest, sequentes eo nomine dictum pacis articulum et omnia in eo contenta, declaraverunt ac declarant se se dicto nomine, sive dictum magnificum dominum, et famquan dominum Mitileni et tamquam dominum Phocee veteris velle includi et comprehendi, et inclusum ac comprehensum esse velle in dictis compositione, pace et tractatu pro se subditisque ac districtualibus suis, civitatibusque ac castris, terris et locis sibi subiectis, in omnibus et per omnia prout et quemadmodum su-pradictus pacis articulus ad quem relationem habent concedit ac disponit faciendum. Approbantes et ratificantes sponte et ex certa scientia, et nullo ducti errore, nomine quo supra quatenus ad ipsum dominum Mitileni ac Phocee veteris, ac subditos et districtuales eius, civitatesque ac castra, terras et loca sibi subiecta referri potest, seu ipsum vel ipsos aut ipsas tangere omnia et singula in contractu dicte compositionis et pacis expressa et contenta, prout vigore dicti articuli dispositum et ordinatum est. Promittentes nomine quo supra quod prefatus magnificus dominus ac sui dictam compositionem et pacem et contenta in ea - quatenus ad ipsum et ipsos spectabit et pertinebit inconcusse custodient et integra-liter observabunt, et contra eam et ea non facient aut venient aliqua ratione vel causa que dici vel excogitari possit, sub pena et penis ac obligationibus et bonorum ipothecis que vigore contractus dicte pacis venirent apponende et contrafacientibus infligende. De quibus omnibus GIORNALE LIGUSTICO 89 ---------- predicti egregii procuratores et nuncii rogaverunt me notarium et cancellarium infrascriptum ut exinde conficerem hoc publicum instrumentum. Actum Janue in cancellaria Communis, annì> dominice nativitatis M. cccc. vicesimo nono, indictione sexta iuxta morem Janue, die iovis vicesima nona aprilis, hora fere terciadecima ; presentibus nobilibus viris Antonio et Francisco Spinulis quondam Oberti, ac Valarano et Octaviano de Vivaldis, civibus Janue, testibus ad hec vocatis et rogatis. N. 13. La S gnoria di Genova informa Dorino della guerra rotta coi veneziani. 1431 , 13 marzo (Arch. Gov. / Registro Litterarum, num. 3) Magnifico viro domino Dorino Gatilusio Mitileni domino, civi nostro prestantissimo. Magnifice vir, civis noster prestantissime. Dignum semper iudicavimus ut vos magnificosque patrem, avum et ceteros maiores vestros participes rerum nostrarum faceremus, et cum eis res nostras prosperas adversasque semper communicaremus. Hunc morem nostrum et ratum propositum vo-biscum ut cepimus servabimus, semper vosque idem facere erga nos equum erit. Quod in presenti nosse volumus, compulit nos venetorum insolentia contra illos arma movere. Nam superbia illorum crescere visa est. Speramus autem in Deo primum qui superbos deprimit, et in iusticia cause nostre quod huius belli eorum causa suscepti aliquando penitebit illos. Vobis autem hoc nunciasse volumus'. Primum ut bono sitis animo. Deinde ut vos ita preparetis ac muniatis ut insula illa vestra ab eorum insidiis tuta sit ; ac si terre ille nostre ope vestra aliquando indigerent, possitis sine periculo vestro illis auxilium ferre. Nos autem si quid presenti aliter possimus quod exaltationem vestram concernat, offerimus in quacumque vota vestra 170s promptos. Data Janue die xin martii (1431). B. (1) Archiepiscopus et Officium Balie. (1) Bartolomeo Capra, arcivescovo di Milano, e Governatore Ducale. GIORNALE LIGUSTICO N. 14. La Signoria significa a Dorino gli armamenti ai quali dà opera contro dei veneti, e lo invita a concorrervi coll’ apprestare una galea. 1451, 4 dicembre (Ardi. Gov., Registro Litterarum, num. $) Magnifico et prestantissimo civi nostro carissimo domino Dorino Gati-lusio Mitileni etc. domino. Magnifice et prestantissime civis noster carissime. Non ignoratis nos et hoc Commune semper existimasse rem nostram et rem vestram seu patris et aliorum maiorum vestrorum unJm atque eandem esse, nec posse quiquam feliciter aut infeliciter evenire alteri, quod non et alterum equo tangeret ; propter quod sempercumque aliquid contrahendum nobis fuit cum aliquo principe, aut instruendum contra aliquos hostes, semper de vobis et statu vestro cogitavimus ut nos decuit. Cum autem nuper intenderemus expeditioni nobilis viri Thome Scipionis Cebe capitanei nostri, quem cum armatis navibus Chium mittimus, dedimus illi inter precipua mandata ut de statu vestro singularem habeat curam, obsequaturque voluntati vestre in omnibus in quibus possit glorie vestre inservire. Itaque si qua in re petieritis operam eius, habebitis illum in vota vestra semper pronum. Ceterum comparamus ingentem classem contra hostes nostros venetos, ne diu gloriari possint captis paucis galeis parva cum gloria et multo eorum cruore. Quocirca cum meminerimus in omnibus nostris victoriis semper galeas vestras interfuisse, rogandum vos duximus , ut parare armarique iubeatis galeam unam ut usus belli postulat, eamque transmittere Chium circa medium mensis maii. Ibi enim eo tempore assignante Deo supervenient commissiones nostre, que disponent quidnam ipsa et reliqua facture sint. Id quippe erit nobis instar maximi obsequii, vosque iuvante Deo participem faciet victoriarum nostrarum. . Si quid est vice versa quod pro augumento status vestri fieri possit, ecce nos paratos ex animo. Data mi decembris (1431 ). Oldradus locumtenens (1) civitatis Janue et Officia Balie et Romanie. (I ) Oldrado di Lampugnano succeduto ali’ arcivescovo Capra con titolo di Governatore e Luogotenente Ducale. GIORNALE LIGUSTICO 91 N. 15. La Signoria ringrazia Dorino per le buone disposizioni dimostrate ; e lo esorta perchè vegli alla guardia di Scio. 1452, i.° febbraio (Arch. Gov., Registro citato) Magnifico civi et amico nostro carissimo domino Dorino Gatilusio Mitileni etc. domino. Magnifice civis et amice carissime. Sicut aliis litteris nostris ad vos scripsimus, omnem eventum rerum vestrarum semper existimavimus nostrum esse ; nihil enim prospere aut adverse fortune evenire vobis aut vestris potuit, quod non commune nobis quo,que arbitrati sumus. Neque id immerito ; nam nullas umquam victorias partas nobis legimus, in quibus galee vestre présentes non fuerint. Nos etiam nulla unquam federa cum aliquo principe inivimus que ad vos potuerint pertinere, in quibus specialis de vobis mentio facta non sit. Nuper quoque cum spectabilem virum Thomam Scipionem (1) nostris navibus armatis preficerimus, speciale illi mandatum dedimus ut de vobis ac statu vestro non secus quam de salute nostra curam habeat; quod si magnificentia vestra illi faciendum aliquid iniunxerit, inveniet illum pronum' in omnia vota vestra. Perlegimus autem nuper litteras vestras, quas ad nos attulit Cristianus Lomellinus, rectam voluntatem ac fervorem vestrum quod compertum habebamus semper, nec quo animo esset dubitari poterat? nam cum maiorum vestrorum vestigia in ceteris imitamini, verisimile non erat vos deficere a recta illorum voluntate. Pro vobis autem ac subventione Chii die ac nocte magnam potentiam acceleramus , que infra dies quindecim aspirante Deo recedere poterit, ac non modo subvenire ubi opus erit, sed venetos ipsos fugare ac perdere. Interea rogamus vos ut saluti ac securitati vestre invigiletis, ut pauculis diebus ab omni periculo tutus sitis. Commendamus etiam vobis salutem et subventionem Chii, ut si intelligetis posse clam aut palam rebus illis subvenire, id facere innitamini quantum vires sufficient. Postremo iubete parari atque instrui galeam vestram, ut medio maio possit se classi quam paramus adiungere et particeps fieri victoriarum nostrarum. Si quid est quod in vota vestra fieri cupiatis, habebitis nos semper paratissimos. Data prima februarii (1432). Oldradus locumtenens et Officia Balie ac Romanie. (1) Tommaso Scipione Ceba, di cui nella lettera precedente. 92 GIORNALE LIGUSTICO N. 16. La Signoria partecipa a Dorino la prossima spedizione di una flotta in soccorso di Scio ; e lo esorta a renderne avvisati gli sciotti assediati dai veneti. 1432, 18 febbraio (Ardi. Gov., Registro citato) Magnifico et prestanti civi nostro carissimo domino Dorino Gatilusio Mitileni domino. Magnifice vir, civis noster carissime. Postquam litteras vestras accepimus, multotiens ad vos scripsimus. Nunc autem scimus vos non egere ullis exhortationibus nostris ut magnanime viriliterque agatis. Ad gaudium tamen et consolationem vestram significamus vobis quod hic omissis aliis die noctuque quindecim naves armare atque expedire acceleramus, quas hominibus aliisque rebus instructas intra kalendas martii Deo aspirante ex portu educemus. Cum in maria illa pervenerint, confidimus in Deo quod hostes nostri illarum impetum ferre non poterunt. Inservient autem rebus vestris, et quicquid pro gloria et statu vestro fieri poterit, id omne abundantissime fiet. Vos interea curate insulam vestram recte custodire, ita ut a venetis tuti sitis. Et si quid chiensibus prodesse poteritis clam aut palam id facere enitamini. Inter que utile erit ut si potestis expeditionem harum .navium nostrarum illis significetis, ut interea obsidionem paucorum dierum equiore animo ferant. Data,decimaoctava februarii (1532). Oldradus locumtenens et Officium Balie civitatis Janue. N. 17. Ripetesi al Gattilusio 1’ invito di apprestare una galea. 1432 , 8 marzo (Arch. Gov., Registro citato) Magnifico domino Mitileni. Magnifice civis noster carissime. Si.cut sepe vobis scripsimus , speramus in Deo iusticie nostre defensore quod venientibus in orientem navibus et galeis nostris, quas die ac nocte acceleramus, venetorum arrogantia quatietur. Expedit tamen ut huic oneri omnes qui ianuensis nominis gloriam desiderant humeros pro viribus subiiciant. Ex quo rogamus vos ut unam galearum vestrarum parare atque instruere velitis, et medio maio Chium mittere. Huic enim et aliis que Chium venture sunt dabuntur mandata opportuna. Velitis igitur ut quemadmodum numquam sine vestris maio- GIORNALE LIGUSTICO 93 ribus victoriam contra venetos consecuti sumus, ita vos particeps nunc fieii victoriarum nostrarum. Namque nos in omnia gloriam vestram concernentia semper habebitis ex animo paratos. Data octava martii (1432). Oldradus et Officium Balie. N. 18. Si ringrazia Dorino per la galea da lui armata. 1432 , 19 agosto (Arch. Gov., Registro citato) Magnifico civi et amico nostro carissimo domino Dorino Gatilusio domino Mitileni etc. Magnifice civis et amice noster carissime. Lectis litteris vestris aprili proximo ad nos scriptis, et audito viro nobili Francisco de Auria, experimento ipso cognovimus vos non aliter ad nos et hanc urbem affectum esse quam semper fuerint maiores vestri. Idque ut par est ita se habet. Nam cum adversa et prospera vestra nostra esse semper crediderimus, cumque status vester non aliter nobis cure fuerit quam res nostre, equum fuit ut et vos nostra omnia arbitraremini vobis esse communia. Agimus itaque gratias vobis quod galeam vestram recte armatam et instructam classi nostfe adiungi iusseritis, volueritisque particeps fieri successuum nostrorum et eorum que iustus et misericors Deus nobis presti-tent partem sentire. Nos autem ut que petitis recte conficiantur , scribimus efficacissime prefecto classis nostre ac rectoribus Pere et Chii, ut quatenus res exigat provideant saluti status vestri non secus quam carissimis terrarum nostrarum; easque litteras ad vos mittimus ut illarum recte dandarum curam habeatis. Si.quid erit quod pro gloria et stabilimento status vestri fieri velitis, habebitis nos semper paratissimos in vota vestra. Data xix augusti (1432). Oldradus et Officium Balie. RASSEGNE BIBLIOGRAFICHE Intorno alla vita cd ai lavori di Andalò Di Necro. _ 5V£Te- ò moria di C. Desimoni , seguita da un Catalogo dei lavori 94 GIORNALE LIGUSTICO dello stesso Anelalo compilato da B. Boncompagni; nel Ballettino di Bibliografia e di Storia delle sciente- matematiche e fisiche. Tomo VII. Luglio 1874. Roma, Tipografìa delle scienze matematiche e fisiche. La famiglia Di Negro è tra le più nobili e le più antiche di Genova; fu illustre per diciotto consolati già dal primo secolo della Repubblica, e continuò a rendersi benemerita della patria con ambascerie, uffizi pubblici, comando nel mare, finché ancora non molti anni fa brillò nella persona dal patrizio Gian Carlo Di Negro, poeta e mecenate de’ letterati. A questa famiglia appartenne il celebre matematico ed astronomo Andalò Di Negro , oggetto di una Memoria dell’ avvocato Cornelio Desimoni di recente stampata dal principe Don Baldassarre Boncompagni, e da questo arricchita di un catalogo degli scritti dello stesso astronomo, nel pregiato e dotto periodico che sovra enunziammo (1). L’autore della Memoria è troppo amico nostro, per poterne e volerne dire le lodi; quindi ci contenteremo di riassumere i risultamenti che da entrambi i citati scritti emergono, donde viene maggior luce sopra un uomo da moltissimi lodato , ma nei particolari della sua vita e *de’ suoi scritti fin qui pochissimo conosciuto. Le genealogie delle famiglie si sa quanto sieno difficili a tessersi ispecie pel medio evo, se si voglia procedere con severa esattezza e verità. Non solo nuoce la mancanza, ma produce incertezza e confusione 1’ abbondanza dei documenti (1) Con questo atto d’ omaggio che il Principe Boncompagni si piacque di fare ad uno dei celebri Genovesi, egli fu anche cortese d’inviare in dono alla nostra Biblioteca Universitaria le sue dotte pubblicazioni e special-mente l’intera collezione del sullodato Ballettino, nel-quale tra le memorie di illustri stranieri e italiani vedemmo afeune dei nostri prof. Tardy e dott. Piuma. GIORNALE LIGUSTICO 95 che sulle famiglie stesse troviamo nel prezioso Archivio Notarile di Genova, il quale rimonta all’ anno 1154 ed ha in ciò pochi pari in Italia. I nomi somiglianti si ripetono, come è naturale, tra i discendenti ed anche tra i collaterali ; ma vi hanno, ben considerandoli, de’ criteri che additano la scelta da farsi; e principali tra questi criteri nel medio evo, i gruppi d’abitazioni colla contrada dello stesso nome pei vari rami d’ una stessa famiglia, e per tutti i rami insieme certi atti in comune, i quali si protraggono a più lunga età che non avverrebbe ai nostri tempi. Perocché il vincolo del sangue era allora più vivamente sentito , e con esso anche il consorzio degli interessi; donde vediaipo nel 1253 tutta la famiglia Di Negro diramata in dieci gruppi almeno, in persona o per procura, intervenire dal notaro a trattare della pace da fer-. marsi con un Marchetto da Barcellona. Non molto più tardi vediamo la famiglia stessa divisa in due Alberghi di più gruppi ciascuno; l’Albergo di Banchi e quello da San Lorenzo. Il primo traeva il nome dalla situazione delle sue case, che erano a tramontana della Piazza Banchi. Gli altri confini erano : a levante la contrada Di Negro, detta anche la via al ponte del pedaggio, la loggia dei Di Negro e dei De Mari; a mezzodì la Raiba del grano, detta anche la piazza del pedaggio, mediante la via e le botteghe sottoriva degli stessi Di Negro; a ponente le case dell’Albergo Lomellini. Ma il più antico e, diremmo, originario albergo dei Di Negro era quello da San Lorenzo; dove vediamo fin dai principii almeno del secolo XIII accennate ne’ documenti le case e le torri dei consoli Enrico e Guglielmo, e perfino una casa di legno proprio sulla piazza di San Lorenzo, e una casa degli eredi d’Ansaldo (nome anch’ esso consolare) in cui si tenevano le adunanze dal Podestà e dagli Anziani della Repubblica. 9 6 GIORNALE LIGUSTICO A questo Albergo appartiene, a non dubitarne, Andalò Di Negro (i). Il quale fu finora tenuto per figlio di un Saiagro; ma benché vi sia di fatti un omonimo a cui convenga tale paternità e che aneli’ esso per lo meno debba essere stato navigatore, questi però visse più verso la fine del secolo XIV, quando da molti anni era morto, come vedremo, quello le cui memorie cerchiamo. Secondo dunque i documenti recati dal Desimoni, il nostro Andalò nacque da quell’Egidio che fu nel 1273 vicario della Repubblica oltre giogo; e padre di Egidio, Gilio o Gi-liolo, fu un Enrico qm. Ansaldo, i cui nomi trovammo più sopra nelle case da San Lorenzo, e troviamo sempre più rimontando nella Serie, de’ Consoli dell’Olivieri. (1) L’atto per la pace del 1253 citato sopra si vede nelle Pandette del Richeri alla filza o fogliazzo I, foglio 110, colonna 8. Ivi comparisce fra i Di Negro, Enrico qm. Ansaldo e Giliolo (Egidiolo) suo figlio; nominati anche alla filza II, foglio 8, col. 8. Ecco dunque qui riuniti ad un tratto i nomi del padre, dell’ayo e del bisavo di Andalò. Leggendo per intero nel Richeri i passi che il Desimoni citò nella sua Memoria pel solo scopo genealogico, si ottengono nozioni chiare anche sulla agglomerazione o divisione degli Alberghi e sulla topografia della città; donde anche si potrebbero far rivivere nelle nuove o rettificate strade que’ nomi illustri un pò più a proposito che non fu fatto nelle recenti denominazioni civiche. Per esempio l’Albergo Di Negro di Banchi, le cui case e torri erano già dei Piccamigli, fu visto di sopra confinare cogli-stabilimenti pubblici della Raiba o Mercato del grano, a cui seguiva il ponte o scalo del mare ove si riscuoteva 1’ imposta del pedaggio. Dal canto suo l’Albergo dei Lomellini avendo anch’ esso a tramontana la piazza di Banchi, e botteghe sottoriva a mezzodì, confinava verso il mare mediante la via pubblica coi portici della Dogana: il che è lo stesso che dire col Palazzo del Mare della Repubblica, poi di San Giorgio, al cui pianterreno fino dal 1359 per lo meno stava la Dogana. Se si volesse stendere questa descrizione a levante dell’Albergo Di Negro, si troverebbe presso la loggia e l’Albergo dei De Mari una piazza marmorea, la Chiappa dei pesci, poi mediante via, la Zecca della Repubblica, ecc. GIORNALE LIGUSTICO „ 97 Carlotto fratello d’Andalò nel 1295, ufficiale di mare, godeva tutta la confidenza del celebre Benedetto Zaccaria signore di Scio, di cui era nipote; onde questi allorché fu ammiraglio del re di Francia lo inviò a Filippo il Bello, per trattare secretamente di una invasione dell’ Inghilterra. I due fratelli erano già comparsi insieme ne’ documenti genovesi dal 1287 al 1299. Morto Carlotto, Andalò contratta colla vedova di lui nel 1304. Egli poi si trova a Trebisonda nel 13 14, fermando la pace tra quell’imperatore ed il nostro Comune; dopo di che cessano le sue notizie nell’Archivio genovese, segno non dubbio che d’allora in poi egli viaggiò continuamente o pose sua stanza altrove. Di fatti sappiamo dal Boccaccio che Andalò conversò a lungo in Roma sulle cose astronomiche con Ugo di Lusignano che fu re di Cipro, quarto di questo nome. Ora sappiamo pure che il nostro Genovese contrasse amicizia e dedicò un suo scritto al cavaliere Giovanni De Laya, che tenne alti uffici nel Napolitano, e fu almeno dal 1313 al 1321 maestro giustiziere, luogotenente la vicaria del Regno. Ciò risulta da documenti posti ora in luce dal lodato Principe Boncompagni; secondo i quali Andalò tenne anche scuola in Napoli, e quivi da lui apprese astronomia Giovanni Boccaccio ed un altro che sulle lezioni del Di Negro fece appunti, compose tavole e lasciò manoscritti, del quale non altro sappiamo se non che si chiamava G ... e fu poi vescovo della diocesi d’Isola in quello stesso Regno. Il Libri afferma che Andalò ebbe cattedra in Firenze; ma siccome nessuno dei più antichi avverte ciò, crediamo che egli lo abbia dedotto dal sapere che scolare del Di Negro fu il Boccacio, e dal credere che altro scolare suo sia stato un Corrado, poi vescovo di Fiesole. E veramente di questo supposto Corrado aveano già parlato il Tiraboschi, lo Ximenes ed il Targioni-Tozzetti; senonchè l’ab. Follini dimostrò che i predetti eruditi erano i 98 GIORNALE LIGUSTICO caduti in errore, e che invece di Corrado di Fiesole dovea leggersi nel manoscritto G ... vescovo d’Isola, quel desso che sopra accennammo ; e quanto al Boccaccio, ci insegna ei medesimo nel suo scritto De casibus illustrium virorum che apparò dal Di Negro in Napoli. Si disputa in quale anno siasi recato il Certaldese a Napoli la prima volta: a noi sembra ingegnosamente provata la data del 1328 nel recentissimo articolo del eh. Casetti (Nuova Antologia, 1875, pag. 559 e segg.). Altri aveano già opinato pel 1336, pel 1337 e perfino pel 1341; ma quest’ ultima data non è da ammettere, se è vero che il Boccaccio allora per contrario era di ritorno a Firenze. Si vede dunque, come i primi anni dell’ arrivo di lui a Napoli ben si conciliino cogli ultimi della vita di Andalò, il quale, secondo il Desimoni, sarebbe morto verso il 1340. Tuttavia, volendo anche supporre la peggiore ipotesi, l’arrivo cioè del Boccaccio nel 1341, basterebbe allungare la vita di Andalò fino al 1342 al più; e forse avea sott’ occhio la data della morte di lui il diligentissimo annalista Giustiniani, allorché ragiona del Di Negro, appunto sotto quest’ anno 1342. Ad ogni modo essendo questi vissuto oltre i 16 lustri, secondo il di lui biografo Mojon, sta sempre quello che ne scrisse il Desimoni che Andalò mincianio ad averne notizia nei documenti genovesi, e nel 1328, 0 1341, il Boccaccio lo conosce come vecchio venerabile. Oltre le lodi che il Fiorentino non rifinisce di dargli per dottrina, per costumi e per ogni rispetto, v’ ha un gran numero di gravi scrittori che nominatamente attribuiscono ad Andalò il merito d’ aver viaggiato sotto ogni clima e regione, a’ aver veduto cogli occhi quello che gli altri apprendono per 1’ udito, d’ avere per tal guisa potuto correggere le latitudini de’ vari paesi, d’ avere insomma applicato la matematica alla geografia ed all’ astronomia a gran servigio di queste dev’ esser jnato non più tardi, del giacché nel 1274 co- GIORNALE LIGUSTICO 99 scienze. Sventuratamente non ci rimangono tracce di simili osservazioni e calcoli geografici, ma siamo più al chiaro a riguardo della parte puramente astronomica. Nella quale i suoi scritti che tuttora si conservano ci pare contemplino tutta la scienza quale si concepiva alla età di lui, dalla sfera materiale e suoi circoli alla celeste; la teorica de’ pianeti, le proporzioni e relazioni reciproche di grandezza, movimento e distanza tra le sfere, il sole, la terra ed i pianeti; gli strumenti che son necessarii alle osservazioni, e la loro composizione ed uso ; l’astrolabio, il quadrante e 1’ altimetria; infine anche 1’ astrologia detta giudiziaria, cioè 1’ applicazione che se ne faceva alla patologia ed all’ influsso degli astri su ogni evento umano. Di quest’ ultima superstizione il Di Negro non può essere sdebitato ; ma soltanto si scusa, in quanto era allora l’opinione generale e del volgo e dei dotti; per guisa che i più savii si contentavano di cercare il temperamento per salvare il libero arbitrio. In tutti gli scritti di Andalò il più conosciuto ed il più popolare fu uno dei due suoi trattati sull’ astrolabio ; il quale perciò ebbe gli onori dell’ impressione a Ferrara fin dal 1475 insieme a poche altre opere astronomiche. Il Principe Boncompagni che possiede tale rarissima edizione ne ha pure un esemplare a penna; e còlla vasta sua cognizione bibliografica, e la sua non meno vasta corrispondenza coi dotti e colle biblioteche principali d’ Europa si pose a indagare ove si conservino altri manoscritti od altri esemplari dell’ edizione medesima, o dove altre volte si conservassero, ed in quali autori sieno citati o in 'quali cataloghi di biblioteche. Simili ricerche egli intraprese per riguardo a tutti gli altri scritti del nostro astronomo ; delle quali vedasi il frutto nel Catalogo che segue la Memoria dell’avv. Desimoni, e la cui esattezza e pienezza non sapremmo se altri mai avrebbe potuto raggiungere. Il eh. Boncompagni descrive in tal guisa quindici lavori d’An- 100 GIORNALE LIGUSTICO dalò che sono dispersi per le varie biblioteche pubbliche o private di Roma, Firenze, Parigi e Vienna; e prova che nella edizione ferrarese del 1475 (da molti dotti errata nella data) sono stampati tre di essi lavori, e non quello solo sul- 1 astrolabio, come finora fu comunemente creduto. Nè ciò bastandogli, il lodato Principe procede ad annoverare i titoli di altri scritti i quali da diversi autori furono attribuiti al Di Negro. Parte di questi scritti assai probabilmente sono identici ai già conosciuti di lui ; sebbene indicati dagli autori con titolo non pienamente conforme. Ma altri sono scritti certamente diversi, perduti o nascosti finora, e di cui sarebbe toi se preziosa la conoscenza. Per esempio la sua Aritmetica ci fornirebbe come i preliminari della scienza, e probabilmente anche usi commerciali, valori e misure sul fare del Pegolotti e di Luca Pacioli. E qui viene in taglio un altro scritto attribuito ad Andalò, la traduzione cioè dal greco di un libro sulla storia della guerra santa di un Aniceto patriarca di Costantinopoli. Il (lotto P. Spotorno, seguendo il Tiraboschi, opinò che questo libro fosse fattura del famigerato Ciccarelli ; ma nè egli nè altri finora spiegarono la cagione che abbia mosso quell’impostore a comporlo egli stesso, inventandone di pianta il supposto autore, ed attribuendone la traduzione al Di Negro per conferire all’ opera sua la desiderata autorità. Ora il eh. Boncompagni, colla opportuna citazione de’ testi, scopre che il preteso scritto d’Aniceto contiene un brano, dove tra i celebrati guerrieri di Terrasanta è Opizzo nobile di Lucca, che il Ciccarelli, secondo il costume delle sue genealogie, voleva esaltare come stipite della casa degli Opizzi signori della villa del Cataj nel Modenese. Infine altri e gravi autori accertano che Andalò fu anche poeta eccellente, perfino in lingua provenzale; della quale ultima particolarità tanto meno v’ è da sospettare, quantochè GIORNALE LIGUSTICO IOI a quell’ età parecchi e tra i più nobili erano i genovesi che si resero famosi nell’arte del trovatore, come bene chiari il P. Spotorno. Tali i Cicala, i D’Oria, i Calvi, i Grimaldi ed il celebre Folchetto figlio di un genovese stabilito a Marsiglia, non Alfonso di nome, come fù creduto, ma della casa degli Anfossi come ci par chiaro ; essendo questo il cognome di ricchi banchieri, che erano imparentati coi D’Oria e i Della V olta, e possessori di una gran casa in Susilia. Il dotto Autore della Storia Letteraria della Liguria testé citato , pigliando occasione da un noto passo del Ramusio, arguì che Marco Polo essendo nel 1298 nelle prigioni di Genova sia stato incoraggiato a dettare il celebre suo viaggio da Andalò Di Negro. I recenti commentatori del Veneziano non ammettono ciò, per la ragione che il viaggio fu scritto in francese 11011 in latino, e fu scritto non da un genovese -ma da Rusticiano di Pisa, che era aneli’ esso nelle prigioni. Il D esimoni ripiglia ad esame tale quistione, e si può vedere nella sua Memoria come abbia per sé grande probabilità e sia pienamente conforme alla natura delle cose 1’ opinione dello Spotorno, essendoché Andalò in quel periodo di tempo tra il 1292 ed il 1304 non èra ancora definitivamente assente da Genova; e sia per autorità di famiglia e di uffizi pubblici, sia per la sua età e per la sua passione ai viaggi, poteva e doveva approfittare d’ una occasione cosi inaspettata e così propizia (1). (1) Qui verrebbe in taglio la domanda che fu più volte fatta, del luo^o dove Marco Polo sia stato rinchiuso in prigione a Genova nel 1298. Non crediamo ve ne sia traccia nei nostri documenti. Si sa però che con lui era in carcere Rusticiano, lo scrittore de’ viaggi del Polo: dunque i Veneziani misti coi Pisani. Ciò posto, sui carcerati di quest’ultima nazione porge qualche lume l’illustre Bonaini nella sua edizione degli Statuti di Pisa (I. 193), e nei documenti XVII e XVIIII recati in appendice alla stessa. Nei quali Bonifacio conte di Donoratico si dice custodito 102 GIORNALE LIGUSTICO L’avv. Desimoni chiude la sua Memoria accennando ad altri Genovesi dei tempi vicini ad Andalò, i quali, come lui, collegavano alla vita operosa 1’ amore agli studi arabi, matematici o di cosmografìa. Toccato di Simone da Cordo, archifett^ di Ni- /-/ colò IV, passa ad Anseimo d’Incisa e al di lui figlio maestro Giovanni, archiatro pontificio anch’ esso, ed autore di scritti astronomici, i quali o furono veduti dal Desimoni stesso a Parigi, o per attestato del Principe Boncompagni si conservano al Museo Britannico e alla Bodlejana di Oxford. Diverso da questo maestro Giovanni, ma contemporaneo, fu prete Giovanni da Carignano, nei principii del XIV secolo rettore di San Marco del porto di Genova (i). Questi amante nel solaio della casa del genovese Ansaldo Alberigo (lo stesso nobile uomo che conosciamo anche pel Richeri); Alberto Padovano di Livorno invece era carcerato nella Darsena (Tersam) del Comune posita subtus Fontanellam (a cui ritorneremo nella nota seguente). È na-; turale difatti che , considerato il gran numero dei prigionieri fatti nelle varie e gloriose battaglie di mare, dovessero essere questi distribuiti in più luoghi pubblici ed anche privati. Sappiamo, sempre dal Richeri, che presso la testé detta fontanella o Bordigotto, non lungi dalla chiesa di san Marco, era colla Darsena la Malapaga ed il Palazzo della Repubblica detto del Molo ove risiedevano i Conservatori del porto e molo, ed altra Malapaga era nel già citato Palazzo del Mare poi di San Giorgio, ove pure risiedevano i Conservatori del Comune e gli Uf-fiziali di Gazeria. In queste ultime carceri fu trattenuto Romino Di Negro, stretto consanguineo di Andalò. (i) La chiesa che qui vien detta di san Marco del porto è più comunemente conosciuta anche nel medio evo sotto il nome di San Marco del molo; perchè presso a quel luogo comincia a inoltrarsi in mare il molo vecchio. L’ uno e 1’ altro di questi nomi era appropriato ai tempi di prete Giovanni; perchè il nostro porto fu quello spazio di mare che ora dicesi il Mandraccio. I continuatori di Caffaro notano all’anno 1215: inceptus fuit viurus Darsine ; al quale tosto una nota posteriore, ma officiale, posta in margine del Codice originale aggiunge portus interior (Ved. 1’ edizione del Pertz, pag. 135). Poi al 1276 gli stessi Annali notano: apud modulum in loco qui dicitur fontanella Darsena incepta 'edificari (ecco la GIORNALE LIGUSTICO IO3 come era di conoscere i costumi delle regioni, delineò un un planisfero conservato all’Archivio centrale di Firenze; e si dice abbia composto una relazione di viaggi lontani dopoché ebbe potuto interrogare gli ambasciatori dell’ Imperatore dei Tartari, i quali da costui inviati a Clemente V in Avignone passarono al ritorno ad imbarcarsi in Genova. Queste notizie fino a pochi anni fa erano in parte ignote, in parte soltanto vagamente conosciute; raggruppate ora come sono, sembrano assumere un sufficiente grado di certezza. Di che appare che i Genovesi anche gli studi accompagnarono alla potenza politica e commerciale, che era allora al massimo suo fiore, e vedendo gli inconvenienti che la teoria e la pratica isolate producevano, tentarono secondo loro potere di ricongiungerle; come il Desimoni ne reca esempio nel cosmografo della Palatina di Firenze del 1447, ed in Cristoforo Colombo. Cosmos di Guido Cora. — Notizie dei viaggiatori italiani in Egitto dal 1310 al 1840, raccolte da Giacomo Lumbroso.— Torino, Tip. Bona, 1874. Il eh. Guido Cora prosegue con sempre crescente animo la pubblicazione del suo Giornale Geografico, che da due anni Ter sana della precedente nota). Anche Giorgio Stella all’anno 1276 (Rer. Italicar. Script., XVII. 975) scrive: apud ecclesiam Sancti Marci versus maris amplitudinem et meridiem, loco cujus fontanella quondam erat nomen et bordigotum nostris temporibus nomen est, fuit parvus portus inceptus et navigium receptaculum quod Darsena nuncupatur ; et circa ista tempora supra sancti Marci templum fiebant magni muri qui molus dicitur, opus egregium. Soltanto nel 1283 fu cominciata 1’ altra Darsena occidentale dalle porte dei Vacca. Difatti era giusto che il primo porto e Darsena fossero raccchiusi nella parte più interna e guardata dal molo. Battista Beccario genovese nel suo Portolano del 1426, che si conserva nel R. Museo di Monaco, ha la veduta di Genova con 1’ unico molo a levante, e quattro soli ponti 0 scali nel più interno del semicircolo difeso da esso molo. E simile veduta conservano anche altri Portolani posteriori di un secolo e mezzo. 104 GIORNALE LIGUSTICO ha intrapreso. Ben augurato dalle commendatizie degli illustri Petermann e Negri il Cosmos è riuscito pari all* aspettativa con belle carte, con estratti e riassunti de’ più rinomati o-i0r-nali stranieri, con memorie originali e critiche di molto rilievo Il suo disegno principale è di tenere i lettori al corrente delle più recenti scoperte e tentativi nelle lontane regioni • tuttavia egli non dimentica la storia geografica, come si ebbe altre volte a notare nelle tornate della Società Ligure di Storia Patria. E un nuovo esempio ne abbiamo nelle Notizie dei viaggiatori italiani in Egitto dal ij io al 1340 del eh. Lumbroso, inserite nel IV fascicolo del 1874 del lodato periodico. L’autore volle offrire una prova della sua stima pel Giorno'e Ligustico, stampandovi nello scorso anno a pag. 201 un suo articolo nel quale si ricerca « se Genova abbia avuto un doppio nome nell’ antichità » ; e già si era occupato della Stoiia genovese avanti al MC con un opuscolo breve ma sugoso, di cui fu dato conto nell 'Archivio Storico Italiano del 1872, tomo xv, pag. 523. Il titolo di cNJ9tiz'ie indica da sè che l’autore volle essere conciso ; onde non si potrebbe riassumere il suo scritto senza copiarlo. Non faremo perciò che invitare i lettori a ricorrere alla fonte; aggiungendo che a nostro avviso il eh. Lumbroso fu anche qui, come sempre, diligente e ben informato, raccogliendo in poche pagine copia di nomi e di fatti, che egli trasse non solo da cataloghi e da libri a stampa, ma eziandio da manoscritti poco noti e da private corrispondenze. Fra i circa settanta viaggiatori, la più parte delle provincie di Venezia o di Toscana, troppo pochi veramente sono i genovesi: Pellegrino Brocardo che l’autore ben rivendicò alia nostra patria, G. B. Scorza che veramente non viaggiò, ma OD ' scrisse sul fiume Nilo; Prospero Alpino che, sebbene non genovese, almeno pose sua stanza in Gencfva al ritorno dall’Egitto, GIORNALE LIGUSTICO IO5. e vi esercitò la medicina nella seconda metà del XVI secolo; G. B. Caviglia dal Lumbroso ben descritto come ardito e infaticabile indagatore, e degno di maggior fama. Finalmente Domenico Pedemonte, che l’autore cita dimenticando però di dirlo genovese; ma noi stessi lo vedemmo e gli parlammo, e vivono in Genova alcuni dei suoi discendenti. Egli, come parente del del Drovetti, ebbe non piccola parte alle trattative che dotarono Torino del celebre Museo Egiziano. Se 1’ autore avesse protratte le notizie oltre il 1840, avrebbe più a lungo parlato di Antonio Figari-Bey, che però cita; lodato per dotte pubblicazioni sulla storia naturale dell’ Egitto e per la parte che prese attiva all’ incremento di ogni utile istituzione al Cairo. Dicendo che i genovesi nominati dal eh. Lumbroso sono troppo pochi, non intendiamo farne colpa all’ autore , sì ai nostri antichi i quali consuetamente dell’ operato loro o dei concittadini ■ poco o nulla ci lasciarono memorie, onde fa d’ uopo cavarle a spilluzzico piuttosto da scritti stranieri. Del resto considerando il vivo commercio medio-evale tra Genova e 1’ Egitto, ed anche gli uffizi diplomatici che richiede sempre una tale frequenza di commerci tra lontani paesi , è da sperare che gli studiosi della nostra storia patria trovino buona messe di notizie simili negli Archivi liguri ora felicemente reintegrati ed aperti alla ricerca. Con che imiteranno il bello esempio, porto dai chiari Fulin e Visiani, per le notizie dei consoli e ambasciatori veneti come ci apprende 1’ autore. Però si avrebbe a tener conto anche di que’ genovesi chierici o laici consumati negli affari, i quali trovandosi fuori' paese furono adoperati da altri Re 0 Signori nelle cose politiche, come sappiamo dei Ghisolfi e di uno Spinola presso gli Imperatori dei Tartari, e di Simone Carmandino presso Clemente V pel riacquisto di Terrasanta; ed uno che potrebbe per quest’ultimo riguardo essere almeno accennato GIORNALE LIGUSTICO nello elenco del Lumbroso, è il francescano Filippo Brus-serio, o meglio Busserio come lo chiama il Verzellino nelle Memorie- di Savona. Nella quale città nato e recatosi allo studio di Parigi, ebbe ivi a compagno ed amico Nicolò De Lira; quindi da Clemente V e Giovanni XXII adoperato in difficili ambasciate, ebbe a trattare col Soldano d’Egitto; e descrisse di ritorno il suo viaggio notato dal Waddingo, dal Soprani e dal Verzellino medesimo. Sacraio di una Bibliografìa storica della Lunigiana, di Giovanni o O O J Sforza, Tomo i.° — Modena, Vincenzi 1874. Chi pose in onore questo importantissimo sussidio della storia, vogliam dire la bibliografia, affermiamolo senza tema d’errare, fu il Seicento tanto e troppo vituperato. Gli studiosi di quel tempo colle pazienti ricerche aprirono una difficile via, nella quale seppero portare il lume della critica nel secolo successivo il Fontanini, il Zeno, il Maffei, il Tirabo-schi ed altri non pochi. Siffatti studi non furono in processo abbandonati più mai; di guisa che possiamo oggi noverare buona copia di lavori bibliografici compilati con diligenza e sagacia. Utilissimi fra essi son quelli per fermo, onde dee rifarsi chi si prepara a dettare la storia; chè si vede schierati innanzi i fonti più importanti atti a dar corpo al suo disegno. I Coleri ed il patrizio Tommaso Farsetti, aiutato da quel tanto modesto quanto erudito abate Morelli, resero un bel servigio agli studiosi, mandando in luce i cataloghi delle loro biblioteche di storie particolari d’Italia ; sui quali, e sulla parte storica della bibliografia del benemerito Haym esemplandosi il Branca diè fuori or son pochi anni la sua utile cBibliografia storica d’ ogni nazione, la quale se non adegua in tutto, il fine propostosi dall’autore, a cagione delle soverchie lacune, non manca di pregi. Quanto a lavori che riguardano regioni 0 speciali città italiane, vanno ricordati con onore GIORNALE LIGUSTICO IO7 e quel dell anonimo sullo Stato pontificio, e del Giustiniani pel legno di Napoli, e del Moreni per la Toscana, e del Pre-dari pei Milano, e del Cicogna per Venezia e del Narbone per la Sicilia, passandoci d’ altri. Il eh. Giovanni Sforza pone fuori la 'Bibliografia storica della Lunigiana. Questa vasta zona che toglie il nome dalla distrutta città di Luni « non è riunita in una sola provincia come dovrebbe essere ,e con ragione » dice l’autore « perchè popolata da dugentomila abitanti, ricca di bellissimi marmi e di industrie, fertile di suolo, gloriosa ' per vecchie e nuove memorie, e per uomini chiari nell’armi, nelle arti,, nelle lettere e nelle scienze ». In quella vece forma in parte il circondario di Levante nella provincia di Genova, ed in parte la provincia di Massa e Carrara. Ma perchè importava all’ e-gregio autore delimitare i confini di quella regione lunense, entro i quali divisa svolgere il lavoro, acconciamente e’ dichiara intendere per « Lunigiana quella striscia di terra che dallo stretto passo di Porta, già ultimo confine degli Stati Estensi, si estende tra il mare e la cresta del Pizzo d’Uccello , dell’ Alpe di Mommio, di Sassalbo, del monte Orsaio e della Cisa sino al Gottaro, e che è divisa dalla Liguria da un tratto di montagna, la quale diramandosi appunto dal Gottaro, mena direttamente alla marina tra Levanto e Sestri ». L’opera si divide in tre distinte parti ; la prima comprende gli Statuti, la seconda i Manoscritti, la terza 1’ Opere a stampa ed in fine un regesto del famoso Codice Pallavicino. Questa spartizione palesa nello Sforza un molto chiaro e giusto concetto dei lavori di ragione bibliografica e dell’ uso cui deg-giono precipuamente servire in prò’ degli studiosi; poiché in siffatta guisa non veggonsi le materie affastellate senza un ordine qualsiasi, si al leggitore son porte con punto confusione e ravviate ad un fine. / I08 GIORNALE LIGUSTICO Il volume che annunziamo comprende la prima e la seconda parte ed un supplemento. Certo è che il raccogliere tanta copia di notizie dee essere stato di non lieve fatica all’ autore, il quale non ha perdonato a noie di pazienti ricerche, ed a que’ studi storici onde e tolse lume nel trascegliere quelli fra gli articoli che conveniva con più larghezza esplicare. E il suo fino giudicio si pai ve altresì nella pubblicazione d’interessanti scritture o rare od inedite, le quali formano bell’ ornamento dell’ opera. Commendevole senza fine è per noi questo lavoro, ed in vero sembraci possa valere a satisfare qualsivoglia schizzinoso ; ond’ è che, facendo nostre le parole del eh. De Gubernatis, « a quel ciitico anonimo della 'IsLuova Antologia che non si mostrò contento dell’ opera dello Sforza dimanderemo il nome, per apprendei e s’ egli, per caso, abbia fatto o possa fare qualche cosa di più per la storia di Lunigiana; finché una simile persuasione non entri nell’ animo nostro, non incresca che ci contentiamo dell’ importante lavoro dello Sforza, e che sollecitiamo col desiderio il compimento di quest’ opera bibliografica , alla quale non sappiamo d’ alcuno che fosse di lui meglio preparato ». Curiosità z ricerche di Storia Subalpina; Puntata III. To rino, Bocca 1875. In non lieve e meritato onore è già salita la presente pubblicazione, mercè la giudiziosa e assennata serie di varie scritture onde mai sempre s’abbella. Tanto maggiormente in quanto tutte sono rivolte ad un fine, quello cioè d illustrale la storia civile e letteraria del Piemonte; ed invero è laudabile il vedere come da questo intendimento non si dipai ta alcuno degli eruditi scrittori, e l’illustré Direttore sappia con avveduto modo distribuire in ogni fascicolo le materie di guisa che la varietà non vada disgiunta dal profittevole studio d’ ogni parte della scienza storica. GIORNALE LIGUSTICO IO9 Si apre il volume con una interessante dissertazione in torno agli studi nazionali in Piemonte durante il dominio francese; donde ci viene ampiamente chiarito qual sorte di società fosse quella nominata dei Concordi, di cui toccarono e Briano e Cesare Balbo e Ricotti. L’origine, il fine, e lo svolgimento dell’ istituto che raccolse i più valenti fra i provetti d’ allora, e fu stimolo ai giovani d’infervorarsi nelle buone lettere, ci sono quivi narrati dal signor Rodella sulla scorta degli atti manoscritti di quella società, fortunatamente salvati dalla dispersione mercè le cure di un bibliofilo. Ond’ è che ci sono manifesti i primi passi nello arringo letterario dei fratelli Balbo, di Luigi Provana, di Luigi Ornato, di Carlo Vidua, di Luigi Grimaldi e di Roberto d’Azeglio ; guidati nelle loro lucubrazìoni dai consigli dei vecchi Filippo Grimaldi, Michele Saverio Pro vana e Prospero Balbo, in casa del quale ebbe sede l’Accademia. Da questa diligente monografia dobbiamo quindi inferire come vivo fosse il sentimento nazionale in mezzo ad una dominazione, che s’impose ma non fu abile ad infranciosare l’intelletto. Seguendo l’erudito bibliofilo piemontese il suo Tesoretto, ci descrive un bellissimo messale membranaceo del secolo XV già donato da Claudio Villa di Chieri ai frati minori; adorno di vaghissime miniature, le quali 1’ autore assegnerebbe senza scrupolo ai celebrati Gerardo van der Meine e al Memlink. Toglie altresì cagione dal nome di Claudio, per rivendicargli il possesso di un manoscritto d 'Horae, pure del Quattrocento, assegnato da un francese alla illustre famiglia Montpezat, interpretando a sproposito lo stemma che trovasi nel volume, e che è proprio dei Villa; tanto più che il nome è chiaramente scritto in calce allo stesso, come ci rappresenta la tavola opportunamente prodotta. Aggiungono lustro alla storia tipografica torinese le notizie diligenti di tre edizioni del secolo XV, date dal cav. Vin- I IO GIORNALE LIGUSTICO cenzo Promis, degno figlio e nipote d’uomini dottissimi, la cui memoria durerà nelle loro opere eterna. Le due prime non conobbe l’egregio conte Manzoni, ed uscirono dall’officina di Francesco Silva nel 1488 e nel 1497 ; 1’ altra, che egli notò sopra una imperfetta notizia del Vernazza, fu impressa da Nicolò De Benedetti e Giacobino Svigo senza alcuna data; ma il Promis ritiene che debba assegnarsi agli anni fra il 1490 e il 1494. Nella monografia inscritta : Singolare preponderanza dell’ elemento democratico nei tre Stati del Ducato d’Aosta, ci è posto innanzi un tratto della storia di quella regione, dal quale oltreché si rileva il meccanismo del governo civile, si pare come eziandio in quel tempo infelice, in cui presso che in tutta Italia erano lettera morta le franchigie municipali, seppe quel Ducato farle rispettare porgendo esempio di non comune coraggio. Il qual fatto noi abbiamo riscontrato anco in alcune città di Liguria, che strenuamente difesero le loro convenzioni contro la potente oligarchia genovese del Seicento; la quale car-. cerava e minacciava di morte coloro che cogli scritti e colla parola si faceano custodi di libertà. > Il comm. Nicomede Bianchi produce l’ultima parte delle importanti lettere di Silvio Pellico; e dopo quelle indiritte a Pietro Derossi di Santa Rosa, ne fa seguire alcune altre al marchese Lodovico Pallavicini-Mossi. Egli quindi in opportuna e ben intesa illustrazione discorre della vita intima del Pellico, e rivela in onesta guisa l’amore di cui questi prosegui una giovane che destinava a compagna di sua vita. Non pubblicando per giusta considerazione quelle lettere che a questo amore si riferiscono, dà luogo invece ad una bella epistola mandata da Silvio a gentil donna nel suo andare a marito; dalla quale è manifesto quanto e come e’ sentisse sul tatto del matrimonio e della educazione famigliare. Poscia espone in forma di sintesi un retto e vero giudizio intorno GIORNALE LIGUSTICO III al celebre poeta, scagionandolo vittoriosamente da colpe a lui imputate da scrittori partigiani o da malevoli ; e chiude regalando al pubblico affettuosi versi fino a qui inediti, dettati sulla morte del Pellico nel 1854 da Costantino Nigra. Il cav. Vayra viene da ultimo col principio d’ un suo lavoro sul Museo storico di Casa Savoia. È suo proposito far conoscere le molte e rare preziosità di quel bel monumento, posto insieme e conservato con ogni amore in tre sale del-1 Archivio di Stato in Torino. Dato un rapido sguardo alla stona civile e letteraria della quale s’ accolgono in esso i più splendidi documenti, introduce il lettore nella sala dei manoscritti, e descrive con erudita diligenza il codice del secolo XIV già appartenuto al celebre duca Giovanni di Berry, che contiene il trattato di falconeria noto sotto il titolo di cR^oi Modus, il più antico che si conosca in tale soggetto, e che servi d’ esempio agli altri scrittori. L’ autore discorrendo del prezioso manoscritto e dando ragione del contenuto, spiega il senso morale e dei nomi e dei fatti, e ci conduce così colla mente in mezzo ai costumi e alle scene del Trecento, le quali più vivamente sono rappresentate dalle due tavole che adornano lo scritto : la seconda singolarmente che figura una gio- # stra, miniata con molta cura. Due capitoli del codice sono riprodotti a saggio. I limiti impostici vietano aggiugner parole per laudare una pubblicazione che riesce per fermo d’ universale gradimento. * Della vita t delle opere del commendatore Domenico Promis, Memorie storiche, biografiche e bibliografiche, con documenti inediti, pubblicate da Leone Tettoni; Torino, Stamperia Reale 1874. II 6 febbraio 1874 segnò un giorno nefasto per gli amici e gli ammiratori del comm. Domenico Promis, conservatore della Biblioteca e del Medagliere di S. M. in Torino. I 12 GIORNALE LIGUSTICO Nella sua vita di settanta anni di quali doti egli splendesse e di quanti servigi giovasse la storia e la numismatica, specialmente italiana, il chiarirono con miglior penna della nostra quegli illustri suoi concittadini che sono Casimiro Danna, Federigo Sclopis, Matteo Ricci, Antonio Manno ; ai quali fece eco il non meno illustre barone di^Reumont, stianiero di nascita, ma italiano per cuore, per istudi e per lungo soggiorno. , Più recentemente il cav. Leone Tettoni ripigliando lo stesso soggetto, pubblicò le Memorie il cui titolo è sopra indicato. Nelle auali egli 'svolge largamente le notizie storiche, bio-grafiche e bibliografiche di Domenico Promis, ne enumera D D per singolo le cinquantuna pubblicazioni, discorre della numerosa e scelta di lui corrispondenza, e riferisce una parte di lettere de’ più chiari uomini a lui indirizzate. Descrive a colori vivi e veri la sua persona, schietta imagine dell animo ; ne racconta i pregi dell’intelletto, le virtù di famiglia, 1 influsso e le relazioni colla politica in un tempo fortunoso il cui ricordo ci fa tuttora battere il cuore. Non desiderando noi ripetere ciò che altri hanno già scritto t con ben maggiore autorità, inviteremo i lettori a ricorrere OD ' alle Memorie sovra lodate, sicuri di trovarci un modello di vita intemerata ed operosa. Uomo all’ antica, di convinzioni profonde, ottimo marito, padre, fratello; modesto,-non chiese mai quégli onori che volenterosi ed insigni vennero a fargli omaggio; buon critico e schietto, talora anche severo, ma altrettanto benevolo verso coloro che vedea modestamente desiderosi della scienza. Semplice ne’ suoi costumi, a chi tanto inferiore di lui intitolandogli uno scritto meritamente lo chiamava chiarissimo , il Promis rispose accettando, ma un po bruscamente soggiunse : « Io sono uomo alla buona, mi OD chiami amico e nulla più ». Non rifiutandosi anche ad alti e delicati uffizi politici, al- GIORNALE LIGUSTICO lorche gli furono chiesti e credette utile la sua persona, egli però preferiva la vita tranquilla tra la famiglia e gli studi. Era bello il vederlo nella Reale Biblioteca incarnare il generoso concetto dell’augusto Carlo Alberto, e farsi agli accorrenti liberale di un tesoro di libri, illustrazioni, cimelii, monete e medaglie; frutto di quel concetto e di una instancabile cooperazione. Domenico Promis fu tra i primi, onde la Società Ligure di Storia Patria si onorò di scrivere il nome nel proprio albo. Ed egli, secondo suo costume, non fu pago di gradire quella testimonianza, ma volle corrispondere co’ fatti : inviò alla Società medesima, ad alcuni membri di essa alcuni esemplari di tutte le sue pubblicazioni ; inoltre comunicazioni importanti, notizie di mss. e di rare edizioni, di monete, medaglie e sigilli coi relativi disegni, copie e perfino originali rarissimi da consultare; tuttociò insomma che reputasse conferire alla cognizione della storia e bibliografia ligure. Egli inoltre nelle numerose sue pubblicazioni fece una non piccola parte alle monete nostre, come si vedrà dall’ elenco che porremo qui appresso. Noi testimoni di tutto il fin qui detto, ne serbiamo perpetuo il ricordo nell’ animo, e non senza commozione vedemmo l’illustre Bibliotecario 1’ ultima volta nel suo gabinetto porgere segni malaugurati di fine non lontana. Ma le sue idee erano nette e lucide come sempre, ed in quel colloquio si mostrava sempre affezionato alla Società nostra, piacendosi di continuarle gli augurii ed anche i consigli che meglio ne assicurassero la già prospera vita. Dopo qualche ora lo rivedemmo ancora, mentre ritornava alla famiglia accompagnato secondo il costume dal figlio cav. Vincenzo che ne eredito, come l’uffizio, le doti; ed il cuore ci si strinse, involontariamente presago che quella vita si andava spegnendo, affrettata da due gravissimi lutti; essendoché di non molto lo precedettero nella tomba il più giovane fratello Carlo, anch’ egli ii4 GIORNALE LIGUSTICO autore di lodatissime pubblicazioni, ed il proprio figlio secondogenito , 1’ avv. Enrico, giovane delle più belle speranze. Colla morte di Domenico Promis e quella ancor più recente di Ludovico S.auli si va sempre più diradando la schiera di que’ valorosi subalpini, onde si formò in sul principio la Regia Deputazione sovra gli studi di Storia Patria, altro de’ generosi concetti di Carlo Alberto. Ma ci conforta il pensiero che sotto il sapiente indirizzo del conte Sclopis altri dotti ben mantennero 1’ onore di quella istituzione, ed ai giovani ingegni che sottentrano nelle vuote file vanno porgendo esempi imitabili ed imitati. Elenco delle Memorie pubblicate dal comm. Domenico Promis sulla Numismatica e Sfragistica della Liguria. 1. 1852. Monete del Piemonte inedite o rare. — Ivi una moneta del Marchese di Come miglia, e due monete dei Marchesi di Ceva (rami dei Del Carretto di Savona). 2. 1864. Monete della Zecca di Savona. — Monete 40, più quattro sigilli di quel Comune. 3. 1865. La Zecca di Scio durante il dominio dei genovesi. — Quattro monete degli Zaccaria: il resto della Maona di Scio 0 dei Giustiniani; in tutto 55. Sono notevoli cinque d’argento e tre d’oro anonime, ma ben rivendicate dal comm. Promis a quella zecca. Il eh. Lambros d’Atene applicò la scoperta del Promis ad un’ altra zecca genovese per ' 1’ addietro non sospettata ; e mostrò che siccome alcun ducato di Scio si conosce soltanto dalla iniziale S posta sotto l’asta della croce, così la iniziale P posta in simil modo sotto altri ducati di tipo analogo indica che questi furono battuti a Pera, colonia genovese rimpetto a Costantinopoli. Ved. la Mempria di lui, stampata in greco-moderno in Atene nel 1872, quindi tradotta ed inserita nel Periodico di Numismatica ecc. diretto dal march. Carlo Strozzi, Firenze 1873, pag. 12-22. GIORNALE LIGUSTICO 4- 1866. Monete inedite del Piemonte; Supplemento. Ivi una moneta di Seborga nella Riviera di Ponente, alloia sotto la signoria dell’Abbate di sant’Onorato di Lerino. Ivi alti a moneta di Cortemiglia. 5- 1867. Monete di Zecche inedite o corrette. — Ivi una moneta ed un piccolo sigillo di Famagosta in Cipro sotto la signoria genovese. 6. 1867. Medaglia di Bartolomeo Della Rovere, nipote del papa Sisto IV, dell’ anno 1474. 7. 1869. Monete-delle Zecche di Masserano e Creva-cuore dei Fieschi e dei Ferrerò. — Ivi monete 10 dei Fieschi. 8. 1869. Monete di Zecche italiane inedite. — Ivi una moneta degli Ippoliti di Gazzoldo, che è una contraffazione del soldino genovese della seconda metà del secolo XVI. Ivi pure cinque monete ed una tessera di rame dei Gattilusii, famiglia genovese che fu signora dell’isola di Metellino nel- 1 Arcipelago. Vi è un ducato di tipo veneto analogo alle sovraindicate monete d’ oro di Scio e di Pera. 9. 1870. Sigilli italiani inediti, tra i quali uno di Ober-tino Spinola. 10. 1871. Monete di Zecche italiane inedite. — Ven’è una di Guglielmo Malaspina marchese di Tresana e Lusuolo. Altre due sono dei Marchesi di Cortemiglia. 11. 1871. Origine della Zecca di Genova e di alcune sue monete inedite. — Sono in numero di 57. 12. 1873. Monete e Medaglie italiane. — Ivi un grosso inedito del doge Pietro Fregoso, e tre medaglie dei genovesi Cosma Scaglia, Francesco Lomellino 'e Luca Grimaldi. La penultima di queste medaglie era stata descritta alquanto inesattamente dal compianto avv. Avignone (Medaglie dei Liguri e della Liguria, 1872; .Atti della Società Ligure di Storia Patria, vol. Vili, pag. 526, num. 192). Ma l’esemplare da GIORNALE LIGUSTICO lui posseduto era difettoso, e noi stessi non ci potemmo sospettare alcuna traccia delle due prime lettere del nome fran; onde parea doversi interpretare per «_Angelo quello che nel disegno del Promis si rivela per Francesco. Alle suindicate Memorie di Domenico Promis giova, per connessione di soggetto, aggiungere quelle che rispetto alla storia e numismatica nostra furono finora pubblicate dal figlio di lui, il cav. avv. Vincenzo, che felicemente segue le orme paterne. 13. 1869. Tavole sinottiche delle monete italiane illustrate con note. — Questo lavoro è condotto con diligenza , e riassume in non grande numero di pagine le fonti di tutta la numismatica italiana. Per la parte della Liguria si consultino per ordine alfabetico le zecche di Arquata (Spinola), Caffa (in Crimea), Campi (Centurioni), Ceva, C01-temiglia, Damala (in Grecia sotto la dominazione degli Zaccaria) , Famagosta (in Cipro), Fogliavecchia (signoria dei Gattilusio nell’ Asia minore) , Fosdinovo (Malaspina), Genova, Loano (D’Oria), Massa di Lunigiana (Malaspina), Masse-rano (Fieschi) , Metellino (nell’ Arcipelago, de’ Gattilusii) , Ronco (Spinola), Savona, Scio (Zaccaria, Maonesi e Giustiniani), Seborga (nella Riviera di ponente), Tassarolo (Spinola), Torriglia (D’Oria), Tresana (Malaspina), Vergagni (Spinola). 14. 1870. Memoriale di Diego Colombo con nota sulla Bolla d’Alessandro VI delli 4 maggio 1493- 15. 1871. Statuti della colonia genovese di Pera. 16. 1874. Sigilli italiani; tra i quali quelli di Alberico Cibo-Malaspina e del Capitolo di santa Maria delle Vigne di Genova. Tutte queste Memorie furono stampate a Torino nella Tipografia Reale. Inoltre il num. 2 (Zecca di Scio) è anche inserito nelle Memorie di quella .Regia Accademia delle Scienze, GIORNALE LIGUSTICO 117 vol. XXIII; ed i numeri 9, 10, il, 12, 15, 16 sono pure inseriti nella Miscellanea di Storia Italiana pubblicata per cura della Regia Deputazione di Storia Patria; Torino, tomi V, IX , XI, XII e XIII. Le Trésor de Clairvaux du XII au XVIIIe siècle par M. l’Abbé Charles Lalore. — Troyes, Impr. Brunard 1875. È questo un minuto ragguaglio delle preziose suppellettili e delle reliquie onde la chiesa del famoso monastero di Cliia-ravalle, fondato da san Bernardo nel 1115, era ricchissima. L’ autore si giova di parecchi inventari del Tesoro, che furono compilati in varie occasioni dal 1405 al 1471; ed ognuno intende quanto di tali docun^nti si possa avvantaggiare la storia della oreficeria, della testoria, ecc. Ma specialmente importante per noi si è il capo XVIII, come ben rilevasi dal suo titolo che è questo : « L’abbaye de Clairvaux donne aux Génois une vertebre de saint Bernard. — La république de Gênes envoie une lampe à Clairvaux » (pag. 163-69). Il dono e 1’ offerta si connettono, come è notissimo, alla guerra sostenuta dai genovesi contro Carlo Emanuele I Duca di Savoia, e ad una vittoria che essi riportarono nel 1625 sulle armi savoine e che attribuirono alla protezione del santo. A questo proposito il Lalore pubblica la corrispondenza che seguì nel 1633 fra l’abate Claudio Largentier ed Agostino Centurione inviato dalla Repubblica a Chiaravalle; e soggiunge che la lampada ornata degli stemmi di Genova fu rimessa 1’ anno dopo all’ abbazia, col mezzo di un certo Giovo mercante genovese residente a Lione. Claudio Guyton, bibliotecario dell’ abbazia, lasciò scritto poi che la detta lampada ï y a été conservé jusqu’en en 1720 et tant d’années., que dom Gassot (1) l’a changée à Paris, ne connoissant pas ap- (1) Roberto Gassot fu il quarantottesimo abate di Chiaravalle, dal 1718 al 1740 (Lalore, pag. 239). IIS GIORNALE LIGUSTICO parement les conséquences et le déshonneur qu’il faisait à la maison d’écarter un pareil monument et de la sainteté de saint Bernard, et de la dévotion de la Répubblique pour ce saint » (pag. 169). Però così prosegue il Lalore: « De ce texte obscur, s’il est exact, il ne faudrait pas conclure que la lampe de Gênes fut aliénée en 1720, puisqu’elle est portée sur l’inventaire dressée en 1741 par dom Guyton lui-même (Trésor, n. 115); a moins qu’il ne se soit contenté de copier les anciens inventaires » (ibid). Piacerà qui per fine l’intendere come i Giovo residenti a Lione godessero la maggior confidenza della Signoria Genovese. Dai fogliazzi Secretorum del nostro Archivio di Stato rilevasi che nel 1657 il Govei^o si rivolse ad un Pier Giuseppe Giovo per aver notizie dello scrittore che sotto il pseudonimo di Cesare Salbrigio avea pubblicato il Trattato delle politiche malattie della Repubblica di Genova, e per ottenere che se ne sopprimessero tutti gli esemplari giunti a Lione per essere posti in commercio. In quest’ultima parte delle commissioni, a dir vero, il Giovo non fu felice; ma quanto alla prima avvalorò i sospetti della Repubblica, che autore, delle Politiche malattie fosse Gaspare Squarciafico. Di ciò produrrà del resto i documenti il Belgrano nella seconda edizione della Vita privata dei genovesi, di cui è imminente la comparsa. BOLLETTINO BIBLIOGRAFICO Ferdinando di Savoia Duca di Genova, Poemetto di Francesco Ramognini. — Torino, Unione Tipografico-editrice 1875. L’ arte in che si palesa maestro il eh. autore, si è quella d’ annestare acconciamente la verità istorica colla immaginosa vigorìa poetica. Questo fatto già si parve dal volumetto di sue belle poesie edito nel passato anno; onde ne ebbe meri- GIORNALE LIGUSTICO 119 tate lodi dal critico valente prof. Lizio-Bruno di Messina. La vita del Duca di Genova gli porge opportunità di ricordare una pagina di storia italiana, splendida per geste egregie, cosparsa di dolorose sventure. Vario il ritmo, e accomodato ai diversi casi narrati; belle le immagini, le descrizioni evidenti; nobiltà di concetti, sensi altamente nazionali; stile vigoroso e sobrio, e veramente italiano. I Fanciulli nell’arte raffaellesca ; Pensieri di Giovanni Franciosi. — Modena, Società Tipografica 1874. Dai fanciulli che il sommo e gentile Urbinate si piacque ritrarre nelle mirabili sue tele, toglie argomento il eh. autore ad una breve esposizione; svolgendo, mercè i canoni dell’ estetica, l’intimo senso artistico onde fu mosso il pittore celeberrimo a figurare i suoi pargoletti con diverso concetto. Da ciò trae cagione il prof. Franciosi di studiare il soggetto sotto tre aspetti diversi : Il fanciullo e la Natura — I fanciulli tra loro — Il fanciullo e la madre; e il fa co*n l’usata dottrina e maestrìa, diligendo eziandio la forma ravviata ed elegante. Egli pone a conchiusione la sintesi delle tre parti; e recando accomodati confronti, rileva quanto vinca Raffaello antichi e moderni nel magistero del bello; onde il concetto della grazia infantile nelle cose raffaellesche], secondo la mente del eh. scrittore, si riduce a questo : « armonie de’venosi corpi e delle anime nuove colla schietta natura; atti pe’ quali si manifesta l’istinto d’ accomunare V intima vita e trasformare se in altrui-, aspetti e sorrisi di bellissimo amore filiale, eh’ c spiratione' prima d’ arte e di vita ». Intorno alla vita ed agli scritti di Antonio Altieri; Notizie, raccolte da Enrico Narducci — Roma, Bartoli 1873. È una tiratura a parte del lavoro preposto dal eh. Narducci all’opera dell’Altieri intitolata Li Nuptiali. Con molta diligenza e non comune erudizione ha poste insieme impor- 120 GIORNALE LIGUSTICO tanti notizie sulla vita e sugli scritti di quel patrizio del secolo XV; e ci divisa altresì tutti i codici di sue varie scritture recandone alcuni saggi scelti con assai opportunità. Da questo bel lavoro si conferma quanto 1’ egregio autore sia profondamente addentro nella storia civile e letteraria di Roma, e come abbia una perfetta conoscenza delle Biblioteche e degli Archivi di quella insigne città. Una dotta rassegna del libro a cui il Narducci ha premesse le annunciate "ISLotizie, è stata pubblicata di recente n&\\ ^Archivio Storico Italiano (Disp. 6.a del 1874) dall’illustre Barone di Reumont. Il quale concludendo, esprime la sua « fondata speranza del veder formarsi, accanto all’ Accademia pontifìcia d’ archeologia, . . . una società storica collo scopo principale di studi patrii, società la quale non avrà difetto nè di valide forze, nè di belli argomenti ». E con piacere grandissimo leggendo testé riprodotta siffatta rassegna nel ‘Buonarroti, vi incontriamo questa annotazione dello stesso Narducci: « Nutro fiducia che il ragionevole desiderio del eh. Barone di Reumont sia prossimo ad avere effetto. Infatti da qualche tempo 1’ on. prof. comm. Domenico Berti, riuniti intorno a sè alcuni egregi miei colleghi di studio, si è fatto propugnatore della istituzione d’ una Società di storia patria in Roma. Di comune atccordo ne abbiamo già compilato un progetto di statuto informato principalmente su quello della Società Ligure di Storia Patria, ed ove le autorità ne sieno larghe d’incoraggiamenti non andrà molto che si porrà mano al lavoro ». Studi critici sulla Bucolica di Virgilio per Alberto Agresti. — Napoli 1874. Il concetto che informa questo lavoro ci sembra molto savio ; e del pari esposti con molta rettitudine ci paiono gli argomenti co’ quali ha esplicato 1’ autore i suoi intendimenti. Nè 1’ arte critica si è qui fermata alla corteccia ; ma toccando quanto è mestieri della forma, poderosamente discute della ragione storica, poetica e letteraria che mosse a dettare il celebre Mantovano. L’ Accademia Pontaniana ha fatto opera di vera giustizia accogliendo ne’ suoi ^Atti questa dotta scrittura; si come pari testimonianza avea compartita allo stesso eh. A~ gresti nel 1871, quando mandò al palio gli Studii sulla Commedia Italiana del secolo XVI, lavoro pur esso molto lodevole per soda erudizione ed acuta critica. Pasquale Fazio Responsabile. GIORNALE LIGUSTICO 121 LA COMPAGNIA GENOVESE DELLE INDIE E TOMMASO SKYNNER L argomento delle relazioni tra Genova e le Indie è stato da me a riprese toccato in alcuni scritti (i); ora 1’ opportunità del Congresso generale di Geografia che si aprirà fra non molto in Parigi., e T onorevole invito direttomi dalla (i) Nella mia rassegna Degli Annali Genovesi di Caffaro ecc., ho citato un documento del 1324 da cui risulta che dal 1315 circa due genovesi, Benedetto Vivaldi e Percivalle Stancone, aveano stabilita una società 4 di commercio in partibus Indie, dove intorno al 1321 il Vivaldi era morto. Ved. Archivio Storico Italiano, serie III, vol. II, par. II, pag. 127. In seguito ripubblicai gli Opuscoli di Benedetto Scotto circa un progetto di navigazione pel Settentrione alla China ed alle Indie Orientali, non più stampati dal principio del secolo XVII; e nella Prefazione produssi un decreto della Signoria Genovese in data 18 giugno 1506, che ha titolo: ‘De mittendis navibus in Indiam. Ved. 'Atti della Società Ligure di Storia Patria, vol. V, pag. 298. Aggiungansi ora questi ricordi, eh’ io desumo dalla Memoria del eh. De Gubernatis intorno ai Viaggiatori Italiani nelle Indie Orientali, e che sebbene già noti anche per antecedenti scritti, mette bene di qui radunare. Girolamo da Santo Stefano, nella Riviera di Ponente, innanzi al 1490 fu in compagnia di Girolamo Adorno a Calicut, nel Coromandel, nel Pegù, nel regno di Ava; e poi da solo proseguì fino a Sumatra. Una nave genovese, nel 1506, fece parte dell’armata che il Re di Portogallo spedì nell’india sotto il comando di Tristano da Cunha; ed intorno al medesimo tempo Emanuele Pessagno, castellano dello stesso re alle isole Angedive, ne difese valorosamente la rocca contro gli assalti del rinnegato Abdallah (1505); oltre di che nel 1510 fu all’impresa di Calicut, la quale fallì per non avere voluto l’Albuquei que ricevere i consigli di lui (Op. cit., pag. 15, 2i, 22). Su che vedansi il Maffei che dice il Pessagno spectata fide ac virtute vir, ex urbe Italiae Genua claro genere natus (Historiar. Indicar.; Venezia 1589; lib. III, pag. 46), ed il Barros (Descrizione dell’Asia; deca I, lib. VIII, cap. 9). Vuoisi poi avvertire che gli scrittori del Seicento (parte per ignoranza e parte per malizia) hanno scambiato questo Pessagno con un discendente della famiglia dei Signori di Passano, allora di fresco restituita a gran potenza mercè del celebre Gian Gioachino; e che 9 122 GIORNALE LIGUSTICO \ Presidenza della benemerita Società Geografica Italiana di apprestare per la solenne circostanza una qualche comunicazione, mi invogliano a produrre diversi documenti eh’ ebbi testé a raccogliere intorno a siffatto proposito. del pari attribuirono ai Da Passano tutta la serie gloriosa degli ammiragli di Portogallo che cominciata con Emanuéle Pessagno nel 1317 appunto si termina coi figli del suo omonimo dianzi citato, morti alle Indie insieme col loro padre senza lasciar prole. Già: del citato Emanuele I ho io discorso alcun poco negli oitti (voi. Ili, pag. cxvi), sulla fede di quanto ne scrisse con 1’ usata precisione e dottrina il rimpianto D’Avezac; dal quale aveva prima di me attinto pure il eh. Canale. Del resto un bel numero di documenti serbati nell’Archivio di Stato o della Torre do Tornio in Lisbona, e liberalmente forniti per copia al'a Società Ligure, grazie alla cortese interposizione dall’ esimio sig. cav. Alfredo D’Andrade, varranno a porre in luce molti particolari intorno a quegli illustri nostri concittadini. Nè è da pretermettere Andrea Colombo, il quale nel 1532 partì da Lisbona per 1 India in compagnia di Aloigi di niesser Giovanni Roncinotto veneziano, che lo rammenta nella descrizione del suo Viaggio di Colocui, e lo afferma « nipote di quel tanto honorato e animoso capitano Cristoforo Colombo » (De Gubernatis, pag. 28). Al quale proposito è però da notare col P. Spotorno, che Andrea spetta invece ad « ad una famiglia Colombo delle ville di Chiavari ; e perciò quel nipote si dovrà intendere nel senso medesimo col quale si spiega il cugino de’ córsi e de’ guasconi « (Stor. Lett., IV. 194). Non so in qual conto si debba tenere la notizia che dicesi risultare da « antichi manoscritti esistenti nella Biblioteca degli Scolopì in Savona », giusta cui un tal Colla nativo di Celle-Ligure avrebbe nel 1615 comandata una flotta di sessanta navi dirette alle Indie (L’Italia sotto l’aspetto fisicomilitare ecc. ; parte I: Dizionario corografico, pag. 861). Dico però il vero che il veder taciuto un fatto di tanta importanza nelle cronache del Verzellino e del Monti mi sembra cosa poco naturale, e non atta a crescergli fede. A sua volta Orazio Levanto nel Memorial sobre nueva fabrica de moneda para el consumo de la de vellon ecc. (car. 15 recto) ricorda le proprie relazioni con Manilla, scrivendo eser egli «naturai originario de la ciudad de Genova, y destos Reynos (di Spagna). y de las Indias, por abitacion de 23 anos, y merced de Su Magestad por sus reales cedulas despachadas en el Supremo Consejo de Castilla GIORNALE LIGUSTICO 123 I. La Compagnia delle Indie. Di questa Compagnia di navigazione alle Indie Orientali, costituitasi in Genova nel 1647-1648, diede pel primo alcune y de las Indias ; y . . . soy vezino desta ciudad de Sevilla, donde he vivido mas de 10 anos, y de la ciudad de la Puebla en la Nueva Espana, donde è vivido mas de 13 . . .; y . . . tu ve por mas tiempo de diez anos trato en la China, siendo encomendero de vezinos de Manilla». Il detto Memoriale è stampato di certo nel primo ventennio del secolo XVII, e .forse in Siviglia, benché veggasi privo di ogni indicaz-.one di luogo, di tipografo e d’anno. Ne ha un esemplare la Civico-Beriana, legato in un codice di scritture del Muzio che ha titolo: Monete e loro valutazioni. Similmente nella citata Prefazione allo Scotto, oltre ad alcuni accenni sulla Compagnia delle Indie, rammentai un clamoroso processo seguito verso 1’ anno 1711 per « l’eredità di certo di cognome Cesari di Camogli morto nell’ Indie ricco di effetti assai pingui » ; della quale eredità è detto che i Padri Gesuiti « se 11e resero padroni in forza di una decantata procura ». Questa notizia, un po’ vaga, io aveva desunta dall Acinelli (Compendio delle Storie di Genova, II. 7); se non che un atto che più tardi mi avvenne di consultare nell’ Archivio di san Giorgio, oltre che fornisce il nome proprio del Cesari, m’induce a sospettare d inesattezza il nostro scrittore laddove il dice di Camogli. Forse egli era invece di Finale, e propriamente della terra di Perti, se considero che appunto i terrazzani di quest’ ultima furono beneficati dal Cesari nella istituzione di ' cui ejco la sostanza: <( Andreas Cesari de Lima. 16S3 die 22 decembris. Eidem scripta sunt loca centum . . . sive librae 10,000, titulo venditionis, cum . . . declaratione infrascripta quam dicit R. P. Johannes Stephaniis Fli-scus Societatis Jesu, nempe: Che li sopraddetti luoghi sono stati comprati da detto R. P. Giovanni Stefano Fiesco con danari mandati da Lima nel Perù da Andrea Cesare, con obbligo d’impiegarli in tanti luoghi delle Compere di san Giorgio ; e li proventi di essi si paghino ogn’ anno nel tempo delle scuse al R. P. Rettore prò tempore del Collegio de’ santi Gi-, rolamo e Francesco Xaverio della Compagnia di Giesù in questa città di Genova, acciocché con essi proventi ne faccia dodeci vestiti per dare a dodeci poveri naturali della terra di Perti nel Marchesato del Finale, vicino a detto luogo del Finale » (Archivio dì san Giorgio: Cartolario B. delle Colonne per l’anno 1683, car. 98 verso). 124 GIORNALE LIGUSTICO notizie il eh. Canale nella sua Storia del commercio degli italiani (i); e qualche particolarità soggiunsi io nella Prefazione agli Opuscoli di Benedetto Scotto (2). Or non sarà però senza utilità il riferire la storia degli inizi di quella Associazione e della prima navigazione di due sue galere da un opuscolo d’ autor sincrono, di recente acquistato dal eh. Celesia per la Biblioteca della R. Università. È un manoscritto in-4.0 del secolo XVII, intitolato ‘TsLotizje del1 a Repubblica di Genova; e così vi è raccontata ogni cosa a carte 138-40. « Navigatione di navi per Indie constituita in Genova da particolari. « Nel 1647 Guglielmo Mulmen di nazione fiamingo, habitante in Amsterdam d’ Olanda, nel udir raccontare colla alcuni nocchieri e marinari il viaggio da loro fatto alle Indie Orientali d’ onde erano ritornati di fresco alla patria, lo stato di que’ paesi et il guadagno che si caverebbe con l’industria mercantile, lusingato dalla speranza dell’ utile per lettere ne diede parte ad Henrico suo fratello habitante in Genova, ove attendeva a traffichi di "mercanzia, persuadendolo a procurar di ritrovar persone che volessero intraprendere quel negozio. Ne discorse 1’ Henrico da prima con Scipione Buonvicino nativo di Levanto, di professione mer-cadante, con Gio. Tomaso Laviosa, con Gio. Filippo Cattaneo et altri, che insieme accordarono una compagnia di negozio ; et dall’ Henrico fu imposto al fratello che comprasse duo navi nuove, et operasse che i nocchieri relatori suddetti esperti di quella navigatione disponessero d accettarne il governo. Compì il Guglielmo al tutto con moneta da’ partecipi statagli rimessa, et inviò le navi a Genova guidate da’ nocchieri accordati; imbarcando sopra di esse alcune mercanzie di quelle parti che i nocchieri accusarono alle Indie destinate essere in estimazione. Giunte le navi nel porto di Genova, furono da’ partecipi provedute di marinari ; e formati in scritto gli ordini stimiti opportuni per lo buon governo, che furono in numero di 37, supplicarono il Senato che si compiacesse di confermarli et approvarli, sì come fece per suo decreto dato li 22 di Genaro 1648, e gli diedero poi alla stampa, con titolo di Capitoli della (1) Pag. 233 e 237. (2) lAtti ecc., V. 299, GIORNALE LIGUSTICO 125 navigazione delle Indie Orientali della Compagnia di Genova; e provedute d ogni altro bisogno necessario, in particolare da diffesa e di viveri, furono benedette dal card. Steffano Durazzo arcivescovo; partirono di porto li 5 di Marzo del seguente (sic) anno 1648, inviandosi verso lo Stretto di Gibilterra, per poi incaminarsi verso quello di Magaglianes. « Da partecipi di questa Compagnia furono eletti di loro.....(1); et 1 contratti di essi partecipi furono rogati da Bartolomeo Castiglione. « Con esse navi senza carrico d’ ufficij, nè di comando, nè di servigio, si imbarcarono alcuni giovani nobili che furono : « Simeone Spinola figliuolo di Gio. Batta quodam Simone « Angelo Grimaldo quodam Giovannettino « Steffano figlio d’ Agostino Centurione « Emilio Invrea figlio naturale del quodam Ippolito K.....figlio di Gaspare Soffia «.....figlio di Federico Fiesco ".....figlio di Gio. Stefano De Marchi. « Imbarcarono partecipi con esse navi somme rilevanti di moneta per far impieghi. « Giunte le navi nella Spagna, nel porto di....., abbandonarono quel viaggio alcuni de’ giovani nobili suddetti nauseati dal maregio, stanchi dalli incomodi che conveniva loro di suffrire nelle navi: fra essi fu il Simeone Spinola. « Di questa nuova navigazione ragiona Luca Assarino nel Novelliere-di Genova de’ 7 Marzo 1648 cosi fattamente: « Li 5 partirono di porto duo navi le quali vanno all’ Isola di Jeso, più in là del Giappone circa 80 leghe. Dicesi che sia stata scoperta da poco in qua (2), e che sia ricca di miniere d’ oro ed argento, e di qualche speziarle. In ogn’ una di esse navi sono 4 nobili, con altri mercadanti, et si spera che debbano fare un viaggio di molto utile etc. ». «..........La somma del danaro che fu sborsata da partecipi nella compra delle navi, provigioni e contante portato per impiegare, fu di 98 mila pezzi da otto reali ». II. . Tommaso Skynner. Ignoto del tutto, secondo io mi avviso, è rimasto il disegno proposto nel 1657 alla Signoria Genovese da Tom- (1) Lacuna. (2) Nel 1620. 126 GIORNALE LIGUSTICO maso Skynner, coni’ egli propriamente si scrive, e non Skimmer come più volte si legge nei documenti eh’ io ho trascritti dagli originali del nostro Archivio di Stato (i). Il cognome di Skynner non è nuovo nei dizionari biografici; però io non trovo nei medesimi alcun cenno di Tommaso, i cui progetti apprendiamo che furono trasmessi e raccomandati alla Signoria da Francesco Bernardi agente diplomatico di essa in Londra (2). Serenissimi Signori .....Suplico VV. SS. Serenissime di prefider in consideratione l’incluso memoriale che per man mia gli presenta questo Tommaso Skenner suddito del Imperio, ma vissuto quà molti anni in buon modo, et hora disposto con due navi sue a un viaggio nelle Indie Orientali dove tiene un fratello coni’ intendo ricchissimo, col cui aviso interprende il disegno come saran servite vedere dal papero anexo a detta suplica; et se giudicheranno conveniente proteggerlo et di concedergli patente nella forma desidera, Le suplico comandare mi sia mandata subito , havendolo (dal zelo porto alla Serenissima Republica) fatto divertire d’aplicarsi a Venetia sino alla risposta di questa..... Londra, a’ 25 luglio 1657. Di VV. SS. Serenissime Humil.m° et div.mo servitore Francesco Bernardi. / Al Serenissimo Duca et Eccellentissimi Signori Governatori della Serenissima Repubblica di Genova. Tomaso Skinner representa a VV. SS. Serenissime con ogni humiltà che compiacendosi alle Altezze Serenissime Loro concedergli lettere patenti in forma conforme alla copia qui anexa, è risoluto per la gratia (1) ‘Politicorum, mazzo XI; ad eccezione del brano di lettera del Bernardi che trovasi nel mazzo I del Carteggio degli ambasciatori genovesi in Inghilterra. (2) Tenne il Bernardi la carica di agente della Repubblica dal 1651 al 1665; e sono ricche di molti importanti particolari le sue lettere concernenti al periodo del protettorato di Oliviero Cromwel. GIORNALE ligustico di Dio et con la permissione Loro di far la sua residenza sotto la protet-tione della Loro Serenissima Repubblica; et s’ingegnarà di promovere un commercio tra essa et qualche luogo nelle Indie Orientalj, il quale potrà dar accrescimento d’honore et avansarà l’utile della Lor Republica, la prosperità et grandezza della quale sarà sempre bramata dal Di VV. SS. Serenissime Humilissimo Servitorio Tho. Skynner (i). Per quanto il Signor Tomaso Skynner ha rappresentato il suo affetto verso di Noi, humilmente supplicando la nostra protettione non solamente come habitante sotto il Governo di questa Repubblica, anzi per haver il nostro appoggio in una giusta et legitima impresa, quale (concedendolo la gratia et benedittione divina) egli tiene la determinatione di porre ad effetto per il scoprire et popolare una certa Isola o quantità di terra dentro il termine di ottanta et centosessanta gradi di longitudine orientale et venticinque gradi di latitudine australe o settentrionale dalla linea equinottiale, essendo un luogo mai coltivato nè habitato da mortale nessuno, a fuor di animali et bestie salvatiche, nè anche sotto 1’ ubbidienza immediata o comando di qualsivoglia Prencipe o Stato di nostra confederatione o in amicitia con esso Noi; et dichiarando il detto Tomaso Skinner ch’il suo fine mira solamente la gloria di Dio et il crescimene del commercio : Siamo del parere di darle animo et promovere un così honorevole disegno ; ed in testimonio di esso per la presente* significhiamo la nostra approbatione, desiderando (sic) tutti i Prencipi confederati et amici nostri di non dar noia, fastidio nè disturbatione alcuna al detto Tomaso Skinner, nè a chi se sia sotto il suo comando, mentre che starà sopra detto luogo o Isola, nè in suo o loro passaggio o traffico in qualsivoglia tempo, al o dal detto luogo sia in sua o loro persone , nave o navj cariche, et mercantie o beni. Volendo et richiedendo a tutti i nostri cari sudditi di dar mano et ajutare al detto Tomaso Skinner nel sopradetto negotio, et non impedire nè opporsi a luj o qualsivoglia di suoi come vorranno rispondere il contrario al lor proprio danno. Et acciò che ogn’ uno possa haver notitia quanto ci è grata questa facenda, per la presente dichiariamo che subito doppo il deito Tomaso Skinner ci haverà dato avviso che luj o qualsivoglia persona per lui saranno diventate possessori del detto luogo o Isola per la bontà o favore ( i ) La sola firma è autografa. 128 GIORNALE LIGUSTICO di Dio, il quale concede alli figliuolj dell’ huomo gli luoghj habitabilj della terra, noi daremo al detto Tomaso Skinner, suoi heredj et commessi per giamaj (sic) la detta Isola o quantità di terra, sotto tal fede et riconoscenza che sarà convenevole all’ honore et buona conscienza. ii settembre 1657. Tomaso Skimmer inglese Concessali patente di potere a nome della Repubblica andare all acquisto d’ un Isola verso le Indie Orientali. f 1657, 11 septembris. Letta a’ Serenissimi Collegi. Il Prestantissimo Magistrato dell’ Armamento circa il contenuto in detta supplica consideri quello che giudica si debba respondere, avvertendo che si.....(1) senza impegno o spesa publica; ad calculos. Jo. Benedictus. I 12 dicti. Commissio de qua supra renovata in Excellentissimos Nicolaum de de Amico et Johannem Baptistam Venerosium deputatos, per Serenissima Collegia ad calculos. Jo. Benedictus. Serenissimi Signori, In esecutione de’ comandamenti di VV. SS. Serenissime, habbiamo havuto consideratione alla proposta del Tomaso Skimmer in 01 dine al suo desiderio di occupare e popolare nell’ Indie Orientali un Isola disha bitata sotto le Insegne, protettione e sovranità di VV. SS. Serenissime, e siamo venuti in parere di loro rifferire che se le possa consentire quello che desidera, poiché per parte di VV. SS. Serenissime vi si considera acquisto certo di honorevolezza e sperabile di profitto, e senza verun agravio nè di spesa nè d’impegno. L’ honorevolezza vi si stima certa, mentre per questa strada si tratta di acquistare il dominio diretto di un Isola in paesi in quali con simile principio ve 1’ han acquistata grandissima li Re di Spagna, di Portogallo, di Francia, d’Inghilterra e di Svetia, e li Stati d’ Hollanda. L’ utile si può sperare, mentre con principi) non maggiori di quelli che anche adesso può metter insieme la Serenissima Repubblica e la Compagnia privata (2), ve l’han col consentire concessioni simili a quelle (1) Guasto nella carta. (2) La Compagnia delle Indie, di cui abbiamo parlato più sopra. GIORNALE LIGUSTICO 129 che son state richieste a VV. SS. Serenissime acquistato grandissimo li sudetti Re e Stati; essendo che li Re di Spagna con due navi, li Re di Portogallo con altre due, il Re di Francia con tre, e li Stati d’Hollanda con quattro han dato principio a quelle honorevolezze e profitti che da quelli paesi loro ne son provenuti. E la Repubblica nostra parimente per il mezzo di simili protettioni ha potuto ne’ tempi antichi vedere non meno gloriosamente che utilmente piantati li suoi stendardi sulla Soria, nel Levante e nell’ Italia ; e ne’ tempi presenti, se bene non ha ancora il publico goduto alcun profitto di considerazione dalle concessioni fatte alle Compagnie private, pure è certo che non ne ha ricevuto alcun danno, e che dal ritornare le cose del negotio e della navigatione a buon camino ne può esso publico sperare per questi mezzi quelle honorevolezze e profitti che senza di questi mezzi non potrebbe sperare giammai, e li privati ancora porsi in camino di ristorare ad esempio degli hollandesi de’ passati danni. Nè ci pare che possa dar fastidio la lontananza di quelle parti, poiché per la vastezza di quel mare e per la certezza dei venti che in tutte le stagioni lo dominano, è cosi sicura quella navigatione dalle squadre dei più potenti e dalle tempeste, che ha potuto due anni sono, cioè del 1655, venire da quelle parti a dirittura a Livorno una nave privata senza riconoscere dipendenza da veruno; e per 1’istesse considerationi son restati persuasi gli Cavaglieri di Malta, quantunque più lontani e meno potenti di noi, ad accettare la metà di un Isola loro di fresco in quelle parti lasciata da un loro Cava-gliero (1). Ma in VV. SS. Serenissime resta più considerabile 1’ offerta che loro viene fatta, poiché trattandosi di loro dare 1’ acquisto della sovranità di un Isola, e la commodità dei porti dell’istessa che agevolino ai vascelli genovesi la navigatione et il commercio in quelle parti, non viene per questo loro richiesto che facino alcuna spesa propria, come la fecero li Re di Spagna, di Portogallo e di Francia, che vi posero ciascheduno di questi la spesa di due vascelli, e gli hollandesi che vi si interessavano per la metà dell’ armamento, ma 1’ offerta è libera senza loro spesa di un soldo, et a giuditio nostro senza nè pure veruno ìm- (1) Cioè San Cristoforo, altra dalle isole Sopra Vento nel Mare delle Antille , di cui un, metà apparteneva agl’inglesi e l’altra metà spettava a frate Filippo di Lanvilier Poinsy, commendatore dell’ Ordine Gerosolimitano, o meglio alla Corona di Francia ond’ egli era luogotenente generale. La Religione di Malta aveva appunto acquistata nel 1É52, per 1’ intromissione del Lan-vilier, dal Re Cristianissimo la proprietà di San Cristoforo e quella di più isole vicine alla stessa’, come le Vergini, San Martino, San Bartolomeo, Santa Croce, ecc. Ved. Piloni, Historia'della. Sacra Religione Militare di san Giovanni Gerosolimitano ecc.; Venezia, 1715; p.ig. 194. e segg. 13° GIORNALE LIGUSTICO pegno del publico ; mentre habbiamo ponderato che per quanto fussero sotto la protettione di VV. SS. Serenissime le due navi della Compagnia dell’Indie, non per questo han stimato che loro porti alcun impegno l’agravio, la violenza e la ingiustitia usata dagli hollandesi, per quanto la concessione delle rappresaglie havrebbero (sic) potuto bastantemente provedervi (i). Ma sicome la consideratione delle forze grandi dei Prencipi che trafìcano in quelle parti e della debolezza delle nostre ci ha levato all’ hora da ogni impegno senza verun perdimento di reputatione, così ci leverebbe sempre da quello che essendo per noi impossibile sarebbe pazzo chi lo pretendesse. Onde trattandosi di protettione, che a parer nostro apporta alla Serenissima Repubblica con 1’ honorevolezza della sovranità, augumento di Stato, impiego di navi et il profitto del commercio, e che non ci obliga a spesa nè ad impegno veruno; replichiamo esser di parere che si debba accettare la sua offerta, con la conditione che si rissalvi per VV. SS. Serenissime la sovranità in perpetuo, e per esso e suoi discendenti quelli oblighi che essa ne porta seco ; et il tutto sotto benigna corretione di VV. SS. Serenissime. f 1657, a dì 10 dicembre. Dentur litterae patentes dicto Thomae tenoris de quo in relatione, per Serenissima Collegia ad calculos. Havendoci il N. Tomaso Skimmer rapresentato il suo affetto verso di Noi et humilmente supplicatoci come desideroso di habitare sotto il governo di questa Repubblica e sotto la nostra protettione in una giusta e legitima impresa, la quale egli col fine della gloria di Dio e del cresci-mento del commercio, e mediante la grada e beneditione dal Cielo ha determinato di porre ad effetto; cioè di scoprire e popolare una Isola o quantità di terra, posta dentro il termine di ottanta e cento sessanta gradi di longitudine orientale, e venticinque gradi di latitudine australe o settentrionale dalla linea equinottiale, la quale Isola e quantità di terra è un luogo che non è mai stato coltivato nè habitato da mortale veruno, e solo da animali e fere salvatiche, nè meno è al presente sotto la ubbidienza immediata 0 comando di qualsivoglia Prencipe o Stato di nostra confederatione, o che sij in amicitia con esso noi: Ci è per questo parso bene di darle animo, e di promovere così honorevole disegno. Ed in testimonio di questo, siccome ne significhiamo per questa la (1) La Compagnia Genovese aveva dunque eccitata l’animosità dei naviganti olandesi. GIORNALE LIGUSTICO I3I nostra approvazione, cosi preghiamo a tutti i Prencipi confederati et amici nostri a non permettere che sij dato alcun fastidio o disturbo al detto Tomaso Skimmer, nè a chi si sia che si trovi sotto il suo comando, mentre che starà sopra detto luogo o Isola, nè pure in qualunque parte nel suo o loro passaggio o trafifo, alla sua o loro persona, nè alla sua o loro navi vuote o cariche, nè alle sue o loro mercanzie e beni: e comandiamo a tutti i nostri sudditi et a tutti quelli che in qualsivoglia modo sono sottoposti al dominio nostro, non solo che non impediscano nè si oppongano a lui, nè a qualsivoglia de’ suoi, ma anzi che gli.diano ogni aiuto e favore per quanto ogniuno tiene cara la gratia nostra. Et acciocché ogniuno possa havere notitia quanto ci sia grata questa facenda, dichiariamo per la presente che subito che il detto Tomaso Skimmer ci haverà dato aviso che lui o qualsivoglia persona per lui saranno diventati possessori del detto luogo o Isola, per la bontà e favore di Dio, il quale concede alli figli dell’ uomo i luoghi habitabili della terra, Noi daremo la detta Isola, o quantità di terra, in feudo perpetuo al detto Tomaso Skimmer e suoi successori tanto nati da questo come da nominati da lui, e ciò sotto li modi e forme più convenevoli alla dignità et honore della Repubblica et alla buona fede. Data in Genova nel nostro Reai Palazzo a’ io dicembre 1657. Felice Tassorello Cancelliere e Secretario. Come si è veduto pei documenti sovrà riferiti lo spazio entro i cui confini lo Skynner intendeva eseguile la scopetta di terre od isole da sottoporre alla sovranità di Genova, era da lui indicato fra gli So ed i 160 gradi di longitudine (certo dall’isola del Ferro), e gradi 25 di latitudine da calcolare tanto al nord come al sud della linea equinoziale. Ma queste indicazioni troppo generiche ci avrebbero per fermo condotti a molte divagazioni e conghietture, se a darci precisa contezza dell’ esito della spedizione effettivamente impresa dallo Skynner non rimanesse una importantissima Relazione additataci in buon punto dell’ egregio amico sig. march. Massimiliano Spinola, e indirizzata ai Serenissimi Collegi dal patrizio Gian Luca Durazzo. Costui essendosi nel gennaio 1662 132 GIORNALE LIGUSTICO recato a Londra in qualità d’ inviato straordinario, per congratularsi a nome della Repubblica dell5 avvenimento di re Carlo II al trono britannico, ed avendo in tale circostanza avuto da occuparsi di molti progetti di traffici, navigazioni e scoperte nei quali volevansi interessare i genovesi, cosi scrive nel documento testé citato : « Certo che non è riuscito nella pratica* vano quello del capitano Thomas Skynner inglese il quale con patenti di VV. SS. Serenissime, e sotto lo stendardo della Repubblica, navigò alcuni anni sono nell’ Indie, e stabilì con un Re di Somatra patti e commercio. Non devo ometter la relazione del successo, che cade in questo luogo sì acconcio; ancorché, come pur a me è accaduto, debba gionger assai nuovo ai lettori. « La moltiplicità delle piazze che possedono gli olandesi nella gran costa dell’Indie Orientali, li ha ormai resi in essa arbitri di tutta la contrattazione del mare; si sono in essa percio posti in pensiero d’impedirne ad airi per quanto è in loro potere la libertà et il profitto. Col mezzo di mille pretesti ed estortioni 1’ hanno sempre tentato con l’amici, e con quello della guerra aperta e del corso contro a’ nemici. Nel tempo però che sotto l’impero del Gromuel (sic) si agitava rabbiosissimamente la contesa fra l’Inghilterra et i Stati, non osò alcun vascello della Gran Bertagna di passare senza gran scorta la linea, o di tentare il traffico interdetto dalla natione nemica. In questo stato di cose desideroso N. N. (i) di conseguire con 1’emporii dell’Oriente l’antico commercio senza 1’ evidente pericolo che riteneva la maggior parte degli inglesi, in quel tempo si valse di navigare sotto nome d’altro Prencipe amico all’Olanda, e per mezzo di Francesco Bernardi ottenne patenti da VV. SS. Serenissime, perchè a nome loro potesse contrattare et aprir comercio con qualsivoglia (i) Cioè lo Skynner. GIORNALE LIGUSTICO 133 Prencipe di quelle parti. Con questo amparo, alberato nello stendardo della sua propria natione quello di Genova (che da questo non si distingue), navigò felicemente alla grand’ isola di Somatra vicino al capo di Commorino nella gratitudine (sic) di gradi... e di gradi... di longitudine australe. Questo Regno amplissimo, ricchissimo, ma di religione idolatra o maumet-tana, era governatp in quel tempo da varii re. Qui espose egli a quello di Jambi il desiderio di aprire con quelle pro-vincie utilissimo traffico, e dimandò per premio e sicurezza di esso (coni’ han fatto in altre parti gli olandesi) qualche porto ridotto. Il Re sperando dalle offerte di costui profitti eguali a quelli che 1’ europei cavano (da) molti regni di quelle coste, gradì la propositione e patteggiò per essa la concessione di varii privileggi et il libero possesso di un isolotto contiguo al lato meridionale del Regno (1). Presi e dati dall’ Inglese con la Serenissima Repubblica i soliti giuramenti di fede sopra le promesse et il feudo, fece nell’ isolotto qualche palesate (2) più per disegno che per principio di fabrica; caricò qualche poche mercantie per pruova del nuovo negotio, e con l’origine (3) del contratto stabilito se ne ritornò felicemente alla patria. » Più fra 1’ ordine de’ mercadanti che fra quello de’ corteg-giani si sentiva qualche sussurro del fatto, et io lo credetti od amplificato 0 postimo (?) sino che non ne hebbi dal Capitano medesimo relattione distinta e comprovata dalle lettere originali del Re col tenor del contratto, e dal disegno stesso del luogo. Confesso che alla vista delle nostre insegne spie- (1) La città di Jambi è situata non lungi dal mare nella parte orientale dell’isola di Sumatra, alla longitudine est di circa gradi 121 % ed alla latitudine sud di gradi 1 '/,. (2) Palizzate. (3) Originale. 