SOCIETÀ LIGURE DI STORIA PATRIA Per 365 GENOVA CtIORNALE storico E LETTERARIO DELLA diretto da ACHILLE NERI * * * pubblicato sotto gli auspici della Società Ligure di Storia Patria F. L. Marra ucci : Di Lanfranco Cicala e della scuola trovadorica genovese, pag. 5. — G. Capasso : Un manipolo di lettere di Andrea e Giannettino D’Oria, pag. jj. — A. Bozzo: L’industria e i commerci in Sestri Ponente nel medio evo, pag. ./6. — P. Bologna: Di alcuni scrittori pontremoiv^della famiglia Bologna, pag. 6/. — VARIETÀ: A. N. Una letteradi Giambattista Renieri,pag. Sç. — BOLLETTINO BIBLIOGRAFICO: Vi si parla di: Michele Lupo Gentile (C. Manfroni), F. M. Costa (U. Asscreto) pag. gì. — ANNUNZI ANALITICI : Vi si parla di: P. Giannone, G. Cogo, A. D'Ancona, C. Sforza, E. Boghen Conigli ani, F. Flamini, G. Dolcetti , A. Comandini , F. Podestà , pag. 100. SPIGOLATURE E NOTIZIE, pag. 105. — NECROLOGIE, pag. 108. — APPUNTI DI BIBLIOGRAFIA LIGURE, pag. 114; Bibliografia mazziniana, pag. 117. LIGURIA e da UBALDO MAZZINI + * -*■ ANNO VII Fascicolo 1-2-3 1906 Gennaio-Febbraio-Marzo SOMMARIO. DIREZIONE Genova - Corso Mentana 43* >2 AMMINISTRAZIONE Tip. della Gioventù La Spezia - Amministrazione del Giornale GIORNALE STORICO E LETTERARIO DELLA LIGURIA GIORNALE STORICO E LETTERARIO DELLA LIGURIA DIRETTO DA ACHILLE NERI E UBALDO MAZZINI E PUBBLICATO SOTTO GLI AUSPICI DELLA SOCIETÀ LIGURE DI STORIA PATRIA VOLUME VII LA SPEZIA SOCIETÀ d’ incoraggiamento editrice MCMVI GENOVA - TIP. DELLA GIOVENTÙ DI LANFRANCO CICALA E DELLA SCUOLA TROVADORICA GENOVESE (con ragguagli biografici e documenti inediti) Confesso eh’ io non avrei scrupolo veruno a negare l’esistenza d’una scuola trovadorica genovese, se la parola scuola volesse soltanto designare un particolare indirizzo d’ un genere di letteratura largamente coltivato e se non tosse anche usata e usabile nel suo significato originario, per indicare un gruppo di persone intese a una qualsiasi operazione ; giacché nessuno dei trovatori genovesi, quando se ne eccettui il Cicala di cui prendo a tracciare il profilo letterario, eccelle, nel maneggio dell’arte prediletta, per novità d’espressioni o d’argomenti, e nessuno, neppure il Cicala, impone agli altri speciali forme e spiriti di poesia. In altre parole intendo con ciò dire che, sebbene la maggior parte dei cantori italiani di provenzale — e non son pochi e pare voglian crescere di numero giorno per giorno — risulti di Genova, questa città non fu centro ove la gaia scienza deliberatamente si stabilisse, si sviluppasse e s’irradiasse. A traviare la verità dei fatti in questo senso, come pure a far credere ben più antico di quel che non sia 1* inizio — 6 — dei poetici ritrovamenti in Genova, potrebbe contribuire il compianto Desimoni, il quale, toccando delle relazioni corse fra alcuni trovatori e la casa di Monferrato , lascio intendere essersi diffuso l’influsso della poesia occitanica per la penisola, e segnatamente in quella città, dopo la crociata a bigese, quasi come un prodotto importato dai numerosi cantori stanziativi o transitanti per essa (i); e più ancora vi contribuirebbe, oggi, un altro illustre scrittore , lo in garelli, affermando che in « Genova, λ enezia e Bologna....... le grandi famiglie tenevano....... corte, ove la poesia era il principale ornamento », e che esistono rassegne di « si gnore famose per bellezza e per virtù civili » e appartenenti a queste « repubbliche » (2). 'lanto le asserzioni e Desimoni quanto quelle dello Zingarelli sarebbero , a mio parere, da rigettarsi, se quegli non avesse voluto forse indicar piuttosto che l’immigrazione dei provenzali in Italia precede di poco la fioritura lirica di Genova o quasi con essa coincide, e questi non avesse esteso alle illustri corti dell’Appennino superiore la denominazione di liguri. Infatti non si potrebbe facilmente supporre che tanti canon parassiti si fermassero e trovassero esca in mezzo ad un po polo quale il genovese , tutto dedito agli affari , pieno di fretta, pratico e positivo in ogni suo atto, e tanto meno ancora che le donne amassero di sentire qui decantati in versi i lor pregi, a mo’ di quelle vissute negli ambienti aulici: dalle rassegne poi del Vaqueiras, di Guillem de la Tor, di Albertet de Sisteron e di Aimeric de Belenoi nessuna dama genovese trasse onore e gloria , se non si riesca a riconoscerne forse qualcuna tra quelle che rimangono tuttora non identificate nelVAmoroso Carroccio (3). h notorio invece come il Vaqueiras 1’ autore appunto di quest’ ultimo componimento, suscitasse le più gioconde risa fra (1) Il marchese Bonifazio del Monferrato e i trovatori alla corte di lui in G tot». Ligustico, vol. V, p. 253 (2) Partir, ed. Vallardi, fase. 1, p. H. (3) Ved. Torraca , /> dotine italiane netta poesia proveniate, in Bihl. crii, della letl il., Firenze. 1901, n, 39; e la recens, del BERTONI in Giorn. Si. detta Utt il.y vol. XXXVIII, Ρ· Μ2· — 7 — le. dame della corte dei Malaspina e dei signori del Monferrato, ricordando nel suo contrasto bilingue il bel modo con cui 1’ aveva accolto una donna genovese, quand egli, malcauto, s’era permesso d’offrirle il suo amore in termini non troppo sibillini (i). Costei certo non aveva conoscenza degli aristocratici trovatori: non ne capiva, per espressa sua dichiarazione , il linguaggio : e trattò lo spasimante col disprezzo onde solean coprirsi i giullari della piazza. Oh quelli sì ch’eran ben noti in città ! E il povero Rambaldo non ancor cavaliere, non ancor amato dalle belle di corte, senza un soldo in tasca, era proprio costretto, come gli rinfacciò più tardi Alberto Malaspina, ad anar a pe, a ley de croy joglar, paubre d’aver e malestrux d’amia (2). Il qual contrasto, se fu per lui uno sfogo necessario a lenire 1’ offesa patita, riesce tanto più prezioso per il caso nostro e ben s’accorda con le notizie che quotidianamente, rispetto alle consuetudini femminili in Genova, vanno esumandosi dalla polvere degli archivi. E non vorrei che la bella genoeisa, cantata da Albertet de Sisteron e così ostinata nei suoi rifiuti da indurre l’innamorato poeta a maledire violentemente l’amore e le donne, traesse pur da Genova la sua origine , proprio perchè il Vaqueiras , amico d’Albertet e con lui accolto nella stessa corte , aveva divulgato quel bel concetto delle donne genovesi (3). Del resto , prescindendo anche da queste testimonianze, cui si (1) Ved. l’ediz. critica datane dal Crescisi , II contrasto bilingue di Rambaldo di Vaqueiras, Padova, 1891. (2) Ved. Testi antichi provenzali, a cura di E. Monaci, Roma, Forzani, 1889* col 70, n. 24, vv 32-5· Quel « malastrux d’amia » si riferisce probabilmente al fiasco con la genovese e contribuisce a convalidare la realtà storica dell’episodio. (3) Bartsch , Grundiss sur Geschichte der prov. Liter. Elberfeld, 1872, 16-/1. Cfr. in proposito Torraca, op. cit , p. 25. Anche il Bertoni inclina a credere che questo trovatore non fosse stato a Genova: Studi e ricerche sui trovatori minori di Genova, in Giorn. St. della Leti. It., Vol. XXXVI, p. 19. Per la sua dimora alla corte di Monferrato e le sue relazioni con Rambaldo, ved. ib. , p. 20 , n. 1 ; e Schultz, Le epistole del trovatore Ramb. di Vaq., in Bibl, crii, cit., nn. 23-4. può concedere solo un valore relativo, troviamo che ITgo di San Cir non nomina la Liguria· tra i luoghi famigliali ai trovatori, i quali, al suo dire, piuttosto alla Toscana, alla Lombardia e alla Marca volgevano i passi (i), e che appunto da qualcuna di queste regioni , « de Lombardia, de Provincia et Tushia », secondo gli annalisti , vennero in Genova trovatori e giullari nel 1227 , al tempo delle feste promosse dal podestà Lazzaro di Gherardino Ghian-done : segno evidente che non eran soliti a bazzicarvi (2). E quest’ultima notizia confermerebbe vieppiù l’ipotesi del Casini che il bolognese Rambertin de Buvalel, fecondo rimatore in lingua d’oc e podestà in Genova fino al 1218, non in tal città, bensì a Ferrara, e certo più tardi, con la guida d’Aimeric de Pegulhan, acquistasse la ben nota tecnica (5). Ma il 1227 non è data, si badi, da valicarsi con troppa leggerezza. A quest’ora qualcuno canta già in provenzale ed è genovese puro sangue. Toltine il Gattilusio e il Panzano, che ancor nei primi lustri del trecento vissero e vestiron panni, tutti gli altri trovatori genovesi si reggono a cavallo della metà del dugento, sporgendo più di là che di qua. E chi mai ha potuto dunque insegnare a costoro la bell’arte? Come avviene che, senza precedenti locali, tutti, ad un tratto , maneggiano cosi agevolmente una lingua non famigliare al grosso della popolazione? Fin dal secolo XII la Provenza era una regione ben conosciuta e frequentata dai Genovesi. La bontà dei suoi prodotti, la sua posizione privilegiata nel territorio gallico, il suo sbocco sul Mediterraneo e infine le sue fiere ad e-poche fisse attiravano in gran numero i mercanti della Repubblica vicina e li invogliavano a costituire quelle società commerciali, che divennero poi cosi potenti nel secolo successivo , da obbligare i Marsigliesi stessi a tutelare con (1) Cfr. in Canzoniere prov. //, ed. Gauchat e K eh rei , in Studi di Filol. Rom , vol. V, p. 533, n. 220. (2) Bartholomei Scribae, Annales, in Pertz, M. G. //., XVIII, 165. (3) La vita e le poesie di Rambcrtino lìovarello, in Propugnatore , to. XII, 1879, P* 104 ; e Schultz, Die lebensvcrfùiltnisse der i/al. trobadors, in Zeitschrifi fftr rotti, p/ii/., to VII, p. 200. — 9 — nuove leggi i propri commerci (i). Questi mercanti appartenevano , com’ è noto dalla storia interna della città nostra (2), alla classe aristocratica, epperò venivano a trovarsi facilmente a contatto con la parte più eletta degli abitanti, non esclusi i personaggi stessi della corte di Raimondo Berlinghieri, supremo signore di quella terra. E , anche quando essi l’oltrepassavano per recarsi ai mercati delle città situate al di là del Rodano e delle Cevenne, altro linguaggio o altre consuetudini che le provenzali non accadeva mai loro d’incontrarvi. Or, se a tutto ciò s’aggiungerà che spessissimo magistrati e ottimati genovesi doveano spingersi oltre il