134 GIORNALE LIGUSTICO gate in quelle delineationi tra barbari, et alla lettura del nome genovese vennuto nell’Asia, sentii nel mio interno una dolce tenerezza in risguardo de quelli tempi la di cui memoria deve insieme insuperbire e confonderci. Tornando al punto, quest’huomo non fu da me o per vanità o per interesse; anzi vi fu chiamato dalla convenienza e curiosità mia a dar conto di questo successo; nè hora che è stabilita tra gl’ inglesi et olandesi la pace, ha egli più bisogno dell’assistenza e del-1’ amparo della Repubblica. Ben è vero che non pensa perciò d’alterare o il titolo della possessione, o la formalità del contratto a favore della nostra natione ; anzi stando in quel tempo per venire nell’ impresa qualche compagni con fine di ritornare al posto con più vascelli e più fondo, si mostrava pronto di passare dal comando all’ ubidienza, e di capo diventare braccio quando da VV. SS. Serenissime si volesse intraprendere o seguitar l’impresa » (i). Il brano della Relazione testé prodotta ci apprende soltanto una delle ragioni per cui gli stranieri cercavano di ottenere la protezione della Repubblica. Ma altre e non leggiere ci sono pur note per altri capi della Relazione medesima: la ricchezza ed i capitali dei genovesi, fiorenti ancora per operazioni di finanza e di banco, e la proverbiale arditezza loro nelle imprese marittime, temperata da quella prudenza e da quel colpo d’occhio che ne assicurano il successo. Cosi, per esempio, al capo X della parte II, scrive il Durazzo che •allorquando accompagnato dal gentiluomo Sinibaldo Fieschi recossi a visitare il Duca d’York, il Segretario di quest’ul- (i) Archivio di Stato: Instruttioni e Relationi de' Ministri della Serenissima Repubblica di Genova stati in diversi tempi appresso il Gran Turco ecc., raccolte da Tommaso Fransone. Ivi: Relazione deir ambasceria straordinaria in Inghilterra al re Carlo II, per congratulattione del ritorno al suo Regno, fatta nel mese di genaro 1662 dal signor Gio. Luca Duralo ; parte III, capo VI. giornale ligustico I55 timo ebbe a dichiarare al detto Fieschi cho « come Cancelliere della Compagnia della Nuova Ghinea avea commissione di esse da me (cioè dal Duralo) per invitare i Genovesi ad entrare in essa, et havere parte in un negotio della sua natura utilissimo, risvegliato hora con fervore particolare del Duca, con la participazione di S. M., del Principe Palatino, Cancelliere Duca di Arbelmel et altri signori principali della Corte; havere questa Compagnia una gran provincia e più porti nella vastità del paese novamente saputo e palesato dagl’ inglesi sotto questo nome, e tenere questi pronti alle vele cinque poderosi vascelli per 1’ espeditioni necessarie. Aggiùnse varie cose notabili sopra il gran benefìcio di questo trafico praticato' da quei mori con la commutatione d’ oro rozzo per sale e d’ altre merci di vile prezzo » (i). Seguita poi notando come essendogli riferito dal Fieschi siffatto discorso, egli se ne aperse a persona bene informata, dalla quale intese « come questa Compagnia era stata stabilita con fondamento d’ ottime speranze, ma che il malo governo di essa... 1’ havea posta in grandissimo scapito ». E perciò venne a questa conclusione, « che non solo al desiderio di più stretta corrispondenza , ma a quello forse dei denari genovesi si prendesse la mira ». • Similmente nel capitolo V della parte III, tratta il Durazzo dei disegni di un indiano « nativo del regno di Cocino », il quale caduto in potere dei corsari e poi liberato dai portoghesi,1 aveva approdato in Inghilterra dopo l’adempimento del voto da lui fitto di visitare i luoghi santi della Sorìa. (i) La Nuova Guinea era il sogno dorato de’ navigatori, geografi ecc. del secolo XVII. Anche Benedetto Scotto disegnando compiere la sua avventurosa corsa pel mare artico, si proponeva discendere fino a quel continente australe i cui primi lochi erano stati scoperti appunto colla Nuova Guinea, che egli appella paradiso terrestre, e che promettevano tanta (eliciti di sito e di vivere sociale. Ved. xAtti, vol. V. 555 e 352. I’6 GIORNALE LIGUSTICO Questo indiano, scrive l’ambasciatore genovese, « fondato su la matematica speculativa e su la navigatione lungamente praticata nella vastità dell’Oceano. offre... di Scoprire un nuovo traffico non ancora penetrato dall’ inglesi, dal-l’olandesi nò da’ portoghesi, in cui con molto maggior vantaggio dell’ altri dell’ Indie si potrebbero con la commutazione delle merci nostrali di poco prezzo portare in Europa le più ricche e pretiose dell’ Asia ». Propone inoltre « di ^ritrovare nell’ istesso viaggio un vastissimo paese al presente incognito all’europei; il quale in riguardo della sua costitu-tione e situatione del clima, come per 1’altre ragioni >_on\.tementi che saran palesate a suo tempo, deve contenere in se tutto quello di più utile si cava dall’ altri regni dell Indie. Queste grandi esibitioni sono state da lui più distintamente estese in un foglio lasciato presso di me ». Poneva poi 1 indiano summenzionato per condizione che i genovesi « allestissero due o tre vascelli carichi di mercantia a vile prezzo » , ed affermava che tanto era sufficiente per dare principio al-l’impresa. Anzi « con questo equipaggio assicurava egli in poco più di un anno un ritorno si dovitioso et una >pruo\a sì manifesta delle sue promesse, che non mancherebbero poscia o denari o partecipi per stabilire con 1’ usura di questo trafico armate, presidii e colonie nella nuova conquista ». ^ — « Parvemi (termina il Durazzo) d’havere così dato sul-iìciente base al negotio, sopra di cui si conchiuse con riserbare a trattare tra’ trafficanti della nostra nazione; esibendosi egli intanto pronto a venire per imbarcarsi, senza havere una sicurezza di premio » (i). L. T. Belgrano. ^i) Tralascio di riferire altri esempi; ma non so ristarmi d.il segnare almeno quello di due proposte fatte del pari in Londra al Dura/zo un « cavaliere italiano molto esercitato nelle navigationi del Mediterraneo ». L’una di esse consisteva nel disegno di esplorare un'isola disabi- GIORNALE LIGUSTICO x37 LETTERA DI LAUDIVIO DA VEZZANO sulla caduta di caffa Nola bibliografica delle sue opere e correzione intorno al suo cognome Non è mio proposito tesser qui una biografia del nostro vezzanese, dopo che il P. Spotorno disse di lui con chiarezza e dottrina, quanto gli fu dato raccogliere e dalle poche e sterili notizie recate dall’ Oldoini, e dalle dedicatorie delle sue opere, e finalmente dal Tiraboschi, che prima di lui ebbe cagione di scriverne. Io divisava in quella vece compilare una nota bibliografica delle varie edizioni degli scritti di Lau-divio, e por fuori nuovamente quella sua bellissima lettera, che giacendosi nel voluminoso epistolario del Cardinale Ammanati, libro tenuto in gran conto, ed assai raro, non tu pregiata quanto merita fino a qui, e quasi potrebbesi dire inedita. Se non che ricercando tutti gli autori ne’ quali è menzione di lui, parvemi non concordassero nello assegnarlo alla famiglia Zacchia, imperciocché alcuni apertamente lo vogliono dall antica casata dei De Nobili ; od in vero le investigazioni da me fatte per discoprire la verità intorno a tata presso le coste dell’Africa, e sottoporla al dominio della Repubblica. L’ altra aveva per iscopo la colonizzazione della Corsica con quindici o ventimila persone che avrebbero potuto trasferirvisi di un terreno occidentale della Grecia « assai sterilç, e sopra tutto soggetto doppo le guerre al tributo del Turco ed alle contributioni dei Veneti, e però bersaglio al furor de’ soldati et alle vicende della campagna. I popoli di esso ridotti horamai da quest’ angustie a vivere sepolti nelle caverne... have-rebbero commutato con qualsivoglia servitù rigorosa il beneficio della trasmigratione da quel doppio giogo; et... molta di quella gente già trasportata in Malta, in Candia et al travaglio delle miniere ne’ Stati patrimoniali dell’Arciduchi erano riusciti forti al travaglio e docili a qualunque mestiere ». Relaz. cit., par. Ili, cap. VI. • » io i38 GIORNALE LIGUSTICO ciò, m’inducono a dovere starmene in tutto ai secondi. Esporrò in breve i criteri che a cotesto argomentare mi condussero. Il dottissimo Tiràboschi (i) ragionò del nostro Laudivio toccando della sua tragedia sulla morte del Piccinino, la quale conservasi manoscritta nella Biblioteca Estense, or Palatina, di Modena; ma leggendo Laudivius Veranensis come avea innanzi letto l’erudito Maffei, s’avvolse in conghietture, sembrandogli fosse egli autore napoletano ; il che argomentava eziandio dalla prefazione alle note lettere del Gran I ureo, dove e dichiara d’ averle corrette in Cinciano nel Regno di Napoli. L ab. Morelli però avvertiva il Tiràboschi che Veranensis era da leggersi nel codice, sì come e’ si dichiara nella lettera all Ammanati, e che della famiglia Zacchia lo dice 1’ Oldoini nel suo Ateneo Ligustico. E veramente chi riguardi alla pag. 393 di questo libro, leggerà Laudivius Zacchia e Vectiano Eques Hierosolymitanus etc.), e subito dopo un altro Laudivio Zacchia del secolo XVII, che 1’autore ha dovuto appellare il giovane. Se non che a pag. 59 dell’ opera stessa così e’ discorre d Ar-manno de Nobili: Armannus Nobilis seu de Nobilibus ligur e Vectiano, Laudivij Equitis Hierosolymitani, de quo inferius, frater etc.; or di questo Laudivio niuna menzione se ne trova, come promette 1’ Oldoini, più innanzi (inferius), si veggonsi ricordati i due Laudivi Zacchia di sopra accennati. E sembrami si possa fin d’ ora avvisare, che per un materiale errore sia avvenuto all’ Oldoini nello scrivere due medesimi nomi, apporre ad essi lo stesso casato. Tanto più che il medesimo autore nella breve biografia del Cardinale Paolo Emilio Zacchia, fra le aggiunte da lui fatte al Ciacconio, dimostra molto bene di sapere che il Laudivio nostro è dei De Nobili. In fatti detto della madre di Paolo Emilio, che fu Veronica De Nobili, segue in questa guisa : Matris maiores J'ectiani (1) Stor. Le't.'; T. 6, par. 5.», p. 1300 (Classici). \ GIORNALE LIGUSTICO 139 aliorumqtie plurinm circa oppidorum Domini, non alium cognomine, nisi dominorum Vectiani primo, mox de Nobilibus appellati snnt, ijdeinque non solimi Romana in Aula, in qua Laudivius Miles Hierosolymitanus, qui Nicolao V. Pontifici Maximo intimus fuit, et familiaritate et cubiculo, orbique universo epistolis, tum ad Jacobum Cardinalem Papiensem, titm ad alios datis clarus, sed etiam alibi, e^prudentiae, laude dignitatibusque claruerunt (i). Fatto così palese l’errore dell’Oldoini, parmi dicevol cosa recare alcun’ altra autorità a conforto della mia opinione. Ippolito Landinelli canonico sarzanese, scrittore de’ Trattati Storici di Luni e Sarcana che egli dettava intorno al 1605, ed inediti fino a qui, narrando dei privilegi concessi dagli Imperatori ad alcuni Nobili di Lunigiana, tocca di quelli divezzano, e rammenta come splendore di questa famiglia il nostro Laudivio (2). L’Angeletti scrittore eziandio de’ primi del secolo XVII e vezzanese, in quel suo manoscritto intorno agli uomini illustri della sua patria, che si conserva nella Civica Biblioteca genovese, lo accenna sì come dei De Nobili recando le stesse parole dell’ Oldoino nelle aggiunte al Ciac-conio qui sopra prodotte. Di sua prosapia cel dice Giovanni Antonio De Nobili nella Descrizione 0 sia Relazione Genealogica della famiglia De Nobili di Vezz^no edita in Modena nel 1733 (3) c lo fa discendere da quel Guiduccio, che fu degli ultimi ad ottenere privilegi imperiali. Di tale stirpe lo predica Buonaventura de Rossi si nelle Collettame manoscritte, sì nella Vita di Nicolò V, uscita in Milano nel 1719 (4); e cosi anche Domenico Bernucci ne’ suoi manoscritti cenni degli Uomini illustri Lunesi, compilati sui primi del nostro secolo. Nè lo toglie a codesta famiglia, ed è osservabile, (1) Ciacc. Vît. Pont. Romae 1677; T. IV. col. 325. (2) Cap. 28. (3) PaS- 52- (4) Pag. 140. 140 GIORNALE LIGUSTICO Francesco Antonio Zacchia, teologo della Repubblica sullo scorcio del passato secolo, là dove lo ricorda nella Descrizione dei due Fenili (1); discorrendo bensì della famiglia Zacchia di nuovo il Laudivio rammenta sopra 1’ autorità del Biagioli, ma colla seguente chiosa : benché da nitri si faccia dipendente della famiglia de’ Nobili, come di sopra abbiamo veduto. Ed è verità che Giovan Battista Biagioli seguendo l’ateneo dell’ Oldoini, de’ Zacchia lo dichiara nelle note alla Storia dell’ Apparizione di Maria Santissima in Fe^ano (2); nel quale errore cadde Emanuele Gerini nelle Memorie degli Illustri Lunigianesi (3), e lo Spotorno nella Storia letteraria (4); e finalmente il sacerdote Fedele Luxardo nel suo libretto degli Uomini illustri di Ve^ano, dove prima ragiona d’un Laudivio De Nobili fratello d’Armanno, e poscia di Laudivio Zacchia; facendo, indotto in equivoco dall’ Oldoini, due persone d’ uno stesso soggetto (5). Parmi aver recati argomenti bastevoli per togliere ogni dubbiezza sul vero cognome del nostro lunigianese, laonde a buon dritto quind’innanzi dovremo appellarlo Laudivio De Nobili. Intorno al suo valore letterario ci lasciarono ottima memoria alcuni contemporanei, non sembrandomi da dover tenere gran conto del poco onesto giudizio, che di lui scrisse il Pontano, ben sapendosi quant’egli fosse acre e maledico; molto peso in vece dee avere quel tanto di bene cantò di Laudivio il celebre Battista Guarino, il quale in una elegia indrittagli scrive: Laudivi celebres inter numerande Poetas, Quos sacra Cyrrhei nutriit unda lacus; (1) Bib. Universit. di Genova; MS. B. V. 52. (2) Genova 1770, p. jo. (3) T. 2.* p. 85. (4) T. 2.* p. 286. (5) Pag. *ï6 e 19. GIORNALE LIGUSTICO 141 la ^qual lode parvegli giustizia compartire ad un poeta, che ne suoi versi non avea rispettato suo padre, mostrando averlo in poca stima. H se le sue opere poetiche ci fossero rimaste, maggiore, per avventura, sarebbe anche oggi la sua fama si come suonava nel secolo XV. Solamente la sua tragedia a noi pervenne manoscritta, della quale, come ho accennato, dice brevi parole il Tiràboschi palesandoci il soggetto senza più. Ma lo stesso erudito modanese, un più esteso giudizio ed un estratto ne inviò al Napoli-Signorelli in servigio della sua Storia dei teatri antichi e moderni, nella quale opera leg-gesi impresso. Pochissimo sapendosi di questa tragedia ho reputato utile trascrivere quell’estratto, che gioverà a dare una idea della struttura di questo lavoro drammatico. « De Captivitate Ducis Jacobi tragoedia. Contiene cinque atti senza divisione di scene, e solo in margine si segnano i personaggi che parlano, e qualche volta s’indica l’argomento della scena. Nell’ atto I. leggesi in margine Rex Borsitis loquitur; ed in fatti seco stesso egli parla a lungo delle prodezze del Piccinino ; indi sopraggiunge un sacerdote che narra varii funesti prodigi, e dopo aver molto l’uno e l’altro cianciato termina 1 atto con un coro. Trattasi nel II. atto dei mah apparsi dopo la pace fatta, e gl’interlocutori sono un augure, il coro ed un messo che nulla dice più degli altri. Nel III. la scena passa da Ferrara a Napoli, ed in esso un ambasciadore del Piccinino al re Ferdinando dà avviso della venuta del generale, ed il re promette accoglierlo onorevolmente. Termina quest’atto col coro che cantarle lodi di Drusiana moglie del Piccinino. Il IV. atto è il più bizzarro. Il re alterca col carnefice, esaminando se debba uccidersi il Piccinino tosto che, fidando nel trattato, venga in suo potere. Il carnefice insinua che si uccida, e la di lui eloquenza prevale. Si vede poscia il Piccinino nella prigione. Il carnefice viene ad intimargli l’ordine della di lui morte: 142 GIORNALE LIGUSTICO Dux Jac. — En jam satelles adest, nuque petit. Satel. — Dux, martis auctor potens, bellis inclyte, Piget, dicam, piget: tibi fero necem: Sic rex jubet, jam colla tende gladiis. Il duce si sottopone alla condanna ed è ucciso; dopo di clic dice il carnefice: Quam graviter diram constans tulit necem. Indolui huic tam duram sortem accidere. Sed redeo ad regem; jam perfectum est scelus. L’atto termina col coro, che in compagnia di Drusiana compiange la prigionia del Piccinino. Nel V. atto la scena torna a Ferrara. Un messo racconta al Duca Borso la sventura del Duce, e la tragedia termina con un coro. E un componimento languido e difettoso, nè la condotta, nè lo stile invita a desiderarne l’impressione; ma pure è tragedia, ed ha il pregio di essere una delle prime di argomento tratto dalla storia moderna nazionale » (i). L’arte drammatica a’ tempi di Laudivio era sugli inizi, non è quindi da riprendersi 1’ autor nostro se non condusse il suo lavoro con miglior forma, e non riuscì a infondervi quella vivacità tanto necessaria all’ azione teatrale. Onorevole documento invece di sua saggezza, d’animo generoso, e di nobile sentire è senza meno la Epistola indiritta al cardinale Ammanati. Trovasi in essa quello stile vigoroso confacevole all’era classica, unito ad una maschia eloquenza non indegna del Bessarione o del Ruteno, sì come ognuno potrà agevolmente giudicarne, leggendola qui innanzi riprodotta. Viene in essa descritta la presa di Caffa per opera dei Turchi, e si dà notizia degli apprestamenti fatti in Rodi dai Cavalieri gerosolimitani, per resistere agli infedeli; eccitansi i potentati ad inviare soccorsi, dimostrando quanto s:ano dan- (i) T. IV, pag. 136. (Ediz. Napoli 1813). GIORNALE LIGUSTICO M-3 nevoli alla cristianità i progressi dei nemici. Di sì fatto documento non lasciò di far menzione il eh. Heyd, giudicando come 1’ autore si mostri bene informato dei particolari di quella impresa memoranda; non senza avvertire però che la pompa oratoria del descrivere, l’ha condotto ad esagerare un poco le nefande scene di sangue commesse dopo la conquista (i). Il nostro Laudivio trovavasi adunque in Rodi, quando minacciata dagli infedeli si preparava a resistere, a dare al mondo una splendida dimostrazione di fortezza e di militare sapere. Io non trovo nello storico della .Religione gerosolimitana il nome del vezzanese insigne; ma leggendo la lettera eloquente, inviata in quel tempo appunto dal Granmaestro al Papa, e ai Re di Napoli e Francia, parmi scorgervi la mano del ligure nostro ; sì uniformi io trovo le frasi ed i concetti d’essa letterj, con quella indiritta al Cardinale di Pavia: giovi ad esempio il seguente periodo: « sentirà bene il perfido nemico » dice il Gran maestro « che egli non ha che fare con imbelli e poco pratici soldati, e ben s’accorgeranno questi cani, eh’ eglino non haveranno a menar le mani contra delicati, effeminati e molli soldati asiatici. Noi abbiamo qui valorosi b buoni (ancorché pochi) soldati, e siamo d’ordigni di guerra, di macchine, d’artigliane, di formento e di munitioni abbondantemente provveduti e forniti per poter sostenere e resistere alle nemiche forze, e per aspettare 1’ aiuto et il soccorso de’ fratelli nostri, nel quale tutto lo stato e la speranza della difesa nostra riposta habbiamo. li parimente la città di Rodi non senza spesa grandissima di mura, di fossi, di bastioni e torri diligentemente fortificata e munita » (2). A chiarire questo sospetto niun documento mi soccorre, ond’io mi contento dello averlo semplicemente accennato. (1) Le Colonie Commerc. degli Ital. in Oriente nel Medio Evo, Voi. 2, p. 161. (2) Bosio, Jst. della Relig. G eros., Par. 2.*, p. 401. 144 GIORNALE LIGUSTICO Resta da ultimo si dia luogo al novero delle sue opere, raccolte dai più riputati lavori bibliografici, tanto grande essendo la rarità delle edizioni che non mi fu mai concesso vederne alcuna; e solamente ebbi fra mano le due versioni delle Lettere del Gran Turco. A proposito della quale opera è uopo sia manifesto come oggimai, per consentimento degli eruditi, deb-basi avere in conto di lavoro originale del qostro Laudivio. Questi volle con quelle lettere, secondo parmi, dimostrare a qual segno era giunta la baldanza di Maometto, ed in quali termini trovavjsi con i diversi principi, a fine d’ eccitare i potentati a quella lega, che sola poteva rintuzzarne il fortunato orgoglio. Questo mio avviso ruiscirebbe eziandio a spiegare la moltiplicità delle edizioni uscite nel secolo XV, e la non lieve fama che ne venne all’autore; il quale oltre all’essersi palesato robusto scrittore, potrebbe in tal caso aver vanto eziandio di politico non comune. E il nome illustre procacciatosi in que’ difficili tempi, non fu per nulla oscurato dalle critiche dei malevoli di cui egli tocca, e nel preambolo alle cennate lettere, e nella epistola al Cardinale Ammanati, imperciocché a traverso dei secoli giunse a noi, in un colle sue opere, debitamente onorato. I. Laudivius Vezanensis Eques Hierosoliniitanus Cardinali Papiensi. Quae nuper apud Schytas Europae ab imanissimo Rege Tureorum in Ponto gesta sunt, etsi omnia calamitatibus plaena videantur, ea tibi paucis referre institui, ut sentiat tandem Romanus Pontifex, atque universus orbis Senatus hanc maximam omnium cladem cum summo Christianae Reipublicae detrimento accoeptam. Quum tantae praesertim victoriae barbaris accessio facta sit, ut non modo rei huius nova perturbatio universi quidem Orientis animos invaserit, sed omnia Tureorum posse viribus expugnari praedicent homines; et qui Euxinum mare atque Aegeum tenent, fugam potius quam arma meditentur; atque ea vis animorum, quae olim maioribus nostris fuit in exercitu christiano fracta; nec ullam spem GIORNALE LIGUSTICO *45 salutis positam in nostris intelligo nisi Occidens universus ad arma co-niuret, atque uno tempore terra marique Tureus oppugnetur* Nam tot bellorum impensis rem pertrahere non video quid profuturum sit, post enim captam Bizantium, quae in Propontide_ sita est, quantas calamitates Christiani accoeperint nisi teneres omnia', referrem. Itaque Graecis primum ludibrio habitis, mox ad barbaros ferro penetravit, Missiosque et Treballos superioribus annis variis afflixit cladibus. Nuper vero in Tauricam Cher-sonessum ingenti classe comparata navigavit, et quum legiones militum in terram exposuisset, insperato Scythas aggressus, atque urbem Theo-doxiam, quae nunc a barbaris Cafa appellatur, Genuensium coloniam magna vi coepit oppugnare; Rex ipse vero Scytharum tanta belli mole oppressus, cum mille et quingentis equitibus in urbem sese recepit; cae-teri vero qui in aciem educti fuerant militum proditione ajl Tureum descivere. Itaque nulla pugnandi intermissione oppidanis facta, diebus quatuor, et totidem continuis noctibus exercitu propius admoto pergit obsessos expugnare. Pars vero civium qui sese intra urbis vallum ac moenia tutabantar, quum vim hostium ingruentem ferre diutius non pos-sent, ab obsidione liberari apud magistratos suos flagitabant: reclamantibus illis seditio orta est, itaque oppidani proditione facta sese mox hosti dediderunt. Tureus vero post urbis captae victoriam quum ingentem praedam militibus suis divisisset, mox ad omnia suppliciorum genera in captivos animum convertit. Itaque impetu facto ex licentia ferri desaevire barbari coeperunt; quotquot enim obviam excepti militum gladiis trucidabantur. Nullus fuit in captivos misericordiae locus, nulla in Deum pietas, et religio, nullum etiam crudelitatis genus omissum. Alii quidem inexcogitato suppliciorum genere torquebantur, alii inter varios cruciatus miserabili fato exanimati sunt, nonullos vero ad necem usque verberibus caedi Rex ipse imperavit. Consulem quoque ipsum atque urbis Praetorem capite truncavit. Patricios vero omnes, et universum quidem Senatum ferro aggressus est. Cives enim ex senioribus trecentos ad unum interemit, mox in reliquam plebis multitudinem furore debaccatus. Audires teneros infantium vagitus, et tristes parentum lachrvmas, atque urbe tota saevos passim matrum ululatus. O quam triste omnibus spectaculum fuit, in tanta urbis atque hominum strage ubique morientium gemitus, et opepi implorantium vota exaudire. Sed Tureus multo ferocior ad omnia stetit immobilis, nec unquam oculos ad misericordiam deflexit, sed contempta Dei religione tam immane facinus aggressus, ut humana simul et divina permisceverit. Non aris ille Sanctorum pepercit, non templis maiorum, non pueris denique et virginibus, quos satellitum manibus attractos in conspectu paren- GIORNALE LIGUSTICO tura iussit occidi. Matronas quoque nobiles et iam senio confectas, nullo sexus disoitnine habito, trucidari imperavit. Itaque nullus fuit crudelitati modus. Postea vero praesidiis militum in urbe capta dispositis, ipse omnem Pontici maris oram classe depopulatus. Hinc ad Getas, qui trans Danubium incolunt, arma convertit, ut arcem eorum munitissimam expugnaret, et iam castra admovit. Huic tamen ab oppidanis in dies acrius resistitur, ut incertum sit ad quos potius victoria declinet. Habes igitur infoelicis belli exitum, quod nuper in Taurica Chersonesso gestum. Quid enim graviora expectamus? quotidie maiora quidem Tureus in Christianos molitur, et incredibili exercitu comparato bellum renovavit, ut in Italiam classe traiiciat. Atque de insulis Aegei omnibus actum, si vera sunt quae nobis quotidie formidolosa nunciantur. Quid facimus igitur Christiani? Quid in tanta belli mole dormitamus, tanquam nihil ad nos spectet? Nemo est qui tantae* cladis meminerit quanta xx. fere superioribus annis ac-coepimus. Ubi vis illa^nimorum est, quae olim maioribus nostris fuit? ubi nominis latini maiestas? ubi denique bellica Romanorum virtus et imperii gloria? atque utinam falsus sim, de Christianis actum nisi maturius hosti occuratur. Jam minori dominatur Asiae, et omnis Pontici maris ora nuper illi adiecta. Signa quoque ad Tanaim et Meotidem usque provexit, et Graecia omnis in potestatem bello redacta. Paucae tamen adhuc maritimae urbes in fide retinentur, libertate Venetorum defensae. De incredibili vero Rhodiorum virtute ac militum nostrorum constantia bene sperandum est, nam magnitudine quidem animi et armorum exercitatione longe caeteris praestare videntur, atque omnia ad necessarios belli usus in dies comparamus, et nobis rerum commeatus abunde suppetunt; urbem vero ipsam moenibus et ingenti vallo clausimus, atque omnes machinas et tormentorum genera ad vim hostium arcendam murorum propugnaculis ereximus, ut si quando belli usus evenerit non tam constanter hostem excipere videamur, quam fortiter propulsare. Vale felix, ac Laudivii tui memor, quem scias tui profecto studiosissimum esse, ac tuum nomen in hos usque Orientis populos extollere ac praedicare. Vale iterum. Rhodi calendis Augusti mcccclxxv. De insularum Geographia, quam tuo nomine edidi, iudicium expecto, quamvis Romae, nunc pueri nasum rhynocerontis habent, et ipse doctorum aures acutas nimium reformido; sed te judice forum non declinabo, etiam si omnes reclament, nam scio caeteris placitura quae tu non improbaveris. Sentiant maledici quid velint, nos quidem ea in communi scripsimus utilitate, non dicendi gloria quaesivimus. Vale (i). (i) Quest’opera geografica, noia 1'editore della lettera, t andata perduta. GIORNALE LIGUSTICO 147 II. 1. Lavdiuh equitis iiierosolimitai (sic) de laudibus sapientie ac virtutis exhortatio, ad d. Malitiam Caraffam. Ad calcem tantummodo legitur. Finis. In 4.0 minori. Eodem charactere Gensbergii impressa est haec opella, quo « Vita S. Hieronymi » , pariter sine signaturis, custodibus et foliorum numeris, et tota absolvitur quinque paginis, et fere dimidium alterius (De Licteriis, Catal. Cod. saec. X.V. impress. R. Bib. Borb. Neap. 1830, T. II). 2. Lavdivivs Eques Hyerosolimitanus ad Franscinum (sic) Beltrandum bachinonensem (sic) de vita beati Hieronitni. In calce: Et sic est finis. In 4.0 Character rom. rudiusculus Johannis Genisbergii, folia x, sine signaturis, cust., et pp. num. (Audiffredi). 3. Laudivii Equitis Hierosolymitani, Vita Beati Hieronymi. Neapoli 147) die 14 julii. — In fol. Non trovo alcun’ altra indicazione nei bibliografi. 4. Lavdivivs Eques Hierosolymitanus, ad Francinum Beltrandum Ba-rohinonesem (sic). De Vita Beati Hieronymi. In calce : Finis uite Hieronymi per Laudiuium equitem hierosolymitanum edite millesimo quadringentesimo septuagesimo quinto, die vicesima secunda no uembris, in alma urbe Roma. In 4.0 parvo. Haec editio videtur prodiisse ex officina Udal. Han. Con stat ex 12 chartis; paginarum lineae 27, charact. romanus est (Audif FREDl). 5. Lavdivivs Eques Hierosolimitanus Ad Francinum Beltrandum Ba-rohinonensem (sic) De Vita Beati HUroninn. In calce : Finit uita eximii doctoris Hieronymi edita per Laudiuium equitem Hierosolimitanum. Impressa in alma urbe Roma. MCCCCLXXXXII die t ero XI julii. In 4.0 Carachter romanus elegans Johannis Besichen, folia xii cum signaturis (Audiffredi). 6. Laudimi (sic) Equitis Hierosolimitani ad Francinum Beltrandum comitem in epistolas magni Turci praefacio. In fine: Epistole magni Turci finiunt: a Laudinio equite hierosolimitano edite. Deinde: De Hermofrodita (sic) per d. An. Parnormitanum (sic) Carmen decasticon. In 4.0 par. s. 1. a et typ. Editio haec vel ipsi Udal. Han Barbato, vel alicui cius, sive discipulo, sive imitatori omnino, tribuenda est. Constat 148 GIORNALE LIGUSTICO ex xiv plagulis, caretque signaturis, numeris, custodibus et registro (AuDrF. Hain). 7. Laudinii (sie) Equitis Hierosolimitani ad Francinum Beltrandum Comitem in Epistolas Magni Turci Prefatio. In fine: Epistole M. Turci Finiunt a Laudiniÿ Equite byerosolimitano edite que sunt LXXXX numero. Sequitur: De Hermoplirodita per d. An. Panormitanum Carmen Decasticon. Ad eius calcem: D. Finis S. S. 1. a. et typ. n. 4 min. r. eh. c. s. a-c, 23 1. (Hain). Nel Catalogo Crevenna (1776, T. 4, p. 278-70) si descrive questa edizione , ma nè manco si corregge il nome di Laudinio. 8. Hoc in volumine haec continentur : Epistolae Maumetis Tureorum imperatoris ad diversos principes. Epistolae Diogenis Cynici Philosophi acutissimi. Epistotae M. Bruti: quas graece conscripsit, quum ipse et Cassius mortuo Caesare cum Dolabella pro Syria Asiaque provinciis sibi per Senatum decretis bellum gerunt. Hyppocratis Clioi medicorum''principis epistolae. Sequitur deinde: Epistolarum Magni Turci argumentum ; tunc Magni Turci Epistolae: ad diversos principes: quas Laudinius (sic) eques Hierosolymitanus latinas fecit. Epistolae terminantur folio xii recto hac clausula : Epistolae Magni Turci finiunt: a Laudinio (sic) equite Hierosolymitano editae. In postica eiusdem folii fac,ie incipiunt: Diogenis cynici: M. Brute Hippocratis medici: ac magni Turci epistolarum Finis. In 4.0 sine notis typograficis. Nec chartae, nec typorum pulchritudo desideratur in hoc libello, custodibus, numeris plagularum, signaturisque referto: lineis 30 constant paginae, integrae nisi ob spatia admodum frequentia pauciores sint ; et rotundo implentur charactere. Initialis prima parvae est formae (De Licteriis, Cat. Cod. saec. XV. impress. Reg. Bib. Borb., T. Ilj. 9. Lavddjii (sic) Eqvitis Hierosolimitani ad Francinum Beltrandum Comitem In Epistolas Magni Turci Praefatio. Fol. 20 a: Epistolae Magni Turci Finiunt: A. Lavdino Equite Hif.rosolimitano Editae. Sequitur : De Her-mofrodita (sic) per d. An. Parnormitanum (sic) Carmen Decasticon. Ad eius calcem: Finis G. F. T. Fol. 20 b. — 22 a. tab., in cuius fine: Finis tabulae epistolarum Magni Turci: quae sunt. LXXXX. S. L a. et typ. 4.0 goth. ehar. cum ff. num. 22 flf. (Tarvisii Gerii, de Flandria. (Hain). L’ab. Morelli interpreta pure le sigle: Girolamo Fiammingo Trevigi; e perchè il Clement stupì che non fosse stato avvertito da alcuno trovarsi GIORNALE LIGUSTICO I49 in fine del volume I'Hermaphroditus del Panormita creduto inedito, nota lo stesso Morelli che quivi non leggesi 1’ opera del Panormita, che è divisa in due libri, s\ un epigramma di dieci versi che nò manco è suo (Tirab. Stor. Lett. Ital., ediz. Class., Ton1. 6, par. 3, pag. 1301 in nota). 10. Epistolae Magni Turci a Laudivio editae. Praecedit: ad Francinum Beltrandum Praefatio. Opus terni, c. duabus epp. amatoriis ad Sigismundum ducem Austriae. 3 ff. S. 1. a. et typ. n. 4, goth. charact. 23 ff. (Esslingae, Cour. Fyner), (Hain, Panzer). 11. Epistole Turci Magni ad multos scripte, et epistole rescripte ad eundem numero nonaginta. F. 2 a: Laudinij (sic) equitis hierosolimitani ! ad Francinum Beltrandum Comitem in epistolas Magni Turci praefatio. F. 15 a: Epistole Maumetis Turci Magni fmiunt a Laudinio equite hierosolimi-tano edite: que sunt nonaginta numero. In 4.0 s. 1. a. et typ. char. goth. sine signaturis cust. et pp. num. 29 lin., 15 ff. (Argentor, typographus ignotus; Panzer adfirmat caract. Georg. Reysen). (Hain, Panzer). 12. Laudiuii Equitis Hierosolymit. Epistolae Magni Turci. Praeit epistola ad Francinum Beltrandum comitem. S. 1. a. et typ. 4. r. eh. c. num. in fronte foli. (Hain). 13. Laudinu (sic) Equitis ierosolimitani Ad Francinum Beltrandum in epistolas Magni Turci Prefacio. F. 12 a: Episiole Magni Turci finiunt, a Laudinio equite ieroSolimitano edite. Impresseque Antwerpie per me Mathiam Goes. S. a. 4. goth. char. c. s. 30 1. 12 ff. (Hain). 14. Epistolae Magni Turci’a Laudivio Equite Hierosolymitano latine edite. Praeit Laudivii equitis hierosolimitani ad Francinum Beltrandum in epistolas Magni Turci praefatio. Absolvitur lin. 16. Subnexum est: Argumentum epistolarum, quod f. 16 lin. 11 absolvitur. In fine fasciculi secundi, qui ternus est: Epistole Magni Turci finiunt. I11 4 0 s. 1. a. et typ. charactere romano sine signaturis cust. et foli, num. (a.^477). Editio princeps (Hain, Panzer). 15. Argumentum Epistolarum (M)Aumetes Tureorum Imperator: cui postea ex magnitu etc. F. 9 b : Epistolae Magni 7 urei Finiunt. A Lavdino (sic) Equite Hierosolimitano Editae. F. 10 a: De Hermofrodito (sic) per d. An. Panormitanum Carmen Decasticon. Ad eius calcem: Finis G. F. T. Impressum Brixae (sic) per Bernardinum de Misintis. S. a. 4. romano charactere c. s. 10 ff. (Hain). 150 GIORNALE LIGUSTICO 16. Epistolae Maumetis Tureorum imperatoris, Diogenis Cynici, M. Bruti,* Hippocratis, latine (Venetiis, Bernardinus de Vitalibus, saeculo XV) in 4.0' (Catal. Boutourìin dei 1841, par. 3.», num. 1299). 17. Lavdivii equitis Hierosolymitani ad Francinum Beltrandum in epistolas Magni Turci praefatio. A tergo dell’ultima carta leggesi: Epistole-Magni Turci finiunt: a Lavdivio equite hierosolimitano edite: ac in civitate Neapolis impresse per Arnoldum de Bruxella, die X'VII Septembris, anno M. CCCC. LXXIII. La torma è in 4.0, in caratteri rotondi, senza foliazione, senza segnatura, e senza registro. 11 libro è composto di 22 carte (Giustiniani Lor., Saggio stor. crii, sulla Tip. Napol., 2.J ediz., Napoli 1817, p- 72)- 18. Lavdivii Eqvitis Hierosolymitani ad Francinum Beltrandum in epistolas Magni Tura praefatio. In fine: Epistole Magni Turci finiunt: a Laudivio equite hierosolimitano edite: ac Rome impresse in domo Nobilis viri Johannis Philippi de lignamine Messati. S. D. N. P. familiaris. Anno domini M. CCCC. LXXI1I, die vero XXVII mensis novemlris. In 4.0 perparvo. Opusculi plagulae sunt xxxn, quarum prima omnino vacat. Character est romanus grandior lignaminei.... Signaturis, numeris custodibus ac registro caret; paginarum lineae sunt 22 (Audiffredi). 19. Epistolae Magni Turci. Lipsae 14SS. In 4.0. Questa sola indicazione trovasi nei bibliografi. 20. Mahumedis Turearum imperatoris cognomento Magni Epistolae {per Laudivium equitem Hierosolymitanum). Impressae Daventriae per Ri-clmrdum Paffroet, 1490. In 4.0 (Hain, Panzer). 2 !. Epistole Maumetis Turearum Imperatoris elegantissime multa prudentia acrimoniaque referte. Icon xyl. F. 1 b: Johannes Maius Romhiltensis Egregi? Peritissimoque viro Martino Polichio Mellerstatensi optimarum artium me-dicineque doctori illustrissimi principis et domini domini Frederici ducis Sa-xonie etc. electoris physico iurato domino et promotori suo unice observando. S. P. D. Data est epistola: Lipl\k anno Dominj M. CCCC. LXXXXVIII penultima die mensis octobris. F. 2 a : (c. sign. A ij et n. ij) : Lai^mnij (sic) Equitis Hierosolimitani ad Francinum Beltrandum Comitem in Epistolas Magni Turci Prefatio. F. 15 a: Epistole Magni Turci finiunt: a Laudinio Equite Hierosolimitano edite. Acced. versus etc. F. 16 b., 17 b. tab., in cuius fine: Finis tabule epistolarum Magni Turci: que sunt LXXXX. F. 18 a errata. Deinde : Impressum Lipt\k per Jacohum Abiegnum (Thanner) Herbipólensem Civem liptymsem, Anno Domini M. CCCC. XCVIII penul- GIORNALE LIGUSTICO lima, die octobris. Insign. typogr. c. litt. i. t. 4. g. eh. c. s. et ff. n. 15 ff. num., reliqua 3 s. num. (Hain). 22. Epistole Maumetis Turearum Imperatoris eleng antis sime (sic) multa prudentia acrimoniaque referte. In fine: Impressum Lipt^li per Jacobum Thanner Herbipolensem. Anno Domini 1504. Die. nona novembris (Impresa del tipografo) in 4.0 (Panzer). 23. Landini (sic) Equitis Hierosolymitani Traductio Epistolarum Magni Tureae. Argentorati per Johannem Guinger 1510. In 4.0 (Panzer). 24. Laudini (sic) Equitis Hierosolimitani Epistolae. Argentorati per Joannem Knoblouch MDXI. In 4.0 (Panzer). 25. Epistole Mabometis Turearum Imperatoris elegantissime. Impressum Lipt^k per Jacobum Thanner 1511. In 4.0 (Panzer). 26. Epistolae Thurei Mabometis Magni, Imperatoris Turearum, per Laudi-vium equitem Hierosolimitanum aggregatae, quibus accedit Epistola quomodo quis amicae suae debeat rescribere; Lugduni , per Joannem Marion, sumptibus Romani Morin, anno Domini i$20. In 4.0 (De Bure, Catal. Gai-gnat, Tom. I, pag. 617). Nel Catalogue de livres anciens de M. Tross a Paris, an. 1873, num. 7, pag. 452, trovasi questa edizione con la seguente nota : Edition fort rare-, ornée de gravures sur bois. Il prezzo è segnato in L. it. 60. 27. Lettere del gran Mabumeto imper adore de’ Turchi; scritte a diversi Re, Prencipi, Signori e Republiche con le risposte loro; ridotte nella volgar lingua da M. Lodovico Dolce. Insieme con le lettere di Falaride Tiranno de gli Agrigentini. Con privilegio. In Viuegia appresso Gabriel Giolito De’ Ferrari M. D. LXIII. In 8.° di pag. 192 (Presso di me). L’Hayn ne nota una edizione del 1564; ma è forse tutt’una con la presente, solo aggiunto un I alla data; cosa comune nelle stampe del Giolito. Il Freytag poi. sulla fede di Niccolò Basseo (cosi nota il Paitoni), accenna Io stesso libro del 1575. 28. Lettere Del Gran Turco et di diversi Prencipi Christiani, Nationi et Republiche con le loro resposte. Tradotte già di diversi linguaggi in lingua latina, et ultimamente di lattina in toscana. Da M. Tommaso Braccioli Cor-tonesc. In fine: In Perugia, Per Andrea Bresciano. M.D.LXVI. Con licentia de' Superiori. In 8.° (Nella Bibl. Universitaria di Genova). Pagine 43 numerate. Dopo la dedica del Braccioli al Molto Generoso, GIORNALE LIGUSTICO et Illustre Cavalliere del Ordine de Portogallo M. Nicolò Gaddi Patrone Osservandissimo (pag. 1-2) trovasi 1111 sonetto indiritto al medesimo (pag. 3); quindi havvi la Prefazione di Laudivio Cavaliere Gerosolimitano sopra le Lettere del Gran Turco al Conte Fraudilo Beltrando (pag. 4-5), e finalmente 1’ Argumento delle Lettere (pag. 5-6). Libretto molto raro, non ricordato che dal Mazzucchelli nelle parole che consacra a questo traduttore. 29. Epistola Jacobo Ammanato Cardinali Papiensi. Sta nel libro intitolato: Epistolae et Commentarii Jacobi Piccolotnini -Cardinalis Papiensis. Impressum Mediolani apud Alexandrum Minutianum. Anno Domini M. D. VI. Die XXVIII. Martii., a carta 310-311.— Di questo libro esiste una pretesa seconda edizione del 1522, per la quale è da vedersi lo Zeno, Dissertazioni Vossiane, tomo II, pag. 93. Le lettere ed i commentarii dell’Ammanato furono però ristampati a Francoforte nel 1614 in aggiunta a Pii II Commentarii a Johanne Gabellino compositi ; dove la citata epistola di Laudivio è a pag. 873 e seg. 30. De captivitate Ducis Jacobi tragoedia. Ms. Ed ecco la descrizione che ce ne ha favorita il gentilissimo sig. cav. Antonio Cappelli. « La tragedia latina del Laudivio è un codicetto del sec. XV in pergamena, di carte 24, scritta in bel carattere nero e rosso; in formato di 8.° e segnato iu Catalogo della Biblioteca Estense di Modena VI. A. 37. Il recto della prima carta è bianco. Sul verso della detta carta leggesi Pre-fatio ; indi : • O decus Italiae rerum pulcherrime princeps Et patriae felix gloria honor que tuae etc. continuando a tutto il recto della seconda carta in sedici distici diretti a Borso d’Este. Il verso della carta medesima è bianco. Sembra che questa Prefazione sia stata aggiunta dall’autore quando il codicetto della tragedia era stato scritto. In testa alla terza carta havvi l'intitolazione seguente in carattere rosso: Laudivij Vezanensis ad illustrissimum principem Divum Borsium Estensem Ferrariae Marchionali et Mutinae Regijque Ducem: De captivitate Ducis Jacobi Tragoedia incipit. Sotto questo titolo, e dopo le parole che veggonsi in margine — Rex Borsius loquitur —, comincia la Tragedia da una bellissima iniziale in oro con vaghi rabeschi d’alto in basso a diversi colori; ed eccone i due primi versi: • Tandem furor subsedit ac varius feri -V;ine Martis eventus finem melior tulit etc. GIORNALE LIGUSTICO *53 La tragedia finisce al verso della carta 24 con un Chorus i talorum, di cui si riportano i due ultimi versi : Omnia finem simul orta petunt Unica virtus aeterna manet. l init l ragoedia finis. Laudivius Vezanensis. La tragedia è in cinque atti con cori. 1 personaggi sono mano mano notati in margine in carattere rosso'; ed è pure in carattere rosso 1’ intestazione degli atti e dei cori. Ciascun atto si apré con una iniziale più grande ora in rosso ed.ora in colore turchino. Il primo atto non ha intestazione speciale. Darò quella degli altri quattro atti. Secundus actus. — Mala quae apparuerunt ex astris in futura captivitate ducis Jacobi post pacem factam. I uimus actus. — Legatus remeans ad Ferantum regem Appuliae et mandata ferens in adventu ducis Jacobi post pacem Jactam. Quartus actus. — Rex Ferantus et satellex contendentes an sit occi- 1 kndus dux Jacobus postquam venit ad foedus. Q.EINTUS actus. — Nuntius rediens ad Regem Borsium et reportans captivitatem ducis Jacobi, secum lacrijmans. , II codice è legato in cuoio rosso e ben conservato : quello stesso senz’altro che l’autore offerse a Borso d’Este ». MEDAGLIA FATTA CONIARE DA CARLO III PRINCIPE DI MONACO L’ antico tempio di san Nicolò di Monaco non è più. Il ferro demolitore l’ha atterrato per sostituirvi una maestosa basilica, che si sta erigendo sui disegni dell’insigne architetto Carlo Lenormand. Quelle vòlte le quali aveano tante fiate risuonato delle festanti grida della vittoria, quando i Grimaldi Signori del luogo tornavano vincitori dalle militari imprese, sono scomparse, e cadendo a terra hanno nuovamente lasciato penetrare la luce in quel sacro ricinto e nel sepolcreto dei Grimaldi, dove dormivano.tante generazioni di Principi, le cui ossa costrette ora ad emigrare, stanno in attesa d un ricetto, senza dubbio più sontuoso, ma dubitiamo se più 11 r5 4 GIORNALE LIGUSTICO gradito. Quel religioso monumento risvegliava troppo nobili ricordi di storia italiana, perchè noi lo vedessimo distruggere senza rimpianto; ed avremmo alzata anche la nostra debole voce per istornarne la demolizione, se ne fossimo ancora stati in tempo ; ma ornai dell’ antica chiesa e della vecchia necropoli dei Grimaldi non resta più che una memoria. Nell’ occasione che si benedisse solennemente la prima pietra del novello edificio, in apposita cavità in essa praticata, venne collocata una lastra metallica colla seguente iscrizione: ADMIRENTVR POSTERI MVNIFICENTIAM CAROLI III. PRINCIPIS MONOECI Q.VI ANNO REGNI SVI XIX. FAVSTO FELICI Q.WM BASILICA S. NICOLAI EPISCOPI STATIS CONVENTIBVS ANGVSTIOR VETVSTATE LABERETVR NOVAM A FVNDAMENTIS VIRGINIS MARIAE IMMACVLATAE SPLENDIDISSIMO CVLTV EXCITANDAM CVRAVIT ANNVENTE PIO IX. PONT. MAX. ANNO PORTENTOSI PONTIFICATVS EIVS XXIX ICCIRCO DIE VIII IDVS IANVARIAS A. C. MDCCCLXXV DE MANDATO SANCTAE SEDIS ROMANAE CVI VNI SVBDITVR ECCLESIA MONOECENSIS LAPIDEM AVSPICALEM A SANCTISSIMO VLTRO OBLATVM SOLEMNI PRECATIONE LVSTRAVIT AC FIXIT CAROLVS THEVRET PRAESVL A CVBICVLO SVMMI PONTIFICIS PROTONOTARIVS APOSTOLICVS A SACRIS ET A LARGITIONIBVS SERENISSIMI PRINCIPIS SACRO RITVI MINISTRANTE IOS. A. RAMIN ECCLESIAE ARCHIPRESBITERO S. T. DOCTORK TESTES ADFVF.RVNT GIORNALE LIGUSTICO HENRICVS DE PAYAN A SECRETfS VICARIA PRAEFECTVRA FVNGENS. FELIX GASTALDI MVNICIPII PRAESES. EDMVNDVS DELACROIX PVBLICIS OPERIBVS PR AEFECTVS. FELIX GARRVCE EORVMDEM CVRATOR. CAROLVS LENORMAND BASILICAE ARCHITECTVS. Si riponeva eziandio una copia del processo verbale della seguita cerimonia, scritto in pergamena; ed alcune medaglie d’ argento e di rame fatte a talo scopo coniare dal Principe Carlo III, per opera del Ponscarme, professore alla Scuola di belle arti in Parigi. Il diritto di questa medaglia rappresenta 1’ effigie del Principe Carlo III con attorno : CAROLVS III PRINCEPS MONOECI. Il rovescio poi reca questa iscrizione : CAROLUS III AVGVSTAE . BASILICAE IN . HONOR . D . N . DEIPARAE AB . OR1GIN . IMMACVLATAE LAPIDEM . AVSPICALEM RITV . SOLEMNI . INFIGI CVRAVIT D. Vili. ANT. ID. IANVAR A. 0. MDCCCLXXV. Benché distrutta la chiesa di san Nicolò, terranno sempre viva la memoria dell’ arte nostra nell’ italiana Monaco le mura ed i bastioni solidamente costrutti dai Genovesi ; e l’imponente Palazzo dei Grimaldi, ricco degli affreschi del Caravaggio e di Orazio Ferrari, dal regnante Principe fatti con munificenza ristorare. $ Girolamo Rossi. I 156 GIORNALE LIGUSTICO MEDAGLIA ONORARIA A DOMENICO PROMIS Alle notizie che intorno alla vita e le opere del Promis vennero pubblicate nel nostro Giornale (1), siamo ora lieti di aggiungere quella di una medaglia fatta coniare in onore dell1 illustre Uomo dal sig. Enrico Hirsch di Monaco di Baviera, delle discipline numismatiche peritissimo. La medaglia di cui vi hanno esemplari in argento .ed in bronzo, ò stata ultimata dall’ incisore Adolfo Pieroni pochi di innanzi la morte che sì immaturamente ed inopinatamente lo colse verso la fine dell’ ora caduto Aprile. Nel diritto vedesi il busto a sinistra dell’ insigne numismatico ; e benché a ritrarlo il Pie* roni non siasi giovato d’ altro sussidio che di quello di una fotografia, la rassomiglianza è stata da lui raggiunta con rara perfezione. La leggenda all’ intorno del busto dice : D. PROMIS NVMOPHYLACII REGII TAYRIN. CVSTOS. Nel-l’esergo : NATUS 4 MARTII 1804. OBIIT 6 FEBR. 1874. E sotto il busto : pieroni — Firenze. Il rovescio poi e occupato dsll i iscrizione seguente : OB EGREGIA IN REM LITTERARIAM PRAESERTIM IN SCIENTIAM NUMISMATICAM MERITA. II diametro della medaglia è di millimetri 55. Porgendo al sig. Hirsch le lodi che gli sono giustamente dovute pel gentile pensiero con cui gli piacque rendere un tributo della sua affettuosa ammirazione al Nestore della Numismatica Italiana, e che d’altronde non gli mancheranno da quanti o pregiano questa scienza 0 serbano grato ricordo (1) Pag. me segg. GIORNALE LIGUSTICO del Promis (i); dobbiamo eziandio encomiarlo per l’ottima scelta dell’ artista eh’ ei volle chiamare ad eseguire il suo proposito. E noto che nel lavoro delle medaglie il Pieroni era dei più valorosi; sì come, a non uscire dagli esempi domestici, ce ne attestano quelle da lui eseguite ad onore di Augusto Riboty e di Domenico Chiodo, nonché l’altra per la inaugurazione della ferrovia ligure occidentale. In quest’ ultima medaglia il Genio nel quale è personificato il Porto Maurizio, è di una squisita bellezza e di forme sì elette da non potersi ridire a parole. L. T. Belgrano. SOCIETÀ LIGURE DI STORIA PATRIA . Anno Accademico 1874-75 ' XVIII dalla fondazione dell'Istituto I. Assemblea Generale. Tornata del 20 dicembre 1874. I Presidenza del Presidente comm. Antonio Crocco. Il Segretario Generale cav. Belgrano legge un rapporto intorno i lavori ai quali attese la Società nello scorso anno accademico. Rassegna eziandio quanto concerne all’ amministrazione dell’ Istituto ed alle relazioni del medesimo, le quali si vanno ognor più aumentando per importanti ed onorevoli corrispondenze. « Di che (egli soggiunge) si accresce via via la suppellettile libraria della Società, per guisa che già presenta (1) A taluno di costoro che non possedesse ancora la medaglia, tornerà caro 1’ apprendere come ifsignor Hirsch ne serbi tuttavia disponibili presso di sé alcuni esemplari si in argento che in bronzo. GIORNALE ligustico il nucleo di una piccola ma eletta biblioteca, la quale come ora si va per le cure dell’ ufficio mio ordinando, cosi potri fra non molto essere aperta a vantaggio dei soci. Oltre di ' che insieme ai libri che la Società riceve in dono o in cambio, Voi troverete pure adunati qbelli che vengono allo stesso titolo spediti al Giornale Ligustico, e sono in ispecie non pochi fra i più reputati periodici d’ archeologia, di storia e d’ arte che oggi si pubblicano in Italia. Trasferendo nel patrimonio della Società queste opere, il mio buon collega Neri ed io abbiamo, inteso di esprimervi la nostra viva riconoscenza pel valido appoggio prestato ad una impresa, il cui precipuo’ scopo è quello di rendere sempre meglio diffusi ed apprezzati gli studi della nostra Istituzione ». Segnala in seguito il continuo aumento che si verifica nella classe dei soci effettivi; e conclude porgendo un mesto tributo di affettuosa ricordanza alla memoria dei colleghi morti nel volgere del passato anno accademico: Francesco Gandolfi, Gaetano Avignone, Antonio Merli, Salvatore Anau, Giacinto Della Beffa, Vincenzo Caviglia, Pietro Daneri, Carlo Nota, Domenico Mo-linari, Pasquale Tola, Luigi Grillo ed Angelo Bo, membri effettivi; Domenico Promis, Francesco Bonaini, Agostino Theiner e Lodovico Sauli d’Igliano, membri onorari; Giovanni Barberis, Filippo GualterioeCarlo Hopf membri corrispondenti. Segue la proposta di parecchi nuovi soci effettivi; e la presentazione di molte opere pervenute in dono alla Società, tra le quali si notano specialmente la collezione del Bollettino della Società Geografica Italiana e le Memorie di vari fra gli Istituti scientifici degli Stati Uniti d’ America. Vengono per ultimo presentati e distribuiti tre nuovi fascicoli degli Atti, cioè: Voi. VII, par. I, fascicolo 3.0; il quale contiene il seguito del Codice diplomatico delle Colonie Tauro-Liguri, durante In signoria dell’ Ufficio di san Giorgio, ordinato ed illustrato dai GIORNALE LIGUSTICO !)9 socio P. Amedeo Vigna; e serba i documenti e le esposizioni storiche per gli anni 1469-72. Vol. X, fascicolo 1.0; il quale contiene: Il Palalo del Principe D’ Oria a Fassolo in Genova, Illustrazioni di Antonio Merli continuate da L. T. Belgrano. Atlante in foglio di undici Tavole a corredo delle Illustrazioni del Palanto D’Oria; dieci delle quali, incise in rame da egregi artisti, rappresentano: la pianta generale dell’edilìzio; il portale maggiore scolpito da Giovanni da Fiesole e Silvio Cosini, nonché quello dell’ ingresso a levante; lo spar-timento architettonico del vestibolo, dipinto da Perino del Vaga ; la Galleria degli Eroi e la Sala dei Giganti istoriate per mano dello stesso Perino; due de’ bassirilievi con trofei guerreschi, scolpiti da Giovami’Angiolo Montorsoli, e murati nel vestibolo ; un grandioso camino, eseguito probabilmente dal Cosini in compagnia di Guglielmo della Porta; le fontane dei giardini, ed il panorama di tutto il monumento veduto dalla parte del mare. L’ undecimo contiene il fac-simile di un mandato di pagamento e della relativa registrazione, a tavore di Gian Giacomo Paracca da Valsoldo, che nel 1585 scolpì la statua del Satiro posta a sormontare una delle dette fontane in luogo di simil figura operata dal Montorsoli, come si ha dal Vasari, e poscia infranta, non si conosce per quale accidente, al tempo del principe Giovanni Andrea I. Nè a proposito delle Tavole citate è da pretermettere quanto si nota nella Prefazione, avere cioè la munificenza del Principe D’ Oria messa a disposizione della Società la egregia somma di Lire Millecinquecento per sopperire ad una parte delle spese, ed il comm. Merli esternato il generoso proposito di voler provvedere del proprio alla stampa delle incisioni. » Se non che questa non era ancora ultimata quando ei venne a morire ; bensì la volontà sua rispettò dipoi con rara religione l’erede di lui, il colto giovane signor Luigi Corsanego ». l6o GIORNALE LIGUSTICO * Al rimpianto collega Merli, al munifico Principe ed all’egregio Corsanego la Società Ligure serberà viva e costante la sua riconoscenza. II. Sezione di Archeologia. Tornata del 9 gennaio 1865. Presidenza del Preside avv. Pier Costantino Remondini Il socio can. Sanguineti comincia la lettura di una sua Dissertazione illustrativa della lapide di Ferratila. Questa lapide, prodotta dal socio D. Marcello Remondini per fac-siroile negli Atti (1) è così concepita: f HAC . RECVBANT . FOSSA . MATRIS . VENERABILIS . OSSA . CVitti . ERAT . PATVLVWI . VITA . BONI . SPECVLV/M -HEC PICTAVORVM . COMITV/M . STIRPS . NOBILIORVW/ . PVLCRA . FVIT . SPECIE . NVRVS . ADALASIAE . de?u\CTOQue viro mvlto post or (//he miro . mtinDvm . DEseniit ni eque sepnlta fuit. Ora il Disserente, prendendo motivo dalla celebrità della lapide di cui parecchi scrittori si occuparono, specialmente dopo che quel luogo per una famosa lite fece parlar molto di sè, crede opportuno non solo di corredarla di un’ illustrazione strettamente epigrafica, ma di accompagnarla con uno schizzo storico del luogo. Prima di entrare in argomento, il Sanguineti prende occasione dalla menzione fatta dall’ ab. Remondini di una lettera scritta da Giuseppe Vernazza al dottor Ravina nel 1S16 sulla lapide di Ferrania, per mostrare che l’erudito archeologo (1) Vol. XII, par. I, pag. 8, num. XI ; par. II, tav. IV , fig. 1. GIORNALE LIGUSTICO l6l volendo trattare delle vicende del marmo si chiarì ignaro della materia, ed applicò fuor di proposito le sue cognizioni. Entrando poi il Sanguineti nella storia di Ferrania, ne descrive primieramente la postura in una valletta nella Comune e Parrocchia di Cairo nelle Langhe, quasi nel centro fra la terra di Cairo e quella di Carcare ed Altare. Il più antico documento, in cui si parli di Ferrania, è l’atto di fondazione del 1097 Per cu> ü conte Bonifacio marchese di Savona, insieme al suo nipote Enrico , dona ai canonici regolari di sant’ Agostino collocati nella chiesa e convento di santa Maria e santi Pietro, Paolo e Nicolò in Ferrania una grande estensione di terreno all’intorno, e poi molte altre chiese e corti poste in diversi luoghi più o meno lontani, come si praticava in quel tempo. Il sopraddetto documento fu più volte riprodotto in copie anche di rispettabile antichità, quantunque fra esse ve ne sia alcuna spuria. Queste antiche carte col testo autentico (che non esiste più che per una terza parte, di cui il San Quintino pubblicò il lac-simile) furono conservate pressoi marchesi, che ebbero successivamente la signoria di Cairo ; quindi passarono all’ Archivio dei santi Maurizio e Lazzaro, quando Ferrania fu convertita in commenda di quell’ Ordine, più tardi, pbr le ragioni che si diranno in seguito , pervennero nella marchesa Nicoletta Durazzo, moglie che fu del marchese Ademaro De Mari; ed ora si conservano nel palazzo del loro figlio, e per questa parte erede, il marchese Marcello De Mari. Nell’ esemplare originale il luogo è chiamato Ferranica, nelle copie Ferrania. Landolfo juniore, che pur era contemporaneo a quella fondazione, ma lontano di luogo, nella sua Cronaca lo chiama Ferraria. Il Mabillon all’ anno 1078, parlando per incidenza di Ferrania , dice : quae ab origine fuit Ordinis tiostri, postea canoni- Ib2 GIORNALE LIGUSTICO eorum regularium etc.; asserzione lanciata con franchezza, ma non corroborata da documento alcuno. Dopo accennata la collocazione dei canonici regolari in Ferrania, il Disserente prima di proseguire a parlar di questi, si propone di dare un cenno di chi ve li collocò. Bonifacio conte e marchese di Savona era figlio di 1 ete o Teottone o Ottone che voglia dirsi. Egli era sempre stato riguardato discendente dalla Stirpe Aleramica, finché venne fuori il San Quintino colla strana supposizione di due famiglie contemporanee di due Bonifacii, figli entrambi di un 1 cottone e padri di numerosa prole con nomi presso a poco eguali. Ma il barone Manuel con un dotto libro e più tardi il socio Desimoni con solidi ragionamenti rovesciarono quel castello di carta e si tornò all* antica dottrina. Quanto al collegare il nostro Bonifacio con Aleramo, l’impresa è un poco più ardua. Il cav. Desimoni ed il barone Manuel concordando nel numero di dieci generazioni, discordano in alcuni nomi; O * però convengono entrambi nell’ammettere una doppia generazione da Anseimo e Odone figli di Aleramo. E qui il Disserente toccato di volo il prospetto delincato dal Desimoni delle tre grandi famiglie marchionali del secolo X, cioè Obertenga, Arduinica ed Aleramica, si ristringe a quest’ultima, il cui dominio dal Mar Ligustico tra il torrente Lerone ed il capo di Caprazoppa si stendeva, con linea serpeggiante a levante ed a ponente, sino al Po, e per conseguenza inchiudeva le terre che si riferiscono al nostro argomento. Al tempo del nostro Bonifacio le Marche si erano già divise in un gran numero di marchesati, mantenendosi ira molti rami una specie di consortito per cui si vedono soggetti che per lontananza dal comune stipite pareano dover essere più disgiunti di dominio, esercitare atti politici nel medesimo luogo ; e, ciò che maggiormente schiaccia il sistema del GIORNALI-: LIGUSTICO 163 San Quintino, si vedono fusi nei medesimi interessi uomini che provenendo, secondo lui, da due diversi Bonifacii non avrebbero potuto avere comune la giurisdizione. Bonifacio ebbe due mogli. Della seconda il Disserente parlerà exprofesso, perchè si collega col suo argomento. Ebbe otto figliuoli, cinque dei quali furono stipiti di marchesi d’altrettanti feudi. Lasciati in disparte gli altri, il Sanguineti si limita ad Enrico il Guercio stipite dei marchesi di Savona e del Carretto che ebbero la signoria dei luoghi ond’ egli discorre. 1 ornando ai canonici regolari il Sanguineti prende le mosse da ciò che il Pennoto, storico dell Ordine, seppe dire del convento di Ferrania. Dal passo eh’ egli cita (lib. II, c. 27, p. 321) si rileva che nel 1340 fu tenuto un capitolo provinciale in Pavia, e che il Preposito di un monastero chiamato Ferraria, diocesi d’Alba, fu creato visitatore di tutti i monasteri, chiese e luoghi conventuali nei Vescovati e Diocesi d’Alba, Asti, Torino, Savona e di tutta la Liguria. Dai documenti del tempo si rivela che questo Preposito era Tommaso del Carretto. Accennata di volo alcuna cosa intorno all’ istituzione ed alle varie riforme dell’ Ordine, che fu chiamato nel 1097 a popolare il convento di Ferrania, il Disserente passa a parlare del primo Preposito di quella religiosa famiglia che fu il famoso Grossolano. Tocca delle circostanze per cui fu tolto da quel romitaggio e nominato vescovo di Savona, per esser condotto a Milano ad esercitarvi la vicaria podestà per Anseimo IV arcivescovo di quella Metropoli, che era sulle mosse per la Crociata di Terra Santa. Per le ulteriori notizie di quest’ uomo, che veramente non hanno più relazione con Ferrania, rimanda alla Cronaca di Landolfo juniore, agli Annali del Mabillon, del Baronio, del Muratori, ecc. La lettura del canonico Sanguineti verrà proseguita in altre tornate. i64 GIORNALE LIGUSTICO Il socio Desimoni logge quindi la seguente rassegna del nuovo libro di Enrico Harrisse : Les Colombo de France et d’I-talìe (Parigi 1874). Due galeazze del re Ferdinando di Napoli, di là partite il 5 novembre 1473 , furono assalite e prese il i.° ottobre del seguente anno, presso le coste della Gallizia all’altezza del Capo Vivero. Assalitrice fu una squadra francese di sette vele, comandata da un capitano di mare detto in altri documenti un corsaro, il cui nome in italiano suona Colombo, e nelle note diplomatiche in latino Columbus. Chi era mai questo Colombo che vivea contemporaneamente al nostro Scopritore d’America, e quando Cristoforo navigava aneli’ egli meditando 1’ audace disegno ? Le lettere onde il Re di Napoli si lagnava a Luigi XI per quella preda, pervennero a mani di Leibnizio, allorché questi stava per pubblicare il primo volume del suo Codex juris gentium diplomaticus ; ed affrettandosi egli ad inserirle nella Collezione, credette potervi aggiungere di proprio capo al cognome di Colombo il nome di Cbristopborus, facendo una sola persona dei due navigatori. Ma nella successiva pubblicazione del 2° volume dtjlo stesso Codice, volle confessare candidamente il preso abbaglio; venendo avvertito dal Thoinard che il predatore delle galee na-politane era un francese di Guascogna, un nobile cadetto avente a soprannome Coullomp o Cotillon, ma di vero nome e cognome Guglielmo di Casenove. L’errore del Leibnizio per altro è stato sospettato anche dal Muratori, sebbene questi non ne conoscesse la correzione. Ma da molto tempo la distinzione tra il francese Cotillon e l’italiano Colombo è riconosciuta generalmente, e tra i molti che ne parlano citerò gl’ illustri P. Spotorno e D’ Avezac. Senonchè col venire in luce nuovi documenti risorgono i dubbi a quale tra i due, italianamente omonimi, l’uno o GIORNALE LIGUSTICO l’altro di que’ documenti appartengano; ed ormai le cose sono giunte a tale che per poco non pare opera disperata venirne a capo. Ora questa matassa prese a dipanare in tutte le sue fila il signor Enrico Harrisse, che si sa quanto sia indefesso, dotto ed acuto indagatore delle memorie più antiche americane. Il nuovo suo libro ha per titolo: Les Colombo de France et d’I-talie, e quantunque esso tocchi anche di altri Colombo di Oneglia, San Remo ecc., ha tuttavia per mira speciale la biografia il più possibile compiuta del francese Colombo o Guglielmo di Casenove. L’ autore lo introduce alla data certa per documenti del 1461 , e lo segue fino alla morte di lui verso il 1483. Passa quindi a ragionare di un altro Colombo detto giuniore, pirata anch’ esso, e anch’ esso consegnato alla storia per la rotta che diede nel 1485 a quattro galee veneziane presso il Capo di San Vincenzo. L’autore cerca se questo secondo Colombo sia un nipote o congiunto del seniore, o piuttosto un individuo a lui affatto straniero. E qui viene naturalmente a parlare del noto racconto introdotto nella Vita di Cristoforo, dove il futuro scopritore d’America, navigando sotto il comando di questo Colombo giuniore, avrebbe fatto belle prove di valentia. La discussione del eh. Harisse è corredata da ampie e diligenti citazioni, e seguita dalla pubblicazione per intero di parecchi nuovi documenti. Della scoperta de’ quali l’onore per la più parte è dovuto al patrizio milanese march. Gerolamo D’Adda, già benemerito per una splendida pubblicazione colombiana da noi altra volta lodata (1). Nel tempo a cui hanno tratto le cose qui discorse, Genova era sotto.la signoria (1) Lettera in lingu.i spaglinola diretta da Cristoforo Colombo a Luis de Santangel, riprodotta a facsimile ed illustrata per cura di Girolamo D’Adda ; Mi'ano, t866. 166 GIORNALE LIGUSTICO dei Visconti duchi di Milano; i quali perciò erano intorniati di ogni notevole avvenimento nostro dal Governatore ducale o dalla Signoria di Genova. All’ estero inoltre i diplomatici milanesi si affrettavano a trasmettere al Duca le notizie raccolte; le quali riguardassero non solo la politica generale, ma e gli interessi commerciali dell’ intera regione sottoposta al comune Signore. Donde si comprende di quanto vantaggio tornerebbe anche per la storia genovese il consultare gli Archivi lombardi, per que’ non brevi e ripetuti periodi della ducale dominazione in Liguria. Di che ci occorre un prezioso saggio appunto in questo libro dell’ Harrisse; ed un altro saggio ne porge l’illustre Cesare Cantù nell’Archivio storico lombardo (i), dove ragionando aneli’ egli della pubblicazione da noi lodata , aggiunge dalla medesima fonte milanese altri documenti importantissimi. Anche noi abbiamo già ricordato due carte analoghe, nella lettura intorno agli scopritori genovesi del medio evo (2). Una lettera del 1482 che avvisa di minacce di pirateria per parte dei francese Colombo ; un’ altra del 1474 che riflette proprio quella medesima preda di galeazze del re Ferdinando, di che parlai al principio della presente rivista. Una terza carta ci corse agli occhi recentemente, un avviso cioè del 1476 da Valenza, che Colombo colla sua squadra attaccò le navi genovesi che navigavano nel ponente; donde nel conflitto bruciarono con una di Borgogna la nave di Nicolò Spinola e la galeazza Squarciafica ; nel mentre che poterono ricove- 1 rarsi salve a Cadice le navi di Gioffredo Spinola e di Gio. Antonio Di Negro (3). (1) Vol. I, pag. 380-400. (2) Giornale Ligustico, vol. I. pag. 3*34; Genova 1874. Desimoni e Belgrano , Documenti riguardanti le relazioni di Genova colle Fiandre ecc., negli Atti della Società Ligure ecc., vol. V, pagg. }48, 451. ( 3) Lettera del Governatore ducale Pallavicino a Matteo D’Cria patrono GIORNALE LIGUSTICO 167 E potremmo volendo accennare più d’ una ambascieria inviata direttamente da Genova al Duca di Milano ed al Re di Francia per chiedere riparazione di simili danni, eie lungherìe e le tergiversazioni con cui questa riparazione si andava differendo. Senonehè da tutte queste carte nulla ci si presenta per lo scopo più ristretto che qui ci siamo proposti : distinguere cioè, se è possibile, il Colombo di Francia dal nostro Cristoforo, desumendo dalla nuova pubblicazione del-1’ Harrisse que’ maggiori ragguagli che invano nelle carte genovesi abbiamo cercato. Ora per dirla tutta d’ un fiato, mi pare che il lodato Americano abbia quasi intera ragione quando al Colombo francese attribuisce tutti i documenti, tanto quelli già noti quanto gli ora per la prima volta recati. Ed ha ragione segnatamente sul fatto della nave Pallavicina, nell’ottobre 1476 presa ai genovesi nelle acque di Cipro da un Ammiraglio veneziano. Ivi le carte chiariscono abbastanza che il nome di Colombo vi è accennato come di passata ed a proposito di una navigazione anteriore, ma che non era egli il capitano della nave Pallavicina predata in quel fatto. Questo capitano avea nome Paolo Gentile, come mostrano due documenti tra quelli prodotti dal Cantù; e si ritrae pure da una relazione ufficiale che abbiamo nel nostro Archivio (1). L’ occulato Sovrintendente degli Archivi lombardi avea con ciò porto il lume che mancava alla quistione; se non che mischiò dipoi l’uno coll’altro i documenti che riguardano due fatti diversi. Questi fatti avvennero bensì nello stesso anno 1476; ma l’uno, che è il testé indicato, nelle acque di Cipro in agosto tra’ veneziani ed i genovesi comandati da Paolo Gentile, di nave, in data 17 settembre 1476. Archivio di Stato: Litterarum ann. 1461-S4: Registro num. 25. (1) Archivio di Stato: Foglialo di Cancelleria, ann. 1471-76, num. t6. t 68 GIORNALE LIGUSTICO l’altro indicato da noi più addietro, avvenuto in ottobre e nelle acque di ponente; nel quale la squadra comandata dal Colombo francese attaccò le navi di Borgogna e quelle dei genovesi Spinola, Di Negro e Squarciafico (i). Ma se io sottoscrivo quasi per intiero alle conclusioni del eh. Harrisse, non posso tuttavia menargli buone alcune sue opinioni. Egli indovina, avvisando che il Guido Visconti scrivente da Genova più volte al Duca di Milano debba essere il Vicario o, come si dicea fra noi in istile ufficiale, il Vice-Governatore pel medesimo Duca. Gregorio Lomellino, che l’autore travisa in Lemolino (come già notò il Cantù) non era il segretario del Visconti; dappoiché quando egli scri\e\a al Simonetta, al suddetto Vice-Governatore era succeduto il march. Gio. Francesco Pallavicino fin dall’agosto 1476. Ma (1) Qui cade un’ altra questione che non fu ancora chiarita del tutto. La lettera del 2 ottobre 1476 pubblicata dall’Harrisse (pagg. 90-93) porta la data ex terra d’Otr.0. Il P. Spotorno vedendo che si trattava di un viaggio di Terrasanta, pensò tradurre l’abbreviatura in terra d’Otro o d’Oltremare, con cui i nostri maggiori indicauano gli scali del Levante (1Origine e patria di C. Colombo, pag. 92). 11 Bossi (Vita di Colombo, pag. 79) sostenne invece che la lettera avea la data d’Otranto, ma in realti era stata scjitta dal Zaffo (senza però spiegarci che luogo sia questo Zaffo). Ora un’altra lettera pubblicata dal eh. Cantù (loc. cit., pag. 392) porge il mezzo per sciogliere ogni dubbio. I milanesi Guido Antonio Arcim-boldo e Gian Giacomo Trivulzio ritornando da Gerusalemme si erano imbarcati al Zaffo (cioè a Giaffa, solito scalo dei pellegrini per e dalla Palestina). Il 16 e il 18 agosto sono nell’isola di Cipro, passano poi in quella di Candia e di qui scrivono le novelle che avean raccolte per via (O.U1 in Candia bavessemo per lettere di Pietro Raimondo Capitano ecc.); ma alla lettera loro danno invece di Candia la data d’Otranto , sperando di poter presto arrivare colà e di là indirizzare la lettera stessa al Duca di Milano con maggiore sollecitudine. Senonchè i due milanesi si separano nel viaggio ulteriore, e la tempesta trasporta il Trivulzio invece che ad Otranto a Venezia, dalla quale ultima città la lettera è infatti spedita a Milano. giornale ligustico i 6 9 ciò non è di rilievo ; è certo ad ogni modo che il Lomellino era un personaggio importante, il primo forse tra gli anziani cioè tra i membri della Signoria che col rappresentante ducale aveano l’indirizzo della Repubblica. Per lo meno sappiamo dal Federici che Gregorio Lomellino fu anziano nel 1471 e 72, fu raccomandato al Duca di Milano nel 1475, e lu nominato ambasciatore al Duca di Savoia in questo stesso anno 1476. Quello che non possiamo ammettere affatto si è un’ altra supposizione dell’ autore, che al francese Colombo e ad una venuta di lui in Genova sia da attribuirsi quella notizia ripetuta da molti, di un Colombo (senza nome di battesimo) inscritto in un registro genovese delle avarie. Questa parola di avarie inganna facilmente gli stranieri, e ingannò anche 1’ oculatissimo signor D’ Avezac. I quali non conoscendo altre avarie che le marittime, nel loro linguaggio, supposero che il Colombo in quel registro nominato sia venuto a far riparare nella nostra Darsena i guasti per qualunque causa toccati dalle proprie navi. Ma se alcuno di que’ Dotti abbia degnato d’ uno sguardo la mia lettura intorno agli scopritori genovesi nel medio evo, confido che gli si sarà tosto dissipata tale illusione. Già il Dizionario italiano, il Manuzzi per es., insegna che per avaria in genere s’intende un danno qualsiasi ; ai nostri concittadini non occorre spiegare che oggi ancora, almeno in campagna, la parola medesima significa più particolarmente le imposte pubbliche. Ma chi più schizzinoso chiedesse un esempio di quel tempo non avrei che a rimandarlo all’ annalista Giustiniani, il quale all’anno 1461 così si esprime: « E prima d’ogni cosa in Genova si riscuoterono le avarie dei cittadini ossia il pubblico tributo ». Ciò posto, la notizia che un Colombo si trovi inscritto nelle avarie, supposta anche esatta per la data del 1476, nient’altro 12 \ I70 GIORNALE LIGUSTICO significa salvochè un individuo di tal cognome era cittadino di Genova e perciò sottoposto ai pubblici carichi. F noi stessi in appendice alla predetta lettura recammo dall’Archivio di San Giorgio un registro di Focaggi, imposta di famiglia, ove era inscritto Domenico Colombo tessitore di panni di lana per 1’ anno 1446. Il dotto Americano dice aver invano fitto cercare a Genova il manoscritto onde tu tratta quella notizia del 1476,e che già dal ch. P. Spotorno è ricordato come appartenente ad un Rogerone incisore (1). Anche a noi è ignoto se quel manoscritto sia passato in altre mani oppure sia perduto; ma a dire i vero tale mancanza non ci torna gran fatto affliggente. A\ \ i copia di simili manoscritti di famiglie nobili nelle pubbliche e private biblioteche; ma segnatamente pel periodo avanti al 1500 abbiamo nella Biblioteca della Missione Urbana 1 abbondantissimo ed autografo Abecedario del Federici, il quale rimase ignoto, come pare, allo Spotorno e per poco o per nulla scusa ogni altro manoscritto di simil sorta. Difatti ecco anche in questo Abecedario presso a poco quelle altre parole ricordate dall’ Harrisse e dallo Spotorno come tratte dal ms. Rogerone: « Colombo capitano di galere di Ri-di Franza, ma non so di che natione fusse, 1474 ”• Anche qui sono molte altre notizie su varie famiglie Colombo ; notizie a vero dire secche secondo il solito del Federici, ma susi.et tibili di ricchi svolgimenti per mezzo delle sue citazioni, t-d appunto fra queste notizie vi è quella onde profittai nella mia precedente lettura per trovare un Cristoforo Colombo nel 144° > e per ricercare nell’ originale gli atti del notaro Piloso e l’esistenza nel 1470 di Domenico Colombo. Nel Federici (1) Spotorno, Codice Colombo-Americano, pag. XIV, c Storia Letteraria ecc., II. 258. Antonio Rogerone viveva ed operava in Genova nel primo trentennio del nostro secolo. GIORNALE LIGUSTICO abbiamo ancora lo stesso Domenico tessitore nominato nei 1-ocaggi del 1468; e finalmente a seguito di questa notizia troviamo scritto, dopo una parola non facilmente interpretabile, le seguenti espressioni in libro avariarum 1446. Per tuttociò io tengo come indubitato che il ms. Roggerone non sia che una copia o un estratto più o meno mutilo, più o meno diretto 0 per mezzo d’altri mss. del predetto Abecedario del Federici; e perciò anche mi pare che quel 1476 che si leggeva nel ms. Rogerone, sia uno sbaglio di lettura o di copia invece del 1446 che ci pone l’autografo della Missione Urbana. Vi è un altro punto su cui son restio a concordare col signor Harrisse, ed è cosa di assai rilievo; ma oltrecchè essa richiede non breve svolgimento, la sincerità vuole che io presenti la mia opinione senza quella ricisa franchezza onde rifiutai le altre supposizioni dell’ Autore. Due lettere di Gregorio Lomellino, a cui accennai sopra, vogliono essere un po’ più meditate da noi. Sono in data degli 11 e 12 febbraio 14^7 e dirette, come tutte le altre di lui, a Giovanni Simonetta fratello del celebre Cicco segretario del Duca. Vi si parla delle navi Spinola e Di Negro, che erano a Lisbona il 12 dicembre precedente e preparavansi a navigare pel ponente. Nella stessa città era allora anche il Colombo colle sue navi, e questi diceva aver trovato nelle acque di Malaga una nave grossa che si stimava essere la D’ Oria partita da Genova nel medesimo mese di dicembre. Ma ciò che più merita attenzione in questa lettera degli 11 febbraio si è che il Colombo ivi nominato d’ accordio è detto saonese, secondo le espressioni proprie del Lomellino. ' Gregorio all’ indomani riscrive le notizie più fresche a Genova pervenute da Siviglia. Colombo con nove navi armate era al Capo San Vincenzo, aspettando al varco 40 galee veneziane partite da Cadice pel ponente. Lo stile abborracciato dello scrittore non lascia comprendere chiaramente tutto il I GIORNALE LIGUSTICO senso del suo dispaccio, ma in sostanza egli vuol dire che le galee veneziane si teneano sicure di non poter essere sopraffatte da Colombo. Il quale era venuto in discordia colla nave Spinola, ma tentava persuadere i patroni o capitani delle navi genovesi colà ancorate ad accompagnarsi con lui siccome amici degli amici. Questi però preferirono lasciarlo partir solo, stimando che le navi veneziane nel conflitto rimarrebbero superiori a lui che non aveva più la potenza di prima. Anche qui 1’ Autore fa una sola persona di questo Colombo e dell’omonimo francese; e per dire il vero, ponendo a confronto tutti i documenti di quel tempo da lui raccolti e ordinati, vi sono gravi indizi per credere che si tratta di una serie di fatti aventi un solo e medesimo scopo, l’odio mortale cioè di Luigi XI verso il Duca di Borgogna; perciò le ire, le rappresaglie, le leghe contro veneziani, spagnuoli o chiunque favorisse le parti del nemico. E sarebbe cosa assai singolare, riflette 1’Harrisse, che vi fossero nello stesso tempo e nella stessa città di Lisbona, o di viaggio o ritorno cola, due capitani di nome Colombo, al comando di uno stesso o simile numero di navi e per una stessa o simile impresa. Ciò non ostante i miei uditori avranno senza dubbio avvertito quella parte della lettera del Lomellino ove Colombo d’accordio è detto saonesc. E queste parole erano un grave bruscolo agli occhi dell’Autore, siccome quelle che contraddicono alla francese nazionalità di Guglielmo di Casenove. Di che egli, prevenendo la prevista obbiezione, pensò che i genovesi da cui partivano gli avvisi alla patria, come poco pratici de’ luoghi, cambiassero quel capitano di mare per un savonese, sentendo pronunziare un cognome che era frequente a Savona e in più parti della Liguria (i). La scappatoia è ingegnosa, ma a mio avviso non giuri (i) Les Colombo etc., pagg. 30-33. giornale ligustico I73 petsuasiva. Le navi Spinola e Di Negro erano a Lisbona contemporaneamente a Colombo, i patroni aveano parlato e ti attato con lui più d’ una volta secondo le lettere stesse del Lomellino. Inoltre sappiamo per più documenti che i genovesi di quel tempo erano assai frequenti a Lisbona, come a Siviglia, ,a Londra, nelle Fiandre, tenendo nelle principali città loggia, consolato e rilevanti commerci, donde poi parecchie famiglie vi si trapiantarono e durarono con onore nei secoli seguenti. Queste, direi quasi, colonie genovesi si tendano in continua relazione tra sè e colla madre patria, comunicandosi come per catena, gli avvisi di mutuo interesse, di che troviamo nei nostri Archivi le lettere e le circolari, e ne porgemmo qualche esempio nella pubblicazione delle relazioni genovesi colle Fiandre. Or come va che i genovesi di ponente che stavano ' sul- 1 avviso del già famoso pirata Colombo per triste esperienza, e quelli penino che conversavano in persona col medesimo non sapeano distinguere un guascone o francese da un savonese? E perchè poi proprio un savonese, piuttosto che d’altra parte della Liguria? È verissimo che delle famiglie Colombo ve n’ avea parecchie tra noi a Genova, a Cogoleto, a Quinto ecc., ve n’ era una anche a Savona, la famiglia appunto di Cristo-foro; ma questa non vi era indigena, bensì di fresco trapiantata da Genova, anzi semplicemente allogatasi ivi peri’esercizio della professione. Le famiglie di tal cognome erano generalmente oscure, ma quella di Savona occupata nel lanificio doveva esserlo ancora di più che non qualche altra di Genova, per es., o di Quinto le quali contarono almeno tra loro qualche patrono di nave. I genovesi di Lisbona al contrario, secondo il eh. Autore, avrebbero scambiato il Colombo francese non solo con un omonimo ligure, ma con uno di quella città dove i Colombo non vi erano oriundi e dove il capo della famiglia non si occupava di cose marittime. x74 GIORNALE LIGUSTICO Questo, o m’inganno, è nodo difficile a sgroppare, ed a cui potrebbero aggiungersi altri indizi d’improbabilità. Quelle dicerie che sulla patria di Colombo riferiva il Lomellino partivano dalle navi Spinola e Di Negro, vale a dire, come io penso, quelle stesse navi di Gioffredo Spinola e di Gio. An-.tonio Di Negro, le quali pochi mesi addietro erano state attaccate dal pirata francese ed erano riuscite a salvarsi, come toccai sopra, mentre altre navi di concittadini bruciarono. Or non sembra troppo naturale che ira le navi medesime ed il loro nemico di pochi mesi fa, corra poi a Lisbona un conversare quasi famigliare e da amico, come notammo apparire dalle lettere del Lomellino. Ma dove era in tutto questo tempo il nostro Cristoioro? Ecco la seconda parte della ricerca da intraprendere, parte oscurissima ma inevitabile, a cui quindi dobbiamo rivolgere la nostra attenzione. Si sa che il futuro Scopritore del mondo nuovo visse non brevemente a Lisbona fino al 1484, quando un brutto tiro fattogli da quel Re lo indusse a recarsi in Ispagna e ad assicurare cosi alla nuova patria adottiva la gloria ed i vantaggi della scoperta. Se prestiamo tede a lui stesso (e non vediamo perchè non se gli abbia a credere), Colombo scrive aver offerto al Re Portoghese 1’ effettuazione del proprio disegnò 14 anni prima della sua partenza per la Spagna. Ciò verrebbe a determinare al 1470 almeno la venuta di Cristoforo al Portogallo; ma questa data non piacque al P. Spotorno, come non piace all’ illustre D’ Avezac ; il quale invece di 14 anni vorrebbe sostituire 14 mesi. Alfonso V, come egli osserva, non era quel Re cosi ardente nelle esplorazioni di paesi ignoti, come apparisce dalle parole da Colombo adoperate in proposito, le quali si attaglierebbero piuttosto al successore Giovanni II che sali al trono solo nell’ agosto del 1481. Al che si potrebbe rispondere clic ad ogni modo GIORNALE LIGUSTICO anche Alfonso non smise al tutto le esplorazioni; che il Portogallo dal principe Enrico in poi durò in queste più o meno interrottamente, ma senza dare addietro; che gli stranieri audaci continuavano senza posa ad affluirvi allettati dalla fama e dalle sperate venture; che Cristoforo perciò potea parlare genericamente dei Re e del regno di Portogallo piuttosto che della persona d’Alfonso. Ma, se ben veggo, fu una precipua e speciosa ragione, per cui l’illustre Francese non credette ai 14 anni che Colombo avrebbe passati fino al 1484 in più o meno dirette relazioni col Re di Portogallo. Il Navigatore genovese, a parere di lui, avrebbe fino a molti anni dopo continuati i suoi servigi alla patria; ed egli ne trovava la conferma in quella battaglia del 1476 che ebbero le navi genovesi colle veneziane nelle acque di Cipro, ed anche in quelle avarie che Colombo dovea nell’anno medesimo riparare nel porto di Genova. Ed entrambi i fatti poteano essere in senso a lui favorevole interpretati, prima che i nuovi documenti venuti in luce ne dimostrassero la fallacia (1). Oltrecciò, mi duole il dirlo, ma io non trovo mai tra i capitani di mare della Repubblica il nome di Cristoforo', nè nei registri e filze della Signoria, nè nella speciale categoria delle cose marittime. E poniamo anco che molte carte ora manchino, disperse dalle vicende politiche, e che in quelle ritornate da poco all’ antica sede io non abbia potuto porre gli occhi che in fretta, oserei predire che non si troverà nulla o quasi. Del che mi è garante il senatore Federici, il quale per 1’ alto suo grado nella Repubblica potè e per gran zelo volle (1) D'Avezac, Anw'e véritable de la naissance de Chi'. Colomb; Paris 1873; pag. 4i-43> laddove cita un passo di Colombo dal Navarrete, Co-leccion de viages, voi. Ili, pagg. 527-528. Da simili motivi speciosi è spinto il P. Spotorno a negare i 14 anni, nel Codice Diplomatico Colombo-Americano , pag. XIV. i76 GIORNALE LIGUSTICO frugare indefessamente negli Archivi pubblici e privati ; e moltissimi ricordi lasciò specialmente sulle famiglie e sugli uffizi da quelle esercitati. Se adunque Cristoforo navigando dall’ età di 14 anni in poi, potè guadagnarsi maggior considerazione che di semplice marinaio; se potè tarsi a meditare anche sui libri lo svolgimento del suo disegno ed osare di presentarlo al Re di Portogallo; se egli prese moglie a Lisbona, se dimorò non breve tempo in quel regno e vi ebbe prole, e narra egli stesso le frequenti sue gite da Lisbona alle coste della Guinea, aperte solo pei portoghesi o pel regio consenso; tuttociò mi pare alluda a qualche cosa di più che ad un semplice esercizio di navigazione privata o ad un casuale ritrovo di Cristoforo a Lisbona. La sua meravigliosa attitudine a conoscere il moto de’ cieli e 1’ uso del quadrante e dell’ astrolabio, di che lo vanta Pietro Martire, non gli avrà valso anche da giovane l’attenzione de’ navigatori e specialmente dei portoghesi, i quali accoglievano a braccia aperte gli italiani per esercitarsi sotto la loro scuola al dominio del mare ? Lo stesso signor D’ Avezac concorda su queste idee, giacché a suo avviso i 14 mesi anteriori alla partenza di Colombo •per la Spagna, riguardano soltanto l’apertura che 'questi fa al Re Portoghese del suo disegno. Del resto il dotto Francese ammette che Cristoforo fosse già in quel regno da più anni, e già verso la fine del 1476. Ed io porrei pegno che egli non sarebbe stato restìo a concedere un tempo ancora più lontano , se non fossero quelle speciose ragioni* che gli faceano credere alla presenza di Colombo in Genova o al genovese servigio. Checchessia di ciò, siamo almeno d’accordo col P. Spotorno e col lodato D’ Avezac che il nostro Navigatore era nel Portogallo verso la fine del 1476 ; ed assai probabilmente egli aveva già con sè il fratello Bartolomeo, che addestrava all’ arte giornale ligustico 177 della cartografia marittima. Ciò considerato, non è a meravigliare che i non pochi genovesi colà di stanza o di pas-saggio abbiano conosciuto Colombo, ed abbiano da lui imparato 1 abitazione della propria famiglia in Savona. Sarebbe piuttosto a meravigliare se non lo avessero conosciuto, sia perchè tra i lontani dalla patria cresce l’affetto; sia per somiglianza di commerci e navigazione, sia per la perizia cartografica di que’ due fratelli; e non è nemmeno improbabile che colle doti ben note di Cristoforo, e cosi ben descritte da Pietro iMartire, egli possa essere stato assunto dal Re Portoghese ad un pubblico servigio di navigazione, come quei Re adoperarono con tanti altri (r). (i) Era scritta e letta la presente rivista, quando ci pervenne il Bul-letìti de la Société de Géographie pel secondo semestre del 1874. Nel quale si contiene la replica dell’ Harrisse al D’Avezac sulla nota quistione : se l'erdiqando sia 0 no l’autore della Vita di suo padre Cristoforo Colombo. Ivi, a pagg. 509-12 e 522, i1 signor Harrisse esprime un’opinione nuova allatto, ma che non mi pare nè provata nè vera. Secondo lui, Cristoforo Colombo abitava ancora a Savona col padre nell’agosto del 1472 esercitando il lanificio, sebbene dovesse avere 24 anni, se è nato non più tardi del 1446, come dicono Muiìoz e D’Avezac (e come dimostra, aggiungo io, il D’Avezac; giacché se Cristoforo era valido come testimonio nel 1472, dovea aver compiuto i 25 anni secondo la legge romana vigente in Genova). Continua l’Harrisse a dire che questa sua opinione è conforme ai detti dei contemporanei e concittadini di Colombo, Agostino Giustiniani, Antonio Gallo, Bartolomeo Senarega; i quali, secondo lui, ammettono che Cristoforo fosse in età adulta allorché egli si diede al navigare. Infine l’autore dichiara di credere piuttosto a questi gravi storici che non a Cristoforo stesso, il quale in una lettera ai Re di Spagna del 1500 circa, dice invece d’ aver preso a navigare in età molto piccola ed aver continuato da 40 anni in poi questa professione (Ved. Navarrete, Colcccion de documentos ecc., II. 262). Per me, io penso sia difficile a persuadere gli abitanti delle città marittime che un uomo cominciando a 26 anni, qualunque genio o attitu- * GIORNALE LIGUSTICO Si noti una coincidenza. Alfonso V di Portogallo fu in guerra colla Spagna dal 1475 al 79, essendo egli pretendente alla corona di Castiglia contro Ferdinando il Cattolico. Luigi XI di Francia teneva le parti del re Alfonso, sebbene non molto caldamente; e dopo la costui sconfitta alla battaglia di Toro, mandò le sue navi ad accogliere il vinto e lo fece onorevol-mente ricoverare in Francia. Il capitano di mare a tale scopo inviato era appunto un Colombo, che l’Harrisse opina sia il solito Guglielmo di Casenove. E. sia pure, sebbene le cose operate e sofferte da un solo capitano lungo questo tragitto paiono un po’ intricate e confuse. Ma dico io, supponiamo Cristoforo capitano di navi al servigio del Portogallo, non potrebbe egli essere stato per alcun tempo al servigio provvisorio e-subordinato della squadra maggiore del Re di Francia? In tale ipotesi si intenderebbero forse meglio le gite e le par- dine gli si voglia concedere, possa mai riescire un navigatore mediocre. Ciò tanto più quando quest’ uomo fino a quella età non esercitò che un mestiere manuale e fu di poche lettere. Ma non trovo nemmeno che 1 contemporanei e concittadini di Cristoforo, che l’Harrisse cita e che a ragione chiama gravissimi, affermino la cosa nel significato che egli traduce. Vediamo questi passi, che del resto l’autore riferisce fedelmente. Bartolomeo Senarega, De rebus genuensibus, nei Rer.Ital. Script., XXIV. 534: Hi (i fratelli Bartolomeo e Cristoforo) intra pueriles annos parvis literulis imbuti et puberes deikde facti, de more gentis in navigatione exiverant. Quasi colle stesse parole Antonio Gallo, De navigatione Columbi nella medesima Raccolta, XXIII, 301: Cbristopborus et Bartbolo-meus. .. lanificii mercede victitarunt. Nam pater textor, carmituitores Jiln ahquando fuerunt. Hi. . . intra pueriles annos parvis literis imbuti, DEINDE puberes facti, de more gentis nostrae in navigatione exiverant. Agostino Giustiniani nel suo Psalterium , in nota al salmo 19: Hic (Cristoforo) puerilibus annis vix prima elementa edoctus pubescens jam rei maritimae, operam dedit ». Ora quel puber significa egli l’età adulta, come traduce 1’Harrisse? Il Dizionario del Porcellini alla voce puber spiega: talis est puer ab annis quatuordecim ut inquit Festus ; e ne dà le ragioni anche alle voci pubes, pubertas. Che se si ammette che talora in senso improprio il puber si estenda a maggiore età, a noi tronca affatto il dubbio il Giù- GIORNALE LIGUSTICO J79 tenze e i ritorni di un Colombo da e per Lisbona ; inoltre se Cristo toro avesse battuto il mare sotto il francese Guglielmo di Casenove, sarebbe spiegato acconciamente quel detto di Ferdinando Colombo che suo padre navigò sotto un Ammiraglio dello stesso suo nome. Basterebbe allora che si condonassero alla ambizioncella od alla sbadataggine del Biografo quelle circostanze e quei particolari erronei', onde egli infiorò un racconto che potrebbe esser vero nella sostanza. Tale è il modo come a me’pare potersi avviare la soluzione del quesito, che non credo sciolto finora non ostante l’ingegnosa risposta del signor Harrisse; se alcuno trova di meglio, gli sarò gratissimo. Ma prima di chiudere la mia lettura, vorrei rilevare ancora un’osservazione sfuggita ai Dotti che mi precorsero su questo soggetto. Il nobile guascone Guglielmo soprannominato Coulom o stiniani col sostituire alla parola pubes, quella di pubescens: oltrecchè tutti tre questi scrittori contrappongono, quasi a disegno, gli anni puerili alla pubertà incipiente. Ciò posto, sono appunto i 14 anni di Festo, l’età in cui Colombo cominciò a navigare secondo Ferdinando o chiunque sia l’autore della Vita di Cristoforo. Per conseguenza, nato questi nel 1446 si diede alla marina nel 1460, e nel 1500 aveva compiuti quei 40 anni d’esercizio nella sua professione, che Cristoforo stesso afferma nella lettera dianzi citata. A queste cosi notevoli concordanze non può recare per mio avviso gran difficoltà l’altra obbiezione dell’ Harrisse, cioè che Colombo nel 1472 a cinque mesi d’intervallo si presentava due volte in Savona avanti a un notaro, e che questi injmo dei due contratti lo chiamava cittadino savonese e di professione laniere. Anzi Cristoloro vi è una terza volta nel 1473 per affari di famiglia (Ved. Belloro, Revista critica ecc.; Genova 1839, pagg. 56-58). Ma si capisce che un marinaio ritorna volontieri e deve talora ritornare in patria e più volte, od anche restarvi più mesi per simili motivi. Nè col navigare perde la qualità di cittadino. Infine, se il notaio in un solo de’ suoi atti dà a Cristoforo la qualità di laniere, ciò era certo improprio; ma questa era la professione del padre, e fu già la sua; nè egli col navigare aveva finora guadagnato alcun grado-che potesse far dimenticare l’antico esercizio. i8o GIORNALE LIGUSTICO Colombo, avea cognome di Casenove; notate bene, proprio scritto ne’ documenti francesi : di Casenove. Ma questo è certo un cognome italiano e non francese: certo è una famiglia italiana trapiantata in Francia quandocchessia. Il contemporaneo Simone di Phares, citato dall’ Harrisse, scrisse che Guglielmo di Casenove sapea più che niun altro il segreto della quarta del navigare; senza dubbio poteva aversi guadagnato queste doti marinaresche col proprio ingegno ed esperienza , ma poteva anche avere ereditato 1’ attitudine e la propensione in famiglia di origine italiana e marittima. Ora io vedo tra le nobili antiche famiglie di Genova quella dei Casanova, che era un ramo dei celebri Conti di Lavagna, leggo persino uno di questi Conti Palatini, Gabriele di Casanova, morto nel 1238 e lodato sulla sua tomba come consigliere del Re di Francia (1). Veramente troviamo sçmpre scritto Casanova e non Casenove; ma uno tra gli stemmi della famiglia reca sul campo tre case; poi si sa che il genio della lingua francese tende per sè a ridurre alla e unita la fine delle parole. Del resto ripeto ciò che dissi sopra: io espongo le mie opinioni, e propongo dubbi senza pretendere d’aver imbroccato nel segno. Sia il benvenuto d’Italia, di Francia, di Germania, dondecchessia chi mi sgroppi il nodo; ma taoto più benvenuto se ci scopra un nuovo, anche piccolo, particolare avente tratto all’ immortale Navigatore che tutte le nazioni c’ invidiano (2). (1) II monumento era già nella chiesa delle Vigne, e l’iscrizione ne è riferita dal Pasq.ua , Memorie e sepolcri che sono nelle chiese e suburbii di Genova; Ms. alla Civico-Beriana, pag. 56. (2) Afferro l’occasione per dar contezza di un documento che fu recentemente pubblicato per la prima volta dal signor Carlo Gargiolli nel pregiato periodico II Propugnatore di Bologna (febbraio 1875, pagg- !01~ 103), esso giaceva nei mss. palatini delle carte di Macchiavelli a Firenze, e riguarda il secondo viaggio di Colombo all’America. Sventuratamente GIORNALE LIGUSTICO 181 III. Sezione di Storia. Tornata del 16 gennaio. Presidenza del Preside Antonio Pitto. Il socio Neri legge le seguenti Notizie di Agostino Oldoini, storico c bibliografo ligure del secolo XVII. Degni di ricordanza non lieve sono gli scrittori del seicento che dettero .opera a lavori storici, biografici e bibliografici; i quali se riescono sovente manchevoli o privi di certa esattezza , non possono non essere consultati con alcuna utilità ; e ci è pur uopo esser sempre tenuti a’ loro autori, dirò col Veriniglioli, per aver essi aperta una difficilissima via, se bene non sempre con sicurezza, e con sufficienza di scorte tracciata (i). Che se alcune opere di tal ragione furono dai posteriori rifatte, non poche rimangono tuttavia senza che altri abbia pensato non tanto a recarvi migliorie, ma neppur a rifonderle di proposito cogli additamenti opportuni, dalle nuove scoperte e da’ più profondi ed accurati studi resi oggimai necessari. In questo novero dee senza meno riporsi il P. Agostino Oldoini, della cui vita e delle opere mi propongo appunto tener breve discorso. La famiglia Oldoini ebbe sua origine in Cremona, donde fu trapiantata a Genova nel 1424 da Antonio venutovi luogotenente generale del Conte di Carmagnola, governatore della Repubblica per il Duca di Milano. Alcuni di questa nòbile casata ebbero nei secoli XII e XIII ufficio di consoli non ò clic un breve estratto di notizie, che scrive a Piero Nicolò di Firenze un Simone Verde da Borgo di San Lorenzo di Mugello che era allora a Vagliadolid di Castiglia. La data delle costui lettere era del 20 marzo 1493 e del 10 maggio 1494. (1) Scritt. Ptrug., Pref. GIORNALI-: LIGUSTICO e . podestà di Cremona ; 1’ Argelati ci ricorda Catterina madre del celebre Speziano; Ziliolo figlio di Giovanni giureconsulto di vaglia e lodato scrittore, vissuto sul cadere del quattrocento, ascritto alla cittadinanza milanese e ad orrevoli uffici preposto ; Tideo leggista anch’ egli e scrittore, adoperato in pubblici negozi sullo inizio del cinquecento ; in fine un Egidiolo, un Diomede, un Isacco legati a’ suddetti in parentela. In Genova adunque pose Antonio per alcun tempo sua stanza, e da questa città i suoi discendenti si condussero a Brugnato, di qui altri a Levanto altri a Pontre-moli si diramarono. Giambattista del fu Francesco di Pon-tremoli, sposò nel 1480 Giorgietta de’ Signori di Passano e fu il primo che recatosi alla Spezia vi ponesse stabile dimora. Ci avverte il Federici, che di questo Giambattista trovansi più lodevoli ricordi ne’ fogliazzi de’ cancellieri della Repubblica agli anni 1500 in 1502; ma perchè soggiugne come di gran prò fosse al governo, aiutando in varia guisa di opera e di vettovaglie (1) le soldatesche genovesi nella guerra contro i fiorentini combattuta l’anno 1487, dobbiamo credere con qualche fondamento siasene andato in quel torno alla Spezia per incarico della Signoria. Agostino nato da Giambattista ebbe cinque figli Nicolò, Giambattista, Girolamo, Giacomo, l’altro, venuto in luce appo la morte del padre, portò il suo nome e resosi cappuccino rinunziò in favore dei fratelli ogni suo diritto. Ma innanzi eh’ io mi faccia ad esporre da quale de’ nominati discese l’autor nostro, non mi voglio passare dal far breve ricordanza di Gio Agostino, discendente da un prozio del nostro autore, nato sulla metà del seicento e morto a (1) Il danaro a lui pagato per le provviste di grani, trovasi notato nei registri del Banco di san Giorgio. Expensae Sarranae anno 1487, car. 64 tergo. GIORNALE LIGUSTICO i33 Spezia cappuccino li 2 Agosto 1710; egli deffinitore della provincia genovese, professore di teologia ed eloquente predicatore, dettò alcune traduzioni dal francese noverate nella Bibliotheca scriptorum capucinorum del P. Dionisio da Genova, e dal suo continuatore Bernardo di Bologna (1). Gli fu contemporaneo un suo cugino omonimo, che entrato nella Compagnia di Gesù s’ ebbe ufficio di teologo della Repubblica di Genova (2). (1) Eccone le note bibliografiche. — I. La Filosofia cristiana overo persuasioni potenti per dispregiare la vita , opera del P. Zaccaria da Lysieux predicatore, capuccino tradotta dal Francese in Italiano da F. Gio: Agostino Oldoini della Spelia dell' istesso Ordine. In Genova MDCLXXXX. Per Gio: Battista, et Antonio Maria Scionici'; in4.° picc. — II. L’ anima al tribunale di se stessa convinta dalla Joria di ragioni naturali confessa V immortalità del suo essere. Opera del P. Gio: Andrea Vederipa (pseudonimo dell’ Oldoini) Dedicata ali' Illustris. Sig. Francesco Maria De Franchi. In Genova, per Gio: Battista Scionico 1694. In piazza delle cinque Lampade. Gon licenza de’ Superiori; in 12.° Questa opera è tratta dal tomo 2.0 della Teologia naturale del P. Ivone da Parigi. — III. Specchio della vanità delle donne mondane, opera tradotta dall' originale del P. Ludovico da Boiiin capuccino MS. — IV. Cristiano del Tempo, dall’ originale del P. Francesco Bonal minore osservante MS. Si conservavano nella Biblioteca dei Cappuccini di Genova. (2) Conosco di costui due consulti teologici ; il primo intorno al Sinodo Diocesano di Brugnato, celebrato da Monsignor Da Diece nel 1675 ed uscito per le stampe del Vigna in Parma l’anno 1679, in conseguenza del quale consulto dietro rapporto della Giunta di giurisdizione, i Collegi deputarono il M. Pietro da Diece a fare intendere al Vescovo come quel Sinodo non manca di contenere qualche capo che per sentimento de’ Padri Teologi può essere considerato pregiudiziale alla Repubblica, non essere quindi opportuno sia introdotto nel dominio: si avvisino poi in un tempo gli Inquisitori di Stato, a fine non consentano la ristampa in Genova. (Arch. R. Genov. In buste Città t comuni; lett. B.) L’ altro verte sul fatto seguente. Venuto all’orecchio degli Inquisitori di Stato, come nella libreria del convento di S. Nicola si conservasse un manoscritto contenente cose reputate di pubblico pregiudizio, mandarono a prenderlo; il Priore lo negò allegando i decreti pontifici e la scomunica. Interrogati i Teologi 184 GIORNALE LIGUSTICO Orazio, altro de’figli del mentovato Gerolamo, sposatosi a Cassandra Lolio fu padre di Agostino, che sorti i natali alla Spezia a’ 6 Giugno del 1612. Ebbe a maggior fratello quel Bernardo , che applicando alle istorie mandò in luce la continuazione al supplimento fatto dall’ Aureli alle Storie del mondo d’Orazio Torsellini (1). Subito che Agostino ebbe compiuti i primi studi in patria, avendo dato buon saggio del suo svegliato ingegno, venne condotto in Roma dal padre risposero in questo caso non essere valevole la scomunica ; ma 1’ Oldoini proponeva poi questa scappatoia: Per uscire da tutte le quistioni, vi sarebbe ripiego che si mandasse un ministro nella libreria de' PP., e data una scorsa al libro, a loco a loco trovandovi cosa pregiudiziale, potrebbe Con le Jorbici mila medesima libreria tagliarlo a minuti pez\i 0 abbruggiarlo, senza, trasportarlo fuori, con che non si potrebbe dire che s’ine or esse la scomunica, che è solo posta al trasferire i libri fuori della libreria (Ivi, Jurisdic. et Ecclesiastic. Fil. io, anno 1679). Piacenti toccare eziandio d’ un altro di questa famiglia. Gio. Ambrogio Oldoini nacque in Genova nell’ultimo ventennio del cinquecento da Francesco nobile cremonese, quivi recatosi intorno al 1571. Fu di professione soldato, ma in giovinezza erasi dato con passione all’arte marinaresca, volgendo di preferenza i suoi studi alla strategia ed alle cose di guerra. Restaci di lui una relazione dettata nel 1620, nella quale intende spiegare il modo d’assalire Genova ed impadronirsene con molta facilità dalla parte della Cava con uno sbarco dal mare. Non è priva affatto d’interesse; e sembra i Padri vi trovassero qualche cosa di vero, perchè ordinarono subito di fortificare quel luogo. Si proponeva altresì dare il disegno d’un vascello di nuova foggia, atto a combattere da solo con quattro galere, a resistere a qualsivoglia fortuna , ed a stare in sull’ ancore in qualunque spiaggia aperta. Infine an-ch’ egli mettea fuori un po’ di poesia finanziaria, protestando con la più grande serietà avere un suo segreto, mercè il quale, in caso di guerra si poteano incassare molti milioni d’oro, senza il menomo disturbo nè della Repubblica nè dei privati. (Arch. cit. Secretorum Fil. 13,2- 1620). (1) Parte seconda del Ristretto dell’Historie del mondo dall’anno MDCXXXi per iusino al MDCL scritta dal signor Bernardo Oldoini genovese. In \ e-netia MDCLXI Per Gio: Pietro Brigonci; in 12. Ed ivi per il Baba 1653 ; in 12. GIORNALE LIGUSTICO e posto nel collegio insigne de’ gesuiti; i quali conosciuto 1 animo del giovinetto tutto pieno dell’ amore alle lettere, e pensando riuscito sarebbe di non lieve lustro al loro sodalizio, si fattamente lo infervorarono che indi a non molto fermò proposito di vestir 1’ abito della Compagnia ; per il che fattolo viaggiare a Napoli, in quella casa professa pronunziava i voti solenni ai 4 Febbraio del 1628, appena varcato il terzo lustro (1). Dava opera intanto a perfezionarsi nelle scienze filosofiche e teologiche, e facendo palese fin d’ allora una operosità non comune, dimostrava eziandio natura seria e ponderata, spoglia da quella vivacità tutta propria di giovinezza, e volta più volontieri alla pacata riflessione ed all’erudito giudizio. Quindi è che ben s’ auguravano di lui i suoi docenti e di buon’ ora incominciarono a preporlo alle scuole de’ novizi; con tale uffizio in fatti il troviamo in Ancona nel 1637 , dove in servigio de’ suoi discepoli ponea fuori senza nome il primo suo libro, intorno ad alcune difficoltà principali della grammatica. Se non che ad opere di maggior lena traevalo il suo genio, singolarmente indiritto a studi di ragione storica, biografica e bibliografica: venutigli intanto a mano i due volumi delle Vite de' pontefici e cardinali dettate da Alfonso Ciacconio, e con aggiunte poste in luce dal dotto Andrea Vittorelli e da altri nel 1630 (2), giudicò sarebbe riuscito di non poca utilità procurar di quell’ opera una ristampa, aumentata di molte erudizioni e condotta fino agli ultimi tempi. A colorire sì fatto disegno ei si procacciò modo di tornare a Roma, e quivi (1) Errano i Backer (Bibliot. des écrivain, de la Comp. de Jesus, T. II) assegnando la nascita al 1601 e la pronunzia de’ voti al 1617. Eppure quivi si cita il Giustiniani, che ha le date precise ! (2) L’ opera dello storico spagnuolo usci da prima in Roma nel 1601 in un volume. Poi colle giunte del Vittorelli e per cura del Wadingo nel 1630 in due tomi. 186 GIORNALE LIGUSTICO nelle doviziose biblioteche dando opera a raccogliere notizie ed a fare spogli, riunì in breve gran copia di materiali, che gli giovarono non solo al propostosi lavoro, ma fecero in lui sorgere il pensiero di quelli cui pose mano dappoi. Non perdonando a fatiche e a tutt’ uomo lavorando intorno all opera mentovata, fu in pronto nel 1651 ad incominciarne la stampa, ed all’ uopo s’ acconciò col tipografo Rossi. Ma perchè 1 edizione doveva, secondo il divisato, uscire con la maggioie splendidezza, adorna de’ ritratti dei pontefici e di molteplici incisioni, molto s’indugiava il tipografo a far procedere la stampa. Nè queste sole furono le difficoltà che si attraversarono all’ impresa, imperciocché non picciolo tempo venivano i fogli trattenuti, man mano erano impressi, dai revisori; 1 quali con diligenza grande, e più volte, e per opera di più persone andavano rileggendo, vagliando, sottilizzando. Il quale studio de’ preposti a quell’ ufficio maggiormente s’accresceva quando l’opera, varcato il tempo in che tenne la sede Urbano Vili, procedeva a discorrere de’ più vicini, e per sin de'viventi. Breve; ora a cagione del tipografo, or de revisori , comparvero solamente i quattro grandi volumi onde si compone il lavoro nel 1677, ventisei anni dopo l’incominciatane impressione, come che fino dall’anno innanzi sen giacessero affatto compiuti nell’ officina del Rossi. Lo stesso Oldoini in una sua lettera all’ Aprosio ci rivela candidamente il perchè ne venisse ritardata la pubblicazione, e l’attribuisce a due errori del Rossi medesimo: « uno suo naturale della lentezza nelle sue azioni; il secondo di havere lasciata vedere 1’ opera a molti, che vi hanno 0 pensano havere interesse per la parentela, o amicizia, o altro, con quelli che si nominano per le dignità havute. Tutti vorrebbono che li loro congiunti stessero al pari degli altri, e spiccassero quanto ogni altro; non riflettendo che li talenti dati da Dio sono diversi di numero, e molte volte di attività; le stelle tutte GIORNALE LIGUSTICO 187 risplendono, ma non tutte sono di una grandezza. Molti nominati nell’ opera sono ragguardevoli per la pietà, altri per le scienze che possedono, e altri per le molte qualità insieme dategli da Dio. Questa disuguaglianza non piace a molti, e vorrebbono uguagliarli agli altri, e non sanno il modo ; cercano azioni ragguardevoli, e non le trovano, ma pensano trovarle, perciò essendo potenti, fanno trattenere » (i). A scagionare in certo modo il Rossi dagli appunti dell’ Oldoini, Carlo Cartari celebre scrittore ed avvocato concistoriale scriveva quasi nel tempo istesso pure all’ Aprosio : « Il P. Oldoini è mio amico; si lamenta a torto del Rossi, perchè questo vorrebbe haver pubblicata la sua opera da più anni sono; ma sono così frequenti' gl’impedimenti che se gli sono frapposti, e ne’ quali di presente si ritrova, che merita di essere compatito; si può sperare che un giorno termineranno, non mancandosi di operare giornalmente per questo effetto » (2). Egli che poneva in opera la sua influenza perchè fosse tolto ogni ostacolo, conosceva di qual ragione fossero gli impedimenti da lui accennati, e eh’ io ho discorsi qui innanzi rilevandoli appunto dalla sua copiosa corrispondenza epistolare col celebre Agostiniano di Ventimiglia (3). Mi passo volentieri dal toccare dell’ importanza di quest’ opera , essendo a tutti gli studiosi ben nota, sì come note sono altresì le giuste lodi che ne fecero gli scrittori della nostra istoria letteraria; (1) Lctt. Autog. Bibl. Università di Genova Cod. E. V. 9. (2) Lett. Autog. Bibl. Università di Genova Cod. E. VI. 8. (3) Non voglio passarmi dal notare, come la compilazione d’opera sì fatta, dee aver recato altresì qualche noia personale al nostro autore per parte dei gesuiti), e lo argomento dal seguente brano di lettera del Cartari: Il padre additionatore al Ciaccone dimora in Collegio Romano, con qualche abilità, ma non libertà assoluta ; puoi andare per tutta la casa, anche in Chiesa; parlare a tutti; ma non uscire; vive però con molta sofferenza (2S Agosto 107*). Bibl. cit. Cod. E. VI. 6. t 88 GIORNALE LIGUSTICO che se in essa v’hanno alquante inesattezze, non sembrami meritasse il giudizio troppo affrettato dello Spotorno (i), poiché, secondo ben dice il Tiràboschi, contiene molte utili ed importanti notizie che difficilmente si rinverrebbero altrove (2). Nel lungo lasso di tempo in che Agostino attendeva all’ opera del Ciacconio, da lui tanto migliorata ed accresciuta, mandò pure al palio in Roma nel 1671 un necrologio dei pontefici e pseudo-pontefici illustrato con note erudite. Nè a questo solo si rimase, chè quattro anni dopo preposto rettore nel collegio di Perugia, pubblicò incontanente un libro molto dotto, nel quale ragiona, con ampio corredo di notizie e saggia critica, di tutti i Clementi illustri per santità o savi costumi ; libro dedicato allo stesso pontefice Clemente ‘X e che meritò lode condegna da Francesco Nazzari nel suo reputato Giornale dei letterati (3); sì come tu altresì a’ suoi tempi lodatissimo, ed è pure oggidì consultato alcuna fiata dagli studiosi, 1’Ateneo Romano edito in Perugia nel 1676, dove son divisati i pontefici e pseudopontefici, i cardinali e pseudo-cardinali che lasciarono opere stampate o manoscritte. Nel mentre ei dimorava in Perugia più volte fu d’uopo si recasse a Roma, non solo a cagione della sopra ricordata stampa, ma chiamatovi or dai governatori della Compagnia ora eziandio dalla Corte, a fine di intendere suo consiglio in difficili negozi politici, ecclesiastici 0 secolari. Versato in qualsivoglia ragione della scienza isto-rica e teologica, dotato d’ una noi comune aggiustatezza di criterio, ecasi levato in bella fama, di guisa che i suoi giudizi si teneano in molta stima. E del suo sapere e degli studi diletti tanto produceva di continuo novelle prove; nel 1678 aggiunse al novero delle sue opere 1’ Ateneo Augusto degli scrit- (1) Spotorno, Stor. Leti. Lig. T. V. p. 4. (2) Tiràboschi, Stor. Lett. liai. T. Vili. p. 192. (lìdiz. Classici). (3) Anno 1677,.pag. 96. GIORNALE LIGUSTICO 189 tori perugini; questo libro fu rifatto, è vero, dall’erudito Ver-miglioli, ma questi non mancò di ricordare degnamente il lavoro di chi lo precesse, giudicando l’Oldoini molto dotto scrittore (1). L ultima pubblicazione eh’ egli condusse si fu il notissimo Ateneo Ligustico, manuale, come ognuno sa, tanto utile e necessario, come chè vi si leggano qua e colà alcune inesattezze ; e dico essere stato questo 1’ ultimo lavoro da lui mandato in luce, perchè tre anni dopo, cioè nel 1683, cessava di vivere (2). Mal s’apporrebbe in vero, chi volesse contendere al nostro autore la dote d’una erudizione non comune, e solamente s’ avvisasse dispregiarlo a cagione degli errori in cui egli incorse ; disconoscerebbe costui, in si fatta guisa giudicando, un potissimo precetto dell’arte critica, e tornerebbe a proposito ricordargli la giudiziosa sentenza di Paolo Emiliani Giudici che la cri'ica, cioè, a spropositare non ha mestieri di altro, che di considerare le opere dell’ingegno secondo le norme prettamente metafisiche dell’estetica, sen^a badare a’ tempi ed alle circostante da cui originarono (3). Ma se codesto dispregio riuscirebbe assai ingiusto dal lato letterario, maggiormente il saria riguardando l’uomo; la candidezza della natura e la grande modestia, che si pare dalle sue lettere ci palesano com’ei non (1) Vermiglioli, Op. cit. Prefazione. (2) Gli scrittori che ragionarono dell’ Oldoini non accennano all’ epoca della sua morte; si contentano scrivere che egli era sempre vivo nel 1680. Le lettere al Magliabechi corrono però fino al 17 Febbraio 16S3 (Bibl. Ni7^. di F ir mie. MSS. Magliabechi ani Cl. Vili. D. 720), ed in una lettera del Magliabechi al P. Gandolfo de’ 28 Luglio stesso anno (Bibl. Università cit. Cod. E. VI. 15) trovo accennata la morte d’ Agostino così: « A carte 64 (dei Fiori Poetici dell' Eremo Agostiniano) V. P. R. cita il P. Oldoini negli scrittori Fiorentini, ma il Padre morì avanti di dar fuori l’opera ». ()) Stor. Leti. Vol. I. p. 339. 190 GIORNALE LIGUSTICO reputasse le sue opere, non che perfette, a gran pezza lodevoli ; ond’ è che a’ più eruditi letterati domandava e consigli, e schiarimenti e notizie, correggendo la sua opinione convinto dalle gentili censure, e ringraziando che soggetti di sì gran nome per lui tapino volessero prendersi briga. Così egli s’ era procacciata 1’ amicizia e la corrispondenza letteraria de’ più colti suoi contemporanei, fra’ quali giovami citare un Vincenzo Armanni, un Carlo Cartari, un Giovanni Cinelli, un Carlo Strozzi, un Angelico Aprosio, un Antonio Magliabechi. La operosità grande onde va meritamente distinto, non si raccoglie solamente dai lavori che videro la luce, e da me innanzi divisati, a’ quali sono da aggiugnersi due elogi 1 un dal Cardinale Ubaldini l’altro di Gerolamo Genuino, si è meglio dai 45 volumi manoscritti, la maggior parte in mazzi di schede, che si conservano autografi nella Comunale di Perugia; in questa poderosa collezione trovansi ed opere incominciate e già ben innanzi condotte, e moltissimi spogli ‘frutto di pazienti ed erudite ricerche, il che si evince in singoiar modo dai titoli apposti ai volumi stessi ; ed era con sì grande suppellettile di materiali, che egli proponeasi mandare alle stampe le cinque opere promesse nel suo Ateneo Ligustico. Niuno vorrà dopo ciò accusarlo di vanità o d jat-tanza , se scrivendo all’ Aprosio usciva a dire : Se Dio mi dà vita, come, spero, il mondo vedrà che non ho dormito per giovare al pubblico (2). Da questi manoscritti trasse Meuschen il Catalogo di coloro che scrissero de’papi, e lo stampò nel 1732 in fine al suo Ceremoniale pontificio; il Zaccaria gli scrittori di Pistoia, che corretti ed aumentati diè fuori in I orino nel 1752 nella Biblioteca pistojese: il primo di questi valentuomini pose in fronte al Catalogo il nome del nostro Oldoini, e l’altro con onore il citò (1). (1) Lett. 30 Gennaio 1680 (Bib. Universit. cit. Cod. cit.). (2) Biblioth. Pistor. Praefatio secundae p.irtis. giornale LIGUSTICO 191 Ma chi più d’ ogni altro fece suo pro d’ un opera condotta a termine, e lasciata inedita dall’Oldoini, fu il P. Giulio Negri. Egli, tratta dall’Athenaeum Hetruscum la parte ornai compiuta degli scrittori fiorentini, compresa in due tomi distintamente segnati, come dai tre che ancora rimangono a Perugia aperto si rileva, la tradusse in volgare facendovi alcune giunte, con animo di darla alle stampe se morte noi coglieva prima di porre ad effetto il disegno, di modo che l’opera uscì postuma in Ferrara nel 1722 per cura dei suoi correligiosi. Pare a prima giunta che nota assoluta di plagiario non si possa dare al P. Negri, perchè forse, se vissuto fosse, avrebbe ricordato l’Oldoini e dato ampia ragione del suo lavoro ; ma avendoci lasciato scritto il Moreni come ei procacciasse all’ impresa il favore di Ferdinando di Toscana, e fosse per ciò anche eletto istoriografo ducale, si ha gran ragione ?di sospettare abbia fatto passare per sua fin d’ allora la fatica del ligure gesuita. 'Primo a toccare di questo plagio fu un contemporaneo e dell’Oldoini e del Negri, cioè il P. Gandolfo nella sua Dissertazione de’ duecento scrittori Agostiniani (1), e sulla fedé di lui lo ripetè il Melzi (2); le lettere dell’ Oldoini e del Negri al Magliabechi tolgono ogni dubbio. In fatti nelle prime, che corrono dal 1681 al 1683, si ha la più sicura riprova come gli Scrittori fiorentini fossero affatto terminati e posti in ordine per la stampa; dalle seconde chiaro si dimostra che il Negri trovò in Perugia fra gl’innumerabili manoscritti del dottissimo P. Oldoino, come egli scrive, il Pantheon Florentinum compito in tutte le sue parti (3); altrove poi discorre della utilità, di stamparlo e del genio eh’ egli v’ avrebbe ; ciò nel 1691, ma otto anni dopo ragiona dell’opera come di (1) Dissertatio bistor. de Ducentis celeb. August. Script, pag. 112. (2) Dizionario degli anonimi c pseudonimi, art. Negri. (3) Lett. 18 Luglio 1691 (Bib. Naz. Firenze. Cod. cit.). 192 GIORNALE LIGUSTICO lavoro proprio, e domanda all’ uopo informazioni e notizie al celebre bibliotecario fiorentino. Da questo fatto si potrebbe argomentare divisasse egli rifare il libro di sana pianta, giovandosi come guida del già compilato da Agostino; se non die la stampa del 1722 contraddice a sì fatta supposizione. Chi voglia porre a cimento 1’ Athenaeum Ligusticum cogli Scrittori fiorentini, vi scorgerà senza molto studio uniforme il metodo , l’esposizione e la critica, e sarà fatto incontanente persuaso che il volgare del Negri non è se non una semplice traduzione dal latino dell’ Oldoini. Ma v’ ha di più ; il P. Giulio nel dar notizia al Magliabechi del ritrovato manoscritto, aggiugne esservi un elogio degnissimo del Sig. Antonio come quegli che all’ opera ha tanto contribuito; ed ecco che l’elogio si legge appunto a pag. 62 dei mentovati scrittori, nel quale è poi osservabile il seguente periodo tutto proprio della natura dell’autor nostro: lo non ho, così scrive, nè devo aver l’ambizione d’entrare nel numero de’ scrittori di questo secolo (che pur troppo ne abbonda) da me riveriti ed ammirati ; ho però 'tutta la riconoscen^a per confessarmi obbligato al Sig. Maglia-bechi, e degli incessanti stimoli datimi ad intraprender questa storia, e delle notizie somministratemi con infinito suo genio ed amore per proseguirla; delle quali cose tutte ci porgono larga testimonianza, e le citate lettere dell’Oldoini, e quelle del Magliabechi stesso al P. Aprosio. E per toccare d’ una ; che altro sono quelle Annotazioni del Magliabechi moltissime volte citate negli Scrittori Fiorentini, se non se, i quinterni di notizie (1’ Oldoini li dice nelle lettere libri di Note) inviate al nostro autore dal celebre bibliotecario? Finalmente in un luogo per poco il traduttore si discopre; là dove parlando di Giovanni Cinelli reca il novero delle sue opere, ricorda altresì la storia de Scrittori Fiorentini ed aggiunge: da me con diligenza cercata, nè mai veduta perchè 0 m avrebbe con le raccolte notizie sollevato da questa immensa fatica, 0 me n avrebbe libe- giornale ligustico I93 rato la Parte seconda de’ Scrittori Toscani al fiorentino dominio sottoposti. Che 1’ Oldoino non abbia mai veduto quel lavoro del Cinclli si rileva dal suo carteggio col Magliabechi, si come da altra sua lettera al P. Aprosio apparisce il suo proposito di compilare questa seconda parte; ecco le sue parole: Adesso mi son messo intorno all’Ateneo Fiorentino (volea forse dire 1 oscano) timpo fà da me sbotto, per finirlo; sarà questo 'diviso in più parti, ciascuna con il suo titolo particolare; la prima conterrà solamente gli scrittori fiorentini e si chiamerà Athenaeum Florentinum, la seconda abbraccierà tutta la Toscana suddita del Gran Duca con il titolo di Athenaeum Etruscum seu Hetruriae subditae Magno Duci (i); e al Magliabechi: Li Scrittori Fiorentini, per incontrare la sodisjatione de’ più usciranno soli; solo si metterà nel frontispicio Pars i. Scriptorum Etruscorum, quae continet Scriptores Florentinos (2). Sembrami si possa adunque fermamente ritenere che 1’ opera edita sotto nome del Negri, sia quella stessa lasciata dal’Oldoini, e solo dal primo posta in volgare ed aumentata di poche e brevi giunte. Vero è che molta fama non può aggiungere al nome del ligure nostro, essendo ripiena di anacronismi ed errori; ma ò pur fino a qui la sola che di tal materia si abbia alle stampe. Riesce bastevole il fin qui detto a far manifesto, come il nome d’Agostino Oldoini debba avere degno luogo nella nostra Storia letteraria, e la terra onde nacque abbia dritto d’onorarsene. Se ncn furono mie parole acconcie al subbietto, se ne accagioni la mia pochezza; al buon volere si riguardi, che mi rende superbo quando mi è dato trovar cagione d’onoranza a coteste terre, che circondano la mia patria diletta. E vorrei oggimai sancire menzognera l’acerba sentenza del Giovio, (1) Lettera de’ 29 Gennaio 1680. (Bibl. cit. Cod. cit.). (2) Lettera 22 Ottobre 16S1 (Bibl-. di Firenze cit. Cod. ciù). J94 GIORNALE LIGUSTICO il quale perfidiava l’ingegno di questi liguri assimiliarsi alla asperità de» lor monti, chè 1’ asprezza de’ monti e dello ingegno data lor da natura seppero dirozzare col ministerio degli studi e colla tenacità d’ un forte volere. OPERE A STAMPA 1. Alcune difficoltà principali della grammatica con i precetti di ciascuna regola date in luce ad istanza ed uso dei scolari della Compagnia di Gesù. In Ancona, appresso Marco Savioni 1637. In 8.° 2. Necrologitim Pontificum ac Pseudopontificum romanorum cum not:s. Auctore Augustino Oldoino Societatis Jesit. Eminentissimo Principi Card. Carolo Rossetto dedicatum. Romae, Typis et expensis Ignatij de Lazaris MDCLXXI. Superiorum permissu. In 8.° Nella lettera 5 Dicembre 1681 al Magliabechi, notificandogli la morte del Card. Rossetti, accenna avergli dedicato questo libro ed aggiunge. « Lo feci a sua istanza, perchè non poteva leggere li Tomi grandi delle vite de’ Pontefici, e volendone havere notizia succinta composi detto Necrologio ». 3. Clementes titulo sanctitatis vel morum sanctimonia illustres simul editi cum animadversionibus ab Augustino Oldoino Societatis Jcsu ad Clementem Decimum Pont. Max. Perusiae MDCLXXV. Ex Typographia Episcopali, apud Laurentium Cianum. Superiorum permissu. In 4.0 picc. 4. Athenaeum Romanum in quo Summorum Pontificum ac Pseudopontificii.il, nec non S. R. E. Cardinalium ac Pseudocard. scripta publice exponuntur. Studio Augustini Oldoini Societ. Jcsu erectum et sub patrocinio Julii Card. Spinolae evulgatum. Perusiae MDCLXXVI. Ex typographia camerali, apud haeredes Sebastiani Zechini. Superiorum permissu. In 4.0 picc. 5. Vitae,-et res gestae Pontificum Romanorum et S. R. E. Cardinalium ah initio nascentis Ecclesiae usque ad Clementem IX P. O. M. Alphonsi Ciacon.i Ordinis Praedicatorum et aliorum opera descriptae: cum uberrimis notis. Ab Augustino Oldoino Societatis Jesu recognitae et ad quatuor Tomes ingenti ubique verum accessione productae. Additis Pontificum recentiorum Imaginibus, el Cardinalium Insignibus, plurimisque aeneis figuris, cum Indicibus locupletissimis. Romae MDCLXXVII. Cura et sumpt. Philippi et Ant. De Rubeis. Superiorum permissu. Vol. 4. In fol. 6. Athenaeum Augustum in quo Perutiliorum scripta publice exponuntur, studio giornale ligustico /95 Augustini Oldoini Societatis Jesu erectum, Raimundo Capisucco Palatii Apostolici Magistro consecratum. Perusiae, Typis, et expensis Laurentiis Ciani et Francisci Desideri. Anno MDCLXXVIII. Superiorum permissu. In 8.°. 7. Athenaeum Ligusticum seu Syllabus scriptorum ligurum nec 11011 sar-Zanensium, ac cyrneusium Reipublicae Genuensis subditorum ab Augustino Oldoino Societatis Jesu collectus. Perusiae, Ex Typographia Episcopalir apud HH. Laurentij Ci.ini et Franciscum Desiderium. Superiorum permissu. MDCLXXX. In 8.°. 8. Augustini Olduini Catalogus auctorum qui scripserunt de Romanis Pontificibus. Sta a pagg. 464-477 della seguente opera: Ceremonalia electionis et coronationis Pontificis Romani etc. collecta, edita etc. a Jo. Gerhardo Meuschen etc. Francoforti ex* officina B. Jo. Max. a Sande 1732. In 4.0. 9. Oratio in Junere Roberti Cardinalis Ubaldini habita in parentalibus coelebratis in Catbedrali Montispolitiani. 10. Elogium iu laudem Hieronymi Genuini. Insertum in Metamorphosi nominum ejusdem Genuini. Di questi due Opuscoli clic si affermano stampati non trovai le potè tipografiche. 11. Lettera all' Ab. Michele Giustiniani. Sta fra le Memorabili edite dal Giustiniani stesso, T. Ili, pag. 434-437. 12. Lettera al P. Domenico Antonio Gandolfo. Sta nel Beneficato Beneficante etc., Discorso del suddetto P. Gandolfo; Genova, Franchelli 1683; p. 35-37. 15. Lettere quattro al P. Angelico Aprosio. Stanno nel Filomate, giornale letterario già edito a Spezia (numeri 16, 17, 18, 19 del 1870). MANOSCRITTI AUTOGRAFI 1. Bibliolecarum Officina. 2. Mortes diversae martyrum ex Martyrologio romano. 3. Agiologia, idest Diarium Sanctorum. Vol. 10. 4. Templa cl Imagines Beatae Mariae Virginis. Vol. 3. 5. Notizie di varie città d'Italia. 6. Notizie geografiche. 7. Athenaeum Marianum. 8. Index familiarum laudatarum a scriptoribus quorum opera extant in Bibl. Perusina Soc. Jesu. Voi. 2. GIORNALE LIGUSTICO 9. Athenaeum utriusque Siciliae. 10. Athenaeum Galliae Cisalpinae. 11. Athenaeum Hetruscuin, quod tamen Author morte praeventus absolvere non potuit. Vol. 3. Cosi nel frontispizio. A piò della prima carta delle schede intitolate Scriptores Lucenses leggesi : Pars complectens Florentinos hah'tur in duobus tomis FFF. ggg. Questi non esistono in quella Biblioteca. 12. Index seu Bibliotheca materiarum. Vol. 9. 13. Appendix ad Indicem materiarum. Vol. 2. 14. De variis scriptoribus ordine alphabetico dispositis. Vol. 2. 15. Bibliotheca Bibliothecarum. 16. Scriptores itali. 17. Scriptores religiosi. 18. Famiglie illustri di Perugia. 19. Authores nostrae Bibliothecae Collegii Perusini Soc. Jesu disserentes de Pontificibus omnibus et singulis. 20. Authores quorum opera extant in nostra Bibliotheca disserentes de Cardinalibus omnibus et singulis. % Tutti i precitati manoscritti, la maggior parte in mazzi di schede, ser-bansi nella Comunale di Perugia. Debbo sì fatto novero al gentile e eh. Sig. Bibliotecario Cav. Adamo Rossi. 21. Lettere sette, inedite, al P. Angelico Aprosio. Nella Biblioteca della R. Università di Genova. Cod. E. VI. 9- 22. Lettere quarantadue, inedite, ad Antonio Magliabechi. Nella Biblioteca Nazionale (già Magliabechiana) di Firenze. Cl. \ III. D. 720. SOCIETÀ DELL’ORIENTE LATINO Questa Società di cui annunziammo a suo tempo la costituzione, e che come abbiam detto ha per iscopo la pubblicazione dii testi relativi alla storia ed alla geografia dell’O-riente Latino (1), ha tenuta nel 19 aprile la sua prima adunanza annuale in Parigi. In questa adunanza vennero eletti a Presidente della Società S. E. il conte Vogùé, ambasciatore (1) Anno 1874, pag. 285. / giornale LIGUSTICO 197 di trancia a Costantinopoli, a Vice-Presidente il sig. Schefer, ed a Segretario il conte Riant. La Società inoltre ha stabilito che nei primi volumi delle sue pubblicazioni dovranno comparire gli Itinera Hierosolymitana latina, I. 333-1100, dei quali sarà editore il dott. Tito Tobler (serie geografica), e La prise d’Alexandrie di Guglielmo di Machaut, onde curerà la stampa il signor De Mas Latrie (serie storica e poetica). Infine ha deliberata la riproduzione fototipografica dell’ Armi-nensis prologus in mappam Terre Sancte (piccolo in-folio s. 1. a. v. 1474). RASSEGNA BIBLIOGRAFICA '7Notizie sulla vita di Cassiano dal Po^o, protettore delle belle arti, fautore della scienza dell’antichità nel secolo decimoset-timo ecc., per Giacomo Lumbroso. — Torino, Stamperia Reale 1875 (Estr. dal Tomo XV della Miscellanea di Storia Italiana). • È un libro dettato con molto amore, con singolare diligenza e con perfetta cognizione del soggetto, attinta in ispecie allo studio dei documenti. Cassiano dal Pozzo nato in Torino del 1589 0 1590, e vissuto la massima parte del suo tempo in Roma dove inori nel 1657, fu un dilicato e zelante fautore delle scienze naturali, delle lettere, delle arti figurative e di ogni gentile studio dell’antichità; per guisa che ebbe titolo « di Peyresc redivivo, di Mercurio d’Italia, di Mecenate de’ suoi tempi, di Padre della Repubblica delle lettere » (pag. 16). Amatore degli ingegni eccellenti, si rese sopratutto « protettore indimenticabile del Pussino » (ivi). Non è nostro proposito seguitare passo passo il eh. Lumbroso nella esposizione delle benemerenze di Cassiano ; bensì 198 GIORNALE LIGUSTICO amiamo spigolare dal suo bel libro alcune speciali notizie che chiameremo di peculiare interesse ligustico. Quarantun volumi di lettere e memorie (dei quali tre passarono per varie vicende circa il 1800 alla Biblioteca della Facoltà Medica di Mompellieri, e gli altri trentotto pervenuti del 1856 in proprietà di Emanuele dal Pozzo principe della Cisterna, serbansi oggi nell’Archivio di S. A. R. la Duchessa d’Aosta in Torino) ci attestano che il cav. Cassiano dal Pozzo « fu in continua corrispondenza coi più dotti e qualificati del paese e d’ oltr’ alpi » (ivi). Nè pochi sono i liguri che vi figurano, come il P. Angelico Aprosio, Anton Giulio Brignole-Sale, Gabriello Chiabrera, Lorenzo Tramalli da Portovenere, vescovo di Gerace e nunzio a Napoli, Bartolomeo Lomellino, Cattaneo Cattaneo, Fortunio Liceti. Quanto è dell’ Aprosio, rileveremo collo stesso Lumbroso come in due codici della nostra Biblioteca Universitaria si abbiano non poche lettere dirette al valente agostiniano si dal medesimo cav. dal Pozzo e si dal costui fratello minore Carlo Antonio. E del Liceti soggiungeremo eh’ ei fu tra coloro che maggiormente lodarono la sontuosa raccolta di antichità in gran libri di disegni adunata da Cassiano (pag. 38); il quale a sua volta nella collezione che s’ era formata di ritratti d’ uomini celebri, annoverava quello dell’ insigne medico dipinto per mano di Michele Desobleo (pag. 36). Attese il dal Pozzo « ai gentili studi, svariati giusta i tempi; ma dove questa unità vi fu che in ogni ricerca fisica o storica, si preoccupò della grafica rappresentanza delle cose » (pag. 17). E perciò « degnissima di nota è la miscellanea che trovasi nel voi. 39, antico XLII, di Torino, e contiene notizie diverse del sig. abh. cav. Cassiano dal Po e segui P°i v^“ cende della Liguri,! restando incorporata al Piemonte nel 1814. Con privilegi di Papa Paolo II del 1465, e di Federigo III imperatore del 1469 ebbe titolo di città. Si resse sempre con propri statuti fino dal secolo XIII, come apparisce dalle convenzioni coi pisani del 1249. Il sigillo ha nel campo la mezza luna colla stella ed attorno la leggenda : * sigillvm * civitatis * sarzane. La Comunità OO aveva due sigilli speciali: l’uno è il qui prodotto, 1 altro recava l’immagine di santa Maria. Ciò si rileva dalla rubrica quinta del primo libro degli statuti del seguente tenore: Sigillum communis Sarrane sculptum ad imaginem sancte Marie stet 111 custodia cancellarii dicti communis, cum quo sigillet et sigillale debeat omnes litteras que mittentur alicui communi, vel singulari persone ex parte magnifici Capitanei, Antianonim et communis Sarrane; quas litteras non sigillet nisi de voluntate Capitanei et Antianorum dicti communis, et de sigillatura dicti sigilli nil possit capere, vel habere; pro littera vero quam scripserit in servitium alicuius persone possit capere et habere usque in solidos 1res Janue, et si contrafaceret in libris decem Janue contrafaciens vice qualibet puniatur. Sigillum autem sculptum ad sidus, idest ad arma communis Sarrane, cuius descriptio est: sigillum antianorum sarzane, stet in custodia Prioris Antianorum dicti communis, cum quo sigillet et sigillare teneatur cancellarius litteias non alias que ex parte Antianorum Sarrane al icui mittet en tui, qui si contraf aceret in libris decem Janue vice qualibet puniatur, et sic eorum successoribus dicta sigilla debeant resignare (1). (r) Statuta Civit. Sarrane; Parmae, apud Viottum 1529, car. 3. giornale ligustico 207 Non ci fu mai dato vedere il primo ; quello che qui produciamo è appunto tolto dalle lettere degli Anziani ai Protettoli di san Giorgio. Si noterà però che la leggenda è à-quanto modificata da quella prescritta nello statuto; essendovi cioè sostituita alla parola Antianorum l’altra Civitatis. Certo la sostituzione ebbe luogo all’ epoca in cui Sarzana fu dichia-ìata città. L uso poi di questo sigillo rimonta innanzi al 1320, poiché prima di quest’anno fu compilato il Libro i.° degli Statuti come si evince dalla rubrica XL. A. Neri. II. sigillo dell’ uffizio di moneta L’ Ufficio di Moneta risponde per gran parte a quello che oggi chiamasi Ministero delle finanze.’ Se ne incontra menzione in un decreto del 2 gennaio 1403 (0> ^ più specificatamente nelle Leggi mss. del 1413 al capitolo 74 intitolato: De electione, officio et bailia octo Sapientim de Moneta; donde appunto si rileva che otto cittadini erano chiamati a comporlo. Un atto poi della Signoria, in data 13 febbraio 1427, ne traccia in brevi parole le importanti attribuzioni. Scientes (così vi è scritto) deliberatum fuisse in magno convocatorum civium concilio debere eligi novum Officium Monete per cuius manus transeat omnis comunis pecunia totusque introitus pecuniarum et impensarum publicarum, quodque Officium revideat massariarum preteritarum rationes et libros, et faciat exigi debita; cuius quidem Officii electi sunt officiales, iuxla consuetudinem et formam regularum, prestantes et egregii cives Joannes Grillus qm. Branca-leonis, Raffael Spinula, Guirardus de Furnariis, Baptista de Marinis qm. Johannis, Andreas de Cor sio, Eligitis Fatinanti, (1) Magistrali di Genova antichi c moderni; Mss. nelle Biblioteche Universitaria e Civico-Bcriana. 2oS GIORNALE LIGUSTICO Johannes de Alberico et Baptista Lomellinus qm. Georgii etc., confisi... in eorum officialium probitate,... eisdem .. . concedunt iMra potestatem et arbitrium eis... vigore suarum regularum attributa ... bailiam... ordinandi et nominandi ex se ipsis et ex officio suo unum aut plures massarios qui curam habeant et rationem teneant omnium impensarum ac rationum et pecunia-rum publicarum clare et ordinate sicut ipsi Officio videbitur esse faciendum (i). II sigillo adoperato da questo Ufficio presenta il tipo delle monete genovesi; è partito da una linea perpendicolare csat tamente in due campi, e riunisce in essi gli emblemi che ve-donsi comunemente impressi nel diritto e nel rovescio delle monete medesime. Ha perciò a destra la nota imagine del castello ed a sinistra la croce; ed all’ intorno gli corre in let-lere semigotiche questa leggenda: s • officii monete comunis iane (sic). Diremo anzi di più, che la rappresentazione dello stesso è molto somigliante al rovescio delle monete coniate fra noi dopo la rivoltura del I5°7> allorché Luigi XII di Francia, lacerati i patti del 1499, tenne Genova in una soggezione incondizionata. In tale rovescio era appunto il castello e sovr’esso la croce; mentre il diritto aveva ceduto il luogo allo scudo coi tre gigli sormontato da corona anch essa gigliata (2). Fu poi simile rovescio ripetuto ancora in un pezzo d’argento (forse un testone) del 1554 (3)- Trovasi poi il detto sigillo applicato a tutte le deliberazioni dell’ Ufficio, nonché ai pareri emessi dal medesimo per la esenzione dalle pubbliche avarie od imposte, conceduta a cittadini 0 forastieri che per qualche cagione ne erano ineriteci) Archivio di Stato : Codice ‘Diversorum Jacobi de Bracellis cancellant ann. 1427; X. 943. (2) Ved. Promis, ‘Dell’origine della Zecca di Genova ecc., pag. )) > c tav. Ili, num. 33, 34. (3) Id., pag. 39; e tav. IV, num. 45. GIORNALE LIGUSTICO 209 voli. Così, per esempio, quello donde si è ritratto il nostro disegno vedesi appunto impresso su di una relazione del 17 agosto 1485, con cui si concede l’accennata esenzione ad un Giovanni Villamarina lombardo (1). L’ apposizione del sigillo era anche per alcuni casi regolata dal già citato capitolo delle Leggi del 1413; dove è questa prescrizione: Et quando de bis que deliberata fuerint per ipsum Officium aliquid solvendum mandabitur massariis Communis, tunc in appodisia seti scriptura illius talis mandati.....sigillum ipsius Offitii de Moneta, quod fieri faciant et semper habere debeant sumptibus ipsius Communis, sit expressum. Di che si desume che il sigillo rimonta all* epoca delle Leggi medesime (2). G. Grasso. III. SIGILLO DI BATTISTA DA CAMPOFREGOSO Battista da Campofregoso figlio a Pietro II, che mori nel 1459, ed a Bartolomea di Giovanni Grimaldi, ebbe grandissima parte nei rivolgimenti che agitarono Genova dopo la metà del XV secolo. Nel 1478 fu acclamato Doge, per opera principalmente di Obbietto Fieschi, e nel 1482 strinse lega con Sisto IV e co’ Veneziani contro gli Aragonesi, Lodovico il Moro e il Duca di Ferrara. Durante il suo governo la Repubblica fu assai in fiore, e la Banca di san Giorgio riassoggettò la Corsica. Balzato poi di seggio nel 1483 per opera dello zio, il cardinale Paolo arcivescovo della città, e quindi esiliato da Lodovico il Moro che nel 1488 era divenuto Signore della Repubblica, si rifugiò presso Carlo Vili di Francia da cui (1) Ardi. cit. Foglialo ‘Diversorum Cancellariae, ann. 1483-85, num. 19. (2) È assai importante un codice membranaceo della Civico-Beriana, nel quale sono trascritte ordinatamente di mano sincrona tutte le disposizioni che regolavano l’Ufficio di Moneta, emanate dal 1413 al 1459. Il codice è intitolato: ‘Ba.ilia OJJicii Monete. 210 GIORNALE LIGUSTICO ebbe protezione ed aiuto. Morto Carlo seguì le parti di Luigi XII, e lo accompagnò nel 1502 in Genova. Si crede che poco appresso abbia cessato di vivere. Il sigillo che noi riportiamo trovasi in calce ad una lettera di cui parleremo in appresso, e reca all’intorno la leggenda: baptista : de : campo : fregoso : dvx : ianve : 30. Ha nel campo una targa collo stemma Fregoso, cui è inquartata la croce del Comune di Genova. Al di sopra s’ apre un compasso soverchiato dalla corona ducale, e gli s’ avvolge un bindello che per quanto si riconosce tuttavia da alcune lettere doveva recare il motto: piR non fallir. Il compasso ed il motto citato erano infatti un’ impresa della famiglia Fregoso, perocché il primo vediamo impresso sopra due monete del cardinale Paolo come doge XX\ III (14^ 3“ 1464) , e sopra una terza dello stesso Battista come doge XXX, numero che si trova pure nel nostro sigillo (1). Inoltre come il motto così il compasso si trovano in una miniatura di quel Commento di Niccolò di Lira sulla Bibbia, che gii appartenne al cardinale Federigo Fregoso, ed oggi é custodito all Ambrosiana di Milano (2). Non fu però questa impresa esclusiva-mente dei Fregosi, perocché associata allo stesso motto era pure scolpita sovra un palazzo di Branda Castiglioni vesco\ o di Como, morto nel i486. È notabile che questi ed un suo omonimo, figlio di Giacobino detto il Grasso, ebbero %erso i tempi dei quali discorriamo parte non piccola nelle cose di Genova. Il detto vescovo infatti nel 1478 fu tra noi in qualità di Vicario Ducale; e l’altro Branda venne dieci anni appresso spedito a Genova da Lodovico il Moro, per calmare la popolazione irritata contro di Fregosino (3). (1) Promis, ‘Dell’origine della Zecca di Genova, num. 18, 19> 23* (2) Belgrado. Della vita privata dei Genovesi, pag. 142. (3) Ved. Litta, Famiglia Castiglioni, tav. I. Ili e IV. Ved. anche il Giustiniani sotto l’anno 1478. GIORNALE LIGUSTICO 21 I La lettera che porta il sigillo di Battista è poi un documento di non lieve importanza, aggirandosi intorno ad un fatto notato con brevi parole dal Giustiniani, ma fin qui rimasto oscuro (i). Trattasi di due galere che nel 1480 si armavano in corso alla Spezia, essendo implicati in siffatto armamento Paolo Battista ed Agostino Fregosi, Girolamo di Montenegro ed il citato Obbietto Fieschi. Di che la Signoria Genovese risentiva grande molestia, siccome quella che temeva per ciò di venire in aperta rottura con vari Stati, e specialmente col re Fejrdinando di Sicilia. Allora i nostri disegnavano una gran lega di Principi cristiani pel riacquisto delle loro colonie di Crimea; e per documenti che saranno pubblicati altrove (2) si vedrà come essi in quel torno facessero calorosi uffici presso il pontefice Sisto IV, allo scopo di ottenere che le armate siciliana e papale navigassero di conserva colla genovese alla meditata impresa della Tauride. Credo utile intanto di produrre colla mentovata lettera alcuni atti che all’ accennato armamento delle due galee si riferiscono. Carlo Astengo. I. (1480, 8 maggio) Baptista de Campofregoso Januensium dux et populi deffensor : Magnifico consanguineo nostro domino Augustino de Campofregoso salutem. Facte sunt nobis ingentes querelle propter quas hortati sepe numero sumus vos et monuimus per litteras, per nuntios, ultra alias litteras nostras quas cum Senatu nostro ad vos dedimus, quatenus desistere velletis ab arma- \ mento illarum triremium que ordine et suffragio vestro illic armabantur, cum id omnino esset contra volumptatem nostram et totius civitatis : nec sine ratione, quia existentibus nobis et hac civitate in pace ad presens vel sab indutiis cum omni natione, triremes ipse nihil nisi mali facere possent (1) « E perchè Geronimo di Montenegro con una galera, e Paolo Battista da Campofregoso con un’ altra facevano del mal assai, si parlava di disarmarle ». Ved. Giustiniani, Annali, II. 553. (2) Negli •Atti della Società Ligure di Storia Patria. 2X2 GIORNALE LIGUSTICO ledereque amicos nostros nosque trahere ad multa discrimina. Quod fa-cere debebatis cum hec in locis nostris fierent, etiamsi sub regimine magnifici domini patris vestri essent, in quibus nulla ratione licebat vobis nec licet aliquid facere quod sit contra consensum nostrum ac voluntatem et ordines civitatis ; de quo iam protestati fuimus solemniter una cum Senatu nostro magnifico domino patri vestro, et idem per Johannem comis-sarium nostrum protestari etiam rursus vobis jussimus. Pro quo videntes non proficere et cognoscentes rem hanc plurimum discriminis afferre posse, rursus monemus vos ac jubemus vobis quatenus sub omni pena que a vobis per nos esigi et repeti potest, etiam ex spetiali pacto ad quod dominus pater vester et vos ac quilibet vestrum nobis obligamini, statini desistatis et desisti faciatis a tali armamento, et *am si armate essent illas exarmetis; sub proteslactione si et quatenus hoc effectualiter non feceritis repetemus quantumcumque a vobis omne damnum et interesse quod accidet nobis et statui nostro ac civitati, eamque penam in quam propter inobservantiam capitulorum et fidei que inter vos et nos est incidetis, vel ex nunc incidisse dici poteritis. Sicque per has litteras nostras protestamur. De quarum presentatione fidem dabimus Antonio de Montobio nuntio nostro de tarchieta, quem ob hanc causam ad vos mittimus, presentibus registratis in actis cancellarie nostre. Data Janue diesili mai mcccclxxx. (L. S.) Gotardus. f die XX mai 1480. Antonius de Montobio nuntius de tarchieta retulit se die jovis xi prc-sentis voluisse suprascriptas in Spedia presentare magnifico illustri domino Augustino de Campofregoso quas noluit acceptare (1). II. (1480, 8 maggio) Baptista Dux etc., Consilium Antianorum etc. et Officium Balie etc. Dilectis nostris Communitati et hominibus Spedie salutem. Licet sufficere posset quod jam per patentes litteras nostras scripsimus ad universos homines et magistratus illius ripparie, et per quas aperte cognoscere potuistis quantum molestum nobis et toti civitati fuerit triremes duas illic armari vel armatas esse contra consensum nostrum contra leges et or- (1) Archivio di Stato: Foglialo Diversorum Concellariae, numero 18, ann. 1479-1482. La stessa lettera trovasi poi registrata nel Codice Litterarum anni 1480, numero 29. X. 130; dove sono pure trascritte tutte le altre da noi riferite. giornale ligustico 213 dines ci\ itatis, ubi clarum est cum ad presens cum omni natione vel in pace vel sub indutiis simus, illasque presertim quas non parvo studio ac labore superioribus diebus cum serenissimo domino Castelle Aragonum rege confecimus. Quas servare omnino stat nobis animus, nec pati quod per vos aut vestros vel ex vobis aut vestris aliquid egrediatur quod indutias illas perturbet ; requisiverimusque per litteras, per nuntios et demum per egregium Johannem Garronum commissarium nostrum magnificum dominum Augustinum de Campofregoso, cujus ordine ac suffragio et ope armate sunt vel armantur, ut exarmari faceret statim illas triremes nec ulterius eas aut alias armare contra voluntatem nostram, protestatique sumus ei de omni damno nostro et interesse ac de inobedientia, idemque fecimus magnifico domino Ludovico ejus patri qui apud vos nomine nostro regit. In quo demum cum nichil profecerimus, decrevimus has specialiter ad vos destinare significareque vobis quantum res hec displiceat nobis et civitati. Monentes vos rursus ac vobis jubentes sub indignationis nostre ac contumacie et rebellionis pena, privationisque omnium privilegiorum, immunitatum ac gratiarum quandocurnque vobis et illi communitati concessarum, ac solvendi omne damnum et interesse quodeumque trirremes ipse dederint nobis ac civitati dirrecte vel per indirrectum aut alicui ia-nuensi vel externo cujuscumque nationis, quod a vobis exigetur repe-teturque quotiescumque casus accideret, non obmotis aliis penis in quas ob hanc causam incidistis. Quatenus cum effectu operatn"detis quod ab armamento illarum trirremium statim et sine mora desistatur, et que armate sunt exarmentur. Quod non prohibuistis cum prohibere potuistis àc debuistis? De quarum presentanone fidem dabimus nuntio nostro de tar-chieta presentium latori, presentibus registratis inactis cancellarie nostre. Data Janue die vm mai mcccclxxx. III. (1480, 8 maggio) Baptista etc. Consilium etc. et Officium Balie etc. egregio viro nobis carissimo Johanni Garrono commissario nostro Spedie. Egregie vir nobis carissime.....Havemo inteixo la risposta del magnifico messer Augustino, lo quale non ne satisfa da grande via e despia-xerne assai che elio non considere quanto inconveniente po seguire de quelle galee et quanto è debito nostro farghe ogni remedio lo quale sia possibile, et si vorressemo havessi seguido lo congregare de quelli homini como era lordine nostro, et se bene lo magnifico meser Augustino mo- 214 GIORNALE LIGUSTICO strava non lodarlo dovevate più tosto seguire la commissiun nostra cha daltri, che non dubitemo seria remasto paciente, et cossi volemo che voi tempriate de novo et seguiate quanto ve havemo commisso; et pure se non lo permete ve mandemo doe alligate cum questa patente, delle quali luna farete presentare ali Antiani o a quella parte de homini li quali voi trovereti, et quando questo non podessi fare facte che lo targeta la meta cum uno poco de cera a la columna de la corte et una altra ala porta de la terra, per modo che o aluno modo o aialtro quelli homini habiano noticia de questo caxo del quale ghe po seguire più inconveniente che ad alcuno altro; et appresso fareti che lo targieta appresente una altra nostra de noi Duxe proprio patente alo magnifico meser Augustino, la quale ghe avemo dato perchè volemo da ogni parte essere honestadi cum ognuno. Data Janue die vili mai mcccclxxx. Et facto questo ve ne podeti vegnire. IV. (1480, 8 maggio') Baptista etc. et Officium Balie etc. domino Francischo Marchesio oratori apud Neapolim. r ......Cum jam pluribus diebus elapsis audiremus armari Spedie per magnificum dominum Augustinum de Campofregoso duas trirremes, conati sumus pluribus litteris, nuntiis ac demum per unum Commissarium nostrum revocari eum ab hoc incepto : suasimusque ei, monuimus eum, demum jussimus usque ad ingentem protestationem ut exarmaret, intelligentes eas nichil nisi mala facere quocumque eant posse, et hoc tempore pre-sertim quo cum omni natione ad presens vel in pace vel sub indutiis vivimus: hoc idem requisivimus a magnifico domino Ludovico ejus patri, cui in Senatu eadem requisitio ac protestacio solemniter facta est : videntes nichil proficere duximus necesse fore ut hec res ad noticiam Regie Majestatis perveniat; in cujus potestate non ambigimus esse rei huic providendi, et eo magis quo ipse dominus Augustinus palam dicit id se non sine noticia ac ordine Sue Majestatis id facere. Adeo ut causa hec non sit levis non parvi facienda ostendendique Regie Majestati quantum mali quan-tumque discriminis res hec afferri posset. Quam etsi certi simus nos probaturam quod hec fiant, imo et provisuram omnibus modis ne fiat, propterea quod res hec trahere post se non parva discriminia posse. . . Data Janue die vm maj mcccclxxx. giornale ligustico 2I5 V. ( 1480, 18 maggio) Baptista etc. et Consilium etc. domino Francisco Marchexio et domino Francisco Panmolo oratoribus Rome et Neapoli. ......^ue ^irrernes annate una sub Jeronimo de Montenigro per medium Reverendi domini Ibleti, altera Spedie sub Paulo Baptista de Campofregoso per medium domini Augustini, inconsultis nobis, imo preter omnem consensum cum ad utrumque ostenderimus quantum ea res molesta nobis et toti civitati fuerit, ad piraticam egresse sunt, jamque a preda nostrorum initium sumpsere ; nec dubitamus quin omnia mala facture sunt, adeo quod ad protestationem solemnem contra magnificum dominum Ludovicum et dominum Augustinum verbo et scripto deveniri oportuit. . . Data Janue die xvm maij mcccclxxx. VI. ( 1480, 18 maggio) Illustris comes frater et amice noster carissime (1). Perchè Vestra Excellentia habia noticia de le cose occorente ... in lo nostro paese, era armata una galea soto Jeronimo da Montenigro nostro citadino cum la segurtà como se costuma, lo quale non lia voludo dexarmare non obstante nostri comandamenti, et se conxiuncta cum una altra galea armata ala Spexa soto Paulo Baptista da Campofregoso et alcune fuste de Mo-nego et partite a fine de fare quello male che per loro se poterà, et già hano comenciado da li nostri medesimi et altri . . . Data Janue die vui maij mcccclxxx. Baptista etc. et Consilium etc. DUE NUOVI CARTOGRAFI DELLA FAMIGLIA MAGGIOLO All’ Egregio Signore Cav. Avv. Cornelio Desbnoni. Genova, 11 maggio 1875. Eccole un documento che ci offre il nome di due nuovi cartografi, Cornelio e Nicolò padre e figlio Maggiolo, nipote (1) 11 conte Girolamo Rlario. 216 GIORNALE LIGUSTICO e pronipote del nostro Visconte seniore, figlio di Giacomo. Con ciò non solo acquista una nuova prova l’albero della discendenza di questa famiglia, ma si porta sino al 1644 data del documento; e poiché vi si accenna a due figli del Nicolò da avviarsi nella pratica dell’avita professione, si può ragionevolmente supporre che la stessa sia continuata nella loro famiglia ancora per qualche tempo. Gradisca i miei saluti e mi creda Di Lei Dev.mo M. Staglieno. DOCUMENTO f 1644 die XI aprilis. Ser.mi et Ecc.™ Signori Nicolò Maggiolo come esperto et pratico nella professione di frabicare le carte del navigare, e come successore di Cornelio suo padre, Gio. Antonio suo avo, Giacomo fratello di detto Gio. Antonio, et Vescontt suo bisavo, a quali per particolar lode della loro -virtù et a ognuno di di loro fu assegnato annuo stipendio di lire cento con obligarsi verso la Camera Ill.ma di servire in beneficio di questa Ser.nu Repubblica, et essendo venute persone forestiere che. senza esser approvati in tal mestiere ardiscano di vendere e frabicare carte da navigare, bussole, ampo-lete con grandissimo detrimento di esso Nicolò suplicante approvato e privileggiato, pertanto ricorre a piedi di VV. SS. Ser.mc suplicandole che vogliano ordinare che niuno ardiscili eccetto esso supplicante approvato e privilegiato frabicare carte di navigare, bussole et ampolete ne acomodarle, sotto le pene etc. Il che restando in grandissimo utile a beneficio de naviganti, spera dalle VV. SS. Ser.me restar compiaciuto, e tanto più che havendo esso Nicola due figli maschi, exposti non sono per mancare in alcun tempo pratici e periti in detto mestiero di sua casa, et quello fa humilissima reverenza a VV. SS. Ser.me. Detto Nicolò Maggiolo supplicante. Ser.mi Conservatores Maris videant et referant, per Serenissimum Senatum ad calculos (1). (1) Archivio di Stato, fogliazzo ‘Diversorum Collegii, 1644. 1. Nella lettera sopra il Noli ed il Maggiolo inserita a pag. 72 di questo Giornale è occorso alla prima linea un errore che 217 Ringraziando l’egregio march. Staglieno della sua importante comunicazione, aggiungerò la notizia d’un altro documento da me scoperto in questi ultimi giorni e che conferma queste e le precedentemente note relazioni di parentela nella famiglia Maggiolo. Il cartografo Giacomo quondam Domini Vescontis il 26 novembre 1604 fa testamento in notaro Francesco Bado; ed in-stituisce eredi i figli di Cornelio suo nipote, legando la terza parte di un capitale di lire tremila a Baldassarre fratello di esso Cornelio. Gioverà anche conservare memoria di quattro atti notarili riguardanti la famiglia Maggiolo, i quali furono scoperti in questo Archivio di Stato ed a me gentilmente comunicati dal eh. cav. Federico Alizeri. 1. 1531, i.° settembre. — Maestro Visconte Maggiolo vende a Bartolomeo de Borzeise di Sant’ Ambrogio di Rapallo una possessione con casa in essa parrocchia, luogo detto Ronco, per lire 800 (Notaro Gio. Solari, ann. 1528-32, filza 1.% num. 54). 2. 1533, 8 maggio. — Visconte Maggiolo, magister car-larum 7iavigandi, chiede alla Signoria licenza di poter alzare ed alquanto allargare, riedificandola, una casa che comprò nella contrada del Molo (Fogliazzo Actorum di Francesco Pasqua anno 1534). 3. 1540, i.° agosto. — Visconte Maggiolo vende a Giovanni Andrea Antola una possessione in Granarolo inferiore (Notaro Solari predetto, filza 5.*, num. 250). 4. 1555, 15 marzo. — Giacomo Maggiolo qm. Visconte dichiara che una casa in Napoli de’ beni del padre è toccata in divisione al (rateilo Gio. Antonio (Notaio Gio. Antonio Saivago, ann. 1555-57, filza 31, num. 89; a cui segue sotto vuoisi corregge*. Pertanto laddove leggesi: « Sono lieto di annunziarle che mi sono rimasto deluso », si emendi: « Son lieto di annunziarle che non sono rimasto deluso ». 2lS GIORNALE LIGUSTICO il num. 90 la procura che fa esso Gio. Antonio per vendere la medesima casa). Colgo 1 occasione per correggere due errori sfuggiti nella stampa del mio elenco di carte nautiche nelle precedenti pagine del Giornale. A pag. 55, sotto il num. 28 dell’elenco, invece dell'anno 1522 leggasi 1524. Ed a pag. 60, sotto il num. 57, invece di metri 2. 85 larghezza della carta di Giacomo Maggiolo, leggasi metri 1. 14. C. Desimoni. LA SEPOLTURA DEL MARCHESE LUDOVICO II DI SALUZZO Fu sempre reputata opera di buon cittadino il correggere le erronee asserzioni, massime se notate in tali che passano per la maggiore. Chi non crederebbe che il famoso capitano Ludovico II, marchese di Saluzzo, il quale nel 1504 finn a i suoi giorni fra'noi in Carignano nel palazzo Fie-schi, non avesse tra noi la tomba? Lo dice il Giovio (1), e sull autorità di costui lo ripetono i commentatori del Guicciardini in una nota al cap. 2 del sesto libro, laddove parlando delia rotta che sul Garigliano toccarono i francesi dagli spa-gnuoli, nel dicembre 1503 cosi scrivono: II marchese di Saluto, dice il Giovio, morì in Genova, ove fu sepolto. Noi sapendo il celebre capitano che era il marchese, ed ugalmente sapendo che i funerali gli furono fatti nell’ora distrutta chiesa di S. Domenico, al leggere ove fu sepolto argomentammo che ove ebbe (1) « Il Marchese di Saluzzo essendogli venuta una febre lenta et tisica per dolore della impresa che gli era mal successa, si mori in Genova, et quivi magnitìcamente fu sepolto ». Giovio, ‘Delle istorie del suo tempo, libro Vili. GIORNALE LIGUSTICO 219 i funerali dovesse pur avere avuto la tomba dacché fu pur in Genova tumulato; lo dice il Giovio, lo. dicono in coro gli annotatori del Guicciardini e basta. Fidenti adunque su questa autorità e su questo nostro supposto, sperammo che se ne do-\esse pur trovare ancora qualche memoria, e vaghi di rinvenirla ci diemmo prima a cercare tutti i marmi già esistenti in S. Domenico, che per più anni i Rettori dell’Università lasciarono ivi lungo i cortili in aiuto dei nostri studi, ma fu tempo e disagio sprecato. Percorremmo poi i volumi mss. del Piaggio, ^Monumenta Gcnuensia, e dopo lui altri dei nostri autori; consultammo finalmente le storie saluzzesi, ed allora restammo sorpresi nel trovare che il Giovio ed il Guicciardini presero, come suol dirsi, un granchio a secco. Il marchese di Saluzzo mori in Genova li 27 gennaio 1504, ma fu sepolto a Saluzzo; ove egli stesso si era preparato il sepolcro in S. Giovanni, e dove la consorte gli eresse un si bel monumento che riesce oggetto meritevole d’essere visitato. Moi dopo più anni dalle prime ricerche, ebbimo occasione or non é molto d’essere in quella città, e lo contemplammo ripetendo che tolti i monumenti di Roma è Firenze non sapremmo ove trovarne un altro che gli possa stare a fronte. Per chi amasse conoscerlo non avrebbe che a cercarne nel Muletti o nel Litta (1) i disegni fedelmente riportati. Il nostro appunto al Giovio ed agli annotatori del Guicciardini è compiuto e dovremmo fermarci. Ma per le indagini che ci furono imposte dal desiderio di appurare il vero, con somma nostra sorpresa dovemmo conoscere che, per quanto ci pare, nessuno dei nostri storici racconta questo episodio di ligure storia. Crediamo pertanto che non riuscirà discaro (1) [Memorie storico-diplomatiche ecc. delia città di Salu--o di Delfino Muletti; Saluzzo 1829 per Lobetti. Litta, Famiglie celebri italiane, Parte II. Disp. 171, Milano 1873. 220 GIORNALE LIGUSTICO ai nostri lettori sapere come da Napoli venisse a morire tra noi quel rinomato capitano, e come la sua morte commosse allora l’intera nostra città. Nella famosa guerra che sull’ esordire del XVI secolo i francesi combattevano su quel di Napoli contro gli ispani per 1 acquisto di quel reame, guidava le armi francesi in un col Bagli d Occan e il Sandicort, Ludovico II marchese di Saluzzo col titolo di viceré di Luigi XII. Egli era caro ai suoi conterranei, cui insieme alla francese consorte, Margherita di Foix, reggeva più che da principe feudale, dà tutore e padre. Ricco di belle doti, di natura prode, maestoso, affabile, si addimostrava non meno ricco di grandi virtù, fornito d’ esimia pietà, largo nel donare il suo, forte nel difendere l’altrui dalla rapacità e prepotenza; egli era chiamato il padre dei poveri e della patria. Colà a comodo de’ suoi saluzzesi, i quali cominciavano allora a discendere dalla collina per abitare la pianura, avea principiato nel ilj.91 l’erezione del magnifico duomo che tuttora si ammira come uno dei più belli monumenti del Piemonte (1). Avea anche già posto mano • (1) La cattedrale di Saluzzo tutta costrutta in mattoni, d’architettura semigotica, è sorprendente e maestosa, dice lo storico Giovanni Landi. (Statistica di Saluto; 1833, per Lobettij ; misura m. 80 in lunghezza, e 23. 40 in larghezza; ovvero 82 in lunghezza e 50 in larghezza giusta le indicazioni del citato Muletti ; perciò è più ampia del nostro S. Lorenzo, il quale secondo le misure del Banchero cavate dal Ratti è di m. 75 per 27. La navata di mezzo delle tre di cui si compone il duomo di Saluzzo si alza m. 50, ed è sorretta da 19 colonne 0 fasci di colonne come tra noi scorgiamo nella chiesa di N. S. del Carmine, le quali girano at-torno alla chiesa, e perciò dietro all’ altare maggiore che sta a un terzo della medesima. In origine aveva 19 altari ora ridotti a 17 e nessuno incavato, se eccettuiamo quello del SS. Sacramento,-lavoro eseguito da pochi anni. Dietro 1’ aitar maggiore e coro dei canonici son ben 5 confessionari , e 4 degli accennati altari. Il tempio non s’innalza dal livello della piazza che gli sta innanzi, ed in tempo addietro in una mostra di giornale ligustico 221 alle pratiche col Romano Pontefice per erigere Saluzzo in vescovato, pratiche che poi condusse a felice compimento nel 15li la vedova consorte. Come grafìde in patria così prode in campo, ebbe sul suolo di Napoli a dar prove molteplici del suo valore. Non però sempre i prodi sono invincibili, ed a lui il 28 dicembre 1503 sul Garigliano toccò sì fiera disdetta, che seco tirò la resa della rocca di Gaeta al Consalvo generalissimo degli spagnuoli. Per questo fatto, tanto dolore lo incolse che gli spense la vita. La cessione della fortezza fu stipulata il primo gennaio del 1504, e tra i patti onorati vi ebbe quello di tornarsi egli co’ suoi pochi alla patria battendo la via di Roma a Genova allora soggetta alla Francia. Partì infatti il marchese cogli avanzi delle sue schiere, • e arrivò a Roma il di 8 gennaio sfinito di forze. Qui ebbe nuova jattura di molti soldati mietuti dagli stenti e dall’ epidemia. Frattanto il nostro Gian Luigi Fieschi (avo del famigerato congiuratore) ammiraglio di Luigi XII, andògli incontro per levarlo sulle proprie galee, ed arrivato ad Ostia accolse sopra di esse il Viceré, già tocco dal fiero male sino dal giorno nove, ed alli 18 pervennero tutti in Genova. L’ammiraglio volle generosamente albergare nel proprio palagio a S. Maria in Vialata il Viceré e tutto il suo seguito; ed a riceverlo onorevolmente fece venire di Francia il fratello Girolamo, che insieme al proprio medico Tommaso Morchio gli porse i primi onori della ospitalità. Ma il marchese appena giunto fece intendere essere suo volere continuare la via per Saluzzo. Buon per lui che tenea presso di sé, più come amico che come chirurgo, il dottor Battista di Rapallo dal quale col medico Tommaso fu pubblica processione i boari vi entravano coi loro carri festanti trascinati dai buoi, e ne facevano il giro. La facciata è rustica, ed essendo la chiesa stata eretta colle elemosine dei fedeli, e colla tassa sugli eretici, già vi si leggeva in fronte: ex piorum et impiorum elemosinis. 15 GIORNALE LIGUSTICO persuaso ad indugiare parecchi di a fine di conoscere la piega che avrebbe preso il malore. In questo frattempo ebbe la consolazione di riabbracciare la diletta sposa, come quella che appena informata del pericoloso stato del marchese venne appositamente da Saluzzo a Genova. Brevi però furono gli abbracciati, imperocché conosciutasi irrimediabile la malattia, anzi imminente la morte, fu ella consigliata a non trovarsi presente; sicché dolente ella ripartiva per Saluzzo il dì 24, incaricato prima il dottor Battista di Rapallo, che nel caso previsto di decesso, prestasse al marchese gli onori dovuti e ne riportasse la salma alla patria. Intanto l’ora estrema si avvicinava per Ludovico, ed egli che la presentiva chiese tutto da sé di venir confortato cogli aiuti della Religione ; ed i primi ne ricevette con divozione esemplarissima, non posando nè quietandosi però se non quando dietro nuove istanze fu munito dell’estrema unzione; così tutto concentrato in Dio, coadiuvato dalle preci della Chiesa, rendeva 1’anima sua al Creatore alle due ore pomeridiane del 27 gennaio 1504 in età d’anni 65, 9 mesi e 29 giorni. La salma fu tosto imbalsamata dai due dottori che l’assistettero infermo; e ordinati solenni funerali, fu questa levata dal palazzo Fieschi, e deposta in bara scoperta fu accompagnata dall’arcivescovo Gio. Maria Sforza, da tutto il clero di Genova, dalla truppa capitanata dal francese governatore Filippo di Ravenstein, da tutti i gentiluomini, e da cento poveri vestiti di nero per quell’ occasione, nella vasta chiesa di S. Domenico ove furono compiuti solenni suffragi. Nella notte successiva il cadavere fu trasportato al porto, e deposto sopra una galea, la quale colla scorta d’ onore d’altre sette portollo a Savona. Ivi addossata la lugubre lettiga a due corsieri bardati a bruno, il dottor Battista accompagnato da paggi scortolla sino a Saluzzo. Colà il cadavere fu ricevuto dal clero capitanato dal vescovo d’Ascalona in partibus mons. Bernardino Vacca, e dalle truppe e dal popolo; e fu de- GIORNALE LIGUSTICO 223 posto nella chiesa collegiata dell’Assunta ora cattedrale, dove nei sontuosi funerali il P. Gabriele Buccio agostiniano tessè del defunto l’elogio. Fu poi la salma portata in Castello, posta in cappella ardente, e per un dì suffragata da preci e sacrificii. Il giorno 5 febbraio con grande pompa venne trasferita nell’antica chiesa di S. Giovanni, alle spalle del Castello, allora uffiziata dai PP. Predicatori, ora dai PP. Servi di Maria. Compiuti i sacri riti, il P. Giovanni Ludovico Vivaldi di Monreale già teologo ed elemosiniere del marchese, ne lesse 1’ encomiastica orazione alla presenza dei grandi di corte, del prefato vescovo e dei fratelli del defunto, non che del successore nel marchesato il figlio Michele Antonio. Il giorno sette fu chiuso nel preparato avello, indi li 27 febbraio trigesimo dalla morte, gli furono rinnovati in S. Giovanni i suffragi, e il suddetto P. Buccio a detta del Litta encomiollo con una seconda orazione. La vedova Margherita tosto gli eresse l’indicato magnifico mausoleo per mano dello statuario ' Benedetto di Briosco, milanese, spendendovi 600 ducati. Egli è un gran nicchione aperto nel coro della chiesa dal lato del Vangelo, tutto fasciato di marmo bardiglio con gotici rabeschi ed archetti sulla fronte che fa arcata al monumento, e con statue d’ alto rilievo entro e fuori. Nel nicchione sta la tomba quadrilatera di candido marmo, sopra cui giace a mani giunte la statua del trapassato vestito alla guerriera. La facciata di questa tomba è divisa in quattro scompartimenti da cinque lesene scannellate, e nel loro campo sono otto grandi scudi o ghirlande, quattro sopra e quattro sotto, con entro a ciascuno de’ primi sette una figura allegorica ad alto rilievo, e dentro l’ottavo un’epigrafe. Le figare, in posizione di chi siede, rappresentano le precipue virtù dell’ estinto. Caritas, spes, fides, prudentia, parole che stanno scolpite sulla cornice e così locate da rispondere alle figure ne dichiarano le prime quattro: justitia, fortitudo, temperantia, che si leggono nei ri- 224 GIORNALE LIGUSTICO ✓ spettivi zoccoli delle sottostanti ci rivelano le altre tre. L’epigrafe finalmente è concepita in questi termini: ILLVSTRISSIMO AC EXCELLENTISSIMO PRINCIPI DOMINO LVDOVICO MARCHIONI SALVCIORVM VICE REGI NEAPOLITANO CONJVGI BENE MERENTI EXCELLENTISSIMA PRINCIPISSA DOMINA MARGARITA DE FVXO PVDICICIE CORONAM DEFERENS PIENTISS1ME POSVIT Sac. Angelo Remondini. SOCIETÀ LIGURE DI STORIA PATRIA (Continuazione da pag. 196 ) IV. Sezione di Belle Arti. , Tornata del 23 gennaio 1875. Presidenza del comm. Antonio Crocco. Il socio Achille Neri legge: Del Paiamo del Comune di Sarrana, e di un’opera di Matteo Civitali; lettera al sig. marchese Giuseppe Gampori Presidente della R. Deputazione di t Storia Patria per le provincie di Modena, Reggio e Massa-Carrara. Mio riverito Signore, Compio alla promessa fattale da Sarzana nell’ autunno del passato anno, e pregola accogliere questa povera scrittura con 1 GIORNALE LIGUSTICO 22j Li usata benevolenza, come testimonianza sincera di vivissima gratitudine per quella liberalità, onde si piacque sempre appagate ogni mia domanda, sì nel farmi copia d’ erudite notizie, sì nel trasmettermi manoscritti che sono parte della ricca sua biblioteca. Confessandomi affatto profano nelle difficili discipline del- 1 arte, ben piacemi dichiarare nanzi tratto come io non mi sarò mai cotanto ardito da sciorinare artistiche sentenze, o sedere a scranna e discorrere scientificamente dell’ arte ; la quale io non conosco altrimenti se non mercè quel senso estetico innato in qualsivoglia, e nè manco per ombra educato col ministerio di studi speciali; quel senso vo’ dire che mi fa restare ammirato innanzi ad un quadro, ad una statua, e mi trae dallj animo una esclamazione di meraviglia o disgusto , a seconda dell’ impressione in me fatta dal lavoro, nel che si rivela il convincimento del mio naturale giudizio. Ciò^posto, è dunque mio divisamento esporre per via di semplice racconto, tutte quelle notizie occorsemi intorno al pubblico palazzo di Sarzana, nello scartabellare 1’ estate passata alcuni libri dell’ Archivio comunale della terra ove io nacqui ; e ad esse aggiungerò qualche altra particolarità, rilevata facendo appunto certi riscontri intorno ad altre opere d’ arte ivi esistenti ; dicendo per ultimo d’una ignota statua equestre di Matteo Civitali già innalzata da lui stesso in Sarzana , della quale mi porgono novella le carte dell’ Archivio di san Giorgio. I nostri cronisti Ippolito Landinelli e Buonaventura De Rossi hanno parlato un po’confusamente del palazzo del Comune; ed il secondo, copiato quasi alla lettera dal Targioni, come che abbia esaminate le carte dell’Archivio, non ha chiarito gran fatto la storia di quell’ edifìzio. Conviene sapere adunque che dal secolo XIV al mezzo del secolo XVI, epoca in cui fu compiuto P attuale, i reggitori di Sarzana ebbero tre pub- 22 6 GIORNALE LIGUSTICO blici palazzi. Il primo che è ricordato in più atti dal 13 21 in poi (1), e nel settimo articolo delle convenzioni fra Sarzana e Genova del 1407, fu venduto nel 1463 al cardinale Calan-drini per lire 100, mentre se ne era già incominciato a riattare un altro sopra una casa appositamente comprata all’ un de’ lati di piazza Calcandola, e per continuarlo si addivenne nel 1466 alla vendita di certe terre di rilevaglia; si sa poi come preposto a questa seconda fabbrica fosse un Antonio da Lucca (2). Dopo detto anno la città, per la vendita fattane da Ludovico e Tommasino Fregoso, venne nelle mani dei Fiorentini, ed il palazzo non era anche atto ad alloggiarvi il Capitano, perchè nei capitoli conclusi è dichiarato che ciò avverrà quando sia ridotto a buon termine. Nel 1468 Giovanni de’ Ridolfi capitano per la Repubblica di Firenze propose, ed il Consiglio approvò, d’ ampliarne la porta d’ingresso essendo troppo piccola, sovrapponendovi il proprio stemma, e volle fosse ornata di marmi; così nell anno susseguente 1469 fu deliberato di porre nel palazzo stesso l’arma dell’altro capitano Niccolò de’ Ceretani; e nel 1470 a’ 26 settembre sono pagate lire 5 e soldi 10 magistro bran-cisco marmorario prò arma domini Johannis Aldobrandini posita expensis Comunitatis in palacio novo. Noto di passata che questo maestro Francesco potrebbe essere 1’ un di quei Riccomanm da Pietrasanta che già, come si vedrà, avevano operato in Sarzana. Solamente poi in quest’anno 1470 fu posta in atto la deliberazione d’ ornare di marmi la porta, perchè a 28 settembre Lorenzo da Pietrasanta riceve lire 2 e soldi 5 per le cornici poste sopra la porta medesima ; allo stesso sono eziandio pagate ai 2 d’ ottobre lire 11 occasione sui equi mortui in nc- (1) Arch. Com. Sarzana, Reg. vecchio, Mss. perg. car. 24. e segg., Sforza, Saggio di Bïbliogr. stor. della Lunigiana , vol. I, pag. 188 e segg- (2) Arch. Com. Sarzana, Liler deliberai., a. 1466-72, car. 16. GIORNALE LIGUSTICO 227 gocijs Comumtatis nostre (1). Ognun sache il Lorenzo qui mentovato e il padre del celebre Stagio Stagi; ed è quello stesso del quale toccò l’egregio comm. Varni in una sua breve scrittura (2), ed il prof. Santini con più larghezza nella Stoiia della Versilia (3). Di lui resta in Sarzana a memoria imperitura la parte superiore della facciata del Duomo, adorna di quel bellissimo fìnestrone di stupendo intaglio sotto il quale lasciò inciso il suo nome : opera eh’ egli ripetè poi nel patrio Duomo di Pietrasanta, sì come ci afferma il Varni (4) contrariamente al Santini che la assegnò al secolo XIV (5). Ma perchè tratto dal soggetto io mi sono condotto alla Cattedrale, non dispiaccia lo entrarvi un istante e discorrere un poco di alcune scolture che 1’ adornano. Il maestoso altare marmoreo che trovasi oggi nella cappella della Purificazione e che, come afferma il Santini, Lorenzo ebbe incarico di ricomporre, fu eseguito e posto al-1’ altare maggiore intorno al 1463 a spese del sempre munifico cardinale Calandrini. Il trasporto da questo luogo alla menzionata cappella avvenne nel 1640, quando si diè opera ad ampliare il coro; ma perchè il popolo avendo in grande venerazione l’immagine di Nostra Donna, scolpita nel mezzo della grande ancona, fece intendere agli operari come la volesse di nuovo collocata nel luogo più eminente della chiesa, eglino staccatala, la fecero murare nell’ alto del coro, ed al lofi) Tutte queste notizie sono rilevate dall’ Arch. Comunale di Sarzana, Liber redituum et expensarum, car1 18; e Liber deliberationum, a. 1466-72, car. 51 e 88. (2) Di maestro Leren\o e Stagio Stagi di Pietrasanta', Studi ed appunti; Genova 1863. (3) T. VI, pag. 63. (4) Ivi, pag. 6. (5) T. IV, pag. 6. 228 GIORNALE LIGUSTICO garono a Giovanni Cibei gli ornamenti di marmo ond’ è circondata (i). L’altare cosi monco venne ricomposto nella sopraddetta cappella vicino alla sagrestia ; e a Domenico Sarti di Carrara fu dato incarico di eseguire il basso rilievo rappresentante la Purificazione, che servì a riempiere quel vuoto dove era stata tolta 1’ immagine della Vergine (2). Apparisce chiaro da tutto ciò l’errore di chi volle attribuire a Lorenzo opera siffatta ; il che ci viene affermato dal Santini senza ch’ ei ci discopra donde ne trasse la notizia. Tuttavia dal contesto del periodo sembra accennare come fonte il Gerini; ma in questo autore io non trovai verbo che vi si riferisse, siccome non è proprio vero, sebben lo reciti il Santini stesso, abbia egli scritto siano opera pur di Lorenzo le statue di Sergio IV e d’ Eutichiano collocate sul timpano della medesima Cattedrale. Si restrinse ad affermare soltanto appartenere al nostro pie-trasantese la statua di Niccolò V (3). Comecchessia le furono credute tutte tre lavoro del secolo XV; ma io non m’era mai potuto acquietare a sì fatta sentenza per due ragioni: la prima non avendo riscontrato nel De Rossi e nel Landinelli nessun accenno a quelle statue, l’altra sembrandomi non ravvisare # (1) Arch. dell’Ospedale di S. Bartolomeo di Sarzana, Livelli e Instrumenti delì’Opera, car. 252 e 255. Libro deliber azioni dal 1639 al 1672, car. 7 e 8. De Rossi, Collettame, Mss. cap. IV. Per gentile condiscendenza dell’egregio signor avv. Vincenzo Berghini, segretario della Fabbriceria, ebbi agio di esaminare buon numero di pandette di libri appartenenti all’Opera e che seppi poi conservarsi nell’Arch. dell’Ospedale su indicato; e le copie dei due documenti da quelli estratti, che qui pubblico , debbo al meritissimo presidente della Commissione di carità cav. Giuseppe Capitani. (2) Ved. Documento I. (3) Storia della Versilia, T. VI, pag. 62; Gerini, Memorie di uomini illustri di Lunigiana, T. I, pag. 61 e 62. GIORNALE ligustico 229 in esse lo stile tutto proprio della seconda metà del quattro-cento, m urtavano poi quelle scritte appiccate ai piedistalli in cai atter i metallici di rilievo assolutamente moderni. Ed ora ho il piacere di produrre il documento, che ci istruisce essere state eseguite e colassù collocate dopo il 173.5 (1). Ciò nondimeno qualcuno potrebbe osservare come l’iscrizione incisa al sommo della facciata dica aperto che il Calandrini hanc faciem supra medium auxit fenestris ac statuis pie decorari fecit; nè ivi tro-vansi altre statue fuor dellé discorse, e nè manco luogo acconcio a collocarle; ond’è a credere, che per la morte del Cardinale non siasi condotto a fine quanto egli aveva divisato. Ed ecco perchè ne tacciono i nostri cronisti urbani. Il riposare poi sulla fede del Gerini non è dicevol cosa, tanto più a questo luogo, dove ci regala la notizia, e il Santini la ripete, che il soffitto di legno intagliato della cattedrale è opera di Pietro Giambelli fatta eseguire dal Calandrini, mentre ognun sa come il Giambelli vivesse nella prima metà dei seicento e conducesse il lavoro circa il 1650. Nè posso consentire al detto storico della Versilia, abbia dovuto lo Stagi costrurre di nuovo l’altro altare della cappella dedicata a san Tommaso; e perchè 1’opera dovè essere eseguita innanzi al 1460, essendo stata in quest’anno consacrata la.cappella, e perchè vi s’oppone la ragione artistica; imperciocché, lo dirò col Varni, bellissimi sono i lavori di quell’ altare e non solamente sentono la maniera d’Jaropo della Quercia, ma tanto ricordano, colla scuola sanese, la pala da lui scolpita per 1’ altare dei Trenta in san Frediano di Lucca, da farceli credere opera del Della Quercia medesimo (2). Il documento poi ricordato nell’ erudito, libro eh’ Ella, signor Marchese, pubblicò nel 1872, ci manifesta aver avuto (1) V. Documento II. (2) Varni, Op. cit., pag. 5. 230 GIORNALE LIGUSTICO il carico delle sculture suddette Antonio di Mafiolo carrarese nel 1450 (1), il quale per fermo non condusse da solo tanta mole, ma certo si giovò di valenti contemporanei. Non posso ammettere infine collo storico suddetto, sia questa cappella di san Tommaso ricca per ornamenti di bassirilievi e di statue raccolti dalle ruine delle chiese dell’ abbandonata citta di Luni; perchè ove ciò fosse, l’altare porgerebbe una strana mischianza d’opere di stile diverso, mentre invece palesa unita di concetto e stile relativamente uniforme, se bene 1 occhio dell’ artista possa rilevare la diversità degli scalpelli. I nostri cronisti biasimano, è ben vero, il Calandrini per avere spogliato di marmi l’anfiteatro di Luni in servigio del Duomo di Sarzana, ma sì fatta opinione venne contraddetta con sode ragioni dal dottissimo Carlo Promis, il quale provò come 1 anfiteatro costrutto di pietra arenaria del Corvo non , avesse ornamenti marmorei, e ripudiò eziandio l’affermazione di quelli scrittori, che pretesero trovarsi nelle ruine di Luni grande quantità di marmi, ond’erano adorni gli edifici e i monumenti (2). Le sculture che oggi trovansi nella cappella della Purificazione, come io dissi, furono da prima innalzate all’ altare maggiore; ed intorno agli autori che le eseguirono ecco (1) Memorie biografiche degli scultori, architetti, pittori ecc. nativi di Cari ara e d altri luoghi della provincia di Massa ecc., Modena 1875, Pag- 153- Vedi anche Giornale Ligustico, anno 1874, pag. ni. (2) Promis-, Memorie dell’antica città di Luni, Massa 1857, pag- 93 > 96 e 97. L’erudito archeologo scrivendo nel 1868 a’ 15 agosto all’amico mio comm. Varni cosi si esprimeva: « La ringrazio della preziosa sua operetta sui due Stagi . . . Non fo che lodare la molta diligenza del biografo, solo prendendomi la libertà di notare, come la mala voce data al cardinal Calandrini di avere spogliato de’ marmi 1’ anfiteatro di Luni per fare in Sarzana la facciata del Duomo e la cappella gentilizia non ha fondamento. Infatti quell’ anfiteatro era tutto di tufo del Corvo senza ombra di marmo bianco, il quale di là certo non potè inai provenire ». GIORNALE LIGUSTICO 23 I quanto scrive il Targioni copiando il nostro De Rossi: « Fece fabbricare (il cardinale Calandrini) nel 1463 da Leonardo e Francesco Carpentieri di Pietrasanta l’antico aitar maggiore, con una macchina di marmo alta 20 braccia, colle statue di san Pietro, san Filippo e san Niccolò vescovo da un lato, e di san Gio. Battista, san Paolo e sant’Andrea dall’altro, con sopra e sotto varie sagre istorie a bassorilievo della passione di Cristo, della decollazione del Precursore e del martirio di sant’Andrea ed altri ornamenti, per prezzo di 1100 lire di Genova, come apparisce nel protocollo di Gio. Antonio Griffi notaio sarzanese a carte 187 (1) ». Quando io lessi queste parole pensai non mi sarebbe riuscito difficile trovare nell’Archivio Notarile di Sarzana il documento, e chiarirmi in ispecie su quel cognome Carpentieri, che in vero non mi finiva in alcun modo. Ma ahimè! tutte le mie ricerche tornarono vane; manca il citato protocollo. Ciò nondimeno chi per poco sia uso allo stile ed alla forma curialesca de’ nostri antichi no-tari, di leggieri si argomenta dovesse leggersi nel documento magistri Leonardns et Francisais carpentari de Petrasancta, e giunge del pari facilmente a persuadersi sia con quel vocabolo indicata la qualità d’intagliatori de’ due maestri, non il cognome. Ciò posto rimane ad investigare chi possano essere questi pie trasan tesi. Fino dalla metà del secolo XIV ricordasi in Pietrasanta una famiglia Riccomanni dalla quale uscirono non comuni scultori; fra essi notansi Francesco e Leonardo, i quali recatisi a Napoli nel 1431 ritornarono in patria con Stagio di Nicola circa il 1437 (2). Non sembra ovvio intenda parlare di questi due il documento del Griffi? Io davvero nòn vi pongo dubbio, non trovandosi in quel torno altri scultori pietrasantesi che portino i nomi ricordati. (1) Rclaiioiie di alcuni viaggi ecc., T. XII, pag. 31. (2) Santini, Stor. della Versilia, T. VI, pag. 191. 232 GIORNALE LIGUSTICO Che i Riccomanni operassero in Genova eziandio, mi disse più fiate il comm. Varni averne quasi certezza, comecché non sei sapesse per documenti, e m’ additava specialmente come opera de’ loro scalpelli quelle scolture sovrapposte alla elegantissima porta laterale di N. S. delle Vigne, che guarda verso Campetto; ora le carte vengono a dar ragione al dotto artista, poiché di recente il cav. Alizeri leggendo alla Società nostra la prosecuzione della sua opera sui Professori del disegno in Liguria, dicea appunto come per atto notarile si palesi avere i Riccomanni lavorata la cappella di san Sebastiano per la su mentovata chiesa, gli avanzi preziosi della quale sono appunto le scolture qui innanzi indicate. Da più strumenti si hanno poi notizie di altre loro opere in Genova, dove Leonardo per certo si trattenne un decennio, cioè dal 1452 al 1462; intorno al qual tempo sembrami si possa oggimai affermare siasene partito per condursi ad operare i lavori commessigli dal cardinale Calandrini. Il documento del Griffi dove Leonardo e Francesco senza più sono nominati sì come artefici del bellissimo altare di Sarzana, non.dee poi intendersi così strettamente alla lettera; ed è invece secondo ragione lo ammettere abbiansi associato qualche altro scultore. Ciò sembrami apparire manifesto dalla maniera onde sono improntate le sei statue di tutto rilievo, affatto diversa da quella delle storie che si ammirano nei piccoli scomparti. Le prime infatti tanto ricordano lo stile del Civitali da reputarle opera sua; l’espressione del volto, la verità delle mani e delle altre parti nude, ed alcuni getti di pieghe porgono molti punti di confronto colle opere del celebre lucchese. Nè ad attribuirle a questi si oppone la cronologia, poiché appunto intorno al 1463 non ci dicono gli scrittori fosse egli occupato in altri lavori. Ma io lascio al-1’ esame dell’ artista il giudicarne. E qui esco finalmente di chiesa e torno a palazzo dove giornale ligustico 233 appunto lasciai lo Stagi intento ad ornarne la porta nel 1470; senonchè a questo punto mancarono i denari al Comune e 1 opera rimase a mezzo. Così stette fino al 1472, nel qual anno venuto a Sarzana in qualità di Capitano per la Repubblica fiorentina Andrea Cresci, a’ 13 d’ottobre congregatigli Anziani, fece le più vive istanze affinchè fosse proseguita la fabbrica e ridotta al suo termine; e perchè troppo angusta sembravagli nella guisa in che era stata fino allora innalzata, e non poteva adeguare 1’orrevolezza e dignità del Magistrato, propose, e fu vinto il partito, l’acquisto della casa contigua di un tale Andrea Ferrari a fine di maggiormente ampliarla; la compra però doveva farsi col danaro ritratto dai danni dati (1). Ma essendo riusciti a nulla gli uffici appo il Ferrari per la vendita della sua casa, pretendendo egli un prezzo esagerato, il capitano Cresci riuniti di nuovo gli Anziani a’ 2 novembre, dimostrò l’impossibilità di continuare, secondo erasi statuito, il palazzo nuovo iam pluribus annis inceptum a cagione degli ostacoli posti dal Ferrari; fece rilevare che ove anche si fosse potuto ridurre costui a miglior consiglio, non sarebbe stata nè manco bastevole la sua casa ad una ampliazione decorosa e comoda alla residenza del Capitano e suoi ufficiali, e propose invece s’ ergesse una nuova fabbrica in mezzo alla piazza nel luogo appunto ove trovasi oggidi. Applaudirono gli Anziani alla proposizione del Capitano, e deliberarono servirsi per la spesa degli introiti de’ pascoli, de’ danni dati, delle rilcvaglic, non che della somma ricavata dalla vendita dell’incompiuto palazzo, toltine però prima i marmi e quelle opere ornamentali atte alla costruzione del nuovo (2). Il Cresci scriveva incontanente a Firenze ricercando un valente architetto, che si conducesse a Sarzana onde eseguire il (1) Arch. Coni. Sarz., Liber deliberat., a. 1472-74, c. 15. (2) Documento III. Liber cit., car. 23. 234 GIORNALE LIGUSTICO disegno dell’opera divisata; cadeva la scelta in uno fra gli insigni artefici del rinascimento, il quale.alle molteplici cognizioni statiche, ed al valore della mano, seppe congiungere il più squisito senso estetico; questi fu Giuliano da Maiano. Quanto egli si fosse già levato in fama a questo tempo sanno tutti coloro, che ricordano i suoi lavori di tarsìa all’Annunziata e in san Marco di Firenze, la sedia del Duomo di Pisa, gli armadi di santa Maria del Fiore e gli intagli del coro eseguiti di compagnia col Francione e col Monciatto, il cortile e le logge del palazzo di san Pietro, le fortificazioni del castello di Montepoggiolo; opere tutte condotte innanzi al 1472? nel dicembre del quale anno a petizione del Cresci sen venne in Sarzana ad designandum pallatium, e ne ebbe ai mercede lire 8 e soldi 5 di Genova (1). Ma oltre il mentovato disegno egli fece altresì, tornato in Firenze, il modello del palazzo pel quale gli furono pagati ai 28 gennaio del 1474 tre bucati larghi; e più soldi 12 per il porto di detto modello (2). Rilevasi dai libri del Comune che la fabbrica fu incominciata li 6 febbraio del 1473; ed ai 13 dello stesso mese si veggono pagate lire 11 ad Andrea Gerardini fiorentino qui fundamenta palatii fecit et complevit (3). Il Consiglio aveva eletti soprastanti Antonio Ivano e ser Cristoforo Mercadanti, i quali pieni di solerzia e buon volere davano opera all’ impresa con ogni sollecitudine; ma subito s’addiedero sarebbero rimasi in secco, stremi come e’ si trovarono del pubblico denaro, non essendo ba-stevoli gli introiti a ciò destinati dai Padri. Però non si perdette d’animo il Cresci, e fece intendere agli Anziani si po- (1) « Item . . . dedit die 29 Decembris preterlapsi magistro Juliano de Majano architectori qui venit ad designandum pallatium ducatos tres largos, sive libras octo et solidos quinque Janue » (Arch. Com. di Sarzana, Liber redituum et expensarum, car. 105, verso). (2) Arch. cit. Liber deliberationum, a. 1472-74, car. 166 verso. (3) Arch. cit., Liber redituum et expensarum, car. 105, recto. GIORNALE LIGUSTICO 235 teva facilmente sopperire al difetto mercè un imprestito di lire 300 per anni quattro da chiedersi ai Fiorentini. Piacque il paitito; e perchè era appunto deputato nel marzo del 1473 Antonio Ivani ad irsene da Lorenzo il Magnifico, a lui molto benevolo, a fine d’ ottenere 1’ approvazione e la conferma di certe provvigioni e riforme agli Statuti, anche questo carico gli dierono (1). Si recò egli infatti a Firenze con una commendatizia del Capitano e tanto disse che ottenne alla sua città la domandata prestanza; onde il Generale Consiglio ai 30 novembre del 1473 stipulava 1’ opportuno atto notarile (2). In questo mezzo a’ 30 luglio, niuno essendosi presentato al pubblico incanto , fu privatamente venduto il vecchio casamento già incominciato a riattare, come dissi, per uso del Comune, in parte a Giovanni Villani da Pontremoli medico condotto, ed in parte a Giovanni Meduseo maestro di grammatica pel prezzo di lire genovesi 340 (3); in tal guisa raggranellando quinci e quindi danaro si mandava innanzi l’impresa; e per menomare la spesa, era saccheggiata la povera Luni. In fatti nel 1474 i soprastanti alla fabbrica convengono con Giovanni Andrea e Gio. Jacopo Marcheselli di Carrara , pel trasporto di alcune carrate lapidum ex civitate Lune fino alla piazza della Calcandola, e sono poi pagate lire 22 a maestro Addo che con 12 soci sta cavando pietre e marmi nella città di Luni, donde quindi ridotti in cantoni si portano a Sarzana pel nuovo palazzo (4). 11 biasimo inflitto a torto al cardinale Calandrini, dee con ragione rivolgersi agli Anziani di quel tempo, che aveano,come pare, colà stabilito un buon nerbo (1) Ardi, cit., Liber redituum cit., car. 108-109; Gaye, Carteggio in'-dito d’artisti, vol. i.°, pag. 251. (2) Ivi, Liber deliberationum cit., car. 101-103. (3) Arch. cit., Liber deliberationum cit., car. 84 e 86. (4) Ivi, Liber redituum cit., cart. 134, 140, 145. 236 GIORNALE LIGUSTICO di cavatori per disperdere le superbe reliquie; le quali mossero pur uiia fiata peranco il Pontefice Paolo II, e fu nel 1461, a scrivere vivamente al Vescovo a fine proibisse il già cominciato spogliamento (1). Nei libri delle spese trovasi memoria del continuato lavoro fino al 1479, ma nulla havvi di singolare da doversene tener nota, e solo reputo non inutile far ricordo di lire 11 date a maestro Milano, per aver provveduto al Comune certi pezzi di marmo ne’ quali maestro Giampietro Pelliccia di Carrara scolpì le armi del Capitano e n’ ebbe in mercede lire 20 ; così si pagarono lire 12 e soldi 7 a maestro Antonio Nardi carrarese per fattura di colonne e porte. Certo è infine che una qualche iscrizione doveva esistere sulla porta maggiore del palazzo, da che per scolpirla sono pagati soldi 10 al suddetto Pelliccia (2). I turbamenti politici cui andò soggetta in quel tempo la Lunigiana, incominciati l’anno 1479 quando Agostino Fregoso s’impadronì per tradimento di Sarzana, che dettero poi luogo alla guerra fra fiorentini e genovesi combattuta dal 1484 al 1487, e che si. chiusero colla vendita fatta delle fortezze di Sarzanello e Fermafede al Banco di san Giorgio nel 1495 dagli ufficiali di Carlo Vili, impedirono che fosse continuata la fabbrica del nostro palazzo. Infatti dai capitoli conclusi dagli uomini di Sarzana coi Protettori del Banco nel 1484 e ripetuti nel 1496, si stabilisce che il Capitano e gli ufficiali suoi debbano stanziare nel palazzo pubblico quando sarà terminato e che si potrà comodamente abitare, ed i Protettori aggiungono che a suo tempo aiuteranno 1’ edificio per quella parte che a loro parerà. Se non che una lettera dei Protettori al Capitano dì Sar- (1) Arch. Capitolare, Filza M, “De Castronovo, Hortonovo, Nicola et Luna ; Breve in perg. de’ 7 aprile. (2) Arch. Dom. cit., Liber redituum cit., car. 198 e 199. GIORNALE LIGUSTICO 237 zana dei^ 9 agosto 1484, ci palesa come per dar opera alle fortificazioni della vicina porta di S. Domenico, si stimasse opportuno abbattere quelle mura dello palacio principiamo fio-reuhni, onde ne è ordinata la demolizione; niun documento mi occorse atto a provare che ciò fosse eseguito, ma per quanto dirò più innanzi sembra che nò. Gli Anziani a dare acconcia stanza al Capitano e suoi ufficiali, avevano rivendicato dalle mani di Antonio Gandolfo le case e gli orti dei Calandrini di fianco alla piazza Calcandola, e quelle all’uso' ridetto accomodate; ma nel 1546 il Gandolfo s’incaponì volerle ricuperare e pretese per di più gli fossero regalate; il perché recatosi a Genova con ampie commendatizie di Niccolò Fiesco capitano di Sarzana e a lui stretto in parentela, tanto s’ adoperò che i Protettori scrissero agli Anziani quasi ingiugnendo ad Antonio facessero il richiesto dono. Non obbedirono gli Anziani; ma per mezzo d’Agostino Bernucci, recatosi appo i Protettori, esposero virilmente le loro ragioni; di guisa du; nella tema di sollevare in quella città qualche grosso rumore, per allora non ne fu fatto altro. Il Gandolfo però non si dette per vinto, ma continuò le sue pratiche; e vedendo non sarebbe riuscito combattendo di fronte, si pose in animo di giugnere al suo fine per altro modo. Infatti le sue coperte arti produssero nel 1547 una deliberazione afflitto inaspettata, per la quale era ordinato alla Comunità di Sarzana di rifabbricare il pubblico palazzo nel luogo stesso dove era l’incominciato dai fiorentini; di più si spedissero a Genova, due deputati per gli opportuni accordi. Intanto a petizione dei Protettori recavasi in Sarzana l’architetto Antonio Roderlo, nome noto per altri documenti, ed eseguiva il disegno della nuova opera. Agostino Bernucci e Francescotto Parentucelli eletti dal Parlamento furono per due volte coi Protettori, sì nel cadere del 1547 come nell’aprile dell’anno successivo, e fatti ornai certi come la misera città strenua di 16 238 GIORNALE LIGUSTICO danaro e carica di debiti, fosse pur costretta a piegare il collo, procacciarono ottenere 'il maggior sovvenimento possibile a porre ad effetto il lavoro. E l’accordo fu sì fatto, che il magnifico Ufficio avrebbe donato scudi 1250 e sostenuta la spesa di legnami, ferramenti e pietre lavorate, dando anche ad imprestito tavole, coffe, corde ed altri utensili necessari alla fabbrica; il Comune vi ponea scudi 150 in contanti, e la valuta di casamenti ed orti calcolati scudi 850. Questi erano quelli appunto desiderati dal Gandcrìfo, cui, dietro istanze dei Protettori, veniva affidato il carico dell’impresa. Giuochi co-desti poco onesti in vero, ma non nuovi nella storia del favoritismo ! Il contratto si chiudeva coll’ obbligo imposto non solo ai sarzanesi, ma a tutti gli uomini del Capitanato, di concorrere al lavoro in determinata misura 0 coll’opei’a personale o col pagamento di corrispondente mercede. Si pose mano alla fabbrica fin da quell’anno 1548, seguendo il modello già fatto dal Roderio e portato a Sarzana dal Bernucci; ma poco stante sorsero non lievi difficoltà. Tomnjaso Spinola nuovo Capitano faceva le più vive istanze perchè fossero ripresi gli studi sulle fortificazioni della città e vicine castella, dimostrando con lunghe lettere la necessità di sì fatti provvedimenti in luoghi di confine e, secondo egli diceva, non al tutto atti a difendersi dai nemici; e perchè i Protettori opponevano la spesa grande all’ uopo bisognevole ed il nuovo lavoro in che s’erano impegnati, lo Spinola consigliava sospendere la fabbrica del palazzo. Si aggiunse a ciò il malcontento levatosi contro il Gandolfo, e per un po’ di vecchia ruggine, e perchè sembra veramente, per bramosia di soverchio guadagno, conducesse l’opera alla peggio. Fatto e che nel giugno 1548 fu ordinato d’interrompere il lavoro, e il Gandolfo notificando d’ essersi conformato ai comandi ricevuti, diceva come avesse lasciate le vecchie mura del palazzo in parte ancora in piedi, non avendone fatte minare GIORNALE LIGUSTICO 259 che quelle dove erasi principiata la nuova costruzione. Il che ci manifesta due cose, la prima non essere state demolite quelle mura nel 1484, poi la necessità d’abbatterle ora per ncostrurre l’edilìzio secondo il nuovo disegno. Passarono intanto due anni senza che più si pensasse al palazzo, e solamente agli undici giugno 1550 posto il partito dai Protettori se si dovesse fare la fabbrica, riconosciuto riuscirebbe d’utilità pubblica, deliberarono si eseguisse in quei modi già prima stabiliti nel 1547 e 1548. E qui si può dire avesse finalmente principio quell’ edificio, perchè a’ 28 agosto avvisa il Gandolfo aver dato mano al lavoro ; il capitano Ambrogio Cattaneo-Lasagna scrive a’ 7 novembre « è già fatti tutti li muri de fondamenti per far cantine e stantie da molini et altre cose, et è tanto sopra terra che bisogna comenzare a far ponti » ; e nel dicembre il Roderio, spedito dall Ufficio, si recò a visitare quelle nuove costruzioni. Quindinnante non si intermesse più la fabbrica, ed il suo progredire è fatto manifesto dalla corrispondenza dei Capitani, dove nulla v’ha d’importanza storica 0 artistica degno di nota speciale. I marmi onde furono fatte le colonne giunsero da Carrara nel 1551 e sul fine dell’ anno stesso erano già a buon termine, di guisa che nel seguente, tornato il Roderio in Sarzana, furono collocate nel cortile dove anche oggi si veggono, e sopra di esse vennero voltati gli archi che sostengono il loggiato soprastante. L’opera ebbe suo compimento nel 1554 essendo Commissario Giovanni Maria Spinola, come ci avverte la scritta incisa al sommo della porta che mette alla gran sala (1). (1) Mancando nou pochi dei documenti strettamente necessari a confortare i fatti qui sopra esposti, quali sarebbero le deliberazioni degli Anziani di Sarzana, quelle dei Protettori del 1547 ed i registri Litterarum del 1547 in 1550; ho dovuto compilare la narrazione sulla scorta della corrispondenza dei Capitani, del Gandolfo e dégli Anziani, esistenti nei fogliazzi dell’Archivio di san Giorgio, anni 1547 in 1554, Sala di Can- 240 GIORNALE LIGUSTICO Sebbene non rimanga che una sola parte dell’ edificio nel-1’ antica foggia, pure vi si ammira corretto disegno e molta semplicità; il cortile, la loggia e le scale sono affitto simili e a quelle di non pochi palazzi di Genova, costrutti al tempo del celebre Galeazzo Alessi ; d’ uguale semplicità ed eleganza doveano essere adorne le due facciate, meridionale e settentrionale , argomentando da quel che ancora si vede. Le finestre come che non arcuate, erano bifore senza meno, restandone una nell’ interno a perenne testimonianza. Deve deplorarsi senza fine non sia questo palazzo giunto sino a noi nel suo antico stato architettonico, chè potremmo aggiungere questo altresì al ricco novero de’ monumenti della nostra Liguria; e tanto più è a lamentare in quanto proprio nel secolo presente dovèa quell’ opera deformarsi. Il seicento che in fatto d’ arte guastò molte cose lo lasciava quasi intatto , contentandosi dell’ apertura d’ una porta nella facciata posteriore; ma verso il 1825 vi si addossò alle spalle una informe terrazza sorretta da goffi e pesanti portici, turono tolte le colonne alle finestre, si cacciò la balaustrata, si pensò infine adornare la fronte principale, sovrapponendo alla porta un terrazzino di marmo sorretto da pessime colonne, e vi fu scritto in lettere d’ oro Curia ornata anno MDCCCXXV. Io reputo che sarebbe più contorme al ' vero • cambiare 1’ ornata in deturpata. Nel mezzo alla piazza che sta innanzi al palazzo, raduna- , vasi nel gennaio del 1500 il popolo sarzanese quasi a festa ed assisteva al collocamento d’una statua equestre rappresentante san Giorgio, che veniva colà innalzata sopra apposita colonna di bel marmo bianco dell’ altezza di palmi 12; ornavano la base del piedestallo tre scalini, ed aveano tutt’ intorno celleria, non che dai registri 'TsLegotionim gestorum Magnifici Offici, ann. 1548 e 1550. giornale ligustico 241 un Listi ico delimitato da cordonati marmorei con ben accomodati sedili. La statua, secondo il costume de’ tempi, era oppoi tunam.en.te dorata. Di questo fatto ci lasciò breve memoria il De kossi negli «.Annali di Lunigiana, ma errò nello affermare tosse posto il monumento per deliberazione del Consiglio. Dai cartulari e dalle filze delPArchivio di san Giorgio rilevasi invece, come ciò avvenisse per cura e spesa dei Protettori del Banco, in memoria dello aver ricuperata la città e le fortezze, e si discopre altresi essere stato autore di quell’opera il celebre Matteo Civitali, che si condusse appunto da Carrara in Sarzana a fine di farla collocare secondo egli desiderava. A Matteo furono pagate pel suo lavoro lire 215 e soldi 8, alle quali aggiunte le altre spese fatte in quella circostanza si ha una somma totale di lire 236. 19. 3, che secondo il il ragguaglio favoritomi dall’egregio amico cav. Desimoni tornano a lire italiane 661.45 in valore intrinseco d’argento, e verrebbero quasi il doppio tenendo conto del valore commerciale (1). L’ epoca nella quale fu eseguita la statua ci fa argomentare come Matteo posto termine alle scolture del Duomo di Genova nel 1496 siasi recato colla famiglia in Carrara dove lo si trova per noti documenti nell’ aprile' del 1498, e quivi abbia condotto a petizione dei Protettori l’accennato lavoro, che disgraziatamente è oggi perduto. Il solo torso del cavallo mi fu dato discoprire or non ha molto in Sarzana, tratto di sotto a rottami e macerie ammonticchiati ne’ fossi del bastione denominato lo Spuntone, là dove è sorta al presente la piazza del pubblico mercato, con nuove ed ampie case. V’ha però memoria che i pezzi della figura di san Giorgio esistessero alcuni anni sono nell’ officina d’un armaiolo og-gimai defunto, ma non sortii ritrovarli. La demolizione e la (l) Documento IV. GIORNALE LIGUSTICO solempniter obtempta quod palacium novum iam pluribus annis inceptum pro residentia Magnificorum dominorum capitaneorum civitatis Serzane perficiatur et pro maiori edificio construendo emeretur domus Andree Ferrari) et suorum nepotum contigua ipsi palacio , et supra fabricam ipsius palaci] tuit facta ellectio de quatuor civibus cum auctoritate ut in actis cancellarie apparet scriptis manu mei Gasparis cancellarij. Ht viso quod dictum palacium situm juxta domum dictorum Andreè et nepotum eius commode fabricari non potest quia domus dicti Andree et nepotum contigua dicto palacio haberi non potest pro convenienti precio, et casu quo etiam haberetur non est tante longitudinis que sufficiat longitudini dicti palacij ; videtur eidem Magnifico domino capitaneo fore utilius et honorificentius dictum palacium comunis pro residentia Magnificorum capitaneorum et officialium comunis Sarzane confici debere in ea parte platee Carcandule dicte civitatis que est q loco piscarie in longitudine usque ad arborem ulmi qui est ante domum heredum ser Nicolai de Cararia et in latitudine ab astricis qui sunt ab utraque parte, ita quod domus habitantium ab utraque parte non recipiant offensionem lucis et remaneant dicti astrici liberi et expediti prout nunc sunt et magis augeantur ab utraque parte dicti astrici brachia duo quam minuantur aliquid, et cum hoc quod extra dictum palacium in residuo platee quod restabit inter ipsum palacium et portam sancti Dominici debeat fieri alius puteus sumptu publico usu vicinorum et puteus qui nunc est intra dictos astricos remaneat pro usu palacii. Qua propositione facta per prefactum Magnificum dominum capitaneum intellecta et diligenter examinata et dato partito more solito obtempto consilio super inde reddito per Janonum de Yvanis et ser Johannem Antonium de Griffis duo ex dictis consiliariis quod fiat et fieri debeat prout in dicta laudabile propositione continetur per xm fabas affirmativas una sola in contrarium non obstante cum addicione quod Magnifici quatuòr cives ellecti ‘ad fabricam primi palacij habeant eandem auctoritatem supra novo fiendo. (Arch. Com. di Sarzana, Lib. deliberat. 1472-75, car. 21 verso). IV. MD die XXVIII augusti. Expense Sarzane etc. Pro consteo columne unius de parmis xn et sancti Georgii in ea su-prapositi in marmore, cum suis ornamentis scalmorum trium circum ea, CIURMALE LIGUSTICO 245 positam in platea Sarzane, ita iudicatum per Acelinum Salvaigum in quo dictus magister (sic) se remissit, prò Matheo de Civitatula (sic) statuario .... r ___ ................ 200. — — Pro portaturis cordonorum marmoris pro a:trego circum dictam columnam..........» r_ I5 _ Item 12 septembris. Pro magistro Matheo fabricatore statue sancti Georgii posite in platea Sarzane, pro interesse de lib. 128. 11. 2. sibi soluptis de moneta longa ... et que sibi debentur de moneta curta . . » 13. 8. — Item 15 februarii 1502. Pro deauratura statue sancti Georgii posite in platea Sarzane, ac fundamento et ce-dilibus circa columnam, . . . monete longhe ...» 23. 16. 3. L. 238. 19. 3. (Arch. di san Giorgio: Cartolano introitus et exitus Off. s. Georgii, 2. 1499). 