Varo per politiche ambasciate, non parrà certo strano che ne conseguissero una notevole diffusione del ligure dialetto in quei luoghi e una larga conoscenza nei Genovesi della lingua e delle tendenze artistiche occitaniche. Un tardo scrittore italiano , Mario Equicola , del rinascimento lombardo, v’accenna, nel suo trattato intorno alla natura d’amore, là dove dice che nella Corte di Raimondo « conversarono molti gentilhuomini et virtuose persone di Francia, di Provenza, di Catalogna et d’Italia del paese di Genova, tra i quali molti trovadori et giocolari ivi si radunavano componendo et recitando chançon, servantes, coupaletz et lettres et ballades d’amours »; e che il loro idioma soleasi chiamar provenzale « perciò che in Provenza era più che altrove esercitato, ben che dalla Francese, Ca-thelana et Provenzali lingue fosse composto, con alcuni vocaboli Genovesi » (3). Queste osservazioni, veramente, potevan essergli suggerite dai Bembo, intimo e suo dotto amico , il quale a sua volta v’ era forse indotto dal trovare esempi non pochi di poeti provenzali e genovesi tra di loro tenzonanti, e fors’anche da un superficiale esame linguistico dei canzonieri posseduti ; ma sta il fatto che sì (1) Cfr. Ruppi, Histoire de la Ville de Marseille, Marsiglia, 1642, pagina 136, e anche per notizie in proposito alle relazioni politiche, Papon, /fisi, gétier. de Provence, Paris., to. II, 1778, p. 228 e segg. (2) Cfr. il mio studio sulle Società genovesi d'arti e mestieri durante il sec. XIII, in Giorn. St. e Leti, della Liganno VI, p. 241. (3) Ed di Venezia, Giolito. 1561, p. 333 e segg. della conoscenza del linguaggio genovese oltralpe , e più estesa e più necessaria che per ogni altro dialetto italico, come pure di alcune relazioni fra i cantori delle due regioni, in età non tarde , s’ hanno prove luminose nei canzonieri stessi. Ci è stato conservato del Vaqueiras un componimento polilingue, ogni strofa del quale è scritta in un linguaggio differente ; vi si trovan cioè compagni tutti quei linguaggi che più eran famigliari al poeta e noti nelle corti del tempo. Orbene di tutti gl’ idiomi nostri il poeta non usa che il genovese e gli assegna un posto ragg'uardevole nella seconda codia, subito dopo il provenzale, cui spettano gli onori maggiori (i). E un altro trovatore , Arnaldo de Maruoil, che la biografia fa girovago per la Provenza prima di capitare alla corte di Ruggero II, pare sia stato beneficato assai da un signore genovese, perchè termina alcune canzoni lodandolo svisceratamente: « i fatti di questo illustre » egli canta, « sono scelti ove più s’odon dimandare fatti belli e cortesi di re o d’altra gente; il ricco suo pregio risplende sopra i migliori, cresce e s’ affina di giorno in giorno » (2). E Peire Vidai ha di tutti i Genovesi la massima stima e al loro carattere viene informando le sue a-zioni, come a quello che più s’accorda con l’ideale suo (3). E ad un Genovese ancora rivolge una questione Pujol, circa un avvenimento di cui era stato protagonista un comune amico eh* egli chiama « un nostre » : ad un Genovese che poetava in provenzale, che risponde nella tenzone stessa, che potrebbe esser uno dei trovatori genovesi a noi noti e potrebbe anche non esserlo (4). (1) Ved. in Monaci, op. cit., col. 63. (2) In Raynovard, Choix des poesia originales des Irouhadores, to. I, Paris, 1844, p. 351; Nouveaux Choix in to. I del Lexique roman, p. 358» e in Canzoniere A, in Studj di FU. Rom.t voi III, p. 323. (3) E teing m’a l’us dels genoes Q’ab bel senblan gai e cortes Son als am ics amoros Ez als enemics orgoillos. In Canzonieri //, ed. cit., p. 370, n. 20. Ved. anche Diez. Lehen und urrhr der Troubadours t Leipsig, 1882, p. 127. (4) Il merito di aver scoperto un poeta genovese in questa tenzone, è — II — Ma il linguaggio genovese, in tatto di galanterie e d’idealità eh’ eran monopolio di case illustri , dovè accontentarsi di quell’unico omaggio resogli da un cantore straniero ; e, se pure orgoglio gliene venne, fu fiammolina che guizzò e s’estinse. Esso era destinato a sorti più umili, sebbene più utili, in quello stesso torno di tempo , per opera d’ un onesto conservatore delle tradizioni paesane. Conseguenza inevitabile di quella condizione di cose cui s è ac cennato , era invece 1’ assimilazione lenta ma continua, da parte dei Genovesi, degli elementi onde risultava costituita la vita di quel lembo di Francia, dove prima e più tenacemente avean tenuto dimora le aquile romane. Tutti que-gl’instancabili negoziatori, quei giudici, quei notai, quella gens nova, non potevano, per rozzi che fossero, rimanere tnsensibili di fronte a una fiorente consuetudine di cortesie, le quali, oltreché nelle pratiche più comuni, si manifestavano con norme nette e precise, quasi in un galateo della buona società, in molteplici carmi composti all’ ombra dei più cospicui manieri, facilmente rintracciabili nelle raccolte in voga, recitati da mille e mille giullari. Stringono quindi amicizia coi migliori trovatori di que’ luoghi : cominciano a scrivcr versi ne* momenti d ozio : tentano e ritentano, con lo scopo d’ avvicinarsi ai buoni modelli. E non solo riescono così ad accontentare quelle aspirazioni che ha lor comunicato la civiltà d’un popolo contiguo, ma intravedono nell’abilità di recente acquisita, come una salvaguardia futura della loro dignità, giacché anche in quelle illustri corti appollaiate fra giogo e giogo dell Appennino e ove pur è necessario ch'essi vadano per conto del Comune, si canta, si tenzona, ci si comporta a mo dei provenzali. Rigettare l’usanza, sarebbe un voler esser barbari; e i Genovesi cantarono d’ amore , riassume egregiamente il Carducci, e rimarono in provenzale « per non parer villani » (i). Ed ecco formarsi in Genova il gruppo ben noto che in +■ del Sei.bach , Slrelgedìchl in der allprov. Lyrik. , in Stengel , Ausga- fygn u. Abhandlugen ans dem Scb. der. rom. PI,il., to. LVII, Marburg, 1886 p. 72. — Pujol è contemporaneo di Sordello e di Blaeatz. (i) Il secondo centenario di L. A. Muratori, in Bozzetti e scherme, Bologna, 1889, p. 127. domestiche accademie si piace di rinnovare e ripetere le tenzoni, i coupletz, le canzoni, i discordi: sono i Doria, nelle case dei quali risiede la curia del Comune (i); i Cicala, famiglie di giudici e di magnati (2); i Grillo, governatori non solo della città ma altresi dei castelli circonvicini (3); i Gri- (1) Dei Doria trovatori sta raccogliendo documenti il Ferretto (Studi medioevali, fase. I, p. 126 e sgg.), ma gli sarà ben difficile, in mezzo a tante omonimie, fissare qualcosa di positivo. Basti dire che alla battaglia della Meloria presero parte sei Perei valle Doria (Cfr. Doria, La chiesa di S. JfatteOy Genova, 1S60, p. 250), nessuno dei quali è figlio di Montanaro o di Manuele o di Guglielmo. (2) Di Lanfranco e della sua famiglia ved. più innanzi. (3) Parecchi personaggi compaiono a Genova, verso la metà del sec. XIII, con la denominazione di Iacopo Grillo. Uno, marito di certa Montanaria, t morto già nel 12 gennaio 1255 (cfr. in not. IOHANNis de Vegio , Reg. I, anni 1235-64, c. 13 v . R. Archivio di Stato genovese) e non può quindi ritenersi per il trovatore, identificabile invece con quell’ottimate che fu rettore della Repubblica nel ’Ó2. Per altri è impossibile trar ragguagli precisi e utili alla nostra ricerca. Trovo ricordati come vivi, nel 4 aprile 1253, un Iacopo Grillo, fratello di Oliviero e figlio del quoniam Alberto (not. Bar-tolomeus de Furnariis, Reg. IV, anno 1253, c. 28 v. e 29 r ), e, nel 16 luglio 1263, un Iacopo figlio del quondam Andrea (ib. Reg. V, P. II , c. 57 \.)· e nessuno dei due eccelle per più nobile condizione, giacche Andrea Grillo è console dei placiti in Genova nel 1206 e pure lo è Alberto nel 1175, e nel 1213 (cfr. Agostino Olivieri, in Serie dei consoli del Comune di Ge-nova, pubbl in Atti della Soc. Lig. di St. Pal., vol. I, p. 447 e sgg ). Ma, se non riesce facile stabilire la paternità del nostro, possiamo consolarci con l’acquisto di due notizie riferibili certamente a lui e che non furono rilevate nel lavoro dello Schultz , Die LebensverhiìUnisse cit. (ved. a pagina 220) nè in quello del Bertoni (ved. a p. 10). Il 4 giugno 1257, *» un atto di divisione fra i marchesi di Ponzone è teste per conto della Repub-blica il genovese Iacopo Grillo, giudice (Moriondo, Monumenta Aquensia, to II. Torino, 1789, col. 434); e, nel 1 maggio del 1260, Giovanni Rocca, castellano di Gavi , a suo nome e per Giacomo Grillo suo socio, assente, consegna il castello, divenuto ormai proprietà dei Genovesi, ad Oberto Advocato, Bonifacio Piccamiglio e Guglielmo Picella, nuovi castellani per quell’anno, giusta il mandato del Comune (Desimoni, Annali storici della città di Gavit Alessandria, 1896, p 59). — La mancanza di ogni accenno a qualche Iacopo Grillo nella vita pubblica genovese dopo il 1262, c'indurrebbe a credere che il trovatore fosse morto jx>co dopo quel l'anno e quindi a escludere dal campo delle nostre indagini anche quell’ Iacopo Grillo, la cui moglie Andina faceva, lui vivo, contratti in accomandita nel 23 luglio e 15 agosto 1281 (cfr. Ferretto, Codice diplomatico delle rela:, fra la Liguria, la Toscana e la Lunigiana ai tempi di Dante, P. II, nel vol. XXXIV degli Atti dalla Soc. Lig. di St. Pat.. p. 427, n. 1). Tralascio poi di citare tutti gli Iacopo Grillo che dal 1231 al '40 ricorrono in uno o in altro atto deir archivio genovese, perchè non hanno volontà alcuna di distinguerai e farsi riconoscere. — 13 — malcli, capi irrequieti delle più importanti fazioni cittadine (i); (i) Riguardo al trovatore della famiglia Grimaldi, parecchio s’è già detto, ma farraginosamente. Lo Schultz, in un’aggiunta al suo studio sui trovatori italiani (Zeilschrift cit., vol. IX, p. 406), e il Bertoni [Studi, p. 12) lo identificano senz’ altro con quel Luca Grimaldi figlio di Ugo, che vien ricordato in uno spoglio strozziano scovato dal Hartvig. Un documento infatti menziona, come dimorante in Genova, nel 24 gennaio 1239, un « Lucas de Grimaldis, filius et heres quondam Ingonis de Grimaldis » (not. Io-hannis de Predono, Reg. I, P. I, c. 