1500, 13 gennaio. « Habio receputo sancto Georgio cum tuti li soi aparechij et ogij facio adoperare de meterlo a loco perchè per questa cagione est pur qui Mai-stro Matheo per farlo conciare a suo modo. Lo quale maistro V. S. tro-verano debitore nelo calculo de più denari de li octo ducati che quelle me commisseno ge dovesse dare. Per adviso de V. S. el soprapiù sono per le speize facte per far coniîucere dicto sancto Georgio con tuti li aparegij da Carrara qui ». 1500, 21 gennaio. « Sancto Georgio se est posto per M. Matheo a loco. Sta optimamenti ; muda tuta questa piasa masime che est uno bello lavoro. Habio facto daurare el fornimento del cavallo et lo resto che bisognava, la quale dau-ratura et la manifatura de meterlo a loco costano da libre ventitré in circa como V. S. vederano per le mie raxone quando serò costi e tute de ordine de M. Matheo ». (Archivio di san Giorgio. Sala di Cancelleria. Fogliazzo Sarzana, ann. 1484-1500. Lettere di David Grillo, Commiss, in Sarzana, ai Protettori delle Compere). GIORNALE LIGUSTICO • V. Sezione, di Archeologia. Tornata del 30 gennaio 1875: Presidenza del Preside avv. Pier Costantino Remondini. Il socio can. Sanguineti prosegue a leggere la sua Disserta-ione illustrativa della lapide di Ferrania (1). Espone che la chiesa di questa località presenta dalla sua fondazione in poi quattro distinti periodi, ossia cambiamenti di condizione. i.° Dal 1097 1401: Periodo dei canonici regolàri di sant’ Agostino. 2.0 Dal 1401 al 1513 o 15 ; nel qual tempo fu data dai Sommi Pontefici in Commenda a diversi personaggi. 3.0 Dal 1513 0 15 al 1546; nel qual periodo fu Prepositura o Abbazia sotto il patronato degli Scarampi Marchesi di Cairo. 4.0 Dal 1746, in cui furono iniziate le pratiche per convef-tire Ferrania in Commenda dei santi Maurizio e Lazzaro, sino al 18x9, in cui svincolata da quel titolo, fu venduta, al marchese Marcello Durazzo patrizip genovese. Intrecciandosi naturalmente gl’ interessi del monastero colla famiglia dei fondatori, il Disserente fa rilevare pel primo periodo (1097-1401) i seguenti fatti. Il marchese Bonifacio nel mi beneficava ancona la sua diletta chiesa, facendole donazione di Biestro. Probabilmente la sua vita non andò oltre il 1135, da che in quest’ anno i suoi figliuoli rinnovano ai savonesi i soliti privilegi. Nel 1142 il marchese Enrico Guercio, venuto all’atto di divisione co’ suoi fratelli, ha in sua parte i contadi marittimi di Savona e Noli e il mediterraneo di Cairo, ecc. Nel 1148 comincia a prendere il titolo di Marchese di Savona. (1) Ved. a pag. 160-63, giornale ligustico 247 Nel 1150 co’ suoi fratelli Manfredo e Ottone Boverio viene a patti onerosi con Genova, giura 1’ abitacolo, si obbliga a somministrar soldati, ecc. Nel 1179 fonda un ospedale ed una chiesa intitolata a santa Maria nel luogo detto Fornelli, e lo sottopone alla chiesa di Ferrania, la quale dee mantenervi uno de’ suoi canonici col titolo di rettore 0 precettore. Nel 1183 , co’ su°i fratelli Ugone e Manfredo, e colla denominazione comune di ‘Del Vasto, interviene fra i plenipo-tenziarii alla famosa pace di Costanza. Ottone, Enrico, Ambrogio e Bonifacio sono figliuoli di Enrico il Guercio. Gli ultimi due divennero successivamente vescovi di Savona : i due prirrçi si divisero i dominii paterni. Ottone, che prende il titolo di Del Carretto, ha Savona e Cairo; Enrico il Finale. * • Nel 1210 Innocenzo III emana una bolla, che si conosce perchè fu inserita nel 1483 in altra bolla di Sisto IV, dalla quale si deduce che Ferrania era sotto l’immediata dipendenza di Roma; e vi si leggono noverate circa trenta fra chiese e ville che tutte 0 in parte erano state messe nella sua dipendenza. Ingiunge ancora che il Preposito eletto a maggioranza di voti, ad Summum Pontificem confirmandus accedat. 1214. Ottone, marchese Del Carretto, e suo figlio Ugone, donano a Pasquale Cassiccio, procuratore del Comune di Genova , il castello di Cairo ed altri castelli colle loro castellarne c pertinenze, e giurano e promettono di far giurare a tutti i loro vassalli fedeltà al Comune medesimo. 1302. L’Abate e gli Anziani del Comune di Genova danno ad Ugone marchese Del Carretto, figlio di Manfredo, l’investitura del feudo di Cairo. 1322. Yaime di Ponzone procuratore di Manfredino marchese del Carretto e di Oddone suo figlio, con istrumento del 12 ottobre, ratificato poi 1' 11 di novembre, vende a Man- 24S GIORNALE LIGUSTICO fredo marchese di Saluzzo quanto appartiene al detto marchese Del Carretto sia in nobile e paterno feudo, sia in allodio; cioè castello, villa, uomini e dominio di Cairo, Cortemiglia, Carcare, Altare, con tutti i diritti di patronato. Nè il Marchese di Saluzzo è tenuto ad alcun patto di fedeltà, ubbidienza ecc., perchè ha acquistato il tutto per prezzo sborsato o per cambio d’ altri feudi. Il dominio di casa Saluzzo in questi luoghi non durò più che quindici anni. 13 37. Manfredo di Saluzzo tanto a nome suo come a quello di suo padre marchese Manfredo, vende a Oddone e Giacomo figliuoli di Antonio Scarampi, accettanti a lor nome ed a quello di Gioannone e Tommasino loro fratelli, i castelli, ville e luoghi di Cortemiglia, Cairo ecc., col mero e misto imperio e totale giurisdizione, e con ogni ragione di patronato, con forni e molini, eccettuati quelli di Cairo allora spettanti a Ferrania, e ciò pel prezzo di fiorini no mila d’oro di Firenze. 1339* Divisione dei detti beni tra i fratelli Scarampi. Gioannone a cui è toccato in sorte il castello e terra di Cairo e Carcare , viene a Genova a professar vassallaggio al doge Simone Boccanegra e ne ha l’investitura del Marchesato. 1345• Cominciano controversie tra il marchese Gioannone ed il Preposito di Ferrania, intorno alla giurisdizione criminale su questo tenimento; e si agitano dinanzi all’Arcivescovo di Genova, come conservatore di quel monastero. Dopo due anni esce la sentenza che dà ragione al Marchese. Il Preposito cambia stile, e domanda qualche favore per Ferrania situata in posse Cayri. Secondo Periodo: dal 1401 al 1513 0 15. La chiesa di Ferrania continua a chiamarsi conventuale ; ma non vi sono più canonici. I Pontefici, che la dicono sempre immediatamente soggetta alla Santa Sede, la commendano or ad uno or ad un altro personaggio. giornale ligustico 249 Nel 1401 Antonio Scarampi, scudiero e familiare di Bonifazio IX, ìappresentando al Papa come la Prepositura di Ferrania pei rovesci della guerra e la malvagità dei tempi fosse rovinata negli edifizi e nei beni e presso che deserta, si offre a ripararla; domandando che, dedotte le spese del mantenimento di un sacerdote e di un chierico, possa sfruttarne i redditi. Quindi pel corso di 30 anni tacciono i documenti di Ferrania. ,1419. La Repubblica di Genova', con atto del 24 maggio, annunzia ai Signori di Cairo aver ceduto al Marchese di Monferrato varie terre e fra queste anche Cairo; e ordina loro di riconoscere in Signore diretto il Marchese di Monferrato, e di prestargli omaggio e fedeltà, come aveano praticato verso la Repubblica. Il feudo era allora posseduto per una metà da Giovarmi qm. Ambrogio del qm. Gioannone, e per l’altra metà (un quarto per uno) da Bartolommeo ed Antonio qm. Bonifazio del qm. Gioannone. Questi ebbero l’investitura dal novello Signore per loro ed eredi e lor successori maschi ecc. 1431. Filippo Maria Visconti Duca di Milano invade il Monferrato; ma gli Scarampi facendogli pronta sottomissione, ne ottengono l’investitura ciascuno della sua porzione di feudo per sè e pei loro eredi maschi e femmine. Nell’ atto di pace poi si stabilisce che il Duca restituirebbe quelle terre, i cui feudatari preferirebbero tornare al Monferrato. Giovanni per la sua metà e Bartolommeo pel suo quarto scelgono di tornare sotto il Monferrato; ma Antonio pel suo quarto volle rimanere sotto Milano. 1536. II Monferrato cade nei Duchi di Mantova, e da questi per conseguenza continuano a dipendere i tre quarti di Cairo secondo l’investitura del 1419, che era esclusivamente maschile; l’altro quarto continua ad essere investito dai Duchi di Milano nei discendenti di Antonio, a norma 2)0 GIORNALE LIGUSTICO dell’investitura del 1431 che era anche femminile. Ciùro perciò ebbe tante volte a cambiar d’ alto Signore per questa quarta parte, quanti furono i cambiamenti nel dominio di Milano. Dai Visconti agli Sforza, poi alternamente tra’ Francesi e Imperiali, poi nuovamente agli Sforza, inline a Carlo V e definitivamente alla Spagna. Quando il Duca di Savoia acquistò il Monferrato, questi tirò seco i tre quarti di Cairo. Infine nel 17*35, pei preliminari del trattato di Vienna, il re Carlo Emanuele III riunì 1’ ultimo quarto. Quanto alla chiesa di Ferrania, dopo il 1431 la vediamo ricomparire nei documenti come commendata a varii personaggi, per lo più cardinali. Sulla metà de! secolo XV sorge la famiglia Scarampi a riclamare il suo diritto di patronato. Il Cardinale di San Marcello attaccato da Lazzarino Scarampi], nel 1451 rinunzia alla lite ed alla commenda; e il Papa conferisce a Lazzarino la Prepositura, riservando intatti i diritti della Santa Sede. Nel 1461 Angelo Scarampi prevosto di Ferrania, col placet della Santa Sede, cede al marchese Nicolò Scarampi i molini di Cairo. Terzo Periodo: dal 1513 al 1746. Negli anni 1513, 14 e 15 si dibatte il diritto di patronato fra i varii rami degli Scarampi. Per convenzione del 15260 per bolla di Clemente VII del 1529, il patronato rimane in Bartolommeo Scarampi pro-tonotario apostolico, preposito di Ferrania sin dall’anno 1513, e nei suoi fratelli consignori di Cairo. Nel 1737 il Conte di Verrua comandante delle armi di Savoia s’impadronì di Cairo per capitolazione, e nell’ anno stesso fu' mandato a demolire varii castelli, e fra questi anche quello di Cairo. I Marchesi presero stanza nel paese slesso. Si vedono ancora gli avanzi del castello sopra un’eminenza, da cui dominava la terra e con cui si congiungeva per una cinta di mara che tutto intorno Lì circondava. Il palazzo del- GIORNALE LIGUSTICO 25I 1 attuale proprietario, il marchese Marcello De Mari, fu innalzato di pianta dal fu marchese Marcello Durazzo sul disegno dell architetto Laverneda. Quarto Periodo: dal 1746 al 1819. L’ultimo dei prepositi di Ferrania tu Innocenzo Reinaldo Scarampi, che ebbe la sua istituzione canonica nel 1715. Nel 1743 sottoscrisse di sua mano 1 inventario di tutti i beni mobili ed immobili del— l’Abbazia. 11 primo documento che in ordine di tempo vien dopo questo, è una petizione che nel 1746 il marchese Antonio Maria Scarampi rivolge al Pontefice perchè gli sia concesso di trasformare in Commenda dell’Ordine dei santi Maurizio e Lazzaro il beneficio di Ferrania, resosi testé vacante per la morte del proposito Innocenzo Scarampi. Il fine della lettura del can. Sanguineti avrà luogo in altra seduta. BOLLETTINO BIBLIOGRAFICO Osservazioni di Giuseppe Salvo-Cozzo sulla quistione dei-primato della stampa Ira Palermi1 c Messina. — Palermo, Virzi 1874. Sembra clic questo scritto chiuda e risolva oggimai la controversia che da tanto tempo si agita fra i bibliografi siciliani, assegnando a Palermo il vanto d’ aver primo introdotto nell’ Isola la tipografia. L’ egregio autore a porgerci le prove più luminose del suo argomento, si giova non' solo di avveduti confronti critici sopra le più riserbate opere bibliografiche e letterarie italiane e straniere ; ma esamina le ra- u gioni de’ contradditori, e con esse appunto giunge vittoriosamente al suo fine. 252 GIORNALE LIGUSTICO Il eh. barone Starabba dando testé notizia di questo e di alcuni altri lavori pertinenti alla detta quistione, avvalora del proprio giudizio le conclusioni del Salvo-Cozzo. « Però se il vanto di aver messo su una prima tipografia rimane a Palermo (così soggiunge), resta finora incontestata alla tipografia messinese la gloria di aver dato fuori una serie di edizioni più o men pregevoli dal 1477 al 1499, ciò che non potrà vantare la palermitana finché mancheranno le prove necessarie ». I^e quali bene a ragione egli stima che dovrebbero essere fornite dagli archivi notarili, sì come per l’appunto è provato dalla ricca messe che per tale rispetto raccolsero in quel di Genova gli egregi D. Giuliani, march. Staglieno, cav. Alizeri, e con essi il Belgrano. Nè manca lo Starabba di confortare il suo avviso con un esempio, laddove dai rogiti del notaio Niccolò Bruno desume due atti del 23 settembre 1504, concernenti la bolla della SS. Trinità, che doveva allora, stamparsi in Palermo da un maestro Lorenzo Gandolfo genovese (1). Consegniamo la memoria di questo tipografo al solerte D. Giuliani, per 1’ opera del secondo Supplemento alle sue No1i~ie della Tipografia Ligure a tutto il secolo XVI; il quale Supplemento per copia di nuovi ricordi e documenti riuscirà, ne siam certi, di grandissima importanza. La Georgica di Virgilio, versione poetica di Giuseppe Sapio; Palermo, Amenta 1875. Usi a giudicare delle traduzioni per sé stesse, non in confronto al testo, ci piace dire aperto all’ egregio Poeta che i suoi versi sono facili ed eleganti, si pel numero come per lo stile; di guisa che potranno esser letti con piacere anche da’ più schivi del verso sciolto, senza sia per lui pronunciata 1’ acre sentenza del Giusti. (1) tArchivio Storico Siciliano, anno II, pag. 475. Pasquale Fazio Respcn:r.b:!t. 253 ancora della sepoltura DEL MARCHESE LODOVICO II DI SALUZZO Lettela, dei cav. avv. Vincenzo Promis a L. T. Bel grano. Torino, 3 Luglio 1875. Cav. Chiarissimo, Nell’ ultimo fascicolo del Giornale Ligustico lessi un interessante articolo sulla sepoltura del marchese Lodovico II di Saluzzo (1). Ben a ragione il dotto autore ritiene erroneo il detto del Giovio e d’altri che il marchese fosse sepolto in Genova ; ma quello che credo poco noto si è che quando esso morì, Gio. Andrea Saluzzo di Castellar, suo agnato e maggiordomo incaricato dalla moglie del funerale e del trasporto del cadavere in patria, in Genova prima della sepoltura lo fece aprire, ed*ordinato che si collocassero gli intestini in un vaso, fu questo di notte tempo deposto nella chiesa di S. Domenico di codesta città. E ne’ suoi Memoriali da me editi (2) dà un’ esatta relazione della malattia, morte e funerali del suo signore; e parlando di questo deposito, a pag. 454, appunto è detto: « Et morto che fo io lo feci aprire et feci soterare soe intreaglie in lo chovento de li choventuali de santo Domeni ala banda de lo grande altare donda se chanta lo evangielio et sono le intreaglie in una gierla et sono soterate soto una petra grossa de marmoro, et a soterare questo non gliera che suo esqudero et uno pagie chon doe torgie et uno fra che portava la gierla, et questo fu fatto a meza note, et el iorno sequente che hera domi-nicha io feci a fare lo honore alo so sopra dito chorpo » ecc. (1) Ved. a pag. 218. (;) Miscellanea di Storia Italiana, voi Vili; Torino, 1869. 16 ' 254 GIORNALE LIGUSTICO Mi è caro con ciò di provare che se effettivameute non fu questo sventurato principe sepolto in Genova, una sua parte ivi però rimase; del che pare sia, tuori di questo cenno, perduta ogni memoria. Mi scusi questa cicalata, che parmi però interessi alcun poco questa nobile città, e voglia credermi sempre Devotissimo Suo V. Promis. UN NUOVO DOCUMENTO CIRCA LA NAVIGAZIONE DEI GENOVESI ALLE INDIE Tutto ciò che riguarda la navigazione alle Indie nei principii del secolo XVI ha una importanza non lieve, e merita di essere conosciuto. Perciò in aggiunta a quello che ne abbiam detto (i), diamo qui luogo a un documento indicatoci testé dalla cortesia del nostro buon amico sig. Francesco Podestà; dove si parla di un Lodisio de’ Gradi, il quale nel 15x4 si proponeva d’intavolare commerciali relazioni fra Genova e Calicut, avvertendo come il suo disegno più che all’ utile particolare mirasse a procacciare nuovi benefìzi alla generalità de’ suoi concittadini. Se non che egli non trovava un assicuratore del suo carico 0 viaggio, fuori che a certe condizioni le quali erano proibite dalle leggi ; e perciò ricorreva alla Signoria affinchè derogando alle medesime (sì come fece), rimovesse 1’ ostacolo. Le assicurazioni accennate da Lodisio chiamavansi de par- \ tito; e di esse e della loro proibizione troviamo memoria nello Statuto genovese del 1588, il quale nel libro IV, cap. 71 de securitatibus, prescrive appunto che securitates, vadimonia, partita, non possint Jieri super vita Pontificis, nè su quella dei^Re 0 di Principi, nè sulla durata, acquisto 0 perdita di (1) Ved. a pag. 121. giornale ligustico 25 s Stati ecc., sin e licentia Senatus. Ora da ciò si vede che al vero e proprio contratto d’assicurazione soleano mischiarsi altre condizioni che ritraevano de’ giuochi d’ azzardo ; e tale usanza anche meglio si chiarisce per tempi più antichi, in somiglianti proibizioni ripetutamente emanate dal Governo. Di queste si enunciano le rubriche in un codice dell’ Archivio di San Giorgio, segnato col numero 106; dove a carte 134, sotto il capo Judicialia circa assecurationes, incontransi le seguenti (carte 134). 1. Non fiant securitates super vita Principis (28 aprile 1475). 2. De nonfaciendis assecuratiombus super partitis (4 agos. 1575). 3. Proclama quod non fiant securitates pro partito (6 sett. 1492). E più altre simili disposizioni del i° febbraio 1519 e 24 ottobre- 1533. Del resto nè al Malabar nè al Coromandel sarebbero giunti nuovi i genovesi ; e rispetto a quest’ ultima regione ci piace qui ricordare il fatto riferito dal Waddingo sotto 1’ anno 1321, ed opportunamente attinto a questa fonte dal eh. Canale, laddove narra di un giovinetto genovese che soccorse a frate Giordano dei Predicatori per seppellire i corpi del beato Tommaso da Tolentino e di due suoi compagni martirizzati dagli indiani. Ha (corpora, idem frater Jordanus) avide, adiutore quodam adolescente genuense collegit, et Superam portavit, ubi ea, qua potuit, veneratione in ecclesia.....saiuti Thrnae reposuit (1). Questo fatto, conclude il Canale, ci lascia sospettare che il giovinetto dimorasse sulla costa del Coromandel non senza parenti ; e perciò è lecito argomentarne che i genovesi fino dai primi anni del secolo XIV non solo visitavano le Indie, ma vi avevano stabilimenti e soggiorno (2). Quanto poi sia fondata la conghiettura del nostro egregio storico sei veg- (1) VaDDIXGUS, lAwwks Minorum, \. 375. (2) Storia del Commercio ecc., pag. 287. 256 GIORNALE LIGUSTICO gano i lettori, rammentando l’atto del 1324 da noi prodotto, laddove appunto è parola della ragione commerciale Vivaldi e Stancone stabilita in partibus Indie (1). Forse più d’uno leggendo la domanda del Gradi ricorrerà colla mente, per una certa analogia, alla spedizione campionaria che doveva effettuare nel mare Indiano il Maddaloni di Nino Bixio, ed al suo progetto che ora sta per riprendersi dal vapore Batàvia della Compagnia Rubattino, cui auguriamo di cuore prospere sorti. Già altrove ci cadde in taglio il notare come la famiglia de’ Gradi, dedita in ispecie alla pesca ed al traffico dei coralli, si fosse trasferita da Milano a Genova nella seconda metà del secolo XV, ed avesse contratte relazioni di parentela e d’interessi coi nostri più illustri casati (2). In- città abitava sulla Piarci delle Ancore vicin di Canneto; ed aveva inoltre bellissime stanze nel suburbano còlle di Multedo presso la chiesa di san Bartolomeo degli Armeni, verso della quale operò non poche liberalità. L. T. Belgrano. Pro Lodisio de Gradi. Vobis illustrissimo Duci et magnificis Antianis exponit Lodisius de Gradi qm. Pellegri quod ipse Lodisius habet intentionem et animum se transferre ad locum siye terras de Colochuti, ubi solent platicare et onerare de piperis naves sive navigia Serenissimi Regis Portugalis : quod tamen non faceret si non posset juridice se asecurari facere de partito iuxta formam et tenorem instrumenti securitatis ad eius instantiam fiende ; et tamen non potest dictam securitatem juridice habere, propter decretum Dominationum Vestrarum prohibens non posse fieri securitates de partito. Et propterea quum viagium antedictum concernere possit publicam utilitatem, et forsan magis quam utilitatem ipsius Lodisii, supplicatur parte qua supra prefatis Dominationibus Vestris quatenus dignentur decretare quod omnes securitates fiende ad instantiam ipsius Lodisii occasione dicti viagii . . . sint valide etc. (1) Giornale Ligustico 1875, pag. 121. (2) Della vita privata dei genovesi, pag. 43. GIORNALE LIGUSTICO 257 f MDXIIII die VII julii. Illustris ih. Equum censentes supplicatis annuere...., dicto Lodisio concesserunt in omnibus et per omnia pro ut in suprascripta supplicatione continetur (1). DELL’ UFFICIUOLO DURAZZO E DI ALCUNE ALTRE OPERE d’ ARTE IN LIGURIA Genova, 30 Giugno 1875. Mio caro Belgrano, Leggendo la seconda edizione del suo pregevolissimo libro Velia vita privala dei Genovesi, rilevai la speciale importanza che Ella volle dare all’ Ufficiuolo Durazzo, consecrandogli un capitolo a parte, che è il XXVI, in quelle pagine ove intrattiene il lettore sui libri di devozione. Ammiratore anch’ io quanto altri mai di quel tesoro, che un illustre Patrizio legò morendo in proprietà al Comune, mi faccio debito informare V. S. di alcune notizie che riflettono il prezioso volume, nella speranza che possano riuscire di qualche interesse a Chi scrive con tanto amore e con tanta intelligenza delle cose patrie. Gian Francesco Bacigalupo qm. Francesco, notaio di collegio, recossi a Lisbona intorno al 1730. Colà messosi a negoziare ebbe assai buona fortuna, onde per le accumulate t ricchezze il re degli italiani in quel paese straniero venne denominato. Fece ritorno in patria verso il 1770; e qui dai suoi lucrosi commerci, per i noti pochi anni che visse ancora, punto non si distolse. A Lisbona condusse in isposa una signorina irlandese, da cui ebbe un maschio che nomò Fran- (1) Archivio di Stato: Fogliano Diversorum CaiuxUariae, ann. 1514 in 1516, num. 60. 258 GIORNALE LIGUSTICO cesco; il quale ammogliassi con Arcangela Bandeira appartenente a nobile famiglia portoghese ed in quella Corte per gradi distinta. Costui morì in Pegli alla età di 82 anni, lasciando un figlio chiamato Antonio, che ebbe consorte Maria Aubert, e cessò di vivere il 20 febbraio 1826 lasciando minorenni due maschi ed una femmina. Mi è d’ uopo esporre questi cenni genealogici, per dire che 1’ Ufficiuolo di cui è caso pervenne ai signori Bacigalupo in Lisbona e di là fu da essi trasportato in Genova. Come poi un sì raro oggetto venisse nelle mani dei ricchi mercadanti genovesi, si spiega od a mezzo della famiglia Bandeira sopra citata che si imparentò coi Bacigalupo, od in conseguenza della spaventosa catastrofe del terremoto che accadde in Lisbona il 1755, quando con la rovina di tanti edifizi morirono un cinquantamila cittadini ed ogni cosa andò distrutta o dispersa. Ma in un modo o nell’ altro, sta vero che nella famiglia Bacigalupo è viva la tradizione avere il bel libro appartenuto alla Corte Lusitana. La natura di questo argomento mi obbliga ad accertare il tatto del possesso dell’ Ufficiuolo nella famiglia soprannominata. Perciò ricordo che allorquando a istanza della signora Maria Aubert rimasta vedova e, come dissi sopra, madre di minorenni, dal notaio’Gio. Francesco Sigimbosco si fece lo inventario de’ beni di loro casa, questi nel suo Minutaro III, dal i.° settembre al 31 dicembre 1826, a pag. 228 registrò sotto il numero 117: Un Ufficio in pergamena pavona^a con tutte le lettere in oro, con misteri, con lettere iniziali e vignette, il tutto in miniatura e con fasciaci velluto, guernito d’argento, estimato L. 1000. Il eh. prof. Alizeri nella sua Guida artistica per la città di Genova, che pubblicò il 1846 (1), accenna alla mancanza di preziose (1) Voi. II, pag. 125. giornale ligustico 259 gemme che dovean ornare la coperta dell’ Ufficiuolo; ed aggiunge che 1 avarizia ha risparmiati gli ornamenti in argento sovrapposti al velluto che fascia il codice, i quali ancora si conservano. I due fermagli hanno un piccolo rubino per ciascuno, ma negli ornati non si trova posto per altre pietre, se. non si vuole supporre che occupassero prima il luogo dei bottoni in argento alle otto estremità nelle due faccie della coperta, ovvero che -esistessero gioie ancora nel dorso del volume, sul quale però in oggi non è traccia di antico ornamento. L’egregio autore della Guida forse parlò di gioie in grazia di voci che ne correvano, ed io credo non abbia fatto eco al falso; soltanto egli non ha avvertito, e certo ignorava, in quali condizioni si trovasse il volume all* epoca dell’ acquisto ; onde leggendo le sue parole, nasce per lo meno il sospetto che la nobile famiglia Durazzo del peccato dell’avarizia siasi resa colpevole. No, il marchese Marcello comperò il prezioso cimelio tale e quale lo legava dipoi, con testamento presentato al R. Senato di Genova il 20 settembre 1847, alla Biblioteca Civico-Beriana. Nello inventario sopra citato, redatto dal Sigimbosco, sono indicate gioie non poche, slegate e di valore cospicuo; ne è senza qualche notizia, la quale ho ragione di credere esatta, che io dico essere il libro stato in realtà adorno di diamanti, probabilmente al posto degli accennati bottoni. Nè mi perito argomentare come la vedova Aubert, tenendo del prezzo di essi più sicura contezza che non del codice, e con l’intenzione di giovarsene nello interesse dei minori, li abbia fatti togliere dallo originario loro posto nella legatura. E che a quella signora, quantunque donna non volgare, fosse meno nota la preziosità del libro e del valore suo, lo prova il danaro ricavatone, quando ad istanza di mediatori lo vendette per la somma soltanto di dieci doppie di Spagna, siccome da persona al marchese Durazzo famigliare fui con asseveranza 2($0 GIORNALE LIGUSTICO informato; conoscendo pure dalla stessa esserne stato deciso P acquisto per le vive istanze dello scultore Gaggini. Queste, signor Belgrano, sono le notizie che mi pare possano in qualche modo interessarla, e che spero verranno accolte con la consueta sua benevolenza a mio riguardo. Certamente sarebbe cosa di molto rilievo conoscere ancora in qual modo il libro di cui è parola , e di fattura senza dubbio italiana, siasi trovato in Portogallo. Riscontro degli indizi in Benvenuto Cellini, che mi pare permettane non leggiere congetture in proposito; abbenchè una circostanza la quale si riferisce alla legatura del libro ne contrasti alquanto il valore; ma od ogni modo mi conceda Le richiami alla mente quei brani della vita del celebre artista a cui mi riferisco, premettendo aver inteso da uomini ragguardevolissimi e delle storiche discipline indefessi cultori, come in Genova corresse la tradizione che 1’ Ufficiuolo fosse stato il dono di un Papa a persona coronata. Carlo reduce dall’impresa di Tunisi sta per recarsi a Roma, ed il pontefice Paolo III vuol preparare doni degni del grande monarca; ma il tempo stringe, ed a fare secondo i progetti di Benvenuto, che è chiamato ad interloquire in proposito, non riesce probabile. Si delibera perciò di presentare allo Imperatore due cavalli turchi di molta bellezza c valore, ed un Ufficinolo di Madonna (son parole del Cellini) miniato meravigliosamente e che era costo al cardinal cDc Medici a farlo miniare più di due mila scudi: e questo sarebbe a proposito, per farne un presente alla Imperatrice (i). L’artista, incaricato dal Papa, offre il libro al Sovrano e gli dice che ò miniato per mano del maggior uomo che mai facessi tal professione (2). A chi era dunque destinato questo tanto prezioso dono? Ad (1) Vita di Benvenuto Cellini-, Firenze, Guglielmo Piatti; vol". I, pag. 395 e 398. (2) Idem., pag. 595. giornale ligustico Elisabetta, seconda figlia di Emanuele I di Portogallo e mo-glie a Carlo V. Questo fatto rende certamente possibile, se non si vuol probabile, il trovarsi a Lisbona il libro; nè per fermo, a credere sia lo stesso si oppone l’apprezzamento che fa il Cellini delle miniature sopra citate di meravigliosa bellezza; senonchè egli stesso ci mette poi in imbarazzo laddove parla della coperta d’oro massiccio, riccamente lavorata e con molte gioie adorna. Le gioie valevano circa sei mila scudi (i). Che nella copertura del nostro libro vi fossero delle gioie, pare dal già detto abbastanza sicuro; e si può aggiungere che gli ornati a cesello, i quali oggi figurano sul volume, sono di una bellezza veramente degna di Benvenuto, e di stile e carattere suo. Ma la copertura d’oro ntissiccio? Ai nostri giorni fu tolta'quella di velluto, perchè non piaceva vecchia, e ne fu sostituita una nuova in pelle (non so con quanta opportunità) ; e può darsi che 1’ oro massiccio pesasse di troppo in delicate mani femminili e che il velluto prendesse il suo posto. Gli stessi ornamenti che prima d’ora ammirai sul velluto, mi piace immaginarli posti sopra una lamina d’oro; ed al confronto panni migliore ih rapporto sul metallo che sulla stoffa. Quanto ho esposto non mi arrovello per farlo valere; soltanto desidero che le mie parole possano essere seme, il quale frutti a più degno cultore delle cose patrie una più preziosa messe. Giacché ho la penna in inano mi permetta, egregio amico, che io la intrattenga ancora un’ istante sopra altro argomento. (i) « Uffiziuolo di Madonna miniato, il quale aveva fatto fare il cardinal Ippolito De Medici per donare alla signora Julia di Casa Gonzaga; e che a questo libriccino e’ si facessi fare la coperta d’oro fine, arricchita con quella quantità di gioie che e’ piaceva di mettervi a Sua Santità , e che questo libro sarebbe molto più grato all’ Imperatore perchè e’ ne farebbe un presente all’ Imperatrice sua moglie. » — Trattati del-l’oreficeria c della scoltura; Firenze, Lemonnier, 1857; pag. 54. 262 GIORNALE LIGUSTICO Ho fatto negli scorsi giorni una molto rapida gita nella Riviera di ponente, fermandomi poche ore a Varazze ed ancor meno ad Albenga; e così come si ruba tempo ad altro, visitai le chiese nella prima delle indicate città. Le accenno quanto mi par degno di nota, ben lontano dal credere di aver fatto scoperte artistiche, ma nello scopo piuttosto di rammentare 1’ esistenza di opere che a parer mio stimo degne di attenzione e di cure maggiori. Nella parrocchiale dedicata a S. Ambrogio, al cui lìanco ancora in buono stato si innalza l’antico e bel campanile, entro la cappella a manca entrando e nella sinistra parete, vi è una tavola rappresentante il Crocifisso, ai cui piedi stanno la B. Vergine, S. Maria Maddalena e S. Giovanni; ed ivi si legge: HOC OPVS FECIT FIERI d: petri gavacivti .ere svo MDLXXXim. Nella parete in faccia vi ha poi un Crocifisso in legno, al naturale, che parmi non ispregevole lavoro del xv secolo. Nella cappella che segue trovasi all’ altare un’ altra tavola, rappresentante 1’ Annunciata, e vi si legge : FR * STEPHAN a DE MEDIOLANO DEPINXIT I5I9 Questa iscrizione è nella parte centrale del quadro; e nella posteriore in minute cifre arabiche si legge la data del 1655, con qualche traccia di parole che forse accennano ad un ristoro. All’altare laterale a sinistra del maggiore vi è una tavola che crederei di Luca Cambiaso; parvemi assai bella, ma in istato non buono e per l’umidità del muro in continuo deperimento. giornale ligustico 263 Nella Sacristia ed in una sala poco discosta sonvi parecchie tavole di misure diverse, le quali forse in origine formavano una grande pala a scomparti. Questi dipinti appaiono di stile lombardo del secolo xv. Pende dalla parete semicircolare del coro dell’ oratorio di S. Bartolomeo un trittico di grandi dimensioni ; ove nel centro è dipinto il Santo titolare, da un lato S. Giovanni Battista e S. Antonio dall’altro, e nell’alto, in mezze figure, Cristo, la B. Vergine e 1’ Angelo annunciatore. Nello scomparto di mezzo in un finto cartellino è scritto: THERAMI. DE ■= PLAZIO DE e ZOALIO • opvs • 1535 Questo dipinto io lo tengo bellissimo fra i belli del Piaggio, sia per grandiosità, sia per disegno, sia per colore. Quanto ad Albenga non ho altro a dirle, se non che i due preziosissimi avanzi che colà si conservano dell’ epoca romana sono in uno stato che fanno compassione. E un peccato che si commette troppo facilmente in Liguria quello di tenere poco conto degli antichi monumenti, e dichiaro che non escludo Genova ove hanno sede Accademia Ligustica, Società Ligure di Storia Patria e Commissione Consultiva per la conservazione dei monumenti storici e di belle arti. Del resto il così detto Pontelungo è quasi sotterrato; da una parte lo fiancheggia la via e dall’ altra l’adornano i cavoli e le cipolle. Quanto al Battistero poi è da farsi turchi a vederlo; e Le assicuro, signor Belgrano, che se mancasse l’acqua alla fonte basterebbe quella che cola dalle pareti per battezzare tutti i nati di Albenga. Le colonne di granito sono coperte di muschi come gli scogli di una grotta; ornati pregevolissimi in marmo giacciono in noncuranza; e de’ musaici che adornano 264 GIORNALE LIGUSTICO quell’ antico bagno (chè tale era certamente in origine) più non esistono che poche traccie sotto una vòlta. Dico la stessa cosa dei dipinti, che negli antichi tempi cristiani furono in quelle pareti eseguiti. E qui farei punto; ma come tacerle di un nuovo acquisto del nostro archeologo cav. Giambattista Villa? Trattasi di un trittico diviso orizzontalmente nel mezzo, con cuspidi nella parte superiore entro le quali sono adattati archetti trilobati, ai quali ne corrispondono altrettanti, nella parte inferiore; e sotto ad ognuno di essi figurano fatti della vita di S. Giovanni Battista. Le figure, le composizioni, il modo di piegare e di colorire, gli arredi e le case nei fondi, tutto senza dubbio porta a stimare che autore di questa opera sia Manfredino da Pistoia. Voglia credermi sempre Il Suo Affezionalo Amico T. Luxoro. SOCIETÀ LIGURE DI STORIA PATRIA (Continuatione Ja pag. 2>i) Seguilo della tornata della Sezione dì Archeologia, del )0 gninaw. Il socio Desimoni legge le seguenti Ossei vagoni sovra due portolani di recente scoperti, e sovra alcune proprietà delle carte nautiche. Presento all’ esame della Sezione un atlante di carte nautiche manoscritto in pergamena, ed il fac-simile in fotografia di altro atlante anch’ esso nautico ed idrografico. §L Il primo di questi è un codice cortesemente comunicatoci dall’ egregio socio cav. Montaigue Brown, Console Britannico GIORNALE LIGUSTICO 265 in Genova; e dalla leggenda che si trova nella prima carta, o tavola, si vede esserne autore Giovanni Martines in Messina nell anno 1571. Questo autore è già noto per nove altre simili coniposizioni: il eh. Visconte di Santarem ne aveva già conosciuto sei; la più antica del 1567, altra del 1568 alla Biblioteca Medico-Laurenziana; altra del 1570 alla Imperiale di \ ienna; una del 1582 alla Parigina dell’Arsenale, una del 15S6 alla Biblioteca di Propaganda a Roma, proveniente dal già Museo del cardinal Borgia a Velletri. Un settimo atlante del Martines di questa stessa data 1586, fu da non molti anni acquistato dalla Reale Biblioteca di Torino; un ottavo del- 1 anno 1579 trovasi citato nel Catalogo della già Biblioteca di Maffeo Pinelli di Venezia; un nono colla data del 1570 si conserva al Museo Britannico (1). L atlante del signor Brown si compone di quattro tavole 0 carte nautiche piegate a libro, che misurano in altezza cent. 31, in larghezza cent. 12 per pagina; e così cent. 44 circa per ogni due pagine, che formano una tavola a disegno continuato. La prima di esse tavole corre in direzione da settentrione a mezzodì: dal Portogallo (Oporto) scende per le coste occidentali d’ Europa e d’ Africa fino al Capo Verde ed a Rio Grande. Comprende inoltre lo stretto di Gibilterra col principio del Mediterraneo fino ad Almeria in Europa ed al Capo di tre forche in Africa. Nel mare Atlantico sono disegnate le isole Azore, le Canarie ed il gruppo di Madera con entro un isola Fajaì. (1) Ved. Santarem, Recherches sur la priorité de la découverte etc., pagg. CXII-XIII, 131, 306-7. Lo stesso nel Bullettin de Géographie 1840, I., pagg. 295, 310; Lelewel , Géographie du moyen âge: Prologoménes, pag. LXXXIV; Morelli, Catalogo della Pinelliana, V. 102; Matkovic, Antiche carte nautiche in Vienna, pag. 112; Atti della Società Ligure, IV, pag. CLVI1I; Giornale Ligustico 1875, pag. 51. 266 GIORNALE LIGUSTICO La seconda tavola ripiglia più da alto che la prima le coste occidentali d’ Europa ; e dalle regioni sopra 1’ Olanda e la Frisia* con grande inesattezza disegnate, discende all’ A-frica fino a Zebedech, cioè un pò più a meriggio del Capo Mogodor. Contiene insieme le isole britanniche, il gruppo di Madera come sopra, e quelle altre isole che a quel tempo solevano vagamente inserirvisi, di BrasiI e di Frixlanda. Quindi inoltrandosi per lo stretto di Gibilterra, la descrizione procede pel Mediterraneo fino a poco oltre Algeri in Africa ed a Roses, all’estrema punta de’ Pirenei in Europa colle isole Baleari. La terza continua il Mediterraneo e le coste d’ Europa e del continente opposto; da una parte fino alla Morea, dall’altra fino a Carcora, Tolometa e Bonandrea. La quarta ed ultima tavola prosegue per 1’ Arcipelago; e colle coste dell’ Asia minore, di Siria e d’ Egitto chiude il Mediterraneo , e si alza a tramontana comprendendo i mari di Marmora, Nero e d’ Azof. Così in questo atlante era insegnata la navigazione più consueta al commercio europeo, dalla Tana (Azof) fino alla Siria ed alle Canarie. Ciò non vuol dire che il cartografo non sapesse delineare lavori d’ ampiezza più proporzionata alle nuove cognizioni del suo tempo: veramente anche la sua bella c grande carta che si serba nella Biblioteca Imperiale di V ienna non si stacca dal Mediterraneo e vicinanze; tuttavia si può supporre che il Martines abbia talora descritto tutta la navigazione conosciuta, a giudicarne almeno dalle diciotto tavole che si dice contenere altro suo atlante conservato nel Museo Britannico. Il codice che si presenta alla Sezione passò nelle mani del signor Brown dagli eredi del defunto sacerdote e chiaro letterato Antonio Bacigalupo; e sebbene di autore non genovese e fatto a Messina, si può dir quasi nostro per lungo GIORNALE ligustico 267 soODiorno quij dappoiché sulla coperta vi si vede scritto di mano antica. Ambroso Gorgojoni. Questo nome è non solo di famiglia genovese, ma rammenta altresì Sebastiano Gorgoglione , probabilmente discendente od almeno agnato d’ Am-bioDio, il quale fu autore anch’esso di un portolano descritta 0 di qualche fama, stampato in Napoli nel 1705, ripubblicato a Genova nel 1714 ed a Livorno nel 1815, oltre una o più edizioni in traduzione francese pel Gravier. Il Martines delinea le sue carte con eleganza, finezza e \arieti di colori; talora anche con splendidezza d’oro, come si \ede nell atlante della Biblioteca Reale di Torino. Vi pone ornamenti di bandiere, e vedute di città; talora anche di animali, secondo le diversità delle regioni. Non è già che le bandiere sieno sempre appropriate a’ luoghi, come vorrebbe la storia. Per esempio, mentre a Costantinopoli già signoreggia la mezzaluna conforme ai fatti che erano avvenuti da più di un secolo, dal lato opposto del Corno d’oro a Galata continua a sventolare la croce di Genova; come se la colonia nostra di Pera sussistesse ancora indipendente. La veduta di Genova, disegnata sovra il nome della Capitale ligustica, continua sotto la stessa forma come la dipingeva fino dal 1426 il nostro concittadino Battista Beccario, nel planisfero che io vidi al Regio Museo di Monaco di Baviera, la città cioè rappresentata con forme che paiono più fantastiche che vere al tempo del Martines ; e dentro il porto quattro soli ponti 0 scali alla estremità orientale difesi dal molo (1). (1) S'intende che v’è già il faro sul capo omonimo, e il lanternino sulla punta dell’ allora unico molo. Soggiungiamo qui la enumerazione di alcune delle vedute di Genova più antiche 0 meno note. 1364. Veduta gii esistente nella chiesa ora soppressa degli eremitani di sant’Agostino, e ricordata da Federico Federici con queste parole: « Ancona nel Choro dietro il Tabernacolo, con una Genova dipinta fin 268 GIORNALE LIGUSTICO È codesta una delle molte prove che i cartografi, del resto ben addestrati ed abili nella loro arte, attendevano a copiarsi l’un l’altro generalmente; alcuni migliori osando dal 1365, la quale in copia io donai alli Padri del Comune .per memoria di quella antichità notabile sì per il sito di essa come per 1’ habito del Duce et Antiani » (Dizionario storico, Ms. della Biblioteca Universitaria, car. 33 verso). Ripetono all’incirca le stesse cose il Muzio (I’ ordine degli eremitani, ecc., Ms. della Civico-Beriana) ed il Giscardi (Origine e successi delle chiese ecc., Ms. ivi e nella Libreria della Missione Urbana); con questa differenza però, che secondo il Muzio, non una ma due propriamente sarebbero state le tavole di sant’Agostino : quella cioè con la veduta di Genova, e 1’ altra coi ritratti del Doge e del Consiglio. E cosi appunto doveva essere; perchè mentre la copia di quest’ultima serbasi tuttavia nel Palazzo Civico, la Genova del 1364 invano oggidì si ricerca. \ed. anche intorno a ciò: Alizeri, Notizie dei professori del disegno in Liguria dalle origini ecc., vol. I, pag. 113 e 137. 1410. Quadro a olio, ora al Municipio. Se ne vede un disegno inserito per cura del cav. Banchero al principio del volume I Jurium nei Monumenta Historiae Patriae; e si riconosce altresì che da tal veduta è imitata quella che fu prodotta dal Lasor a Varea (Raffaele Savonarola), in capo all’articolo Genua, nell’ Universus terrarum Orbis scriptorum calamo deli-neatus; Padova 1713 ; vol. I, pag. 434. Ma neanche questo quadro è l’originale; bensì una copia eseguita nel 1597, come narra la leggenda iscritta al basso della tela: Antiquae urbis Genuae picturam temporis iniuria fere consumptam batic ad exemplum illius vetustatis retinendae causa P. Patres Communis efftttgi mandarunt, an. MDXCVii. Soggiunge il Banchero che di tal copia i Padri del Comune aveano dato il carico a Cristoforo Grasso ; e ciò è confermato da vari atti dell’ Archivio Civico indicati dal eh. comni. Varni a pag. 7 dell’ Elenco dei documenti artistici ecc. 1426. Veduta di Genova a suo luogo nella carta di Beccario come sopra. Ved. Giornale Ligustico 1875, pag. 48. 1455. Veduta simile nella carta di Bartolomeo Pareto citata ibid., pag. 51. Secolo XV. Tra gli oggetti posseduti dal re Renato d’Angiò: « Une piece de toile ou est ìa ville de Gènes en peinture ». Ved. Giornale Ligustico 1874, pag. 442. giornale ligustico 269 appena nei nuovi lavori togliere qualche errore ornai troppo manifesto, od inserirvi qualche combinazione, qualche fatto storico di più fresche scoperte e conquiste. Da ciò proviene che sono non raramente fallaci i criterii onde si valsero i dotti per dedurre 1 età d’una carta dalla qualità dalle bandiere, 0 dalle leggende di nomi, di luoghi, di sovrani regnanti e simili. Se il Martines erra, come vedemmo, lasciando ancora nel 1571 a Calata il vessillo genovese, erra più grossamente '493’ Ceduta simile, incisa in legno a carte 58 verso del rarissimo Liber chronicorum cum figuris et ymaginibus stampato da Koberger di Norimberga. Principio del secolo XVI. Veduta simile tra le tavole di varie città dipinte a fresco nelle loggie del palazzo Spinola presso 1’ Acquasola. 1571. Veduta nell’atlante Martines, come sopra. Verso il 1580. Tra le vedute di altre città dipinte dal Danti nella Galleria Vaticana delle carte geografiche. 1587. Veduta simile nella carta di Visconte Maggiolo all’Ambrosiana di Milano; citata nel Giornale Ligustico 1875, pag. 62. . 1652. Veduta in rilievo nel finto panno che scende sotto la nuvola su cui s’ innalza la statua della Madonna detta della città, gittata in bronzo da Giambattista Bianco e locata sul maggiore altare in Duomo. Alcune vedute della nostra città si hanno pure nelle medaglie commemorative del bombardamento inflittole da Luigi XIV nel 1684, riferite dal compianto amico nostro avv. Gaetano Avignone, fra le Medaglie dei liguri e della Liguria (dtti della Società, vol. Vili, num. 316 a 319). Ma una bellissima ed anche assai ampia è quella che vedesi riferita dall’ ab. Antonio Giolfi nel principio della sua Raccolta di diverse vedute della città ili Genova ecc., edita dal Tarigo nel 1769 in foglio atlantico. Di quest’opera possiede un esemplare la Biblioteca della Missione Urbana, fra 1 libri che le vennero legati dal benemerito comm. Antonio Merli. Noterò eziandio, a titolo di curiosità, che nel maggio p. p. a Parigi fu venduta all’ asta pubblica la collezione di ventagli del sig. Alexandre, e con essa per lire 1000 un ventaglio con le stecche in tartaruga, ornamenti d’oro e una veduta di Genova dipinta da Wild ; che è un dire nella prima metà del secolo xvn (Gaietta Ufficiale del 28 maggio 1875, num. 123). 17 270 GIORNALE LIGUSTICO il peraltro pregiato cosmografo portoghese Diego Homen nell’ atlante che è alla Biblioteca Imperiale di \ ienna ; dove nel 1561 vedi ancóra sussistente l’impero bizantino in Europa e gli Ottomani stanno attendendo dall’ Asia minore 1 a-gognato istante di passare lo stretto (1). Certamente un cenno che si legga in quelle carte intorno a sovrani arabi, turchi o mongoli, nominati come tuttora \ i-venti; la mezzaluna sventolante ad Adrianopoli o a Costantinopoli, o simili bandiere sugli Stati d’ Africa, la cro*-e genovese sopra Scio, o quella dei cavalieri sopra Rodi, giov ano a determinare uno dei limiti, il limite, direi cosi, superiore. Adrianopoli, Costantinopoli erano già state conquistate, 1 Beni-Marin, Bajazet, Usbec ecc., erano già 0 erano stati regnanti quando la carta si stava componendo; e cosi dicasi del resto. Ma tali notizie non giovano punto a determinare il limite inferiore, F anno proprio e starei per dire nemmeno il secolo in cui il lavoro del cartografo è già stato condotto a termine. È per questo che non bene argomenta il Lelewei, tacendo ^ risalire avanti la morte di Bajazet (1405) la composizione della carta anconitana del 1424 conservata a Weimar; nè bene giudicherebbe chi negasse la data al 1436 del. atlante del Bianco, solo perchè i Beni-Marin ivi nominati avean gu cessato di regnare nel 1407 (2). (t) Ved. Matkoyic, loc. cit., pag. 12. . (2) Peschel, celli prefazione all’ Jtlwm A. Firn:?, \ :'7:- pag. :2: Lelewel, Op. ci:., II. 63: Humboldt, Ex •" r-‘ : ' 180. La carta citata da questi due ultimi autori esiste re a Biblioteca Granducale di Weimar, ed ha le seguenti parole soltanto Iczgir'-li nell'iscrizione: Ccr.'fst.....cc'- tj......' MCCCCXXIÏ. Il Lelev-el P-'"'- che cvmpj— veglia dire c:-:rjrj: cioè comprata nel 1424. r.a già com-posta prima del 1405, anno in cui mori Baiare:. Io son invece d' avvìi .1 che questa corta sia proprio del 1421. e ferie del medesimo au: re d'a'.tro -t.ar.:-. conservato nel Museo Bnunrico add. Mi. toi}2, ove si rilevar..’ parole: f __GIORNALE ligustico 271 Tutta\ ia non intendo dire con questo che non vi sia altro mezzo, per distinguere almeno approssimativamente l’età della carta. A ciò gio\a non poco la paleografia; ma vi hanno altri cnteru, osservando, come dissi, i migliori i quali divengono nuovi modelli e per cosi dire gradini del progresso storico. Per esempio ove sono le isole atlantiche, si nota la scomparsa della isola de lo legname sostituita dal nome di Madera, d egual significato ma dHingua portoghese; e si nota in generale la gradazione della nomenclatura di tutti quelli arcipelaghi, segnata dapprima con nomi più 0 meno fantastici; poscia con duplicazioni di isole e di nomi, stante 1’ esitazione della scelta tra 1 antica tradizione e le recenti novelle ; in— fine il dubbio non è più possibile, la nomenclatura nuova è accettata, e la più giusta posizione determinata (1). Ma anche ove manchino siffatti aiuti, nella rappresentazione apparentemente immobile per secoli del Mediterraneo vi hanno particolari non soliti ad essere osservati; i quali sebbene minuti, giovano non poco per mio avviso a determinare l’età approssimativa della composizione. Io ho osservato altrove che le carte Luxoro, Visconti, la Catalana, ed in senere carte anteriori alla metà del XV secolo, omettono in Liguria i nomi di San Remo e di Taggia, talora anche quello di Chiavari, e pongono invece il nome di Seve o Sepe tra Ven-timiglia e Porto Maurizio: un nome di cui non è rimasta altra traccia nei documenti, e soltanto per induzione si può collocare tra il Capo Verde 0 la foce dell’ Arma e la Bor-dighiera. Da circa la metà del XV secolo in poi sparisce I. H. 5 (jhesusr) Conta...... anconitano la forte nel anno MCCCCXXXVII/ Vei. L m:a del pr f. Brunn di Odasi ia âne dell'articolo del sianar BIau qui sono citato. (i) Ved. per queste gradazioni Della nomenclatura delie isole, D’Ayezac. Sotice des découvertes etc. 1845', pag. esegg.: e lo stesso. Sur un atlas hydrographique execute a l'enise, 1850, pag. 21. 272 GIORNALE LIGUSTICO questo nome di Seve, e sottentra quello del non lontano San Remo ; e ciò non gii perchè in quelli o nei vicini tempi avvenisse la distruzione dell’ uno e la edificazione dell altro; ma bensì perchè i cartografi copiavano un antico modello, e non sapeano muoversi ad abbandonarlo ; finché uno dei più apprezzati rimaneggiava specialmente le coste patrie, e provvedeva a designare i luoghi più notevoli pel rifugio 0 pel cabotaggio (1). L’ atlante del Martines ha una particolarità degna di nota. Nelle prime due tavole, ma in quelle due soltanto, sono segnati i gradi di latitudine su di una linea verticale: nella prima tavola da 90 gradi a 420; nella seconda da 30° a 63°, sempre boreali. Fu già più volte detto che il primo forse a segnare tali gradi sulle carte idrografiche fu l’anconitano Grazioso Benincasa, nella seconda metà del secolo X\ ; ed invero la latitudine era molto più agevole ad accertare che non la longitudine. Ad ogni modo il dotto Lelewel ben vide che 1’ apposizione dei gradi nei portolani era cosa di apparenza più che di sostanza; non approdando a verun uso pratico pei navigatori (2). Difatti quelle carte erano tracciate su di un sistema differente, cioè quello delle rose dei venti. Il patrone o piloto non era in grado di determinare astronomicamente la posizione della nave; soltanto mirava a concatenare il suo viaggio per guisa che le tracce della parte di navigazione già fatta servissero a dirigere la parte che rimaneva da fare. Egli sapeva donde partiva e dove intendeva finire; legando con linea diritta i due punti estremi, ne misurava la distanza in miglia sulla scala della carta, e badava alla direzione angolare da prendersi sulla bussola 0 rosa che rappresenta l’orizzonte intero diviso in 32 venti. Senonchè talora la violenza del vento oppure le secche ed altri ostacoli (1) Ved. Atti della Società, III, pag. CVI1 nel Rendiconto. (2) Lelewel, Op. cit., II. 17 e 160. __GIORNALE LIGUSTICO 273 i ripedh ano che la nave fosse avviata sulla predetta direzione più reve, m tale caso vi erano regole pratiche, che con cifre non esatte ma semplici ed utili insegnavano a non ismarrire la meta attraverso alle sorte difficoltà. Presupposto 1’ angolo di ev iazione o di allargamento, minore o maggiore, a tramontana 0 a mezzodì; presupposto anche il numero delle miglia fatte su questa nuova via (i), apposite tavole indicavano i nuovi ■indoli ,1 prendersi e le miglia da doversi fare in' più, per operare il ristringimento ed il ritorno sulla direzione primitiva. Tali regole nel medio evo si chiamavano la ragione del mar-ttlo^io, se ne può vedere un esempio nell’atlante del 1436 d Andrea Bianco riprodotto in fotografia a Venezia nel 1871; altri simili manoscritti sono citati dal Zurla, dal Lelewel, dal Matkovic, ed io ne vidi uno alla Biblioteca Imperiale di ^ ienna segnato col numero 3345. Altrove ho pure citato un esempio di martelogio già usato a Genova prima del 1390 (2); e mi pare inoltre che cosa non diversa da tali regole possa essere quello scritto che il Bossi e 1’ Humboldt citano come composto da Cristoforo Colombo, pubblicato in lingua casti-gliana col titolo : De la radon de la tabla navigatoria. La spiegazione scientifica del martelogio fu fatta sullo scorcio del secolo passato dall’ eminente meteorologo il prof, loaldo e dal Formaleoni: fu pure brevemente toccata dal- 1 illustre Peschel nell’Introduzione al suindicato fac-simile dell’atlante del Bianco. Basti qui lo accennare, che chi si (1) La catena a poppa, onde parla il Pigafetta nel viaggio di Magellano, • finora parve non altro poter essere che il log con cui si misurano la velocità della nave ed il numero delle miglia. Cosi pensava l’Amoretti, e dopo di lui l'Humboldt. Ora il Peschel ciò nega; ad ogni modo tutti concordano che 1 piloti di quel tempo, anche senza conoscere questo stromento, sapeano calcolare con sufficiente approssimazione tale velocità, sia dalla pressione del vento sulla vela, sia per più altri indizi, che oggi ancora non sono superflui per evitare errori ai quali il log stesso potrebbe dare occasione. (2) Giornale Ligustico 1875, pag. 47. 274 GIORNALE LIGUSTICO si conosca un poco di trigonometria capisce presto il segreto per mezzo della seguente avvertenza. Prenda in mano le tavole dei seni senza o Sistinte dai logaritmi, per esempio quelle d’ Ozanam o dell’ Ulacq, e cerchi in esse una qualunque delle otto serie di cifre corrispondenti alle otto quarte di vento (gradi li 7t: gradi 22 */à: 33 Vi e V:l dicendo, per multiplo di 11 */* fino a 90°). Rileverà che il seno, il coseno, la cosecante e la cotangente di ognuna di queste otto serie corrispondono ai numeri dati dal martelogió per ogni quarta di vento ; il seno ed il coseno indicano la quantità dalla deviazione od allargamento dalla mira; la cosecante e la cotangente calcolano il ritorno 0 ristringimento, e chiudono il triangolo con cui si raggiunge la meta: avvertendo però che nel mar-teologio sono soltanto indicate le due prime cifre .rotonde d’ ogni numero, perchè bastano esse per 1’ uso pratico e per la voluta semplicità del calcolare a mente. Il Toaldo facea le meraviglie fantasticando sul come e sul donde i cartografi potessero aver preso queste regole già anteriori al XV secolo: dappoiché, secondo il suo avviso, fu primo il Regiomontano a formar le tavole delle tangenti e a dividere il raggio in decimali, sostituendolo al sistema sessagesimale. Io non c’ entrerò se non per osservare che, secondo le più recenti ricerche, le tangenti erano già usate dagli arabi Ibn Yunis ed Abulwefa al più tardi nel secolo undecimo; ad » ogni modo la quistione non so se sia stata più agitata dopo il Toaldo, ma è assai curiosa, e vorrei che alcun dotto ci spiegasse se allo stabilimento di quelle regole pratiche abbia potuto bastare la geometria col quadrato dell’ ipotenusa, 0 se fin d’ allora la trigonometria abbia dovuto supplire od almeno abbia alleggerito il compito, sopprimendo le lunghe e noiose estrazioni delle radici (1). .. (1) Sul più antico martelogio conosciuto ved. Giornale Ligustico 1875, loc. cit. Sulla spiegazioue di questo strumento, ved. Formaleoni, Nautica giornale ligustico 275 § II. 1 assando ora al secondo atlante presentato in fac-simile alla Sezione, esso viene da Odessa, gentilmente inviatoci in dono da quella benemerita Società di storia e d’ archeologia. E giunge fra noi arricchito da una breve illustrazione del dotto orientalista signor Blau, Console Germanico in quella città (1). Anche questo atlante, come quello del Martines, è in quattro tavole, che (almeno nella fotografia) misurano cent. 25 per 30 */2. Ma il perimetro della sua navigazione è più ristretto, mancando da una parte il Mar Nero, dall’ altra le isole britanniche, le Canarie e le Azore ; la costa occidentale d’Africa non giunge che a Mogodor. A stretto rigore le tavole del-1’atlante non sarebbero che tre, giacché la seconda è una ripetizione dell’ Arcipelago ingrandita su di una scala che è doppia di quella adoperata nelle altre parti. Delle altre tre carte, la prima comprende il Mediterraneo orientale dalla Siria fino al Drin 0 a Dolcigno in Europa e fino a Carcora o al antica de’ Veneziani, 1783, pagg. 9-50; e l’ivi citato Toaldo, Saggi Veneti; ved. anche Peschel, Op. cit., pag. 6. Sul log. vedasi Peschel ibid., e Humboldt, Cosmos, Milano 1849, II, pag. 221 e 115; Amoretti, Primo viaggio intorno al Globo, 1800, pag. 46. Sullo scritto di Colombo ved. Bossi, Vita di Colombo, pag. 77; Humboldt, Examen critique ecc., II. 330. Sulla quistione se gli arabi già conoscessero le tangenti e le secami, se non nella parola, almeno nell’ uso, ved. la recentissima Lettre de M. Sedillot a D. B. Ronconi pagai sur Ics emprunts que nous avons faits à la science arabe, nel Bollettino per la bibliografia e storia delle sciente matematiche ecc. del Principe Boncompagni, VIII. 69, febbraio 1875— Ivi altri fonti, tra i quali il più importante è Delambre, Hìst. de l’astronomie du moyen âge, pag. 151, 1 57-70, 284, 333 > 36)- (1) Trovo ora l’articolo del dotto Blau tradotto in lingua russa ed inserito nel volume IX dei Zapiski, 0 Memorie della Società di Storia di Odessa, 1875, pag. 378-81; con una nota in fine del mio eh. amico il prof. Brunn. 276 GIORNALE LIGUSTICO lato orientale della Gran Sirte in Africa. La tavola terza prosegue col Mediterraneo medio fino ad Arles in Provenza e ad Algeri in Africa; l’ultima chiude il Mediterraneo occidentale e passando lo stretto prosegue fino al fiume Sus (Ahetsits) in Africa, e sale all’isola di Sorlinga in Europa, fin quasi a toccare l’Inghilterra. L’originale di questo atlante fu donato alla Società d Odessa da un signor Padlerschi polacco, che trent’ anni fa lo avea comprato a Kaminietz-Podorsk. Esso non ha data nò nome d autore; ma il signor Blau rileva con ragione i nomi ivi scritti di France, Grece, Troye e molti altri, i quali accennano ad una origine francese: senonchè egli rimane poi incerto, vedendo che la più gran parte della nomenclatura arieggia invece il linguaggio catalano 0 italiano. A me questa obbiezione non impedisce punto di aderire alla prima opinione del dotto Console, credendo francese il cartografo. Giova distinguere tra la nomenclatura generale, e certi nomi e fogge di diré che qua e là traspariscono. In genere la nomenclatura delle carte nautiche medio-evali, di qualunque nazione sieno , e fatta sopra uno stampo comune, che il signor Blau dice catalano, ma che oggi a maggior ragione e per evidenza deve dirsi italiano. È però impossibile che 1’ autore non riveli la patria in qualche luogo più 0 meno apparente; colà ove tocca di cose sue 0 meglio a lui note ; in una leggenda esprime un’opinione propria, comunica una nuova notizia, aggiunge ai soliti nomi de’ luoghi la ripartizione in provincic 0 Stati. Di quest’ ultima specie porge esempio l’anonimo odessiano scrivendo Grece, Troye, Ocean Occidental ecc., che uno non francese non avrebbe certamente posto a quel modo di sua testa. Il dubbio qui suscitato dal sig. Blau entra nella quistione generale, suL criterii che si possono dedurre dalla nomenclatura per giudicare la patria dell’ autore. Fu detto già per esempio giornale ligustico 277 dal Conte Baldelli-Boni che una carta sarà genovese, quando vi si legge cavo ; la veneziana dovrebbe scrivere cabo, ed una pisana capo. Il signor D’ Avezac non ammette questo come buon indizio, obbiettando che si legge cavo anche in carte venete ed anconitane, e perfino nella celebre Catalana del 1375; e ciò per la solita ragione del copiarsi l’un l’altro che fanno i cartografi (r). Veramente a me pare che nell’atlante di Andrea Bianco del 1436 si legga cabo, comead un autore'veneziano si conviene pronunziare; ma io non voglio contrastare all’illustre Francese la verità d’un fatto che asserisce come generale, e che nel suo insieme egli conobbe meglio di me. Supponiamo dunque che anche i veneti, i pisani, i catalani ecc., scrivano cavo:, sarà questo un esempio di più della nomenclatura uniforme; ma ripeto, si troverà in ciascun d’essi, diligentemente cercandolo, qualche nome, foggia o leggenda che rivelerà la patria. Tali sono le leggende scritte nella propria lingua nella testò citata carta catalana ; tali le più parche, ma abbastanza dimostrative parole che vi pone talora Andrea Bianco: ixola xe longa 1400 mia, 0 quelle che vi pone in genovese Visconte Maggiolo nella carta del 1587: stretto donde pasao Magajanes. Ma vi sono delle differenze ancora più minute, e pure da non dispregiarsi. Il veneziano, senza quasi accorgersene, in un nome consueto frappone il suo jetacismo: Venicxia, San Zior^o; laddove un genovese, come Pietro Visconte, senza avvedersene e pur copiando se si voglia, scrive Venezia, San Zor^o; ed è su questa particolarità che io giudicai veneziano l’atlante Luxoro (2). Infine il cartografo, copiando il suo modello, è però difficile che non legga talora male i nomi a lui meno noti ; perciò (1) Baldelli-Boni, Il Milione di M. Polo. Ivi: Del Portolano mediceo, pag. CLVI; D’ Avezac, Fragment d'une notice sur un atlas ms., 1847, pag. 10-15. (2) Ved. Atti della Società, III, pag. CVI nel Rendiconto. 278 GIORNALE LIGUSTICO frammettrà errori di trascrizione nei nomi dei luoghi, o sposterà alcuno di essi luoghi per inavvertenza. Del che mi occorse vedere esempi, si può dire in tutte le carte da me esaminate, in quelle stesse più rinomate, ed in quelle del Mar-tines e d’ Odessa che abbiamo sott’ occhio. È chiaro d’ altra parte che 1’ autore scriverà correttamente i nomi patrii o di luoghi vicini, e li porrà in ordine conveniente correggendo il modello; 'anzi ivi la sua nomenclatura sarà più fitta e piena a vantaggio suo e del commercio patrio. È sovra un simile criterio che io mi avventurai a determinare il parallelo, sotto il quale e per uso del quale dovea essere stato costrutto un astrolabio anonimo ; osservai che alla latitudine boreale di 30 gradi era stato duplicato il numero dei paralleli od almuncantaratti, suddividendo lo spazio ordinario degli altri dischi per ottenere sotto questo clima più precisi risultati. E le mie induzioni furono confermate dalla forma dei caratteri magrebini e da altri indizi che mi fornì il dotto quanto gentile comm. Amari. Del resto, se fuori delle notate eccezioni la nomenclatura' è comune, e se questa nomenclatura ammette tra i suoi comuni caratteri la parola cavo che si sa essere genovese, ha ragione d’indurre il mio concittadino, il eh. comm. Canale, questa conseguenza per noi lusinghiera: che il modello comune, antico, unico delle carte nautiche è non solo italiano ma specialmente genovese (1). Scendendo a cercare la data almeno probabile dell’ atlante di Odessa, il eh. Blau crede poterla assegnare al secolo XVI sia per la scrittura, sia per 1’ ortografia; e noi non vi abbiamo nulla a ridire. Sarebbe un segno ben caratteristico, se chiaramente vi si vedesse quella che pare la croce dei Cavalieri sull’ isola di iMalta; il che accuserebbe una data non anteriore (1) Canale, Storia dei commercio ecc., pag. 442. GIORNALE LIGUSTICO 279 al 1530, cioè quel limite superiore onde sopra parlammo. Ma ben aggiunge il dotto Tedesco, che, salve alcune di queste eccezioni, un portolano quale è quello di Odessa si sarebbe potuto fare già al secolo XV se non anche prima. Il che viene in conferma di quanto fu detto testé sulla conformazione di tali carte agli antichi modelli; e vale a rispondere ad alcuni non volgari critici, i quali al vedere simili carte sfornite di ogni traccia di navigazione per nuovi mari, credettero poter appuntare di falsa la data ed il nome del-1’autore che ivi trovarono scritti, oppure pretesero che quel nome alludesse ad un più recente possessore della carta e non all’ autore. § III. Per gli stessi motivi della vicendevole imitazione fra i cartografi, non fa d’ uopo stendersi a maggiori notizie sui due atlanti presentati alla Sezione. Vi è la consueta scala in spazii suddivisi in cinque punti, che rappresentano un certo numero di miglia; le consuete rose di 32 rombi 0 venti, sulle quali è disteso l’intero tracciato della navigazione; la consueta forma dei mari e delle coste, forma armonica ed ammirabile non ostante le imperfezioni che più riposatamente vi si scorgono; ed il Mediterraneo vi trova la sua lunghezza quale è riconosciuta dalla moderna scienza. Laddove tutti i seguaci di Tolomeo contemporanei ai cartografi vi assegnavano una lunghezza maggiore della metà. Perfino la divisione in più tavole, che secondo il maggiore 0 minor loro numero e grandezza pare accenni a diverso sistema, a ben considerarla si presenta molto somigliante nel determinare i confini delle varie sezioni. Il percorso dell’ intero Mediterraneo costituisce, come a dire, l’essenza delle carte nautiche; e dove l’autore non ne abbia fatto una carta sola, non di raro divide quel percorso in 28o GIORNALE LIGUSTICO tre carte, le quali per analogia ricordano i tre grandi bacini naturali dello stesso mare, descritti coll’ usata efficacia ed acutezza da Humboldt (i). Vale a dire in una prima carta, col Mar Nero se vi è, il Mediterraneo orientale dalla Siria al Capo Matapan ed al lato orientale della Gran Sirte; la seconda comprende il Mediterraneo medio, ossia, come coll’ Humboldt hanno le carte del Visconte e dell’ atlante Luxoro, il bacino delle due Sirti, la Sicilia ed il mare fino ai Capi Bon in Africa e d’Anzo in Italia: ossia, come il Martines ed altri, prolungano il Mediterraneo medio fino ad Algeri ed a Roses, così andando oltre fino a quel nuovo ristringimento formato dalle Baleari in dirittura colla estrema punta de’ Pirenei. La terza ha il resto occidentale del Medi-terraneo, e quella maggiore o minor parte delle coste sul-l’Oceano che permette il formato dell’ atlante. Talora l’intero percorso è diviso in due sole tavole, che si intersecano a Tunisi o Bona in Africa ed a Savona o Motrone in Italia; ma più sovente, e specialmente nei più antichi atlanti di piccolo formato, i tre bacini suddetti e le loro appendici dalle due parti si suddividono in otto o nove carte. Nella i.a il Mar Nero; nelle 2.* e 3.1 il bacino orientale colla carta particolare dell’Arcipelago; nelle 4.*, 5.* e 6.* il bacino medio suddiviso in due, come sopra si disse, ai Capi Bon e d’Anzo, e colla carta particolare dell’Adriatico; nella 7.“ il bacino occidentale dai Pirenei, e da Algeri o da Bresch allo stretto con parte delle più vicine coste atlantiche d’A-frica e d’Europa; nell’8.% come nel Luxoro, le coste occidentali d’ Europa fino all’ Elba e le isole britanniche; oppure, come nel Visconte di Vienna, il medesimo spazio o all’ incirca viene ancora suddiviso in due tavole, un 8.‘ e una 9.*. Questo è il tracciato generale delle carte nautiche; e tale (1) Cosmos, Milano 1849, II. 102. GIORNALE LIGUSTICO 281 si conserva anche quando 1’ autore mira al maggiore perfezionamento del suo lavoro. Dappoiché egli non si adopera tanto a rimaneggiare l’antico, quanto piuttosto ad aggiungervi di mano in mano altre carte, una seconda tavola d’A-frica o simile; vezzo comune nel medio evo. Dove le città, per esempio, modificavano i loro statuti non riformandoli da capo, ma aggiungendo nuove leggi ed eccezioni in appen-dtce. Vediamo dunque Andrea Bianco nel 1436, dopo avere tracciato il solito percorso, ritornare in carte speciali ad alcune parti meno note e più lontane di mezzodì o tramontana ; aggiungervi poi altre tre carte di ricapitolazione, una del mondo intero navigabile conforme alle tavole nautiche; una pel mappamondo rozzo e un po’ fantastico delle leggende cosmografiche ; l’ultima, 0 dal Bianco medesimo 0 da un suo poco lontano imitatore, pel mondo conosciuto nella forma e colla proiezione tolemaica. Altri si avventurarono, come nella Catalana, ad aggiungervi i paesi fantastici dell’ Asia centrale ed orientale mischiandovi le narrazioni di Marco Polo ; infine dal deciinosesto secolo in poi cominciarono a stendersi carte separate colla descrizione delle nuove scoperte. Accennai più sopra che coi grandi pregi i portolani hanno pure comuni difetti. Di questi parlarono più 0 meno il Lelewel, il P. Bertelli e più recentemente il signor Peschel. Anch’io nell’ Elenco delle carte genovesi di fresco stampato sommariamente dissi dei più rilevanti, ai quali aggiungerò un altro difetto già messo in luce dai lodati Lelewel e Peschel; ed è che i confini tra il mare e la terra sono un po’ esagerati per desiderio di più risentita rappresentazione. I promontorii troppo s’inoltrano in mare, e viceversa le baie troppo s’ addentrano in terra; le isole riescono troppo ampie; e così dicasi delle secche, scogli, banchi sott’ acqua, lagune ecc., che si vedono rappresentati'con croci, sferette, punti 0 colori. Il quale difetto però vale per lo più a mettere in guardia il navigatore 282 GIORNALE LIGUSTICO avanti tempo, quindi piuttosto accresce la sicurezza dai naufragi (i). In quelle medesime avvertenze precedenti il mio Elenco fu detto che la proiezione di tali carte è la piana per sviluppo cilindrico. Sull’esempio del eh. comm. De Luca, adoprai questa espressione per significare ciò che il Lelewel chiama proiezione piana cilindrica, e il D’ Avezac plate carrée. Qui mi piace avvertire che tale denominazione le si può dare in senso non rigorosamente matematico, e soltanto pel motivo che la proiezione piana cilindrica è la più rozza tre le reti che si possono stendere sulla carta piana per disegnarvi la sfera. Ciò ben osserva il lodato Peschel, il quale soggiunge che scientificamente parlando, quelle carte non hanno proiezione; e cosi aveva detto io pure fin dal 1865. Difatti i cartografi di que’ tempi, come fu osservato sopra, non erano in grado di determinare astronomicamente i gradi di latitudine e di longitudine , che sono le basi della rete. Essi si occupavano di linee fisiche e non di matematiche, di distanze itinerarie modificate a poco a poco da ripetuti tentativi ed incrociamenti: e delle quali la direzione era in ogni caso traviata dallo influsso dell’ ago calamitato. A queste riflessioni del Peschel sono analoghe quelle del Lelewel; il quale dapprima adottò bensì la proiezione piana cilindrica pel mappamondo di Fra Mauro ridotto* a così piccola scala; ma passando alle carte nautiche di Sanuto, alla Catalana ed a quelle dei Benincasa, rileva che tale proiezione si può conservare senza grave inconveniente soltanto dallo (1) Desimoni, Elenco di carte ed atlanti nautici, al num. 5 delle avvertenze; Giornale Ligustico 1875, pag. 43; Lelewel, Op. cit., II, pag. 44, 45, 109, 166; Epilogue, pag. 134. Bertelli, Nota intorno a due codici vaticani dell’epistola « de Magnete », nel Bollettino del Principe Boncompagni sovra lodato, 1871, agosto, pag. 28; Peschel, Op. cit., pag. 8. GIORNALE LIGUSTICO 283 stictto di Gibilterra alla Sicilia. Secondo le prove da lui fatte col calcolo e mostrate graficamente , i paralleli dalla Sicilia procedendo, a levante assumono una curvatura più forte a misura che più si avanza, ed ancor più forte nel Mar Nero (1). Un ultimo riflesso sulle carte nautiche. Fino a questi ultimi giorni a me era sembrato che la loro orientazione fosse colla tramontana in alto, come fanno le carte tolemaiche e quelle moderne. I Dotti ch’io sappia non toccarono tale quistione, salvo il sovra lodato prof. De Luca, il quale tenne la mia medesima opinione. Ma il compianto d’Avezac nel- 1 ultimo de suoi scritti di fresco pubblicato esprime un avviso contrario, dicendo che l’orientazione delle carte nautiche ha in alto il mezzodì (2). Veramente la soluzione del quesito non è cosi facile come a primo aspetto parrebbe. Io stesso aveva già detto nelle precitate avvertenze all’Elenco, che la regola soffriva eccezione ogni qualvolta il formato della carta, o la lunghezza del tracciato da descrivere, richiedeva di trasferire 1 orientazione dall’ alto ai fianchi. Inoltre le carte tolemaiche e le moderne recano la nomenclatura sempre scritta nello (1) Desimoni, loc. e pag. cit., al num. 4 delle avvertenze; De Luca, Carte nautiche del medio evo, pag. 50; D’Avezac, Tableau synoptique, in fine del suo Coup d'oeil historique sur la projection, 1863; Lelewel, Op. cit., •II. 32, 44,45. !04. 112, 117, 170-67. Peschel; Op. cit., pag. io-n; Atti della Società, III, pag. CYI nel Rendiconto. La difficoltà di esprimere scientificamente basi non Scientifiche fa che nemmeno l’illustre Peschel qui sembri concorde con sè stesso. Al luogo citato (pag. 11, nota 2) egli dice che nemmeno è giusta la denominazione di carte lossodromiche; eppure egli stesso chiama appunto (certo per brevità) di proiezione lossodromica la carte nautiche in genere. E ciò è scritto da lui nel recente opuscolo, Ueber eine italienische Weltkarte ; Lipsia 1872, Pag- 59- (2) De Luca, Op. cit., pag. 30; Desimoni, Elenco ecc., al num. 2 delle avvertenze, pag. 43; D’Avezac, Aperçu historique sur la rose des vents; Roma 187 [, pag. 16. Estratto dal Bollettino della Società Geografica Italiana. 284 GIORNALE LIGUSTICO stesso verso; perciò è facile il vedere dove faccia capo la direzione principale. Al contrario le carte nautiche cambiano il verso della scrittura ad ogni svoltare d’angolo, per guisa che fa d’uopo girare tra le mani la carta per poterne leggere i nomi. Tuttavia questo svolgersi non è senza regola, ed è uniforme nelle carte di tal fatta grandi e piccole. Così se si cominci a leggere dalle coste atlantiche dell’ Europa e del-1’Africa, la nomenclatura si vede scendere dall’alto al basso, da tramontana a mezzodì e mantenersi tale in complesso nelle carte seguenti. Ma viceversa, se si cominci a leggere da levante col Mar Nero e la Siria, allora l’orientazione principale si presenta 'col mezzodì, in alto per tutta la carta od atlante. Egli è dunque a vedere quale debba essere stata la intenzione dei cartografi, o 1’ abitudine di chi ne usava ; da qual parte insomma cominciava la «prima pagina dell’atlante. Può essere che la nostra abitudine nel leggere le carte moderne ci faccia vedere cosi ; ma a me non pare dubbio che i portolani relativamente più recenti, come quelli che abbiamo a Genova, ed anche il Martines del 1571, considerino come principio l’occidente e come fine il Mar Nero e la Siria; tanto più il Martines, il cui dorso o prima faccia bianca tenendo scritto il nome del possessore Gorgoglione, e nella faccia interna la data e il nome del cartografo, ivi stesso si vede cominciare il percorso da occidente colle coste atlantiche ed il principio del Mediterraneo. Senonchè non voglio dissimulare, che specialmente nei più antichi trovo esempi contrarii. L’Atlante Luxoro non ha alcuna indicazione prò 0 contro; ma il Visconte, oltre la consueta nomenclatura, ha in caratteri maggiori i nomi delle provincie, Stati 0 mari, Spagna, Mediterraneo ecc., e questi son sempre orientati col mezzodi in alto. Pare anche che questo codice lo si debba tenere rivolto da quella parte che comincia col giornali: ligustico 285 Mar Neio. L Atlante del Bianco ha nella prima tavola il maitelogio e la bussola a guisa di frontispizio, e vengono appi esso le tavole disposte per guisa che il mezzogiorno è in alto. Probabilmeute questo secondo sistema era in correlazione con quello dei contemporanei astronomi e compositori d astrolabii, i quali avendo seguito il costume degli arabi, ponevano 1’ Oriente a sinistra, 1’ Occidente a destra, la Tramontana in basso ed il Mezzodi in su, come si vede negli astrolabii stessi e nelle loro figure dateci dal Danti, dal Gai-lucci, dal Clavio e va dicendo. BOLLETTINO BIBLIOGRAFICO ‘Benvenuto Cellini a Roma e gli orefici lombardi ed altri che lavorarono pei Papi nella prima unta del secolo XVI, per A. Bertolotti. — Milano, Bernardoni 1875. Estr. dal-VArchivio Storico Lombardo, anno II, fisc. 2.0. Questo diligente opuscolo ha per iscopo di mettere d’ accordo coi documenti sincroni dell’Archivio di Stato Romano alcuni punti della Vita dell’ insigne artista, specialmente li ove questa non sussidiata di prove ci lascerebbe credere eh’ e’ fossero meri tratti di millanteria. Nello studio del Ber-tolotti s’incontrano pure alcune notizie di peculiare interesse genovese; c noi, come è nostro costume, ci affrettiamo a raccoglierle. c» Quando Benvenuto si recò per la prima volta a Roma, cioè nel 1519, tra gli artisti che fiorivano presso la Corte di Leone X si noverava un genovese, che il Bertolotti scrive Lorenzo Grosso, il quale fino dal 1507 teneva l’ufficio importantissimo di orefice e pesatore alla zecca romana, ritraen-done il salario mensile di sei ducati. Proseguì dipoi lo stesso maestro in tal carica non interrottamente fino al 1527, in 18 286 GIORNALE LIGUSTICO cui se ne ritrasse per una pensione che doveva corrisponder-glisi dal successore; e viveva ancora nel 1541, perchè giusto allora una tale pensione non essendogli stata pagata, ei fece sequestrare lo stipendio di Lodovico de Capitaneis a mezzo di Giovanni Cimino, genovese aneli’ esso, e gioielliere papale tino dal 1545; avsndolo di quest’anno Paolo III mandato in Venezia ad acconciare le gioie comperate per la Principessa di Salerno. Rispetto ai due citati arteiici, ci permetteremmo una osservazione, ed è questa: che il loro cognome debba più veramente leggersi Groppo e Semino. È assai focile, quanto al primo uno scambio, sì come può intendere chiunque abbia alcuna pratica delle antiche carte; oltrecchè i Groppo, venuti di Levanto, tengono appunto nel secolo XVI gran parte nelle memorie dell’oreficeria genovese tutt’ altro che scarse di pregi. Quanto al secondo, che negli atti soleva scriversi Conino, non solo è ovvia ma naturale la traduzione fattane dal eh. Berto-lotti; se non che mentre la famiglia Cimino non e genovese, 1 Semino invece costituiscono una lunga e gloriosa discendenza d’ artisti onde il nostro paese giustamente si onora; e « orefici alcuna volta » ce li addita precisamente l’egregio Alizeri (1). Dobbiamo pure agli studi del Bertolotti quest’ altro rilievo. Quando sopraggiunse nel 1527 il lamoso assedio di Roma e il Cellini fu ascritto ne’ bombardieri di Castel Sant’ Angelo, ira i capitani df quelle milizie si notava un Girolamo da Genova; e un altro genovése, Ambrogio Giovardo, aveva il carico di tabbricare la polvere. I Gioardi sono pur noti per assai documenti degli Archivi di Genova e di più altri d’Italia; nella nostra città aveano le loro officine Sottoripa e nei pressi di Canneto; e negli ultimi tre secoli gittarono essi la miglior parte delle artiglierie della Repubblica. (1) ■X.oliiic dei Professori de! disegno ecc., vol. Ili, p:r> 296. GIORNALE LIGUSTICO 287 NECROLOGIA. Giuseppi; Morrò. — La Gaietta di Genova del 19 luglio annunziava la irreparabile perdita di questo integro ed amatissimo Uomo con parole si nobili e commoventi, che noi non sappiamo astenerci dal riprodurle. « Sulle 4 pomeridiane del 17 corrente (così il foglio citato) Genova ha perduto uno dei suoi più specchiati e benemeriti cittadini. La grave mala'ttia che, impreveduta, colse il com-mend. Giuseppe Morro or sono pochi giorni, troncando le speranze da noi concepite, lo rapiva all’amore dei congiunti ed alla patria da lui tanto amata. E che al decoro ed al bene di questa patria egli abbia fin dai suoi giovani anni consacrato tutto sè stesso, ne rendono certo riconoscente testimonianza il Municipio, di cui fu più volte Sindaco zelantissimo e infaticabile Consigliere, gli Istituti di pubblica beneficenza ai quali fu prodigo delle illuminate sue cure, 1’ Ateneo genovese che l’ebbe nella Facoltà di Giurisprudenza Preside e Professore, paternamente sollecito del progredire de’ suoi alunni nell’ arringo della scienza: nella quale quanto Egli fosse addentro lo provano le dotte scritture pubblicate specialmente nella Gaietta dei Tribunali. Educato alla scuola dei classici diede saggi, sul fior dell’età, di vero ingegno poetico, che massime dai soggetti patrii attingeva luce e calcfre. Nè questi letterarii esercizi intermise mai in tutto il corso dell’operosa sua vita; sì che riusciva meraviglioso ai suoi più intimi amici come ei* sapesse e valesse a conciliare i pensieri e le fatiche indirizzate costantemente al ben pubblico e il culto degli ameni e dei gravi studi del Diritto; ma tutto in quell’anima candida ed amorevole tutto era pace e armonia; ond’è che severo e sagace ordinatore del tempo bastava sempre a tutti gli ufÇci che volenteroso e generoso imponeva a sè stesso. D’incolpato costume, d’integrità antica, senti profondamente della Religione sempre da lui meditata, e cui prestò in ogni tempo ossequio esemplare. E da questa divina sorgente e in parte da un’indole mitissima e temprata agli affetti i più delicati Ei ritrasse quella imperturbata serenità nell’aspetto, quella dignitosa e attraente soavità nel contegno e ne’ modi, quella modesta abitudine di operare il bene in silenzio che gli cattivarono l’amore e l’ammirazione di quanti lo accostavano ; da questa fonte derivò pure quella fermezza tranquilla che gli addolciva il soffrire in -travagliose infermità, e quella calma che gli rese placido e consolato di celesti speranze il morire ! » 288 GIORNALE LIGUSTICO La Società Ligure di Storia Patria è poi debitrice verso il cornai. Morro di speciale riconoscenza. Quando fu istituita , Egli che per l’appunto era Sindaco della nostra città, ne incoraggiò i primi passi non con isterili elogi, ma col favorirla efficacemente in più guise, e coll’accoglierla nelle ampîe sale della Civico-Beriana ov’ebbe difatti per molti anni costante-niente la sede. Acclamato socio onorario, preferì a questo titolo, confertogli per grato ricambio delle sue benemerenze, quello più modesto di socio effettivo, proclamando di voler pure coll’obolo proprio contribuire all’incremento dell’Istituto. E si vi contribuì largamente coll’autorità di un nome intemerato, coll’ assiduità della sua presenza, coi frutti dell’eletto suo ingegno. Nominato Vice-Presidente nel 1868, fu poi confermato nell’onorevole ufficio al ricorrere d’ogni nuova elezione dal voto concorde dei propri colleglli; dinanzi ai quali nella tornata del 3 aprile 1870, pronunciava una forbita Commemorazione di Aut.mio Caveri, già Presidente della Società, che si legge a stampa negli Atti. Amantissimo degli studi della letteratura latina cui prestava un culto poco usitato e compreso ai dì nostri, tessendo alla Società una dotta rassegna degli Equi di Giuseppe Colucci, esortava peculiarmente la gioventù ad afforzarsi nell’amore di quelle discipline, ed a glorificare con le memorie del Lazio « una lingua che noi italiani per nazionale dignità dovremmo aver cara e, non che mantenere, crescere in onoranza ». E perchè il- consiglio ricevesse efficacia dalla virtù dell’esempio, pigliava a tradurlo in atto Egli stesso, proponendo nella Sezione Archeologica la celebre Tavola della Polcevera a subbietto di varie trattazioni latine; le quali dimostrando quanto il Morro si fosse abile e corretto parlatore nella lingua di Cicerone e di Livio, destarono in tutti il più vivo interesse. Il corteo funebre che associò la salma del compianto nostro Vice-Presidente all’ultima dimora, eJ al quale presero parte tutti gli ordini della cittadinanza, dimostrò una volta di più quanto Giuseppe Morro fosse riverito ed amato. Il popolo si accalcava frequente per le vie ; e pronunciava di Lui quello che in giornata può considerarsi il maggiore elogio : Egli era un galantuomo ! La sua cara memoria, ne abbiamo fede, vivrà ognora indimenticata e benedetta. Pasquale Fazio Responsabile. GIORNALE LIGUSTICO 289 UNA LETTERA DEL PROF. ALIZERI il eh. prof. Federigo Alizeri fa appello alla nostra giustizia od imparzialità, perchè sia resa di pubblica ragione la lettera seguente, nella quale egli stima doversi richiamare di alcune trasi che si incontrano in un articolo inserito nel nostro Periodico. L’ufficio che rivestiamo, e con esso i sentimenti del- 1 animo nostro, ci fanno un obbligo di non ricusarci a quanto 1 egregio professore richiede; bensì teniamo a dichiarare che con la produzione di questa lettera dee riguardarsi per parte nostra esaurito affatto l’incidente. La Direzione. Onorevoli Direttori del Giornale Ligustico, • o * M’è cagione di grave disgusto che il vostro Giornale, il quale fa professione di retto giudizio e di sana critica, abbia sostenuto d’ accogliere nelle sue pagine alcune espressioni che mi riguardano e che ad occhio veggente si reggono in falso. In esso Giornale, anno II, fascicolo VII, pag. 258, nel contesto d’ un articolo intitolato Dell’ Ufficinolo Duralo, si leggono le parole seguenti: « Il eh. prof. Alizeri nella sua Guida artistica pei la città di Genova , che pubblicò il 1846, accenna alla mancanza di preziose gemme che dovean ornare la coperta dell’Ufficiuolo; ed aggiunge che l'avarizia ha risparmiato gli ornamenti in argento sovrapposti al velluto che fascia il codice, i quali ancora si conservano ». E poco più sotto: « L’ egregio autore della Guida forse parlò di gioie in grazia di voci che ne correvano, ed io credo non abbia fatto eco 19 290 GIORNALE LIGUSTICO al falso; soltanto egli non ha avvertito, e certo ignorava, in quali condizioni si trovasse il volume all’epoca dell’acquisto; onde leggendo le sue parole, nasce per lo meno il sospetto che la nobile famiglia Durazzo del peccato dell’ avarizia siasi resa colpevole ». E si conchiude: « No, il marchese Marcello comperò il prezioso cimelio tale e quale lo legava dt poi, con testamento presentato 'al R. Senato di Genova il 20 settembre 1847, alla Biblioteca Civico-Beriana ». Fin qui 1’ autor dell’ articolo. Oh eh’ io abbia (risponderò io) menomato in nulla nella mia Guida, e colle parole surriferite, 1’ onore di quell’ anima candida che fu il march. Marcello Luigi Durazzo o d’ alcuno de’ suoi ? Ed è chi possa accagionarmi di tanto, anzi pensarlo pure, nonché dichiararlo in iscritto e mandarlo alla luce del pubblico? Io conobbi il march. Durazzo da’ miei primi anni e dai primi miei studi, e come fin d’ allora mi usava ospitalità cortese e benevolenza paterna, così m’ebbi da lui i primi conforti e i più affettuosi consigli a tentare quel nulla che ho potuto e saputo in benefizio delle patrie arti eh’ egli amava e volea ch’altri amasse di sviscerato amore. Indi è, che quanti volumi 0 libercoli uscirono per andare di tempo dal povero e solitario mio ingegno, tutti quanti echeggiano le lodi di quel raro e gentile patrizio, del quale, come di tenerissimo padre e d’autore, serberò mentre io viva profonda e devota memoria. Usando spesso ai colloqui di lui ebbi pure occasione di conoscere e d’ apprezzare la sua famiglia, coltissima e modestissima ; e di tutti egualmente mi onorai di lodare la liberalità non superba, e sopratutto il culto imitabile che in comune prestavano a quanto è di buono e di bello, e a quanto più onora i nobili e generosi costumi. E v’ ha tuttavia chi pensi in due tratti di penna attribuirmi GIORNALE LIGUSTICO • 291 le parti di detrattore verso cotali, che da lungo tempo sepolti, pui mi stanno come vivi e presenti nella parte più dolce del cuore? Ma questa volta per buona ventura, Onorevoli Direttori, le parole consegnate nell’articolo, non sono il venticello sottile e l’auretta leggera che grado a grado ingrossa in bufera ed iscoppia in tempesta. Che volete? L’articolo non ha badato a quel che afferma egli stesso : che cioè la mia Guida, stampata nel 1846, discorreva dell’ Ufficiuolo mentre era tuttora a mani del vivente march. Marcello, e innanzi forse eh’ egli disegnasse pure di farne legato alla Biblioteca, siccome fece d’un anno più tardi. Non ha pensato che la distrazione delle gemme dal codice ed i lamenti sulla avarizia di chi le avea tolte d’ antico, eran concetti del Du-razzo medesimo che le più volte si compiacque di mostrarmi e di lodarmi le rare bellezze di quel cimelio eh’ egli aveva acquistato già spoglio di tali preziosità. Disposto a- curar poco le dispute che si facessero per "avventura intorno al mio nome, non posso però e non debbo patire che altri mi faccia denigratore delle più specchiate virtù, o torca i sentimenti più sacri dell’animo mio. Ond’è eh’ io vi prego, Onorevoli Direttori, a dar luogo nel vostro Giornale a questa mia protesta ; il pubblicare la quale è debito in me di coscienza e in voi di giustizia e imparzialità. Genova, 31 Luglio 1875. Vostro F. Alizeri. 292 GIORNALE LIGUSTICO DOCUMENTI j ^riguardanti alcuni dinasti dell’Arcipelago, pubblicati per saggio 0 di studi paleografici da Alfredo Luxoro e Giuseppe Pinelli-Gentile. (Continuatione da pag, 9;) N. 19. Si riscontrano le lettere di Dorino Gattilusio presentate da Battista De Marini. 1453, 22 dicembre (Arch. Gov. Registro Litterarum, num. 5) Magnifico viro domino Dorino Gatilusio Mitileni domino amico carissimo. \ Magnifice vir amice noster carissime. Tradidit nobis et ceteris magistratibus litteras vestras vir nobilis et singulariter nobis dilectus Baptista de Marinis, qui pro Magnificentia Vestra et verbo et opere multa confecit. Et quacumque nobis ceterisque magistratibus ac civibus omnibus sit voluntas non modo sed etiam cupiditas inserviendi semper glorie vestre ac stabilimento status vestri, cuius tamen tanti viri exhortationes et incitamenta maximam solent conficiendis rebus utilitatem afferre, hanc ob causam data est Magnificentie Vestre responsio illa quam aliis litteris nostris et Officii Romanie intelligere potuistis, quam nec dubitamus gratam fuisse prudentie vestre. Reliquum est ut persuadeatis vobis nos et omnes hos cives esse semper in omne decus et commoda vestra paratos, nec secus desiderare vobis res secundas quam sibi ipsis. Itaque quotiens res ct tempus exposcet, utimini hac nostra recta affectione quam profecto invenietis numquam vobis deesse. Data xxn decembris (1433). • Oldradus Locumtenens. N. 20. A Dorino esortandolo a procurar la pace tra l’imperatore di Trcbisonda cd il costui fratello. 1438, 10 marzo (Arch. Gov. Registro citato, num. 8) Magnifico civi et amico nostro carissimo domino Dorino Gatilusio Mitileni etc. domino. Magnifice civis et amice carissime. Revolvimus animo eam discordiam que est inter serenissimum dominum Imperatorem Trapczonte et illustrem giornale ligustico 2 93 germanum eius generum vestrum, et cogitantes quam indecorum sit duos traties et quidem Christianos armis decertare, quanti bellorum sumptus: quam incertus exitus, ceteraque incommoda que bellum parere solet; melius tutiusque et Deo gratius fore iudicamus ut pax inter eos et fraterna concordia omni arte ac studio procuretur. Nec difficiles videntur huius pacis conditiones si huic illustri genero vestro Magnificentia Vestra suadeat ut concordiam bello préférai. Nam si velit aut apud vos aut Constantinopoli, Pera aut alia in urbe non suspecta vitam ducere, facile putamus animam fratris imperantis inducere ut largos illi sumptus prebeat et reddituum- illius imperii participem faciat ; quam quidem ad rem componendam nos profecto cupide laboraremus, si arbitraremur operam nostram fore profuturam. Erit igitur pergratum nobis ut et vos hec eadem cogitetis; et si hanc viam bello et sanguini preferendamesse putatis, genero suadeatis que pacis sunt (i). Et si laboris nostri ullum fructum fore credetis, id nobis vestris litteris significetis. Nam quemadmodum pro stabilimento status vestri quoque vestris incrementis omnia facere parati sumus,- ita huic paci quam genero vestro utilem futuram speramus, libenter operam dabimus si vos id faciendum esse suadebitis. Data mcccc xxxviii, die x martii. Thomas Dux etc. N. 21. Allo stesso perchè punisca gli assassini di Bernardo De Franchi. 1438 , 18 giugno (Arch. Gov. Registro Litterarum, num, 9) Magnifico viro domino Dorino Gatilusio Mitileni domino, amico carissimo. Magnifice vir. Abominabile et detestabile scelus commissum per Gu-liermum Grossum in personam quondam Bernardi de Francis, dum idem (1) L’ Imperatore di Trebisonda, al quale si accenna in questa lettera, era Calojanni Conmeno; il fratello che lo guerreggiava chiamavasi Alessandro, ed avea sposata Maria figlia di Dorino Gattilusio. Una sorella dei due contendenti, Maria Comnena, era moglie di Giovanni Paleologo allora imperatore di Costantinopoli; ed il fratello di costui, Costantino che poi gli succedette nel trono e fu 1’ ultimo de’ Greci Augusti, avea sposato Caterina altra figlia del Gattilusio. Queste dichiarazioni sono necessarie per ben comprendere le circostanze enunciate nel documento ; e chiaro eziandio si renderà l’interessamento dispiegato dal nostro Comune per Calojanni, quando si sappia che egli era favorevole ai Genovesi, i quali certo speravano di riacquistare sotto il suo Impero quella preponderanza che aveanvi esercitata infino all’avvenimento del padre suo Alessio IV, mostratosi invece parzialissimo dei veneziani. Ved. Pfaffenhoffen , Essai sur les aspres comncnats, Paris, Didot 1847; Hopf, Croniques greco-romanes, nelle tavole genealogiche. 294 GIORNALE LIGUSTICO Guliermus esset patronus unius navigii dicti Bernardi, vobis nunciare decrevimus ut pro iustitie debito atque honore vestro in talem homicidam prorumpere possitis. Erat enim supradictus Guliermus ut prediximus patronus unius navigii eiusdem Bernardi, et una cum nauclerio et scriba dicti navigii dolose et apensate cum una securi dictum Bernardum uno ictu interfecerunt, ut pecunias, vestes et bona dicti Bernardi occuparent, nulla previa ratione aut occasione qua ad talem actum prorumpere deberent, nisi propria rapina; et ideo hortamur vos pariter et requirimus ut contra dictum Guliermum patratorem tanti sceleris ac bona eiusdem procedere velitis ut suadet iustitia, et honor vester concernere videtur, dando operam cum effectu ut bona dicto quondam Bernardo occupata restituantur heredibus dicti quondam Bernardi, seu agentibus pro ipsis heredibus; in quo quidem satisfacietis honori vestro nobisque facietis complacentiam singularem. Data x iunii (1438). Thomas Dux et Consilium. N. 22. * Al medesimo per raccomandargli la Casa dei D' Oria 1439 , 12 gennaio (Arch. Gov. Reg. cit., num. 8) Magnifico civi nostro carissimo Dorino Gatilusio Mitileni etc. domino. ÌSion ignoramus, magnifice civis noster carissime, generosam familiam Auriam ut sanguine ita mutua obsequiorum exibitione vobis esse ìunctis-simam (i); illud etiam et audimus et videmus assidue quanto studio, diligentia atque ardore rebus illis invigilet que commodi et decori vestro inservire credantur. Apud nos certe de Magnificentia Vestra summa cum làude sepenumero loquuntur ; et si quid aliquid agendum est, ita id curant ut reliqua omnia ab his omnino postponi videantur. Que quamvis et videamus et manibus ut dici solet tangamus, tam sincero tamen tamque ingenti affectu familiam ipsam amamus, ut nos continere quidem nequeamus quin et illam Vestre Magnificentie maiorem in modum commendemus. Scimus equissimum eSse ut qui honores vestros et commoda tanto studio exquirunt, horum vos vicissim honoribus studere et a quibus tam unice Magnificentia Vestra colitur hoc pari amore ab ea diligi. Si quid est tamen quod rogatus comnicndationcsque nostre i) Caterina figlia di Palamede Gattilusio aveva sposalo Marcantonio del qm. Obcrto D’Oria. GIORNALE LIGUSTICO possint adiicere, id ut priori studio atque amori accedat rogamus. Est namque ipsa familia nobis ac nostris vinculo sanguinis haud aliena gratia vero ac meritis adeo carissima, ut quidquid honeste petatur nihil illi negare possimus, sed ea potissimum vobis atque illi offerimus ac spondemus que pro gloria et incrementis vestris ipsa petierit. Data mccccxxxviiii die xn ianuarii. Thomas Dux etc. Allo stesso, circa 1’assassinio di Francesco di Bavari ; e commendatizia de! costui fratello. 1439, 28 maggio (Ardi. Gov. Reg. cit., num. 6) Magnifico viro domino Dorino Gatelusio Mittileni domino nobis carissimo. Magnifice vir amice carissime. Magna cum animi turbatione nuper accepimus dilectum nostrum Franciscum de Bavalo, tunc patronum cuiusdam galeote, a certis sociis in dicta galeota navigantibus acriter fuisse trucidatum apud Marmorale. Cum ergo Peregrus frater dicti Francisci presentimi! exibitor peculiariter se conferat ad insulam Mittileni vestram, ut recuperet bona dicti Francisci qui apud aliquos ex vestratibus esse dicuntur, hortamur vos pariter et rogamus ut eumdem Peregrum suscipiatis specialiter recommissum ; eidem prebendo eos honestos favores quos a vobis requirendos duxerit pro recuperatione bonorum dicti quondam Francisci. In quo quidem nobis non mediocriter complacebitis. Data die xxvm maii(ii39). Dux Januensium. Fiant littere in simili forma Peire, et Potestati Chii. N. 24. 11 Turco minaccia Costantinopoli. Accorra Dorino, se vi ha pericolo, al soccorso del Greco Imperatore. 1440, 5 settembre ( Arch. Gov. , Registro cit., num. 10) Magnifico civi nostro carissimo domino Dorino Gatilusio Mitileni etc. domino. Petiit a nobis Sanctissimus Dominus Noster Papa ut quemadmodaiu Christianum populum decet velimus illustrissimo Imperatori Romeorum 296 GIORNALE LIGUSTICO l'erre opem, si forsitan contingeret ab Rege tureorum Constantinopolim obsideri; seque obtulit Sanctitas Sua vestre chiensique galee stipendia solvere temporis illius quo triremes ipse Constantinopolitane urbi presidio essent. Nos non ignoramus vos vestrosque maiores, eterna quidem gloria dignes, christiane fidei invictos pugiles semper fuisse. Aliunde consideramus vos non immerito refugere ut quicque committatis quod Regi Tureo molestum sit. Verum sunt multi pretextus, multi variique colores quibus Imperatori, si obsideatur, liceret clam vel palam auxlio esse vel simulata defensione Pere vel alio eiusmodi tegmine adinvento. Quod cum ita sit, rogamus atque oneramus Magnificentiam Vestram ut si urbem ipsam obsideri a Rege Tureo quovis tempore audiatis, velitis pro defensione fidei sumptibus Romani Pontificis galeam vestram Constantinopoli mittere, ibique maiorum vestrorum exempla secutus defensioni urbis viriliter assistere. Que res quamque multum gloria paritura foret, exiguam tamen mercedem eam esse ducimus in comparatione retributionis eterne quam qui pro Deo dimicant merito sperare possunt. Data m Septembris (1440J. Thomas Dux etc. et Consilium. N. 25. A Palamsde Gattilusio circa le nozze di Gian Galeazzo Fregoso. 1442, 5 dicembre (Arch. Gov. Registro cit., num. 12) Magnifico propinquo nostro carissimo domino Palamedi Gatilusio Lnii domino. Nisi duplicatis triplicatisque litteris Magnificentie Vestre scriptum fuisset quantum rerum temporumque conditio postulabat, grandiores ad vos litteras dedissemus ; verum illa eadem iterare que scripta sunt, et nullum iore. opere pretium et vix sine fastidio totiens audiri possent. Hec in summa dicimus, magnifice affinis noster carissime. Nuptiis omnique apparatui nuptiali sufficienter provisum est. Si gener vester Ludovicus (i), qui (1) Ludovico Fregoso avevi condotta in moglie Ginevra figlia di PalameJe; e Gian Galeazzo sposò per questi tempi Costanza, altra figlia del Signore di tno. Del resto la presente lettera ci pare si risenta della confusione che dovea regnare nell'animo del Doge, . lo stato del quale (scrive il Giustiniani) gii era molto indebolito . (Annali, II. 571). Difetti il 18 dicembre levavasi contro di lui un fiero tumulto, che F obbligava appunto il di appresso ad arrendersi in balia di Raffaele Adorno. giornale ligustico 297 Clavaro preest, hic adesset, his copiosius scriberet Magnificentie Vestre si quid esset cognitione vestra dignum. Nos vero offerimus nostra omnia in vota vestra sincero affectu parata. Data v decembris (1442). Thomas Dux etc. SOCIETÀ LIGURE DI STORIA PATRIA (Continuatione da pag. 2SJ ) VI. « Sezione di Storia. Tornata dei 13 febbraio. Presidenza del Preside Antonio Pitto. Il socio Massimiliano Spinola comincia a dar lettura di un sud lavoro intitolato: Considerazioni su alcune particolarità poco note concernenti la dominazione genovese nell’ isola di Corsica. § L I più riputati scrittori della Storia di Corsica asseverano che il dominio dei genovesi in quest’ isola fu ingiusto e tirannico. Eglino quindi compiangendo alla misera condizione dei còrsi, approvano indistintamente i promotori delle sedizioni tendenti a rompere le catene della dura servitù. Nello stesso tempo lamentano che la Signoria di Genova ed il Banco di San Giorgio abbiano sovente represse le ribellioni dei còrsi, usando di quel diritto che compete ad ogni Governo, di conservare cioè e difendere la propria autorità ed il proprio dominio. È una questione da esaminare e da risolvere, se il reggimento dell’ isola di Corsica durante la dominazione genovese sia stato veramente iniquo e dispotico, si come asserirono i capi degli insorti nelle Memorie da essi presentate a quei Principi stranieri dai quali invocavano protezione, ovvero 298 GIORNALE LIGUSTICO cui si profferivano sudditi. Ma per formarsi un giusto concetto del reggimento in discorso, bisogna innanzi tutto conoscere le istituzioni stabilite nell’ isola dal Comune di Genova quando acquistonne il possesso e la sovranità. È noto che il detto Comune ottenne difinitivamente la contrastata sovranità della Corsica mediante la tregua conclusa nell’annno 1300 colla Repubblica di Pisa; e che poscia rassodò questo dominio medesimo, malgrado che da più parti fosse combattuto. Lo combatteva una non ispregevol fazione aderente ai pisani; lo combatteva il clero secolare e regolare che sosteneva i diritti vantati sulla Corsica dalla Corte di Roma, la quale fondavasi sulla pretesa donazione di Pipino al pontefice Stefano II; lo combatteva il re Giacomo di Aragona, che a sua volta pretendeva a quel possesso, per cagione della sovranità conferitagli con solenne Bolla del Papa Bonifacio VIII. Genova però trionfò di tutte le opposizioni, sia colla propria forza e sia perchè la maggioranza degli isolani nel sottomettersi al dominio dei genovesi ripromettevasi di partecipare al benessere onde già godevano le Comunità di Bonifacio e Calvi, che stavano da lungo tempo nella pacifica potestà del nostro Comune. Il Governo genovese po'ich’ ebbe conseguita 1’ accennata sovranità, si avvisò di statuire un ordinamento col quale si soddisfacessero le legittime esigenze degli abitanti dell’ isola. Perciò nell’anno 1347 ^ Doge Giovanni di Morta convocò in Genova quattro Deputati, eletti dalle Pievi cismontane ed oltramontane, i quali d’ accordo coi Delegati della Signoria prescrivessero lo Statuto giusta le cui norme la Corsica in avvenire avrebbe dovuto essere governata. I Delegati genovesi furono Nicolò Carena, Federico Piccamiglio, Damiano Cazana, Daniele Cibo, Antonio di Castello, Leonardo Cattaneo; e le leggi concordate fra essi e i Deputati còrsi furono promulgate con decreto del suddetto Doge il giorno 12 Agosto dello GIORNALE LIGUSTICO 299 stesso anno 1347. Siffatte leggi oggidì sono perdute; nondimeno se ne conoscono le principali disposizioni. Con esse si confermavano alle Comunità di Bonifacio e di Calvi le godute franchigie, si conservavano ai numerosi signori feudali i privilegi e diritti loro attribuiti; e finalmente per quelle parti del-l’isola dove la Signoria genovese non era ristretta da anteriori diritti o limitata da particolari convenzioni, si prescriveva la nomina di un Governatore scelto tra i più notevoli cittadini di Genova, il quale durerebbe in carica un determinato e ristretto spazio di tempo, mentre rassegnato appena l’ufficio verrebbe sottoposto a sindicamento. Le attribuzioni assegnate al Governatore erano numerose e rilevanti; poteva esercitarle egli stesso, 0 delegarle al Vicario, ai Giusdicenti e ad altri pubblici uffiziali posti sotto la diretta sua dipendenza. Che se questa potestà sembri com’ era infitti eccessiva, vuoisi considerare però eh’ era assai mitigata da quella prescrizione del sindicamento (in forza di cui il Magistrato aveva facoltà di punirlo di ogni colpa commessa nell' esercizio della sua carica), nonché dal Consiglio dei nobili cismontani ed oltramontani. Questo Consiglio teneva sede nel luogo medesimo ov’era il Governatore, ed aveva piena balia di fare delle rimostranze sui decreti di quest’ultimo circa i tributi e la pubblica amministraztone. I detti Statuti furono bene accolti in Corsica, perchè i principii ai quali s’informavano erano in corrispondenza coi bisogni dell’ isola. La quale ciononpertanto ne godette pei poco tempo i vantaggi. Imperocché a cagione delle discordie sorte in Genova dopo la morte del Doge, avvenuta nel 1350, la Repubblica non ebbe forza od autorità da far rispettare ed ubbidire i suoi Governatori. La debolezza della medesima essendo poi a tutti nota, indusse i feudatari ^òrsi nel proposito d’ accrescere la propria autorità, anzi i più potenti fra essi, sperando rendersi padroni dell isola, ricusa- 3oo GIORNALE LIGUSTICO rono di prestare omaggio ed obbedienza; e le città convenzionate presero ad amministrarsi da sè stesse tenendo in dispregio gli ordini del Rappresentante della Repubblica. Il rimanente poi della popolazione giovossi dell’ anarchia prodotta dalle intestine discordie e dalle lotte dei pretendenti alla signoria dell’ isola, per commettere crudeli vendette in soddisfacimento delle proprie passioni, e rendersi indipendente. Questa miserabile condizione non poteva durare; perciò nell’anno 1378 i maggiorenti 0 Caporali dell’isola, comprendendo essere necessario di porvi rimedio, si rivolsero a Genova perchè fornisse loro un efficace aiuto, con cui potessero riporla nel dominio della Repubblica e richiamare in vigore le leggi del 1347. Se non che il Doge e gli Anziani conoscendo non aver forze a ciò sufficienti, non istimarono d’assumere in proprio l’ardua impresa; bensì aderirono alle proposte di cinque ricchi e potenti cittadini, i quali si offrivano di costituire all’ uopo un consorzio (Maona) a condizione che la Repubblica concedesse loro l’isola in feudo. Il proposito della Maona non si raggiunse se non dopo la morte di Arrigo della Rocca, il quale dalla fazione contraria ai genovesi era stato eletto Conte di Corsica. Ma poscia il Maresciallo Bucicaldo,’ che si trovava fra noi in qualità di Governatore’pel re Carlo VI di Francia, non tenendo conto alcuno della convenzione avvenuta colla Maona, in nome del suo Sovrano concedette l’isola in feudo a Lionello Lomel-lino. Il quale, pieno d’ alterigia per la sua amicizia col Governatore francese, sottopose i còrsi ad un intollerabile dispotismo et suscitò un generale malcontento, che prorompendo in aperta rivoluzione fini per far passare l’isola (meno i Comuni di Bonifacio e di Calvi) in potestà di Yincentello’d’ Istria, capo della fazione contraria ai genovesi. Gli avvenimenti onde fu teatro la Corsica da questo tempo sino all anno 1453 non hanno alcuna relazione col nostro GIORNALE LIGUSTICO 301 assunto, e perciò noi ci dispensiamo dal discorrerne. Noteremo soltanto che i popoli della Corsica venivano egualmente oppressi dalla gare ambiziose dei feudatarii, dai partitanti dei Campofregosi, e dai commissari pontifici. Per lo che i Caporali (predominando quelli appartenenti al partito genovese) si decisero a negoziare la dedizione dell’ isola coll’ Ufficio di .San Giorgio. Una siffatta decisione potrà a prima giunta sembrare strana, non intendendosi cosi di subito la cagione per la quale si preferirono le Compere al Governo della Repubblica. Ma quanto fosse saggia potrà bene conoscersi, qualora si considerino la ricchezza e potenza di detta Compagnia commerciale, e*si pongano a riscontro colla povertà e debolezza dello Stato. I Protettori di San Giorgio, in conformità dell’atto di cessione concluso fra essi e la Signoria li 22 maggio 1453, assunsero perciò il mero e misto imperio dell’isola; e vi stabilirono il reggimento che avevano in prevenzione combinato coi Caporali. Se non che una tale sottomissione come fu biasimata dagli isolani ogniqualvolta insorsero contro la dominazione genovese, cosi lo fu del pari da molti scrittori, tra i quali sono il Renucci ed Jacopo D’ Oria. « Questa è 1’ epoca (scrive il primo) in cui comincia la terribile servitù de’ córsi. Rotta ogni convenzione, Genova considera gli abitanti dell’isola come iloti, che bisogna tenere in ceppi ed impedire che si accrescano. Quindi multiplicità di aggravj, infrazioni di privilegi, violazione di fede, avvilimento delle famiglie distinte, esclusione degli uomini di merito da tutte le dignità, ufficj ed impieghi della lor patria, fame appostatamele voluta, povertà eretta in sistema, ignoranza espressamente stabilita, discordie fomentate, delazioni e calunnie provocate, omicidj incoraggiti, malfattori accolti e stipendiati a Genova, incendio di diciotto pievi che racchiudevano centoventi villaggi , le case del Cinarchese rasate, gli alberi di questo distretto tagliati, 302 GIORNALE LIGUSTICO gli uomini fotti assassinare, infine tutto quello che può inventare la tirannia più crudele e la politica più infame fu 1’ appannaggio dell’ infelice Corsica durante il corso di cento anni (i) ». Qualora questa descrizione, che il Renucci trasse dai libelli del vescovo Giulio Matteo Natali contro di Genova, fosse conforme al vero, non v’ha dubbio “che l’Ufficio di San Giorgio dovrebbe essere severamente biasimato. Ma ogni volta che si esamina il governo stabilito in Corsica nel-1’ anno 1453 , s’acquista l’intimo convincimento dell’erroneità del riferito giudizio. Se la convenzione conchiusa nelP anno 1453 dai Caporali còrsi coi Protettori di San Giorgio, è da lamentare fra i do- O ' cumenti che andarono perduti; ciò non ostante da quanto ne riferirono gli storici si conosce che 1’ Ufficio delle Compere conservo le antiche convenzioni ai Comuni di Bonifocio e di Calvi; ed anzi in progresso di tempo ne concedette di eguali o simili alle Comunità di Bastia, d’ Aiaccio e di San Fiorenzo ; e mantenne ai feudatari i loro diritti, se bene i feudi a cagione delle ribellioni fossero molto diminuiti. Oltre di che il Governatore se era munito di ampie facoltà, era del pari obbligato ad uniformarsi alle leggi ed alle consuetudini locali, ed in mancanza di queste agli Statuti genovesi. Il tributo imposto agli abitanti fu stabilito a venti soldi per ogni capo di famiglia ; nè 1 interno dell’ isola fu gravato da altre gabelle fuor di quelle che pesavano sulle terre murate a benefizio dei medesimi Comuni. Parimente d Consiglio dei nobili continuava a sedere a lato del Governatore; il quale in fatto di pubblica amministrazione non poteva procedere ad alcuna innovazione, senza che questa fosse stata prima discussa e consentita dal detto Consiglio. Tale il reggimento a cui fu soggetta la Corsica durante (1) Renucci, Storia di Corsica, vol. I, pag. 21. \ GIORNALE LIGUSTICO t 30 3 la dominazione del Banco, cioè dal 1453 al 1562 ; e perciò è facile rilevare come in gran parte fosse fondato sullo Statuto citato del 1347. Il quale tuttavia non è da dire che fosse in ogni sua parte un modello di buon governo; anzi racchiudeva anch esso molti rilevanti difetti, e questi sono: i.° L’autorità sovrana quasi la più assoluta, per la quale il Governatore (scrive il Gregori) « era giudice supremo nelle cause tanto civili che criminali, potea condannare ad ogni pena, anche a quella di morte, senza intervento di Consiglio, rilegare ed espellere dall’ isola le mogli, i figli e parenti più prossimi dei banditi, ordinare che in una causa ordinaria si procedesse sommariamente, e rivocare a sè ogni causa tanto civile quanto criminale pendente innanzi gli altri giusdicenti (1) ». 2° La disuguaglianza delle facoltà attribuite ai membri componenti il Magistrato dei Commissari sindicatori, in guisa da assicurare la preponderanza alla volontà dei Protettori. Perchè i due Sindicatori genovesi, partecipi delle Compere, aveano di per sè tante voci quante ne costituivano insieme gli altri sei nominati dalle Pievi. 3.0 La breve durata dei Governatori nella loro carica-, perchè se taluni erano buoni amministratori non avevano tempo sufficiente per migliorare, -con 1’ esplicazione d’acconci disegni, la condizione dei popoli da essi amministrati. Conviene però osservare che i citati difetti venivano moderati dal Consiglio dei nobili, e dai Commissari sindicatori. Imperciochè i membri delle predette magistrature, per quanto si mostrassero ossequenti ai Protettori o fossero amici e dipendenti del Governatore, difficilmente poteano rendersi complici delle infrazioni alle leggi e degli abusi di potere commessi dai pubblici uffiziali, assolvendo costoro nel sindicamento. (1) Gregori, Appendice al tomo III della Storia di Corsica del Filippini, pag. ixxvi. I 304 GIORNALE LIGUSTICO Più grave danno derivò quindi, a nostro avviso, da ciò che i Protettori di San Giorgio considerassero la Corsica non altrimenti che una proprietà dei partecipi delle Compero, e conseguentemente vi stabilissero in vantaggio dei medesimi il monopolio del commercio. È superfluo enumerare i mali causati agli abitanti dell’isola da cotesto monopolio; poiché sono i medesimi sofferti da tutte le provincie e colonie sottoposte alla dominazione delle Compagnie commerciali privilegiate. Ad ogni modo però, è d’uopo convenire che l’Ufflcio di San Giorgio, quand’anche si fosse posto sulla via delle più larghe e liberali riforme civili ed economiche, non sarebbe certo riuscito ad impedire la celebre insurrezione capitanata da Sampiero della Bastelica. Imperocché in questa occasione gli isolani non insorsero già coll’ intento di ottenere alcuna riforma, ma si levaronsi in armi per gli eccitamenti e gli aiuti degli agenti del Re di Francia e dei suoi ministri. I quali divisavano giovarsi del malanimo dei còrsi verso la Repubblica per impossessarsi dell’isola, ed in siffatta guisa punire i genovesi d’essersi nell’anno 1528 vendicati in libertà. E il re Enrico II avrebbe raggiunto lo scopo, se in seguito della perduta battaglia di San Quintino non fosse stato costretto a segnare il trattato di Castel-Cambrese , per cui la Corsica veniva riposta nella sovranità di San Giorgio. I Protettori del Banco ripigliando pertanto nell’anno 1560 il possesso dell’isola, avrebbero operato prudentemente se si fossero preoccupati di riformarne il governo; chi in tal maniera sarebbonsi forse impediti nuovi tumulti e nuove ribellioni. Essi invece preferirono di proseguire nell’ antico sistema, considerando l’isola semplicemente come una fonte di lucro, ed avvisandosi di ristorare col danaro da essa cavato il loro esausto tesoro onde pagare ai partecipi delle Compero i proventi dei loro luoghi. A tale effetto aggravarono anzi la mano; GIORNALE LIGUSTICO 305 e cosi all antico tributo d’una lira per fuoco aggiunsero una taglia nuova del tre per cento sull’ estimo dei beni. La quale sembrando ingiusta ed incomportabile, fu pagata dai còrsi a malincuore, e per converso dai Governatori, ed in ispecie da Nicolò Grimaldi-Cebà, riscossa con sommo rigore. Ridestaronsi perciò negli isolani gli odii mal sopiti, ed i Protettori furono ormai convinti dell’ impossibilità di reprimerli. Proposero pertanto alla Signoria di restituirle il dominio ; e 1’ offerta essendo stata accettata, la retrocessione ebbe luogo il 31 giugno 1562 per istrumento rogato dal cancelliere Vincenzo Fiesco-Botto. Ma neanche i reggitori di Genova si indussero ad alcuna riforma; e sembra per fermo assai arduo il determinare le ragioni di una sì costante ripugnanza, perocché niuno può dubitare che alla loro perspicacia Sfuggir potesse la convenienza di reggere i còrsi con quelle medesime leggi onde governavano le altre provincie soggette alla Repubblica. E dove si voglia ascrivere questa disparità di reggimento allo sdegno suscitato in Genova dalla prolungata ribellione di quei popoli, si dovrà però concedere che se questo può spiegare e fino ad un certo punto legittimare il diniego pei tempi che tennero immediatamente dietro alla insurrezione, non vale invece a giustificare la ripugnanza dimostrata costante-mente negli anni successivi. La Signoria di Genova, ammaestrata dagli avvenimenti, avrebbe anzi dovuto riconoscere tutta la necessità di decretare delle provvidenze capaci di togliere le cause di ogni rivolgimento ulteriore. Ad operare in siffatta guisa dovette dunque essere costretta da una qualche causa estrinseca; e questa causa, per avventura, si ha da ricercare nelle dottrine allora dettate da’ pubblicisti sostenitori del diritto divino e dell’ autorità teocratica. Il Capo dello Stato (siccome costoro insegnavano) era padrone assoluto delle persone e dei beni 20 306 GIORNALE LIGUSTICO de* sudditi; per conseguenza i diritti civili e politici, nonché le franchigie comunali, si aveano da considerare non altrimenti che una~usurpazione commessa a danno dello Stato medesimo. Ora i genovesi, erano seguaci dell anzidetta dottrina al pari dei più potenti e lodati Monarchi d Europa; e pei ciò doveano riguardare le domande di riforme avanzate dai còrsi come tanti attentati contro la Repubblica. Da quanto fu esposto si può dunque affermare: che la dominazione genovese sulla Corsica dall anno 1562 fino alla cessione che poi venne fatta dell’ isola al Re di Francia nel 176b, fu difettosa non tanto per gli ordinamenti in essa stabiliti, - quanto per l’inettitudine dei Governatori, e più ancoia per gli atti arbitrari e le infrazioni alle leggi ed alle convenzioni commesse dai medesimi; abbenchè però siffatti sconci non sieno tali da giustificare le imputazioni e le esagerate asserzioni inserite dal Natali nel suo Cut^io Tulliano, e ripetute dall’ autore della Giustificazione della rivoluzione di Corsica. Nè è giusto il far eco agli apologisti di siffatti rivolgimenti, col proclamare la dominazione genovese in Corsica si come ingiusta e tirannica. Perciocché vuoisi anche tener conto dei seguenti fatti: 1.® Che il reggimento della Corsica si mantenne sempre basato sui principii dello Statuto del 1347» quale furono sostituite altre leggi solamente in occasioni straordinarie di tumulti e sollevazioni; 2.0 Che le citta-pre-sidii di Bonifazio, Calvi, Bastia, Aiaccio, San Fiorenzo, rimasero costantemente affezionate e fedeli ai genovesi, perche paghe alle convenzioni strettamente osservate e mantenute dalla Repubblica, nonché per l’utile che traevano dai fondachi in esse città stabiliti dai negozianti genovesi; 3." Che lè gabelle e le altre tasse imposte sull’ isola non erano gravosissime, giacché dedotte le spese ordinarie l’introito non oltrepassava la somma di novanta mila lire genovesi fuori Banco; 4.0 Che la Repubblica debole e disarmata non aveva GIORNALE LIGUSTICO 307 in Corsica un presidio bastevole a tenere in obbedienza le popolazioni; donde il dispregio in cui si teneva 1* autorità dei Governatori specialmente nelle campagne e nell’ interno del- 1 isola; 5.0 Che i derubamenti, gli .omicidii, le devastazioni, la povertà, l’ignoranza, non sono già da imputare alla cattiva amministrazione, ma sibbene all’anarchia che affliggeva le popolazioni; 6.° Che se nelle molteplici sollevazioni ch’ebbero luogo dal 1629 1768, i còrsi avevano ragione e diritto di chiedere delle riforme negli ordinamenti onde erano retti, avevano però torto a lamentarsi che fossero trasgredite le antiche speciali capitolazioni, perchè ribellandosi alla Repubblica essi vi aveano implicitamente rinunciato. Prima di por fine a questo capitolo, conviene eziandio indicare e spiegare un altro fatto, cioè che la. condizione della Corsica durante il dominio dei genovesi se non fu migliore, sicuramente non fu più cattiva di quella cui soggiacquero le provincie allora soggette ai Sovrani di Piemonte, di Francia, di Spagna, d’Inghilterra e di Germania, benché le miserie sofferte dai sudditi dei citati Principi non destassero la compassione degli scrittori, che pure non rifinivano di biasimare il dispotismo del quale i còrsi dicevansi vittime. La spiegazione di questo fatto sarà agevolmente trovata , quando si pensi che Genova era un piccolo e debole Stato, retto per quanto lo comportavano i tempi con libere istituzioni; e per ciò stesso inviso ai Sovrani assoluti, i quali desideravano farlo scomparire. Nel quale sentimento erano unanimi: solamente discordavano nello stabilire la parte che s’attribuirebbe ciascuno nel dividersene le spoglie. Le insurrezioni dei còrsi dovevano adunque per necessità essere da quei Principi ben vedute, perchè appunto sembravano porgere l’occasione d’ effettuare i divisati disegni. Quindi è che non contenti di suscitarle e sussidiarle apertamente, incitavano gli scrittori a censurare la tirannide dei genovesi ed a jo8 GIORNALE LIGUSTICO lodare i conati degli isolani. Questo sistema fu adoperato precisamente da Francesco I ed Enrico II di Francia, da Caterina e Cosimo dei Medici, dai Duchi di Savoia, dall’ Imperatrice d’Austria Maria Teresa, dal Governo inglese e perfino da Luigi XV, il quale pure facea le viste di proteggere la Repubblica. E basti in prova il ricordare gli aiuti forniti a Sampiero della Bastelica, a Domenico Rivarola, al Ceccaldi, al Giafferri, al Gafforio, ed in fine a Giacinto e Pasquale De Paoli. I quali aiuti non erano già dati perchè i capi delle insurrezioni costituissero la loro patria in una Monarchia o Repubblica indipendente, ma perchè operassero in guisa che i loro concittadini si proferissero sudditi di quei Governi stessi che in così strana foggia pigliavano a proteggerli. VII. Sezione di Belle Arti. Tornata del 20 febbraio 1875. Presidenza dei Preside cav. prof. Federigo Alizeri. Il Preside legge: Dei progressi, degli statuti e delle costumante degli scultori in Genova nel secolo XV. Avverte come non pochi fossero i cisalpini che ebbero stanza fra noi, e come gli atti molteplici nei quali è memoria di essi lascino mal distinguere i maestri d’antelamo dagli statuari. Anzi questi due titoli s’incontrano spesso confusi in un solo individuo, vago dell’uno e dell’altro magistero, sì come frequente ne correva il costume. Rassegna quindi gli Statuti che, fatti con approvazione della Signoria, governarono quella gente; la quale formava una scuola 0 famiglia stretta insieme da vincoli di consuetudine, di religione, di patria. Forse avranno avuto aneli’ essi que’ maestri, non altrimenti che i ' dipintori, una propria Matricola; mentre per rogiti notarili GIORNALE LIGUSTICO 309 compaiono i loro Consoli e consiglieri. Osserva come leggi men dure presiedessero alla facoltà dello scolpire, comes’intromettessero nel Consorzio anche i forastieri, e come ai varii periodi dell’arte rispondano famiglie certe d’artisti, con titolo comune o di casato o d’ origine. Allora si avvicendavano tra noi lombardi e toscani; ma vagheggiando un unico stile, le due scuole si mischiavano in una, e spesso più artefici associavansi ad un’ opera sola senza che ne scapitassero l’unità o 1’ armonia. A disvelarci poi i principali di costoro soccorrono gli atti messi a confronto coi monumenti che tuttora hanno esistenza; ma fra i luoghi dove il meglio di ciascun’ epoca si trova accolto, indica 1’ Alizeri siccome precipua la cappella del Precursore in Duomo. Rispetto alla quale accennate le prime ed umili sorti di essa, enumera il Preside i donativi onde 1’ arricchirono poscia i genovesi ; e discorre per ultimo dei disegni giusta i quali i Priori della Consorzia del Battista intesero ad ampliarla. vm. jjjé o- Sezione di Archeologia. , - Ho ( ' - i Tornata del 6 marzo 1875. Presidenza del Preside avv. Pier Costantino Remondini. Il socio can. Sanguineti dà termine alla lettura della sua Dissertazione illustrativa della lapide di Ferrania (1). Dice che verso la metà del secolo XVIII due delle quattro parti del feudo di Cairo erano possedute dal marchese Antonio Maria Scarampi, ultimo maschio della linea di quell’Antonio onde si fe’ cenno sotto il 1431. Una di esse parti dipendeva dall’investitura di detto anno (femminile); l’altra era una delle tre porzioni dipendenti da quella del 1419 (1) Ved. a pag. 160-63 e 246-51. GIORNALE LIGUSTICO (esclusivamente maschile). I due quarti rimanenti poi, si possedevano dal marchese Giuseppe della linea di Bartolomeo. Monsignor arcivescovo Merlini, nunzio pontificio a Torino, ammonì i pretendenti ragioni su quel beneficio a comparire entro certi termini prescritti. Comparvero il conte Stefano Del Carretto di Millesimo, ed il marchese Giuseppe Scarampi di Prunis, non oppositori della conversione del beneficio in commenda equestre. Il io dello stesso mese prima che emanasse il R. Decreto, mori il marchese Antonio Maria, e nel successivo dicembre il marchese Giuseppe. Il marchese Antonio Maria Scarampi aveva chiamato erede universale la successione di sua sorella Vittoria Maria maritata col conte Alessandro Ponte di Scarnafiggi, da cui era nato Ignazio Giuseppe, padre del conte Ottone Filippo, che a quest’epoca raccoglieva 1’ eredità del prozio Scarampi. Si erano intanto moltiplicati i pretendenti; ma siccome tutti si accordavano sul punto della conversione, perciò questa ebbe luogo : del patronato si litigò ancora lungamente. I pretendenti di nome Scarampi partivano dalla convenzione del 1526 e dalla Bolla del 29. I Del Carretto, dei quali sorsero varii rami, mostravano il patronato appartenere alla discendenza dei fondatori, le Bolle pontificie non poter annullare cosiffatto diritto. Il conte Costa della Trinità contrappose alla trasmissione del patronato per donna in Scarnafiggi un egual diritto, ma anteriore per la sua casa portatovi da un altra Scarampi. Intervenne anche il Regio Patrimonio rappresentato dall’avv. Scala, il quale con molta dottrina sosteneva che la disciplina della Chiesa non avea mai permesso ad alcun suddito 0 vassallo di acquistar patronato di chiese conventuali o collegiate pel solo titolo di fondazione 0 dotazione, aver sempre richiesto la superiorità territoriale ecc. E la cosa era così complicata da non venirne mai più a capo, quando il re Carlo Emanuele con Biglietto firmato GIORNALE LIGUSTICO 311 di sua mano (senza data) troncò il nodo gordiano avocando a sè la causa. Questo è l’ultimo documento relativo a tale affare, che si trovi nell’Archivio De Mari. Il Decreto Reale che quindi emanò, sarà probabilmente rimasto nell’Archivio dell’Ordine. Conosciamo però dall’ effetto di qual tenore dev’ essere stato, da che la commenda restò in casa Scarnafiggi. Da questa poi passò in casa Seyssel d’Aix parimente per eredità femminile ; ma di siffatto trapasso niun documento esiste nell’ Archivio De Mari, come è naturale. Nel 1819 il marchese Seyssel d’Aix vendè al marchese Marcello Durazzo, patrizio genovese, i beni di Cairo, Ferrania, Rocchetta, Vignaroli ecc.; ma per poter effettuare la vendita di Ferrania unitamente agli altri fondi, dovè provocarne lo svincolamento, portando il vincolo della commenda sopra altri suoi beni liberi. I documenti relativi a Ferrania, per la trasformazione in commenda mauriziana, erano stati trasferiti nell’Archivio del-1’ Ordine. Dopo la morte del marchese Durazzo, entrata in possesso di questa parte di eredità la figlia marchesa Nico1 letta, il suo consorte marchese Ademaro De Mari pensò che dopo lo svincolo di Ferrania, le carte ad essa relative avevano più ragione di essere in mano dei possessori del luogo che presso l’Ordine, a cui Ferrania era divenuta al tutto estranea; ed ebbe la soddisfazione (benché non senza difficoltà) di ricuperarle. Questa collezione di documenti ha somministrato al Disserente la materia di questa esposizione storica della chiesa e del suo patronato. Tornando in ultimo il can. Sanguineti al punto donde era partito, cioè alla lapide, e allegando documenti del tempo conferma ciò che, anche indipendentemente da questi, si era sempre tenuto: il soggetto della epigrafe essere Agnese di Poitiers moglie di Pietro figlio di Adelaide contessa di To- 3 12 GIORNALE LIGUSTICO rino; e ad essa Agnese competere le due circostanze indicate nella pietra, cioè 'Pictavorum stirps nobiliorum e nurus Adalasiàe. Non disconosce però la difficoltà che tuttavia s’incontra nel modo di collegare la memoria di questa donna col luogo di Ferrania. Rigettata la dottrina di Gaspare Sciavo che invocando un atto notoriamente apocrifo, suppone Bonifacio I, / conte e marchese di Savona, divenuto genero di Agnese ; segue piuttosto la sentenza" del San Quintino, il quale citando 1’ autorevole testimonianza del monaco Vincenzo Baroli afferma non potersi dubitare che un’ Agnese fu seconda moglie del detto Bonifacio. Così sarebbe spiegato il ritiro di quella Principessa negli ultimi suoi anni, all’ombra di un santuario fondato o almeno riccamente* dotato dal marito di lei, e stato sempre oggetto di sua predilezione. BOLLETTINO BIBLIOGRAFICO . America not discovered by Columbus « America non isco-perta da Colombo ». Questo cappello riverentemente distaccato dal resto del titolo ed in caratteri distinti, per meglio attrarre 1’ attenzione, mi avvenne di leggere alcuni mesi fa in diversi cataloghi. Allora non ci badai più che tanto, dovendosi concedere qualche cosa alla réclame del libraio ; ma oggi lo stesso titolo mi ritorna sotto gli occhi nel Mémorial Diplomatique del 31 luglio scorso, dopo essere passato pel Journal de la Meurtbe et des Vosges, e colla giunta e guernizione di un articolo del signor E. Mofras du Congrès des Américanistes. Il quale non contento di togliere a Colombo l’onore d’a-vere scoperto l’America, almeno una seconda volta, rinca-risce la dose ponendo in guardia i suoi lettori contro un opi- GIORNALE LIGUSTICO 313 mone troppo generalmente ammessa. Colombo non ha scoperto 1 America, perchè,non ne aveva l’intensione, e perchè egli è molto sen^a sapere di aver trovato un nuovo continente. Pare dunque che Cristoforo nello stesso tempo abbia trovato e non trovato ; o che non si possa trovare nulla senza averne la cognizione esatta della forma; o che per trovare proprio una cosa bisogni anche saperla battezzare col nome che le darà la posterità. Staremo perciò a vedere se secondo la sua teoria il signor Mofras ci proverà che, come il continente nuovo, cosi anche il nome d’ America era già stato scoperto nel 1001 dal norvegiano Leif figlio d’ Erico. Se 1’ articolista ci pare poco felice nel suo zelo di far largo al nuovo libro, vorremmo sperare almeno delle novità vere e solide dall’Autore del libro stesso, il Prof. Anderson del-1’ Università del Visconsin negli Stati Uniti. Giacché il soggetto da lui trattato fu da molti anni più volte ampiamente e dottamente discusso, come sotto vedremo; e se egli non ci recasse di nuovo che una pietra da gittare contro Colombo, 10 dovrei lagnarmi con lui come già ebbi a lagnarmi con un affittajolo de’ miei, il quale senza alcun suo interesse passava 11 confine per inquietare il vicino e frattanto trascurava di ben lavorare il mio campo. Ho detto vorremmo sperare; ma non posso tacere che una voce autorevole e pienamente informata delle pubblicazioni nuovissime di simil genere mi sussurra all’ orecchio : che il libro dell’ Anderson è una rifrittura di cose dette le mille volte0da Rafn in poi (1); e pare che me lo confermi anche non volendo il signor Mofras, chiudendo il suo articolo con dire che gli manca lo spazio ed il tempo per spingere oltre 1’ anàlisi del signor Anderson. Ma se gli mancava lo spazio (1) America not discovercd by Columbus. A historical sketch, by Professor Anderson. Un voi. in 8.' ; Chicago 1874. 3*4 GIORNALE LIGUSTICO ed il tempo di dir di più, perchè mai non aver profittato del poco che ne aveva avuto per dire appunto quel più di nuovo che 1’ Autore avea scoperto ? mentre per contrario ci ricanta la cantilena che conosciamo almeno dal 1838, che nel 1001 Leif sbarcò a Terranova ecc., nel 1002 lo segui il fratello Thorwald, nel 1005 li raggiunse l'altro fratello Thorstein , nel 1008 Thorfinn ebbe da Gudrida un figlio Snorre, il primo bianco nato in America. Ma dico male: una novità c’è. Da quello Snorre, il primo bianco d’America, discese l’illustre scultore Thorwaldsen; e questa notizia è riferita, dalia cronaca. Deve essere una cronaca singolare questa che per lo spazio di otto secoli abbraccia Snorre e Thorwaldsen ! Peccato che non ci venga detto ove la si possa leggere. Ma si badi : noi siamo ben lontani dal non apprezzare convenientemente i viaggi e le imprese di que’ Normanni arditi e valorosi, che empierono del loro nome il mondo conosciuto e lasciarono in Italia sì grandi tracce storiche. Ristringendoci anche al soggetto che ora ci occupa, noi pure ammirammo le profonde ricerche del dotto e infaticabile Rafn, il Segretario della Società Danese degli Antiquari del Nord (1). Il quale per primo tanta luce sparse sulla storia e topografia comparativa dell’Islanda, della Groenlandia e dell’America settentrionale; aiutandosi a dimostrare l’arrivo dei Norvegesi in America, delle saghe 0 tradizioni delle cronache dei secoli XI e XII, dei monumenti, e perfino, delle osservazioni astronomiche onde determinare la latitudine. Conosciamo pure per cortesia dell’ Autore il recente ed elegante libro del signor Gravier, membro di un’ altra Società di Antiquari della Normandia Francese, intesa aneli’essa ad (1) Antiquitates Americanae, edidit Societas Regia Antiquariorum septen-tionalium studio et cura C. Ch. Rafn; Hàfniae 1837-1845. Ivi segnata-mente: Mémoire sur la découverte de l’Amérique au X Siècle; Copenaghen 1845. giornale ligustico 315 illustrare le glorie degli antenati venuti dal settentrione (i). Ed il signor Gravier è a ragione lodato dal signor Mofras per pienezza d erudizione, ma poteva aggiungere e per coscienza e buona fede nel dare a ciascuno il suo; citando egli ad ogni piè sospinto i suoi numerosi fonti antichi e moderni. Di che potè fare un lavoro ben ordinato, lucido, attraente, e che in non molte pagine comprende la storia dei più antichi pas-saggi fino alla rovina delle colonie normanne in America. Ma nè 1’ uno nè 1’ altro dei lodati scrittori ebbero mai in pensiero di negare i meriti di Colombo. Il signor Rafn in una circolare che indirizzò agli Istituti scientifici nel 25 giugno 1864 inchiude un articolo scritto in lingua spagnuola, il quale lodando gli studi e risultati ottenuti da lui, aggiunge: facilmente se concibe que el conocimiento de esto echo no rebajarà el gran merito del immortai Cristovai Colon. Da parte sua il signor Gravier non si perita a riconoscere come cosa assai probabile ed appoggiata a tradizioni e monumenti, che anche (1) Découverte de l’Amérique par les Normands au X siècle; Paris et Rouen 1874, con due carte. Agli autori citati da! dotto Francese abbiamo la soddisfazione di aggiungere il nostro illustre senatore conte Miniscalchi-Erizzo, il quale nelle sue Scoperte Artiche (Venezia 1855) consacra a questo soggetto le pagine 75-118 svolte colla consueta maestria. Sulla parte speciale dei viaggi del Zeno è ora indispensabile leggere il nuovo lavoro del ch. H. R. Major del Museo Britannico : The voyages of thè Veiietians Irothers Nicolò et Antonio Zeno (Londra 1873, pubblicazione della Società Hakluyt). Dove con nuove ed acute considerazioni è posta fuori di dubbio la veracità e 1’ autorità di tali viaggi. La traduzione della Prefazione dell’Autore, egregiamente fatta dal signor Carraro, si veda nell’ Archivio Veneto 1874, pagg. 301-326, e 1875 pagg. 263-304. Il signor Gravier, col medesimo scopo di rimettere in onore i meriti dei Normandi di Francia, ha più recentemente pubblicato e fatto precedere da dotta Introduzione, con carta, note e diligente indice, il raro Livre de la conquête et conversion des Canaries (1402-1422) par Jean De Bethencourt; Rouen 1874. GIORNALE LIGUSTICO prima dei Normanni altri popoli sieno giunti in America dal vecchio continente : fra i quali i sacerdoti irlandesi venuti per diffondere la fede cristiana. Le quali cose racconta pure il signor Rafn e con maggiori particolari, per accrescer peso alla tradizione: che cioè fin dal 983 1’ islandese Are Marson fu sbattuto dalla tempesta su di una costa che il dotto Autore spiega essere quella tra la Baja Cheasapeake ed il Canale della Florida; che ivi il naufrago trovò gli uomini bianchi (Hvitramanna) dai quali fu battezzato. Ed il Rafn ne deduce che questi bianchi dovevano essere Irlandesi, dappoiché quella terra ebbe nome di Grande Irlanda (Irlande it mikla) (1). Del resto le antichità messicane, per es., cosi bene illustrate dal signor Brasseaur de Bourbourg, accennano ad immigrazioni ivi antichissime e preistoriche; e molto meno antiche, ma misteriose ancora, le antichità peruviane fanno fede di monumenti e popoli civili trovati fra gli indigeni selvaggi. D altra parte 1’ America al settentrione si raccosta grandemente ed all’Europa ed all’Asia, per guisa che, secondo una felice espressione del signor Viollet-Le-Duc citata dal Gravier (pag. X), la quistione non è più se fin da antichissimo tempo siasi penetrato al nuovo continente, ma bensì per qual parte ci sieno penetrati, se da Greco 0 da Maestro? Vedasi invero in una carta geografica' come dall’ una e dall altra parte i due mondi si colleghino con una serie direi quasi di tappe o di scali ; verso 1’ Asia mercè le isole Aleutine, che a guisa di festone incurvano le comunicazioni del passaggio sotto lo stretto di Behring; dall’altra parte verso l’Europa, sia dalla Islanda o dalla Scozia, sia dalla Norvegia alle Oreadi, alle Feroe, alle Sheland, all’Islanda, alla Groenlandia, all’ America. (1) Memoria citata, pag. 17. giornale ligustico 317 E quest ultimo fu difatti il cammino seguito poco a poco, d anni in anni, anzi con intervallo di più d’un secolo, dai Norvegesi ; i quali nemmeno essi sognarono d’avere scoperto un nuovo continente tra Europa ed Asia come il signor Mofras ne addebita soltanto Colombo, ma credettero passare di isola in isola. E l’Articolista confessa che tale passaggio pei Normanni era facile, tanto più pel clima che allora in que’ paraggi era più dolce; mentre soltanto assai più tardi, e per cause non ancora ben chiarite, la Groenlandia è divenuta quasi inabitabile. Ed in ciò pure concordano i signori Gravier e Rafn: l’ultimo in ispecie (pag. 4, loc. cit.) conchiude a questo proposito: la découverte de l’Amérique nous paraîtra une suite naturelle des courses aventureuses et des événements de l’époque. Pertanto, se il nostro ragionamento corre, l’America fu raggiunta più e più volte dai tempi preistorici ai Normanni, a Colombo; ma, come le antichissime immigrazioni non lasciarono traccia della loro storia presso il vecchio continente , cosi anche i Normanni aveano abbandonato le colonie del-1’occidente, 0 erano periti colà senza che se ne conoscesse più dai loro fratelli europei nemmeno la giusta posizione, allorché Colombo partì per l’America. Ed anche se egli l’avesse conosciuta non avrebbe saputo che farsi di isole lontane ed in rigido clima; egli che agognava all’impero, ricco di ogni ben di Dio, della Cina e del Giappone. La scoperta di una medesima cosa si può rifare quante volte essa fu perduta; ma il merito principale tocca a chi ha superato le maggiori difficoltà, a chi a maggiore tenacità di propositi ha unito maggiore altezza d’idee. Ora, lo capisce chi vuole, è appunto questo che distingue il nostro concittadino dagli scopritori precedenti 0 successori sulla via dell’America; non l’aver fatto qualche grado più qua che là, più sù che giù, ma l’avere pel primo affrontato il mare dalla 3i8 GIORNALE LIGUSTICO parte più vasta e infame di paurose tradizioni ; 1’ avere teoricamente voluta la circumnavigazione del globo, e praticamente mente eseguita per gran parte, affidandone ad anni non lontani il compimento. Al postutto potremo a buon diritto conchiudere al rovescio di quello onde pretendevano farci incominciare i signori Anderson e Mofras : L’ America scoperta da Cristoforo Colombo. C. D. Curiosità e ricerche di Storia Subalpina — Torino, Bocca 1875. Puntata IV. La monografìa dell’ egregio avv. D. Perrero intorno al matrimonio del principe Emanuele Filiberto di Savoja-Cari-gnano sì acremente avversato dal prepotente Luigi XIV, porse felice opportunità di compilare una speciale scrittura, che dovrà comparire a suo tempo in questo Giornale. Ci dispensiamo perciò adesso dal discorrerne. Il facsimile di una lettera dell’illustre Daniele Manin, prodotta con bella illustrazione dal comm. Bianchi, ha buona ragione di comparire in questa raccolta essendoché richiama al memore pensiero un documento storico appartenente a quel periodo del nostro risorgimento nazionale', in cui il Piemonte era impulso e centro della vita politica italiana. E viene a tempo altresì per mettersi compagna ai molti documenti editi ed illustrati nell» Archivio Veneto del dotto ab. Fulin, intorno a Venezia e quel suo illustre cittadino. Il cav. Vayra compie la pregevole sua scrittura intorno alle Streghe del Canavese, coitedandola di peregrine notizie e di non comune erudizione, e producendo i processi e le sentenze della Inquisizione sul cadere del sec. XV, come documenti di pregiudizi deplorevoli e d’ insano fanatismo. Una lettera del principe Eugenio di Savoja, datata del 5 agosto 1685, ci rivela come quel falso inviato del Duca giornale ligustico 319 di Savoia a Vienna, del quale fu scritto in una delle puntate antecedenti, fosse di Mondovì. Uscito di Vienna s’ era ridotto ad un vicino monastero, dove pretestando la uccisione d’un uomo ottenne un abito fratesco e s’ avviò verso Praga donde sembra divisasse irsene ad Amburgo. L 01 dine del libro ci conduce ad una parte piacevolissima, e questa fiata d’interesse municipale come quella che discorre assai largamente d’ un nostro concittadino. Il quarto articolo del Tesoretto di un bibliofilo piemontese, con si svariata dottrina redatto dal barone Antonio Manno, s’ aggira per intero sopra i componimenti satireschi in Piemonte. Toccato dei pochi antichi, scende a parlare degli scrittori di satire dei secoli XVIII e XIX, e produce notizie degli scritti del conte Francesco della Morra, d’ Edoardo Calvo e di quel giocondo ariosteo ingegno che fu Ludovico Sauli, benemerito della nostra patria istoria, il cui Castello delle mollere svegliò un vespaio nella società torinese, e fece rumoreggiare sul suo capo la tempesta della Corte. Più a lungo si trattiene intorno a Giovanni Antonio Maria Baratta, avvertendo come a tacer di costui non si ritrarrebbero bene « i tempi carlalbertiani »; si che ne tesse un cenno biografico degno d’ esser regalato ai nostri lettori. « Nacque Giovanni Antonio Maria Baratta in Genova, ai iS marzo 1S03, di famiglia di scultori oriondi da Carrara (1). A vent’ anni ricevea l’anello e la toga d’ avvocato. Poi, capriccioso fin d’ allora, la scambiava coll’ abito ancorato del marinaio, ed era sul naviglio che nel 1825 tuonò contro a Tripoli. Di ritorno a Genova, fecene are Carlo Felice tanto meravigliosa relazione che, cosa insolita pe’ tempi e pel Sovrano, venne fregiato a ventitré anni della croce di grazia del-POrdine Mauriziano (2). Quindi bazzicò pei consolati, poi (1) Campori G., Memorie degli scultori di Carrara, Modena 1873, passim. (2) PP. Magistrali 16 luglio 1826. GIORNALE LIGUSTICO nella Segreteria di Stato, or direbbesi Ministero, per la Sardegna; poi nuovamente ne’consolati di Barberia con frequenti chiamate a Torino, forse per valersi della sua focile penna ne’ dispacci difficili (i). Ma come nell’ armata non potè afferrare le cordelline d’ammiraglio, neppure in diplomazia non potè vestire quell’ abbagliante purpurea divisa che portavano i nostri consoli generali negli scali del Levante. Nel 41 fu fermata di botto la sua carriera. Perchè, non si sà ; sarà, come al solito, per politica. Non usava però lagnarsene. « Si mise allora a scrivere per vivere. Ma l’intemperanza, l’abito di scialare, gl’immiserirono la vita. Noie di editoii, cui non consegnava il pattuito manoscritto. Noie di creditori stanchi del rinnovare respiri. Senz’ ostello e quasi senz abiti, abbenchè portasse con maestà romana un certo vestone rifinito, abbottonandolo fino al mento, magàri per iscusare un vestimento più recondito. Vivacchiava compilando per libri (2), scrivendo su giornali anche di diverse parti; ed appena toccati i quattrini, oziava a spassarsela in brigate. Questo pero s’ aggiunga a lode sua, ed è che ben poco v’ è da dire su quanto licenziò per le stampe. L’ epigramma più frizzante gli sfuggiva currenti lagena, e veniva più spesso raccolto dagli amici che ricordato da lui. Anzi, male capitò al marchese R....., genovese, « il quale (son sue parole) essendo riescito a farne stampare 400 nella tipografia del Risorgimento, dovè (1) Dopo essere stato allievo console, ed applicato alla R. Segreteria per la Sardegna, fu vice-console di 4.1 classe nei consolati d Africa e Levante (PP. 10 nov. 1834), promosso quindi alla 3.* classe (PP. 27 agosto 1835) e finalmente giubilato con lire 400 all'anno (PP. 22 die. 184.1 ). (2) Costantinopoli nel 18 ji, Genova 1831; — Risposta ad alcune osservazioni in quesf opera, Genova (s. a.); — Costantinopoli effigiata, Torino 1840; — Bellezze del Bosforo, Torino 1841 ; — Cenno sul p. Filippo Grosso, missionario, Torino (s. a.); — Cenni sul Castello di Rncconigi, Torino 1845, ecc. ecc. giornale LIGUSTICO 321 so Hi ii c eh io rompessi a furia le pagine già preparate, a mia insaputa, tianguggiando anche una lettera il cui tenore non era certo piacevole » (pag. 735-37). » Anche sugli ultimi non l’abbandonò la vena. Passeggiava badaluccando pe’ viali della Cittadella, quando venne colpito da un grand’albero che stavano atterrando. Ed egli, egli, che non ebbe un fauno geniale che gli sviasse il colpo (1), ne i isentì grave danno al corpo, ma sciamò : « A lieto premio del mio lungo canto » Una fronda d’ allor sperai soltanto. » Ma la città che ha il toro per bandiera, » M’incoronò con una quercia intiera ». » Presto'però dovette condursi allo spedale di San Giovanni, e quivi finì la vita addì 8 giugno 1864 (2). » Fu scritto che in Baratta era continua la lotta del genio col bisogno. Ma in lui non eravi genio, ma ingegno moltissimo; e se lottò coi bisogni ed anche colla fame, fu gladiatore volontario. » 1 utto aveva per vivere vita felice ed onorata. Nascita distinta, censo sufficiente, stimolo di precoci onori, due carriere aperte e tentate. Ma di tutto fece per contristarsi gli anni maturi. (1) Me truncus illapsus cerebro Sustulerat, nisi Faunus ictum Dextra levasset; Mercurialium Custos vivorum (Hor. , II, XVII, 27). (2) Non mancò, come fu stampato, nell’ospedale de’ cavalieri. « Non volle più ricoverarsi all’Ospizio Mauriziano perchè non aveva potuto ottenervi il posto di Bibliotecario. E non l’ottenne primamente perchè non esisteva in pianta, e bisognava crearlo per lui ; poi perchè, pur troppo, s’ era sperimentato pel corso di anni due che Antonio Baratta era un elemento dissolvente per ogni società in cui fosse collocato. Del rimanente non guardando all’indole, Baratta era l’uomo il più spiritoso', ed il più leggiadro raccontatore ch’io abbia conosciuto mai » (postilla ms. di Cibrario). GIORNALI'. LIGUSTICO » Volessero i malandati, che sono tanti, e se ne vantano, trarre frutto dagli insegnamenti; e che non basta l’ingegno, quando il cuore svia ed il piede scherza sul precipizio » (pag. 748). ' A porgere esempio dell’ attività ond’ egli improntava i suoi epigrammi, ne produce il sig. Manno ben cinquantuno. Alcuni fra questi furono già editi nel 1866 dal Conte Cavour, giornale di Torino, e ristampati dal nostro Movimento (Supplemento Straordinario 50 Aprile 1S66). Ah ri argutissimi quivi sono che nelle Curiosità non si trovano. Lo stesso nostro giornale (11 Giugno 1864) riportò le parole consacrate al Baratta dalla ‘Discussione, dall’ Eco della Stampa e dalla Galletta di Genova. A corredo di questo suo lavoro sopra i satirici piemontesi pose il Manno un largo e diligente cenno bibliografico sopra i celebri scritti maccaronici dell’ astigiano Giorgio Alione; la narrazione del tumulto degli studenti di Torino nel 1791 a proposito della bella Cabassina; e per fine una satira in vernacolo di Cesare Balbo colla risposta del Sauli. Chiude il volume presente una interessante quanto accurata notizia di alcuni dei principali manoscritti che dalla metà del sec. XVI a quella del susseguente furono offerti ad alcuno dei Principi sabaudi. Ne è autore il eh. Vincenzo Promis, valoroso superstite d’ una dotta famiglia. Egli illustra qui un libro d’ orazioni che appartenne a Margherita di Savoja; un altro pur simile donato a Margherita di Valois da Cristoforo Duch nobile di Moncalieri nel 1559; un volume dell’ architettura di Francesco di Giorgio Martini trasmesso da Guido-baldo Duca d’ Urbino ad Emanuele Filiberto nel 1568; l’opera il Cavaliero di Andrea Foco, con disegni a penna di un Giambattista Veneto, offerta al detto Duca; al quale è pur dedicata altra operetta intitolata Teoria militare di Giorgio Gualtero da Chieri. Segue col titolo di Theatrum orbis terrarum un giornale ligustico 323 portolano in pergamena, composto nella Spagna c forse destinato a D. Caterina moglie di Carlo Emanuele Ï; dopo il quale viene descritto un piccolo Ms. contenente la narrazione dogli sponsali di D. Francesco Gonzaga con D. Margherita di Savoja, alla quale è dedicato dall’autore che appa-nsce essere un conte Francesco Donino allora prigione nella rocca eli Mantova. Finalmente sono brevemente indicati tre volumi atlantici contenenti balletti celebrati alla Corte di Savoja sul mezzo del seicento, e ricchi di bei disegni e di fregi. Reputiamo inutile accennare all’amorevole diligenza onde il Promis illustra e storicamente ed artisticamente siffatte preziosità, essendo oggimai ben noti ai letterati gli applauditi suoi scritti. Ben ci piace augurare a questa pregevole raccolta delle Curiosità, che compie un anno di prospera vita, una conforme continuazione a beneficio degli studi e a decoro del paese. VARIETÀ Glossario latino barbaro. — Nell’ adunanza tenutasi il 9 maggio p. p. dalla R. Accademia di scienze, lettere ed arti di Padova, il prof. Andrea Gloria « leggeva una sua proposta di un Glossano latino barbaro volgare d’Italia del medio#evo, lavoro grandioso che riuscirà utile agli studiosi e alla nazione ». Il chiaro proponente avvertendo a buon diritto come gli elementi di un tale Glossario si debbano in precipua guisa attingere agli atti originali dei vari Archivi d’Italia, traccia le norme che stima acconce• alla migliore riuscita dell’ opera, ed annuncia avere di già egli stesso'raccolte nei documenti padovani non meno di ottomila voci. Quindi « invita i cultori di simili studi a fare altrettanto, segnatamente di Venezia, Udine, Torino, Milano, Bologna, Napoli, Palermo, Firenze, Roma » (1). Conoscendo la rara valentia del dotto Professore nelle discipline paleografiche ed archeologiche, applaudiamo di gran cuore al suo concetto, che è non solo scientifico ma patriottico; e facciam voti perchè possa presto avere degna e piena esecuzione. Anche la nostra Società Ligure di Storia, intesa com’ è allo studio dei patrii documenti, aveva già da parecchio tempo dovuto convincersi della suprema necessità del-1’ opera intorno a cui il solerte prof. Gloria ha sì opportuna- (1) Ganctta Ufficiale M Regno, num. 174, 28 luglio u. s. 324 giornali: ligustico mente richiamata 1’ attenzione degli accademici suoi colleglli ; e perciò non è senza vivo compiacimento che rileggiamo il verbale della Sezione d’Archeologia per • la tornata del 18 febbraio 1865, laddove s’incontrano queste parole: « Il marchese Lazzaro Negrotto-Cambiaso, testò eletto Preside, ringrazia con breve Discorso i colleghi dell’ onore oonfer-togli, ed insieme ragiona di alcuni lavori ai quali si potrebbe attendere dai soci. Sono fra questi un Glossario suppletivo al Du-Cange per le voci latino-barbare degli atti genovesi ». Ai quali però saremmo indotti a credere che 1’ esimio Professore non attribuisca per avventura tutta quella importanza che meritano, se consideriamo che egli tace affatto di Genova e della Liguria, pur movendo appello, come abbiam veduto, agli studiosi di più altre città d’Italia. Ma forse la lacuna non è imputabile che alla redazione del verbale donde togliamo la gradita notizia; giacché a convincersi come gli Archivi nostri costituiscano una sorgente inesauribile, basterebbe uno sguardo al Glossaire Nautique dello Jal, molta parte del quale può dirsi appunto compilata col sussidio degli Statuti marittimi e de’ rogiti notarili genovesi. Ciascuno poi intende come l’Archivio delle Compere di san Giorgio debba offrire di per sè una miniera di frasi e voci d’ economia e di commercio, le quali per essere proprie della celebre Istituzione sarebbe vano cercare altrove. Congresso Scientifico di Palermo. — A questo Congresso che verrà inaugurato con istraordinaria solennità il 29 agosto corrente, la Società Ligure di Storia Patria ha delegato a rappresentarla l’illustre prof, senatore Michele Amari. Questa scelta, oltre che torna di grande onore pel nostro Istituto, ci sembra anche da riguardare come una'testimonianza di nobili simpatie verso la capitale della Sicilia. L’insigne Storico dei Vespri porgerà al dotto Consesso una speciale notizia dei lavori compiuti dalla Società nell’ ultimo biennio accademico. Spedizione equatoriale. — Anche nella nostra città si è costituito un Comitato promotore della spedizione italiana nell’Africa equatoriale; e lo compongono i signori: Giacomo D’Oria, Andrea Podestà, Vittorio Arminjon, Arturo Issel, Stefano Ludovico Pallavicino, Luigi Tommaso Belgrano, Stefano Castagnola, Daniele Morchio, Jacopo Virgilio, Luigi Ansaldo, Anton Giulio Barrili, E. D’Albertis, Enrico Bixio, Domenico Elena. Pasquale Fazio Rt’spoiisnhiìe. giornale ligustico 525 LETTERA DEL PROF. T. LUXORO Genova, i.° Settembre 1875. Onorevoli Signori Direttori del Giornale Ligustico, La lettera che il Prof. Alizeri ha stimato indirizzare alle SS. LL. a riguardo del mio povero scritto sull’ Ufficinolo Du-ra^xPi mi obbliga pregarle a voler benevolmente derogare dall’espresso proposito sulla chiusura dell’incidente, per dire che la sostanza e la forma della lettera suddetta mi permettono rimettere con molta fiducia ai cortesi lettori del Giornale Ligustico il giusto apprezzamento della insorta questione. Porgo Loro anticipate grazie e cordiali saluti. Tammar Luxoro. DEL NOME GENOVA Sono conosciute e screditate le etimologie del nome Genova, adottate e divulgate nei secoli addietro : « Gennes aul-trement dicte Janne, comme dient aucuns fut ediffiee de Genno filz de Saturne ainsi appelle : sur le rivaige de la* mer ligu-stine. Paulus perusinus dit que quant pheton vint degypte il arriva en la mer ligustine ou il fist descendre lung de ses com-paignons a terre appelle Gennyvum le quel estant mal dispose pour lair de la mer commença fort a vomir : et le constitua garde avec aucunne partie de ses navires sur le rivage de la mer. Auquel lieu se accointa et ioingniuavec les habitans du pays qui estoient hommes silvestres quasi comme geans : et en celluy lieu ediffia une cite laquelle il appella par son nom Gennes. Les autres dient quelle fut fondee de Janus roi dy-tallie et que après la destruction de troye elle fut augmentee de ianus prince des trovens: auquel lieu fut premier adore 52 6 GIORNALE LIGUSTICO lydole de ianus bifrons » (i). Alle quali si aggiunga l’altra etimologia nata dalla corruzione medievale del nome in Janna e confermata dallo stemma con una porta, quasi che il nome alludesse all’ idea di Porta d’Italia (2). Ques.te notissime derivazioni hanno perso, ripeto, ogni credibilità ; mentre è meno divulgata e più degna di considerazione una etimologia varie volte proposta a’ tempi nostri in Germania. Epperò quantunque io non possa corredarla di nuovi argomenti (V. però sempre l’Annalista in Pertz, t. XVIII, p. 290), la reco qui quale è, come nell’ archivio naturale delle sparse illustrazioni di cose ligustiche. Il Dilthey nell’Archiv fiir nèuere Spr. u. Lit (III, 1, p. 40) raggruppa Genita (Genova), Genita (Ginevra) e Genabum (Orléans o Gien) e dà per base comune a questi tre nomi di città la radice gen, gemi, ginocchio. Consente il Becker nella Zeitschrift fiir die Altcrthiiiiiswissenschaft (1851, p. 451), citando 1’ opinione del Dilthey ed esponendo come la forma primitiva conservossi più pura nei nomi Genua, Genuenses, Genuates della Liguria ; poi nel nome della Genita elvetica, modificato però in quello degli abitanti : Genavenses; mentre come denominazione della città dei Genabenses della Gallia , non è più attestata da alcun documento, essendo solo rimasto il derivato Genabum, parallelo ai derivati Genova ligure e Genava (cf. Genavenses) elvetico. La medesima etimologia è nuovamente proposta dal Vanicek, Etymoìogisches Wòrterbuch der Lateiniscben Spi ache (1874, p. 50), con questa diversità che mentre il Dilthey ed il Becker scorgono la ragione del nome in una curva descritta dal- mare o dal fiume, egli senz’ aver notizia , a quanto pare, degli anzicitati, la vede nel rialto , (1) La Cronaca di Genova pubblicata in Parigi nei primi anni del secolo XVI, riprodotta da Vincenzo Promis (Estratto dal volume X, fascicolo II degli ^4 Iti della Società Ligure di Storia Ta tria), p. 23. (2) lAtti della Società Ligure, vol. Ili, p. 525. giornale ligustico 327 nella prominenza del suolo. — Come confronto potrebbesi addurre il nome di Ancona notoriamente connesso colla voce greca Ancòn, gomito. FAMA DEGLI INGEGNERI GENOVESI circa il mc. I secoli X e XI furono pei Genovesi pieni di terrore, odio e respingimento dei Saraceni, di cooperazioni o rivalità coi Pisani, di virtù militari, di lotte per l’esistenza. Qui mancano annali ed abbiamo poche notizie, ma eloquenti. Nel 935 i Saraceni saccheggiano Genova, lasciandone terribil memoria e lunghi danni. Nel 963 in carta di Teodulfo vescovo è ricordata la devastazione dei beni di quella chiesa predati, spopolati da essi. Nel 1008 è novamente e amaramente lamentata in carta del vescovo Giovanni. Nel 1016, sotto Benedetto VIII, i Genovesi si uniscono coi Pisani per cacciarli dalla Sardegna. Nel 1056, la carta marchionale ai Genovesi parla delle correrie de’ Saraceni come di Aventi ad ogni ora temibili. Nel 1088, dopo aver guerreggiato ben tre volte in un decennio contro i Pisani, unitisi di nuovo con essi armano e corrono su i Saraceni (1) ecc. Ora quel tempo anteriore agli annali, quel passato pieno di guerre e di pericoli, che fece dire a Cesare Balbo di Genova e Pisa in quei secoli: « io crederci molto minore la potenza commerciale, che non la potenza militare navale di quelle città » (Pensieri s. st. d’It. p. 184), quel passato ce lo prova (1) Pertz t. Vili, p. 347; t. XVIII, p. 289. — Lib. tur. I, p. 7, n. 4. — Atti della Soc. Lig. II, p. 431. — Dove, De Sardinia insula 1866, p. 50. — Lib. iur. I, p. 12. — Dove, op. cit. p. 92. — Carmen in victoriam Pisanorum Genuensium etc. in Bull, de 1' Ac. Roy. de Bruxelles, T. X, 1.' Partie 1843, P- 522^ Atti della Soc. Lig., t. IV, p. CCXVI. 328 GIORNALE LIGUSTICO e compendia, parmi, un fatto che appartiene ai tempi immediatamente susseguenti: cioè la fama, 1’ eccellenza, la dimanda degli ingegneri militari Genovesi. Nel 1099, all’ assedio di Gerusalemme, gran fiducia inspirano i Genovesi prontissimi a tesser macchine, capitanati da Guglielmo Embriaco artefice eccellentissimo (1), e come tale celebrato dal Tasso (2). Nel 1129 volendo i Milanesi stringer Como con una flotta dal lago, chiaman da Genova Artifices noli qui sunt satis ingeniosi Ad debellandos atroces acriter hostes: ' Et repetunt Pisas nec 11011 satis ingeniosas (3). Nel 1173 i Genovesi promettono ai Marchesi di Gavi: Si contingent qnod castrum Gavi seti Monteiarii ohsideatin quod absit nos in adiutorio vestro transmittemus vobis decem balistarios pro defensione uniuscuiusque castri et artifices duos magistros per unumquodque, (4). Nei 1181, similmente agli Alessandrini: ducentos arciferos et tres magistros lignaminis et unum ingeniosum artificem et ballistarios decem (5). Nel 1224 muniscono Capriata e vi fanno un trabocco cum quo Bonus-senior de de Arena vir probus et ingeniosus adversae partis machinas destruebat (6). Nel 1227 castra metati sunt in partibus Albi^ole; et trabuchum unum ibi erigi fecit Potestas, illum videlicet de Marino magistro (7). Dove vedesi, scrive Carlo Promis (1. cit.), che fiorivan gl’ ingegneri singolarmente nelle città marittime. (1) Gugl. di Tiro, Storia à. guerra sacra, Vili. 9. (2) Gerus. Conq., XXIII, 2 segg. Spotorno, St. lett. d. Lig. I, p. 299. (3) Rer. Ital. S., t. V, col. 452; Carlo Promis, Gli architetti e l’architettura presso i Romani, Torino 1871, p. 38. (4) Lib. iur. I, p. 274, n. 296. (5) Lib. iur. II, p. 21. (6) R. I. S., t. VI, col. 436; C. Promis, 1. cit. (.7) Pertz, t. XVIII, p. 163. giornale ligustico 529 L Ingegneria e/'a pur fomentata in Genova dalle guerre veementissime intestine tra famiglia e famiglia, tra una torre e 1 alti a. E quei de Volta e quei de Curia, che nel 1194 componevano macchine inudite come dice l’annalista (1), avranno avuto lor artifices ingeniosi, infiammati anch’ essi da quelle gare. Torino, Agosto 1875. Giacomo Lumbroso. IX. Sezione di Storia. Tornata del 13 Marzo 1875. Presidenza del Preside Antonio Pitto. Il socio Massimiliano Spinola prosegue la lettura delle sue Considerazioni su alcune particolarità poco note concernenti la dominazione genovese nell1 isola di Corsica (2). § II. In questo capitolo prendiamo a pubblicare alcune notizie poco 0 punto divulgate sinora intorno a Pasquale De Paoli; essendo nostro scopo il fornire le cognizioni necessarie per supplire alle lacune, che trovansi nelle elaborate biografie dettate da recenti e reputati scrittori. Dalle citate notizie de-duconsi infatti molte rettificazioni sopra i giudizi che vennero fino al giorno d’ oggi pronunciati intorno alla condotta politica del grande uomo, come pure si dimostrano alcuni errori dal medesimo commessi. Non tema però alcuno che dal loro complesso venga mai a scemarsi gran fatto la fama di quel cittadino sì benemerito della patria. (1) Pertz, t. XVIII, p. 107; cf. p. 162. (2) Ved. a pag. 297-308. 530 GIORNALE LIGUSTICO I Biografi di Pasquale De Paoli hanno a buon diritto lodati i suoi talenti militari, ed i provvedimenti amministrativi e legislativi da lui emanati durante il tempo nel quale sostenne la carica di Generale del Regno e di Capo del Magistrato Supremo nell’isola di Corsica. Ma in questi elogi, a mio avviso, essi hanno alquanto ecceduto. Perciocché tacquero come egli, giovandosi della fiducia riposta in lui da’ suoi compaesani, concentrasse in sè la potestà suprema, e di questa in forma dittatoria varie volte abusasse. Parimente dimenticarono che le vittorie conseguite sugli eserciti genovesi gli furono agevolate dalla natura di questi eserciti, ed anzi devonsi attribuire all’aver egli combattuto contro a soldati mercenari e mal disciplinati. Infine eglino obliarono di notare come il De Paoli fosse stato posto in grado di sostenere la guerra contro i genovesi, mercè i sussidi in danaro ed in munizioni provvedutigli apertamente od occultamente dal Granduca di Toscana, dal Re di Sardegna, e dalle Potenze marittime* d’Olanda e di Inghilterra, nonché dall’imperatrice d’Austria Maria Teresa. I suddetti Principi sovvenivano i còrsi, perchè erano nemici della Repubblica di Genova da loro considerata si come alleata e dipendente dai Monarchi Borboni di Francia e di Spagna. Non ci dilungheremo a mostrare in che consistano le lacune che s’ osservano nei suddetti pregiati lavori biografici, giacché sono a tutti manifeste. Per lo contrario stimiamo opportuno dire in breve qualche cosa intorno all’ostinazione, colla quale Pasquale De Paoli s’ oppose agli accomodamenti colla Repubblica di Genova proposti dal Duca di Choiseul. II Generale De Paoli stette sempre fermo nel rifiutare qualunque pacificazione coi genovesi, finché questi avessero posseduto un palmo di terreno in Corsica. Questa pretensione fu la causa per cui, sebbene involontariamente, egli fece perdere alla sua patria l’acquistata libertà ed indipendenza; e per dimostrare quanto vien affermato, basta indicare che nel- GIORNALE LIGUSTICO 33 I i anno 1761 i Reggitori di Genova, nell’intento di terminar , la guerra, erano disposti a far molte concessioni agli insorti purché si rimettessero sotto il dominio della Repubblica. A tal fine inviarono nell’ Isola una Deputazione composta dei patrizi Domenico Pallavicini, Felice Balbi, Gio. Battista Spinola , Gerolamo Curio, Gio: Francesco Pallavicini e Marcello Durazzo qm. Gian Luca, dando ai medesimi la facoltà di negoziare e conchiudere delle convenzioni coi ribelli ; ed in via sussidiaria prescrivendo loro rivolgersi al De Paoli e trattar con esso la pace definitiva. Gli abitanti dell’isola, che s’erano vendicati in libertà, rifiutarono d’aderire alle proposte dei Deputati genovesi; e Pasquale De Paoli ricusò egualmente d’intavolar coi medesimi delle pratiche di pace. In tal circostanza egli convocò in Casinca la Suprema Consulta, ed ai membri di essa propose e fece deliberare: « In alcun tempo mai non saremo per dare orecchio a veruna proposizione d’accordo con i genovesi, se questi per preliminari non riconoscono la nostra libertà, l’indipendenza del nostro Governo, e non cedono le poche piazze che ancora tengono nel Regno : quali preliminari accordati ed eseguiti, la Nazione còrsa ed il suo Governo adotterà le misure più proprie e decenti, e farà spiccare la naturai sua equità e moderazione per indennizzare il decoro e gli interessi della Repubblica di Genova » (1). In tal maniera il De Paoli impedi ogni aggiustamento coi genovesi. Perciocché questi potevano consentire a riconoscere 1’ indipendenza di quella parte della Corsica che più non era sotto la loro dominazione, ma era loro vietato d’accettare l’ingiuriosa condizione di cedere le città ed i territorii che ancora possedevano. Le ragioni che mossero il De Paoli ad avversare qualunque trattato di pace colla Repubblica furono sicu- (1) Ved. D’ Oria, Pasquale De’ Paoli ecc., pag. 250. 332 GIORNALE LIGUSTICO ramente l’animosità da lui nudrita contro la medesima, e l’intimo convincimento di poter bentosto discacciare interamente i genovesi dai presidii da essi ancora tenuti. Di questi due motivi il primo non è valevole a giustificarlo, perchè non è giusto sacrificar la patria per soddisfare alle proprie passioni; in quanto al secondo i successivi eventi dimostrarono eh’egli in ciò mal s’’ apponeva, perchè non gli riuscì d’impadronirsi d’ alcuna altra città posseduta dai genovesi, ed altro non ottenne che di ridurre la Repubblica a proseguire a tener presidiate dai francesi Bastia', Aiaccio, Calvi e San Fiorenzo. Nessuno può contestare che nell’anno 1761 Pasquale De Paoli interrompendo Ogni negoziazione di pace, col far deliberare dalla Suprema Consulta i sopra menzionati preliminari , abbia fatto perdere ai còrsi 1’ occasione di stabilire e rassodare la propria indipendenza. La conclusione della pace tra la Repubblica di Genova e la Corsica, stipulata sulle basi che i genovesi riconoscessero 1’ indipendenza dell’ Isola e solo mantenessero il possesso delle città rimaste loro fedeli , era vantaggiosa per ambedue le parti, massimamentei po pel Governo del De Paoli. Il che è agevole ad intendersi, considerando che da questa pace sarebbe derivata per immediata conseguenza la partenza dall’ Isola delle truppe ausiliarie francesi, e la possibilità di stabilire delle relazioni commerciali tra i produttori còrsi ed i negozianti genovesi resi-den ti nelle città rimaste sotto il dominio della Repubblica. Fino ad un certo punto però, si può anche intendere come nell’ a nno 1761 Pasquale De Paoli abbia creduti una buona deliberazione i preliminari statuiti in Casinca. Perchè a tale convincimento egli poteva essere indotto dai facili successi ottenuti per 1’addietro sopra i genovesi, e dalle cognizione delle 5 A :>.>4 GIORNALE LIGUSTICO gava nelle molte poesie divulgate in onore del Vinto, ed anche nelle satire composte a dileggio dei vincitori. Serafino Figari, residente per la Repubblica in Roma, scriveva il io dicembre 1768: « Il fanatismo a favore de’ còrsi, tanto in Toscana quanto in Roma, si è avanzato a tal segno, che non solo si è qui veduto qualche ritratto del De Paoli, ma si è anche delineato come per ingiurioso sarcasmo un cane còrso che disprezza tre galletti, secondo il modello che stimo mio dovere di tramandare alle Signorie Loro Serenissime. Ho inteso che qualche inglese siasi qui valso di tal modello a uso di cartine per visite di complimento » (1). \ Confessano i Biografi che intorno al soggiorno del De Paoli, in Londra si hanno poche notizie. Jacopo D’ Oria non ne fa parola, ed il Tommasèo nel suo Proemio scrive: « Del lungo esilio del Paoli in Inghilterra quasi nulla sappiamo. Rade allora le lettere: che la sventura de’ forti non è loquace; e chi ha coscienza buona di quel che operò, fugge, ancor più che dalle querele, dai vanti ». Pertanto egli si ristringe a dare le seguenti notizie: Che Pasquale De Paoli quando giunse in Londra ebbe « accoglienze da vincitore, qual era nella coscienza delle genti. Stette un’ ora e mezzo a colloquio col Re; lo visitarono i regi ministri: gli avversi ai ministri olevano trarlo a sè, farlo strumento delle ambizioni e degli sdegni loro: ma egli era senno da non si confondere cogli uomini di parte, nè farsi volgo per uscire dal volgo..... Intendeva il Paoli, che nel far bene alla Corsica tutti potessero accordarsi, senza scapito delle mire private di ciascuno. Ma 1 amor di parte ragiona altrimenti: onde i giornali opposti incominciarono a lacerarlo. Egli, che conosceva e l’Inghilterra e gli uomini e sè stesso, non piglio nè rammarico nè corruccio. In sola una cosa l’affetto suo s’ingannava (solito inganno degli (1) Archivio di Stato in Genova: Lettere Ministri—Roma, mazzo 60. giornale ligustico 335 esuli recenti): che le cose gonfiassero, che l’isola dovesse dare occasione a una guerra, e dovesse giovarsene». Ma dopo le prime speranze si chetò, e si contentò di donare ai suoi compaesani compagni d’esilio quanto risparmiava dalle duemila lire sterline che riceveva a titolo di pensione dal Governo inglese (i). Quanto viene affermato dal Tommasèo dietro alcuni brani di lettere scritte dal De Paoli, è ora confermato dal carteggio di Francesco Ageno inviato della Repubblica presso la Corte britannica. L’Ageno nelle sue lettere si mostra eccessivamente avversario e dispregiatore del De Paoli. Ciò non ostante le medesime (purché sieno consultate con prudente critica) sono un buon documento-, per conoscere ed apprezzare la condotta pubblica e privata tenuta in Londra dal celeberrimo Còrso (2). Pertanto non sarà inopportuno trascrivere qui varii brani di queste lettere che rimasero finora inedite (3). (•1) Tommaseo, Lettere di Pasquale De’ Paoli: Proemio, pag. CLXXIII-IV. (2) Coloro che si attengono agli scritti dettati dai partigiani e dagli ammiratori del De Paoli, si ricuseranno ad ammettere le relazioni del-1’ ambasciatore genovese, adducendo che questi le compilava coll’ intendimento di rendersi bene accetto alla sua Repubblica. Ad infirmarle però bisognerebbe ch’eglino dimostrassero inesatti od erronei i fatti nelle medesime registrati. La condotta tenuta in Londra dal celebre Córso, sì come ci vien descritta dall’ Ageno, è del resto naturalissima in un uomo che sia stato esautorato dal potere. Nè 1’ opinione da lui espressa sul carattere e sull’ ingegno del De Paoli è da disprezzarsi, perchè consuona con quella che si rileva dalle notizie e dagli aneddoti che trovatisi riferiti nel-1’opera di Giuseppe Massimiliano de Lemberg, intitolata: Mémorial d’un Mondain (Londra, 1776). È questi uno scrittore erudito, imparziale ed originale, che godette a’ suoi tempi di molta stima ; e perciò il non trovare l’opera sua ricordata da alcuno de’ Biografi del De Paoli, ci sembra frutto di una dimenticanza inescusabile. (3) Archivio di Stato: Lettere Ministri — Inghilterra, mazzi 19 e 20. GIORNALE LIGUSTICO .« L’ arrivo in questa Capitale del già Capo dei Còrsi Pasquale De Paoli ha sommamente ravvivato lo spirito di questi nazionali, ed eccitata la curiosità di vedere un Uomo che ha resistito alle armi di Francia con forze insufficienti, e che ha coperto le operazioni d’un ribelle colla speciosa apparenza di farsi credere difensore della libertà. Questa parola venerata, anche più nel nome che negli effetti, presso la Nazione britannica, è capace di risvegliare ne’ suoi individui qualunque più strano trasporto d’ entusiasmo in favore di chi opportunamente sa adoperarla ; onde non è meraviglia se al giorno d’oggi i milordi e la canaglia di Londra si studiano a vicenda di festeggiare un Personaggio che ha saputo così bene farla valere, più in proprio vantaggio che in quello de’ suoi paesani. Suonano le publiche carte le di lui lodi, e nei vari articoli, che giornalmente vi s’appongono, tanto si rilevano le sue personali qualità ed i di lui talenti si politici come militari, di maniera che non,si fa difficoltà di decantarlo come un Eroe del secolo, e di paragonarlo sulle gazette a Fabio Massimo. Attratte dalla natura di questi encomii, molte persone di prima sfera vanno a visitarlo nel suo appartamento ; nel che tanto più è da rimarcarsi la cortese ospitalità di detti signori verso di lui, quanto che gli stessi difficilmente si prestano a simili formalità, avendo in costume spesse volte di non far visite ad altri Ministri stranieri. L'incontro adunque del Signor De Paoli in quest’ Isola non può manifestarsi più favorevole per lui ; ed è certo che egli vi corrisponde colla maggiore riconoscenza, la quale senza dubbio andrà aumentandosi, se a cosi buona accoglienza s’ aggiungerà qualche somma di danaro, al cui fine dicono che sieno rivolte le sue mire. Intanto non manca di prevenire il pubblico con una decente esterna apparenza, avendo spiegato livrea guernita d’argento, e lui stesso vestendosi ordinariamente di scarlatto con gran gallone d’oro, come conviensi a glorioso ufficiale. In cotal forma ha pranzato presso il Duca di Grafton capo del Ministero, il quale- verisimilmente a sua istanza gli averà facilitato l’introduzione alla Corte. Fu pertanto presentato al Re sotto il nome di General De Paoli, e Sua Maestà lo trattenne qualche tempo in discorso, siccome fece la Regina nel giorno d’ ieri che fu parimente introdotto al di Lei circolo col medesimo titolo. Egli era accompagnato da un certo Gentile (i) còrso, che si dice habbi servito nelle truppe austriache, e che effettivamente ne vestiva divisa da soldato. Detto Gentile ha visitato questo Ambasciatore di Vienna, non si sa perchè, e il De Paoli non è ancor noto che siasi ( i ) Antonio Gentile suo aiutante di campo. GIORNALE LIGUSTICO 337 aLunto a far visita ad alcun Ministro straniero, quantunque habbi di pas-s‘'oo'° parlato alla Corte con taluno delle Potenze oltremontane. Il di lui albergatore e promotore è un prete anglicano per nome Barnaby, che ha \ issuto qualche tempo in Livorno in qualità di cappellano della chiesa inglese, e che lo produce ed accompagna dovunque unitamente al Gentile. De Paoli si dà 1 aria d’una molta riserva ne’ suoi discorsi, come se avesse gran progetti nella mente ; ma si è però lasciato fuggire di bocca che forse un giorno potrebbe ancora rilevare la patria dal giogo cui è stata sottomessa. In effetto sembra che tenti di risvegliare 1’ attenzione degli inglesi, col decantarne la sicurezza dei porti e 1’ abbondanza dei legni di costruzione. Cop/e i motivi della sua fuga dall’isola col velo di misteriosi segreti, che si scusa di palesare per maggiormente imporre ai suoi ammiratori. In somma fa tutte le parti d’un eroe sventurato, la di cui gloria eclissata non gli lascia che la speranza d’ un estraneo soccorso; il quale venendo forse compreso in qualche pensione vitalizia, compenserebbe il rammarico della sua caduta e rileverebbe la generosità degli inglesi. — Londra, 29 Settembre 1769 ». « Proseguisce a soggiornare in Londra Pasquale De Paoli, decorato sempre col nome di Generale. Egli frequenta la Corte ed ha avuto una particolare conferenza col Re, che più alla curiosità del Principe devesi riferire di quello che ad altra veduta di conseguenza. Dicesi che gli si accorderà una pensione, e che all’occasione di guerra si potrà fare un diversivo alla Francia col mandarlo in Corsica ad oggetto di ristablirlo nell’ Isola. I Ministri decantano i suoi pregi, e le accoglienze che gli hanno praticate cominciano di già a renderlo sospetto alla fazione contraria. Qualche riserva da lui usata per non vedere taluno opposto alla Corte, ha potuto già nell’ opinione di molti farlo decadere da quel concetto d’eroe sotto cui veniva riguardato. Si è già apposto nelle publiche carte più d’un rimprovero contro di lui, ed in una particolarmente si è detto: Che egli si dimostrò essere il più vile schiavo nel paese più libero dell’ Europa. Non gli è punto riuscito gradevole si fatto compenso ai suoi encomii già riportati; e perciò ha incominciato a protestare uguale ' rispetto e indifferenza per i due partiti che comunemente sussistono in questa specie di Governo. Con ciò si lusinga, detto Pasquale, di mantenersi nella confidenza d’entrambi ; ma è a credere che conoscendo meglio il costume inglese si deciderà per l’una 0 1’ altra fazione, e lascerà di fare l’indifferente, per non essere disprezzato da tutte due, e perdere per sempre pensione o soccorsi o gloria eh’ egli habbi in mente di riportare. Nella perplessità adunque della scelta, ha preso frattanto il par- GIORNALE LIGUSTICO rito di trascorrere per le provincie di questo Regno, e di visitare le campagne di molti signori desiderosi di sentire il racconto delle sue imprese. Cosi si è spiegato egli stesso affettando il contegno di particolare viaggiatore , e minacciando gli inglesi di sua partenza dall’ Isola se volessero altrimenti considerarlo. — Londra, 6 Ottobre 1769 ». « Si è restituito al suo soggiorno di Londra il noto Pasquale De Paoli, cognominato sempre col titolo di Generale. La di lui curiosità si è estesa a visitare le università del Regno ed i cantieri di Porthsmout, intorno alle quali cose si è degnato, senza molta intelligenza, d’esprimere la sua approvazione. Questi nazionali continuano ad esserne ammiratori; ed egli non lascia di riceverne gli applausi, che certamente gli riescono profittevoli. È sicuro che gli viene somministrato del danaro da persone che hanno 1’ occhio sovra di lui. Dicesi pertanto che riscuota a titolo di pensione cento cinquanta ghinee al mese, e che in appresso possa esservi il progetto di stabilirgliele a vita, oltre quegli emolumenti che gli si aggiungeranno, se mai venisse l’occasione di servirsi dell’opera sua. Questo non può verificarsi che in caso di guerra, nella quale circostanza sarebbe probabile che s’intraprendesse di rimetterlo nell’isola di Corsica a fine di ritorla ai francesi, oggetto che si dice egli non perda di vista, e che qui più che altrove potrà facilmente far adottare. Intanto egli frequenta la Corte, dove incontra la medesima accoglienza della prima volta, producendosi nel resto con molta decenza di vestiti, carrozze, livree, ed occupando propria abitazione. L’ufficiale Gentile l’accompagna dovunque, ed il prete Barnaby gli procura le più distinte conoscenze e introduzioni. Continua pertanto a ricevere le visite di molti milordi, e quelle di diversi curiosi e buffoni, che tutti decantano la sublimità de’ suoi talenti nel ragionare, stante che non gli hanno inteso dire alcuno sproposito. Nel rimanente detto Pasquale è molto benigno nell’ accogliere ogni sorta di persone, che vanno a vederlo nel suo appartamento, e non si è punto offeso che’ un Quacchero gli habbi parlato col cappello in testa, intesa la previa notizia che gliene avea data il di lui amico ed istoriografo signor Boswell, che n’era l’introduttore. Vi è una specie di cerimoniale nella sua anticamera, per chi va a visitarlo, stabilito nel seguente modo. Un servitore prima d’ introdurre il visitatore nel Gabinetto del signor Generale, suole aprire un armario (ricevendo qualche mancia) e mostrare una casacca di campagna traforata da palle di fucile. Questa vien detto che avesse indosso il signor De Paoli all’ ultima battaglia avuta colle truppe di Francia, dove Sua Eccellenza diede segni di gran valore per difendere la libertà della sua patria, e dove sopraffatto dalla forza non giornale ligustico 339 potendo più combattere da gran guerriero fece una ritirata da gran politico. Queste storiette lusingano lo spirito della canaglia, che è il. mezzo più comune per cui si tirano vantaggi in questo paese. Quelli però eh’ egli si destina di ìiportare consistono in sovvenzioni di danaro, di cui certamente non manca in questa città cosi dispendiosa. Vengo informato come 0li sia stata fatta rimessa di ottocento lire sterline per la via di Livorno____ Queste sono le particolarirtà più osservabili del soggiorno del Paoli in questa capitale, dove fra qualche tempo potrebbe lo stesso rimaner sconosciuto, quanto la novità della di lui dimora lo ha reso finora rimarchevole. — Londra, 3 Dicembre 1769 ». Dalle precitate relazioni; che 1’ Ageno inviava ai Serenissimi Collegi, si deduce ad evidenza che Pasquale De Paoli ebbe in Londra un accoglimento, che senza esagerazione può dirsi essere stato una vera ovazione, ed al quale concorsero tutti gli abitanti a qualunque ceto 0 partito appar tenessero; si conosce eziandio il contegno tenuto da lui in questa circostanza. Di tale accoglienza poi egli rimase molto soddisfatto, perchè il suo amor proprio gli fece esagerare il conto in cui era tenuto dagli inglesi. Perciò se dapprima prese 1’ attitudine conveniente ad un « eroe sventurato », poscia, conoscendo me-,glio la natura del popolo e del Governo inglese, l’abbandonò per iscambiarla un con contegno riservato e modesto. Inoltre mostrò molta avvedutezza non dichiarandosi aderente nè al partito Wighs nè al partito Tory, Egli è vero che in Inghilterra, come osservava l’Ageno, era necessario di appartenere ad uno di questi partiti se non si voleva essere sprezzati da ambedue; ma questa necessità non esisteva quando il De Paoli giunse in Londra, perchè se le redini del Governo erano tenute dal partito Wighs, il Ministero del Duca di Grafton si trovava però alla vigilia di dimettersi per dar luogo al Ministero di Lord North, nel quale preponderava la volontà del re Giorgio III. Il Generale De Paoli adunque stimò inutile spiegare dei sentimenti Tory 0 Wighs, mentre per conseguire i suoi disegni credette bastante mettersi in grazia del 340 GIORNALE LIGUSTICO Re e giovarsi della sua stima ed amicizia; e ciò tanto più allorquando Lord North, succeduto al Duca di Grafton, si prestava ad essere un istrumento passivo della regia volontà. Questa condotta gli fruttò pertanto dal Ministero Tory non solo il mantenimento, ma eziandio un notevole accrescimento nell’ annua sua pensione , oltre 1’ onore d’ essere sovente ricevuto in Corte; e la benevolenza di Giorgio III gli giovò poi, per essere sempre ben accolto dai Ministri, dai • • • ♦ Consiglieri segreti e da tutti i cortigiani. Nelle lettere sovra trascritte, 1’Ageno non riferisce che quanto appariva di più notevole nella condotta del De Paoli nell’anno 1769. Negli anni successivi continuò ad informare i Serenissimi; ed infatti addi 3 luglio 1770 cosi scriveva ai medesimi : « Vengo di sapere che il Ministero ha accresciuto l’annua pensione al Signor Pasquale De Paoli, attese le rappresentanze da quest’ ultimo fatte avanzare da qualche suo parziale aderente, che ha in di lui favore esagerato sulla necessità del dispendio che seco porta il soggiorno di Londra per un personaggio di tanta rinomanza. È incerta la quantità dell aumento accordato; ma da varie relazioni si combina che il detto De Paoli ritragga da questa Corte, in tutto e per tutto, un assegnamento di circa due mila lire sterline all’ anno. Si fatta gratificazione non è però registrata negli ufficii della Tesoreria, ma si cava dalla massa delle spese segrete, che sono all’arbitrio del Ministero, e di cui non si dà conto alcuno al Parlamento. Tutto ciò dimostra essere la sicurezza di detta pensione appoggiata al beneplacito dei Ministri ; di modo che non si sa per quanto tempo possa essere continuata, e molto meno se sia per continuare in caso che arrivi qualche cangiamento. Le traccie del De Paoli sembrano però dirette a procurare di rendersela durevole, frequentando egli e la Corte ed acquistando di giorno in giorno molte conoscenze, particolarmente cogli ufficiali di terra e di mare. Alcuni signori lo in\ i-tano alle proprie case di campagna, ed egli non trascura di visitarli guardando un molto prudente contegno da canto suo, e schivando di fare la parte d’ eroe fra questi isolani*, come annunziava la di lui prima comparsa. A misura che si sono moltiplicate le di lui insinuazioni alla giornale ligustico 341 Corte il popolo lo ha egualmente dimenticato ; ma in generale si continua a riguardarlo con qualche predilezione, per aver dimostrato il coraggio di resistere alla I-rancia. L’ idea de’ suoi talenti è molto superiore a quella che si dovrebbe dedurre dall’ esito delle sue imprese ; e perciò non lascia di passare per un uomo di gran spirito e di gran mente, perche tale 1’ hanno dipinto il signor Boswell ed i gazzettieri inglesi. Si dice che se ha perduto la Corsica, egli era degno di conservarla, e si sa lui buon grado d’ aver riposta la sua confidenza nella magnanimità della Nazione brittannica. Alcuni de’ Ministri forestieri qui residenti, e nominatamente quelli di Moscovia, di Danimarca e di Prussia, lo ^ggono frequentemente; e taluno d’essi lo ha invitato a pranzo. Lodano la sua moderazione e modestia, che in vero sarebbe ammirabile se in vece di farla conoscere nella sconfìtta l’avesse palesata nelle vittorie. Dicono che essendo in compagnia sia molto riservato nei suoi discorsi, e che mai habbi parlato della Repubblica, ma bensì qualche poco del Gabinetto di Francia, spiegandosi in termini da far comprendere eh’ egli ne era stato ingannato nelle trattative avute collo stesso. Questa confessione, che offusca alquanto la sua gloria, lusinga il genio e la credenza di questa Nazione; e perciò gli dà diritto ad essere applaudito e ricompensato. Intanto il di lui soggiorno in questa Capitale si rende sempre più osservabile, e le sue direzioni sembrano annunziare eh’ egli covi dei progetti nella mente e non disperi fra qualche tempo di far nuovamente parlare di sè medesimo. Si rende pertanto degno di rimarco un segreto discorso da lui tenuto con un personaggio di prima sfera, che mi è stato confidato. Ragionando adunque il De Paoli collo stesso, si spiegò col dire: Ch’egli non era venuto in Inghilterra per fare il Pretendente e molto meno per sollecitare la guerra a motivo dell’ Isola di Corsica, ma che però, se mai la situazione presente di quel Regno fosse per eccitare in qualsivoglia circostanza 1’ osservazione della Potenza britannica, egli sarebbe sempre pronto a riprendere i già noti suoi senti- > menti per rilevare la sua patria dall’oppressione sotto cui era stata costretta di soccombere, e per dare alla Nazione inglese una costante prova del suo vivo attaccamento in ricompensa delle tante beneficenze che finora ne aveva riportate. Questa dichiarazione', che scopre il di lui animo, è stata accompagnata da una protesta con cui lo stesso annunziava di non poter essere disposto ad intraprendere alcun impegno, senza un ben certo fondamento di vedersi sostenuto ed una apparente probabilità di riuscire nei progetti che fossero prescelti. Da ciò si vede evidentemente eh' egli si studia di lusingare la Nazione inglese, e che non diffida di attirarla in 342 GIORNALE LIGUSTICO qualche intrapresa indirizzata al di lui sostegno. Nella possibilità adunque che vadino ad intorbidarsi gli affari fra questa Corte e quella di Francia, ella è cosa molto probabile che l’Inghilterra tiri qualche partito di quest’uomo, spinta eziandio dagli incitamenti di qualche Potenza oltremontana impegnata a sconcertare le misure della Corte di Versailles. Ecco quanto si predice e si congettura da chi risguarda da vicino il contegno del sopradetto De Paoli; il quale siccome non manca di danaro, nè di sufficienti mezzi per prodursi, cosi perviene con più facilità a riportare delle distinte accoglienze e persuadere in suo favore coloro che per ammirazione o curiosità prestano orecchio ai suoi discorsi ». Pasquale De Paoli nel lungo suo soggiorno in Inghilterra fu costantemente devoto al potere personale del re Giorgio III. Ma nè dalle lettere dell’ Ageno, nè tanto meno da quelle del De Paoli pubblicate dal Tommasèo, si può inferire se questa devozione fosse la sincera espressione de’ suoi sentimenti politici, o se egli si fosse appigliato alla medesima reputandola 1’ unico mezzo per ottenere dal Governo britannico gli aiuti e sussidi pei quali si potesse restituire alla Corsica la perduta libertà ed indipendenza. Qualunque fossero i suoi interni sentimenti , è però indubitato eh’ egli tenendo tal condotta sperava d’indurre il Re ed i suoi intimi Consiglieri a deliberare una diversione armata nella Corsica, quando fosse scoppiata una guerra tra la Francia e l’Inghilterra, da lui giudicata inevitabile. Che a questo scopo tendessero propriamente i suoi maneggi, ne abbiamo per 1’ appunto la prova nel seguito del carteggio dell’ Ageno. Dal quale si conosce che il De Paoli, finché sperò si rompesse la guerra colla Francia, non cessò mai di rappresentare nei privati e pubblici discorsi quanto grave sarebbe il danno arrecato alla Potenza britannica ed al commercio inglese il lasciare la Corsica sottoposta al dominio del Re di Francia. Ed a tali discorsi era sollecito di aggiungere osservazioni ostili ai genovesi, come risulta dai seguenti brani di lettere dell’ Ageno medesimo. giornale ligustico 343 . scorsi giorni si sono alquanto risvegliati i discorsi intorno all’isola Corsica, e le publiche carte ne hanno fornito qualche articolo di trattenimento. Varie pretese lettere di Parigi riferiscono che quel nuovo Ministero (il Ministero succeduto a quello del Duca di Choiseul) riconosca l’attuale impegno della Corsica come di peso pregiudizievole agli interessi della Corona, e che perciò pensi a nuovi progetti per liberarsene. Questo rumore ha acquistato maggiore credenza dalle parole di Pasquale De Paoli, il quale si è studiato e si studia di rivolgere lo spirito di questi Isolani alle tuttora veglianti turbolenze di quel Regno. Frequenti sono pertanto i racconti eh escono dalla bocca del medesimo, circa l’ostinata resistenza che fanno i còrsi della montagna per riconoscere e sottomettersi al dominio dei francesi. Esalta grandemente 1’ impossibilità in cui dovrà jri-dursi la Francia di conservare pacificamente quell’isola, e l’alienazione che avrà a risentire nel possederla, per il continuo sacrificio d’ uomini e di danaro a cui dovrà essere perpetuamente esposta. In fine egli s’ annunzia in una maniera da far credere che non abbia punto deposto il pensiero di rilevare col tempo la sua patria, e dà abbastanza a conoscere essere l’animo suo preoccupato da non poche lusinghe, per le quali non cessa di valutare la propria importanza. All’ occasione delle ultime apparenza di guerra, che poi si sono dileguate, risorsero alquanto le di lui speranze; e parve contento di vedere l’Inghilterra e la Francia tratte nell’ indispensabile necessità di agire ostilmente. In detta circostanza palesò a qualche persona di sua confidenza le sue mire, e parlò come se avesse fondamento di dover contribuire a qualche diversivo. — Londra, 5 Luglio 1771 ». Il signor Pasquale De Paoli ha intrapreso di viaggiare per le provincie d’Inghilterra, visitando le campagne di quelli signori che conosce e che sono disposti a compartirgli una cortese ospitalità. In un mese che manca da Londra si è mostrato in più parti, ricevendo dovunque quelle accoglienze che sogliono questi nazionali compartire ai personaggi da romanzo. L’ esperienza, che ha di questo paese 1’ ha ammaestrato che per essere di qualche importanza in Inghilterra è necessario formarsi un partito, e che questo partito più facilmente si dispone nelle campagne dei signori che nella Metropoli, dove gli affari del Parlamento tengono occupata la maggior parte dei medesimi. Con questo progetto egli è più d’una volta trascorso in.varii luoghi accompagnato dall’ufficiale Gentile suo aiutante di campo ; e mi vien riferito che sovente parli delle sue prodezze, e particolarmente delle maravigliose disposizioni che aveva date in Corsica per impedire che non cascasse quell’ Isola sotto il dominio « 344 GIORNALE LIGUSTICO dei francesi. Attribuisce la sua sconfitta, più che alla forza di questi, ai tradimenti de’suoi isolani; esalta la situazione della Corsica col valutarne moltissimo l’importanza; ed in qualche ragionamento privato non ha mancato d’ asserire che l’Isola suddetta, saviamente governata, sarebbe la sola che col tempo potrebbe emulare la Gran Brettagna e rendersi padrona di tutto il commercio del Mediterraneo..... — Londra, 4 Ottobre i771 ». Da quest’ ultimo brano di lettera si vede chiaramente che il De Paoli curava 1’ amicizia dei Lordi che godevano la fiducia personale del Re; e ciò dimostra come egli non meritasse 1’ elogio fattogli dal Tommaseo: eh’ era a senno da non si confondere cogli uomini di parte, nè farsi volgo per uscire dal volgo ». La sovra indicata sua animosità contro i genovesi è poi egualmente provata da altre fra le lettere dell’ Ageno. Ne citeremo ancora un esempio. Con lettera del 26 Marzo 1773 l’Inviato genovese trasmetteva ai Serenissimi la copia di un articolo di gazzetta inglese, nel quale trattandosi della costruzione della via littoranea da Antibo a Genova, impresa della Repubblica di concerto coile Corti di Francia e di Spagna, si veniva segnalando la medesima come pericolosa pel possesso austriaco della Lombardia e di gravissimo danno al commercio marittimo inglese. Quindi, con Nota in cifra del 2 successivo Aprile, così ripigliava a discorrere di siffatto argomento : « L’ articolo di gazzetta da me trasmesso è stato materia di trattenimento e di osservazione in quei luoghi ove praticano i còrsi qui rifugiati, e particolarmente Pasquale De Paoli. Mi viene riferito eh’ egli ed i suoi aderenti si affatichino di rilevare la verosimiglianza e facilità con cui possono all’occasione di guerra passare in Lombardia le armi di Francia e di Spagna, facilitate nel passaggio dall’ aderenza e cooperazione della Repubblica. Congiuntamente a questi riflessi, aggiunge lo stesso altre osservazioni circa il detrimento’ che sovrasta al commercio inglese nel Mediterraneo, an- giornale ligustico 345 nunziando che in caso di guerra sarà totalmente estinto; giacché colla Corsica ed il Golfo della Spezia possedute o presidiate da francesi, devono inevitabilmente essere predate tutte le navi di questa nazione indirizzate per Livorno, ugualmente che per altre parti d’Italia e dello Le-\ante. Altri suoi emissarj spargono le stesse voci sostenute da qualche Toscano qui stabilito, e che si mostra di sua aderenza. Certo cavaliere Fabroni qui venuto come viaggiatore, presentato a Corte, e riconosciuto come maestro già stabilito all’ educazione del Principe ereditario di Toscana, lo frequenta moltissimo, e si danno segni di vicendevole propensione e stima. Insomma ad ogni discorso o apparenza d’ una maggior guerra in Euiopa, raddoppia e sparge il detto De Paoli le sue considerazioni politiche, e pare che si lusinghi di poter comparire un’ altra volta al cospetto del mondo ». Nell anno 1778, giusta i desideri e le previsioni del De Paoli, si ruppe difatti la guerra tra la Gran Brettagna e la Francia. E col De Paoli dividevano un tal desiderio tutti i còrsi rifugiati in Londra; imperocché si ripromettevano chea seguito della medesima il Governo inglese avrebbe fatto una diversione militare nella loro patria, affidando il comando del-l’impresa al loro Generale. A conseguire Quésto scopo Pasquale De Paoli aveva anzi rivolto tutto l’ingegno; ma non pertanto la spedizione di truppe inglesi in Corsica, da lui consigliata, venne scartata dal Re e dai suoi Ministri. Di che egli si addolorò assai fortemente, ben vedendosi sfuggire il mezzo di rilevare la patria dal giogo francese. Costretto a sottomettersi al destino, continuò cionondimeno a soggiornare in Londra; finché, dimenticando le sue proteste contro il trattato dell’ anno 1768 concluso dalla Repubblica di Genova col re Luigi XV ed i tristi casi della battaglia di Pontenovo, nel 1790, invitato da una Deputazione còrsa, si decise a ritornare in patria ed a mettersi al servizio del Governo francese. Perciò ai 3 aprile del detto anno, giunto in Parigi, vi ebbe una accoglienza ancora più clamorosa di quella ricevuta in Londra vent’anni addietro, sì come può leggersi nell’ampia GIORNALE LIGUSTICO ed esatta descrizione fattane dal lodato suo biografo Jacopo D’ Oria (i). Noi ci stringeremo a notare che -il De Paoli segui in Francia lo stesso sistema politico che aveva tenuto in Inghilterra, cioè di deferire alla persona del Re. La qual cosa risulta dal carteggio di Cristoforo Vincenzo Spinola, che era allora ambasciatore genovese in Parigi. Il quale in data del 12 stesso aprile cosi scriveva: « Il signor Pasquale De Paoli riceve qui le maggiori accoglienze, sopratutto da questi Regi Ministri e dal Signor de la Fayette. Lo stesso (De Paoli) si dimostra molto partitante della Rivoluzione. Mi si assicura che sembra indeciso sul partito che prenderà relativamente al suo ritorno in Corsica. Fu il medesimo presentato giovedì scorso alla Corte dal Ministro della Guerra, nel di cui Dipartimento si trova la Corsica. Il Re e la Regina e tutta la Famiglia Reale lo ricevettero con i maggiori sentimenti di bontà e di distinzione. Sembra che il Re e questo Ministero abbiano in vista di servirsi di questo antico Capo per ristabilire la tranquillità in quell’ Isola e far cessare i torbidi che oggi vi regnano » (2). Poscia con altra lettera del 21 giugno segnalava: OOO 0 « Il signor De Paoli unitamente a quattro Deputati còrsi venuti straordinariamente per complimentare questa Assemblea nazionale, doveva partire oggi alla volta di Corsica incamminandosi verso Tolone; ma poi la loro partenza è stata differita a domani alla punta del giorno. Vengo assicurato che Sua Maestà abbia scritto una lettera al detto signor Paoli, in cui gli dimostrava tutto il suo piacere di vederlo ripatriato e la somma confidenza nel di lui zelo ed attaccamento per poter ristabilire e mantener in quell’ Isola la buona armonia e tranquillità, tanto più in oggi necessaria che con le lettere di Corsica datate del 8 e 9 del corrente vengono annunciati dei nuovi torbidi, il fuoco si va accendendo in tutti i cantoni ed il partito dei malcontenti si aumenta a dismisura. Termina, per quanto dicesi, la lettera del Re con promettergli tutta la sua Reale benevolenza; ma mi vien confermato che non sia stato finora accordato alcun sussidio (1) Op. cit., pag. 121 e seg. (2) Archivio di Stato: Lettere Ministri — Francia, mazzo 86. giornale ligustico 347 pecuniario, nè alcuna pensione, benché la dilazione di rimettere a domani la partenza avesse ciò per principale oggetto » (i). Siccome però nel seguito del carteggio dello Spinola non viene punto notato che il De Paoli ricevesse veruna pensione dal Governo francese, nè segreta nè pubblica, così si può inferire che la dilazione della partenza di lui e di quattro deputati rimanesse senza risultato. Ciò che si deduce dal brano della suddetta lettera si è che Luigi XVI aveva molta fiducia nell’ antico liberatore della Corsica, e che questi, alquanto invanito dal ricevimento avuto dal Re ed in gran parte incitato dai principii d’autorità da lui professati, si prestò ad allearsi ed a capitanare in Corsica il partito monarchico. Invero un uomo onesto ed intelligente, qual era il De Paoli, non poteva unirsi al sanguinario dispotismo dei demagoghi seguaci di Robespierre ; ma nemmeno gli era permesso, seguendo le traccie od i consigli del suo amico il conte Carlo Andrea Pozzodi'borgo, il far causa comune cogli emigrati francesi, distaccando la Corsica dalla Francia per porla sotto la dominazione dell’ Inghilterra. Nel breve spazio in cui il De Paoli ripigliò le redini del Governo di Corsica, cioè dal giugno del 1793 a quello del 1794, non obliò la sua animosità contro la Repubblica di Genova. Perciò ruppe ogni relazione colla medesima, ed anzi nel maggio 1794 emanò un decreto col quale si concedeva ai nazionali còrsi ed a qualunque straniero facoltà d’ armar bastimenti in corso contro i genovesi, e promejtevasi il premio d’ uno zecchino a chi apportasse la testa di un ge -novese morto, e di cento scudi a chi consegnasse un genovese vivo. Questo decreto era non solo mostruoso, ma ingiustificabile ; perchè in quel torno di tempo la Repubblica non aveva commessa alcuna ostilità contro dei còrsi. Ben so che un tale (1) Luogo citato. 