269 r.) e un altro fa cenno della sua carica di podestà fiorentino nel *57 (ved. Ferretto, op. cit., P. I, p. 134)* Ma , nello stesso tempo , questo Luchetto d’ Ingoile sarebbe , secondo lo Schultz {Die Lebensverhàltnisse , p. 219) e anche il Bertoni (Studi, 1. cit.), il fratello di quel Bovarello che con lui compare spessissimo in atti stipulati per imprese commerciali (il 1 luglio 1241 , in Bart. de Furnariis, Reg. IV, c. 253; il 10 e 11 luglio 1257 e ^ 5 settembre 1258, in Angelinus de Sigestro, Reg. I, c. 135 v., e c. 308 r.; il 27 novembre 1262, in Fri-dericus DE Sigestro, Reg. I, c. 145 v. ; e il 23 marzo 1263 in Bart. de Furnariis. Reg. V, P. II, c. 107 r.) e che con lui si trova pur nominato nell’epistola di Carlo d’Angiò (Ferretto, op. cit., P. I, p. 284, n. 4) : i quali due personaggi, Luca e Bovarello, appaiono entrambi già morti nel 18 aprile 1275 e certo non sono da confondersi con due nipoti omonimi e ancora vivi a quella data. Due atti testamentari dànno in proposito ragguagli interessantissimi: « Nicolinus et Marcoaldus filii et heredes pro duabus partibus quondam domini Luce de Grimaldis, Enricus et Gasparus et Luchetus fìlii et heredes pro duabus partibus contingentibus quondam domini Ga-brielis de Grimaldo, filii et heredis pro alia tercia dicti quondam domini Luce, eorum propriis nominibus et nomine Ricardi, filii quondam dicti Ga-brielis et Cathalina, uxor quondam dicti Gabrielis , tutrix et curatrix Bo-varelli, Raphaeli, Carlini et Bonifaci, filiorum suorum et dicti quondam Gabrielis......; Conradus, filius et heres pro dimidia parte quondam domini Bovarelli de Grimaldo, suo proprio nomine, et Agnes, uxor quondam dicti Bovarelli, et Cathalina, uxor quondam Iacobini, filii et heredis pro alia dimidia dicta parte dicti quondam Bovarelli, tutrix Iohannis et Odoardi filiorum suorum et heredum quondam dicti Iacobini etc...... » (18 aprile 1275, not. Iohannis de Langasco , c. 15 v., coi,. 1) ; « Nos, Conradus de Grimaldo, filius et heres pro dimidia parte quondam Bovarelli de Grimaldo, et Agnesina et Cathelina, tutrix Iohannis et Odoardi filiorum et heres pro alia dimidia dicti quondam Bovarelli, etc....... » (5 maggio 1278, not. Ioh. de Lang., c. 17 r.). — Orbene, i due fratelli Luca e Bovarello non sono punto figli di Ingone , ma di Grimaldo de Grimaldis di Uberto (cfr. Belgrano, Documenti riguardanti le due Crociate di S. Ludovico, Genova, 1859, pagina 306; Ferretto, op. cit., P. I, p. 80, n. 1 ; e anche l’attendibilissimo Giscardi, Origine e fasti delle nobili famiglie di Genova. Ms. della Bibl. della Missione Urbana di Genova, 30-9-3, vol. I, p. 182) e risultano cugini primi del Luca d’ Ingone , perchè anche Ingoile , come Grimaldo de’ Grimaldi, è detto, negli atti , quondam Oberti. E in patria i due fratelli Ingoile e Grimaldo di Oberto sono entrambi nominati fra gli otto nobili del Podestà, prima del sec. XIII (cfr. Olivieri, op., cit., p. 305). Quale sarà — 14 — i Gattilusi (i), i Calvo (2), i Ponzano (3); uomini tutti fra i principali, di grande levatura, ragguardevoli per uffici pubblici o traffici arrischiati, molti dei quali la storia ci presenta proprio in Provenza, nella prima metà del du-gento, o registra con altri cantori di Provenza nelle clau-sule dei trattati e nelle testimonianze delle ambascerie. Non dunque i Provenzali recarono a Genova il fiore della gaia scienza, ma i Genovesi stessi, quelli più colti e illustri, ve lo trapiantarono. E di quel fiore avvenne come d’ogni fiore esotico tolto alla natia zolla: restò privilegio di pochi e dunque il trovatore dei due chiamati Luca Grimaldi ? In via di congettura io lo riconoscerei nel figlio di Grimaldo e fratello di Bovarello, il quale dimorò quasi sempre in Genova e rivesti al di fuori cariche non meno cospicue di quelle del cugino. NÈ sarà da trascurarsi che Bovarello fu pur degli otto nobili nel '42, andò ambasciatore al conte di Provenza dieci anni dopo (cfr. Merkbl, Un quarto di vita comunale e le origini della dominazione angioina nel Piemonte, Torino, Loescher, 1890 , p. 1?-) e forse al re di Francia nel '62 (cosi il Giscardi, Ms. cit, I. cit.). Ecco in ogni modo un ramo genealogico della famiglia, elevato su prove ormai ineccepibili: Obcrto de’ Grimaldi Ingone Grimaldo I _J_ Luca Bovarello Luca maritalo ad Agnese Nicolino Marcoaldo Gabriele Co-dò Oi„ -J- a Caterina -i-!--v«rim i .nrhetto Riccardo BovardloRaflideCarlino Bon Ltfo lacobino Odoardo minorenni (1) Ved. su di lui il mio articolo Per la biografia di Luehetlo Gattilmio, in Giorn. St. e Lelt. (Ulla Lig.