34« GIORNALE LIGUSTICO atto, citato da Carlo Botta, era stato già negato dal Renucci come poscia lo fu dal Tommasèo e da Jacopo D’ Oria; ma la sua esistenza è ormai provata pel carteggio di Bartolomeo Boccardi, che allor teneva 1’ ufficio d’ Incaricato presso la Repubblica Francese , e che appunto ebbe dal suo Governo la commissione di partecipare alla Repubblica medesima come Lord Elliot, cui Giorgio III avea da breve tempo rivestito della dignità di Viceré dell’ Isola, si fosse accinto a revocare quell’ editto non degno per certo di un Governo civile. Leggasi a questo proposito la seguente. Paris, le 19 Thermidor l’an 3/ (6 août 1794. V. S ) Le Chargé d’affaires de la République de Gênes au Citoyen Commissaire des relations extérieurs. C’est d’apres des ordres de son Gouvernement que le soussigné Charge d’affaires de la République de Gênes doit faire part au Citoyen Commissaire des relations extérieures de la République Française , que le Chevalier Gilbert Elliot a annoncé par sa lettre au dit Gouvernement de Gênes, qu’on a retiré les patentes d'es armateurs corses, dont les incursions sur les batimens génois vont cesser en conséquence, etc. (1). Forse però affermando che la Repubblica non aveva commessa alcuna ostilità contro dei còrsi, non abbiam detto rigorosamente il giusto. Merita qui di essere riferito quanto sotto 1’ anno 1789 si racconta dal nostro annalista Filippo Gaggiero; benché il D’ Oria, che pur si dimostra così diligente, non siasene dato alcun carico , considerando per avventura il non grave peso dello scrittore da cui veniva divulgata la narrazione (2). Non io sosterrò che il continuatore degli Annali (1) Archivio di Stato : Lettere Ministri — Francia, mazzo 88. (2) Parlo del solo D’Oria, perchè gli Annali del Gaggiero comparvero a stampa nel 1851, e cosi dopo la pubblicazione del lavoro del Tommasèo; al quale d’altronde non potrebbesi mai recare in colpa d’avere ignorato un scrittore umile ed oscuro. giornale ligustico 349 dell Acinelli sia uno storico di polso; però non sembrami da pretermettere che se il fatto registrato da lui fossè con-forme a verità, recherebbe offesa non poca alla fama del De Paoli. « I movimenti di Francia s’ erano propagati anche alle altre provincie a lei soggette, tra le quali alla Corsica. ... Le antiche discordie, mal sopite dalla fresca dominazione francese, ripreser vita, e questa volta fur viste muovere in campo coi nomi di partito francese, e inglese, e genovese. Capo del primo era certo Buttafuoco, del secondo il nipote di Pasquale De’ Paoli, del terzo un cotal Giubega di Calvi. « Già fin dal principio in cui il popolo di Corsica avea di per sè stesso assunto il governo dell’ Isola, furonvi tali che appostatamele si condussero a Genova, onde concertare col Governo della Repubblica del modo con cui ricondurre i còrsi sotto il costei regime ; ammessi all’ u-dienza del Doge e dei due Camerali di Palazzo, ed esposti i proprii pensieri, n’ ebber risposta che riferito il tutto ai Collegi, si farebbe lor conoscere il risultato in altra udienza ..... Nondimeno fuvvi chi propose qual ultimo spediente, di chiamare a Genova Pasquale De’ Paoli, il quale già da molti anni aveva fissato sua dimora in Londra in seguito alle vicende della Corsica .... La proposizione fu dai Collegi accettata. Avvisato uffizialmente di ciò il De’ Paoli, partissi tosto, e giunse in Genova per via di posta nell’ ottobre ; apertegli immediatamente le porte di San Tommaso, quasi nello stesso tempo fu introdotto all’udienza del Doge e dei due Camerali di Palazzo, in compagnia di Giubega e d’altri tre còrsi compartecipi del negozio. In questo colloquio fu sottoscritto un trattato di cui gli articoli furon segreti, ma il cui tenore, se pur non mentirono persone che erano a parte del trattato medesimo, e che confidenzialmente con taluno ne tenner parola, era il seguente. Le dignità ecclesiastiche si conferissero a nazionali; i governi metà a nazionali metà ad esteri. Un numero fisso di còrsi stesse ai servigi della Repubblica con un proporzionato numero d’uffizialità, composta tutta di còrsi cospicui per nascita e per talenti; tra questi uno ve ne fosse col titolo e grado di Maresciallo. L’ isola n’ andrebbe esente d’ ogni gabella ; ciascun suo nobile potrebbe aspirare a tutte le cariche governative, non escluso il supremo grado di Doge della Repubblica, alle Magistrature, ai Consigli, com’ ancora all’ elezione dei Senatori. « Tali furono indipresso le stipulazioni ch’ebbero luogo fra il De Paoli 350 GIORNALE LIGUSTICO e il nostro Governo, stipulazioni che furono discusse ed approvate in segreto dal Minor Consiglio. Ciò fatto, il De Paoli partì immediatamente co’ suoi colleghi alla volta di Bastia, dopo aver ricevuto tre milioni in contanti dal Governo di Genova per ispargerli tra’ suoi vecchi aderenti e ragunarne dei nuovi. L’ arrivo di lui in quella capitale, svegliò nel popolo un senso di allegrezza e d’ entusiasmo. Gli antichi suoi aderenti politici ignorando il segreto lo acclamarono .... Egli pronunziò nell apertura dell’ Assemblea còrsa ( in Corte) un eloquente discorso diretto a combattere gli antichi odii.....Qualche commozione destassi .... allorquando egli enumerò le accoglienze distinte, ultimamente prodigate in Genova ai còrsi, a lui stesso, e i privilegi che la Repubblica sarebbe per accordare nel caso che gli isolani deliberassero di ritornare, sotto il regime di essa. Ma i maneggi di Saliceti, d’Orticoni e del \ escovo d’Aiaccio, e diciam pure 1’odio ancor vivo contro la Repubblica, furono più potenti nello spirito dei deputati che le parole del De’ Paoli. I partigiani del Buttafuoco terminaron la lotta, col trascinarli a favore del partito francese. Il Generale De’ Paoli fra tante diverse opinioni non seppe risolversi a dichiararsi francamente in favore della Repubblica, e fluttuando ora per l’uno ora per l’altro partito, finalmente avvedendosi che la maggioranza stava per Francia, si dichiarò per Francia. Quindi venne eletto Generale a vita, con un Consiglio da mutarsi ogni anno per via di elezioni, da risiedere in Corte. « Poco dopo, per non parere spergiuro od incivile colla Repubblica, scrisse al Doge una lettera di scusa, incaricandolo di dar parte al Governo dell’ accaduto, e notare le cause, che aveanlo costretto a diportarsi in simil maniera ; protestando che ove una migliore opportunità gli si fosse parata, avrebbe dimostrato il suo sincero affetto verso la Signoria ; osservando che del danaro consegnatogli erasi giovato onde comprare i Deputati dell’ Assemblea córsa ; allegando a cagione dell’ infelice esito le mene d’ alcuni fra i membri dell’ Assemblea nazionale di Francia, i quali sul bel dell’ ordire aveangli ricisa la tela » (i). Tale è la narrazione dell’ Annalista. Dovremo noi tenerla per vera o ripudiarla come una invenzione? Risulta dal suo complesso che essa non è se non la ripetizione di ricordi e di tradizioni anedottiche di quei tempi; e certo il Gaggiero (i) Gaggiero, Compendio delle Storie di Genova ecc., pag. 63-67. V giornale ligustico 351 li ha riportati in buona fede, senza curarsi di sottoporli al vaglio d una severa critica. Comunque siasi però, è certo ugualmente, per alcune carte del nostro Archivio di Stato, che appunto in quel torno di tempo si moltiplicavano i progetti tendenti a rimettere la Repubblica in possesso della Corsica. Anzi uno di questi progetti dice aperto che l’arrivo del Generale nell’ Isola sarebbe il segnale per dar principio all esecuzione della rivolta in favore di Genova (i). (i) Era siffatto progetto stato presentato il 21 giugno 1790 da un anonimo córso al Serenissimo Trono, e da questo comunicato ai Collegi. L’autore affermava essere nell’Isola tuttavia molto considerevole il partito genovese, e indicava il centro del medesimo in Corte; proponeva iniziare la rivoluzione in favor di Genova dal forte d’Aleria, ov’erano adunati duemila partigiani; e chiedeva principalmente che la Repubblica, accettando di essere reintegrata nell’ antico dominio, si dichiarasse fin d’ ora disposta a rifondere alla Francia le spese il .cui rimborso era preveduto nel trattato di cessione del 1768. Altri due progetti meritano pure di essere specialmente notati. 11 primo era di un cotal Panattieri di Calvi, Deputato straordinario all’ Assemblea nazionale ; e di questo porgeva contezza 1’ ambasciatore Cristoforo Vincenzo Spinola, nella sua Nota del 25 giugno 1790. Dichiaravasi il Panattieri appartenente alla fazione del Giubega; nastrava come di seguaci genovesi abbondassero le città di Calvi e di Bonifazio e l’Aigai ola; e chiedeva i mezzi necessari per assoldare gente e profittare del primo buon momento per far dovunque una alzata di scudi. Il secondo, datato del novembre 1791, partiva da un Giovanni Fraticelli, cittadino còrso dimorante in Genova; ma era meno concreto dei precedenti, limitandosi il proponente ad offrire i servigi propri e quelli de’ suoi numerosi amici, perchè l’Isola tornasse nella signoria della Repubblica. Anche questo progetto ha però la sua importanza, giacché ci fa conoscere come il Re di Sardegna, profittando dei partiti che dividevano la Corsica, mirasse a sua volta ad impadronirsene. Il Fraticelli attingeva le notizie dall’ agente sardo in Genova, che era il cavaliere Don Ignazio Guarrucci nativo di Sassari, e già capitanò nel Reggimento sardo al servizio di Sua Maestà ( Vedansi in ispecie nell’ Archivio di Stato i fogliazzi dei Collegi ). Del resto il disegno di unire la Corsica al Regno di Sardegna, non * 352 GIÒRNALE LIGUSTICO È inoltre un fatto innegabile che le tradizioni genovesi presero d’allora in poi ad accusare il De Paoli di avere tradita la Repubblica e di essersene appropriato il danaro. Di che il Generale non mancò di risentirsi ognora più fortemente, come ce ne attestano in ispecie le sue lettere spettanti agli anni 1791, 92 e 93. In altra di esse, diretta ad un suo cugino e datata del 28 agosto '1793, egli trascorre fino a coinvolgere in una sola accusa la Repubblica genovese ed i Commissari di Francia, affermando come fossero d’accordo nella iniqua opera di far abbreviare i suoi giorni. « Uno degli emissarj ha già pagato per la cattiva intenzione. Tutti ora tremano. Fra poco, e per occasione più sicura, avrete altri riscontri » (1). I Biografi del De Paoli censurano il Governo inglese per non aver data la reggenza della Corsica al venerando vecchio che gliene aveva consegnato il dominio ; ed il Renucci e il D’ Oria lo accusano d’essersi in tal guisa chiarito ingrato ed anche impolitico. Imperocché: « Paoli duce dei còrsi re-pubblicani, non avrian giammai gl’inglesi potuto, con tutte le loro forze marittime e terrestri, mettere piede nell’isola; Paoli viceré non avriano i repubblicani potuto si agevolmente rientrare in Corsica, nè si agevolmente ritorla tutta all’ Inghilterra » (2). Se non che il Ministero Tory, diretto da Guglielmo Pitt, ricordando bene quante difficoltà aveva incontrate Enrico II di Francia per insignorirsi dell’ Isola ( difficolta causate non tanto dalla ditesa fattane dalla Repubblica di Ge- sarebbesi nè manco potuto dire una novità. Già nel gennaio 1725 Eufra-sio Sorba, agente della Repubblica presso la Corte di Torino, segnalava certe conversazioni da lui avute con alcuni diplomatici, le quali parevano come le prime aperture per colorire un siffatto disegno ( Archivio di Stato: Lettere Ministri — Torino, mazzo 2.0). (1) Tommaseo, Lettere ecc., pag. 438. (2) Renucci, Storia di Corsica, vol. II, lib. Vili, pag. 67. GIORNALE LIGUSTICO nova, quanto dalle gare surte tra Sampiero di Bastelica ed i generali francesi di Termes e Giordano Orsini) mirò coi suoi atti ad evitare che simili emulazioni si rinnovassero tra Pasquale De Paoli e Lord Elliot; chiamò perciò in Inghilterra il De Paoli, diedegli una ricca pensione, e gli tolse così ogni ingerimento nel governo dell’ Isola. Guglielmo Pitt commise egli un errore prendendo questa decisione? Si dovrebbe rispondere affermativamente, qualora si considerasse soltanto il fatto che Lord Elliot dopo diecisette mesi dovette indecorosamente abbandonare la Corsica in potestà delle armi di Francia capitanate da due còrsi, Anton Filippo Casalta e l’antico amico del De Paoli, Antonio Gentili. Ma per lo contrario si dovrebbe essere più guardinghi, riflettendo che Pasquale De Paoli a cagione del lungo esilio aveva perduto molto di quel prestigio ^ un tempo esercitato sopra i suoi compaesani, e che durante questo periodo di tempo il partito francese erasi aumentato e rassodato a segno che molti antichi aderenti del De Paoli, come appunto il Gentili, il Saliceti ed altri, si erano andati congiungendo al medesimo. Nè devesi passar sotto silenzio che viveano tuttavia la maggior parte di quei còrsi, i quali dal De Paoli erano stati accusati di tradimento, o per lo meno d’aver data occasione alla fatale sconfitta di Pontenovo. Accederemo pertanto a Carlo Botta laddove scrisse che la parte del De Paoli in Corsica non era tale, che potesse di per sè stessa resistere a quella che seguitava il nome di Francia. Nè esiteremo a rallegrarci che il ministro Pitt lo dispensasse dal governar l’isola, considerando che troppo acerbo dolore avrebbe risentito ogni buon italiano, vedendo caduto nella condizione di proconsole inglese colui che dai suoi contemporanei e dagli apologisti fu chiamato il Washington Corso. o 354 GIORNALE LIGUSTICO X. Sezione di Belle Arti. Tornata del 20 marzo 1875. ‘Presidenza del Preside cav. prof. Federigo Alizeri. Il Preside continuando a ragionare delle vicende degli scultori in Genova, nel secolo XV, espone come tra le varie discendenze d’ artefici che stanziarono nella nostra città gli risulti per documenti esssere la più antica quella dei Carini 0 Gazini da Bissone. Di costoro è un Pier Domenico che nel 1448 va già in fama di valoroso; e un Giovanni, costante in Genova per otto lustri, autore di marmi pregiati, e meglio ancora architetto di molta estimazione. Risulta per gli atti come Pier Domenico accomunasse le fatiche con Elia suo nipote : e vi ha di tal parentado anche un Matteo che ci appare agli ultimi del secolo, degno ancor egli di quella scuola, ed esempio a quanti si accompagnano a lui nell’ esordire del secolo susseguente. Ricordano pure i documenti, con alni maestri, un Riccomanno Riccomanni da Pietrasanta, nel quale è in gran parte il progresso e il risorgere della nostra scultura; nome non ignorato dal eh. Santini, che ne rammenta eziandio il fratello Francesco ed il comun padre, scultori tutti di fama. E del Riccomanno mostra il Disserente ■come sia opera il magnifico portale che fa prospetto al di dentro della sacristia in santa Maria di Castello. Ebbe il detto artefice a scolpirlo nel 1452. Ma fra i portali più leggiadri è specialmente a ricordarsi quello che adorna il palazzo già dei D’ Oria, ed ora dei signori Quartara, di contro all’abbaziale di san Matteo, commesso da un Giorgio di quella famiglia nel 1457 a Giovanni da Bissone. Mostrandosi però questi dai termini della convenzione piuttosto architetto e intagliatdr di fiorame che scultore di marmi storiati, così 1’ Alizeri espresse 1’ opinione che giornale ligustico 35 5 Giovanni siasi valso del Riccomanni (col quale non raro trovasi in società) nel san Giorgio di mezzo rilievo, scolpito a gt an cura e superbo di molte figure che lo corteggiano. Di che spiegherebbonsi le sembianze di stile toscano onde s’im-piontano le singole parti del mezzo rilievo medesimo; mosti andosi il Riccomanno per l’appunto discendente da quella scuola che dietro 1’ orma d’Jacopo della Quercia ristorò l’italiana scultura. Discorre inoltre il Preside per quali occasioni si innalzasse da. Giacomo e Matteo del Fiesco la cappella che è in Duomo e viene dai Fieschi denominata ; e rammenta il contratto del 1465 dove il detto Matteo si accorda al Bissone per l’opera dei marmi, e come Giovanni fornisse i modelli al grazioso lavoro, nel quale pur sentesi lo stile del Riccomanno. Il nome dei Bissoni conduce poi 1’ Alizeri alla descrizione della cappella del Precursore in Duomo, avendo appunto il già detto Pier Domenico ideata ed eseguita, forse unitamente al nipote Elia, quell’ opera sì ricca e mirabile, nella quale i due artefici meglio che un decennio si travagliarono. XI. Sezione di Archeologia. Tornata del 3 Aprile 1875. Tresidenxa del Preside avv. Pier Costantino Remondini. Il socio prof. Santo Varni legge la seguente monografia Della Pieve di Gavi. Questa antichissima chiesa intitolata a santa Maria, e della quale io intesi parlare per la prima volta nel 1854 (trovandomi in Gavi), a proposito della scoperta di una ampolla vitrea onde toccherò in appresso, sorge a ponente un tre quarti d’ ora distante dal detto paese, in una penisola sulla GIORNALE LIGUSTICO sponda sinistra del Lemme, lungo la strada che riesce a Castelletto d’ Olba. Essa era tuttavia molto fiorente nel secolo XIV, giacché nell’ atto onde a favore di papa Urbano VI furono colpite di una tassa straordinaria tutte le chiese soggette all’ Arcivescovato di Genova, santa Maria di Gavi figura tra quelle che vennero maggiormente imposte. Al contrario, nel 1582 era già poco meno che abbandonata, con-ciossiacchè monsignor Francesco Bosio, visitatore apostolico, disponeva a riguardo della medesima : ^Altare maius solidum jiat, alia duo lateralia diruantur. Ecclesia semper clausa retineatur, praeter certis diebus quibus populi devotione ad eam est concursus (1). Al presente però anche questa usanza, ia quale, era intesa a celebrare il di della consecrazione, e si mantiene tuttora viva rispetto alla vicina Pieve di Novi, è perduta. Bensì la chiesa col terreno circostante continua nella dipendenza, o meglio nel possesso dell’ arcipretura di Gavi ; ma ridotta ad usi agrarii, è tutta ingombra di carri, di botti e somiglianti. Lo scorso anno poi, avendo io disegnato alcune sculture longobarde ed altre antichità cristiane, ripensai ancora a questa Pieve ; e ricondottomivi quindi impresi anzitutto ad esaminare la sua costruzione, non trascurando di visitare i cascinali e fenili circonvicini, nella cui muratura si vedono appunto ben di frequente impiegati dei materiali tolti all’ edificio della Pieve medesima, non esclusi alcuni ornamenti. La facciata è di una struttura semplicissima, e guasta in qualche parte, come sarebbe nello ingresso di mezzo, di cui non si rileva più la forma originale. È poi decorata da sei lesene sporgenti 8 centimetri, e diverse l’una dall’ altra quanto è della larghezza, le quali rinchiudono cinque spazi poco (1) Ved. Synodi diocesanae et provinciales etc. S. Geriuensis Ecclesiae, pag. 242. giornale ligustico 357 rispondenti anch essi l’uno all’altro nel fatto delle dimensioni, forse a motivo di qualche non bene inteso ristauro. I due pi imi a destra, uscendo dalla chiesa, sono larghi cent. 98 ; gli altri due a sinistra hanno invece una larghezza minore di cent. 94; e percio tutta la estensione della facciata, compreso lo spazio di mezzo, misura 8 metri e cent. 38. Le due lesene inoltre che sono all’ estremità si elevano all’ altezza di 5 metri; le altre seguitano l’andamento del timpano, che si innalza fino a metri 8 e cent. 90, ed è coperto di una intavolatura e di tegoli. Finalmente negli anzidetti spazi che 1 imangono fra le lesene corrono due archetti di tutto sesto, assai rozzi e disuguali nella giustezza della forma ; e cinque invece ne girano in quello di mezzo superiormente all’ ingresso decorato da un piccolo occhio; oltrecchè siffatti spazi erano anche adorni di pitture, delle quali in più acconcio luogo terrò quindi ragionamento. Si conosce pure come tutto all intorno della fabbrica girasse uno imbasamento dell’ altezza di circa 75 centimetri. L’intero edificio è poi costrutto di grosse pietre alternate con ciottoli del sottostante fiume Lemme ; e ve ne ha di tir.ta rossastra e variata bellissimi, mentre i più sono di color verdognolo e di un calcare durissimo. Bensi le lesene ed i coronamenti degli archi nella parte esterna che prospetta il fiume sono composti di grossi embrici d’ argilla molto scura e di assai forte cottura, aventi una larghezza di cent. 46 circa per cent. 7 di spessore. Alla porta d’ingresso è poi sovrapposto un grande arco tutto di mattoni ; il quale da terra alla curva totale misura metri 6,30 d’altezza, esso s’imbasa sulla lesena a destra, e per una metà solamente su quella a sinistra, la quale tronca nel mezzo. Di che si rileva che tale arco è lavoro di un epoca posteriore alla costruzione della chiesa; e si conferma anche col riscontro di un altro arco girato egualmente sovra la 24 « 353 GfORNALE LIGUSTICO porta medesima, ma nella parete interiore dell’edificio, il quale oltre all’ essere di minor dimensione e regolare, rimarrebbe ad un’ equa distanza fra le due lesene e riuscirebbe proprio nel centro della fabbrica. Al lato destro della chiesa è addossato un casolare di contadini; il sinistro prospetta verso Gavi, ed ha una estensione di metri 19,50, compresi metri 3,50 occupati dallo sporto del-1’ abside. Esso è affatto privo d’intonaco, e lascierebbe così osservare la sua struttura in tutta la propria integrità, se in parte non la ricoprissero foltissime edere. L’ ornano poi quattro arcate corrispondenti a quelle dell’ interno ; le tre prime sono alte metri 2,08 per 1,63 , mentre la quarta lo è soltanto metri 1,98; e distano metri 1,40 l’una dall’altra. L’ arco è composto di grossi mattoni e pietruzze, e rinserrato da una costruzione, come dicesi, di calcestruzzo; e rispetto alla terza arcata è da notare come vi si scorga innestata una colonna di mattoni, pezzi di tegoli, ecc., parendo che sovr’ essa s’imbasasse un altro arco, il quale non si sarebbe elevato da terra che circa metri 1,56. Vedonsi pure a breve distanza dai detti archi alcuni avanzi di costruzioni, i quali diconsi residui del cimitero che doveva essere contiguo alla chiesa ; e difatti riseppi da un villico essersi ivi rinvenuta non lieve copia di ossa. Seguita 1’ abside, il quale, come tuttor si rileva, è ornato da otto pilastri sporgenti quanto quelli della facciata, cioè circa 10 centimetri; i quali si dipartono dal menzionato imbasamento, e variano anch’ essi alquanto così nella larghezza come nella distanza, che riesce di circa cent. 88. Nel giro della curva ed in mezzo alle ridette lesene, sono tre finestre . a feritoia, sulla foggia delle costruzioni longobardiche. Del resto poi i mentovati pilastri si innalzano fino alla estremità del coronamento ; e fra l’uno e l’altro capiscono due archetti di tutto sesto, come quelli della facciata, costrutti di pietre e GIORNALE LIGUSTICO 359 mattoni, e finienti con un semplice modiglione o mensola di pietra nostrana (i). Due ordini di mattoni sporgenti 1’ uno sopra 1’ altro formano quindi il coronamento, cui si addossa la copertura di tegoli; e siccome sono dipinti diagonalmente di bianco sulla estremità, formano così una specie di ornato. L altezza dell’ abside da terra al coronamento è di metri 4 e cent. 42. Interno della chiesa. La chiesa nel suo interno è di forma semplice e quadrilunga; ed ha metri 15 di lunghezza e metri 5,65 di larghezza, non compreso lo sfondo dell’ abside che è lungo metri 3,87, largo metri 4,40 ed alto metri 5,79. Al qiAle abside gira intorno una fascia larga circa cent. 25. I tre finestrini poi che abbiamo già detto, sono 'di tutto sesto; hanno l’altezza di cent. 97 e la larghezza di cent. 48 nella loro apertura interna, che poi finisce all’ esterno in soli cent. 18. Lungo le pareti dei due fianchi inoltre si vedono praticati quattro sfondi semicircolari per ognuna di esse, corrispondenti agli accennati del fianco esterno ; e sovr’ essi apronsi altrettanti finestrini egualmente foggiati a feritoia, ma non corrispondenti ai vivi degli archi medesimi, i quali sfondano cent. 54. Solo è da ritenere quanto ho diggià avvertito, che gli ultimi due sono di minore altezza (2). In qual modo poi le dette finestre fossero riparate contro 1’ aria esterna, io non rinvenni alcuna traccia per giudicarne. Certo esse non lo erano col mezzo di vetri, il cui uso non . sì generalizzò che negli ultimi cinque secoli ; ma forse saranno state difese da tele inoliate, in quella guisa che più comunemente si praticò nei secoli anteriori. Potrebbesi (r) Ved. Tavola I, num. 1. (z) Vedasi la pianta dell’edificio, nella Tav. I, num. 2. GIORNALE LIGUSTICO anche sospettare che fossero otturate con lastre di marmo specolare, giusta il costume orientale adottato in Italia nel-1’ undicesimo secolo (i) ; ma la povertà del luogo ci par che tolga fondamento a questo sospetto. Nello spessore del muro si vedono due tozze colonne ; P una delle quali intonacata di stucco ed avente il capitello coperto dalla muratura. Esso, come già dissi, è di cotto; ed è abbastanza ben conservato trovandosi al riparo dalle intemperie. Sembra vi fosse pure una base ottagona, ma è cosi frantumata che non se ne può indagare la forma. Corre poi all’ intorno d’ogni arco una fìnta costruzione di pietre a scacchi bianchi e neri, come si costumava in ispecie nel secolo XV. La copertura dell’ edificio era di legno , ma oggi è interamente perduta ; di guisa che le travature vennero supplite i da tronchi d’ albero. T)i alcuni avanci d’ ornato e della mensa. Dei diversi ornamenti, scolpiti nella consueta arenaria del del paese, che dovettero un tempo fregiare questa chiesa, oggidì rimangono appena pochissimi avanzi. Il primo di essi si incontra adoperato nella costruzione di un pilastro esterno del-1’ abside, ed è una treccia la quale crederei che decorasse in origine tutto all’ intorno 1’ abside stesso (2). Similmente nello interno dell’edificio, e del pari nell’abside, si ha un altro avanzo di treccia; ma è più ricca correndole al di sotto un meandro a doppi giri (3). Cinque altri avanzi trovai quindi murati nelle cascine e nei fenili vicini, oltre una targa di un’epoca posteriore ed un frammento di capitello in marmo ornato d’ ovoli, baccelli e fuse-ruole (4). (1) Berti, Cenni storico-artistici ecc. di San Miniato al Monte, pag. 88. (2) Ved. Tav. II, num. 7. (3) Questo pezzo è alto cent. 20, e lungo cent. 35. (4) Ved. Tav. II, num. 6. giornale ligustico 361 "V i ha pure la pietra che già servì di mensa all’ altare, avente lo spessore di centimetri 11, lunga metri 1,60 e larga metri 1,10; e sono da osservare al proposito due eguali pietre, le quali vedonsi prodotte l’una dal Bosio e 1’ altra dal Boldetti come esistenti nei cimiteri di Priscilla e dei santi Marcellino e Pietro (1). Soggiunge anzi il Martigny di aver veduto egli stesso nel cimitero di Callisto le traccie di quattro pilastri, i quali doveano sostenere un altare non differente al certo da quello del Boldetti medesimo (2). Dirò ancora che uno dei predetti cinque avanzi faceva parte certamente del paliotto sottostante alla mensa, come si riscontra in altri antichi monumenti ; ed è composto di un intreccio a più giri con croci ed altri simboli cristiani (3). Ne abbiamo parecchi esempi in frammenti di antiche scolture che ci rimangono, e tra gli altri uno a santa Maria di Castello. Altri esistevano in san Domenico e vennero distrutti ; altri se ne incentrano nelle chiese delle nostre riviere ; ma più frequenti assai occorrono tuttora nelle antiche costruzioni venete e longobarde. Aggiungerò che un paliotto di tal genere vedesi ritratto in uno dei bassirilievi che ornano 1’ atrio della chiesa di san Martino in Lucca ; e che un altro può . eziandio riscontrarsi nella miniatura di un evangeliario del IX secolo, prodotta per fac-simile dal Gazzera, laddove è espresso Vara-mundo vescovo d’Ivrea (4). (2) Bosio, ‘lIonia sotterranea ecc.; Boldetti, 'Osservazioni -sopra i cimiteri de’ santi martiri ed antichi cristiani di Roma, pag. 35 , num. 2. (2) Martigny, ‘Dictionnaire des antiquités chrétiennes etc., pag. 58. (3) Riproduco tre di questi frammenti ai numeri 364 della Tav. I, e numero 5 della Tav. II. Il num. 3 rappresenta quello che ornava la mensa. (4) Gazzera, Delle iscrizioni cristiane antiche del Piemonte, ecc. Estratto dalle Memorie della CR_. Jiccademia delle sciente di Torino, Serie II, tomo XI ; pag. 77, tavola IV. 362 GIORNALE LIGUSTICO Di un vaso vitreo che era murato sotto la mensa. Ma ciò che riesce di maggior interesse è una ampolla, la quale vedeasi già murata con calce sotto la mensa predetta, appunto in quella guisa che ne’ secoli primitivi si usò collocare i vai,i e le ampolle nei cimiteri. Io 1’ ebbi in dono, fino dal 1854, dal contadino conduttore della cascina parrocchiale. Essa è di vetro bianco e di forma rotonda, con largo collo, ornata all’ intorno da sei bolle di colore dello smeraldo, e sospese a somiglianza di quanto si vede nel libro dei sette sigilli ; mentre il collo è ornato anch’ esso da linee dello stesso colore, le quali producono sul fondo bianco un risalto bellissimo. Il piede poi è formato da un orlo (i)- Quanto alla forma, io oserei dirla non punto comune, se . J 1 vogliasi riscontrare con quelle mólte che sono riportate a Buonaroti, dal Bosio, dal Boldetti, ecc., 0 che si trovano rappresentate nelle agapi. Soltanto essa ha qualche rassomiglianza con uno di quei vasi vitrei destinati a contenere il sangue dei martiri e riferito dall’ Uggeri, benché sia baccellato all intorno e privo di ogni ornamento (2). Sibbene esso è identico ad un vaso del Museo cristiano del Vaticano, il quale si ^ede prodotto in una importantissima raccolta fotografica (3) > nonché a cinque lampade che si osservano in una pittura greca esprimente la sepoltura di san Pietro, sospese a ~or doncini raccomandati a piccole anse (4). Donde si deduce la pluralità degli usi cui' tali vasi poteano venir destinati. E si^ milmente s’incontrano adoprati all’ uso medesimo in uno dei bassirilievi della porta in bronzo della cattedrale di Pisa, che (1) Ved. Tav. II, num. 8. (2) Uggeri, Journées pittoresques dans les environs de Rome; tav. XVIII- (3) Ved. Antiquités chrétiennes photographiées par m. Ch. S inietti* Roma, 1870; tav. 59. (4) Ved. Rosimi, Storia della pittura, ecc., tav. D. giornale ligustico 363 si attribuisce a Bonanno ; nonché in altre delle storie che ornano quelle del Duomo di Monreale. Riguardo poi alle bolle, o sigilli che dir si vogliano, io inclinerei a credere che essi aver debbano qualche mistico significato, massimamente se si riguardi a quei vasi prodotti dai più volte citati Bosio e Boi-detti , nonche dal D’Agincourt (1) e dal Ferrario (2) , i quali appunto di palme, di colombe, d’agnelli, o d’altra latta simboli del pari veggonsi decorati. Aggiungerò che gli scultori avanti il risorgimento dell’ arte si mostrarono aneli essi imitatori fedelissimi, ritraendoci cotali vasi e simboli nelle loro composizioni; secondo che ce lo confermano alcuni accessorii posti sovra le mense, e che io trovo identicamente ripetuti in più monumenti. Fra essi, ad esempio, io incontro sempre un’ ampolla assai larga di collo ed allungata nel fusto ; e la riveggo eziandio fra le mani di un san Giovanni battezzante espresso in un piccolo marmo il quale serviva d’imposta d’ arco, e serbasi ora nella mia privata collezione (3). Dirò ancora che di tali simboli od animali simbolici e simili si componevano ancora gli stessi arredi sacri, esprimendo lotte d’ animali ecc. Ma un bell’ esempio, sotto questo rispetto, ci viene offerto dal Texier, laddove riferisce un ciborio del secolo XII, foggiato a guisa di colomba e proveniente dalla chiesa di Raincheval (4). Un altro pure ne riferisce il Piot nel Cabinet de l’amateur (5). Del resto soggiunge il Texier che fino alla rivoluzione del secolo (1) D’Agincourt, Storia dell’ arte, ecc., vol. I. (2) Ferrario, Monumenti sacri e profani della Basilica di s. ^Ambrogio in Milano. (3) Lo comprai diversi anni or sono, e mi fu detto che proveniva dalle parti di Albenga. Il suo stile parmi che si avvicini a quello dell’ arca marmorea del Battista, la quale serbasi nel nostro Duomo. (4) Texier, ‘Dictionnaire d’orfèvrerie etc., col. 454, 1470 e 1480. (5) Années 1861 et 1862, pag. 157. 3^4 GIORNALE LIGUSTICO che ci ha precorsi, quest’ usanza e questa forma di conservazione della Eucaristia fu osservata da un gran numero di chiese, e principalmente nei monasteri (i). Ma rifacendomi ora alla nostra ampolla, noto pure che nello interno della medesima era riposta una piccola idria di legno di bella forma lavorata al tornio, munita di coperchietto e decorata al di fuori da ornamenti o linee a colori, di cui si vedeano ancora le traccie (2). Ed anche questa io m ebbi dal contadino summentovato ; il quale per ultimo mi mostrò una piccola pergamena a guisa di nastro che si rinvenne chiusa nell idria medesima, ma eh’ egli avea incautamente lavata pei modo da farne scomparire ogni traccia di scrittura. Ceito e però che la pergamena dovea serbar memoria della consecuzione della Pieve ; si come una piccola pergamena chiusa in un vasetto consimile serbava ricordo della consecrazione del nostro Duomo avvenuta l’anno 1118 per l’opera di PaPtl Gelasio II (3). È noto d’ altronde che siffatte memorie erano per 1 appunto iscritte assai, d’ ordinario su piccole striscie o pezzetti di pergamena. Delle Pitture. La parte che riguarda i dipinti è meno antica delle altre fin qui discorse, e perciò l’abbiamo rimandata a questo luogo. E prima di tutto rifacendoci alla facciata, osserviamo negli spazi interposti fra le lesene un qualche segno di colore e qualche graffiatura che sono appunto indizio di dipinti. Nti due riparti poi che fiancheggiano l’ingresso ne rimangono (1) Texier, col. 454. (2) Ved. T avola II, num. 9. (3) Questo vasetto con la pergamena, nonché 1’ ampolla della Pieve di Gavi, furono con più altre reliquie di sacra antichità da me ritratti nei disegni che giovarono alle nuove tarsie eseguite nel Coro del nostro Duomo. GIORNALE LIGUSTICO 36 5 tuttoia degli avanzi. Difatti in quello che resta a manca del riguardante mirasi una Nostra Donna col Divin Figlio in brac-cio (i) ; ed appena è se ancora si conosca la parte superiore della composizione, di che nondimeno mi riuscì cavare un lucido. La Madonna ha il capo cinto di una corona foggiata a punte, come si riscontra nelle miniature greche e latine dei secoli X e XI, e che pur costumarono i pittori del XV, come ad esempio vale a convincercene la tavola del Crivelli prodotta dal D’ Agincourt (2). Nella sottoveste poi si scorgono ancora le traccie di un panno rabescato, come i lavori dei quattrocentisti ed anche dei cinquecentisti. Il Bambino, del quale potei a grave stento rilevare il contorno, è affatto ignudo, e posto in atto di benedire. Dal lato destro invece veggonsi solamente i piedi di una figura, la quale, a giudicare dalle proporzioni dei medesimi, deve essere stata rappresentata di una grandezza oltre 1’ ordinario ; e ciò posto insieme con la esistenza di alcuni pesci i quali vedonsi tracciati in prossimità del piè destro, io mi induco a credere che il pittore abbia quivi espresso un san Cristoforo. Ad avvalorare la qual con-ghiettura concorre pur grandemente il ricordo di alcuni rami ed avorii esprimenti il detto santo, ai cui piedi guizzano appunto dei pesci, ed il sapere il medesimo venerato assai in quelle circostanze dove hanno titolo dal suo nome un villaggio ed una chiesa. Stando poi alla forma del dipinto, questo si direbbe non tanto di antica data quanto di un poco valente autore. Nel mezzo poi. dell’ abside, il campo del quale è tutto seminato di stelle fiammeggianti, mirasi ritratta sovra uno spesso strato di intonaco una Nostra Donna di forme gigantesche , seduta sopra di un trono, in quella foggia nella quale si vede (1) Lo spazio occupato dalla dipintura è di cent. 90 di larghezza per cent. 80 di altezza. (2) D’Agincourt, Stona ecc., tav. CXXXVIII. — Veggasi il busto di questa immagine al num. 10 della Tavola II. 366 GIORNALE LIGUSTICO in presso che tutte le antiche cattedrali non solamente in opere di dipinto ma eziandio di mosaico rappresentato 1’ E-terno Padre. Il trono è colorito di giallo, e per la torma si accosta a quelli che usarono in ispezial modo gli artefici lombardi cosi frequenti pel secolo XV nella Liguria marittima e montana. La Beata Vergine tiene colla destra il Divin Figlio, e reca al petto la sinistra ; ha il capo coperto da una specie di nimbo e cinto da una corona a punte, finienti come in un trifoglio ; la quale corona, al pari di quella del Bambino, campeggia sovra una grande aureola. Un manto di tinta rossa annodatole sul dinanzi, ricopre quasi tutta la persona, lasciando scorgere soltanto porzione della tunica bianca ; e nei piedi ha calzari scuri, come appunto si riscontra nelle antiche pitture. Il Bambino indossa una tonaca di lacca scura, strettagli ai fianchi da una larga fascia color verde ; la qual foggia si riscontra pure nel dipinto della Beata Vergine che si venera nella chiesa di santa Maria di Valle presso Gavi, e vedesi adoprata sì da varii pittori (fra i quali è Guido da Siena) e sì da veneti scultori. Intorno all’ autore del dipinto io non oserei nè saprei pronunciarmi ; dirò solo che non vi trovo alcuna rassomiglianza con le pitture dello esterno sovra accennate, nè colle altre sparse per quei dintorni, delle quali pur vidi un buon numero come già accennai in una mia descrizione della gran pala di Manfredino da Castelnuovo, onde anche mi occorse notare che recano ben di frequente l’impronta (i). Della testa della Madonna (2), siccome di una mano e d’ un piede del Putto, ho potuto a stento cavare un lucido ; ma non riuscii a spiegare a me stesso perchè mentre le teste sono disegnate con una (1) Vedi il giornale Michelangelo, num. 12 (21 aprile 1855). (2) Ved. Tav. II, num. 11. CORNALE LIGUSTICO 567 certa giustezza di parti e di un carattere largo, le estremità ed i panni accusino rozzezza e manchino di forma e dettaglio. Una striscia rossastra divide 1’ abside dal piedritto , dove negli spazi interposti fra i tre finestrini già ricordati parvemi scorgere traccie di grafito, e che in qualche parte ove lo scialbo era men fitto trasparissero dei colori. Non esitai ad accertarmene con qualche colpo di martello ; ed ecco al cadere dello intonaco rivelarmisi 1’ estremità inferiore di una figura panneggiata, la quale, parvemi non si scostasse gran fatto, quanto all’ esecuzione ed al carattere, dal preaccennato dipinto, abbenchè forse di un fare più secco ed alcun poco migliore dal lato della forma. Postomi quindi ad esaminare la località con più minuta diligenza, mi sembrò poterne dedurre che tra l’una e l’altra delle finestre dianzi ricordate dovettero essere ritratte tre grandi figure; le quali, se l’accennato ci vieta di far rimontare fino alla primitiva costruzione della chiesa, quando cioè 1’ arte ispiravasi ancora sulle opere dei greci maestri, possono invece, rispetto al tempo, comporre un insieme con quelle che abbiamo superiormente descritte, se pure non si hanno da giudicare di buon tratto anteriori. 11 socio Desimoni legge quindi le seguenti Comunicazioni. Non vorrei, Signori e Colleghi, che la mia voce suonando troppo spesso in quest’ aula vi venisse a noia ; senonchè il tacere delle comunicazioni onde ci onorano i Dotti, segnatamente stranieri, parrebbe atto di scortesia verso di loro e segno di poco affetto alla nostra nobile Istituzione. La storia, sotto 1’ ampio aspetto in cui è ora considerata, di ogni notizia anche apparentemente poco notevole si nutrisce e si rimpolpa; e ne trarrà gran servizio il futuro storico nostro, il quale più felice di noi potrà innalzare compiuto e splendido 368 GIORNALE LIGUSTICO 1’ edifizio sulle sode fondamenta dalla comune pazienza e diligenza apprestate. § I. Il primo a richiamare la nostra attenzione è il prof. Teodoro Wüstenfeld di Gottinga, dotto nella storia medioevale, e più d’ ogni altro conoscente dçi documenti italiani fino almeno alla metà del XIV secolo: non solo per le fonti stampate, anche rare, ma e per ripetuti viaggi in tutta Italia, dove visitò diligentemente gli Archivi, anche quelli di secondo ordine. Ora il lodato professore, con cui sono da molti anni in corrispondenza per alcuni studi storici, mi ha fatto recentemente l’onore di dirigermi per mezzo del socio e comune amico signor Pinelli la lettera seguente. « Pregiatissimo Signor Avv. Desi-moni. (( Nel Registro Comunale d’Asti (codice che si conservava nell’Archivio Imperiale di Vienna ed è scritto quasi tutto nel-1’ anno 1294) ho trovato un documento, il quale attesa la rarità delle memorie aleramiche più antiche, confido avrà anche per Lei qualche valore. Eccole un estratto dal foglio XXIV di quel codice : « Anno ab incarnatione domini nostri Jesu Christi, millesimo sexagesimo quinto, duodecimo mensis mai, indictione V. Ecclesie sancte Dei Genitricis V irginis Marie de episcopatu infrascripte civitatis astensis Nos Berta Comitissa et Manfredus Bonifacius et Anselmus marchiones et Henricus et Oto germani mater et fìlii qui protessi sumus nos mater et filii ex natione nostra lege vivere salica...... offertores...... quidquid etc. (le solite formule), fanno donazione alla chiesa anzidetta di quattro corti » cum castro muris fossato circumdatis », che possedono in Castagnolis et Laureto et Montaldo atque Rodia de Flexio » colle loro pertinenze. Segue la consueta investitura salica « cum festuca, vantone et vasone etc.», e la conferma. Berta cqmitissa et Manfredus Bonifacius et Anselmus, Otto et Alricus germani mater et filii, promettono osservare » sub duplo.....bergamenam cum atramento de terra levavimus et Benzoni notario sacri palatii ad scribendum dedimus. GIORNALE LIGUSTICO 36 9 « Signum manus » ecc. dei donatori. « Amalbertus Milo Paganus signifer Anselmus atque Rudolfus testes. « Anselmus. Obertus, Olto, Ricardus leg. salic. « Benzo notarius sacri palatii ». « L indizione è errata e vorrebbe essere la terza; ma non tornerebbe neppure per chi sospettasse che la data del documento sia da portarsi al 1165, chè allora vi cadrebbe la X. Ma, che è più, il contesto, i nomi, la formar, le circostanze dell’atto, la mancanza de cognomi nei testi e nei vassalli intervenuti, tutto concorda a persuadere che la data ne sia veramente del 1065. Foise il copista che inseri la carta in quel registro lesse nel- 1 originale V, invece di III, essendo sbiadito il tratto, di mezzo. « Il documento ci apprende cosa ignota prima d’ora e preziosa; cioè che si chiamava Berta la madre de’ Marchesi Aleramici Manfredo, Ottone ed Anseimo, già noti per la carta savonese riferita dal San Quintino, e madre pure di quei Manfredo, Anseimo e Bonifacio, nominati nella lettera di Gregorio VII (1). Inoltre, se non con piena certezza, almeno con moltissima verosimiglianza se ne inferisce che la medesima Berta fosse figlia della Contessa omonima che fu moglie ■di Odolrico Manfredi, de’ Marchesi di Torino; perciò anche, che Berta fosse la sorella della famosa Contessa Adelaide. « Le ragioni della nostra congettura sono dapprima la identità de’ nomi, che nelle famiglie di quei tempi si solevano ripetere: Berta madre e figlia, come Odelrico, detto anche Al-rico, ripete il proprio nome nel nipote suo, figlio di Berta juniore, il quale è detto Enrico nel principio del documento anzi citato, ma sul finire è chiamato Alrico. « In secondo luogo parlano per la nostra congettura i territorii donati alla Chiesa Astense. Loreto, Castagnole, e le (1) Memorie dell’ Accad. delie Sciente di Torino. Muova Serie vol. XII. pag. 50 e $3; Gregorii Magni, Epistolae, lib.VII,ep. 9. 370 GIORNALE LIGUSTICO altre corti ivi accennate fanno parte del Comitato d Alba (ossia di Diano come dicevasi allora); e questo Comitato apparteneva al tempo della donazione alla discendenza d’Arduino, perciò la donatrice dovea averli ereditati dal padre non dal marito. Ed appunto nello stesso 1065 la Contessa Adelaide (che sarebbe come si è detto la sorella di Berta) faceva aneli’essa una donazione che si può considerare come il complemento di quella onde qui si discorre. È la donazione al Vescovo d’Asti Girelmo di un castello colla cappella di san Silvestro ecc., in Valle Blandinasca et Villa Sancti Micbaeìis in Vetrone, Vedano, colla cappella di San Giorgio in Novelle, in Valle Godonis, in Loreto, ecc. (1). « Non saprei trovare documento più opportuno per dimostrare l’origine di Berta. Questa carta fa cader pure ogni qualunque possibilità di un fondamento nelle invenzioni dello Sciavo sulla moglie ungherese di Teto 0 Tete, padre di Bonifazio e degli altri fratelli sovra indicati; come pure sovra quell’ altra moglie di Teto, Elena di Corrado di Ventimiglia; le quali non possono essere che parto di fantasia. Viene finalmente per tale guisa stabilita non soltanto la possibilità, ma la realtà della trasmissione di una parte dell’eredità dei Marchesi di Torino nell.i famiglia aleramica. « Cionondimeno non ci pare ancora dileguata per verun mode» l’altra fin qui tenuta opinione di un’altra moglie di Bonifacio che avesse nome Adelaide. Credo averne un indizio nelle carte genovesi del monastero di santo Stefano, ove i fratelli Guglielmo e Bonifazio Marchesi di Clavesana nel 1169, VII Kalend. Martii, confermano ciò che la Contessa Adelaida avia nostra fìlia quondam Manfredi Marchionis, avea già donato al monastero medesimo in Civitate Albengana, nominatim curtc regia ecc. Segue all’ atto la copia del documento confermato (1) Mon. Hisi. Patriae: Chartar. I. 605. giornale ligustico con quLSto del 1169; cioè la donazione che fin dal 1049 avea fatto la Contessa Adelaide di cui sopra è discorso (1). L’in-tei vallo fia queste due date del 1049 e 1169 dimostra che la prima donatrice non poteva essere l’ava dei Marchesi di Clavesana: vi fu dunque un errore, uno scambio nella loro asseizione: ma questo scambio non sarebbe stato possibile se la loro ava vera, la moglie del Marchese Bonifacio, che essi a\evano potuto conoscere da fanciulli, non avesse avuto lo stesso nome di Adelaide. « Per simil guisa nel Registro Comunale di Viterbo (Cod. I, pag. 586), ho trovato una carta del 15 maggio 1301, con cui il Conte Galas sus Nicolai Comitis Guidi de Bisencio conferma e riferisce allo stesso modo per intero altra carta di sottomissione che avea fatta nel 1175 il conte Guitto di Vetralla filius quondam Ofreducci. Ivi si considera come una identica persona il Guitto padre di Nicolò ed il suo omonimo Guitto quondam Ofreducci. Or questo è impossibile, perchè Nicolò viveva nel 1263, come si vede da altra carta di sottomissione del castello di Pianizano al Comune di Toscanella (Turriozzi, Storia di Toscanella, pag. 124); ed è manifesto che vi corse l’errore d’ aver negletto una generazione. Difatti un Guicto quondam Guicti di Bisenzio il 12 giugno 1220 figura nel Registro Comunale d’Orvieto (pag. 120). Si capisce perciò che il Guitto del 1175 fu l’avo e non il padre di Nicolò; ma si capisce pure come l'identità dei nomi abbia potuto trarre in errore il discendente loro nel 1301. Teod. Wustenfeld ». Sono lieto di esprimere i miei più vivi ringraziamenti e le mie tongratulazioni al dotto Professore di Gottinga; il quale continuando a onorarmi della sua amicizia non solo ha scritto una erudita e molto ingegnosa lettera, ma mi ha ridestato una (t) Me. Hi st. Patriae: Charìar. II. 145. GIORNALE LIGUSTICO rimembranza quasi perduta; il di cui risveglio, confido, gli farà molto piacere, perchè con ciò le sue acute considerazioni salgono al grado di certezza assoluta. r Uno de’ miei primi studi, che servi di fondamento al manoscritto delle Carte Genovesi del compianto avv. Ansaldo, e quindi al Cartario Genovese pubblicato dall’ amico cav. Bei-grano, uno de’ miei primi studi, dico, fu quello di classificare cronologicamente fino all’anno uoo le carte tutte che si trovavano disposte a casaccio e senza riduzione di data nelle Miscellanee allora quasi ignote del Poch (i). Una di queste carte colla data 30 settembre 1064, indizione 2.% era la donazione che faceva al monastero di san (1) Miscellanee mss. di storia genovese (anonime, ma raccolte del sacerdote Bernardo Poch di Sarzana), ora conservate nella Biblioteca Civica pei grazioso dono del cav. avv. Emanuele Ageno. Vedi il Cartario Genovese del cav. Belgrano citato qui presso: Atti della Società, vol. II, parte I, pagg. 2-6, ove . del detto raccoglitore e d’ altri di sua famiglia si porgono per la prima volta alcuni importanti ragguagli. Altri ne furono in seguito comunicati alla Società stessa, per cortesia dell’erudito nostro collega D. :\Ticolò Giuliani, il quale additava 1’ indefesso sarzanese si come autore di una Dissertazione sul Pentateuco edito in "Napoli nel 1491 , pubblicata m Roma nel 1780 dalla tipografia Salomoni, e lodata nelle Effemeridi letterarie di detta città (5 agosto 1780, pag. 249). Ved. Archivio Storico Italiano, serie III, vol. XVII, pag. 521. Possiamo ara anche aggiungere la data precisa della morte del Poch, grazie ad un estratto del Diario ordinario di Roma del 9 marzo 1782, inserito dall’illustre Principe D. Baldassare Boncompagni in nota ad un nostro scritto Intorno alla vita ed ai lavori di Andalò Di Negro (pag. 48, nota 1) già rammentato nel Giornale Ligustico (1875, pag. 93). « Essendo passato all’ altra vita (cosi il Diario) in età avanzata il Rev. Sig. D. Bernafdo Poch Sacerdote Secolare Genovese, martedì mattina il di lui corpo stiede esposto a tenore della sua disposizione testamentaria nella Chiesa di S. Carlo al Corso della Nazione Milanese, vestito degli abiti Sacerdotali con attorno 16 cerei accesi. Egli era celebre Perito nella Lingua santa, e col medesimo Testamento ha lasciato tutto il suo asse alla Sacra Congregazione di Propaganda Fide, con l’obbligo, eh’ ella debba mantenere due alunni Galilei ». GIORNALE LIGUSTICO ' Siro di Genova Berta col figlio Manfredo, risiedendo nel castello della città d’ Asti. La posizione dei beni donati, le lacune che nella copia del Poch apparivano tra il nome di Berta e quello di Manfredo, e tra questo e le parole mater et filius o filii, m inducevano sospetto di più preziose notizie nascoste in que’ vani; ma non avevo sott’occhio gli originali allora conservati negli Archivi Generali del Regno in Torino. La lettura del documento importante scoperto dal lodato Professore mi tornò in mente i sospetti; e corso al nostro Archivio di Stato, sebbene trovassi le ricercate parole assai sbiadite e poco leggibili per le condizioni della pergamena,, ne capii subito abbastanza per dedurne la prova diretta del fatto preveduto dal mio dotto amico: che cioè Berta era figlia di Manfredo e moglie del quondam Teto o Tetone, padre del celebre Marchese Bonifacio. Acciò 1 amor proprio non mi facesse travedere, pregai 1 amico cav. Belgrano e la Scuola di paleografia da lui egregiamente indirizzata a volermi fare una copia il più possibile esatta delle parole nascoste sotto quella apparente lacuna; ed eccone ii risultato. Avverto che le lettere scritte in corsivo sono state aggiunte dalla anzidetta Scuola, per compiere la parola il cui senso è indubitabile per le altre lettere che chiaramente appariscono; mentre le parole poste tra parentesi sono una giunta o spiegazione mia. *Nos berta co/«itissa filia quod maginfredi et item maginfre dus et ^me/mus.....fac’ (Bonifacius) seti oto clericus g g (germani) et /ilii qda teto itemque marchio mater et filiis qui profesi sumus etc. Vedasi il resto del documento nel Cartario Genovese (Atti della Società Ligure, vol. II, parte I, pag. 169). La donazione al monastero di san Siro di Genova riguarda possessioni in Calosso presso il torrente Tinella, cioè non lungi da que’ luoghi di Castagnole e di Loreto donati dalla medesima 374 GIOEXALR LIGUSTICO Contessa Berta e figli alla chiesa di santa Maria d’ Asti nell’anno seguente pel documento ora scoperto dal Wiisten-feld. La Tinella qui secondo il Durando (Piemonte Cispadano, pagg. 202-4, 283-5) divideva i Comitati d’Alba e d’Asti; e Ca-losso doveva essere compreso in quest' ultimo Comitato. Ad ogni modo tanto Asti quanto Alba facevano allora parte di quella maggiore Marca, che noi non possiamo più chiamare di Susa, come si usava fare una volta, ma preteriamo dire di Torino dalla maggiore città, od Arduinica dallo stipite della famiglia. E bene a proposito ricorda il lodato Professore 1’ analogo atto di donazione, che nello stesso anno 1064 faceva al Vescovo d’Asti la Contessa Adelaide sorella di Berta ne’ luoghi medesimi 0 poco lontani, in Val Godone, in Loreto, in Canelli (questo è ora capo-mandamento, in cui è il Comune di Ca-losso). Senza bisogno d’ aggiungere che Loreto è uno dei luoghi che più figurano nelle carte del figlio di Berta, il Marchese' Bonifazio. Nella lettura del difficile brano è notevole che qui al rovescio della carta del Wüstenfeld, Anselmo è nominato prima di Bonifacio (le lettere che vi si distinguono tra le altre illeggibili non permettono altra interpretazione). Manca inoltre il nome del fratello Enrico, 0 almeno non si saprebbe vedere in quale spazio possa stare una tale parola. V Ottone è detto qui chierico, di che abbiamo esempi in carte di altri Marchesi. Le parole Teto et 'item marchio vogliono una antecedente parola marchiones attribuita ai suoi figli, come vi è nella carta del Wüstenfeld; ma nella nostra pare omessa per una svista del notaio, perchè manca lo spazio. L’indizione è giusta. Le forinole saliche sono nelle due donazioni del 1064 e 1065 della stessa maniera ed abbondanza. Ciò posto, grazie al Professore di Gottinga, un bel punto finora misterioso è guadagnato: le pretese mogli del Marchese \ GIORNALE LIGUSTICO "’tc ___________' DI) . 1 ctone, venute da Ventimiglia e dall’Ungheria, sono ricisa-mente rifiutate come fattura dello Sciavo: la vera moglie di m c Berta figlia di Odolrico Manfredi Marchese di Torino, e sorella della Contessa Adelaide impropriamente detta di . usa; e quindi è chiaro il perchè morendo Odolrico Manfredi senza prole maschia, il Marchese Bonifacio e fratelli di stirpe alci amica abbiano potuto aggregarsi tanta parte arduinica, donde sorsero i Marchesati di Saluzzo, Busca, Clavesana, Ceva, i feudi di Loreto, ecc. ruttava il pi of. Wustenfeld non intende rifiutare al tutto q ' a tra opinione che il Marchese Tetone abbia avuto una seconda moglie di nome Adelaide, come quello della celebre Contessa di lui zia materna; e rincalza il suo avviso con un ragionamento ed un esempio assai ingegnoso. Io pure avea già ammesso simili nozze nelle mie lettere sulle Marche de Alta Italia (Genova 1869), come l’unico mezzo che allora si presentava per ispiegare il passaggio dei beni ardui-a^, 1 a eramidi, ma ora che non ve ne è più bisogno, senza proprio rigettare le ragioni del dotto Amico, osservo che le parole Adelasia avia nostra possono ricevere un altra spiegazione, che mi pare abbastanza naturale: che cioè■ avia sia qui detto non nel senso proprio di ava (madre della madre) ma nel senso più lato di parente antica. Alilo stesso modo e senso si diceva nel medio evo (ved. Ducange) hereditas avia-tica, ed ancora noi diciamo gli avi nostri in questo senso generale. §. II. Con altra nota dello stesso tempo il lodato prof. Wüstenfeld partecipa al cav. Belgrano una serie da lui compilata dei Podestà che governarono Genova dall’ anno 1294 al 1331. Noi non ebbimo ancora l’agio di esaminare quanto siavi di nuovo in questa graziosa comunicazione; ma non può essere che assai utile il concorso del Professore di Gottinga. Il quale si sa quanto sia versato anche nei più minuti particolari della storia d’Italia, e ne ha percorso più volte e dili- 376 GIORNALE LIGUSTICO gentemente gli archivi per costituire come un corpo diplomatico dei documenti fino a tutto il secolo XIV. La serie di lui ha inoltre quel pregio che finora manca alla analoga recata dai nostri storici: la citazione dei fonti, tra i quali specialmente ci giovano quelli che recano documenti e cronache, viste in ar-chivii e biblioteche fuori Genova. D’altra parte è noto che col-l’anno 1294 cessa la serie degli annalisti ufficiali della Repubblica; perciò il periodo preso di mira dal signor Wiistenfeld è appunto il più oscuro per la nostra storia, non avendosi altro aiuto che Giorgio Stella, cronista grave bensì, ma insufficiente ai nostri desiderii. L’ epoca dei Podestà forestieri nei Comuni d’Italia vuole essere anche studiata sotto un altro aspetto. Cogli umon guelfi e ghibellini, per cui si partiva città da citta e una famiglia dall’ altra nella stessa citta, la nomina di ogni Rettore accusa la parte politica a cui appartiene anche la famiglia di lui ; e viceversa dal colore politico della famiglia si può indurre il cambiamento delle parti avvenuto nel Comune, e le ragioni del cambiamento. Per questi motivi, ricordando che altre volte il march. Massimiliano Spinola presentò alla Società una serie de’ nobili genovesi, che andarono Podestà fuori della Liguria, propongo che anche questa riveduta e completata, se vi ha luogo, si pubblichi ne’ nostri Atti unitamente a quella dei Podestà genovesi compilata dal prof. Wü-stenfeld. § III. Nelle Memorie della Imperiale Accademia delle sciente di Pietroburgo (tomo IX, 1865, num. 7) il signor Cwolson pubblicò in lingua tedesca uno scritto che ha per titolo: Di-ciotto iscrizioni mortuarie ebraiche in Crimea. Ivi, in nota a pag. 6,.riferisce un frammento d’iscrizione che sarebbe stata scoperta nel Cimitero degli ebrei caraiti a Ciufut-Kalé, presso Baghci-Serai la capitale della Crimea. Dal quale frammento, confermato con altre circostanze, risulterebbe essere ivi stato giornale ligustico 377 sepolto un israelita di nome Eliau, morto nel 1261 valorosamente combattendo contro i genovesi. La nostra Società si rivolse al chiaro bibliografo sig. comm. Stanislao Sienniki di Varsavia, pregandolo a far ricerche a Pietroburgo della medesima iscrizione; ed egli trovò infatti, in quella Biblioteca Imperiale pubblica, i fac-simili di cui parla il sullodato Cwolson, tra i quali il nostro che conta il numero 281. Il signor Walter, il dotto Conservatore di quella Biblioteca che ebbimo poi la sorte di conoscere di persona in Genova, ci fu cortese di inviarne per mezzo del comm. Sienniki una diligente copia, con avvertire le parole che sono scritte in rosso; le quali a giudizio di lui sembrano aggiunte per conghiettura dal signor Firkovitz che fu lo scopritore e il copiatore di quel corpo epigrafico israelitico. Il sig. Bibliotecario nota eziandio che la medesima lapide è impressa colle altre nel libro pubblicato dal Firkovitz a Vilna nel 1872 (pag. 70, num. 277). Noi non ignoriamo che parecchi Dotti tengono in grave sospetto tutte queste scoperte; e la nostra lapide in ispecie non è ammessa come sufficiente prova, sia per le sue lacune, sia almeno per un probabile errore di data. Vedasi il eh. Prof. Bruun che in erudita nota ne parla, nelle citate 5VCe-morie di Pietroburgo (tomo X, 1866, num. 9), a pag. 85 del 3110 scritto Mémoires... concernant les Colonies italiennes en Gasarle. Tuttavia siccome il sig. Cwolson ed altri hanno fede nella sincerità del citato viaggiatore israelita; ma molto più per la ragiofie che a noi interessa metter in luce tuttociò che riguarda la nostra storia e le sue parti più oscure, diamo fjui luogo alla traduzione che, a preghiera del socio arciprete cav. Gerolamo De-Negri, si compiacque farne il sig. Benamusech di Livorno, dotto autore di pregiate scritture sull’ebraismo. Ma prima devo aggiungere che per quanto i criterii estrin- seci della lapide possano riescire dubbiosi, quegli intrinseci almeno si conformano alla storia. Perchè è noto che fin da quel tempo erano numerosi gli ebrei nella penisola Taurica, ed in quei luoghi stessi signoreggiati dai genovesi; e perchè il eh. prof. Heyd di Stoccarda ha dimostrato contro l’Oderico che i nostri doveano essere stabiliti in Crimea assai prima del 1266, torse anche prima della metà del secolo XIII (Le colonie commerciali degli Italiani in Orienti', vol. II, pag. 10). ( (Traduzione). « Tutti i luminari del cielo si oscurarono; la luna, il sole nelle loro orbite si ottenebrarono, quasi vergognosi perchè furono rapiti l’arca ed i vasi sacri; cessarono i loro sabati, le loro teste e i novilunj. Esulò da Israel la gloria, poiché Principe e Grande cadde oggi, si ecclissò, fu rapito. Per questo cingetevi di sacchi, fate lutto, gemete, poiché si avverò = cadde di nuravigliosa caduta = (verso dei Treni'). Era pel suo popolo quale muro altissimo, come città fortificata di fuori e di dentro. Lui beato che si accinse con ogni gagliardia a battaglia doverosa ; questi fi4 il Maestro Eliau figlio di.................................. Il forte, fece da prode (vinse) contro.............però noti gli bastarono le forze nell’ assedio dei genovesi; cessò il giorno di sabato (0 ultimo) Chislev — (nome di mese ebraico — dicembre - gennaio), l’anno Beato colui che tu eleggi ed avvicini per abitare nei tuoi cortili, si sazierà del bene della tua casa (anno 21° del millesimo), del tuo santo palagio. Riposi in Eden » (1). § IV. Il testé lodato prof. Bruun di Odessa, colla consueta cortesia, comunicava alla Società nostra la copia di tre lettere latine che si conservano negli Archivi dell’antico Regno di (1) Le parole segnate in rosso nel facsimile del testo ebraico corrispondono a quelle stampate in corsivo in questa traduzione. giornale ligustico * 379 1 olonia, ora a Pietroburgo, ma che furono pubblicate nel r86i a \ ai savia da Leopoldo Hubert nel suo primo volume pag. 5-13 dei Documenti istorici in polacco col testo originale in fronte. Queste lettere sono dell’aprile.e settembre 1462; e sono indirizzate a Casimiro re di Polonia da Raffaele di Monterosso podestà de genovesi in Caffi. Questi in compagnia dei Massari , avuto sentore di trattative iniziate tra esso Re e «li D Imperatori I ureo e Tartaro, prega Casimiro a voler far entrare in que’ trattati la Colonia genovese di Crimea come sua alleata. Lo avvisa della minacciata invasione di quella penisola per parte di Maometto II; e nota come la guerra che si vanno facendo tra di sè i Vaivodi di Valacchia e di Moldavia, affievolisca sempre più le forze cristiane dinanzi ai comuni c terribili nemici. Vi si parla anche di un affare privato di minor rilievo. E opportuno che queste tre lettere sieno consegnate al collega P. Vigna, il quale, sebbene nella pubblicazione del Codice diplomatico tauro-ligure sia di gii pervenuto all* anno 1472, troverà modo d’inserirle in un supplemento, insieme con quegli altri documenti che può avere scoperto fuori di tempo. § V. Sul chiudere la mia Relazione sento che mi corre un ufficio doloroso da compiere: l’annunzio di una morte da aggiungere a quelle altre non meno dolorose che ci resero di nefasta memoria l’anno 1874. Il francese Maria Armando D’Avezac'nostro socio onorario, di cui tante volte udiste da me le lodi e le dotte comunicazioni, non è più. Nato a Bagnères di Bigorre nei Pirenei il 1799, mancò ai vivi a Parigi il 14 gennaio dell’ anno corrente. Ufficiale della Légion d’onore, membro dell’istituto di Francia» dagli stranieri egualmente come dai connazionali era riconosciuto Maestro in geografia e nelle scienze affini. Fu egli difatti in Francia tra i primi che sollevarono quella disciplina all* altezza in cui oggi è tenuta: la piena cognizione, 380 GIORNALE ligustico la dotta interpretazione dei fonti, la potenza dell’analisi rinforzata dal severo processo matematico lo distinguevano tra i migliori, e nessuno lo vinceva segnatamente nella storia dei viaggi, e della nautica antica o medievale. Ma de’ suoi meriti scientifici altri parleranno più dottamente che a me non sia concesso; io dirò soltanto che il sig. D' Avezac riuhiva in sè qualità difficili a trovarsi in una sola persona. Egli era tedesco per la pienezza delle cognizioni volute dal soggetto, per l’abbondanza delle note e citazioni, come per la conoscenza delle principali lingue; era francese per l’ordine dei concetti, per la limpidezza, la vivacità e l’arguzia del dettato; era italiano pel criterio, per quel senno onde i nostri, presi in complesso, colgono delle cose l’aspetto vero e pratico, e seppero cosi anche in filosofia serbarsi immuni d;ii due estremi troppo spesso lamentati altrove: la sottigliezza trascendentale, 0 il senso grossolano che uccide l’idea. Il sig. D’Avezac era anche italiano di cuore, e genovese segnatamente per studi e per simpatia. Fin dal 1846, presente al Congresso degli scienziati in questa città, donava a parecchi dei nostri i dotti suoi lavori, ove son poste in bella 1 vera luce le glorie marittime de’ genovesi. Come se si tosse trattato della sua patria, egli difese con calore queste glorie contro il Visconte di Santarem ed il Barone di \ arnhagen, i quali ci voleano spogliare a benefizio de’ portoghesi o d altri navigatori. Egli continuò sulla breccia per noi fino agli ultimi anni: avea già dimostrato la scoperta genovese delle Canarie, l’influsso di Manuele Pessagno e de’ genovesi sul Portogallo a cui insegnarono la navigazione: avea raddrizzato le inesatte opinioni sulla patria di Lanzarotto Malocello, sulle date e circostanze dei viaggi di costui e dei Vivaldi e di An-toniotto Usodimare. Recentemente ancora egli vinse per noi la patria di Giovanni Caboto lo scopritore dell' America set- giornale ligustico 381 tentrionale, 0 rischiarò di nuova luce le vicende di Cristoforo Colombo. • Serberò sempre vivo nella memoria il cordiale accoglimento che egli mi fece a Parigi nel giugno 1870, e le cure continue onde mi circondò in quel soggiorno. Raccomandato da lui, il sig. Tardieu volle farmi tenere aperta, un’ora più del consueto, la Biblioteca dell’istituto: il Generale Morin ordinò mi si aprissero le vetrine del Conservatorio d’arti e mestieri, per esaminare astrolabii ed altro che mi potesse giovare: il sig. Chabouillet mi lasciò esaminare a mio bell’ agio le monete genovesi dell’ insigne Museo annesso alla Biblioteca Nazionale. Presentato dal sig. D’ Avez ac, la Società Geografica di Parigi mi accolse cortese col saluto del suo illustre Presidente il signor De Quatrefages. Le non poche lettere ch’io possiedo di lui e quelle altre che ne serba 1’ amico Belgrano dipingono l’animo suo come la sua persona: di nobile portamento contemperato da educazione e piacevolezza squisita: di ferme convinzioni, ma alieno dalle gare politiche per conservarsi intero a diletti studi; esatto nelle idee e nella espressione, anzi perfino nella materiale calligrafia, era un conforto a vederlo cosi aitante della persona, giovane e fresco della mente a 71 anni. D’ allora in poi altri cinque ne scorsero; durante i quali l’età, ma più le sciagure della patria, allora da noi non prevedute eppure cosi vicine, vinsero il robusto temperamento. Già le ultime e più rade sue lettere mi accennavano a tristi presagi; più triste il silenzio intero ed insolito, da lui serbato dopo che gli pervenne 1 omaggio d’ un mio tenue scritto: finché la fama mi accertò che tutto era finito. No: tutto non è finito. Rimane la memoria del signor D’Avezac e la tradizione delle sue doti negli imitatori, amici, discepoli di lui, nell’Istituto di Francia, nella Società Geografica parigina, la quale segnatamente lo ebbe più volte Pre- SOG- GIORNALE LIGUSTICO sidente, sempre operoso e sempre autorevole nei consigli. Hd anche presso di noi i suoi scritti gravi, se non di mole, di pensiero e dottrina; i suoi scritti in ispecie che parlano di cose ligustiche e de’ quali ci inviava sempre alcuni esemplari, porgono al riconoscente animo nostro un conforto; e ci lanno fede che la memoria d’ Armando D’ Avi zac anche nella storia genovese stari. XII. Sezione di Storia. Tornata del io aprile 1875. Presidenza del Preside Antonio Pitto. Il socio Achille Neri legge la prima parte della sua Dissertazione: Di papa Nicolò V e dei più chiari nomini dl!a famìglia Parentucelli di Sarzana. § I- Ho meco stesso lungamente pensato, se miglior consiglio fosse oggimai tacersi intorno alla nota controversia sulla vera patria di Nicolò V, 0 pure procacciar guisa di recare nuova luce nella non agevole quistione, ponendo ogni studio allo scoprimento della verità, di forma che fosse il nodo in tutto risolto : ed al secondo partito parvemi dover dare la preferenza, indottovi specialmente da un singolare affetto a studi si fatti e dalla carità della patria ; ond’ è- che se per pochezza non avrò col mio dire adeguato al dianzi proposto fine, almeno sia contento chi legge riguardare al buon volere ricordando come Amor m' ha mosso che mi fa parlare. Tre sono le opinioni che si riscontrano negli scrittori circa alla città dove sorti il nascere Nicolò: altri vuole fosse Sarzana, altri Lucca, ed altri Pisa. Tepidamente e quasi di pas- giornali-: ligustico ' 333 slI;11 mcerti assai del vero, uscirono in campo que’ che lo pretesero lucchese; con vivacità ben maggiore si trovarono di fronte i due campioni di Sarzana e di Pisa: Buonaventura De kossi (1) ed il P. Idelfonso Frediani (2). Se non che questi prese a confutare le ragioni dell’ altro, quando già da mezzo secolo egli avea perduto podestà di rispondere. Dopo di essi nessuno eh’ io sappia si levò a ragionarne, di guisa diè parve fosse uopo -acquietarsi all’ opinione di chi avea parlato per ultimo ; e nei libri storici o di erudizione comune anco recenti, or all’ una or all’ altra città lo si ascrive, e più spesso se ne lascia 1’ origine involuta nel dubbio. Non sarà quindi nn tuor d’iopera esaminare alcun poco le ragioni dei due mentovati scrittori, a fin di vedere se si riesce a qualche veridica e più consentanea conclusione. Il De Rossi dettando la vita del nostro gran Pontefice si proponeva chiudere la via ad ulteriori contese, recando a conforto delle sue affermazioni le prove dei documenti, lìgli infatti, laborioso ordinatore d’archivi e dotto ricercatore d’antichità, per dirla col celebre Muratori (3), si studia innanzi tutto, per opera di atti notarili, porre in sodo come il bisavo di Nicolò, cioè Baliante, venuto da Pisa in Sarzana fosse padre di Parentucello, Antonio e Falibene ; e ciò dice evincersi da un documento del notaro Giovanni cfel fu Buonaccorso da Trebiano rogato ai 22 dicembre 1361. Cosi da altro atto 29 gennaio 1395 di Atesino Ferrari, cancelliere della Curia Episcopale, asserisce rilevarsi aver avi'.to il Parentucello cinque figli, e fra essi si novera Bartolomeo, il quale ai 26 settembre del 1388 promette in atti di Giacopino Griffi a Giacomo del fu Ser Tomeo della Verrucola, di sposare la costui sorella Andreola; il che quando sia avvenuto, Giacomo (1) Vita di Suolò Milano, Agnelli 1719. (2) l'ita di Nirolò V; nelle Memorie dei più illustri, pisani T. IV. p. 207. (3) Antichità Estensi, T. 1 in più luoghi. 5S4 * GIORNALE LIGUSTICO si obbliga pagare al Parentucelli 400 lire imperiali. Che da questo matrimonio sia nato Tomaso è fuor di dubbio, essendo noto per tutti gli scrittori ; ma il citato biografo ne reca novelle prove mercè estratti di altri documenti. Intende col fin qui detto porgere indiscutibile conferma che la famiglia Paren-tucelli era, prima del nascere di Tomaso, stanziata in Sarzana insino dal XIV secolo. — Il Padre Frediani nega recisamente la genealogia posta fuori dal De Rossi, e fidando sulle parole di Giannozzo Manetti (1) che vuole Bartolomeo cittadino pisano, non consente che questi fosse di Sarzana ; ma perchè era pure uopo dire alcuna parola intorno ai documenti restringe in questo le sue ragioni, che avendo il De Rossi citato solamente le carte del 1361 e 1395 senza produrle, resta distrutto il fine della citazione stessa; e ciò perchè quelli atti sebbene rogati da notari sarzanesi potrebbero parlare di persone estere, ed anche dei Parentucelli pisani. Cosi argomentando viene bravamente a dar nota al De Rossi o di mala tede, quasi a studio non abbia trascritti gli atti, o pure d’ignoranza per non averli saputi leggere a modo. Se non che il critico trovandosi di fronte al contratto di promessa matrimoniale stampato per intero, dove con molta chiarezza leggesi Bartholomeus phisicus qm. Parentucelli de Sar-Zana, cercò una scappatoia; e perfidiando non esser certa pei documenti la stabile dimora dei Parentucelli in Sarzana innanzi il 1388, data del contratto, bisogna dire, egli scrive, che quell’ aggiunto « de Sarzana » vi sia posto 0 per inavvertenza e sbaglio del notaio, 0 per qualche riflesso e motivo politico, adattalo alle turbolenti circostanze di que’ tempi, 0 perche la rinomanza e la nobiltà dell’ esule Bartolomeo gli meritasse ben presto da’ capi di quella allora nobilissima terra, ora città, /’ascrizione onorifica alla loro cittadinanza, che si dona per quache fi) Vita Xicolai V. Rer. liat. Scrip., T. Ili, P. II, fot. 908. giornale ligustico 385 titolo ancora a coloro che non risiedono nel luogo. Queste ragioni affatto speciose e per nulla vere, non giungono a contentarmi; ne vorrà esserne pago qualsivoglia discreto. Alle quali giovami rispondere, che Sarzana privilegiata del titolo di città solo nel 1469 dall’ imperatore Federico III, non poteva concedere cittadinanza di sorta nell’ ultimo ventennio del secolo XIV; e che riesce assai curioso, per non dir peggio, il commentare in un istrumento quel formulario comune a tutti i notari i quali, secondo era loro debito, scrivevano la verità spoglia di prevenzione o d’interesse. In fatti come il nostro Griffi ha scritto , designando 1’ altro contraente , Jacobits qm. Sa Thomti de Vcrrucola habitator Sarrane , avrebbe usato l’identica forma per Bartolomeo ove fosse stato pisano ; ma il documento non ammette in questo luogo diversità d’interpretazione, constata un fatto e ciò sta appunto nella stia natura giuridica. Un altra non meno grave difficoltà si studiò superare il Frediani: se Bartolomeo morì in Pisa lasciando Tomaso di sette anni, e la madre allora tornata a Sarzana si sposò con Tomaso Calandrini, come va che una lunga discendenza di Parentucelli sarzanesi trovasi fino al sec. XVIII? Il critico risponde collo argomentare che con Bartolomeo fossero cacciati anche i fratelli, o pure chet si ritraessero in Sarzana dopo la morte di Pietro Gambacorti alla cui parte aderivano. Non mi si recherà a peccato se più presto che a si fatte supposizioni, io m’ attengo al documento edito dal De Rossi ed anche a quelli da lui solamente citati. Tanto maggiormente poi, in quanto io veggo citato il Falibene di Baliante nella sua qualità d’anziano in un generale parlamento fatto dagli uomini di Sarzana 1’ anno 137°» e comparisce ezian-nell’altro del 1385 in compagnia di Baliantino, Giacomo e Giambono del fu Parentucello. finalmente da un atto del 5 ottobre 1388, rogato dallo stesso Giacobino Griffi, rilevo come Isenda del fu Antonino Malaspina di Filatiera fosse promessa GIORNALI-: LIGUSTICO / Falibcr.e qtn. Ballanti avunculo Bartholomei, Bah'antini, Jacob: et Jamboni qm. Parcntncelli (i). E dopo ciò penso iliun dubbio debba rimanere sopra la stabile stanza della ricordata famiglia; in Sarzana per tutto il secolo XIV. Ora venendo alla nascita di Tomaso, m’ è* uopo trascrivere la parole del Manetti perché appunto sopra di esse pone ogni suo fondamento il critico nostro. « Thomas cognomento Sa-razanensis, qui postea Nicòlaus Papa V dictus est, trecentesimo nonagesimo octavo supra millesimum christianae salutis anno, Pisis feliciter nascitur. Patre enim Bartholomaeo peregregio artium ac medicinae professore, pisano cive, de nobili et generosa quodam Parentucellorum progenie oriundo, ac matre Andreola sarazanensi non obscuro genere, Pisis, ut diximus, feliciter natus est, licet in novo quodam Liguriae oppido nomine Sarzana conciperetur. Proinde et quia ibi conceptus, et quod sarazanensi matre genitu? erat, idcirco I liomas Sarazanensis vulgo ab omnibus cognominabatur. Pater quippe studio partium, ut fit, e patria pulsus, Sarzanam in domicilium uxorium contenderat, ibi in exilio degens liunc puerulum bonis faustisque ominibus feliciter genuit. A Petro namque propterea cognomine Gambacorta, qui ex vetusta et (i) De Rossi, Collettanea ms., lib. 3, cap. 10. — Arch. Notar, di Sarzana Protocolli del Griffi ad annum.— Nella chiesa di S. Andrea di Sarzana furono sepolti diversi de’ Parcntucelli ^ e fra gli altri BaliantinO del fu Parentucello morto nel maggio del 1121 (Arch. dell’ Osp., Libro di cassa dcWOpera, c. 105 verso). Che la famiglia abitasse da lunga pezza in Sarzana, è chiarito altresì dal libro dell' estimo compilato fra il cadere del sec. XIV cd il principio del XV, dove leggonsi i possedimenti dei Pa-rentucelli in Sarzana e suo distretto ; e v' ha di notabile che mentre vi figurano famiglie d’altre terre e cittì, le quali sono qualificate soltanto abitatrici in Sarzana, Rartolomeo e gli altri Parcntucelli sono detti sar-zanesi. (Arch. Com. Sarz.) — Jacopo Parcntucelli zio di Nicolò V, doveva per fermo esercitare la mercatura, che nei protocolli di Giovanni Buona-parte v’ha un atto rogato nella sua bottega nel 1399. GIORNALE LIGUSTICO 387 dna illa progenie Gambacortorum'familia originem traxerat, ob egregias quasdam ac praecipuas virtutes suas magnis cum honoribus ac ingentibus anniversariarum mercedum praemiis in patriam allectus et revocatus est. Etenim Petrus ipse non multo post faustam commemorati pueri conceptionem, totum ptsanae civitatis dominium sibi soli arrogaverat. Quocirca pater luui uxore pregnante praedicto anno Pisas reversus, paulo post hunc fortunatum et felicem filium natum jucunde hila-riterque suscepit ». — In questa narrazione sono da rilevar-i duc errori storici molto gravi; ed il primo si è che nel 1393 Pietro Gambacorti non poteva chiamare a Pisa il Parentucelli, perchè già da sei anni era morto, ucciso come ognun sa per tradigione da Jacopo d’Appiano; l’altro che non è affatto vero aver mai a sè solo arrogato il dominio della città; ciò testimoniano le cronache e le storie tutte; il Dell’Agnello c 1’ Appiano furono si veri ed assoluti signori, non Pietro il cui gran credito e la molta dignità procacciarongli benevolenza, rispetto ed amore dai cittadini e dagli estranei. Si fatti sbagli non isfuggirono al Frediani, il quale con una lunga nota s’ ingegnò dimostrare essere da correggersi il 1398 in 1389, nel qual’ anno, egli scrive, si può dire che il Gambacorti ebbe solo il dominio della Repubblica: ma per giungere ad una tale conclusione ha dovuto dar nota al Manetti di astrazione nello indicare l’anno della nascita, e tirare dalli sua con poco onesta sottigliezza le parole dei cronisti pisani, i quali non hanno sognato mai di scrivere intorno al Gambacorti quanto egli* asserisce. Di più volendo recare una ragione dell’ onorevole richiamo di Bartolomeo in Pisa, ci esce a dire che tra le vegliantissime cure dell’ applaudito governo interno di Pietro, una fu quella di rimettere in fiore le belle arti e lt scienze; onde ricercando d’ogni parte buoni professori, e venutogli a memoria il Parentucelli, volle tornasse alla patria a leggere pubblicamente sulle mediche e fisiche discipline. 3SS GIORNALE LIGUSTICO Ma anche qui siamo a’ capelli colla storia, perchè non è punto vero abbia goduto Pisa in questi anni 1388 e 89 quella tranquillità e*benessere tanto neccessari a far rivivere le arti, le^cienze e le lettere; anzi era proprio assai molestata per mare dai corsari, costretta perciò alla lega col Re di Sicilia e coi genovesi ; travagliata nell’ interno dai ladroni delle compagnie di ventura, che poi aver posto a ruba ogni cosa, per uscire dallo Stato voleano essere grassamente pagati, e dovendo tenere la propria gente armata non solo, ma a suo soldo eziandio gli aiuti inviati dai fiorentini, si fattamente era ridotto 1’ erario stremo di pecunia che nuovi balzelli s’imposero ai cittadini. Nè in cotali distrette poteva il Gambacorti avvisare a provvedimenti propri ai tempi di pace; tutto il suo studio era volto iuvece, laudabile del par che doveroso, a stringere una lega co’ potentati d’Italia a fine di porre finalmente un termine alle lunghe e disastrose turbolenze e frenare la baldanza de’ venturieri ; la quale non è appena fermata che si raccendono i mali umori fra Siena e Firenze suscitati da quel Gio-van Galeazzo Conte di Virtù, corruttore dell’ Appiano e principale cagione della infelice morte di Pietro. È verissimo che questi durante il suo governo provvide agli studi e fondò anche il Collegio de’ medici prescrivendone le regole; ma ciò avvenne fra il 1374 e il 1376 come recitano gli storici; e il dotto e diligente monsignor Fabbroni pone precisamente il decadimento dell’ Accademia nel lasso che corse fra questo tempo ed il 1393, anno che segnò un’ eh novella per quell’istituto colla lettura del celebre giureconsulto bolognese Francesco Raimondo de’ Ramponi (1). Per seguire la sua cronologia di sopra accennata, il P. Fre-diani ha dovuto contraddire ad un altro luogo del Manetti. ( :) Cfr. Rondoni, Tronci, e gli altri; FabrOnk's, Hisl. Acc. Pisanae, T. I. C10rNALE LIGUSTICO 389 Là dove narra dell’ assunzione di Tomaso al sacerdozio afferma che a 25 anni, secondo la promessa fatta da lui alla madre, sa-ccr otti ni piaesbilerii dignitatem a commemorato Nicolao (Nicolò Albergati vescovo di Bologna) hilariter feliciterque suscepit. Assegnando la nascita di Tomaso all’anno 1389, ne viene di conseguenza che 1’ Albergati non poteagli per fermo con-enre dignità sacerdotale, perchè del 1413 non era per anco stato eletto a presiedere la Diocesi e solamente lo fu quattro anni dopo. Or bene il critico accomoda questa ragnatura della !>ua tela cronologica con una tappa peggiore del panno; va a pescare in uno scrittore modernissimo della vita del beato Albergati una curiosa favoletta, e sopra di essa afferma come questi mentre era semplice priore della Certosa, di tanto protesse 1 omaso che il fece giungere al sacerdozio, e laureare in teologia t'd in legge. E perchè non resti ignorata la fonte di questa notizia, ed ogni discreto vegga se merita fede, udiamo le parole d’ Ercole Maria Zanotti che ne è l’autore, non senza osservare come il Frediani abbia avuta l’accortezza di non produrre l’intero brano: « Venuto (Tomaso), egli dice, in abito clericale a Bologna, e qui a lui fra poco mancando il come vivere, giacché non ne poteva ritrarre da’ suoi parenti, prese consiglio di chiedere in limosina cotidianamente il vitto alla Certosa, ove allora vi era priore il beato Nicolò, che più volte vedutolo ed entrato seco in ragionamento s’invaghi del suo vivace spirito e dell’ umile sua modestia, e postosi alla Fine in animo di soccorrerlo nei suoi bisogni, collocollo in casa del padre per insegnare ai giovani suoi nipoti, nel che 'Iomaso adoprossi molto senza però interrompere i suoi gravi studi, a cui dato erasi con ogni cura e sollecitudine. 11 B. Nicolò di tanto il protesse che il fece giu-gnere al sacerdozio, e laureare in teologia ed in legge» (1). (1) Pag. 74. 26 390 GIORNALE LIGUSTICO Questa narrazione si potrebbe anche accettare se non vi tosse di mezzo quella novelletta della elemosina quotidiana, e non ripugnasse affatto a quanto scrissero concordemente tutti gli autori; i quali, pur ammettendo le strettezze del nostro scolaro, ci tramandarono essersi egli recato a Firenze, ed appo due illustri casate acconciatosi precettore a fine di trarre il denaro necessario a proseguire gli studj. La buona logica c’ insegna che allorquando in controversie istoriche si ripone credenza in un autore più presto che in un altro, quello si debba seguire con onesta misura in tutte le sue opinioni; o perchè dunque, dirò io, il Frediani non ha seguito il Canotti anche dove poche righe più sopra bandisce 7 omaso Parentucelli non già lucchese, come alcuni vogliono, e nemmen pisano come afferma il Manetto, ma bensì sar^anese di ciò facendone indubitata testimonianza le sue lapidi sepolcrali ? Eppure sembrami manifesto che le due opinioni stiano quasi in egual luogo a cimento della critica storica, anzi questa della \era patria avanzi alcun poco la prima. Ho qui presso toccato dell’ ufficio avuto da 1 omaso di precettore in Firenze, e fu in casa di Rinaldo AIbizzi e I alla Strozzi, i cui figli ebbe carico d’ ammaestrare nelle arti libe rali, secondo l’espressione del Manetti (ut filios suos liberales artes edoceret); seguendo quindi l’opinione de! I5- Frediani , poiché ivi si recò d’anni 18, dovette essere fra il i40^ e 1409; e questo potrebbesi concedere se si trattasse del solo primo figlio di Rinaldo che era allora in età d anni 9 circa, avendone soli 5 Francesco e 4 Tobia; ma non 1 anda\a cosi per gli Strozzi, il primo de’ quali nacque soltanto nel 1404. Se invece teniamo per vera la data della nascita di Tomaso nel 1398, anche questo intoppo affatto scomparisce, perchè lo troviamo allora a Firenze del 1416 con i suoi scolari in età propria da essere istrutti nelle lettere; e per di più senza vane congetture, ma col piano procedere della storia lo si giornale ligustico 391 \ede tornato a Bologna di 22 anni (secondo recitano gli scrit-tutti) nel 1419, e là coll adunato danaro por fine ai suoi stu i teologici ed essere quindi aggregato nel 1420 al Collegio di questa facoltà in quell’ insigne Ateneo, come ce ne assicura il documento edito del Mazzetti (1); ed ha per ciò ragione pienissima il Ghirardacci (2) là dove scrive eh’ egli allo studio di si fatta disciplina dette opera sedendo vescovo l Albergati; e merita anche fede PAlidosi (3) che ci afferma abbia letto filosofia naturale dal 1421 al 1426, anno in cui, come è noto, parti da Bologna. A demolire poi del tutto 1’ edificio cronologico del Padre Idelfonso, viene da ultimo un documento affatto ignoto che riguarda il padre di Tomaso. Conviene prima osservare che i biografi, ed anche il Frediani, dicono che all’ età di circa sette anni rimase orbo del padre; dunque se nacque, come si pretende, nel 1389, ciò sarà accaduto nel 1395; ma una deliberazione degli Anziani di Lucca fatta ai 31 di maggio del 1400 c’insegna che Bartolomeo viene eletto medico della città per un anno collo stipendio flo-renorum centum auri nitidorum (4); mentre rilevasi poi per altro documento sincrono lucchese che in essa città egli morì (5). (1) Cfr. Storia della studio bolognese. (1) Storia di Bologna; Par. Ili, ras., pag. 275. (}) Cfr. Dei Dottori for astiai chi Itssrro filosofia in Bologna. (4) Archivio di Stato in I.ucca. Consiglio Gentrak; Reg. XIII, c. 68. Dove non è da pretermettersi la dichiarazione assoluta di Bartholomeus de Soriana. (5) Arch. cit. Istruzione data dalla Signoria di Lucca il 24 maggio 1447 a Nicolò Manfredi e Silvestro Trenta, oratori al nuovo Papa. — «Quando vi ritroverete a piedi della Santità di Nostro Signore in nome della nostra Comunità vi rallegrerete seco della assumptione sua... perchè... come lucchesi suoi che siamo, altramente che luchese tegniamo la santità sua essere per la stanza lunga et vita sua qui conducta; perchè il suo padre elesse questa città essere depositaria delle suoi {sic) ossa et corpo » ecc. GIORNALE LIGUSTICO E perchè è notissimo il secondo matrimonio della vedova Andreola con Tomaso Calandrini, donde ebbe vita il cardinale Filippo, non che la morte di questi nel 1476 in età d’ anni 73, riesce ovvio il concludere Bartolomeo sia trapassato nel 1403 e nato per conseguenza Tomaso nel 1398. Alcuno potrebbe qui oppormi per avventura che apparisce più probabile 1’ altra data riguardando al contratto matrimoniale rogato nel 1388; ma oltreché si verrebbe, come ho tentato dimostrare, ad invalidare il cronologico succedersi degli avvenimenti della giovinezza di quell’insigne Pontefice, conviene eziandio riflettere alla qualità dell’ atto stesso, il quale non è se non la semplice promessa e giuramento fatto dal Parentucelli a Jacopo di sposare sua sorella Andreola, il che quando sarà fatto questi si obbliga di pagare al marito 400 lire imperiali. Obbliga forse l’istrumento ad effettuare subito le nozze ? o prescrive un termine? No per mia fé; anzi lascia la più ampia libertà, tanto vero che la sposa non vi figura nò manco presente. Non sarebbe dunque gran fitto lungi dal probabile chi ritenesse non avvenuto per allora il maritaggio, e compiutosi poi in processo di tempo; nò mancano in ciò gli esempli, e per citarne uno ricorderò che l’Alessandra dei Bardi promessa sposa a Lorenzo Strozzi, stette giurata in casa del padre, per usare le parole di Vespasiano suo biografo, innanzi n’ andassi a marito dal 142S al 14)2. Dal fin qui detto sembrami bastevolmente provato che se il Manetti sia da segursi in quanto concerne la data precisa della nascita di Nicolò V ed in generale nel resto di sua vita, dcesi negargli ricisamente ogni fede circa alla vera patria, caduto essendo in troppo gravi inesattezze; e minor credenza dobbiamo prestare al Frediani il quale per accrescere autorità al suo testo cadde nei più aperti errori. Fermata cosi 1’ epoca del nascimento al 1398, rimane di pieno diritto distrutta la affermazione che in Pisa uscisse i natali per essersi ivi giornale ligustico 393 co dotto il padre a petizione del Gambacorti, il quale allora non era più fra i \ivi, ed anzi documento non v’ ha che ci additi Tomaso in sua giovinezza aver mai dimorato in Pisa; sicome sulla fede delle sincrone prove niuno potrà oggimai negare, che i I arentucelli a quel tempo fossero stanziati in Sarzana da oltre un secolo, e dovessero però canonizzarsi sar-zanesi. Nè Lucca, cui fu assegnato da qualche scrittore, cel contende; solo grandemente l’onora e lo tiene in conto di suo cittadino, perchè là trasse alcuni suoi anni e v’ebbe comunanza di parentela e d’amicizia (i). E 1 affetto singolare onde erano proseguiti i lucchesi dal Pontefice e dalla sua famiglia, si pare manifesto altresì da una lettera d Andreola agli Anziani e Gonfalonieri dove domanda la remissione d un carcerato (2). A dimostrazione poi di gratitudine, e perchè se ne onori la città, il Consiglio della Repubblica delibera di conferire a Filippo Calandrini fratello uterino del Papa la cittadinanza lucchese, ed acquistare a pubbliche spese una casa la quale debba essere donata alla madre Andreola, ed alla figlia Caterina moglie di Cesare De’ Nobili da Lucca (5). Parmi questi documenti valgano eziandio a spiegare la leggenda della medaglia di Papa Nicolò conservata nel ricco medagliere del compianto avv. Avignone, che dice Tomas L\ cano di Sarzana; leggenda confermata da una iscrizione posta nella Loggia del Palazzo Albergati di Bologna, in capo alla quale sono scolpite le parole Thomae e Lucca Serza-nensis, dal che potrebbe si anche argomentare l’origine lucchese della mentovata medaglia. Manano affatto ai pisani documenti sincroni atti a convalidare la loro opinione, e neppur uno seppe produrne il P. Idelfonso nelle troppo lunghe annotazioni alla sua (1) Ved. la nota precedente. (2) Ardi, di Lucca. La lettera è datata di Sarzana 17 ottobre 1447. (0 Arch. cit. Consiglio Générait; Reg. XVI, c. 105, sotto il 12 dicembre 1447. 394 GIORNALE LIGUSTICO Vita di Nicolò, il quale pur lodando grandemente la fedeltà del suo Manetti non mancò notarlo d’ astrazione o di inesattezze dove tornavagli opportuno. Hanno bene i sarzanesi incontestabili prove per tenerlo loro concittadino; e passandomi di molti scrittori del secolo XV, perchè notissimi, e di que nostri liguri che furono allora in Corte papale, le cui testimonianze e stampate e manoscritte sono pur sempre concordi, giovami citare atti notarali i quali e per la loro stessa natura e perchè di data anteriore al Pontificato non ponno in niun modo aver nota d’interesse o parzialità. In essi adunque, l’uno del 14 febbraio 1426, gli altri del marzo 1441 e dell’ 8 gennaio M-43 sta sempre scritto a chiarissimi caratteri Tomaso de Paren* tucelli di Sarzana (1); che più, egli stesso non rinnegò mai la sua patria, volendo essere cognominato da Soriana, e fatto papa, scrivendo a Cosimo de’ Medici per raccomandargli i fivizzanesi si dichiarò altamente lunense. Dismettasi adunque qualsivoglia dubbiezza, e quindinnanzi non si tolga Nicolò alla sua vera città natale; la quale con Liguria tutta può davvero andare superba d’ aver dato vita ad un sì illustre e sì celebrato Pontefice. Successivamente lo stesso socio Neri legge la seguente Notila d’ un Codice di Gio. Agostino Abate savonese. Nella nostra Biblioteca Universitaria esiste un Codice m foglio di carta reale, che trovasi a Catalogo con questa indicazione : Zibaldone di varie memorie ; se non che qualsivoglia si faccia ad esaminare con qualche diligenza il manoscritto, scopre di leggieri il nome dell’autore, che è Gio. Agostino Abate di Savona. Mancano in principio del Codice carte 28, recando la prima il numero 29; non vi si trovano le altre dieci comprese fra (1) Cfr. Giornale Ligustico, anno 18} 1. giornale ligustico 595 il 31 od il 40, nè le sette contrassegnate dai numeri 43-49; la numerazione delle 82 e 83 è ripetuta, e si desiderano le susseguenti alle 118 sino alla 126; nelle sei che succedono alla 137 non havvi numerazione, perchè mancano alcuni brani in capo e a piè dalle carte. In principio del volume eravi per fermo un trattato (mi si passi il vocabolo) di aritmetica, tacendocene secura testimonianza i frammenti che in quattro carte ne rimangono; siccome anche c’insegna una parte della lacerata tavola posta in fine. L’ aritmetica è qui insegnata per via di pratica, vo’ dire con esempi semplicissimi. Alcune notabili curiosità che in essi si trovano meritano ben qualche accenno. V’ ha un esempio di compagnia, o come diciamo °ggi> di società, dove si veggono Prospero Colona, Paulo Orsino, Ioam Paulo Bagione (Baglione), 11 Marchese del Guasto (\ asto) , quali l'ano de 1 )07 fecero compagnia de vitoalie per condurle iti saotta dove era Ludovico re di franca e il Re cato-lico de Spagna insieme, la regina de Spagna, edam il legato de papa lidio......E finito lo viagio de li diti regi e legato, avendo diti re incoronato in saona il re di navarra tutti andorno a loro reami e li diti compagni veniro a acordio de volere partire la sua compagnia e trovono avere guadagnato scuti 5836 e parpagole 16; la quale somma perchè doveasi fra loro dividere, nè sapendo forse que’ valenti capitani gran fatti del-P arte numerica, fu uopo ricorrere a Ioane Pero Greco bone arismetico, che appuntino compose la ragione di ciascheduno. Mi passo d’ un altro esempio circa una veste fattasi fare in Savona dal Duca di Mantova, consimile a quella onde era vestito il Duca d’ Alba che in compagnia di Carlo Y trova-vasi in quella città l’anno 1539; ma giovami invece trascrivere il seguente : Batina Ciba gentile dona %enoese la inventrice de tutte le pompe feminik, e se deletava spese fiate de mutare facione di veste e le femine çenoese aviano fato abito che conio vedeano una veste a batina tute ne volevano una simile e batina GIORNALE LIGUSTICO se lo avia a male che fino a le mogere de savatini volevano fare conio lei. E V ano iji8 dita Batina se deliberò di farse una vesta a uno modo che sperava restare sola in tale abito. E così se fece una ongaresca de pano de arbaxio bianco e molto solile con guarnimenti de oro e *di argento e dì perle e dito ano vene dita batina in saona e con lei le sue donzelle, la quale portò con lei la dita roba de arbaxio e uno jorno andava per la cita con dita roba in doso dove fu vista da una jovena saonese nominata teodorina borona mogier de bricio codebò che seito non era manco ponpo^a de la Batina. E vista che ebe dita roba se delibero de farsene una simile in facione ma non già de arbaxio ma de uno pano verde de firensa. Perciò procacciato modo d aver la veste della Cibo e misuratala, chiamò Gregorio Carato sartore a fine comperasse quanta firensa abbisognava da Loise revello; e poiché questa stoffa era più larga dell’ arbaxio, ne il sarto levava le gambe dal relativo calcolo, prete Guido cappellano di S. Giovanni stese a modo il conto e trovò ne occorrevano palmi 20 e J/7. Questa nobil Battina 0 Battistina Cibo non è ignota nelle istorie, sapendosi esser nata da Gherardo Usodimare e Teodorina figlia naturale di papa Innocenzo Vili alla cui famiglia furono poi aggregati; si maritò quindi in Genova con Pietro de’ Mari, ed era sorella della Peretta famosa consorte di Andrea D’Oria. Ci rivela un altro esempio come l’usura era pure in fiore fino da quei di, poiché nel 1515 un usurar0 presta certa somma al 14 per 100; il che non farà meravigliare oggi in cui non usuraio ma galantuomo è spacciato chi pretende un frutto assai maggiore. Nè priva di certo interesse è la notizia dataci poi dall Abate, dello aver egli nel 1559 aggiustati i conti degli estimi pagati dal Comune di Savona a quei proprietari che rimasero danneggiati nella demolizione delle molte fabbriche, operatasi colà quando dai genovesi si pose mano a edificare nel 1552 il Castello. giornale ligustico 39 7 A carte 50 incomincia la Geometria, e muove dalla regola delle radici. Secondo il consueto in più esempi s’insegna praticamente il modo di misurare diverse figure, come cisterne rettangolari, colonne marmoree, terreni di varie configurazioni, casse, mura, case, circuiti di città, circoli, ellissoidi, tine, botti, cannoni ecc.; dove in tutti, o quasi, si leggono nomi di artefici per termo ricerchi ai di del nostro autore. Non riuscirà forse al tutto inutile far qui ricordo di due belli portali di marmo, la cui misurazione si propone in via d’ e-sempio, e ciò soltanto per accennare gli artefici cui sono assegnati. L’uno a petizione di Ioane Anrique fu eseguito da maestro nicolò pero in compagnia de alesandro cigala de Ienoa ; 1 altro per conto di Ieronimo natelo venne operato in Genova da maistro bertomè onsa e dionisio de framura, i quali lavori furono terminati li 12 Agosto 1558. Molti portali esistono in Savona di bella architettura e lavorati con maestria, come ce ne testimonia l’egregio nostro comm. Varni, il quale, solerte raccoglitore e finissimo conoscitore di cose d’arte e d’archeologia, ne conserva non pochi disegni; ed un breve ma incompiuto cenno sé ne legge nella recente Guida di Savona di Nicolò Garoni. Si sa altresi che gli Enrici e i Naselli furono nobilissime famiglie di quella città; or resta soltanto che qualche artista voglia investigare se 1’ Abate qui ci recitò il vero, e se que’ maestri ponno aver diritto a titolo maggiore di quello di semplice scarpellino. La Geometria si chiude con alcune figure e tavole e regole per trovare la lettera dominicale, il numero aureo ed altre si fatte. Alla carta 78 incomincia un sunto storico-cronologico, in capo al quale si legge: Al nome de dio Io Ioane angustino abate donerò principio a scrivere molte cose de le quale in mia gioventù ne abio fato memoria in altri liberi e fogla^i e piacendo a dio io li metirò qui apreso in rima, quale cose saranno la 398 GIORNALE LIGUSTICO più parte cose pertinente a guerre che sono state a li mei tempi de le quale ne sono parte che abio visto con Ti mei ochi e parte viste in stampa stampate in più lochi a mei giorni e altre viste per litere de acorrenti mei, e daremo principio a V ano de 1498 de la nostra salute. La narrazione compendiosa di molti fatti storici seguita fino al 1546, dopo di che havvi: La Guerra fata ne la germania da lo Invito Cesare Carlo quinto contro li ribelli de sua magesta, sol Federico Duca di Sasonia primo ele-tore et Filipo de Asie dito langravio de IJ46. Questo racconto è diviso in due libri, ed al fine si legge: In saona per mano de Ioane Augustino abate IJ48 lo fine de le guerre fece in ale-mania cario quinto imperatore. Seguono quindi varie copie di lettere e racconti di avvenimenti che dal 1548 vanno al 1568; ai quali tengono dietro alcune ricette per comporre tinte di vario modo. Ultima è la lettera di Papa Pio II al Gran Turco, mancante in fine per essere state disperse le carte 143 a 149, dove, secondo mi dice la tavola che compie il volume, eravi altresi una memoria de la cita e citadini de saona e diversi esempi e consigli morali. Sappiamo pure dalla tavola che a’ 13 maggio del 1566 aveva l’autore posto fine a scrivere, e lasciate in bianco le carte 116 a li1) e se a li iorni nostri acader à altro se vieterà qui apreso. In fatti al verso della 119 v’ha l’ultima copia di lettera giunta in Savona a’ 9 febbraio 1568. Non è mio proposito dare una minuta rassegna di quanto v’ha di storico in tutto questo libro; giova soltanto 1’avvertire che i fatti sonvi narrati alla buona e quasi in dialetto, v’ hanno poi particolarità minute, in ispecie là dove si discorre di cose liguri; e tali da riuscire fruttuosissimo il consultarlo. Il Codice è poi scritto d’una sola mano, e senza fallo autografo. Gio. Agostino Abate nacque in Savona nel 1496 a’ 5 settembre da Leonardo, e fu berrettaio di professione; il padre giornale ligustico 399 ebbe molta parte nella fabbrica del tempio dedicato alla Madonna, essendo stato pel primo eletto protettore di quella chiesa ed ospedale subito dopo la celebre apparizione del 1537. Nella peste del 1504 mori Filippo avo di Gio. Agostino e suo zio Raffaello; egli stesso ne fu preso, e scrive ehi carboni e angonagie e per gracia di dio scampai e mia madre mai mi abandonò. Non so quando sia morto, ma per certo in tarda età dopo il 1570. Toccando di lui il Soprani lasciò notato che i manoscritti suoi si conservavano nella libreria del qm. Alessandro Abate dottore di leggi e protonotario apostolico, ed avevano il seguente titolo : Guerre successe dal 1498 sin al ij6y; Un libro delle regole di Aritmetica et un altro di Geometria; la qual notizia egli trasse dalle memorie del Verzellino. Ora il nostro manoscritto contenendo appunto sì fatte scritture, sembrami fuor dubbio sia veramente quello citato dal Soprani. Il Verzellino stesso dee essersene giovato nella compilazione delle sue Memorie, poiché lo ricorda alcuna fiata; e moltissimo servì al Monti pel suo compendio cronologico. Stia dunque di buon animo il Sig. Garoni che il Codice da lui lamentato perduto esiste, se non completo, almeno nella miglior parte. Così potesse uscir fuori l’altro lavoro dell’ Abate; dove più di proposito discorre di Savona, e dal quale fu estratta la relazione deirApparizione di Nostra Donna nel 1730 dal Dottor Pollero in quella sua opera intitolata : La virtù oppugnata più relucente. Porge notizia di questo secondo manoscritto Giacomo Piccone nell’ avvertenza posta innanzi alla sua Storia dell’ Apparizione venuta in luce nel 1760; e quivi riproduce le parole che leggonsi nel Codice a carte 27, che io reputo utile trascrivere: Al nome de Dio Io Ioani Agostino Abbate cuundam Leonardo I’ anno del ijyo a li j de Dexembre essendo di età d’ anni 7/ e 3 mesi non potendo più affaticare come era solito; per non stare a Vocio, e per mio diletto, abio tra mi ordinato 400 GIORNALE LIGUSTICO di scrivere in questo mio Libro ai cime cose de la nostra città, e de’ cittadini de Savona degne di memoria, le quali serano la più parte e quasi tutte cose che a miei iorni io le abio vedute coti miei occhi, e toccate con mie mani, e tutte veraxe, pregando Dio che me dia grafia che io possa scrivere cosa che non sia a danno de persona alcuna, et a laude de Dio. Dal quale breve pioemio si rileva e l’età dell’autore, e che questo libro è affatto diverso dal nostro Codice, si per quanto risguarda la materia, si per essere stato scritto due anni più tardi. Chi si farà a scorrere questo, lavoro del quale mi sono studiato dare, come che incompiuta, una qualche notizia, non troverà lenocinio di stile o sceltezza di frasi; ma la nuda verità ne suoi più minuti particolari dettata secondo il costume degli antichi cronisti, e che riesce però di grande giovamento come quella che muove da una sicura fonte, rappresenta i fatti e gli uomini nel loro vero aspetto, ed è ricca di quelle più speciali notizie che vanamente si ricercano negli scrittori di storie. LA CANONIZZAZIONE DI CRISTOFORO COLOMBO Da qualche tempo l’argomento della canonizzazione di Cristoforo Colombo, tanto caldeggiata dallo scrittore francese Conte Roselly de Lorgues, è, come suol dirsi, all’ordine del giorno. Perciò avendo il cav. prof. Angiolo Sanguineti trattato di questa materia nella tornata che si tenne dalla Sezione di Storia della nostra Società Ligure il 19 giugno p. p., in una Memoria intitolata : Quanto fallace consigliero sia in materia storica il sentimento; abbiamo creduto opportuno d’anticipare la pubblicazione di quella forbita scrittura, la quale procedendo ordinatamente coi verbali avrebbe tardato ancora qualche mese a comparire in luce. Una folla di giornali GIORNALE LIGUSTICO 401 grandi e piccoli è uscita fuori, anche posteriormente alla lettili a del nostro collega, a cantar le lodi del Signor Roselly e ad inneggiare alla futura canonizzazione; ma in mezzo a tanto strepito avendo noi cercato se alcuno, dalla fraseologia roselliana infuori, si mostri conoscente della materia, dobbiamo confessare di non averlo sinora trovato. Invero questo onde siamo spettatori, è un nuovo modo di trattare le questioni storiche! Se non che, nè la Chiesa si sorprende con concerti rumorosi, nè la critica storica si appaga di frasi sentimentali, o, come dicono per 1’ appunto i francesi, di discorsi a sensazione. Il buon senso, se Dio vuole, non è spento; e noi abbiamo la convinzione che anche tra i fautori del Roselly non mancheranno gli spiriti retti, i quali sbollito il primo entusiasmo, volgendosi un poco addietro si accorgeranno di essersi lasciati trascinare troppo oltre. Il Sanguineti si era già altre volte occupato dell* argomento; e la patria di Cristoforo Colombo gli va da molti anni debitrice di una bella e coscienziosa Vita dell’ Eroe; la qual Vita siam lieti di accennare che l’illustre e rimpianto D’Avezac, per lettere a noi cortesemente indirizzate, mostrava di tenere in grandissima estimazione. La Direzione. Il Signor Roselly de Lorgues è tornato in campo con un nuovo libro intitolato VAmbassadeur de Dieu et le Pape Pie IX, per ribadire l’antico suo chiodo della canonizzazione di Cristoforo Colombo. In questo libro 1’ Autore riassume (come dice un suo panegirista nell’ Unità Cattolica) tutte le prove delle virtù e miracoli di questo Eroe cristiano ecc. Noi saremmo ben contenti che al nostro grande Concittadino si potesse decretar dalla Chiesa una cosi bella corona: soltanto dubitiamo che ci si abbia a giungere per la strada che ha preso a battere il Roselly. Egli si fonda sopra una falsa 402 GIORNALE LIGUSTICO supposizione, come altra volta abbiamo accennato; ma di ciò egli non fa caso e continua a sostituire alla critica storica il sentimento. E noi dal sentimento vogliam richiamarlo alla critica storica, se non altro, per porgergli occasione di trionfare delle obbiezioni e degli ostacoli, che egli si può trovar fra i piedi nel cammino che ha da percorrere per giungere alla sospirata meta. Fondamento del suo sistema (giacché egli fa professione piuttosto di scrittor sistematico che di storico) è che la storia di Cristoforo Colombo sia stata alterata da quattro moderni scrittori sopra un fatto essenzialissimo, cioè sulle sue relazioni colla Beatrice Enriquez e sulla legittimità di suo figlio Fernando. Al veder 1 importanza che egli dà a questo punto della storia dell’Eroe, a far risaltare la malignità de’ moderni scrittori, si riconosce che egli riguarda questa giustificazione come la base del suo edifizio. Siccome dunque, a far trionfare il suo assunto, egli deve aver rivolto tutti i suoi sforzi; così il lettore, che non sia disposto ad appagarsi di declamazioni sentimentali, è in diritto di aspettar da lui buone ragioni e solidi argomenti. A noi pare che finora 1’ autore non abbia soddisfatto a questa ragionevole aspettazione; e siamo persuasi che egli nella sua lealtà di cristiano e di gentiluomo ci saprà grado di avergli porto occasione colle nostre obbiezioni di far trionfare la nobile causa che da tanto tempo con tanta costanza va propugnando. Noi con libertà e franchezza intendiamo di mostrare che le espressioni di Cristoforo Colombo prese secondo il significato delle parole e secondo lo spirito di tutto l’insieme, sono talmente chiare da non lasciar luogo ad alcuna forzata interpretazione, come vorrebbe tirarle il Roselly; quindi che gli scrittori antichi hanno parlato del fatto della Enriquez nel medesimo senso che Cristoforo Colombo nel suo codicillo; che per conseguenza gli scrittori moderni riportando con esat- GIORNALE LIGUSTICO 403 tezza e coscienza gli antichi documenti non son rei di malignità, nè complici d alcuna congiura, e perciò rimangono fuor di quistione. Cominciamo dalle testimonianze degli storici. Venga pel primo 1 Herrera, che è citato anche dal Roselly; ma egli lo cita in traduzione. Importa molto vedere il passo in originale, e poi confronteremo con esso la traduzione del Roselly. » Caso con Dona Felipa Muniz de Perestrelo, y hubo en ella a D. Diego Colon; y despues en Dona Beatriz Enriquez, naturai de Cordova a Don Hernando, caballero de gran virtud y letras » (Decad I, p. II). Che in italiano vuol dire: che Colombo si marito con Donna Filippa Munii di Perestrello ed ebbe da lei Don Diego Colombo; e poi da Donna Beatrice Enriquez, nativa di Cordova, T)on Ferdinando, cavaliero di gran virtù e lette? e. Ecco ora la traduzione del Roselly. Premesso il matrimonio con Donna Filippa e la nascita di Diego, prosegue citando in traduzione l’autore spagnuolo: Après les décès de cette premiere femme il en épousa une seconde appellèe Beatrix Enriquez de la ville de Cordoue, dont il eut Ferdinand, gentilhomme vertueux fort experimenté dans la science des bonnes lettres ». Ora confrontando 1’ originale spagnuolo colla traduzione francese, si vede che le parole da noi riportate in corsivo, sono state aggiunte di pianta. Se fossero nello storico spagnuolo darebbero piena ragione al Roselly: essendovi state poste di suo arbitrio, fanno contro di lui. Lo storico spagnuolo presenta la provenienza di Diego in modo ben diverso da quella di Fernando. Questa differenza si volle far disparire con quella giunta. A questo luogo perciò il Sig. D’ Avezac ebbe ad uscire sdegnoso in questa italiana esclamazione: 0 traduttore traditore! Il D’Avezac scrittore eruditissimo, serio e coscienziato fu rapito quest’ anno ai gravi suoi studi che aveano principalmente per oggetto checché si riferisce all’ antica Geografìa. 404 GIORNALE LIGUSTICO Era membro dell’ Accademia delle Iscrizioni e "Belle Lettere, Presidente della Società Geografica in Parigi. In uno dei suoi ultimi opuscoli intitolato Année véritable de la naissance de C. Colomb, si lasciò andare a quello sfogo forse perchè gli parve atto men leale non solo alterare così sostanzialmente una citazione; ma il voler far credere che si citavano le parole precise con premettervi voici ses paroles. La censura è grave e severa, e noi non vogliamo aggiungervi nulla del nostro. Un altro storico spagnuolo che il Roselly cita, Ortiz de Zuniga, parlando di Fernando dice: » Naciò en Cordoba de doncella noble, y siendo viudo su padre », cioè: Nacque in Cordova di donzella nobile ed essendo vedovo suo padre. Paroles significatives s’il en fut! dice il D’Avezac. Ma di tutte queste parole il Roselly cita soltanto queste due : doncella noble, per dire che Colombo sposò una nobile donzella. L avea così bene sposata che quando Fernando nacque, suo padre era m istato di vedovanza. Il Roselly entrando in questo argomento aveva detto. Nous dirons la vérité toute entière. Se egli abbia soddisfatto all., promessa lo giudichi il lettore. Ma siccome potrebbe parere improbabile che una nobile donzella si fosse lasciata andare a quell’ obblio della sua virtù, ecco che il Sig. Roselly dicendo questa volta la verità tutta intiera, mi presta la risposta all’obbiezione in una nota alla pag. 52 della sua Storia. » L’oisiveté babillarde, les elégance^ rafinées et la coquetterie des femmes de Cordoue étaient proverbiales en Espagne ». Or si veda quanto meno di questo basti a far soccombere 1’ umana fragilità. Aggiungeremo ancora la testimonianza di Oviedo, dont portée, osserva il citato D’Avezac, ne peut échapper qu a un esprit entièrement prévenu. » Suplicò a los Reyes que oviessen por bien que sus hijos el principe Don Juan los recibiesse por pajes suyos; los quales eran Don Diego Colom, hijo le- GIORNALE LIGUSTICO 405 gitano é mayor del Almirante, é otro su fijo Don Fernando Coloni que hoy vive » (Hist. gen. y nat. de Indias ec. ; Madrid, 185 x-5 5, tomo 1, pag. 71.). > Sono messi qui a confronto due figli dell’ Ammiraglio : al- 1 uno e dato il titolo di legittimo, all’altro nulla. D011 Diego Colombo figlio legittimo e maggiore dell’Ammiraglio, e l’altro suo figlio Don Ferdinando Colombo che oggi vive. Questo parallelo parla troppo altamente chiaro. Crediamo d’aver ad esuberanza provato che le relazioni di Colombo colla Beatrice Enriquez, come si trovano negli • scrittori moderni, sono anche più esplicitamente rappresentate dagli storici antichi spagnuoli, contemporanei o quasi, dai quali le hanno ritratte i moderni. A quelli pertanto si dee far risalire la responsabilita di tale notizia: questi rimangono fuori di causa. Se v’ è caso di menzogna, di malignità, di congiura contro la storica verità, come crede di avere scoperto il Sig. Roselly, se ne dia tutta la colpa agli antichi, e perciò stesso si cessi di gridare che i moderni hanno indegnamente travisato la storia del grande Navigatore. Sebbene a che prendersela 0 cogli uni 0 cogli altri, quando le parole dell’Ammiraglio stesso concordano cosi mirabilmente colle testimonianze di que’ gravissimi scrittori ? Esse ne sembrano come il riverbero, e rendono inammissibile e ridicola ogni interpretazione a cui si volesse torcere il senso ovvio e naturale delle parole e lo spirito di tutto il famoso passo del codicillo del 25 agosto 1505, la cui autenticità non cade in discussione. Ecco le precise e originali parole: » Digo y mando a D. Diego mi hijo é a quien heredare, que pague todas las deudas que dejo aquì en un memorial por la forma que alli dice, é mas las otras que justamente parecerà que yo deba. E le mando que liaya encomendada a Beatriz Enriquez, madre de D. Fernando mi hijo, que la. provea que pueda vivir honestamente come persona a quien yo soy en tanto 27 GIORNALE LIGUSTICO cargo. Y esto se haga por mi descargo de la conciencia, porque esto pesa mucho para mi anima. La razon dello' no es licito de la escribir aqui ». Cristoforo Colombo affidava i suoi sentimenti ad una carta, la quale probabilmente egli credeva che non dovesse uscire dal santuario della sua famiglia, e la quale era lungi certamente dal-l’immaginare che un giorno dovesse correre per le stampe ai quattro venti della terra. Io non esaminerò fin dove giungano i diritti della storia, e se vi sieno dei limiti dinanzi a cui essa debba arrestare le sue indagini, e se questo era il caso di fermarsi. Ma da che il fatto era noto e divulgato per le storie; da che il documento è di pubblica ragione; da che emerge così chiara la concordanza di questo colle storiche testimonianze; da che un improvvido zelo ci strascina su questo terreno; sarebbe un mal inteso riguardo il non rispondere alla sfida. Pare impossibile che si tenti di eludere il peso di questo documento, di cui ogni parola è un colpo che atterra e stritola il sistema Roselly. Perché invece di dire mia moglie dice Beatrice Enriquez madre di mio figlio Ferdinando ? Perchè riconosce in lei questa qualità, non quella. Come persona a cui io sono di tanto carico..... ciò si Jaccia a scarico di mia coscienza ..... questo pesa sull’ anima mia. Domando io di quali termini, di quali espressioni dovrebbe far uso chi volesse deplorare un antico suo fallo. E come se non avesse ancora parlato abbastanza esplicitamente, aggiunge che la ragione di ciò 11011 è lecito scrivere qui. Chi avrà letto queste parole, già per sè così chiare, e le avrà confrontate cogli scrittori, non potrà a meno di ridere quando sentirà dire al Sig. Roselly che le parole del codicillo valgono una scusa verso la supposta moglie, perchè invece di starle alle gonnelle, aveva atteso ai suoi viaggi. Queste le son cose da dirsi a bambini non ad uomini serii. GIORNALELIGUSTICO 407 Noi che siam teneri dell’ onore del nostro immortai Concittadino, più di quello che possa essere qualunque straniero, avremmo desiderato che il Sig. Roselly rivolgendo a quel pio e lodevole fine i suoi sforzi, avesse tenuto una strada diversa. Per crearsi un punto d’appoggio, egli ha scelto un falso terreno. Col sostituire una sua arbitraria e (diciamo il termine) ridicola interpretazione, non distrugge mica il senso ovvio e naturale delle parole e dei concetti. Coll’attribuire alla malignità dei moderni il fatto in quistione, non può mica annientare le testimonianze degli antichi. Possiam dunque con tutta ragione affermare che per giungere al suo scopo ha tenuto una falsa via. Quindi si è trovato nella necessità di citare e non citare gli storici antichi, di mettere in mostra qualche loro parola, di dissimularne altre, di aggiungerci qualche cosa del suo: cose tutte che agli occhi de’ lettori sensati ed imparziali gli devono fare un gran torto. E questo torto che dovrebb’ essere soltanto subiettivo, si riverbera anche sulla causa eh’ egli propugna, potendosi dire che una causa che si cerca di puntellare con siffatti mezzi dev’ essere disperata. Ecco il falso giudizio che gl’ imperiti ed i malevoli potrebbero dedurre dai procedimenti del Roselly. Se si fosse potuto passar sopra a quel fatto, di cui pareva all’ Eroe che non fosse licito cscribir, sarebbe stato meglio; ma nell’odierna pubblicità, in cui è collocato, non poteva lasciarsi correre in silenzio. Noi possiamo ingannarci ; ma abbiamo la coscienza di non voler ingannar nessuno. Noi dunque avremmo toccato di volo il fatto, e mostrato come il profondo e sincero pentimento, che emerge così luminoso dalle sue parole, doveva averne cancellato l’errore. Noi diciamo la nostra opinione e non intendiamo di imporla a nessuno, meno di tutti al Sig. Roselly, il quale è uso a rispondere alle obbiezioni con un suo metodo particolare, fondato sul principio che le sue. sentenze non vanno soggette a discussione. GIORNALE LIGUSTICO Cosi a noi pare (a lui deve parere il contrario) che egli si faccia torto col darsi per iscopritore di cose che sono a portata di tutti ed a cognizione anche dei nostri ragazzi; che cioè Cristoforo Colombo era d’ un sentimento religioso e cattolico veramente squisito, che tutte le sue imprese rivolgeva ad onore e gloria di Dio, e che meditava di impiegar le ricchezze, che avrebbe ritratto dal nuovo mondo, al riscatto del Santo Sepolcro. Ma Washington Irving ha su questi particolari delle pennellate ammirabili, da onorarsene qualunque penna cattolica. La storia dell’ Irving protestante giova alla fama del-l’Eroe ed alla causa del catolicismo presso i protestanti, più che quella del Roselly, il quale muove loro l’ingiusta accusa d’ aver travisato la fisionomia del grande Navigatore. Anzi è l’Irving che s’ingegna di purgar la memoria del-1’ Ammiraglio dalla macchia che adombra la bontà del suo cuore, coll’ aver supplicato di poter vendere come schiavi un numero di poveri Indiani per far danaro, di cui avea gran bisogno. Egli ne rigetta la colpa sui tempi. E veramente sa rebbe un anacronismo il volerlo giudicare alla norma del sentimento che abbiamo ora noi a questo riguardo. Se il Sig. Roselly troverà migliori ragioni, tanto meglio ! Gliene sapremo grado. Or se v’ avesse qualche altra cosa che si potesse obbiettare contro alla causa di Cristoforo Colombo, che cosa gioverebbe dissimularla? Tutti devono volere il trionfo della verità. Ed io pel primo da questo sentimento sono indotto a ^mettere in campo altri piccoli dubbi che mi si presentano al pensiero, affinché, se non sono d’ alcun valore, vengano dissipati ; se hanno qualche peso, si tengano per quel che sono e sei vano alla causa della verità. Noi crederemmo di mostrarci poco teneri dell’ onore dell’ Eroe coll’ accettar ciecamente ciò che ci si volesse imporre da chi non ha altra facolta che quella che abbiamo noi, cioè di discutere storicamente la materia. GIORNALE LIGUSTICO 409 A noi pare (0 c’ inganniamo) che non giovino punto alla causa di Cristoforo Colombo quelli che chiedono alla Chiesa di fare a meno per lui delle norme stabilite da Benedetto XIV. Ma, se il Ciel li benedica, coteste norme non furono esse stabilite appunto per venir meglio in chiaro della verità? Questo sarebbe mostrai che è la verita che si teme: questo sarebbe uno screditare la causa in faccia alla Chiesa ed in faccia al mondo; a meno che non si tratti di qualche formalità, che la distanza dei tempi renda impraticabile. Noi perciò crediamo che meglio giovi mettere in campo le difficoltà che si possono opporre. Nella trattativa della causa verrebbero ad ogni modo in discussione 0 no ? Il no non e ammissibile: se sì, tanto meglio discuterle prima, ed arrecarvi quei lumi che avvicinano la quistione al suo scioglimento. Allora il Sig. Roselly potrà dir con più ragione: Le temps de la réhabilitation est enfin venu. Così egli deve trovar modo di chiarire e spogliare d’ ogni ombra, che 1’ offuschi, il fatto di essersi valso delle sue cognizioni astronomiche per far credere agl’indigeni, mal disposti in una circostanza verso di lui, che egli avea relazioni dirette col Cielo. Prevedendo imminente un eclissi di luna, annunziò ai selvaggi che se non gli somministravano vettovaglie, avrebbero veduto oscurarsi l’astro della notte. Fu un colpo che riuscì mirabilmente, che incusse timore e riverenza verso questo confidente del Cielo, fu un partito da uomo di genio; ma sotto l’aspetto di una canonizzazione spacciarsi per. segretario di Dio quando parlava per scienza puramente umana, potrebbe destar qualche difficoltà. I Santi poi portarono ad un grado eroico il distacco non solo, ma il disprezzo, la fuga dei beni della terra e delle onorificenze. Cristoforo Colombo portò ad un grado eroico 1’ altezza del suo sentire prima dell’impresa, per cui volle pattuire in beni, titoli ed onori la ricompensa dei grandi vantaggi che 410 GIORNALE LIGUSTICO non dubitava di arrecare alla Corona di Spagna; ed è mirabile la costanza con cui sino all’ ultimo anelito sostenne i suoi diritti. Non richiedeva nulla che non gli fosse dovuto per istrettissima giustizia; ma dal volere il suo all’ essere un eroe di abnegazione ci è una grande distanza : questo è carattere di santità, quello lo può fare ogni uomo dabbene ed anche non dabbene. Infine tutti conoscono il peso grandissimo che presso il tribunale della Chiesa ha quel sentimento spontaneo e generale di venerazione, che alla morte di un campione d’ eroiche virtù s’ alza dalla sua tomba e va ognor crescendo e dilatandosi. Riguardo a Cristoforo Colombo noi vediamo trascorrere tre secoli e mezzo, senza che alcuno abbia pensato mai alla santità di lui. Eppure per la grandezza della sua impresa, per la nobiltà del suo animo, pel suo zelo religioso, infine per le sue stesse sventure era nelle bocche di tutti sfolgorante di gloria. Dopo tanto tempo sorge un individuo, che non facendo conto alcuno de’ fonti storici, detta una storia di un nuovo conio volta ad incarnare, come si vede, una sua idea preconcetta, a secondare un sentimento, che per quanto sia pio e lodevole, è sempre fallace consigliero in istoria. Noi abbiamo provato che egli, con questo velo sugli occhi, dissimula gli antichi scrittori, travolge ridicolamente il senso ovvio d’un famoso documento decisivo, fa un gran chiasso contro alcuni moderni scrittori, che non ci hanno messo nulla del proprio, e gli accusa come se avessero inventato ciò che aveano semplicemente cavato dai fonti antichi. Tanto può, 'anche sopra un animo retto, un’idea volutasi stabilire a priori in materia storica. Non gli farò colpa d’ aver abbondato in frasi sonore, in millanterie, in invettive, perchè si trattava di attirare a sè 1’ attenzione del pubblico : il che non si ottiene senza un pò di rumore. Infatti egli raggiunse il suo scopo presso quelli (s’intende) che nè prima aveano studiato GIORNALE LIGUSTICO 4II la materia, ne la studiarono dopo. Ciò io non avrei nemmeno toccato di passaggio, se non servisse a mostrare 1’ origine dell’opinione della santità di Colombo. Questa (si noti bene) e nata ad un tratto dopo tre secoli e mezzo per un libro ideato e scritto in quel modo che abbiam detto. Tutti i nomi che il Sig. Roselly cita con tanta compiacenza, di cui si gioìia con molta ragione, e nella cui autorità fa grande assegnamento, si riassumono in un solo: Roselly de Lorgues ! La Chiesa darà a questa opinione di santità quel peso che stimerà di dare, ed io accetto anticipatamente il suo giudizio. Prima di conchiudere questa memoria, vogliamo ritornare all articolo dell’ Unita Cattolica, che ci occorse di citare da principio, per mostrare come talora l’improvvido zelo degli amici non serva che a rovesciar sull’ amico il ridicolo. E qui' trattandosi di un articolo di giornale, di cui non conosciamo l’autore, potremo anche parlar con maggior libertà, benché sempre rispettando le convenienze. Anche su questo punto noi ci troviamo praticamente in dissenso dal Sig. Roselly. Noi crediamo che uno scrittore trattando colle regole della creanza chi dissente da lui, rispetti sè stesso. L’ architetto del tempio di Diana in Efeso ha diritto di opinare diversamente. Non dico che se egli tira le conseguenze che scendono legittime dal nostro ragionamento, non abbia a sentir moleste scottature; ma avrebbe gran torto ad attribuire a malignità ciò che non è altro che rigore di logica. Ma tornando all’Unità Cattolica (21 Aprile 1875), ecco come entra in materia l’articolista: « Frai lieti risultati del viaggio di Pio IX in America deve annoverarsi la rivendicazione alla Chiesa di Cristoforo Colombo finora misconosciuto ed orribilmente sfigurato dagli scrittori protestanti ». In primo luogo che cosa è cotesta rivendicazione di Colombo alla Chiesa? Chi 1’avea mai fatto uscire dal Cattolicismo? Se ciò non fu mai, non può neppur sussistere la rivendicazione, se non in qualche 412 GIORNALE LIGUSTICO cervello esaltato. Cristoforo Colombo finora misconosciuto c orribilmente sfigurato! Impudente e iperbolica menzogna: e 1 abbiamo provato. II viaggio di Pio IX in America è una grandissima inesattezza: si dovea dire dell' Abate Mastai. Si usa e si abusa di quell’augusto nome a tutto andare. Vorrei poi che 1’ articolista mi spiegasse la relazione che lega quel viaggio con questa pretesa rivendicazione. Chi non sapesse altro, intenderebbe che quando l’Àb. Mastai andò in America Cristoforo Colombo era tenuto per protestante, e che in virtù di quel viaggio fu riconosciuto cattolico. Cosa superlativamente ridicola. Da ciò risulta che in questo breve periodo tante sono le goffaggini e gli spropositi quante le parole. u L’anno scorso (prosegue l’articolista) il Cardinale Donnet invitò il Conte Roselly de Lorgues a proseguire la sua istanza. Ed ecco che la storia di Cristoforo Colombo in un libro che ha per titolo UAmbasciatore di Dio e Pio IX, riassume tutte le piove delle virtù e miracoli di questo eroe cristiano sì in vita quanto dopo morte..... Il Conte Roselly de Lorgues dimostra che il vero scopo dell’impresa di Cristoforo Colombo era di riscattare il Santo Sepolcro con tesori ricavati dalle nuove regioni ». Il Roselly, come abbiamo veduto, si vanta d’avere scoperto ciò che dai tempi di Colombo sino a noi fu sempre del pubblico dominio. L’ Unità con questo mostra di essere ben all’ oscuro della materia in cui è entrata. Cotesti articolisti quando danno di mano all’ incensiere, non badano a scapestrare, purché incensino. Noteremo di più che qui la cosa è espressa molto impropriamente. Dalle parole dell’ articolo si dedurrebbe che 1’ Eroe formasse il disegno di andare alla scoperta di ignote terre e tesori, per soddisfare al desiderio che aveva di riscattare il S. Sepolcro. Or tutti sanno che molti anni prima di rivolgere le sue mire al S. Sepolcro, cioè quando era ancora in Portogallo, meditava, studiava, preparava il suo disegno di andare alle parti orientali dell’ Asia per GIORNALE LIGUSTICO 413 via dritta ad Occidente; che trattò con quella Corte e che sdegnato de’ suoi procedimenti l’abbandonò e venne in Ispagna. Qui le notizie giunte dai luoghi santi gli fecero nascere l’idea di riscattare il S. Sepolcro. Si vede dunque che questa idea nacque dopo il disegno della scoperta. Non è nostro scopo d attenuare in Cristoforo Colombo il merito di quel pietoso proposito, ma di mostrare che il povero articolista non ne azzecca una. « L autore (prosegue il foglio) accennò bellamente le misteriose attinenze fra il primo cristiano che portò la croce nel nuovo mondo ed il primo Papa (Pio IX) che visitò quelle terre dell’avvenire ». Ci saprebbe spiegare il buon fogliettista in che cosa consistano coteste misteriose attinenze ? Noi non ci vediamo altro che una frase vuota di senso. Già il Papa Pio IX, come abbiamo detto, non fu mai in America, e quando vi fu 1’Ab. Mastai, quella non era più terra dell’avvenire, ma del passato e del presente. L’ Ab. Mastai andò a S. Jago nel 1823, quando questa città esisteva quasi da tre secoli, cadendo la sua fondazione verso il 1540. Quanti anacronismi ! L’ Ab. Mastai fu di passaggio a Montevideo e di permanenza per due anni al Chili: terre che ogni scolaretto sa non essere mai state nè tocche, nè conosciute dallo Scopritor dell’America. Dunque, storicamente parlando (metto da parte la poesia), nè i tempi, nè i luoghi ravvicinano le idee di Cristoforo Colombo e di Pio IX, e le attinenze svaporano proprio nel mistero. L’ articolista ha fatto grande assegnamento sulla semplicità de’ suoi lettori. Ma quella che viene è anche più bella. . « Il Conte Roselly de Lorgues stabilisce che la celebrità di Cristoforo Colombo non derivò nè dal genio, nè dalla scienza, ma solo dalla sua fede, dai favori della grazia. Quale uomo di mare non aveva alcuna superiorità sui marinai del suo tempo, imperocché accademici di Berlino e di Parigi molto risero 4i4 GIORNALE LIGUSTICO della sua ignoranza in cose di astronomia e geografia. Ciò nondimeno questo ignorante scelto da Dio scopri oltre il nuovo mondo sette leggi principali del globo , e malgrado i progressi delle scienze, nessuno potè ancora vincerlo in cosmografia ». Questo è un labirinto di stupidaggini e di contraddizioni. Costoro che son tanto teneri dell’ onor di Colombo, falsano il suo carattere, pervertono la sua storia, gli tolgono i suoi pregi reali per dargli quelli che hanno essi nella loro immaginazione, si fabbricano un Colombo ideale e fantastico. Per farne un santo ne fanno un idiota. Colombo non aveva alcuna superiorità sui marinai del suo tempo. Questa è una vera scoperta ! Accademici di Berlino e di Parigi risero della sua ignoranza. Gli accademici di quel tempo non risero davvero, perchè non esistevano. L Accademia di Parigi fu istituita dal Cardinale di Richelieu nel 1635» e quella di Berlino nel 1700 da Federico I. E se fossero esistiti a quel tempo, non avrebbero riso, come non ebbero a ridere ma a sudare i Teologi di Salamanca. Se poi ri-dessero gli Accademici de’ nostri giorni in ragione dei progressi che d’ allora in poi fecero gli studi astronomici e le scoperte geografiche, dovrebbero ridere di Noè che s imbarcò nell’ arca senza provvedersi di bussola e d’ astrolabio. Il bello è che costoro fondandosi sopra un luogo della Storia di Ferdinando, mandano Cristoforo Colombo a studiare a Pavia, e o dissimulano o ignorano il ragionamento per cui a cominciare dal P. Spotorno ed a venire sino al D’Avezac, si è provato esser quella una favola. Noi non abbiamo 1 0-riginale di quella Storia, ma una meschina traduzione, in cui è probabilissimo, che Pavia vi si sia introdotta in luogo di patria. Essi dunque lo mandano a studiare a Pavia e poi lo fanno uscire da quell’ Università ignorante come il più volgare dei marinai del suo tempo, che probabilmente non sapevano nè leggere nè scrivere. Poi questo ignorante scuopre, GIORNALE LIGUSTICO 4I5 oltre il ' nuovo mondo, sette leggi principali del globo; e mal-gi ado i progressi della scienza nessuno potè ancora vincerlo in cosrnogiafia. Ma, e dunque di che cosa risero gli Accademici di Parigi e di Berlino? Dice ancora il foglio Torinese « che il concetto della santità di Ciistoforo Colombo andava impadronendosi della mente di coloio che aveano letto la sua Vita » cioè la Vita scritta dal Roselly e nient altro. Ma il giudicare una causa sopra uno scritto pregiudicato dalla passione, senza leggere gli scritti imparziali, dettati senza prevenzione, senza pregiudizi, con tutta la calma storica, fa veramente poco onore a giudici di tal fatta. Non così procede la Chiesa. A lei pertanto noi lasciamo il giudizio delle virtù e miracoli di Colombo, quando stimi di occuparsene. Noi abbiamo mostrato cogli storici alla mano che le citazioni del Sig. Roselly non sono esatte, e che le conseguenze eh’ egli ne tira sono perfettamente opposte al senso di quelli. Il Sig. Roselly cogli storici stessi alla mano e colle sue citazioni a rincontro dimostri falsa 1’ accusa. Qui 1’ aspetto. Ma che fa egli? Si presenta colla bocca piena di altissimi nomi, di iperboli, di iattanze. Io mi prostro riverente dinanzi ai Principi della Chiesa; ma essi non cambiano il senso alle parole dell’ Eroe, nè fanno che un passo alterato divenga genuino. Perciò rimangono estranei alla qui-stione storica. Egli dunque pretende invano di imporcene colle sue amicizie e colle sue frasi. La storia non si fabbrica col cervello: bisogna ricorrere ai fonti. Egli poi ha veduto il conto che fo delle iraconde espressioni con cui forse crede di onorare sè stesso e vantaggiar la sua causa. Tutti sanno che le ire scoppiano dalla coscienza del proprio torto. Se vi ha esempio di scrittore trascinato dal sentimento all* illusione egli è desso. Egli è una prova luminosa per confermare quanto fallace consigliero sia in materia storica il sentimento. A. Sanguinetì GIORNALE LIGUSTICO BOLLETTINO BIBLIOGRAFICO Amadio Ronchini, Nicolò Sciliacio e la sua Relazione sulla scoperta del nuovo Continente. — Modena, 1875. Il Congresso geografico internazionale testé tenutosi a Parigi fu una fortunata occasione anche per l’Italia: perchè, oltre i viaggi scientifici proposti e in parte già adempiuti, fece sorgere parecchie pubblicazioni di geografia storica ; di che la patria nostra potè presentarsi anch’ essa al banchetto scientifico delle nazioni, colla dignità che le conveniva. Il merito di questo affaccendarsi oltre al consueto, è giustizia il dirlo, si deve più d’ ogni altro al Presidente della Società Geogia-fica Italiana, l’illustre Correnti; il quale non cessò un istante il caldo eccitamento, dove pungendo, dove incoraggiando , dove comandando. Che se i dotti membri di quella Società, come possono per merito, cosi vogliano rispondere colla perseveranza de’ fatti, incarnando i concetti che si sono palesati, avremo il piacere di lodare parecchie altre pubblicazioni avvenire; nè ci rimarrà‘più ad invidiare quella Raccolta di viaggi della Società Geografica parigina e della inglese Società Hakluyt, a cui raddoppiano il valore la introduzione critica, le carte geografiche di accompagnamento, le note e disquisizioni bibliografiche 0 di punti speciali, e i diligenti indici. Proponendoci di ritornare più altre volte sulle pubblicazioni sorte dal lodato impulso, ristringiamo per ora la nostra attenzione ad una sola : 1’ opuscolo il cui titolo sta a capo della presente rassegna, e che tratta del secondo viaggio di Colombo all’ America. Il dotto Sovrintendente degli Archivi di Stato nell’ Emilia, il cav. Amadio Ronchini, ha ripubblicato una Memoria già da lui impressa nel 1856 in pochi esemplari e divenuta ormai intro- giornale ligustico 417 vabile. Egli avea veduto presso il bibliografo parmense Domenico Olivieri nel 1845 descrizione di un viaggio di Colombo, scritta in Pavia, e stampata da un Nicolò Scillacio, e da costui dedicata il 13 dicembre 1494 a Ludovico il Moro: il famoso Duca quanto tristo per maneggi politici altrettanto fautore de buoni studi. L’ edizione di cui 1’ Olivieri possedeva un esemplare, era appena nota ad un solo degli annalisti della tipografìa, il Panzer ; ed il nome dell’autore era sconosciuto alla storia letteraria, quando al cav. Ronchini venne veduta una raccolta di opuscoli del Scillacio impressi nel 1496, donde egli potè raggranellare alcuni particolari della vita e delle opere di quello scrittore messinése. Nè potremo noi aggiungere guari altro. La Bibliografia sicola-sistematica del Narbone (Palermo 1854, III. 165, 191) ci reca ,un elenco ancor più povero che quello del Panzer, cioè due soli opuscoli medici colla data di Pavia del 1492; ma una di esse date è per nostro avviso erronea. L’ Argelati (Biblioteca dei volgarizzatori, V. 380) già citato dal march. D’ Adda che sotto loderemo, ci palesa la traduzione che Scillacio fece del trattato dell’ arabo Acmet — L’interpretazione dei somni secondo i philosophi di Persia, d’India et Egipto — manoscritto che si conserva a Milano nella ricca e preziosa Libreria Trivulziana. Nicolò Scillacio dal 1485 al 1496 almeno dimorava d’ ordinario a Pavia, ove si addottorò in medicina, lesse filosofìa e recitò orazioni in quella Università fondata da Ludovico il Moro. Nel 1494 abitando ivi, presso un Gio. Antonio Bi-retta, ricevette di Spagna da un Guglielmo Coma lettere che lo ragguagliavano delle maravigliose scoperte del Genovese; onde egli si affrettò a voltarle dallo spagnuolo al latino, colla giunta di altre notizie che potè da altri scritti 0 detti guadagnare. Comincia dalla partenza di Colombo da Cadice il 25 settembre 1493 ; racconta la scoperta che questi fece delle isole Dominica, Maria Galante, Guadalupa, Santa Cruz, San 4i8 GIORNALE LIGUSTICO Giambattista (Portorico) ; donde giunse l’Ammiraglio all’ isola spagnuola già scoperta nel primo viaggio, vi trovò i noti disastri toccati alla colonia da lui lasciatavi, fondò la città d’I-sabella, mandò a riconoscere le miniere d’ oro dell’ interno, ed inviò Antonio Torres il 12 febbraio 1494 in Ispagna ad annunziare le nuove scoperte. Tale è l’ordito del racconto di Scillacio: racconto pieno di curiosi particolari, e tanto più pregevole in quanto non abbiamo qui, come in altri viaggi, da Colombo stesso la relazione; e soltanto ci aiuta per questo secondo viaggio la lettera che scrisse il Dottor Chanca al Capitolo di Siviglia, oltre gli storici generali contemporanei. Ma, come ben rileva il eh. Ronchini, Scillacio pecca non soltanto per 1’ errore generale al suo tempo di considerare 1’ America come parte dell’ Asia e del Mare Indiano, ma per un errore suo particolare, grave, anzi mostruoso: quello di credere che Colombo per giungere colà abbia preso la via che battè, più anni dopo, Vasco di Gama, circumnavigando 1’ Africa. Il che prova con varii passi dell’ autore; e sospetta a ragione che Scillacio, avvedendosi 0 fatto avvisto di ciò, abbia cercato di ritirare -gli esemplari dell’edizione, che è rarissima : tanto più perchè raccogliendo quel Siciliano in uno i suoi opuscoli e stampandoli nel 1496, tralasciò questo che non era certo uno dei meno ghiotti pasti all’ avidità dei lettori di quel tempo. La data ed il luogo della edizione sono poi investigate dal cav. Ronchini; il quale ben si argomenta che Scillacio stampasse la relazione subito dopo la dedica fattane al Duca, dunque negli ultimi giorni del 1494 0 nei primi dell’anno seguente; e che la stampasse in Pavia coi torchi di quel Gio. Antonio Biretta suo inquilino, il quale sappiamo avere ivi avuto tipografia in società con Francesco Girardengo. Ma siccome consta che il Biretta non esercitò oltre il 1492, così lo stampatore dell’opu- GIORNALE LIGUSTICO 419 scolo del 1494-95 sarà stato l’antico socio di lui, il Girar-dengo. il quale difatti nel 1496 impresse altro opuscolo medico di Scillacio. Queste notizie rechiamo tanto più volontieri, da che esse forniranno una piccola giunta agli Annali della Tipografia Ligure pubblicati negli Atti della Società, essendo i due Girardengo Francesco e Nicolò di Novi-Ligure, dove poi anche Nicolò trasferì 1’ esercizio dell’ arte propria. Infine 1 autore racconta le vicende dell’esemplare di Scillacio, che dalla Libreria Olivieri passò a quella dei Rocca-Saporiti di Milano e da questa ad uno straniero, che lo comprò à prezzo sconfinato, e lo avrebbe recato in America a prender posto in non si sa quale biblioteca. Ma noi abbiamo il piacere di rassicurare il eh. Ronchini sulla sorte ulteriore di quel libro. Lo straniero che se lo recò in America è il signor Jacopo Lenox di Nuova-Jorch, il qtiale possiede parecchie preziosità di tal fatta; e che non contento di godersele da sè, volle ripubblicare il Scillacio nella sua patria il 1860, con una diligenza ed erudizione da bibliografo, e con una eleganza e lusso di tipi, silografie ed ornamenti, che non si potrebbe lodare mai abbastanza. Nè egli tace del-l’illustrazione del Ronchini; confessa anzi che sono da lui attinte le notizie che precedono la ristampa del testo. Della pubblicazione del Lenox in 152 esemplari, due de’ quali in foglio massimo e 100 in foglio grande, noi ne conosciamo tre: uno da lui con gentile pensiero dedicato alla Biblioteca della nostra città, patria dell’Uomo ivi celebrato; uno alla Biblioteca Ambrosiana come posseditrice di altri cimelii di simil fatta; ed un terzo pure a Milano dall’autore donato al marchese Gerolamo D’ Adda, bibliografo coltissimo ed amantissimo, a cui nulla manca specialmente in fatto di pubblicazioni e riproduzioni di simil genere, le quali divengono sempre più numerose e ghiotte, ma rimangono troppo poco conosciute al comune dagli italiani. 420 GIORNALE LIGUSTICO Il march. D’ Adda ha anch’ egli riprodotto nel 1866 a Milano un fedele e bellissimo fac-simile d’ una edizione della prima lettera di Colombo in ispagnuolo, che abbiamo già avuto occasione di lodare. Nella introduzione, nelle note ragionata-mente critiche che precedono tale riproduzione ha parlato egli pure di questa edizione del signor Lenox; ed ha aggiunto altre cognizioni in proposito. Corregge 1’ errore del Brunet, che nell’ ultima edizione del suo Manuale cambia in Pisa il nome di Pavia, la città ove si ha ragione di credere impresso il Scillacio nel 1494-95. E nota che un altro di questi esemplari si conserva tuttora nella già lodata Bibilioteca Trivul ziana, dove è pure un esemplare della rarissima edizione antica di Giuliano Dati, il traduttore in ottava rima della predetta lettera di Colombo. Mentre stiamo scrivendo queste pagine ci giunge opportuna un altra novità: un brano dello stesso Scillacio, e precisamente la dedica che questi ne fece il 13 dicembre 1494 a Ludovico il Moro. Vedesi questa riprodotta nel mazzo di moltissime curiose notizie e rarità bibliografiche, che abbiamo sotto gli occhi, recentissimamente pubblicato a Milano sotto il ti tolo: Indagini storiche, artistiche e bibliografiche sulla libreria Visconteo-Sfor^esca, illustrate per cura d’ un Bibliofilo (0? ^ quale ha voluto conservar l’anonimo. Ma troppo chiaramente ne rivelano il nome le vaste cognizioni ed i tesori che si vede dal suo libro dover egli possedere; lo rivela infine quello stesso nesso di pubblicazioni, che la nostra rassegna è ve nuta enumerando. (1) Milano, Brigola 1875. In altro fascicolo ne faremo argomento di una speciale rivista, sì come ben merita 1’ importanza dell opera, an che per le sue varie attinenze colle memorie ligustiche. Pasquale Fazio Responsabile. GIORNALE LIGUSTICO 421 SOCIETÀ LIGURE DI STORIA PATRIA (Continuazione da pag. 400) XIII. Sezione di Belle Arti. I ornata del 17 Aprile 1875. Presidenza del Preside cav. prof. Federigo Alizeri. Il Preside richiama l’attenzione dei colleghi sovra l’importanza di quel documento riguardante Giovanni Mazone, che fu testé pubblicato in questo Giornale dal socio Varni (1). Per tale atto ponendosi fine a molte controversie, si rivela nel detto Giovanni 1’ autore dell’ insigne tavola dell’ Annunziata che serbasi in Genova ai Domenicani di santa Maria di Castello. Soggiunge 1’Alizeri che il Mazone, benché alessandrino di nascita, non è estraneo a Genova; sì perch’ ei medesimo vi dimorò non meno di cinquant’ anni con soddisfazione della Signoria che lo chiamava pictor egregius, e sì perchè la famiglia di lui, a cominciare da Guirardo che gli tu avo, tiene un secolo nelle memorie della nostra pittura. Mostra poi il Disserente come Giovanni applicasse del pari alle discipline dell’intaglio; e si avvisa perciò che allo stesso debbansi recare insieme col dipinto i rilievi e trafori onde tutta si arricchisce la pala. In seguito ripigliando il cav. Alizeri la lettura delle sue Notizie sulla statuaria nel secolo XV, dice delle opere onde si decorò la cappella di san Sebastiano nella chiesa di Nostra Donna delle Vigne; e nota che di una parte di esse vuoisi dar merito al Ricomanno, mentre dell’ altra è da riconoscere autore Giovanni Donato da Maroggia, eh’ ebbe l’incarico delle statue onde si dovea sormontare la fronte dell’ edificio. Se non (1) Vedi a pag. 82. 422 GIORNALE LIGUSTICO che di tutto il lavoro più non rimangono oggidì che tre immagini, le quali si veggono indossate al grazioso architrave della porta laterale per cui dalla chiesa si esce in dirittura a Campetto. Narra poi 1’ Alizeri di Giovanni Bissone e di Matteo suo conterraneo, e della commissione di marmi eh eglino si ebbero da monsignor De Fornari vescovo di Maiiana per decoro di una sua cappella che era parimente alle Vigne, e di due altre che aveva ai Minori di san Francesco di Castel letto ed agli Eremitani della Consolazione in Bisagno. Per quest’ ultima cappella il Bissone aveva eziandio fomiti i dise gni; poscia, nel 1492, scolpiva il ritratto del prelato in figura giacente da collocare per insegna del suo sepolcro. Ragiona quindi il Preside di Michele de Aira in Val d Intel vi, co! . . j* quale si comincia tra noi la scultura monumentale, o a meglio delle statue onorarie innalzate nel Palazzo delle Com pere a benemeriti cittadini. Fece Michele per la prima, ne 1466, quella di Francesco Vivaldi, dove ei si mosti a aitefice di singoiar valentia; e le vennero appresso le altre di Luciano Spinola (1473) e Domenico Pastine (1475), nelle quali tra spare una amabile semplicità ed un cotal abito di imitare senza artificio. Con simil gusto, ma con effetti migliori, scolpi inoltre il de Aira l’effìgie di Ambrogio Di Negro, commis sario in Corsica, la quale s’indugia al 1490. A lui anche voglionsi ascrivere quel portale che nel citato Palazzo mostra d’intaglio l’usata insegna di san Giorgio fra due guerrieri, ed i lavori che l’Ufficio delle Compere decretava per le riparazioni del castello di Amelia. La Cattedrale medesima, avverte 1’ Alizeri, avealo di già invitato dandogli a socio un Antonio Carlone per le opere di muratura; e forse fu la prima volta che in quel tempio si accolsero le forme moderne nella moltitudine delle cappelle e degli altari. giornale ligustico 423 XIV.' Sezione di Storia. Tornata del 24 Aprile 1875. Presidenza del Preside Antonio Pitto. Il socio Massimiliano Spinola dà termine alla lettura delle sue Considerazioni su alcune particolarità poco note concernenti la dominazione genovese nell1 isola di Corsica (1). § HI. Le mire ambiziose della Francia sulla Corsica rimontano, sì come anche abbiamo idi già accennato, ai rivolgimenti che essa vi promosse col mezzo di Sampiero della Bastelica ; e il disegno di conseguirne la cessione dalla Repubblica genovese risale del pari a tempi anteriori al De Paoli. È noto infatti che nel 1735 l’inviato francese, Signor di Campredon, proponeva al suo Governo di aprire a quest’ uopo delle trattative colla Repubblica, ed otteneva la approvazione dal Cardinale de Fleury; nè va ignorato che il disegno fu poi messo in disparte a cagione della pace avvenuta indi a poco fra l’imperatore Carlo VI ed il re Luigi XV. Il trattato poi, segnato in Versaglia il 15 maggio 1768, dal Duca di Choiseul per la Francia e dal magnifico Agostino Sorba per la Repubblica di Genova, mercè cui si effettuava la vagheggiata cessione, è anch’esso noto abbastanza (2). Qui pertanto noi ci restringeremo ad avvertire che se i partigiani del De Paoli e gli scrittori nemici della Repubblica hanno biasimato la Signoria genovese, asseverando aver essa consumata con quell’ atto una turpe vendita di popoli; questa censura si potrebbe ammettere nel solo (1) Ved. a pag. 297-308, e 329-353. (2) Veggasi nel D’Oria, Pasquale De'Paoli ecc., pag. 269-278. 424 GIORNALE LIGUSTICO caso in cui risultasse per chiare prove non essere stato punto 1’ effetto delle pressioni subite per parte della Francia. Ma le cagioni per le quali i reggitori di Genova si deciselo a soscrivere il trattato, sono state fino al giorno d oggi assai poco conosciute ; donde la leggerezza con cui ne giudicarono gli scrittori. Nicolò Tommaseo nel Proemio alle lettere del De Paoli (§ XCII) così ragiona: « E qui mi conviene ripetere da lontana e bassa origine il fatto della conquista. Il nobil uomo Agostino Paolo Domenico Soiba, inviato di Genova in corte di Francia, desideroso per suoi fini che i francesi in Corsica facessero guerra d’offesa, cercò come indurre a codesto Sua Maestà Cristianissima. E usando il noto argomento di Temistocle , dal quale argomento appariva chiaro come un bambino fosse il reggitoi della Grecia ; il nobil uomo Agostino Paolo Domenico Sorba, pensando pensò, che sull’ animo di Sua Maestà molto poteva il Duca di Choiseul, e sull’ animo del Duca poteva troppo la Duchessa di Grammont sua sorella, e sull’ animo della Duchessa poteva Giulia di lei cameriera, e sull’ animo di Giulia le doppie di Genova. Così cambiando alla cameriera in biglietti della Banca di San Giorgio i cinquecentomila franchi de’ biglietti del Canadà, che perdevano il settantacinque pei cento, Agostino Paolo Domenico Sorba mosse la cameriera a compassione di Genova, e a guerra la Francia. E le doppie di Genova giudicarono che Napoleone morrebbe a Sant Elena parlando francese, e i biglietti di San Giorgio, Santo guerriero , furono maravigliati del trovarsi in tasca di Giulia cameriera. Quando lo Choiseul ebbe in parte scoperti i raggiri, disse al Dumouriez questa moralità dolorosa: « avoue, mon enfant, que les ministres sont bien à plaindre ». 11 Tommaseo riferì questo aneddoto sull’autorità di quanto scrisse il Dumouriez nelle sue Memorie, e collegando il racconto colla parte che lo stesso Generale asserisce di avervi giornale ligustico 425 presa, ne trae la seguente conclusione : essere stata, cioè, 1 isola di Corsica assoggettata alla Francia per la cupidigia d una serva e le istigazioni d’un avventuriere. Più arditamente ancora il Vincens nella Storia della Repubblica di Genova , pubblicata in Parigi Tanno 1842 (1) , afferma che i genovesi deliberarono di cedere la sovranità della Corsica persuasi dagli interessati consigli del segretario Gherardi, e dell Inviato in Corte di Francia Agostino Sorba. Di maniera che quando si prestasse fede a siffatte narrazioni, si dovrebbe credere che il Doge, i Collegi ed il iMinor Consiglio abbiano consentito a negoziare e ad approvare il trattato del 1768 , ingannati dalle relazioni di due uomini, i quali si erano messi d accordo per servire gli ambiziosi disegni del Duca di Choi-seul, poco curando il detrimento che ne soffrirebbe la patria. Però qualora il Tommaseo ed il Vincens avessero posto mente alle condizioni interne di Genova ed alle relazioni della Repubblica coi sovrani stranieri, non avrebbero sicuramente attribuita la cessione ai bassi ed interessati raggiri del Sorba o del Gherardi; ma conosciuto che il Governo saggiamente dispose abbandonando il dominio dell’ isola, a cagione dell’ assoluta impossibilità di rimetterla in potere della Repubblica. Nell’ anno 1768 rispetto alla guerra di Corsica varii erano i pareri dei genovesi. Gli uni opinavano che si dovesse proseguire; gli altri bramando veder cessare un flagello, che da quarant’ anni durava e cagionava enormi danni agli interessi di Genova, erano d’ avviso di concludere un aggiustamento coi còrsi, trattandone direttamente col De Paoli. E ciò stimavano potersi ottenere col mezzo di una convenzione, per la quale la Repubblica conservando il possesso delle città e territorii che le erano rimaste fedeli, riconoscerebbe (1) Voi. Ili, pag. 463. 426 GIORNALE LIGUSTICO l’indipendenza acquistata dal rimanente degli isolani, non che il Governo al quale essi obbedivano. Inoltre aggiungevano doversi nel relativo trattato stabilire il libei 0 traffico dei prodotti spettanti alle due nazioni. Coloio poi cui era nota la vera condizione delle cose (e questi formavano la maggioranza dei Collegi e dei due Consigli non che dei cittadini più colti), ritenendo cosa impossibile il con servare la sovranità della Corsica, avvisavano il miglici par tito essere quello d’una cessione apparentemente spontanea, fatta con decoro e tale da recare eziandio qualche vantaggio alla Repubblica. Essi così pensavano, poiché sapevano come quasi tutta l’isola si fosse costituita in uno stato indipen dente retto dal De Paoli, nè ignoravano come le citta presidiate dai francesi appartenessero alla Repubblica soltanto in apparenza, mentre di fatto già stavano sotto la dominazione della Francia. Non v’ ha dubbio che, per conseguire il primo degli accennati progetti, tutti i genovesi si sarebbero di buon grado sottoposti a considerevoli sacrifizi; se non che 1 ottenerlo era loro vietato dalla inimicizia di potenti sovrani. Difatti l’imperatrice d’Austria Maria Teresa, il Re di Sardegna Carlo Emanuele III, ed i ministri britannici di Giorgio IH erano apertamente avversi alla Repubblica; e se i Re di Francia e di Spagna affettavano sentimenti di benevolenza, nondimeno la protezione loro era assai debole a fronte delle insidie nemiche, occulte e palesi. L’avversione di Maria Teresa e del suo consorte l’imperatore Francesco I contro di Genova rimontava al dispetto provato quando la popolazione genovese cacciò 1’ esercito comandato dal Botta-Adorno, e per esseie stato il Governo austriaco obbligato con espressa clausola inserita nel trattato d’ Acquisgrana di restituire alla Repubblica, oltre alle città di Finale e di Savona, i grossi capitali investiti dai genovesi nel Banco di Vienna. Il qual denaro il giornale ligustico 427 Governo Austriaco avrebbe voluto appropriarsi nella qualità di creditore delle contribuzioni, imposte prima che gli abitanti di Genova discacciassero le truppe tedesche. La condotta del Re di Sardegna aveva per iscopo d’insignorirsi dello Stato di Genova od almeno di molti paesi e feudi appartenenti alla Repubblica. I ministri inglesi poi avversavano i genovesi ad istigazione degli ambasciatori sardi presso la Corte di Londra, ed anche,perchè tenevano Genova essere alleata e dipendente dalla Francia. Laonde i predetti Monarchi, per soddisfare il loro rancore ed insieme la loro ambizione, sussidiavano gli insorti córsi e si tenevano in istretta amicizia con Pasquale De Paoli. Oltrecchè Maria Teresa e Carlo Emanuele, non paghi di contribuire a privare i genovesi della Corsica, mettevano in opera tutti gli altri mezzi che erano in loro facoltà per nuocere alla Repubblica. Infatti la Corte di Vienna, richiamandosi ai pretesi diritti imperiali, sosteneva l’insurrezione della città convenzionata di San Remo, e cercava di far ribellare altri paesi col pretesto che i medesimi erano feudi imperiali. Il Consiglio Aulico poi, conformandosi a questo sistema, emanava un decreto (che faceva intimare con lettere patenti al Doge, ed al Senato di Genova il 25 gennaio 1767) nel quale si stabiliva: che Genova ed il suo territorio e tutto lo Stato della Repubblica erano dipendenti dall’ Impero di Alemagna. Per conservare l’integrità dello Stato insidiato da così potenti nimici la Repubblica non aveva altro scampo, che di ricorrere al patrocinio di Francia e di Spagna; ma ebbe il dolore di trovare nei gallo-ispani degli amici tiepidi e noncuranti. Imperocché il Monarca Spagnuolo, a cagione della debolezza in cui dopo la pace d’Acquisgrana era caduta la Spagna, aveva poca 0 nessuna inclinazione a prender parte negli affari che riguardano esclusivamente l’Italia. Il Regno di Francia aneli’ esso aveva poca riputazione e po- 428 GIORNALE LIGUSTICO tenza ; ed il primo ministro, Duca di Choiseul, sebbene avesse maggior fermezza ed abilità del suo predecessore il Cardinale de Fleury, era però ben lontano dall’ esercitare presso le Corti d’Europa quella autorità e preponderanza onde aveano goduto i cardinali Richelieu e Mazzarini, e gli altri ministri di Luigi XIV. Devesi inoltre aggiungere che la politica adottata dal Choiseul rispetto a Genova fu ingiusta ed intinta di machiavellismo. Ingiusta perchè egli, invece di far presidiare le città della Corsica per conto della Repubblica, come erasi pattuito nel trattato di Compiegne del 1764, tolse ai genovesi la giurisdizione sulle medesime, e la trasferì nelle autorità civili e militari francesi. Intinta di machiavellismo, perchè mentre negoziava con Genova la cessione della Corsica , cercava indurre il De Paoli a proporgli d’ accogliere la nazione còrsa sotto la diretta dipendenza della Francia ; e così mettevasi in condizione di concludere con quella delle parti che gli avesse offerti maggiori vantaggi. La Signoria di Genova conosceva i sopra indicati diportamenti e ne valutava tutta la gravità; nondimeno studiavasi di mantenere la Repubblica nell’ antico possesso della Corsica, e, nel caso in cui dovesse perderlo, di fare in modo che ciò avvenisse col minor danno possibile. Al conseguimento del predetto scopo devesi infatti ascrivere la risoluzione, per cui nel 1767 essa ordinò all’ ambasciatore Agostino Sorba di proporre la cessione dell’ isola al Re Luigi XV e nell’ anno seguente gli diede mandato di trattarla e concluderla. Al Governo genovese siffatta cessione dovette essere dolorosissima, poiché per la medesima rinunciava ad uno dei più antichi possessi il cui mantenimento era costato indicibili sacrifizi; nè alla grave decisione si vide costretto altrimenti che per le cattive condizioni dello erario, e la mancanza d’ un numeroso e disciplinato esercito capace di proseguire la guerra giornale ligustico 429 contro gli insorti, i quali erano ben diretti dal De Paoli, nè mancavano di mezzi pecuniari e di munizioni fornite loro dai nemici della Repubblica. Inoltre questa, a meno di rendersi sprege\ ole agli occhi di tutti, non poteva consentire a negoziare un aggiustamento col De Paoli, sottomettendosi ad accettare i preliminari di pace stabiliti nell’anno 1761 come condizione sine qua non dalla Consulta di Casinca. Ciò che i genovesi, in compenso della cessione, miravano specialmente ad ottenere, era : 1. Che della Corsica non si costituisse uno Stato indi-pendente sotto il governo di Pasquale De Paoli, perchè con molto senno prevedevano di quanto danno sarebbe riusciuto ai loro traffici marittimi uno Stato nemico della Repubblica. 2. Che il re Luigi XV guarentisse la Repubblica medesima in tutti i suoi possessi di terraferma. 3-° Che tosse loro conceduto un compenso pecuniario. Or tutte queste cose eglino ottennero difatti mercè il trattato del 1768. Imperocché col primo degli articoli separati e segreti di esso la Francia obbligavasi a non rimettere mai la Corsica in potestà de’propri abitanti 0 di qualche Potenza estera senza il consentimento di Genova; e col secondo articolo, sotto il pretesto di sussidi arretrati e di anteriori convenzioni, si riconosceva debitrice della Repubblica per la somma di duecento mila lire tornesi, le quali prometteva pagare ratealmente nel corso di dieci anni. Finalmente col tredicesimo articolo del trattato palese, Luigi XV s’impegnava a guarentire alla Repubblica gli accennati possedimenti, qualunque fosse il titolo per cui si trovassero nel suo dominio. Le negoziazioni furono lunghe e complicate. Il Duca di Choiseul, nell’intento di costringere la Repubblica ad una cessione incondizionata, faceva le viste di non curarsene; anzi mostrava di prevederne delle disgustose recriminazioni, e forse anche la guerra per parte di qualche Sovrano poco 43° GIORNALE LIGUSTICO amico della Francia. Agostino Sorba a sua volta, conoscendo che le obbiezioni addotte dal Ministro francese erano sotterfugi diplomatici, insisteva presso il Duca affinchè si decidesse a rinnovare il trattato di Compiegne dell’anno 17^4» 0 a(^ accettare la proposta cessione. Ma allora il Choiseul, rifiutandosi di accedere alla prima proposta, si chiarì invece propenso ad unire la Corsica al Regno di Francia. L’ unico ostacolo , che lo tratteneva ancora dall’ effettuare il suo disegno, era il timore delle opposizioni dell’ Austria, della Prussia e delle Potenze marittime. Se non che il Sorba, nello intento di vincerne le titubanze, compilò un progetto per cui la Francia avrebbe acquistato di fatto il dominio dell’ Isola sotto la forma d’ un contratto di pegno e di vendita. Questa sottigliezza diplomatica piacque ai Ministri del re Luigi X\ ; ed il Choiseul su tali basi trattò direttamente colla Signoria di Genova. Di fatti gli articoli, onde si compone il trattato, furono discussi ed approvati dai Collegi e dal Minor Consiglio. Ciò premesso non si può ripetere col Tommaseo e col Vincens che i reggitori della Repubblica abbiano negoziato e ratificato il trattato dell’anno 1768 indotti dagli interessati suggerimenti del loro ambasciatore e del segretario GherardL Nè il trattato ebbe in Genova censure, ma encomii ; per guisa che allorquando morì 1’ ex-doge Marcello Durazzo, il quale ritenevasi esserne stato principale fautore ed autore, il Minor Consiglio decretò che gli si erigesse nel Salone Ducale una statua marmorea per onorarne la memoria a testimonianza della gratitudine della patria. Un episodio poco conosciuto, che ha relazione col trattato in discorso, è quello del Memoriale presentato nel 179° a^-l’Assemblea nazionale francese da Cristoforo Vincenzo Spinola, Ministro straordinario della Repubblica presso Luigi XVI. In questo Memoriale, di cui già toccammo nel precedente capitolo, il Governo genovese, rammentando i patti segnati GIORNALE LIGUSTICO 431 nel detto trattato, protestava contro la decisione d’incorporare la Corsica al Regno di Francia. La suddetta protesta fu accennata con leggerezza e disprezzo da quasi tutti gli scrittori francesi, i quali soltanto la menzionarono per lodare le declamazioni e i discorsi violenti onde tolsero a combatterla Mirabeau ed altri insigni oratori. Del resto è noto come 1’Assemblea, non tenendo conto delle ragioni sviluppate in siffatto Memoriale, lo respingesse quasi all’unanimità; perchè la Corsica essendo da essa considerata non altrimenti che una provincia di Francia, stimava indecoroso il rimetterla sotto ' la dominazione di Genova. Ma quel che duole viemaggior-mente, si è il vedere un tale abuso di forza lodato anche da reputati scrittori italiani ed in ispecie da Nicolò Tommaseo. Il quale nel Proemio già rammentato scrive (§ XCVII): « Ma quando nel novanta il novello Parlamento francese si appropriò l’isola con pieno diritto, e Genova rammentò il suo contratto ; il Parlamento, secondo il vecchio jus delle genti, non poteva rispondere se non che Genova essendosi ■un tempo donata alla Francia, le aveva insieme donata la Corsica, ringraziasse i francesi che della sola appendice si contentavano per allora ». Cosi nel 1846 il celebre scrittore, 1’ amico di Daniele Manin, sentenziava su questa protesta, colla quale Genova teneva aperta una via diplomatica alla reintegrazione della Corsica nella nazionalità italiana. Ora sorge il quesito se il Governo genovese abbia per avventura commesso un grave errore, ordinando allo Spinola di presentare il Memoriale. Si potrebbe essere indotti a rispondere affermativamente, considerando il disprezzo col quale siffatto documento fu ricevuto dall’ Assemblea, come pure il non avere lo stesso Governo protestato contro tale procedimento richiamando in Genova il suo Ministro. Ma questa soluzione deve grandemente modificarsi quando si ponga mente che in Genova, tosto che fu conosciuto come i Depu- 432 GIORNALE LIGUSTICO tati còrsi avessero il mandato di chiedere all’ Assemblea Costituente un decreto che proclamasse 1’ unione della Corsica alla Francia, l’opinione pubblica se ne commosse assai gravemente. L’atto compiuto dal Governo genovese fu dunque una legittima soddisfazione dovuta al sentimento popolare; nè ai Governanti parve difficile che si potesse trovar modo di appagarlo, dappoiché dal carteggio medesimo erano istrutti che 1’ acquisto della Corsica venendo stimato in Francia essere risultato di poco rilievo, i Ministri francesi avrebbero di buon animo restituita l’isola alla Repubblica, se questa ne avesse fatta domanda. Eglino erano altresì informati dallo stesso ambasciatore che il Ministro per gli affari esteri, Signor De Montmorin, aveagli confermato in una particolare conferenza questi intendimenti a condizione che la Repubblica pagasse al Re di Francia trenta e più milioni, ammontare delle spese fatte dall’anno 1768 fino al 1790; di che rilevasi come i Ministri francesi nel restituire alla Repubblica il possesso della Corsica avessero per unico scopo quello di riempiere 1’ esauste erario del Regno. Infine non è da omettere che i Ministri, prima di decidersi ad incorporare la Corsica, avrebbero dovuto interpellare la Repubblica se voleva o no profittare del diritto riservatole nell’articolo 15 dell’ anzidetto trattato, che le consentiva di riprendere il dominio e la sovranità dell’ Isola rimborsando il Re delle spese sovra enunciate. Che se il proposito di chiedere la retrocessione venne posto in ' disparte, ciò non fu già perchè alla Repubblica mancasse il credito per procacciarsi la rilevante somma di danaro con cui satisfare la Francia, ma per la considerazione delle difficoltà che le avrebbero impedito di tenere i còrsi sotto il suo dominio. Del resto a deliberare la presentazione del detto Memoriale essi erano precipuamente indotti dalla speranza di ottenere dalla lealtà del re Luigi XVI e GIORNALE LIGUSTICO 433 --—-----•__ de suoi Ministri che nel decreto d’incorporazione s’inchiudesse la clausola : « senza pregiudizio dei trattati che esistono tra la Francia e Genova ». Tale clausola venne infatti messa innanzi dallo Spinola e riconosciuta giusta dal Montmorin; il quale però non ardì poscia di proporla all’Assemblea, intimorito dalla riprovazione con cui la presentazione del Memoriale era stata accolta. La Repubblica subì la prepotenza della Francia, e mostrò d’appagarsi delle magre ragioni enunciate dal Signor di Mont-morin nella nuova conferenza da lui avuta collo Spinola dopo la sopraccennata decisione dell’ Assemblea. In questa conferenza il Regio Ministro affermava che la Corsica avrebbe fatto parte del Regno di Francia fino a che restava sotto il suo dominio, ma che ciò non impediva alla Repubblica di riproporre quando che fosse la rivendicazione del diritto di retrocessione, conformandosi alle condizioni del trattato malgrado il decreto dell’ Assemblea e la sanzione del Re. Nondimeno molti membri dei Collegi e del Minor Consiglio erano d’avviso doversi studiare il modo più conveniente, per protestare contro la decisione presa dall’Assemblea in opposizione ai diritti della Repubblica. Su questo proposito è interessante il ricordo che lesse al Minor Consiglio quel Gerolamo Serra che primeggiò poscia fra i capi della Repubblica ligure democratica, ed in seguito rivestì la carica di Presidente del Governo provvisorio, firmando in tale qualità il dignitoso Proclama del 26 dicembre 1814, col quale si protestava contro 1’ unione di Genova al Piemonte. Il ricordo, letto nella tornata del 14 novembre 1791, era così concepito: « La rivoluzione del Regno vicino di Francia colla nuova Costituzione è un opera grande. Viene però in qualche modo deformata dall’avere quell’Assemblea incorporata la Corsica negli 83 Dipartimenti della Monarchia di Francia. E noi abbiamo ricevuto un torto nell’infrazione d’un Trattato, 434 GIORNALE LIGUSTICO _«_ quale è quello di Compiegne. Si scrisse una Memoria in dicembre passato (1790) , con riclamare a quella Corte sopra detta determinazione. Altra in febbraio successivo ne fu deliberata, ma non sa quale esito abbia avuto. È necessario ed importa moltissimo che la Repubblica non resti lesa nei suoi diritti sopra la Corsica, in seguito di detto Trattato. Che farà dunque la Repubblica? Manifesterà forse il suo animo esarcebato per il torto ricevuto? Implorerà l’aiuto dei Principi francesi rifugiatisi fuori da quel Regno? O se ne dimanderà in vece all’Assemblea un compenso? Nel primo caso non si farebbe che male, coll’indisporre l’Assemblea a nostro danno. Il secondo sarebbe inutile e pericoloso. L’ appigliarsi alla terza divisa, con domandare al Re ed all’ Assemblea un compenso, gli sembra il miglior partito. Conviene adunque esaminare la forma e riflettere in primo luogo che se questo compenso fosse richiesto con far valere l’equità e la giustizia della domanda in un modo obbligante, quand’anche altro non si facesse, la stessa domanda servirebbe in ogni caso come una protesta. In secondo luogo siccome l’Assemblea nella nuova Costituzione mostra della equità, ed offerisce un compenso ai Principi della Germania pregiudicati coll’incorporazione fatta alla Francia delle terre sulle quali avevano i loro diritti; la Repubblica su questo esempio non potrebbe che sperarne un eguale vantaggio in seguito dell’ istanza che ne facesse. La partecipazione fatta dal Re con sua lettera della nuova Costituzione esige una risposta. Questa è la circostanza più favorevole e propizia per dimandar contemporaneamente questo compenso 0 in-dennizzazione, mentre viene offerta ai Principi della Germania. Si deve aver 1’ avvertenza di non offendere nel rappresentare; ma la Memoria 0 istanza deve essere concepita in modo che impegni all’intento, e che in caso di negativa serva di protesta senza indisporre. Bisogna servirsi giornale ligustico di tutti quei mezzi necessarii con impegnare a favore della Repubblica quei soggetti dell’Assemblea che si può, ed auto- rizzare a questo fine il nostro Ministro a spendere una certa somma, che egli non crede eccessiva ancorché fosse di lire cinquanta mila di Genova fuori banco. Bisognerebbe che in compenso la Francia s’ obbligasse per la garanzia di tutti gli tati della Repubblica, e specificatamente di Pornassio, che ci facesse ottenere la pace colle Potenze barbaresche per rendere felice questo Stato e commercio, che fiorirebbe con infinito vantaggio dei genovesi e della Nazione. Con ciò avellessimo un compenso ai diritti sopra la Corsica; ed in questo modo egli apprende che si dovesse domandare » (i). I ragionamenti del Serra sono giusti; nondimeno la conclusione che egli ne trae è alquanto debole, imperocché i compensi domandati nel suo ricordo si riducono presso che a nulla. Di fatti la pace cogli Stati barbareschi non bisognava domandarla alla Francia, ma all’ Inghilterra, che era la potenza marittima predominante ; e la guarentigia del dominio sulle Provincie in allora possedute dalla Repubblica era un richiamo all esecuzione dell’articolo 13.0 del trattato concluso nel 1768. Di maniera che 1’ invocare 1’ adempimento della convenzione pattuita non era da riguardare un compenso, ma l’osservanza d un obbligo contratto dal Governo francese verso la Repubblica. Le sue proposte non vennero perciò accettate dal Minor Consiglio, e la pratica fu rimandata. Aveano bene i Serenissimi Collegi incaricato la Giunta di Marina di riferire se nelle presenti circostanze fosse conveniente riclamare di bel nuovo presso la Corte di Francia; nè mancava la Giunta medesima di presentare, il 25 aprile 1792, un progetto di Nota tendente a protestare contro tutte le infrazioni del trat- (1) Archivio di Stato: Ricordi dei Serenissimi Collegi pel 1791. 43 6 GIORNALE LIGUSTICO tato di Versaglia. Ma nella discussione eh’ ebbe luogo nei Collegi, Gian Carlo Serra, capo del partito francese, osservò che una tal Nota produrrebbe difficilmente un qualche effetto; perchè se nulla si era ottenuto allorquando lo Spinola avea presentato il Memoriale all’ Assemblea, ed il Montmorin mostrava dei riguardi per l’ambasciatore genovese, tanto meno doveva augurarsi un buon risultato al presente in cui i nuovi Ministri del re Luigi XVI non erano animati da eguali sentimenti. Affermava inoltre il Serra essere una imprudenza inviare a Parigi la detta Nota senza nulla dirne all’inviato francese residente in Genova, Signor di Semon-ville; anzi proponeva di comunicarla allo stesso e di richiederlo dei suoi buoni uffizi. Se non che mentre in Genova si discuteva, i grandi avvenimenti che si svolsero fecero pone in oblio le gare della Repubblica col Piemonte, coinè pure il decreto d’incorporazione della Corsica al Regno di Francia. §. IV. Il trattato di Versaglia, ed in ispecie il Memoriale presentato dallo Spinola all’ Assemblea nazionale di Francia, avrebbero potuto alla caduta di Napoleone nel 1814 far rientrare l’isola di Corsica nella perduta nazionalità italiana, se il Re di Sardegna Vittorio Emanuele I ed i suoi Ministri avessero saputo 0 voluto giovarsene presso i rappresentanti dei Sovrani alleati, che in Vienna statuivano un nuovo ordinamento politico dell’ Europa. Non è questo il luogo di giudicare le ben note e disgraziate deliberazioni dei Castelreagh, Taillerand, Hardenberg, Nesselrode e Mettermeli. Basterà osservare che la Corte di Torino, per mezzo d’una comunicazione confidenziale fatta da Lord Castelreagh al Conte D’Agliè ministro sardo resi- GIORNALE LIGUSTICO 437 dente in Londra, venne a conoscere come negli articoli separati e segreti annessi al trattato di Parigi del 30 maggio fosse stato deciso che verrebbero uniti al Regno di Sardegna tutti 1 paesi, i quali formavano l’antico Stato della Repubblica di Genova. Del quale ingrandimento la Corte di Torino non mostrandosi soddisfatta, cercò di chiarire come 1’ annessione del Genovesato agli antichi dominii di Casa di Savoia fosse insufficiente per costituire in Italia una Potenza capace di custodire e difendere i valichi alpini contro la Francia. A questo oggetto il Conte D’Agliè compilò una Memoria per la quale si dimostrava: che i confini del Regno di Sardegna dovevano essere da una parte le Alpi, dall’ altra la linea del Mincio con Mantova e Peschiera; e su tali basi il ministro Vallesa e gli ambasciatori Di San Marzano, D’ Aglie, De Maistre ed Alfieri di Sostegno cercarono di fondare le successive loro negoziazioni. Erano costoro a vero dire diplomatici di merito singolare; ciò non onostante furono troppo lodati negli scritti dello Sclopis, del Bianchi e del Carutti: imperocché se quei Ministri avessero posto mente al fermo intendimento del Mettermeli di ridurre a provincie austriache la Lombardia ed il Veneto, e di assegnare Parma e Piacenza alla ex-imperatrice Maria Luisa, si sarebbero subito convinti della fallacia del loro disegno. Ma se, per l’opposto, si fossero ristretti a studiar modo di trarre profitto dell’annessione di Genova al Piemonte, si sarebbero ricordati che la Corsica era un antico possedimento della Repubblica, e che questa, se col trattato di Versaglia aveva ceduto alla Francia l’esercizio della sovranità sull’ isola medesima, non aveva però in niun modo abdicato al diritto dell’assoluto dominio. Nè per certo doveva sfuggire alla loro sagacia, che se la Corsica si era potuta sottrarre alla piccola e. debole Repubblica, ciò in seguito non si sarebbe avverato rispetto al Re di Sardegna, il quale possedeva forze bastanti per difenderne e 29 GIORNALE LIGUSTICO serbarne la signoria. Con l’acquisto poi della Corsica, il Piemonte sarebbe divenuto signore d’ un paese, che oltre al costituire un non mediocre aumento di territorio avrebbe fornito molte ricchezze naturali da sfruttare, e data maggiore importanza alla sua potenza marittima. Vi ha inoltre luogo di credere che una tale domanda sarebbe stata nel Congresso di Vienna e discussa e accettata; imperocché l’Inghilterra e l’Austria, se bene non si fossero opposte all’ effettuazione del trattato di Versaglia, lo aveano però sempre considerato sì come una infrazione a quello d’Acquisgrana. E se ciò fosse mai avvenuto, l’isola di Corsica non sarebbe oggi ancora nel novero delle terre italiane che tuttavia rimangono fuori del Regno d’Italia. XV. Sezione di Archeologia. Tornata del i.° Maggio 1875. Presidenza del Preside avv. Pier Costantino Remondini. Il Preside legge una sua Memoria, nella quale dopo di aver rammentato come il socio Desimoni in più tornate degli scorsi anni accademici esponesse le vicende della musica genovese, e come i lavori di questo egregio collega facessero nascere il desiderio di udire un qualche saggio delle composizioni di alcuni fra i molti autori da lui fatti conoscere, dice che a tal desiderio si propone di soddisfare nella seduta presente ed in altre due che verranno stabilite in appresso. Nella tornata d’oggi sarà eseguita una ballata di frate Giovanni da Genova; nella seconda si faranno udire le composizioni di alcuni musicisti che spaziano tra la fine del secolo XVI ed i principii del X\II; nella terza si produrranno alquanti lavori di maestri genovesi che vissero nel secolo scorso. giornale ligustico 439 Siccome però la musica anteriore a Claudio Monteverde è assai diversa dalla moderna, cosi il Remondini stima opportuno far precedere 1’ audizione del componimento di Giovanni da Genova da alcuni accenni volti a renderne più facile l’intelligenza. Detto perciò come non da tutti i popoli nè in tutti i tempi siasi adottata una scala unica musicale, si fa ad esporre brevemente i primi tentativi d’armonia in Italia, che sono la diafonia, Y organo, il discanto. Parlando della notazione, dice come sant’ Ambrogio a notare i suoni impiegasse le prime quindici lettere dell’alfabeto, sovrapponendole alle parole; e come poi san Gregorio papa riducesse queste lettere a sette soltanto. Ma nel secolo Vili si divulgò e prosegui fino al XII una notazione molto diversa; la quale constava di segni innumerevoli adoperati ad esprimere non solamente dei suoni isolati, ma de’ gruppi interi di suoni. Questi segni vennero detti neume; e il Disserente, senza entrare nella spinosa questione della interpretazione della scrittura neumalica, addita le neume. semplici e le composte, soggiungendo come nel X secolo a meglio determinare il loro significato si cessasse dal lasciarne la posizione in balia degli amanuensi. Tracciossi perciò sulla pergamena una linea a secco; ed i segni si scrissero dapprima sopra e sotto la linea, poi anche sulla linea medesima. Fecesi in appresso la riga di rosso o di giallo; e la diversità della tinta valse a indicare suoni diversi. Guido d’ Arezzo impiegò eziandio le linee colorate, 1’ una pel do e l’altra pel fa, e secondo alcuni ne aggiunse alle stesse due altre ; poi rigettò le incomode neume ad eccezione della semplicissima fra tutte, che è a dire il punto. Il quale locato or sulle righe ed ora fra di esse, valeva a determinare in modo non dubbio i suoni da intonarsi; giacché le lettere romane poste a capo delle linee non lasciavano in forse il cantore sul luogo dei semitoni. 440 GIORNALE LIGUSTICO Le Crociate derivarono dall’ Oriente nell’ Occidente la musica profana, ricca di molti abbellimenti e con ritmo proprio; e da essa originò quindi la musica puramente strumentale, che non potendo pel ritmo giovarsi dell’ accento e della prosodia, rese necessarie le diverse figure delle note per indicare la durata relativa dei suoni. Nacque allora la musica figurata, di cui scrisse primo le regole Francone di Colonia; e così comparvero la massima, la lunga, la breve, la semibreve e la minima. Entra in seguito il Disserente a parlare della notazione nera che non durò oltre 1’ ultima metà del secolo XV, della notazione bianca che non cominciò innanzi lo scorcio del XIV, e finalmente della notazione mista così detta da che vi si veggono adoperate le note nere e le rosse. Di qui poi scendendo a ragionare delle composizioni musicali del Trecento, avverte come non se ne conoscessero innanzi che il Fétis ne discoprisse alcune in un Codice della Biblioteca Nazionale di Parigi; ma da ciò piglia argomento per toccare di codici analoghi esistenti nelle Biblioteche italiane, come ad esempio la Palatina di Modena, in un Codice della quale serbansi appunto varie canzoni del citato Giovanni da Genova, che in tal modo risulta il più antico dei musicisti genovesi conosciuti. Essendo poi nel detto Codice modenese impiegata la notazione mista, osserva il Remondini che questo è un buon argomento per far conoscere come lo stesso non sia stato scritto se non dopo la metà del Trecento, o forse anche un poco più tardi, trovandosi che frate Giovanni usò pure la semiminima la quale accenna al secolo XV anziché al precedente. Nè questo giudizio manca di confortarsi mercè la scorta di un esame paleografico. Determinata di tal forma l’età del Codice e fattane la descrizione , 1’ avv. Remondini presenta all’ adunanza il facsimile della ballata di frate Giovanni procurato alla Società dalla giornale ligustico 441 squisita cortesia del socio corrispondente marchese Giuseppe Campori. Eccone le parole : Ma douce amour et ma sperance Je vous créant de bon cueur vray. Que de ce que vous fis fiance Jusqu’à la mort bien atendray Et sans mentire aies certance Qu’onques nulle autre serviray Je suis mis en votre obeissance Et tojours ensi seray Et vous sachiez bien sans doubtance Qu’onques ne vous oblieray Tant que mi fâche demorance La rien qu’onques vi ne veray. Dopo un rapido cenno del modo con cui gli antichi procedevano nella composizione dei loro motetti e delle loro canzoni, il Disserente ragiona delle difficoltà che s’ incontrano da chi imprenda a tradurre in notazione moderna i componimenti medioevali. Tocca perciò della mancanza delle stanghette che distinguono le battute, e del valore delle note regolato da norme complicatissime; del ritmo ternario che fu da principio usato esclusivamente e poscia venne considerato come l’unico perfetto. Dice quindi del modo, del tempo e della prelazione con cui gli antichi misuravano la battuta, e dei segni che adoperavano per indicarla. E qui avvertendo nel Codice modenese l’assenza di tali segni e la presenza delle note colorate, viene a questa deduzione: doversi cioè misurare il canto di frate Giovanni colla proporzione sesquia altera, od emiolia come appellavasi grecamente. Altri ostacoli che poi s’incontrano nel tradurre quelle antiche composizioni (sì come colla scorta dell’ indicato facsimile fece appunto il Remondini per la cennata ballata), sono le regole minuziose 442 GIORNALE LIGUSTICO che si osservavano circa la perfezione ed imperfezione delle note, i punti molteplici e le legature. Ragionando del contrappunto di quella età, spiega come gli antichi avessero in orrore il tritono, ossia la quarta maggiore, che chiamavano diabolus in musica; mentre i moderni ZD 7 la considerano come la fonte delle musicali bellezze; e per cagione di questa divergenza capitale, stima il Disserente che non si possano da noi gustare appieno le antiche composizioni. In seguito porge contezza della tonalità con cui è scritta 1’ opera di frate Giovanni ; e detto che lo è nel quinto modo ecclesiastico (il quale diede poi origine al nostro modo maggiore), accenna come nel suo lavoro di traduzione egli abbia dovuto disporre le parole sotto alle note del maestro, mentre gli antichi le abbandonavano all* ingegno dei cantori. Accenna del pari a certi abbellimenti onde s’infiorava il discanto, come sarebbero le sincopi, le anticipazioni, gli occhetti, ecc. Disposti cosi gli animi degli ascoltatori, annunzia il Disserente che 1’ esecuzione della ballata del frate genovese sarà preceduta, a scopo di confronto, da quella di due altre canzoni sincrone, anch’ esse come la ballata a voci sole; giacché allora gli strumenti non si costumavano se non per riprodurre le note del canto. Non avendosi poi oggidì gli strumenti usitati nel secolo XIV, prega i colleghi ad appagarsi del pianoforte che tutti li rappresenta. Dei due pezzi di confronto, l’uno è cavato da un manoscritto anonimo della Biblioteca di Cambray e venne tradotto dal Coussemaker; l’altro, composto nel 1360 da Francesco Landino degli Organi, che è un dire il più celebre musicista dei suoi tempi, appartiene alla Biblioteca Nazionale di Parigi e fu tradotto dal Fétis. E dal confronto si rileva che frate Giovanni non era musicista da meno del Landino, benché cinque secoli abbiano coperto il suo nome d’immeritato oblio. giornale ligustico 443 Difatti si troverà che la sua ballata se non ha la dolcezza e la chiarezza di quella del Landino, la supera invece per arditezza di combinazioni armoniche, per larghezza di melodie e per dottrina. La Memoria dell’ avv. Remondini è applaudita dalla adunanza numerosissima; alla quale assistono eziandio parecchi compositori e critici musicali. E del pari applaudita è 1’ esecuzione di tutti i detti pezzi affidata alla valentia dei professori Barabino, Romanelli e Giorgi, accompagnati al piano dal chiarissimo maestro Valle. XVI. Sezione di Belle Arti. Tornata dell’ 8 Maggio 1875. Presidenza del Preside cav. prof. Federigo Alizeri. Il Preside discorre di Michele, Giovanni e Bonino fratelli d’Aira, i quali per una polizza del 1490 avevano contratta società di lavori e comunanza di lucri. Addita quindi il primo di essi inteso alle opere di quattro cappelle erette lungo la destra nave del Duomo di san Lorenzo; e nota come allo stesso artefice sieno pur dovute due pile marmoree e le riquadrature della cappella di san Vincenzo ai Predicatori di san Domenico. Ma sopra tutto sono da ascrivere a siffatto maestro gran parte di quei diligenti e graziati bassi rilievi che veg-gonsi in più luoghi della città e del contado; come ad esempio la lapide sepolcrale che appo i Certosini di Rivarolo in Pol-cevera serbava il nome e 1’ effigie di Lazzaro D’ Oria benemerito cittadino. In appresso il Disserente si fa a descrivere il monumento che vedesi innalzato nella Sistina savonese a Leonardo Della Rovere e Luchina Monleone genitori di Sisto IV. Questo 444 GIORNALE LIGUSTICO sarcofago tiensi comunemente scolpito da Michele e Giovanni; ma sembra all’ Alizeri che si debba con più ragione ascrivere soltanto a Giovanni; perchè considera che l’opera di maggior peso vuoisi qui ricercare negli ornamenti e non già nelle ficrure le quali non eguagliano nè il gusto, nè la virtù di • \ i Michele. Oltrecchè questi era allora occupato nelle già dette opere del Duomo (1489-90), in più servizi alle Compere di san Giorgio, e nel lavorio della statua di Ambrogio Negrone. Giovanni invece dimorava proprio in quel torno a Savona, e dovette fermarvisi non breve tratto trovandoglisi per una polizza dell’ n febbraio 1490, scritta nel Palazzo del Comune savonese, allogato pure un sepolcro ad imitazione di quello della Sistina. Michele seguitava a stanziare in Genova, e dava opera ad altri intagli per decoro di tombe ; nè stima 1’ Alizeri che a diverso ufficio fosse scolpito il bellissimo mezzo rilievo, che 0cmi nella chiesa di san Girolamo sulle prime colline di Quarto fa paliotto all’ aitar principale. Imperocché egli pensa che in siffatta scultura si debba riconoscere un avanzo del monumento sepolcrale che Agostino e Giovanni fratelli Adorno vollero quivi per mano dell’Aira preparare a sè stessi, come -onsta da documenti che spaziano fra gli anni 1497 e 1501, sull’ uscir del quale appunto il monumento rimase ultimato. tv ffronta poi il Disserente questo intaglio coll’ altro che fregia Duomo l’urna del cardinale Giorgio Fieschi; e giudica una stessa mano entrambe le opere abbiano a dirsi C £ 1 Avverte inoltre come il d’ Aira si vegga nel lavorio ^monumento Adorno accompagnato a Girolamo di Viscardo del mon trovane sin d’allora espertissimo nell’arte; e cLaveno ? &> # . dicendo d’ altri artefici che nella seconda meta del se- se§uexv gorirono in Genova dietro gli esempi e la scuola c0^°. perciò reca innanzi i nomi di Donato Malagrida 1 non ispregevole intagliatore, di Pietro da Carona da Dongo nuu r o giornale ligustico 445 creato ed aiutatore di Michele, e di Giovanni dei Brocchi da Campione, la cui valentia si mostra nelle ricche decorazioni di un portale eseguito nel 1468 a richiesta di Marco D’ Oria. Ed al Campionese fu degno compagno e successore il figlio Andrea; cui 1’ Ufficio delle Compere, signore di Corsica, allogava due intagli figuranti san Giorgio da sovrapporre agli ingressi di Terranova e di Bastia. XVII. Sezione di Storia. Tornata del 15 Maggio 1875. ‘Presidenza del Preside Antonio Pitto. Il socio Achille Neri legge la seconda ed ultima parte della sua Dissertazione: Di papa Nicolò V e dei più chiari uomini della famiglia Parentucelli di Sarzana (1). § II. Passando a discorrere d’ alcuni altri uomini chiari della famiglia de’ Parentucelli, toccherò innanzi tratto di Gio. Pietro, Nicolò e Lionardo, creati conti palatini da Federico III imperatore nel 1452; il primo de’ quali ebbe eziandio il governo di Narni, carico già sostenuto da Gioanbono suo zio, e la tesoreria dell’ Umbria nel pontificato di Nicolò V, come c’ insegna la sua lapide sepolcrale in san Francesco di Sarzana. L’ altro cavaliere gerosolimitano ebbe ufficio di castellano e governatore di Civitavecchia, e le sue ossa riposano in Genova secondo recita l’iscrizione nella chiesa della Commenda di Prè , dove egli istituì pur anco una cappella a favore del suo compaesano Gottardo Stella cancelliere della Repubblica; (1) Ved. a pag. 382-394. GIORNALE LIGUSTICO il terzo alla nobiltà lucchese venne ascritto (i). Più lungo discorso convien eh’ io faccia di Antonio Maria. Narrano i suoi biografi (2) che applicatosi di buon ora agli studi, sia riuscito valente giureconsulto, ed abbracciata la carriera ecclesiastica abbia ottenuto un canonicato in Bologna, d’ onde poscia eletto all’ ufficio di governatore pontificio in Avignone , della sua opera siasi giovata la Corte di Roma, per maneggiare alcuni negozi d’importanza appo il Re di Francia, dopo di che a rimunerare i suoi servigi fosse promosso vescovo da Paolo II. Si fatto racconto, secondo parmi, non è al tutto esatto, poiché sapendosi aver egli ottenuto il canonicato in Bologna a’ 5 gennaio 1465 (3), e trovandosi registrato nel novero dei lettori di gius canonico dello Studio bolognese per gli anni 1466-67-68 (4), non saprei a qual tempo assegnare gli incarichi che si afferma egli abbia avuti. Forse li sostenne innanzi il 1465; ma qual prova se ne ha? Nessuna per fermo ; che anzi il suo nome si cerca invano nelle istorie speciali d’ Avignone, 0 fra i nunci, gli agenti, ed i legati pontifici alla Corte di Francia. È poi priva affatto di fondamento 1’ asserzione degli scrittori, che alla dignità episcopale sia stato eletto in premio de’ suoi servigi, imperciocché a ciò contraddicono i documenti. In fatti da essi rileviamo, che alla diocesi di Luni Sarzana fu preposto, per le vivissime istanze del cardinale Calandrini allora vescovo di Bologna, in un con quelle della Signoria di Firenze. (1) De Rossi, Vita di Niccolò V, pag. 14-21, 86 e 126. — Noto 1’ errore dell’Ughelli (Italia Sacra, T. 1, col. 855) che pone l’iscrizione di Gio. Pietro nella Cattedrale. (2) Landinelli , Storia di Luni e Sarzana MS ; De Rossi, Collattanea MS ; Gerini, Memorie ecc., T. I. (3) Alidosi, Canonici della chiesa di Bologna: « Anno 1465. Antonio Maria Parentucelli da Sarzana Dottore, a dì 5 gennaio eletto in luogo di Luca di Sarzana, fu poi Vescovo di Luna e Sarzana ». (4) Mazzetti, ‘Repertorio dei Professori dell’Università di Bologna, p. 27. GIORNALE LIGUSTICO 447 Venuta Sarzana in potere della Repubblica Fiorentina, mercè la vendita fattane da Ludovico e Tommasino Fregoso nel 146S (i)5 il Parlamento della terra inviò alcuni legati alla Signoria a fine di richiedere quelle convenzioni, che dovevano concedere dritto ai Sarzanesi di restare nel pieno possesso delle loro libertà municipali, sancite dagli statuti e da antichi privilegi. Uno degli ambasciatori fu appunto il Paren-tucelli, il quale veniva poi .singolarmente raccomandato ai Padri dal Cardinale di Bologna, che partigiano de’ fiorentini, erasi con essi vivamente rallegrato per 1’ acquistato dominio della sua patria. Dalla lettera responsiva de’ Signori, rilevasi con quanta gioia avessero finalmente ottenuto quello che era loro sfuggito di mano nel 1407, e tanto ne sono infatuati da lasciarsi ire a dichiarare cosa affatto contraria al vero: Accepimus, essi dicono ,.eiiim eos non minus avidis animis, quam ipsi se se avidissime dediderint (2); il che viene recisamente negato .dalla storia. La quale invece chiaro manifesta 1’ avversione de’ sarzanesi al dominio fiorentino, alla cui soggezione studiarono sempre e con ogni mezzo sottrarsi, adoperando , secondo parmi, in grande lor danno ; poiché ove Sarzana si fosse mantenuta di buon animo convenzionata a Firenze, non sarebbe stata travagliata dalle prepotenze della Repubblica Genovese, che ingolfandola in liti continue, a fine di difendere i suoi diritti, la ridusse allo stremo di pecunia e di autorità, e nella nova Italia avrebbe ottenuto luogo più orrevole e degno. Latore della cennata lettera al Calandrini fu Anton Maria, distinto qui coll’ appellattivo di legato; d’onde ci è manifesto essersi egli condotto a Firenze con pubblico ufficio, subito dopo (1) Veggansi gli atti fra i documenti che seguono la %elaiione di Sar-\ana ecc. del Landinelli, p. 118 e segg. (2) Archivio di Stato di Firenze: Lettere esterne 1465-1468, Classe X, Dist. I, n. 56. 448 GIORNALE LIGUSTICO fermati in Sarzanello i capitoli cogli agenti della Repubblica (i). E più fiate in quell’anno 1469 ei si dovette recare e a Bologna e a Firenze, a cagione delle controversie per confini che s’ agitavano fra gli uomini di Sarzana e quei di Ame-glia: contese delle quali molto occupavasi il Calandrini, specie per difendere i diritti del Capitolo della Cattedrale sopra i latifondi della Marinella (2). In tal guisa ebbero modo i fiorentini di conoscere e sperimentare la valentia del Parentucelli nelle pubbliche faccende, ed il suo attaccamento alla Repubblica ; reputarono perciò di grande giovamento alla conservazione del nuovo acquisto, preporre alla diocesi un loro parziale ; imperciocché ben sapevano che se i vescovi più non ritenevano colà 1’ antico comando temporale, pure era sì grande la potente loro influenza, da potersi fare a lor posta e con felice successo promotori di novità. Incontanente essi ne scrissero in un medesimo tempo al cardinale Calandrini ed al Papa; fidando più specialmente per ottenere il desiato fine sulle istanze colle quali domandavano al primo confortasse la loro richiesta (3) ; ed in ciò furono pienamente contenti, chè il Cardinale non solo favorì 1’ elezione, ma ne fece diretta domanda al pontefice Paolo II, com’ egli stesso ebbe a dichiarare ai canonici sarzanesi in una sua lettera del i.° ottobre 1469 (4). Paolo II acconsentì di gran cuore a sì fatta promozione, riuscendogli graditissimo dare con ciò una testimonianza d’ affetto alla memoria di Nicolò V, dalle cui mani aveva ricevuto il cappello cardinalizio, nella guisa stessa che quattro anni innanzi per uguale cagione (1) Vedi doc. a pag. 144 della ‘Relazione del Landinelli cit. (2) Archivio Fiorentino: Lettere 1468-1475,,Cl. X, Dist. I, n. 60, car. 2 tergo. Archivio Capit. di Sarzana: Filze T. ed N. Archivio Comunale ivi : Libri di cause fra Sarzana ed Ameglia. (3) Archivio Fiorentino: Lettere cit. — Documento I. (4) Archivio Capit. Sarzana: Filza I. GIORNALE LIGUSTICO 449 privilegiava Sarzana col titolo di città fi). Il documento trasmesso dai fiorentini al Pontefice in questa opportunità mentre forma il più bell’elogio di Antonio Maria spiega altresì le ragioni politiche, da me già toccate, ond’erano indotti in quella domanda : il non farsi in esso parola degli uffici che i biografi vogliono sostenesse in Avignone ed alla Corte di Francia, parmi giovi a non lieve rincalzo del dubbio da me innanzi posto intorno ai medesimi. E di vero qual miglior argomento di questo da recarsi innanzi nel novero delle sue virtù? Anzi detto dell’ingegno, della costanza, della prudenza e della perspicacia, era naturale cosa il ricordare la bella prova fatta in servizio della Chiesa ed a quella in tutto rimettersene; invece tacendosene vie più si avvalora il sospetto, che mai sostenesse uffici per mandato della Corte Romana. Non era questa la prima volta che i fiorentini domandavano al Papa di sublimare alla Sede lunense un loro bene affetto, imperciocché già nel 1406, dopo la morte di Giovanni Montino, avevano patrocinata l’elezione di Antonio Malaspina canonico di Verona, figlio naturale di Leonardo marchese di Fosdi-novo (2). E riguardando il tempo in che ciò avveniva, non può esser dubbio il perchè di tante sollecitazioni. Era appunto a quei dì che Gabriele Maria Visconti, perduta ogni autorità, trovavasi stretto dalle vive istanze del Bucicaldo, de’ fiorentini e de’ genovesi, per la remissione, mediante compenso in denaro, di quelle terre i cui popoìi rifiutavangli oggimai l’obbedienza. Fra queste era Sarzana ; e Gino Capponi, che fu parte e narratore della tragedia di Pisa, per dirla col Muratori, con speciali istruzioni intorno a ciò venne inviato ad ab- (1) Vedi il documento nei Viaggi ecc. del Targioni-Tozzetti, T. XII, pag. 74. (2) Degli Albizzi Rinaldo, Commissioni per il Comune di Firenze, T. I, pag. 94 e 99. 