* IV, pag. 455· (2) Ne scrisse definitivamente il PELAEZ, in Giorn. St. della UIL //., vol. XVIII. Resta però incerto s’egli abbia tenzonato a Genova o fuori (ved. ib , p. 5) ; ma forsegli in Genova non mise mai piede. Lo Zom non tenzonò con lui; scrisse bensì un componimento di risposta e glielo mando: « Bonifaci Calvo, mon sirventcs — vos man ►, (Monaci, op. cit. col. 99). Per quante ricerche io abbia fatto fra i documenti dell’cpoca, non riuscii a trovare nemmeno larghe tracce della sua famiglia in Genova. (3) Su buone e sicure basi tracciò la biografia di Galega Pansano il Ferretto, recentemente, Notizie intorno a C. /*. trovatore genovese e alla sua famiglia, in Studi di FU. Rom., vol. IX, p. 595 e sgg. — 15 — crebbe chiuso in una serra e perse in breve la fragranza ond’ era tanto pregiato, e mutò i tratti che gli erano caratteristici, per acquistar quelli del nuovo ambiente. Lanfranco Cicala è il più fecondo dei trovatori genovesi o quello almeno che ci giunse con più abbondante patrimonio. Abitò in Genova quasi sempre dal 1235 (1). Col- (1) Le notizie sulla sua vita, raccolte dallo Schultz, vanno dal 1241 al 1256. Una correzione alle congetture del dotto tedesco pubblicò il Crescini, Note Provenzali, in Studi di FU. Rovi., vol. VI , fase. 15» P· r5^· H Ber toni (Studi cit., p. 16) aggiunse nuove ricerche circa le donne nominate dal trovatore, ma forse non colse giusto quando volle riconoscerlo in quel Lanfranco Cicala che nel 1265 — non 1245, come per isbaglio si legge nel lavoro suo — fu console per Genova in Siria (cfr. Caro , Genua und die Màchie am Mittelmeer, Halle, Niemeyer, 1899, vol. II, cap. V, p. 182). Anche le ricerche intorno a lui sono continuamente intralciate da omonimie contemporanee'; convien quindi procedere ancora col metodo dell eliminazione, non trascurando alcun dato cronologico , genealogico e qualificativo. Elimineremo subito parecchi genovesi denominati come lui e che compaiono in atti notarili dei primi anni del secolo XIV, stante la certezza, ormai assoluta, ch’egli il 15 dicembre 1278 non era più (cfr. Ferretto , Cod. cit., P. II, p. 203: e documento II, in append. al presente scritto). Più fastidio assai ci recherebbe un Lanfranco Cicala di Ansaldo, che insieme con il nostro sottoscrive nel 1253 l’atto d’accordo coi Veneti, se l’archivio notarile non ci soccorresse, offrendoci modo di stabilire i due rami genealogici e distinguere quello che c’ interessa. Nel 16 giugno 1267 Ansaldo Cicala fa testamento e vi nomina sua moglie Clara di Lanfranco de Volta, Castellina, senza pero parteggiare per questo o per quello , precisamente come avea fatto la sua Repubblica, che, intesa a cogliere dagli avvenimenti europei soltanto l’interesse suo proprio, dopo uno scambio di ambascerie, nulla conchiudeva e^ astuta mente nicchiava. E nessuno meglio di Lanfranco s accorda con la condotta diplomatica del proprio paese : non certo Luchetto Gattilusi cui torna lecito dar consigli all Angioino (2), o quello dei due Percivalle Doria che verso il 1258 cantava le lodi di Manfredi (3); tanto meno Calega Panzano, del quale resta per la stessa occasione della lotta dei tre potenti coronati, un vibrato sirventese a eccitamento d’Enrico di Castiglia (4). Lanfranco, indirizzandosi a Sordello, dice d’assistere con sereno compiacimento ai casi altrui e di non poter trattenere il canto : la m’agradan, en Sordel, las tenzos Dels grans seignors, qu’ ieu non poisc oblidos Estar ni lais per neguna defensa Qu’ieu en fassa qan s’ avenm’ in menbransa. Il poeta morì con buon numero di figli verso il 1274, giacché d’ allora è detto quondam nei numerosi documenti della sua famiglia (5) ; e il Nostradamo lo vuole assassinato da alcuni ladroni presso Monaco. Agli ultimi anni della sua vita riporterei le sue poesie religiose, per le quali il biografo scrisse ch’egli « trobaba voluntiers de Dieu ». Sono forse il suo atto di contrizione. Divenuto uomo di Dio, egli (1) Pubbl. dal Rajna. Un frammento di un codice perduto di poesie p? ον enzali, in Studi di FU. Rom., vol. V, p. 45 ; per la data ved. ib., pagina 31. . (2) Fu pubbl. prima dal Rajna, in Riv. cit., p. 48,. come del Cicala; poi dal Bertoni, Studi, Testi, η. X, p. 45, di su il ms. Campori, che la restituiva al Gattilusi. Per la data, ved. RajNa , p. 32 e sgg. ; e le opposizioni dello Schultz, Le epistole del trovatore Rambaldo di Vaqueiras, ed. cit., p. 170. (3) Bertoni, Studi, Testi, η. I e p. 10 e sgg. (4) Pubbl. dal Bertoni , in Studi di Fil. Rom., fase. XXXIII , P· 1 e seguenti. (5) La notizia mi viene confermata privatamente anche dal Fèrretto, che pare abbia raccolto tutti i documenti riguardanti la famiglia e voglia pubblicarli negli Atti della Soc. Lig. di St. Patria. — 29 — conchiude domandando venia dei suoi peccati e confessandosi. Un componimento è in lode di Maria Vergine (i), un altro è condotto come una delle solite tirate didattico-moraleggianti e termina con una preghiera (2). Altra volta notai già quanto fosse profondo nei Genovesi il sentimento religioso e come gran parte della loro morale muovesse dal pulpito. Tra qualche coblci del Nostro e qualche tratto delle poesie dell’Anonimo si può dire che solo esista differenza di linguaggio. Non oserei anzi affermare che l’Anonimo, suo contemporaneo , ignorasse i suoi prodotti poetici. Il cantore dialettale rappresenta quella classe mediocremente colta del popolo genovese che tanto doveva spregiare la composizione dei carmi d’amore, sia per l’artifìcio della fattura che per la vanità della sostanza, da obbligare il poeta provenzale a trincerarsi ogni volta dietro espressioni di sdegno e disprezzo. Egli non poteva comprenderne l’alto significato quando lamentava: ......le vanitae E le canzon chi son trovae Chi parlan de van amor E de bexiicj con error (3). Si noti la parola trovar nei senso di compor versi. I hexiicj, propriamente bisticci, sono i raggiri di parole , le frasi preziose , i lumi della forma insomma, peculiari all’arte occitanica. Intenderei quel « van amor » per amore che non approda a nulla, perchè fittizio, immaginario, non reale, epperò contrario sotto un rispetto alla serietà u-mana, dannoso sotto un altro per essere fonte continua in altri d’eròtica concupiscenza. Certo egli, l’Anonimo, uomo pratico, poeta borghese, pensatore positivo , riteneva, morale a parte, l’amore come qualche cosa di più spiccio e di più sodo. Francesco Luigi Mannucci. (1) Bartsch, Grundriss, 272, 10. (2) Mahn, Gedichte, n. 714. (3) Rime genovesi, in Arch. Glott. It., vol. X, n. VII, vv. 189-82; su di che ved. il mio lavoro cit.: L’Anonimo Genovese ecc. p. 85. — 30 — APPENDICE. i. Lanfranco Cicala con alcuni colleghi partecipa ad un giudicato della Curia. (R. Archivio di Stato genovese. L’originale in Not. Iohannis du Vegio, cart. 1235-1253: una copia in Riciierio, Pandette, I, fol. 138. col. 6, vol. V della racc., p. 2258). Anno Dominice Nativitatis MCCLI0 Indictione Vili die martii XVIII Iulii Ianue in Palatio Furnariorum ubi Curia prò Comuni lamie regebatur, Dominus Menabos de Florentia Iudex et assessor Domini Menabovis de Turricella Ianue Potestatis , presentibus textibus Lanfranco Cicala Iudice, Wilielmo de Varagine, Scriba Comunis Ianue et Lanfranco Porco, precepit mihi Nicolao de Porta notario ad postulationem Balditionis Muse Sindici Comunis Ianue et ad perpetuam rei memoriam ut autenticarem et in publicam formam redigerem expositiones sive propositiones et consilia facta et facta celebrata et celebrata super laude vel occasione laudis quam consequti fuerunt Ί homas Granaria et Socii contra Saonenses quorum tenor talis est. Die martii XI Iulii Dominus Menabos de Turricella Ianuensis Civitatis Potestas, vocatis Consiliariis more solito per Campanam et Cornu et vocem Pre-conis, exposuit contra eis laudem quam Thomas Granaria et Socii consequti sunt contra Saonenses occasione navis quam in Saona faciebant fieri tempore pacis et exposuit consilio consilium quod dederunt quidam Iudices Ianue ut per consilium providerent indemnitati dictorum Civium et postulavit ad hoc consilium , salvo quod non postulat consilium nec vult, quod aliquis consiliarius consulat et contra conventionem factam Comuni Saone et precepit consiliariis ut nullus consulat in eo quod sit contra illam conventionem , et si quis consuleret contram conventionem illam, vel si concordaret consilium in eo quod esse contra conventionem , ordinat Potestas quod illud consilium non teneat in eo quod esset contra conventionem. Item fuit summa dicti consilii ut super laude et Sententia Thome Granarie et Sociorum Iudices Potestatis cum X aut pluribus de Iudicibus Ianue determinent quid sit justum, ita quod Comune Ianue nihil solvat et eorum consilium reducatur ad consilium. Die XIII Iulii Dominus Alamannus Iudex Domini Potestatis fecit legi consilium celebratum super facto navis Thome Granarie et Sociorum et super ipso consilium postulavit ab eis. Et Lanfrancus Cicala credit quod Comune Saone non tenetur propter conventionem factam eis per Comune Ianue, per quam Comune Ianue eis obligatur ad conservandum eos indemnes, si Comune Ianue tenetur propter remissionem, quam fecit de iuribus privatorum. Et Ugo de Flisco idem. Et Nicolaus Mignardus credit quod predicti possint habere et debeant restauracionem navis a Comune Saone, Et Wilielmus Pictavinus idem — 3i — ut Lanfrancus Cicala. Et Nicolosius de Murtedo idem. Et Ferrarius de Castro idem. Et Simon Tartaro idem. Et Homobonus Iudex ut Nicolosius Mignardus tamen credit quod Comune Ianue non potuit Comuni Saone remittere , et credit quod Comune Ianue tenetur eis. Et Obertus Passius , si Comune Ianue vult observare conventionem, quod est eis obligatum ad solucionem. Et Nicolaus de Vultabio non credit quod Comune Saone teneatur emendare navem nec quod possit convenire propter conventionem, si credit quod Comune Ianue tenetur ut dictus Lanfrancus Cicala. Et Bartholomeus Ferrarius idem. Et Wi-lielmus de Quinto idem. Et Ansaldus de Ast idem. Et Petrus de Nigro et Nicolaus Mignardus et Enricus Fra verius idem ut Lanfrancus Cicala. Die XIII Iulii. Dictus Potestas vocatis consiliariis exposuit coram eis quod..........Item fecit legi consilium quorumdam Iudicum qui consuluerunt super petitionem Thome Granarie et Sociorum et postulavit inde Consilium et precepit quod nullus consulat contra conventionem factam a Comuni Ianue et si quis consuluerit contra conventionem , ordinavit Potestas quod illud consilium non teneat in eo quod esset contra conventionem factam Comuni Ianue. Die XIII Iulii. Item fuit summa dicti consilii ut super petitione Thome Granarie et Sociorum Comune nihil