450 GIORNALE LIGUSTICO boccarsi co’ ministri del Visconti (i). Come i fiorentini non ebbero per allora Sarzana, nè manco ottennero la nomina del loro raccomandato ; ma furono forse cagione, che Benedetto XIII antipapa eleggesse a quella diocesi Aragone Ma-laspina pur esso canonico di Verona, il quale per più anni contese la Sede ai vescovi Andrea e Giacomo de’ Rossi, legittima-mente promossi da Innocenzo VII e da Giovanni XXIII (2). L’ elezione del nostro Anton Maria avvenne li 6 settembre 1469, come rilevasi dal breve spedito al Capitolo dal Papa (3) ; si dovrà dunque correggere 1’ Ughelli e tutti gli altri scrittori i quali vollero ciò accedesse nel 1465 ; così non si deve assegnare a quest’ anno, come ha il De Rossi, la morte del suo antecessore Francesco da Pietrasanta, e molto meno, secondo 1’ Ughelli, ad tempora Nicolai V; poiché esiste nell’archivio capitolare una lettera di Francesco de’ 28 marzo 1467, ed il Calandrini nella sovra citata indiritta al Capitolo 1’ ottobre 1469 dice esplicitamente, averlo indotto a pregare Sua Santità d’eleggere il vescovo, il dolore di vedere la diocesi di Sarzana priva da olt\re due anni del proprio pastore ; di guisa che si può con sicurezza affermare, sia egli mancato fra 1’ aprile e il settembre dell’ indicato anno 1467. Questi sbagli cronologici mi riducono a mente quanto scriveva il Padre Giambatista Spotorno, letterato, di vaglia come tutti sanno , esaminando la Storia Ecclesiastica della Liguria del Semeria : « È da dolere che fino ad ora non siasi trovato in tanti scrittori di Lunigiana, chi abbia tolto a darci la serie dei vescovi lunesi con esattezza critica, e col corredo di buoni documenti » (4). A siffatta mancanza si era forse (1) Archivio Fiorentino : Lettere 1406-1409, Classe X, Dist. I, n. 18, car 36 tergo. (2) Semeria, Sec. crist. della Liguria, pag. 84 e segg. (3) Archivio Capit. Sarzana : Filza I. — Documento. II. (4) 'KLuovo Giornale Ligustico: Serie II, vol. Ili, pag. 88. giornale ligustico 451 pioposto sopperire il Semeria stesso nei suoi Secoli cristiani e la Liguria, e giustizia vuole si confessi abbia giovato in qualche guisa al suo fine ; ma non 1’ aggiunse in tutto ; chè in quell opera, nella parte ove appunto della cennata diocesi si ragiona, esistono tuttavia errori non lievi, i quali ponno coneggersi mercè il sussidio dei documenti. Piacerai citarne alcun esempio. Il chiaro conte Vincenzo Ferrerò Ponziglione, pubblicando un atto del vescovo Andrea rogato l’anno 1160, prese a confutale le ragioni poste innanzi dal padre Renaldi nelle sue giunte inedite all’ Ughelli, colle quali pretende provare come Andrea, Raimondo, Pipino ed Alessandro, che secondo gli stonci tennero la sede del 1160 al 1178, debbano reputarsi 0 non mai esistiti 0 pure scismatici, essendo forse stati innalzati alla dignità episcopale da pseudopontefici. Il Renaldi fondava il suo argomentare sopra una bolla di Alessandro III emanata nel 1179 in favore del vescovo Pietro; ma v’intrudeva stranamente un addiettivo che cambia affatto il senso del testo. In fatti altro è leggere semplicemente predecessore, altro invece immediato predecessore, poiché nel caso nostro appunto si veniva a riferire ad Adriano IV quello che invece dee riguardare Celestino II. Con questo sistema di critica il Padre Renaldi pretese assegnare l’elezione di Pietro al 1159, e bandire 'gli altri quattro dalla serie cronologica. In così fatta sentenza conveniva eziandio il Semeria, ed alle sue parole faceva opportuna risposta, come ho accennato, 1’ erudito piemontese (1). Ora alle valide ragioni di questi fia utile aggiungere, che oltre i due documenti da lui editi e di Andrea (1160 8 gennaio) e di Pipino (2 agosto 1170) ne esistono nel Codice Pallavicino (2), uno di Raimondo del i.° feb- (1) Monumenta Historiae Patriae: Chartarum T. II, col 518 e 1020. (2) Si conserva nell’ Archivio Capit. di Sarzana. Debbo tributare pubbliche grazie all’ egregio ed erudito monsignor Luigi Podestà, Vicario Ca- GIORNALE LIGUSTICO braio n68, e quattro altri di Pipino dal 1170 al 1176; di più di Andrea vien fatta menzione in un atto di Pipino del 1173, di questi in un atto di Pietro del 1178, e finalmente di tutti e tre i suddetti in carta del 1181 dello stesso Pietio dove sono qualificati vescovi per la grazia di Dio, il che toglie il sospetto d’ una elezione scismatica. Del solo Alessan ro non esiste documento alcuno, ma non sarà questa certo una buona ragione per negarne 1’ esistenza, e perchè avendo governato la diocesi per soli due anni niun atto importante avra forse dovuto fare; e poi, non poteva per avventura trovarsene alcuno fra i 59 che mancano nel Codice essendo stati carpiti? Ben 33 ve ne hanno invece di Pietro, il più antico dei quali reca la data del 12 ottobre 1178, e l’ultimo degli 11 febbraio 1190 ; ond’ è a correggersi l’Ughelli e il Semeria, 1 quali lo affermano mancato nel 1185, e dar fede al De Rossi che reputa doversene assegnare la morte nell indicato anno 1190. Nella mentovata serie dei vescovi lunesi sono posti dal Semeria Jacopo Piccolomini eletto nel 1380, Gerardo dei Pasqualoni nel 1383, Francesco de’ Lanzi nel 1386, Martino de’ Ferrari nel 1390, e Giovanni Montino nel 1395; ma ^ notaro Jacobino de’ Griffi ci fa sapere, che un piocuratore d’Jacopo da Siena vescovo di Luni, vende a ser Antonio di Viano dell’ Avenza la gabella del pedaggio e la dogana dei marmi di Carrara, per un anno e pel prezzo di fiorini d’oro 170 a’ 3 gennaio del 1387 (1). Da questa data più cose rile ^ vansi, e prima che non è esatto lo affermarsi dagli scrittori essere morto Jacopo nel 1383, poi che deve bandirsi afflitto il nome di Gerardo Pasqualoni, e in fine ridurre al 1387 la elezione di Francesco de’ Lanzi assegnata all’anno precedente. pitolare della diocesi di Sarzana, per le molte notizie trasmessemi e che mi giovarono nel presente lavoro. (1) Archivio Notarile Sarzana: Prot. di Jacobino del fu Angelo Griffi ad an num. giornale ligustico 45 3 Di Gerardo in fatti non si conosce fino a qui documento veruno atto a provare il suo ufficio pastorale ; 1’ Ughelli ne tace, ed il Landinelli, il De Rossi e il Semeria ce ne dicono asciuttamente il nome, notandolo sulla fede della gerarchia de’ vescovi dipinta nella sala dell’ Episcopio sarzanese. E sarebbe senza meno ottimo documento, se la pittura fosse sincrona o di poco posteriore; ma noi sappiamo invece che venne eseguita al tempo del vescovo Saivago sullo aprirsi del secolo XVII, e per di più sotto la direzione del canonico Ippolito Landinelli il quale quanto si palesò ripieno di buon volere altrettanto fu spoglio di savia critica. Niuno v’ ha poi che ignori di quanti errori ed inesattezze sia ripiena quella cronologia. Non è forse senza ragione il sospettare, che il mentovato Pasqualoni fosse eletto dal Capitolo, secondo suo costume, e poi non confermato dal Pontefice; del che abbiamo esempio nel 1344 in cui papa Clemente VI promosse alla sedia episcopale Agapito Colonna, mentre dai canonici v’ era stato eletto fra Giovanni Clerici (1). Tre istromenti riscon-transi nel protocollo del Griffi rogati in nome del vescovo Francesco de Lanzi nel 1389, ed uno se ne legge dell’anno susseguente rogato agli 8 marzo, per il che sarebbe qui pure a correggere la data dell’elezione di Martino De Ferrari, affermato successore, posta dall’ Ughelli e dagli altri a 9 gennaio 1390; e converrebbe eziandio di questo vescovo abbreviare non. poco il tempo in cui tenne la sede, poiché mentre gli autori cel dicono morto nel 1394, un atto del 2 ottobre 139° ci riveLi come Giovanni Montino già eletto alla pastorale dignità si stesse in Milano, donde ai 9 settembre avea creato suo vicario generale il dottore Lucchino da Crescenziano, che in questa sua qualità nel seguente anno ai 19 di marzo concede alcune terre della diocesi in affitto. Dico sarebbe uopo (1) Archivio Capit., Fil\a I; Semeria, Op. cit., pag. 72. 30 454 GIORNALE LIGUSTICO ravviare sì fatta cronologia, se gli atti stessi del Griffi non ci chiarissero che il Martino de’ Ferrari e tutt uno col Giovanni Montino ; imperciocché ivi il suo nome si legge or con 1’ aggiunta de Ferraris, or senza, ma chiaro sempre vi si vede Joannes Montinus. Facil critica poi c insegna, che il lasso di tempo fra il marzo e l’ottobre 1390 è appunto il più breve necessario ad una nuova elezione. Il Parentucelli innalzato di fresco, come narrai, alla sedia * episcopale, non si recò immediatamente alla sua diocesi, ma vi spedì intanto a prenderne possesso in suo nome, il dottore in decretali Bernardo de’ Parenti da Parma, uditore, cappellano continuo e commensale del cardinale Calandrini (1): vi si recava però in compagnia di questi ai 22 ottobre, e faceva solenne ingresso nella città e nella cattedrale ricevuto dal clero, dagli anziani e dal popolo con ogni solenne pompa, e dimostrazioni grandi di onore e di giubilo (2). Nello inizio del suo ufficio ebbe a superare difficoltà non lievi da parte del Commissario di Pontremoli pel Duca di Milano, il quale ordinò agli ecclestici ed ai terrazzani non fosse prestata obbedienza al nuovo eletto, nè riconosciuto il suo vicario in quelle parti spedito (3). Questo fatto concorda pienamente colle lunghe e secrete pratiche tenute fino da quei tempi a Roma dal Duca stesso, a fine di smembrare la diocesi e costituire un (x) Archivio Capit. Lettera del Calandrini est. (2) Hyvanus Ant., Epistolae Ms. Lettera al Parentucelli, 22 ottobre 1469. Nella Biblioteca Municipale di Sarzana. — Il card. Calandrini erasi recato in patria anche nel 1465, certo latore della citata Bolla pontificia colla quale era Sarzana dichiarata città, privilegio concesso da Paolo II a sua petizione. Se ne ha memoria nei Libri delle deliberationi, dove vedesi eletto cittadino Stefano Gambarotta di Cassine di Monferrato, per aver composto 120 carmina detti in S. Maria alla presenza dal Calandrini quando si promulgò la detta Bolla (Liber delib. 25 sett. 1465). (3) Archivio Fiorentino : Lettere dal 1468 al 1475, Class, X. Div. I, num. 60, car. 29 e 30. giornale ligustico 455 Vescovato in Pontremoli; ma questi maneggi venuti in buon punto all orecchio di Anton Maria, furono agevolmente sventati merce i suoi caldi uffici, uniti a quelli degli Anziani di Sarzana (i). In tutto il tempo ch’egli sedè vescovo, la sua diocesi fu travagliata da gravissime turbolenze ; da prima le contese pei confini fra i sarzanesi e gli uomini dell’ Ame-glia cotanto s’ inasprirono, da trascendere in sanguinose rappresaglie (2); poi i partigiani dei Fregoso ordita una congiura cacciarono i fiorentini, ed accolto nella città Agostino colle sue genti, alla sua potestà ed a quella di Lodovico nuovamente si sommisero. Con qual cuore dovesse starsene spettatore il Parentucelli di sì fatti avvenimenti ognun pensi; egli parzialissimo fautore della Repubblica di Firenze, e per lei a quella diocesi innalzato ! Cionondimeno gli storici lasciarono scritto, eh’ei seppe mantenersi puro dagli odii di parte, e in sì bel modo si governò, da veder sè rispettato e non compromesso il suo pastorale ministerio: il che piace a noi credere vero per amore di sua persona e della sua orrevole dignità. Nè certo lieve dispiacere dee avergli recato la morte del suo protettore cardinale Calandrini, avvenuta nel luglio del 1476, poiché da lui ospitato primamente in Bologna e posto sulla via degli studi, ai suoi favori doveva in gran parte la splendida carriera che aveva percorsa. Non mancò la città tutta in questa circostanza di testimoniare alla memoria del suo illustre concittadino, con pubblico lutto e funebri onoranze, quella gratitudine alla quale egli aveva diritto pei molteplici servigi e pei benefizii onde fu largo alla sua patria (3); ma uno vi fu che non pianse, e l’ira sua verso il defunto con poca carità volle disfogare in una lettera allo stesso Anton Maria. È questi Antonio Ivani, nome ben noto nella (1) Hyvanus, Epist. cit. Lettera 8 dicembre 1475. (2) Id. ibid. Lettera 19 novembre 1476. (3) Archivio Comunale: ^Registro Deliberazioni ad annum. GIORNALE LIGUSTICO repubblica letteraria, il quale fino a che il Calandrini fu ^ in vita e sperò, mercè sua, ottenere danaro ed uffici lucrosi, a lui diresse lunghe lettere ripiene di magistrale eloquenza, ove spicca la perorazione in suo vantaggio (i); ma perche a nulla mai approdarono le sue faconde ed ornate parole, gli si volse contro e non si ritenne dal dichiararlo uomo abbietto ed esoso (2). Nè ciò dee aver recato lieve dolore al-1’animo di Anton Maria, e per la gratitudine ch’ei professava all’ illustre porporato, contro il quale si scaglio 1 Ivano poco onestamente appunto in lettere a lui dirette, e perchè si fatte violenze venivano da persona amica, e 1 cui valore / teneva in giusta stima. Finì il nostro vescovo i suoi giorni nel 1485 in Roma, dove erasi condotto a petizione di Innocenzo VIII che a più alti onori il riserbava. Resta in Sarzana a sua laudabile memoria 1’ Episcopio, che fu per sua opera edificato e , secondo dice la scritta, compiuto nel 1471. Nella guisa istessa che il Parentucelli, di cui ho discorso fino a qui, avea dimostrata la sua parzialità verso i fiorentini, il fratei suo Francescotto si chiarì partigiano molto sollecito dei genovesi. Ed in vero subito che egli fu istrutto della impossibilità in cui trovavansi i Fregoso di più lungamente difendere Sarzana dalle continue molestie de’ fiorentini, i quali afforzatisi in Sarzanello a cavaliere della città non si ristavano dall’arrecar danni assai rilevanti alle campagne ed ai terrazzani (3), caldeggiò appo i cittadini il ritorno nell’antica podestà (1) Si veggano le citate epistole in più luoghi. (2) Hyvanus, Epist. cit. Lettera 19 novembre 1476. (3) Ludovico Fregoso dichiara in pubblico parlamento : cum sibi contingat expoliari et removeri a presenti dominio pro utilitate ac bono et quiete dicte communitatis Sarrane propter acre et clurum bellum quod illatum fuii per Dominium Florentinum in iacendo lapides a Sarzanello in civitate Sarzane ac de acriori et duriori infortunio dubitatur etc. (Liber deliberat., 29 maij 1484). giornale ligustico 457 della Signoria di Genova ; e la dedizione fu poco stante fatta alla Repubblica, che ne trasmise il dominio nel ricco e potente Banco di S. Giorgio (i); per il quale adoperarsi, oltre a pubbliche lodi e a’ donativi fattigli dai Protettori delle Compere quando si condusse a Genova (2) , ottenne la cittadinanza genovese, conferitagli con onorevole decreto dal doge Paolo da Campofregoso (3). Intanto si rompeva la nota guerra fra i genovesi e i fiorentini, e riuscivano i secondi ad impadronirsi della contrastata Sarzana nel 1487. Non è mio divisamento entrare qui a discorrere di questo memorabile fatto d’ arme, chè sarei condotto troppo lungi dal soggetto ; ben mi piace avvertire come le istorie non giovino gran fatto a darci una esatta contezza di quegli avvenimenti, delle ragioni che li mossero, e del modo onde furono condotti : solamente dalle carte del nostro Archivio di Stato e di quello di S. Giorgio, non che dalle altre molte serbate in Firenze noi possiamo attingere la verità, e farci un giusto concetto della politica, dell’ arte militare e della pubblica vita di quei tempi. In mezzo a quello scambiarsi di lettere d’ a-rnici e d’ avversari, al succedersi di ordini e provvedimenti, d’istruzioni e relazioni, noi dimentichiamo il secolo presente e sembraci essere trasportati a quei tempi, rivivere con quelli uomini, parlare, discutere con essi, prender parte alle loro passioni : di forma che ritornati poi sui volumi, dove speriamo ritrovare ritratta come in fedele specchio la storia, non ne restiamo per nulla satisfatti, poiché in essi vanamente cerchiamo (1) Archivio di S. Giorgio : Liber contractuum 1476-1499, a car. 51 e segg. (2) Doc. III. — Archivio di S. Giorgio: ‘K.eg. Gest. Officii, Reg. 1485- 1487. Deliberazione de’ 14 novembre i486. «.........Decreverunt dono dari eidem Franciscoto usque in florenos triginta sive lib. xxxvn sol. x vel in pecuniis, vel precio panni aut alteris sibi mittende ». (3) Archivio di Stato in Genova: ‘Divers. Collegi, Filza 20; De Rossi, Vita di Niccolò V, pag. 22, GIORNALE LIGUSTICO quella verità, quel vigore onde l’animo nostro è compreso. La guerra alla quale io accenno si chiuse colla peggio dei genovesi; ed i fiorentini, duce lo stesso Lorenzo de’ Medici, rioccuparono Sarzana li 22 giugno 1487 ; ma non molti anni la ritennero, chè per la viltà di Piero, degenere figlio di tanto padre, a Carlo Vili fu consegnata ; ed i suoi capitani, dopo eh’ egli ebbe lasciata l’Italia, la posero a prezzo. In sì fatta opportunità si mostrò avvedutissimo negoziatore il nostro Francescotto Parentucelli, imperciocché seppe con tanta segretezza condurre la pratica, da fermare i patti della cessione delle fortezze di Sarzana a San Giorgio per parte degli ufficiali francesi, prima che i fiorentini nè manco sospettassero essersi iniziate le trattative. Di che fanno ampia fede i Protettori delle Compere, i quali cognoscentes Franciscottum de Pa-rentucellis de Sarzana qm. Joannis Petri, non parum laborasse pro ipsis dominis Protectoribus in recuperando, seu r eh ab endo civitatem Sarranae cum castro S arganelli, et etiam indubitatam habentes scientiam, dictum Franciscottum pro adimplendis praedictis exposuisse semel et pluries personam suam et non modicam quantitatem pecuniarum expendisse; scientesque praeterea dictum Franciscottum maximam affectionem continuo, et etiam quibuscumque retroactis temporibus erga ipsos Magnificos Protectores et antecessores suos habuisse, ac propter ea intelligentes ipsi MM. DD. Protectores conveniens fore erga dictum Franciscottum se taliter habere, ut jure merito de ipsis Dominis Protectoribus laudare se possit; volentesque praeterea se benevolos redere erga dictum Franciscottum pro ut decet, perciò gli fanno assoluto dono in perpetuum et in secula seculorum di tre terreni, l’uno posto in Ameglia, l’altro in Tellaro ed il terzo nel Comune di Sarzanello colle case in essi esistenti (1). (1) Provini, Umile rimostranza difensiva per la città di Sarzana ecc. Lucca 1729. Documenti, pag. 18. giornale ligustico 459 L estimazione in che era tenuto, ben si pare dalle lettere scritte al Capitano e Commissario di Sarzana, si prima della guerra che dopo il ricuperato dominio della città, poiché nelle ricorrenze difficili ingiungono a questi di governarsi secondo il consiglio del Parentucelli. E 1’ affetto onde i Protettori delle Compere lo proseguirono non si spense con lui; ma quando nel maggio del 15 io egli se ne morì, ai figli Antonio e Gio. Pietro inviarono una lettera di vivo cordoglio, proferendosi parati, in memoria de’ preziosi servigi del padre, ad adoperarsi in loro prò’, e la promessa fedelmente mantennero (1). D’ altri due di questa illustre famiglia farò per ultimo breve ricordanza , e sono un Giacomo fratello ai due discorsi qui innanzi, il quale nel celebre Studio bolognese ebbe ufficio di rettore degli scolari oltramontani, e lesse medicina negli anni 1470 e 1471 (2); e quell’Anton Maria nato nel'1549, che ridottosi a Roma in abito ecclesastico compiè nel Seminario gli studi, e poi entrato nella Compagnia di Gesù levò di sè bella fama insegnando filosofia e in Roma e in Bologna ; e fu sì valente nello esplicare Aristotile che i suoi commenti ebbero gran nome, ed un codice scritto da un inglese suo scolaro nel 1546, ne serba la pubblica biblioteca d’ Anversa. Innalzato all’ ufficio di rettore della casa professa di Messina, e perciò colà stanziatosi, vi finì i suoi giorni nella verde età di anni 43 li 28 .gennaio 1589 (3). La famiglia Parentucelli resa chiara per uomini famosi, e celebratissima dal nome grande di Nicolò V, si spense nel passato secolo avendo sempre serbato in patria orrevol luogo; e sarebbe pur tempo oggimai che non si ripetesse la favola (1) Archivio di S. Giorgio: Litterarum Filza dal 1508 al 1514; Litterarum M. Officii, Registro dal 1509 al 1511. (2) Alidosi), Li dottori forestieri che in Bologna hanno letto Teologia, Filosofia ecc., pag. 37. (3) Backer, ‘Bibliot. des écrivains de la Comp. de Jesus, T. Ili, p. 563, 460 GIORNALE LIGUSTICO dell’umil nascita del nostro Pontefice (1); come niun critico discreto vorrà più attribuirgli a così grave peccato, il giudizio contro il Porcari ed i suoi dopo la sentenza gravis- D 1 sima del dotto e diligente Gregorovius, del quale piacemi recar qui le belle parole che concludono il suo ragionamento intorno all’insigne Nicolò : « Chi visita la tomba di quel Pontefice può dire a sè stesso che egli fu un vero benefattore del genere umano, perocché al suo progresso intellettuale abbia contribuito potentemente, divulgando i tesori della sapienza greca e romana (2) ». DOCUMENTI I. Paulo II Pontifici Maximo. Quia fuisti semper nostris uotis propitius , Beatissime Pater, et quia apud te multi semper fuerunt nostrae litterae et nostrae commendationes magna impetrandi spe quandocumpue usus est, tibi supplicamus : neque ueremur quos tibi commendamus fore ut sint tibi, pro tua diuina clementia atque consuetudine indulgendi nobis, multum commendati. Pre-sertim cum digni sunt pro quibus quid petimus ob eorum uirtutem tuo beneficio, in presentia quod, petituri sumus multas rationes (3) cur uehe-menter impetrare desideremus. Episcopus lunensis, quantum audimus, uita functus est. Nos in eiifs locum subrogari Antonium Mariam, ciuem serzanensem , uirum relligiosum et grauem et bene eruditum , cupimus. Non poterit nostra sententia dignius locari beneficium. Addidit enim ad naturalem dignitatem, prudentiam, constantiam , continentiam episcopatu dignam : et siquid afferre genus potest in huiusmodi rebus, Nicolai Quinti Pontificis Maximi nepos est. Nobis autem et populo nostro gratus atque acceptus, ita ut gratior nobis aut acceptior esse nemo possit. Atque est quod (1) Civiltà Cattolica, quad. 601, luglio 1875, pag. 41. (2) Storia di ‘Roma, T. VII, pag. 120-167. (3) Un’abbreviatura non intelligibile: sembra R ; ma è dubbio assai. giornali-: ligustico 461 ad nos quos sit lunensis episcopus multum pertinere uideatur propter castella et oppida que in agro lunensi parent nobis. Itaque non solum quod Antonium Mariam episcopatu a te ornari cupimus quia tali eum honore dignum ob supradictas causa putamus, ad supplicandum uenimus ; verum etiam quia eo episcopo quietas fore magis res lunenses non dubitamus. Nouimus enim hominis ingenium qui ad quietem et pacem natus esse uidetur. Erit etiam a te utiliter lunensi Ecclesie consultum : quae a grandibus diuitiis rectorum ueterum incuria, si uera audimus , ad uilem ïam est redacta paupertatem. Antonius Maria uir est diligentissimus, honoris et famae in primis cupidus. Certo scimus si recuperari quae negli-gentia amissa sunt ullo pacto poterunt, eum nihil esse pretermissurum. Et nos pro uiribus auxilio erimus : et lunensem Ecclesiam, siue ut tu uo-luisti, serzanensem, nitemus ut quam ornata et quam amplificata sit. Supplicamus igitur tibi et Sanctitati Clementiaeque tuae porrigimus preces omnes nostras, ut desiderio huic nostro pro tua excellentissima beneficentia annuas. Nihil potes dare hoc tempore nobis quod nos pluris existimemus, ac pro quo maiores gratias habituri simus. Nos et populum nostrum Sanctitati et Beatitudini tuae humillime . commendamus. Vale. Die VI februarii MCCCCLXVIII (s. f.). II. Taulus episcopus servus servorum T)ei dilectis filiis Capitulo Lunensi Sar-\cinensi salutem et aposlolicam benedictionem. Hodie Ecclesiae vestrae tunc, per obitum bonae memoriae Francisci episcopi lunensis sarzanensis extra Romanam Curiam defuncti, vacanti, de persona dilecti filii Antoni Mariae eidem lunensi et sarzanensi Ecclesiae in episcopum et pastorem, prout in nostris inde confectis litteris plenius continetur. Quocirca discretioni vestrae per apostolica scripta mandamus, quatenus eundem electum tamquam patrem et pastorem animarum vestrarum grato admittentes honore, ac exibentes eidem obedientiam et reverentiam debitas et devotas, eius salubria monita et mandata suscipiatis humiliter et efficaciter adimplere curetis. Alioquin sententiam quam idem electus rite tulerit in rebelles ratam habebimus et faciemus, auctore Domino, usque ad satisfactionem condignam inviolabiliter observari. Datum Romae anno Incarnationis Dominicae millesimo quadrigente-simo sexagesimonono, octavo idus septembris, Pontificatus nostri anno quinto. GIORNALE LIGUSTICO III. v • Mobilibus et prestantibus viris Dominico et Francisco de Parentucellis dilectissimis nostris. Dilectissimi. Benché inter le alter relatione a noi facte da li spectabili D. Lodisio de Auria nostro procuratore et Nicolao de Marco compagni nostri, li quali questi dì passati hano in Dei nomine receputa la possessione et dominio di quella nostra cita: habiamo inteso tuti quelli nostri citadini essere molto affectionati a lo Stato nostro : tamen singularmenti non solum ipsi : sed etiam dopo la loro partenza lo capitano de quella cita et pariter Jacomo de Vivaldi nostro nuper a noi ritornato : super omnes commendano la sincerità de la fidelità vostra : et la caldessa ac solicitu-dine haveti dimostrato et continuamenti dimonstrati in tute le cose pertinente a lo favore et stabilimento de lo Stato nostro in quella cità : de che corno meritati: noi et tuti li citadini non solamente ve commendiamo asai corno è debito : sed etiam a loco et a tempo conveniente : se arre-corderemo talmente de le bone opere et servicij vostri : che intendereti non havere servito a Signori ingrati. Confortative aduncha et cum bono animo perseverati : perciochè havendo noi et li altri citadini deliberato de mettere Deo favente quella nostra cita in tal pace et tranquillita che voi e li altri possiate godere li beni vostri senza suspecto et periculo : ve-gnira presto lo tempo in lo quale goderete li fructi de le vostre bone opere et fatiche. Data Janue 1484 die xn junij. (Arch. S. Giorgio: Letterarum, Reg. 1483-85). Dopo la lettura della su riferita Dissertazione, il medesimo socio Neri fa inoltre la comunicazione seguente sopra un altro manoscritto dell’Abate. Porgendo nella passata seduta alcune notizie di un Codice di Gio. Agostino Abate savonese (1), io faceva voti perchè fosse dato ritrovare l’altro manoscritto dello stesso autore, che più specialmente riguarda la storia di Savona, d’ onde trasse il Polleri la relazione della Madonna della Misericordia, e che (1) Pag. 394-401. giornale ligustico 463 fu con esattezza ricordato dal Piconi. Or bene, io ebbi la sorte di rinvenire questo stesso autografo fra i codici della nostra Biblioteca Universitaria, indicato a catalogo come anonimo e sotto titolo di Memorie varie spettanti alla cronologia e alla storia in particolare di Savona, e note ascetiche. Il Codice è in carta reale in quarto, e consta di carte numerate 119. Nelle prime due havvi la tavola di quanto si contiene nel volume; da carte 2 alla 10 veggonsi figure con calcoli ed istruzioni per trovare il numero aureo , la lettera dominicale, l’indizione, con il calendario perpetuo, le feste mobili, le ore del giorno e della notte e più altre cose di sì fatta guisa. Mancano le carte 11 e 12 dove si trovava una profezia sopra la città di Savona, la quale doveva essere cosa poco piacevole per quei cittadini, poiché le ultime righe che ne restano nella carta 13 furono cancellate. Da carte 13 alla 26 si leggono diversi trattatelli ascetici e morali, in fine al primo dei quali sta scritto: Frate ^Antonio de Pigna ordinis predica-torum autore. Alla 27 incominciano le memorie storiche di Savona, che corrono sino a carte 73 in ordine cronologico dal 1471 al 1570. Le notizie che vi si danno sono di varia ragione: storiche, economiche e statistiche, distese con minutezza di particolari interessantissimi. V’ ha una lunga nota dei luoghi del Comune di Savona, coi rispettivi nomi dei logatarii e la rendita della gabelle nel 1538; poi gli inventari della Masseria del Duomo e della Chiesa ed Ospedale della Madonna. Da carte 74 in 76 stà la descrizione di Savona e delle sue ville. Dalla 77 all’ 85 v’ha il novero di tutti i cittadini, divisi in ecclesiastici, nobili, negozianti ed artisti secondo le varie loro industrie, con alcune notizie sopra famiglie già ricche ed or cadute in bassa fortuna od estinte ; non senza alcune osservazioni di confronto fra la ricchezza passata della città e quella dell’anno 1571 ; dopo di che si legge una nota dei bravasi, spadascini, capete e rompiceli partigiani dei Fregoso e 4<$4 GIORNALE LIGUSTICO degli Adorni, i quali fecero mala fine. Da carte 86 a 98 tro-vansi molte memorie storiche tratte dagli annalisti genovesi, che muovono dal 1203 e vanno al 1520, e sono scritte, secondo dice 1’ autore, per serbare ricordo dei molti danni che la città di Savona ha sostenuto dai genovesi. Alla carta 99 sono alcuni capitoli della Compagnia del Rosario, ai quali seguitano le indulgenze concesse dai Pontefici fino a carte 102 ; dopo della quale ne furono lacerate 7, dove erano raccolte sentenze e consigli tratti dai libri della Sapienza. Dalla 110 alla 113 v’ hanno istruzioni per comporre tinte diverse, ed il modo di applicarle alla tingitura delle berrette. Finalmente nelle restanti carte, oltre la già edita storia dell’ Apparizione, v’ ha la Bolla pontificia ed i capitoli per 1’ Ospedale della Madonna della Misericordia. Il presente Codice, appartenne a Gio. Agostino Gavotto, che per fermo possedeva eziandio l’altro da me già descritto, come ne fa fede una nota in questo secondo di mano del Gavotto , dove havvi richiamo alle notizie che si ritrovano nel primo. Abbiamo così la certezza che la nostra Biblioteca Universitaria possiede tutto quanto lasciò scritto 1’ Abate, i cui volumi , come ebbi già ad accennare, si reputavano oggimai interamente perduti. VARIETA’ Una nuova statua di Colombo. — Nei recenti giornali iberici si legge che lo scultore spagnuolo Giovanni Samartin ha testé modellata una statua, grande oltre il vero, di Cristoforo Colombo da collocarsi in Madrid nel Museo dedicato dal Governo delle Colonie allo Scopritore dell’ America. In tale Museo sono raccolti tutti gli oggetti che appartennero al Colombo, 0 che furono adoperati nella perigliosa impresa per la quale aprivasi il passaggio dell’Altantico sino all’America. Pasquale Fazio Responsabile. giornale ligustico 465 SOCIETÀ LIGURE DI STORIA PATRIA (Continuazione da pag. 464). XVIII. Sezione di Archeologia. ’l ornata del 22 Maggio 1875. Presidenza del Preside avv. Pier Costantino Remondini. il socio Desimoni legge le seguenti Notizie di Paris Maria Salva go e del suo Osservatorio astronomico in Carbonara. I. Dalla nuova via all’ Albergo dei poveri pigliando la salita a destra, che guida alla graziosa chiesa della Madonnetta, ci si para al primo svolto una casa di faccia, pel cui ampio vestibolo si ha 1’ accesso ad un viale che reca alla villa del giovane conte Giuseppe Pinelli-Gentile. Questo egregio e colto signore, che piacquesi anche dare il suo nome alla scuola paleografica del mio amico il cav. Belgrano, e ne consegnò parecchi saggi al Giornale Ligustico, volle egli stesso farsi nostro cicerone colà; e dopo lasciataci ammirare la felice postura, gli ameni dintorni ed i lontani punti di vista, ci introdusse nel palazzo, ci aprì la libreria di non molti ma scelti e rari volumi, edizioni, manoscritti : ci apri pure 1’ archivio, ove è consegnata tanta parte di storia genovese nelle ambascierie ed altri uffizi pubblici sostenuti dai suoi avi. Infine a un cenno che io gli feci di studi astronomici che sapevo essere ivi stati coltivati in altri tempi, egli non solo mi pose sott’ occhio, ma e lasciò 466 GIORNALE LIGUSTICO libera al tutto a’ miei studi una numerosa, notevole e prima d’ ora ignota corrispondenza di celebri ingegni (1). Sul volgere dal secolo XVIII al seguente, della villa testé lodata era signore il patrizio genovese Paris Maria Saivago, dalla cui prole maschile presto cessata, passò 1’ eredità nei Pi-nelli discendenti dalla figlia di lui Eugenia. La famiglia Saivago fin dal primo secolo della Repubblica fu nobile per uffizi pubblici, e costrusse la chiesa di san Marco; continuò poi a fiorire nei patrii annali e sulla stessa sede arcivescovile con Agostino Saivago; concorse al lustro della mirabile nostra Via Nuova, murando il palazzo che ora è de’ marchesi Serra, ma conserva tuttavia 1’ antico nome nell’ attiguo vico de’ Saivaghi. Ebbero que’ patrizi signoria feudale sovra Carosio oltre Giogo, e furono decorati della allora non così frequente corona marchionale. Nè mancò in essi 1’ onore degli studi e delle lettere; su di che basti citare tra i molti l’antico Forchetto, dotto ragionatore contro gli ebrei, e i due letterati e poeti Raffaele e Gabriele Saivago; quest’ultimo studioso leporum ac facetiarum perinde ac bonarum litterarum, amicissimo ed ospite di Gian Vincenzo Pinelli, il celebre collettore della biblioteca che fu nucleo all’ Ambrosiana. Pinelli e Saivago: due cognomi adunque di genovesi già dal secolo XVI (x) Sono 557 lettere indirizzate al marchese Paris Maria Saivago, cioè : da Gian Domenico Cassini anni 1676-1704 num. 9 » Giacomo Filippo Maraldi » 1701-23 » 274 » Eustachio e Gabriele Manfredi » 1703-24 » 92 » Francesco Bianchini » 1704-24 » 78 » P. Gaetano Fontana » 1705-6 » 6 » P. Lavai » 1707-23 » 21 )> Francesco Maria Barrabino » 1712-23 » 69 oltre altre lettere sparse di Delisle, Rava ecc., e copia di operazioni e memorie a parte. giornale ligustico 467 intiecciati d’amicizia, come nel 1705 furono intrecciati d’amore 1 Eccellentissimo Felice Pinelli e la nobil donna Eugenia di Paris Saivago (1). Il nome di Paris, non troppo consueto altrove, era antico nella famiglia: già fin dal 1358 la chiesa del Carmine' conservava il sepolcro di Paramide Saivago (2) ; e il personaggio onde imprendiamo a discorrere riceveva al battesimo il nome del proprio avo, secondo la consuetudine. Il nostro Paris Maria nacque da Stefano qm. Paris il 10 gennajo 1643. Poco o nulla sappiamo della sua giovinezza, finché al 4 luglio 1672, di 29 anni, lo troviamo partire onorato di pubblica missione per la Francia, donde tornò il 25 gennaio 1676. Questo ci apprende il Giscardi, credibile non solo come raccoglitore sempre coscenziato di memorie patrie; ma qui ancora più, avendo egli certamente attinto a date e note del suo Preposto filippino, che fu il P. Gian Luca figlio di Paris. Difatti tra le carte della preziosa corrispondenza Aprosiana alla Biblioteca Universitaria vedonsi due lettere del nostro patrizio, colla data 10 febbraio e 4 aprile 1676, ove rammenta il suo recente passaggio da Ventimiglia ritornando di Francia; e si duole di non aver potuto godere in quella circostanza la conversazione dell’ illustre Agostiniano, nè ammirare la biblioteca di lui (3). Ai 30 di settembre 1680 il Saivago andò a Savona Commissario di quella fortezza, di che diremo più sotto; magia nel 1684 egli era salito alla dignità di Procuratore nei Serenissimi Collegi della Repubblica ; e un anno dopo era scelto fra i quattro, che col Doge aveano da adempire la nota pe- (1) Spotorno, Star. Lett., II. 86, III. 90, 167, IV, 121; Gualdo, Vita Jo: Vincentii Pinelli, 1607, pag. 80. (2) Piaggio, Monum. Genuensia, mss., I. 262. (3) Bibliot. Universitaria, E, II, 4 bis: E, VI, 9; Giscardi, Famiglie nobili e Alberi Genealogici. 468 GIORNALE LIGUSTICO nosa missione imposta dal prepotere di Luigi XIV. La quale però fu saputa adempiere con dignità; e Paris per le sue antecedenti relazioni, come pel suo spirito ed ingegno, contribuì non poco a lasciare nei parigini ottima memoria di quella ambasciata. Indi egli vestì cinque volte la toga senatoria ; e morì in essa nel marzo 1724, avendo più che compiuti 81 anni d’ età, ma sempre' fresco di mente, e continuando fino agli ultimi mesi il carteggio coi dotti. Il palazzo Salvago-Pinelli, onde parlai da principio, è il primo ad incontrarsi ed il più nobile fra i numerosi villini, i quali modestamente s’ ascondono tra gli alberi e il verde, ond’è ammantato il fianco destro della montuosa regione di Carbonara. Ancora ieri risalivo quell’ erta tra i muriccioli che fanno ala, velando lo interno agitarsi delle famiglie; e una pace ineffabile, un’ armonia misteriosa mi pioveva nell’ a-nimo; correvano alla fantasia i nomi e' sto per dire i volti degli avi, i quali ogni giorno dopo lo strepito degli affari pubblici e privati amavano ritirarsi a questo silenzio, vivere liberi tra le gioie della famiglia e il verde della natura ; se non quando sacre funzioni 0 posta d’ amici li attraesse sul vicino piazzaletto a musaico di N- S. Assunta. Il viale Saivago mostra appunto questo amore di ritiramento; essendocchè dopo percorso il primo tratto di faccia alla via, svolta a destra, indi con un terzo giro mette allo spianato del palazzo. I caseggiati, che ne dipendono , lo ricingono da due parti, colà cioè ove lo potrebbero offendere sguardi curiosi e indiscreti: ma, come si è giunti lassù, la vista signoreggia largamente sulla città, sul mare e sui monti, perfino all’ isola di Corsica, in giorni però di non ordinaria serenità. Senonchè la solitudine, il procul este oraziano non era che pei profani, per gli sfaccendati che vogliono agli altri comunicare le proprie noie se non anche i vizi; chè la villa di Carbonara era aperta a tutte le arti gentili ed ai loro cultori. __GIORNALE LIGUSTICO 469 Le piante annose, onde alcuna tuttora fiancheggia il viale, il torso che sta a capo della svolta, quasi a dare il benvenuto, oschetto che allegra di acque e d’ ombre lo sfondo della villa, furono certamente testimoni per anni ed anni di geniali convegni. Avranno veduto festeggiarsi nel 1694 e 95 il grande Gian Domenico Cassini (1); nel 1703 l’illustre di costui nipote Giacomo Filippo Maraldi; e nel 1713 il dottissimo Francesco Bianchini. E già prima del 1672 1’ allora giovane Paris si piaceva di studi letterarii e fisici con Anfrano Franzone, padie di quel Tommaso che lasciò più manoscritti di notizie patrie, e di cui qualche libro di cose astronomiche passò nelle pubbliche nostre biblioteche. Dalla citata corrispondenza’ del Saivago vediamo che Pietro Salvetti di Firenze inviava a lui ed al Franzoni dei microscopii e loro proponeva una tromba parlante armonica, acchiudendone il disegno. Vi troviamo che egli ed i suoi amici erano avidi di erudizione, ragionavano di edizioni antiche, specialmente genovesi, s’ informavano dei nuovi libri e delle quistioni a lor tempo agitate. Il Saivago leggeva pure d’anatomia; e col lodato Bianchini, oltre di cose astronomiche, s interteneva dei libri che quest’uomo universale andava pubblicando ne’ varii rami delle scienze: la storia universale provata co’ monumenti, 1’ edizione commentata d’ Anastasio bibliotecario, il Nummo dementino, il Ciclo di sant’ Ippolito. Sul quale ultimo scritto 1’ autore ebbe un dotto colloquio in Genova con Gio. Battista De Ferrari uno degli amici di Paris, a cui ritorneremo; e l’autore avendo già inviato copia del medesimo scritto al Saivago gliene chiedeva il parere prima di parlarne col Papa. Col De Ferrari faceano corona al nostro patrizio più altri (1) Mémoires de l’Académie des sciences (16Ó6-99) VII, 2.e partie, pag. 480-82, 520-30. Ved. anche Cassini, Observations sur la comète S qui a paru au mois de decembre 1680. Paris. 1681, pag. 9. 470 GIORNALE LIGUSTICO amici e dilettanti di cose scientifiche : 1’ Eccell.mo Grimaldo , lodato dallo stesso Bianchini come uomo di sodi studi e di bel genio ; il cavaliere Nicolò Maria Pallavicinij, che faceva an-ch’ egli provvisione di cannocchiali dal celebre Campani di Roma; ed il marchese Brignole che comprava strumenti di matematica. Nella su ricordata occasione che Cassini di passaggio per Genova fece osservazioni astronomiche, troviamo i nomi di più patrizi che a lui faceano corona: 1’ Eccell.”10 Lercaro, già Doge e primo mecenate del grande astronomo, il Principe D’Oria, ed i marchesi Torriglia e Spinola; di alcuni dei quali il Cassini si ricorda ancora più anni dopo, inviando loro per mezzo del Saivago una sua pubblicazione. E gli astri maggiori erano circondati dai minori: alcuni tra essi indicati col solo nome di battesimo, e 1’ ingegnere pronto a porre in atto i disegni e perfezionamenti desiderati, e 1’ ottico genovese che saggia le lenti di propria fattura, e il concittadino Pietro Patrone, che lavora a Milano, e i cui obbiettivi, binocoli e microscopii sono desiderati perfino a Londra. Ma in lavori d’ ottica e meccanica avea le prime parti il dilettante Antonio Degola, che il Bianchini avutolo più mesi a Roma non rifinisce di lodare, chiamandolo miracolo d’ arte. Infine tra i giovani ben accolti in Carbonara troviamo due buoni e studiosi preti, Gaetano Rava e Francesco Barrabino, solleciti entrambi ad aiutare il Saivago nelle esperienze astronomiche. Il Barrabino in ispe-cie, nato nel 1680, oriundo di Polcevera e assai probabilmente della terra che ancor oggi dai Barrabini si nomina, presto e notevolmente progredì nella trigonometria come in ogni altro ramo di matematica, e lasciò suoi studi manoscritti, una parte de’ quali per ventura trovò sede onorata nella preziosa collezione del Principe Baldassarre Boncompagni di Roma (i). (i) Narducci, Catalogo di manoscritti posseduti da D. B. Boncompagni ; Roma 1862, pag. 7. Ivi tre mss. del Barrabino ai codici 161-63. giornale ligustico 471 Nella villa Saivago si teneano ricreazioni, dove il sacerdote Bari abino interteneva con esperienze fisiche piacevolmente la brigata. Nè la poesia potea rimanere lontana da così gentili convegni. Lo stesso Paris Saivago verseggiava anche in francese; 1’ elegantissimo Tommaso Ceva gli dedicava un idillio latino, intitolato Fons delusus; e Giambattista Pastorini traducendolo in ottave italiane, addoppiava gli elogi al signore della villa, alle sue meditazioni astronomiche, ed ai nobili riposi nell’ altra amena sua villa di Sampierdarena. I versi del traduttore genovese ebbero l’ onore di essere inseriti dal Muratori nella sua Perfetta Poesia (x), e dal Bianchini e dal Maraldi furono lodati come bellissimi; in particolare per 1 eleganza e per 1’ efficacia nel rendere al vivo i difficili concetti ed il linguaggio della scienza. Eccone un saggio : X. E meglio ancor del suo morir la pena L’infelice ruscel temprar potria, Se fra’ palagi della ricca Arena Quella stanza gentil mirasse pria, Ove, con voi sedendo, i giorni mena La scienza, che gli astri attenta spia, E scender fa nelle sue reti belle I viaggi del sole e delle stelle. XI. Dolce mirar (ma dove l’occhio intenda) Astrolabj e quadranti in alto appesi Far che in due crune un simil raggio scenda; E vetri in lunghe canne al cielo intesi Far che vicino ogni astro a noi discenda; E sfere e globi e mille dotti arnesi, Onde nobile ingegno alza la faccia E va di stelle, e non di fiere, in traccia. XII. Dolce mirar, quando col ciel voi siete, E sovra il volgo, vii v’ alzate a volo. (i) Venezia, 1724; II. 442. 4?2 ' GIORNALE LIGUSTICO Or sottilmente a misurar prendete Quanto dall’ orizzonte ascenda il Polo; Or nel suo bel meriggio il sol cogliete Con la scorta gentil d’ un raggio solo : Ora sforzate a dire i lor segreti Al vostro sguardo i Medicei Pianeti. XIII. Quando 1’ ingrata luna ecclissa il sole A mezzo un mondo, e piange egra Natura, E quando la terrena invida mole Il fraterno splendore a Cinzia fura, Notar’ attento i gran deliqui suole Vostro sguardo sagace, e li misura : Ond’ è mirabil vostro alto costume Far vostra luce un ecclissato lume. XIV. E ben luce vi fate, onde v" onora Il caro al Vatican saggio Bianchini; E vostro nome e vostro ingegno adora Degno del gran Luigi il gran Cassini, Del cui saver la fama è sì sonora Che lo porta del sole oltre i confini : E quante Anime belle, e dotti Eroi Han commerzio col ciel, 1’ hanno con voi. La scienza e la ricreazione prediletta nella villa Saivago era dunque l’astronomia. Quali occasioni spingessero Paris a preferire questo studio , non è detto nella corrispondenza che ci sta d’ innanzi, ma si può scommettere cento contro uno che lo si indovina. È come 1’ atmosfera nelle epidemie, in cui tutti i fenomeni fisiologici assumono una forma generale o predominante; o meglio, come il clima, il tempo, se volete, anche la moda attraggono a sè le fogge, i pensieri, le inclinazioni perfino dei più serii e non consci di subirne gli influssi. Nella prima metà del XVII secolo l’Italia era piena della fama di Galileo Galilei, delle sue scoperte di meccanica e d’astronomia, della sua invenzione ed uso del cannocchiale e va di- giornale ligustico 473 cencio. Ne poco giovavano a crescergli grido e contraddizioni, le discussioni, non raro anco agre ed irose, onde altri dotti argomentavano contro i dettati di lui. A tale gara pigliavano non piccola parte i genovesi, chi prò e chi contro. Il gesuita savonese Orazio Grassi, il più vivace ed il più conosciuto tra i suoi avversari, passò certamente la misura nel- 1 attacco , ma nessuno sconoscerà la sua dottrina ed il versatile ingegno nell’arte; anche i più imparziali a lui danno ragione contro il Galilei sulla quistione della natura delle comete. Il rapailese Fortunio Liceti, ornato anch’esso di varia, direi quasi, enciclopedica scienza, si tenne col celebre Pisano in più amichevole corrispondenza, ma pure differì da lui sulla causa della luce cenerognola che affetta la luna in date circostanze. Sulla quale questione 1’Hoefer dà torto al Liceti; ma il Barone De Zac lo loda di aver preveduto la fosforescenza della luna. Sopra una terza quistione, le leggi della gravità e la precedenza nella loro scoperta, Galileo ebbe vive gare col patrizio genovese Giambattista Baliani, illustre uomo di cui altra volta ragionai ma molto ancora avrei a dire. Prese le parti del Baliani il gesuita ferrarese Nicolò Cabeo , che mori professore di matematiche in Genova ed ebbe lode per le sue pubblicazioni sul magnete. Ma per contrario mostra-ronsi amici, fautori e corrispondenti di Galileo i nostri Bartolomeo Imperiale, Daniele Spinola e Tiberio dello stesso cognome; il quale ultimo gli scriveva da Anversa, chiedendogli uno de’ suoi cannocchiali (i). E veramente negli Spi- (i) Anche Bartolomeo Imperiale e Gerolamo Spinola gli chiedono o lo ringraziano di cannocchiali, telescopii, microscopii; e G. B. Pinelli è amico di Galilei e di Baliani. Vedansi le lettere mandate e ricevute tra questi due illustri e quelle altre con Liceti, Imperiale, Renieri, i due Spinola, inserite nelle Opere complete del Galilei, edizione di Firenze 1842-56. Sono in tutto lettere 58, che possonsi consultare facilmente pei ben ordinati indici nei volumi VI-X e nel XVI di supplemento. Le qui- 474 GIORNALE LIGUSTICO noia di quella età, come nell’ illustre naturalista marchese Massimiliano del nostro secolo, parrebbe innato l’amore alle scienze tìsiche e matematiche. Sovra questa stessa invenzione de’ cannocchiali disputata tra Galileo e gli olandesi, troviamo riferito dal P. Schyrle di Rheita, che un Giovanni Lippens di Zelanda avendo combinato due vetri, un convesso ed un concavo, vide gli oggetti più grossi e più ravvicinati. Di che stioni con Orazio Grassi sono riferite per disteso ivi stesso al vol. II. Sul Liceti ved. Hoefer, Hist. de l’astronomie, 1873, pag. 392; De Zac, Corresp. astronomique, Genova 1822, VII. 127, 237. Del Cabeo ecco un estratto ignoto fra noi, e fornitoci dalla vasta e cortese erudizione del principe B. Boncompagni. Quell’autore dopo detto che Galileo si loda troppo, e che infine non è egli il primo nella scoperta, soggiunge: ilio ipso anno quo prodiere dialogi Galilei, dum essem Genuae narravit mihi Io: Baptista Balianus nobilis genuensis, vir ingenio et eruditione illustris, se incrementum velocitatis demonstrasse multis ab hinc'annis quam quidquid a Galileo audiret, ut postea etiam tipis evulgavit longo post tempore. Ved. Cabei Nicolai, In quatuor libros meteorologicorum; Roma 1642, pag. 423. Ma lasciando andare questa e le posteriori difese accennate dallo Spotorno (Op. cit., V. 83), mi piace rammentare quella più recente ed onorevolissima pel Baliani: la dotta dissertazione del prof. Govi negli Atti della R. Accademia delle scienze di Torino (1866-67; v°l- Pag- 562 e segg.), ove egli è proclamato il primo scopritore della pressione atmosferica. Parecchie di queste notizie, nuove per la nostra storia letteraria, vorrebbero lungo discorso; per ora aggiungiamo soltanto che occasione a tale scoperta furono certamente i lavori pel nostro pubblico acquedotto, dei quali consta per atti pubblici avere avuta il Baliani più volte la soprintendenza. Giova però avvertire che colle 12 lettere tra Galilei e Baliani, inserite come sopra nelle Opere complete, si intrecciano altre sei, più tardi pubblicate dal eh. Giuseppe Sacchi negli Annali di statistica (Milano 1864; XVII. 314-23; XVII. 91-101). Altre quattro lettere del Baliani a B. Cavalieri sono ivi accennate come inedite (XVII. 505); due dello stesso al Castelli sono inserite nelle ripetute Opere complete (IX. 142-5); e per compiere l’epistolario all’infuori della nota collezione degli scritti del Baliani, per quanto è a mia notizia, additerò due lettere sue inserite nel Riccioli, Alma-gestum novum, 1651, vol. I, parte II, pag. 381. giornale ligustico 475 accolsi alla maraviglia i curiosi, e fra essi un marchese Spinola, questi comprò la macchinetta e ne fece dono all’ arciduca Alberto d’ Austria. Vedemmo più addietro un altro Spinola assistere in Genova agli sperimenti di Cassini, e il dotto Spotorno ci porge notizia di altri tre dello stesso cognome : Giovanni, che attendeva alla fisica e matematica verso la metà del XVII secolo ; Filippo, che professando a Napoli vi pubblicò un corso di filosofìa razionale e naturale nel 1660; e Francesco Maria Spinola che a detta del Soprani si applicò allo studio dell’ astrologia ; sotto al quale nome a que’ tempi si confondeva troppo spesso, in pratica come in teoria, 1’ uso e 1’ abuso dell’astronomia. Domenico Ceva dei Predicatori, oltre più scritti matematici, si tiene l’autore della Tavola della Liguria nell 'Italia del Magini. Infine un altro patrizio genovese, Francesco Montebruno, era tutto in co-strurre effemeridi astronomiche dal 1640 al 1660 , e le stampava in Bologna dedicandole all’ arcivescovo nostro cardinale Stefano Durazzo, che era allora legato pontificio in Romagna (1). Ma tornando ai seguaci di Galileo, il più fido, il più tenero e il più dotto de’ suoi allievi era Vincenzo Renieri, olivetano della nostra abbazia di santo Stefano; al quale nel (1) L’ aneddotto narrato dal P. Schyrle vedasi nell’ Hoefer, op. cit., pag. 398; e pare abbia qualche relazione colla lettera citata sopra nel testo di Tiberio Spinola, il quale viveva in Anversa e parlava dei cannocchiali d’ Olanda a lui ben noti, e imperfetti. Ved. Opere complete di Galileo, vol. XVI, pag. 146, sotto il 22 gennaio 1621. Sugli altri Spinola, sul P. Ceva ed altri matematici, ved. Spotorno, op. cit., V. 81 a 100, I\. 8. Il quale ha dimenticato il Montebruno sovra indicato nel testo, e il Sac-cheri di San Remo (1670-1733) di cui è l’elogio nei Liguri illustri (ediz. Grillo, II. 340). Giova inoltre consultare tutta la corrispondenza di Giannantonio Rocca nel Giornale dei Letterati di Modena (tomi 31-35), ove sono lettere dei genovesi, 0 se ne parla fra terzi. GIORNALE LIGUSTICO 1638 il maestro, divenuto cieco, affidava la cura di proseguire le tavole dei satelliti di Giove; per cui mezzo doveasi sciogliere più esattamente il problema del trovare le longitudini: opera vivamente desiderata non solo dai dotti, ma e dalle nazioni più fiorenti per potenza marittima incoraggiata con affidamenti di grosso premio. Il Renieri, come si sa , mori nel 1648 quasi improviso, e fino a’ nostri giorni si tennero per miseramente perdute le lunghe sue veglie (1). Ma il problema non tardò ad essere ripigliato da un altro ligure, il sovralodato Gian Domenico Cassini, che pubblicò le avidamente aspettate effemeridi con tutta quella esattezza che il suo grande ingegno e la scienza progredita richiedevano. Per tal guisa sull’ ardua quistione della ricerca delle longitudini si vede aver non poco meditato i nostri avi, vuoi con istudi teorici, come Paolo Internano nel XVI secolo, vuoi con osservazioni delle eclissi, come già nel Trecento maestro Giovanni da Genova ed Andalò Di Negro, di che altra volta ragionai, e come verso al tempo stesso di Galileo operò il beato Carlo Spinola, facendo a Nangasaki nel Giappone quella osservazione celebre, che ridusse la misura del continente orientale ad assai minore e più vera grandezza (2). Non sembra che il Cassini abbia visto le analoghe tavole del Renieri; però sappiamo che egli s’invogliò d’ astronomia in Genova e leggendo gli scritti di quel matematico suo concittadino. D’ altra parte egli stesso ci informa di un altro (1) Soltanto nel 1855 comparve alla luce una parte di quegli studi nelle sovracitate Opere complete di Galileo, V. 343-68; ed ivi fu annunziato che tutti i manoscritti del Renieri si conservavano insieme ai Galileiani nella Palatina di Firenze. (2) Ved. Riccioli, Geographiae reformatae, 1672, pag. 353 ; oltre le conseguenze che ne derivano Lelewel, Bonne, Montucla, Delisle, che non possiamo qui ripetere per filo e per segno. giornale ligustico 477 dei genovesi sovra lodati, che lo pose in via di conoscere gli studi anteriori intorno alla medesima quistione. Il siciliano Odierna aveva esso pure costrutto tavole dei satelliti gioviali, benché non troppo esatte; e queste furono fatte vedere al Cassini da Giambattista Baliani. I due valenti concittadini fenolo paiticolare conoscenza tra sè nel 1647; a guisa di due astii, 1 uno in tramonto, l’altro in ascesa, che incontrandosi si salutano e si comunicano la misteriosa parola della guardia loro affidata a perpetuare la scienza. Baliani di 65 anni parlo al giovane di 22, il quale tre anni dopo dovea salire nella dotta Bologna alla cattedra pocanzi illustrata da Bonaventura Cavalieri e da Gian Antonio Magini. In questo colloquio il primo fece vedere al Cassini un cannocchiale che per 1’ anzidetto Magini avea fatto costrurre il celebre Ticone Brache (1). Allorché queste cose accadevano, Paris Maria Saivago non contava che quattro anni ; ma Giambattista Baliani ne visse ancora 17; ed il costui figlio Bernardo, senatore come suo padre ed ambasciatore alla Corte di Francia per la Repubblica, sappiamo essere stato uno degli anelli, onde potè mantenersi viva la memoria de’genovesi in Cassini; allorché questi fu chiamato da Luigi XIV a far fiorire 1’ astronomia nella parigina Accademia delle scienze. Non é dunque ben certo che il Saivago abbia conosciuto di persona il Cassini prima della sua partenza per Bologna nel 1650: 'sebbene i convegni patrizi possono aver introdotto Paris di sei 0 sette anni nelle sale di Giambattista Lercaro; il quale, come già dissi, fu mecenate di Gian Domenico e lungamente 1’ ospitava nella propria villa. Ad ogni modo la fama del futuro grande astronomo cominciava a levarsi in (1) De Zac, Op. cit., 182$, I. 479-80, riferendosi ad una autobiografia del Cassini pubblicata a Parigi nel 1810 dal pronipote conte Cassini IV. 478 GIORNALE LIGUSTICO Genova e per le primizie de’ suoi studi, e pei versi da lui recitati nell’ accademia poetica che si tenne nel 1646 all incoronazione del Doge Luca Giustiniani. E molto più forse lo mise in voga il pronostico ond’ egli incoraggiò Ottaviano Sauli (1) ad assumere l’indirizzo della guerra per Innocenzo X contro i Farnesi; pronostico per lui dedotto dalle dottrine astrologiche allora in favore e che tuttavia sortì felice riuscita. Donde tanto maggior lode torna al Cassini d aver saputo ciò malgrado svincolarsi subito da que’ sogni, per darsi tutto alla vera e soda astronomia. Checchesia di ciò, Paris Saivago conobbe certo o riconobbe Gian Domenico a Parigi, in occasione della sovraenunziata sua missione in Francia dal 1672 al 76. Di fatto vediamo subito dal i.° aprile 1676 cominciare la corrispondenza tra i due valentuomini e continuare fino al 1704; sebbene, a giudicare dalle lettere che ci stanno sott’ occhio, non molto frequente. Frequentissima invece ci si mostra la corrispondenza del nipote di Cassini, Giacomo Filippo Maraldi, essendoci più di 270 lettere dal 1701 al 1723, nelle quali in sui primi anni questi si fa anche spesso l’interprete dello zio. Troviamo ivi l’impronta schietta di quel vincolo, che continuava a tener legati alla patria e all’ Italia i due illustri divenuti francesi. Veramente anche nelle Memorie dell’Accademia parigina delle scienze ricorrono più volte simili comunicazioni, col nome del marchese Saivago e degli abbati Rava e Barrabino; ma le lettere da noi vedute attestane; una corrispondenza continua che riveste il carattere non solo della scienza, ma e di stima reciproca, anzi di cordiale amicizia. (1) Erroneamente chiamato Solio da Fabroni, Corniani ed altri biografi del Cassini. Ottaviano Sauli era già sergente maggiore e valoroso nei fatti d’arme del 1636 (Capriata, Historia, II. 233, 248-49, 261-62). Ma il fatto a cui si allude nel testo dee essere avvenuto nel 1649, per le quistioni del Papa con Ranuccio II sul Ducato di Castro. giornale ligustico * 479 Nè ciò solamente tra Barrabino e Saivago, Saivago e Maraldi, Bari abino e Maraldi, ma tra questi ed il gesuita Lavai astronomo a Tolone e Marsiglia, e Gaetano Fontana di Modena, e Gabriele ed Eustachio Manfredi a Bologna, oltre il già lodato Francesco Bianchini di Roma. Paris Maria posto quasi a meta cammino tra quegli illustri e in una città d’ operosi commerci, si piaceva costituirsi centro di corrispondenza e materiale e intellettuale; e non è a dire quanto essi se ne vantaggiassero, e come gli prodigassero il frutto delle loro meditazioni, consigli, aiuti, disegni e strumenti scientifici fatti costi urre sotto la personale loro sorveglianza. Vanno tutti a gaia a chi più può nel lodare il suo zelo e profitto nella scienza, nel chiarirgli i punti dubbi, nel dargli conto delle quistioni agitate, delle nuove invenzioni e proposte; ed egli li rimerita incoraggiandoli a rivolgersi a lui anche per mteiessi privati o per,onesti favori a terzi; e perfino adopera 1 innocente seduzione di frequenti invii al loro indirizzo di paste, cioccolato e tabacco: squisiti doni dell’ industria o del commercio patrio. Ma singolare tra codesti corrispondenti è il Maraldi, le cui lettele rivelano una bontà piuttosto unica che rara. Ad ogni linea sua traspare il grandissimo affetto eh’ egli nutre per lo zio ottuagenario, di cui descrive 1’ operosità instancabile ri-posantesi nella poesia allorché 1’ affatica la scienza, e la severa semplicità de costumi nella famiglia e nel senso religioso, per cui chiede un uffizio a grossi caratteri per le preghiere e si conforma tuttora nei digiuni alle non più per lui dettate prescrizioni ecclesiastiche. E Cassini e Maraldi portano grande affetto a Saivago, essendo fra loro comuni le gioie e i lutti delle famiglie ; onde, come vi si assiste alle nozze che fecero passare 1 eredita dai Saivago nei Pinelli, così si assiste alle nozze di Giacomo, il secondo Cassini, e alla nascita del terzo, Cesare Francesco Cassini dì Thury: celebre e grande famiglia che 480 * GIORNALE LIGUSTICO cessò appena nel 1845 col quarto Cassini, Giacomo Domenico, morto a 98 anni (1). Il Maraldi è largo d’ istruzioni e incoraggiamenti, di copie, di calcoli e disegni al Saivago in tante e lunghe lettere, che non si capisce come avesse agio a scriverle fra le sue moltiplici occupazioni ufficiali e volontarie. Egli cura altresì gli interessi a Parigi della famiglia Saivago, e tocca secondo i casi nella corrispondenza anche delle questioni estranee, che più occupavano i contemporanei : l’appello de’ vescovi al futuro Concilio ; i gesuiti ed i riti cinesi ; la prima diligenza 0 celere introdotta in Francia, e simili : ma più lungamente d’ogni altro avvenimento, vi hanno luogo le famose azioni del Missisipì e i biglietti di banco di Law , a quaii però egli ha il buon senso di non credere fin dal principio. Racconta dei genovesi Cambiaso e De Ferrari che sono corsi a Parigi a studiare il curioso fenomeno ; quindi passa a narrare le sùbite fortune, le carrozze moltiplicate, il lusso sfrenato, a poco a poco la depreziazione della moneta, i dubbi, i rovesci, le rovine. Rivolgendosi più volte alle cose nostre, 1’ amico di Saivago s’ informa delle miniere che si vanno ricercando sui monti della riviera occidentale; chiede il preciso ragguaglio delle monete, dei pesi e delle misure genovesi con quelle di Francia, e vi istituisce egli stesso e fa istituire alla zecca prove ripetute. Chiede delle appariscenze dei monti di Corsica dal nostro lido, e dell’ angolo, di posizione di quell’ isola con (1) Anche la famiglia Maraldi continuò a fiorire in Francia con Gian Domenico nipote del qui lodato Giacomo Filippo, e fiorisce tuttora a Pe-rinaldo nella Riviera occidentale di Genova, sotto-prefettura di San Remo. A sproposito quasi tutti i biografi di Cassini e Maraldi attribuiscono la loro patria Perinaldo alla Contea di Nizza. Inoltre il primo Cassini studiò in Genova ; si dichiara g emensis egli stesso nei primi scritti, e conservò viva memoria de’ suoi maestri e dell’ antica patria. Ved. Fabroni, Vitae italorum doctrina excellentium; Parigi, 1779; IV. 299, 313. giornale ligustico 481 enova, e ricevutene risposte e disegni che lo soddisfano, propone nuovi quesiti che riescano a ben determinarne la longitudine e latitudine; colla quale occasione troviamo pure le misure d altezza dell’ Osservatorio di Carbonara e del nostro Faro coi rispettivi azimutti. Non fa duopo dire che la prima, la fondamentale ricerca tra Maraldi e Saivago fu la posizione astronomica di Genova e di Savona. Già nel 1680 quando Paris andava, come dicemmo, a quest’ultima città Commissario per la Repubblica, Cassini lo pregava a studiarne la latitudine e la longitudine. Cassini medesimo le determinava più esattamente per Genova al suo giungere qui nel 1694, presenti i patrizi sovralodati ; e ripeteva le prove al ritorno nel 1695. Ma il nipote di lui non si teneva mai pago di provare e riprovare i calcoli ad ogni nuova osservazione, coi mezzi che la scienza progredita consigliava. Maraldi desidera da Saivago ed ottiene mano mano tavole giornali di osservazioni meteorologiche col barometro , termometro e stato del cielo, e ringrazia per quelle avute da parecchi anni senza interruzione : come difatti noi ne abbiamo sott occhio almeno un frammento per gli anni 1713-14. Dove le osservazioni termometriche sono fatte con metodo e base anteriore a quella di Reaumur, cioè con uno strumento simile all’ usato contemporaneamente nell’ Accademia francese. Anche l’abbate Gaetano Fontana di Modena chiedeva al Saivago 1’ angolo di posizione tra Genova e Savona ; gli chiedeva inoltre un catalogo 0 qualche notizia sulle latitudini di altre città d’Italia ; e questa istanza faceva anche a nome di Lodovico Antonio Muratori, il quale del nostro astronomo avea molta stima (1). E che la fama di Paris fosse sempre ere- I (1) Vi sono anche due lettere inedite del Saivago al Muratori degli anni 1703-6, nell’Archivio Muratoriano a Modena. Ved. Scritti inediti di Lud. Ant. Muratori; Bologna, 1872; pag. 293. « 32 482 GIORNALE LIGUSTICO sciuta cogli anni , ne è prova una lettera dell’ illustre geografo Delisle, il quale fino da Pietroburgo il 10 agosto 1726 scrive ad Agostino Saivago, compiangendo la recente morte del padre di lui, palesa la sua venerazione per una casa protettrice della scienza astronomica, dice aver comunicato a Paris Maria le osservazioni proprie sul pianeta Mercurio, e desidera che gli vengano trascritte tutte le possibili notizie raccolte dal Saivago sulle latitudini, ed ogni altra di lui osservazione, il cui valore scientifico lo scrivente molto apprezzava. Riunendo colle finora citate le altre corrispondenze al Saivago di Bianchini e di Eustachio Manfredi, ci formiamo come uno schizzo dello stato dell’ astronomia in quel tempo, delle quistioni che vi si agitavano , dei perfezionamenti che si ottenevano o si stavano tentando. Questa scienza avea vinto da non gran tempo le principali difficoltà, che già si erano opposte al suo svolgimento. Il sistema di Copernico avea trionfato col Galilei, sebbene ancora recentemente non ci volessero credere uomini dottissimi come il Riccioli, e fra i nostri il Baliani e 1’ aristotelico Fortunio Liceti ; come anche nelle corrispondenze di Saivago troviamo le traccie di simile lotta, le ultime oscillazioni di un movimento che si andava spegnendo. Nel tempo in cui Paris sui consigli del Cassini stava applicandosi all’ astronomia, Newton maturava la sublime teoria della gravitazione universale, il cui valore però non fu apprezzato fino a più anni dopo defunto il nostro patrizio. Ma già Galileo aveva inventato il cannocchiale; e Mo-rin, poi Picard lo aveano applicato alla misura degli angoli negli strumenti graduati. Il senatore Malvasia, che chiamò il giovane Cassini all’Università di Bologna, aveva inventato il micrometro a fili fissi; e Auzout, poi Louville lo aveano perfezionato rendendo mobile il filo. Colle quali scoperte e si poterono ravvicinare alla vista ingrossati i corpi celesti, per giornale ligustico 483 1 addietro oscuramente 0 punto veduti ; e fu ottenuta una esattezza nelle misure delle relative distanze, che gli antichi non avrebbero sospettato possibile. Armati di tali pode-lose forze Galileo, Cassini, Huygens aveano scoperto un nuovo mondo di satelliti; e con quelli di Giove erasi manifestato il grande vantaggio della loro applicazione alla ricerca delle longitudini, come sopra fu detto. Si continuavano gli studi per crescere sempre più forza ai cannocchiali, togliendo i lunghi incommodi tubi per sostituirvi obbiettivi fissi nel muro, e oculari mobili in spaziosi locali. Frattanto Neper e Briggs colla invenzione de’ logaritmi aveano facilitato il calcolo cosi lungo e noioso nelle operazioni trigonometriche. Di tali 0 simili investigazioni vediamo occuparsi anche le nostre corrispondenze. Per esempio si applicano anche a Genova sino dai primi tempi le effemeridi dei satelliti di Giove, a rendere più esatta la distanza del meridiano nostro da quello di Parigi: più e più volte vi si parla del sistema usato dal Bianchini per sopprimere i tubi nei cannocchiali, e degli effetti che ne risultano nelle osservazioni celesti. Vi si dice delle proporzioni tra gli obbiettivi e gli oculari; vi si nominano i più valenti ottici di quella età ; oltre i noti Campani, Bas, Lusbergh, Butterfìeld, i meno noti, ma non meno abili per giudizio di quei dotti, i sacerdoti Andrea Chiarella di Vicenza, che rese più facile l’invenzione dell’Evelio, e Don Pietro Hellimans fiammingo ; entrambi allora dimoranti a Roma. Ivi pure ragionasi del perfezionamento dei micrometri 0 simili strumenti per misurare i diametri apparenti dei pianeti. Troviamo nelle medesime lettere notizie e disegno della cicloide per la sua applicazione al pendolo; notizie di comete, di macchie del sole, della macchina parallatica, di un piede più comodo inventato dagli orologiai genovesi per sostenere il quarto di circolo. Si tiene d’ occhio la quistione che ancora 484 GIORNALE LIGUSTICO pochi mesi fa attraeva P attenzione d’ ogni uomo colto : i passaggi di Venere e Mercurio sul disco del sole, e le applicazioni che se ne sperano ; onde il Maraldi comunica a I aris il catalogo di que’ passaggi compilato dall Halley, 1 acuto scopritore di tale mezzo. Barrabino e Saivago si lagnano or coll’ uno or coll’ altro dei dotti delle differenze da essi scoperte tra le osservazioni e le predizioni delle effemeridi, e il Maraldi vi scherza sopra, rimproverando a Paris d aver preferito 1’ Ordoffizio francese al Romano, cioè la Connaissance des temps del Lieutaud alle predizioni del Bianchini. Ma da altra parte si lodano i genovesi di buon metodo, si congratula al Saivago che indovina talora delle soluzioni appena accennategli, e in generale agli amici e alla nobiltà genovese che piglia diletto nell’ astronomia. Il Bianchini ringrazia Paris d’averlo avvertito dell’opportunità d osservar Giove (1)5 e gli parla d’ un suo progetto di metodo più spiccio per calcolare le eclissi senza usare la trigonometria. Gli dà pure avviso mano mano del progresso nella da lui intrapresa misurazione del meridiano per 1’ Umbria da mare a mare, da Rimini a Corneto, che sventuratamente non potè condurre a perfezione. Per simil guisa il Manfredi gli parla spesso dell’ Osservatorio di Bologna in costruzione, lagnandosi, non senza reticenze significative, del lento procedere e degli ostacoli che sempre più viva gli rendono la sete di trarne profitto. Tanto più felice è il Maraldi di annunziare compiuta nel 1718 la gran linea meridiana della Francia colla misurazione da lui e dal secondo Cassini intrapresa da Amiens a Dunkerke; della quale misurazione si compiace inviare al Saivago la serie de’ triangoli colle loro cifre. (1) Ved. anche Blanchinius, Observationes astronomicae et geograplncae (1737) pag. 72; ove l’autore confessa aver osservato una macchia nel sole sull’ avviso avuto da Saivago. Ivi è fatto cenno più volte di Paris. giornale ligustico 485 Finalmente non mancano cenni di alcune quistioni, a quei tempi ancora oscure e solo assai più tardi risolute. Tale la diminuzione secolare dell’eclittica, che Manfredi ammetteva a buon dritto concordando col Louville, laddove dissentivano Maraldi e Mazezieux. Tale la questione del verso per cui do-veasi ammettere lo schiacciamento della terra, essendo commossi ed esitanti i dotti tra la più giusta opinione di Newton e le affermazioni del secondo Cassini, i cui nuovissimi-risultati pareano allora contrarii (1). A tali studi e corrispondenze prende non piccola parte il già lodato P. Lavai, inviando copia d’osservazioni pel Sal-vago e per gli amici d’Italia. Quel gesuita professore d’idrografia c’ informa pure aver egli indirizzato alla Signoria di Genova la memoria a lui domandata sui lavori da farsi per la sicurezza del nostro porto (2). Egli fondatore dell’ Osservatorio di Sainte-Croix a Marsiglia è così appassionato per l’astronomia, che dichiara voler mourir la lunette à la main. E per simil guisa tutte le sue lettere sono amene a leggersi per certo tono drammatico e nella sostanza e nella forma, e non tralasciano di sorriderne a quattr’ occhi con Paris il Maraldi e il Bianchini; quest’ultimo notando, che ogniqualvolta gli recano una lettera di Lavai, gli sembra ricevere il diploma d’investitura del Regno. Nè egli stesso il gesuita si astiene dallo scherzare sui proprii casi; ridotto come era in cattive acque dalle recenti crisi economiche della Francia. In una lettera del 26 novembre 1710, dopo ringraziato Paris (1) Ved. anche De Bononiensi scientiarum Instituto; Bononiae; I. 263, 596. Manfredi rammenta le operazioni di Sai vago, Barrabino e Rava più volte nelle sue Effemeridi stampate per gli anni 1715-25 e 1726-37. (2) Lettere del 14 settembre e 5 dicembre 1723 nelle quali vi si trattava dell’aumento al Molo vecchio. Anche il Cassini passando per Genova (1694-95) fu interpellato dalla Signoria sui miglioramenti da farsi al nostro porto. Ved. Fabroni, Op. e pag. citate. 486 GIORNALE LIGUSTICO delle due qualità di tabacco regalatogli, e dichiarato di preferire celui a V amandola a quello detto 1’ agréable continua : « le ne pourray de ma vie rien faire pour réconnoitre tant de marques d’une singulière bonté;.....mais comment vous y attendre d’un pauvre jesuite astronome, qui n’est bon qu’a faire quelques observations così così? Je vous payerai donc de cette monnoye du mieux que je pourray: .aussi bien n’en avons guère plus d’autre en France .... Le Roi ne (ine') paie pas depuis trois ans, malgré les let^ très touchantes et pathétiques que j’ay écrit à Monsieur de Pontchartrain, dans les quelles j’ay épuisé toute ma rétho-rique; lettres qui m’ont attiré de grands éloges du Ministre, mais point d’argent: ne anche un quattrino ». La lettura del socio Desimoni verrà proseguita nella successiva tornata. XIX. Assemblea Generale. Tornata del 30 Maggio 1875. Presidenza del Presidente comm. Antonio Crocco. Vengono proclamati undici soci effettivi; e ne sono proposti altri quattordici. Il Segretario Generale annunzia e presenta le opere delle quali è stato fatto recente omaggio all’ Istituto ; e presenta del pari il catalogo della Biblioteca della Società. Si delibera che la Società concorra per Lire cinquanta alla sottoscrizione testé aperta, per promuovere 1’ erezione in Sassari di un monumento all’illustre Pasquale Tola. Procedendosi alla votazione per la rinnovazione parziale dell’Ufficio di Presidenza, risulta confermato nella carica di GIORNALE LIGUSTICO 487 Presidente il comm. Antonio Crocco; e sono eletti a consiglieri i soci avv. Cornelio Desimoni ed avv. Tito Franchi. XX. Sezione di Storia. Tornata del 5 Giugno 1875. Presidenza del Vice-Preside march. Massimiliano Spinola. Il Vice-Preside legge una sua Nota su V ambasciata di Ugo Fieschi in Inghilterra nel 16jj. Premesso come la Repubblica di Genova' avesse mandato questo patrizio ad Oliviero Crom-well nella guisa stessa in che Lazzaro Spinola era stato spedito alla Corte di Francia, affinchè quei potenti Stati volessero interporre i loro uffici presso Filippo IV di Spagna, nello intento di far togliere il sequestro bandito nel 1652 sui beni dei genovesi in Lombardia e nel Napolitano, ed accennato alla piena riuscita di si fatta legazione, piacesi rilevare come al Fieschi fossero impartite singolari istruzioni dirette a consolidare vieppiù l’amicizia fra Genova e l’Inghilterra. Doveasi un tale scopo sortire in ispecie mercè un qualche provvedimento vantaggioso al commercio genovese ; e perciò il Fieschi propose al Lord Protettore che avesse da emanare un decreto in virtù del quale i genovesi dovessero in tutti gli Stati e possedimenti britannici venir trattati con le stesse prerogative onde godeano i sudditi inglesi. La proposta ebbe favorevole accoglimento da parte del Cromwell, ma non 1’ ottenne del pari da una Giunta che questi delegò ad esaminarla; la quale anzi si chiari avversa ricisamente a qualsivoglia provvidenza, che uscendo dal sistema protezionista accennasse a favorire il libero scambio. Nè valsero a smuovere gli ostacoli le calzanti osservazioni del Fieschi, tendenti a dimostrare 1’ utilità che la Brettagna doveva attendersi da una convenzione fra i 4ss GIORNALE LIGUSTICO due Stati poggiata sulle basi della sua proposta ; bensì da tali osservazioni si può argomentare come Genova parteggiasse fino dalla metà del XVII per quelle dottrine che in seguito furono svolte da Adamo Smith, e solo cento cinquanta anni più tardi vennero attuate da Husckisson e da Roberto Peel. I pregiudizi dei consiglieri del Cromwell non erano però divisi dal celebre Protettore, il quale sapeva per prova quanto all’Inghilterra fosse tornata esiziale la nota Legge di navigazione del 1651; nè è improbabile che i negoziati si sarebbero ripresi in altro tempo, se la morte di Oliviero non avesse riciso il filo delle concepite speranze. RASSEGNA BIBLIOGRAFICA Studi sul miglioramento e sull’ ampliamento del porto di Genova. Relazione dei signori prof. comm. Fortunato Ciocca e cav. Wladimiro Chiavacci (Nella Rivista Marittima, anno VIII. Fase. XI. Roma, Tip. Barbera, pag. 331-383, con 28 tav.). Navibus, ingeniis, opibus, merce, artibus, armis Virtute, imperio, nobilis est Genua. Fino dal secolo XVII s’ erano volti i pensieri de’ nostri maggiori ad avvisare ai più efficaci modi di sopperire, non solo alla ristrettezza ed alle mancanze del porto, ma eziandio a difenderlo dalle traversie del mare e dalla violenza dei venti. Frutto di sì fatti studi fu appunto il nuovo molo, eseguito per magistero di quell’ Ansaldo De Mari troppo dimenticato dalle storie, ma che ebbe fama di valente matematico, comecché l’opinione sua intorno alla immobilità delle acque del nostro mare, alla profondità di 15 palmi, secondo la quale gettò il molo staccato da terra dritto e senza scarpa, venisse fino dal suo tempo confutata da un altro fecondissimo ingegno ligure; GIORNALE LIGUSTICO 489 vogliamo dire Filippo Bonino da Chiavari, appunto in quel suo libro intitolalo II Tevere incatenato (1), che potrebbesi senza meno leggere con buon frutto oggidì dai grandiosi progettisti romani, eziandio potendo valere a mostrare la verità del vecchio adagio nil sub sole novi (2). La confutazione di che abbiamo qui toccato si palesò infatti giustissima, imperciocché quell’ opera grandiosa gettò larghi fendimenti, e fu uopo congiungerla alla terra e difenderla con una grande scogliera. Ma non era per anco provveduto con ciò alla sicurezza ed alla comodità del porto, ond’ è che al celebre Cassini sottoposero i Padri l’arduo quesito, ed egli fu che propose il prolungamento del molo orientale. Intanto al fine medesimo avea indiritti i suoi studi 1’ agostiniano Giacomo Maria Figari, il quale in un operetta sull’ arte di costruire, conservare e difendere i porti (3), dopo aver parlato in più luoghi del porto genovese, vi dedicò un intero capitolo proponendo anch’egli speciali lavori. Dal Professore d’idrografia Lavai a petizione del Governo era pur redatta una speciale memoria sul soggetto istesso nel 1723, come si ha da una sua lettera inedita a Paris Maria Saivago (4). Più tardi, cioè dopo i prolunga-nienti del molo vecchio eseguiti in più volte nel 1728, 1738 e 1777, parve utile all '^Accademia Ligustica occuparsi dell’ importantissima quistione, e come eccitamento pose a concorso nel 1784 il primo premio d’architettura militare sopra il tema seguente : « Levare il piano del porto di Genova; fissare la posizione siasi dei ponti che dei moli ; esaminare 1’ esposizione del medesimo, e indicare il mezzo meno dispendioso, e più (1) Roma, Moneta 1663; pag. 273. (2) Questo adagio può anche valere per gli studi volti a salvare i sommersi; studi già fatti in Genova sul mezzo del secolo passato, come si pnò vedere dagli ^Avvisi 1777-1781. (3) Genova, Scionico 1702; pag: 49, 54, 57, 86, 139. (4) Vedi Giornale Ligustico, anno 2.0. pag. 485. 32* 490 GIORNALE LIGUSTICO facile ad eseguirsi per metterlo al coperto dai venti, che lo comandano » (x). Ma parve in questo tempo facessero diletto fra noi quei spiriti pronti e laboriosi, cui fosse dato con speranza di felice riuscita togliersi il carco non lieve; forse non v’erano uomini da ciò, forse li impauri il grave pondo; ceito è che niuna memoria venne presentata (3). Ben avea con sollecitudine il Governo, in occasione dei prolungamenti del molo orientale, inteso il parere di competenti matematici quali il celebre Ximenes (3), l’ex-gesuita Cor-reart e lo scolopio Sanxay, professori entrambi nel nostro Ateneo, l’uno di matematiche superiori l’altro di fìsica sperimentale (4) ; non che il capitano Castagnola. In appresso scrissero più specialmente sulla risacca il maggiore-ingegnere Codeviola, il P. Gaudio e Luigi Maineri. Nè dopo le rivolture del 1797, ed il successivo cambiarsi di reggimenti si obliarono studi cosi importanti, • chè fra i temi proposti nel 1806 dall’ Instituto Ligure havvi il seguente: Per quali me^i, e con qual metodo si possa rendere più sicuro e più comodo il porto di Genova; sopra il quale soggetto avea già dettato fin dall’anno innanzi una memoria Andrea Tagliafichi, e ne prometteva una seconda atta a provare di quanta efficacia dovea essere l’opera da lui proposta per impedire i tristi effetti della risacca. Non sappiamo se questa seconda egli abbia scritto, ma in quanto alla prima ci palesano gli atti non sortisse l’onore d’esser letta nelle pubbliche sessioni dell’Istituto. Fatto è, che in quella medesima seduta privata in cui la pro- (1) .Avvisi anno 1784, pag. 42. (2) ^Avvisi anno 1786, pag. 2. (3) Questo dotto fu in Genova nel maggio del 1784. ^Avvisi di detto anno, pag. 169. (4) Isnardi e Celesia, Storia dell’ Università, T. II, pag. 6. 69, 74. Il Correart morì li j ottobre 1794 (Avvisi, pag. 315); e li 27 ottobre fu eletto in suo luogo Pab. Multedo (ivi, pag. 380). GIORNALE LIGUSTICO 49 1 posizione della pubblica lettura dello scritto accennato era ritirata, veniva bandito il tema qui innanzi trascritto (i). Ma 1’ Instituto non si tenea pago d’ aver proposto quel tema, e deputava a chiarirlo maggiormente l’ing. Gaetano Cantoni, dal quale era per ciò dettata una opportuna ed interessante dichiarazione, donde si manifestano le intenzioni dell’ Accademia circa allo svolgimento del soggetto. Egli reca in breve il novero di coloro che più specialmente scrissero sulle migliorie da introdursi nel porto, ed accennando ai tre ultimi che ragionarono sulla risacca così si esprime: « Codeviola diede alle stampe un’ operetta nella quale non molto felicemente, nè colla maggiore esattezza intese di provare più efficace ad impedire la risacca il prolungamento del molo occidentale che quello dell’ orientale ; Maineri in una ben ragionata ed elegante memoria manoscritta, per l’immatura sua morte perdutasi, immaginava alcuni lavori lungo la periferia del porto dalla punta fra S. Lazaro e S. Teodoro fino a tutta la darsena; ed il P. Gaudio ostinatosi a negare la risacca forse più nel vocabolo che nella sostanza, fece pervenire nelle mani del Magistrato una memoria poco o nulla applaudita, e più vivamente confutata da penna anonima » (2). Quanto all’opinione del Cassini che 1’ utilità maggiore doveva ritrarsi dal prolungare il molo vecchio anziché il nuovo, perchè venivasi così a coprire dalle traversie di libeccio una parte maggiore del porto, la trova non atta a combattere la risacca, imperciocché la portione del rombo di libeccio che dirittamente percuote le mura presso S. Teodoro, dalla stessa riflessa tramanda il flusso (1) Verbali autografi dell’Istituto. Bibliot. Univers. E. V. 31. (2) Sono alle stampe le operette del Codeviola e del Gaudio, come che assai rare. — Il Maineri morì li 17 luglio 1793 ! e Avvisi, de quali era cooperatore, ne recano una breve biografia (pag. 225). Nell’ i-stesso anno morì anche il Gaudio (ivi, pag. 49; e Spotorno, Stor. Lett. T. V, pag, 106). 492 GIORNALE LIGUSTICO e riflusso de’ suoi cavalloni accresciuto dall’ ineguaglianze del fondo, fino al più recondito seno del porto con gravissimo incomodo e pericolo de’ bastimenti ivi stazionati. A questo non provvidero ne manco il Castagnola, il Ximenes, il Correart e il San-xay, i quali se lievemente dissentirono e col Cassini e fra loro sulla direzione, convennero poi in tutto col celebre matematico da Perinaldo, circa al prolungare il molo vecchio. Desume da ciò giustamente il Cantoni, che fino al suo tempo non era per anco uscita una memoria, la quale prendendo in esame i difetti, bisogni, disagi e traversie a tutto suggerisca valevole ed opportuno riparo. Ond’ è che 1’ Accademia proponeva ai dotti siffatte indagini, volendo che onninamente con chiarezza e con prove matematiche mirassero a proporre e dimostrare. « i. Quelle addizioni di moli, o quelle altre opere che entro o fuori de’moli stessi crederanno efficaci a garantire il porto dall’ ingresso diretto della maggior parte del rombo di libeccio e mezzogiorno-libeccio. — 2. Quei mezzi che valevoli riputeranno ad impedire affatto o a notabilmente diminuire la cosi detta risacca tanto nelle sue cause quanto ne’suoi effetti. — 3. Il modo più pronto ed economico di purgare il porto, di mantenervi la necessaria profondità ed eguale livello del fondo, e di deviare le materie che dalla città, e dalle sovrastanti colline vi discendono a rialzamelo disugualmente. — 4. Accresceranno pregio alle memorie de’ concorrenti quelle osservazioni che sagacemente facessero, circa il modo di supplire a quegli accessori di maggior comodo, de’ quali manca non meno il nostro porto che il portofranco » (1) . Non sappiamo se i dotti abbiano risposto co’ loro scritti al desiderio dell’ Accademia, chè non sortimmo trovarne memoria alcuna. Gli studi ed i lavori eseguiti nel secolo nostro è soverchio il ricordare, poiché ognuno ben li conosce; sì come (1) Vedi lo scritto del Cantoni nella Biblioteca Univers. Ms. F. V. .23 giornale ligustico 493 è manifesto all’ universale che non anco sopperiscono all’ uopo, specie dopo le grandi arterie commerciali e aperte e in via di esserlo, mercè le quali ha Genova nostra a mille doppi aumentata la sua importanza ; chè se a’ tempi di Strabone poteva dirsi emporio dei liguri, oggi può veramente appellarsi emporio del mediterraneo. E ciò fia detto con più ragione qnando, mercè la munificenza del grande Patrizio, avrà per fine un comodo e capace porto, e sarà in tal modo « restituito a Genova nostra il primato che le compete fra le città commerciali del nostro mare » (i). Il fatto appunto de’ molteplici e non lievi difetti del porto genovese, fece sorgere a’ nostri di una schiera di prestanti ingegni, i quali si proposero studiare a fondo e di proposito il modo di dotare la città nostra d’ un’ opera grandiosa e perfetta. Ben diciannove furono i progetti elaborati e tutti dottamente svolti con l’uguale fine del bene, quantunque diversi nella forma enei particolari; a questi altri se ne aggiunsero di poi. I chiarissimi comm. Ciocca e cav. Chiavacci, a petizione della benemerita Società di Letture e Conversazioni Scientifiche, studiarono con amore e diligenza grande tutte siffatte proposte, ponendole fra di loro a cimento, rilevandone gli inconvenienti e dichiarandone la utilità. Non trascurarono quegli egregi cosa alcuna, affinchè il giudizio che si apprestavano a porgerne al pubblico fosse il più pensato ed il più razionale, avendo perciò attinto utili avvedimenti in viaggi che vollero per tal cagione intraprendere. Ed ecco in fatti che ora esce la prima parte della loro gravissima ed autorevole relazione, informata ai più profondi principii della scienza e dell’ arte ; quale era da aspettarsi dalla loro dottrina. Noi veniamo ultimi a sciogliere debito di giusta lode e all’ Isti- (i) Parole del Duca di Galliera in risposta al Municipio. Gaietta di Genova, anno 78, num. 200. 494 GIORNALE LIGUSTICO tuto che tanto amore palesò verso la patria, e ai suoi relatori che tanto bene risposero al mandato; ma teniamo molto a dichiarare, che non è questa conseguenza di quella mutua ammirazione onde furono notate, certo con aperta ingiustizia, le istituzioni intellettuali della nostra città. Sembraci un fuor d’ opera dilungarci in riassumere la citata relazione, dopo che se ne sono veduti importanti articoli e ne’ giornali cittadini e d’ altronde; ci terremo paghi d’ accennare che da essa risulta, come la Commissione genovese votò ad unanimità contro il principio di massima della bocca a levante, e che quello della bocca a ponente, messo a confronto con l’altro delle dighe, venne accettato a grandissima maggioranza. Dagli studi fatti dai relatori in base al voto espresso dalla Commissione suddetta, risulta che le opere esterne per migliorare e ingrandire il porto di Genova dovrebbero essere tali da assicurargli un antiporto con bocca a ponente, ampia, foranea, lontana dalla costa, di facile entrata specialmente coi grandi fortunali di mezzogiorno-libeccio e coi venti regnanti di tramontana e di scirocco, atta pure ad assicurare la tranquillità del porto attuale, escludendo da esso e dall’avamporto 1’ azione diretta delle onde da mezzogiorno-libeccio e di scirocco, e rivolta in modo da deviare le correnti litoranee che possono produrre insabbiamenti. E qui faremmo punto se la ragione storica del nostro giornale non ci consigliasse a dire alcunché intorno alle osservazioni meteorologiche nel passato secolo, delle quali si tocca nella relazione. Ivi adunque ricordasi il giornale meteorologico lasciato da Domenico Franzone ed illustrato in una dotta memoria dal-1’ Ab. Multedo, lamentando che sì fatto manoscritto non abbia veduto la luce. A noi parve trovare qualche traccia degli studi scientifici del Franzone. Nanzi tutto convien accennare, GIORNALE LIGUSTICO 495 come le osservazioni abbiano avuto incominciamento in Genova già fin dal cadere del secolo XVII, per opera di egregi concittadini nostri capitanati dal patrizio Paris Maria Saivago, la cui corrispondenza col Cassini, col Maraldi, col Manfredi e con altri dotti, ha porto il destro all’ amico nostro cav. Desimoni d’intrattenere la Società Ligure di Storia Patria con un’ elaborata e affatto nuova memoria, che incomincia oggi a veder la luce in questo Giornale. Ad essa quindi rimettiamo i nostri lettori. Che poi dopo di essi nel millesettecento fossero continuate le ridette osservazioni, ce ne è prova manifesta una notizia comparativa delle modalità termometriche del febbraio 1782 con quelle degli anni, si noti bene, 1767, 1766, 1754, 1742, 1740 e 1709, recataci dagli Avvisi (1). Ed è appunto in questo importantissimo periodico del passato secolo (1777-1797), che noi leggiamo non poche notizie di osservazioni meteorologiche le quali diventano mensili nel corpo del giornale 1’ anno 1784, per uscire poi in capo ad esso regolarmente per ogni mese, e sotto il loro più vero titolo dal 1785 a tutto il 1789. Qualche cenno ve ne ha poi saltuariamente eziandio negli anni posteriori. Or bene noi vorremmo quasi affermare che cotali osservazioni erano comunicate al giornalista dal Fran-zone; ce ne conforta il tempo, e più il metodo onde sono esposte, uniforme a quello del nostro patrizio esplicato dal Multedo; con questa differenza che qui egli raccoglieva in quadro mensile le osservazioni giornaliere. Ma v’ha, secondo noi, un’altra ragione. Chi apre gli Avvisi all’ anno 1784 trova nel N. 21 la notizia d’ un libro del celebre Ab. Toaldo uscito di recente con questo titolo : Sbozzo della costituzione meteorologica dell’anno 1783; ed ivi è detto dall’articolista che nel libro si vedono le osservazioni fatte in Genova da un culto soggetto, e poi nel N. 23 si riportano quelle che riguar-dono la pioggia. Il culto soggetto era senza meno il Fran-zone;e da quest’ anno appunto 1784 cominciano, come abbiamo detto, le osservazioni meteorologiche negli Avvisi. Anche noi facciamo voti che possa in qualche luogo ritrovarsi il lavoro del dotto genovese, onde possa essere soggetto di studio ai scienziati de’ nostri di; intanto ci è sembrato non inutile sporre queste nostre osservazioni, dalle quali sì come rilevasi che la scienza ebbe sempre cultori in Genova, (1) Pag- 57 49 6 GIORNALE LIGUSTICO potrà, per avventura, apparire eziandio che non rimasero affatto inedite le fatiche di Domenico Franzone (x). BOLLETTINO BIBLIOGRAFICO Pensieri t Discorsi in materia di lettere, di Giovanni Franciosi. — Modena, Tipografìa dell’immacolata, 1875. Belissimo libretto è codesto, dove trovasi acconciamente congiunta saggezza di precetti e rettitudine di giudizi. Semplice e soave ne è lo stile, senza ombra di artifizio o sdolcinata cascaggine. Accoglie nobili pensieri e molte utili ed acute osservazioni, le quali sono vera sintesi di studi lunghi e profondi. L’ autore egregio in poche parole dice cose assai, e possiede l’arte difficile d’eccitare chi legge a riflettere, ponendolo poi sulla via di risolvere le quistioni che ponno sorgere nella sua mente. Lo scritto che ha per titolo La tradizione della verace bellezza nell’ istoria delle italiane lettere, porge in brevi ma vivissimi tratti delineata la vicenda della nostra letteratura, cogli opportuni confronti e col corredo di incisivi giudizi. Michelangelo Buonarroti. Sue relazioni colla città di Carrara. Ricordi del conte Emilio Lazzoni. — Carrara, Martinelli 1875. Questo libretto pubblicato in occasione delle passate feste michelangiolesche, fu indiritto alla città di Firenze quale omaggio di quella Carrara, donde l’immortale artista trasse la preziosa pietra per sua virtù fatta persona. Comechè altri innanzi al eh. autore abbia scritto sulle relazioni del Buonarroti con Carrara, pur egli ha con nuova e ben accomodata esposizione lumeggiati gli avvenimenti, studiandosi sopra tutto di scagionare i suoi concittadini di quel tempo, dalla taccia d’ingratitudine e di nimistà verso il sommo artefice; onde a buon dritto l’illustre march. Giuseppe Campori ebbe a sentenziare che il eh. Lazzoni « ha saputo dire cose nuove in un argomento che pareva esausto, e ha reso un notevole servigio non meno alla sua Carrara che alla storia dell’ arte e di Michelangelo ». (1) Del Franzone discorre ampiamente il Corazzini, nelle sue Memorie della Famiglia Franipni, Firenze 1873, Pag- 59-107. Ivi però non è detto che il Ms. di Domenieo si serbi dall’ erede. GIORNALE LIGUSTICO 497 INDICE DEL VOLUME DOCUMENTI ILLUSTRATI Documenti riguardanti alcuni Dinasti dell’ Arcipelago (A. Luxoro e G. Pinelli-Gentile) ...••• Pag• 86-292 Chi sia 1’autore della Tavola dell’Annunziata nella chiesa di santa Maria di Castello in Genova. Documento inedito (S. Vanii)..............» 82 ... jQDue nuovi cartografi della famiglia Maggiolo ( M. Sta- glieno). Con una nota di Ç. Desimoni . . . » 21^ Un nuovo documento circa la navigazione dei genovesi alle Indie (L. T. Belgrano) . . » 254 MEMORIE ORIGINALI Di alcune antichità a Laigueglia e nella valle di Andora (T. Luxoro) ....... . • Pag- 2 Curiose avventure di Luca Assarino genovese, storico, romanziere e giornalista del sec. XVII (A. Neri) . » 10 / Elenco di carte ed atlanti nautici di autore genovese op- pure in Genova fatti 0 conservatile. Desimoni) » 41 f : Sopra Agostino Noli e Visconte Maggiolo cartografi. Lettera (M, Staglialo)........« 7r La Compagnia genovese delle Indie e Tommaso Skynner (I. T. Belgrano) 121 Lettera di Laudivio da Vezzano sulla caduta di Caflfa. Nota bibliografica delle sue opere e correzioni intorno al suo cognome (A. Neri)..............» 137 Notizie di Agostino Oldoini storico e bibliografo ligure del sec. XVII (A. Neri)...... . » 181 La sepoltura del marchese Ludovico II di Saluzzo (A. Remondini) ................» 218 493 GIOENALR LIGUSTICO Lettera sullo stesso soggetto (F. Promis) . . . Pag. 253 Del Palazzo del Comune di Sarzana, e di un’ opera di Matteo Civitali (A. Neri)......» 224 Dell’ Ufficiuolo Durazzo e di alcune altre opere d’ arte in Liguria (T. Luxoro).......u 257 Lettera di F. Aligeri e replica di T. Luxoro sul soggetto medesimo ... -......» 289-325 0;servazioni sovra due portolani di recente scoperti, e sovra alcune proprietà delle carte nautiche (C. Desimoni). » 264 Considerazioni su alcune particolarità poco note concernenti la dominazione genovese nell’ isola di Corsica (M. Spinola) ......... 297-329-423 Del nome di Genova (G. Lumbroso). — Fama degli ingegneri genovesi circa il MC (Lo stesso) . . . Pag. 325 Della Pieve di Gavi (5. Vanii).......355 Un documento aleramico, con lettera di T. Wùstenfeld.— Serie dei podestà di Genova compilata dallo stesso. — Iscrizione sepolcrale di un ebreo, morto combattendo contro i genovesi in Crimea. — Tre lettere di Raffaele di Monterosso podestà di Caffa. — Ricordo di Armando D' Avezac (C. Desimoni) ...... ì> 367 Di papa Nicolo V e dei più chiari uomini della famiglia Parentucelli di Sarzana (A. Neri)...... 382-445 La canonizzazione di Cristoforo Colombo (A. Sanguinelf). » 400 Notizie di Paris Maria Saivago e del suo Osservatorio astronomico in Carbonara (C. Desimoni) . . . » 465 NOTIZIE VARIE Verbale dell’assemblea generale della Società Ligure di Storia Patria de’ 12 luglio 1874.....pacr Chiusura delle tornite della Sezione di Belle Arti. Sunto delle parole pronunciate dal Preside F. Alizeri . . » '8 Presentazione alla Sezione di Archeologia d’ alcune fotograne rappresentanti anticaglie trovate presso Carrù » 39 Sunto della interpretazione d’ una epigrafe della torre di papa Clemente a Caffa, fatta da M. Remondini . . a Presentazione alla Sezione Archeologica delle fotografie dei portolani di Andrea Bianco e Pietro Visconte. . » Verbali dell’ assemblea generale della Società Ligure di IVI 40 GIORNALE LIGUSTICO 499 Storia Patria del 2 agosto e 20 dicembre 1874, e 30 mag- gio 187$ .........Pag. 40-157-486 Sunto della Dissertazione illustrativa della lapide di Ferra- nia di A. Sanguineti ...... » 160-246-309 Società dell’ Oriente Latino..... Pag. I96 Necrologia di Giuseppe Morro..... » 287 Sunto della lettura di F. Alizeri sull’ arte scultoria in Genova........Pag. 308-354-421-443 -Notizia di due codici di Gio. Agostino Abate savonese (A. Neri).......... Pag. 394-462 Sunto della lettura di P. C. Remondini sulla musica an¬ tica, e specialmente di frate Giovanni da Genova » 438 -Sunto di una lettura di M. Spinola su l’ambasciata di Ugo Ficschi in Inghilterra nel 165 5 . » 487 SFRAGISTICA Sigillo del Magistrato di Sanità (C. Astengo) Pag. 84 Medaglia fatta coniare da Carlo III principe di Monaco (G. Rossi)......... » 153 Medaglia onoraria a Domenico Promis (L. T. Belgrano) . » 156 Sigillo del Comune di Sarzana (A. Neri) .... » 205 Sigillo dell’ Uffìzio di moneta (G. Grasso) )) 207 Sigillo di Battista da Campofregoso (C. Astengo) » 209 VARIETÀ Glossario latino barbaro...... Pd * Congresso scientifico di Palermo..... » WJ IO Spedizione equatoriale...... )» ivi Uua nuova statua di Colombo...... » 464 RASSEGNE BIBLIOGRAFICHE Intorno alla vita ed ai lavori di Andalò Di Negro. Memoria di C. Desimoni, seguita da un Catalogo dei lavori dello stesso Andalò compilato da B. Boncompagni. Pag. 93 Cosmos di Guido Cora. Notizie dei viaggiatori italiani in Egitto dal 1310 al 1840 raccolte da G. Lumbroso. . » 103 J* __ /V"0 ■r 500 GIORNALE LIGUSTICO Saggio di una Bibliografia storica della Lunigiana, di G. Sfori*..........Pag. 106 Curiosità e ricerche di Storia Subalpina. Puntata III e IV. » 108-318 Della vita e delle opere di Domenico Promis, Memoria di Leone lettoni. Segue l’elenco delle memorie riguardanti la Liguria, edite da Domenico e Vincenzo Promis . . » J ! 1 Le Trésor de Clairvaux du XII au XVIII siècle, par M. l’Abbé Chartes Latore .......„ }1y Les Colombo de France et d’Italie par H. Harrisse (C. Desimoni)........... . » 164 Notizie sulla vita di Cassiano dal Pozzo per G. Lumbroso. » America not discover ed by Colombus. « America non isco-perta da Colombo » (Ç. D.)....... Nicolò Scillacio e la sua Relazione sulla scoperta del nuovo continente per A. Ronchini . . . . _ . » ji6 Studi sul miglioramento e sull’ampliamento del porto di Genova, Relazione di F. Ciocca e W. Chiavacci . . » 487 - 197 ! 12 ANNUNZI BIBLIOGRAFICI Ferdinando di Savoja Duca di Genova, poemetto di F. Ramognini, pag. 118. — I fanciulli nell’arte raffaellesca, pensieri di G. Franciosi, 119. — Intorno alla vita ed agli scritti di Antonio Altieri, notizie di E. Nar-duca, ivi. _ Studi critici sulla Buccolica di Virgilio per A. Agresti, 120. — Osservazioni di Giuseppe Salvo-Cono sulla quistione del primato della stampa fra Palermo e Messina, 251. — La Georgica di Virgilio, versione poetica di G. Sapio, 252. - Benvenuto Celimi a Roma e gli orefici lombardi ed altri che lavorarono pei Papi nella prima metà del sec. XVI, per A. Berlototti, 285. — Pensieri e Discorsi in materia di lettere, di G. Franciosi, 495. _ Michelangelo Buonarroti. Sue relazioni colla città di Carrara. Ricordi di E. Lagoni, 496. I asq.uale F Azio Rtsponsalriìe.