solvat in hoc nec contra Comune Ianue audiantur si Iudices Potestatis faciant eis ius. Ego Nicolaus de Porta, Sacri Imperii Notarius, iussu dicti Domini Alamanni dictas expositiones, seu propositiones et Consilia sic autenticavi et in formam publicam redegi. II. Contraito dotale di Caterina Cicala, figlia di Lanfranco. (R. Archivio di Stato, orig. in Notari Ignoti, Reg. VI, ad an.). In nomine domini amen. Ego Cathalina, filia quondam Lanfranchi Cigale jurisperiti, confiteor vobis petro quondam Cigale, canonico ecclesie Ianuensis, fratri meo quod pro me et precibus meis atque consensu et voluntate mea et mandato meo maritare me debetis et dare pro dotibus meis futuro viro meo et illi in quem concedente domino maritabor, libras quadringentas quinquaginta Ianue computatis in ipsis libris quadringentis quinquaginta libras nonaginta quinque quas habuistis et vobis solverunt Iacobus Lercarius et Lanfrancus de sancto ro-mulo pro oberto cigala patruo meo qui ipsas pro me habuerat occasionibus infrascriptis videlicet libras quinquaginta occasione legati michi relicti a quondam Aymelina amita mea et libras quadraginta quinque occasione legati michi relicti a quondam pascalino fratre meo. Quare ex pacto adhibito inter me ex una parte et vos ex altera in presenti contractu et ante et post presentem contractu mando et trado vobis vel quasi ex causa vend irionis in vos totaliter transfero omnia iura — 32 — michi competentia seu que mihi competere possunt contra quamcum-que personam et quorumcumque bona pro eo quod petere possem vel linquam potui quacumque occasione seu quacumque ex causa in bonis et de bonis quondam Saphirie matris mee et contra heredes ipsius et in bonis et de bonis fratruum meorum defunctorum et specialiter Con-radini Octaviani et Pascalini et demum omnia iura mihi competentia vel que mihi competere possent contra heredes et bona predictorum et cuiuscumque eorum et quamcumque alteram personam occasione alterius successionis mihi delate ex testamento vel ab intestato et cuiuslibet legati mihi a predictis vel aliquo predictorum relictis et demum quacumque occasione vel causa ut ipsis iuribus uti possitis agere et experiri et omnia demum facere in iudicio et extra quam ego facere possem vel unquam potui constituens vos in predictis omnibus et singulis procuratorem ut in rem vestram salvo quod non intelligar vobis ■ cesisse aliqua iura occasione illarum librarum quinquaginta quas dicta quondam Aymelina amita mea legavit mihi et quas dictus Obertus patronus meus habuit et recepit pro me nec eciam de illis libris quadraginta quinque quas mihi legavit pascalinus frater meus quas similiter dictus Obertus habuit pro me cum dictas libras nonaginta quinque habueritis et computate sint in dictis libris quadraginta quinquaginta ut dictum est. predictam autem cessionem et omnia et singula supra-dicta promitto vobis habere rata et firma et attendere complere et observare et contra in aliquis non facere vel venire alioquin penam dupli de quanto et quociens contrafiet vel non observaretur vobis stipulanti promitto, ratis manentibus supradictis et pro predictis omnibus attendendis et observandis omnia bona mea habita et habenda vobis pignori obligo confitens eciam me maiorem esse annis XVII et ìuro predictas tactis sacrosantis scripturis attendere et observare et contra in aliquo non venire occasione minoris etatis vel aliqua alia et facio predicta consilio petrini de nigro quondam enrici et Ugolini cigale fratris mei quos meos propinquos vicinos et consiliatores in hoc casu elligo et appello. Actum Ianue in contrata de banchis in domo dicti petrini et nepotum ipsius et consortum. anno dominice nativitatis MCCLXXVIII indictione VI, die XVII decembris post vesperas testes dicti consiliatores lanfrancus de sancto romulo Mernaldus de nigro et Bonifacius de nigro quondam Guillelmi. 33 — UN MANIPOLO DI LETTERE DI ANDREA E GIANNETTINO D’ORIA Stimo non inutile la pubblicazione di queste poche lettere. Tutto ciò che si riferisce a personaggi storici, che a lungo hanno esercitato influenza su uomini e avvenimenti del loro tempo, ha importanza. Ogni notizia nuova, per quanto povera e insignificante in sè , può , se non altro, concorrere a chiarire, o a confermare altre notizie, già acquisite alla storia. Le diciotto lettere , che qui seguiranno , appartengono tutte ad Andrea, tranne Γ ultima, che è di Giannettino ; e sono indirizzate, cinque al papa Paolo III, quattro al cardinal Farnese, due al protonotario Ambrogio Ricalcato, segretario del papa Paolo III sino alla fine del 1537 (1), e sette al conte Agostino Landi. Fatta eccezione per la prima, del 21 gennaio 1536, che sembra scritta tutta di mano di Andrea, le altre hanno autografa soltanto la sottoscrizione. Le lettere al Landi sono nelle Carte feudali Laudi e le altre nel Carteggio Farnesiano dell’Archivio di Stato in Parma, miste a tutta la vasta corrispondenza, in fogli sciolti, che il compianto Amadio Ronchini fece raccogliere in buste e ordinare cronologicamente. * * * Quelle segnate coi numeri I, VII, X, ΧΙΙ-Χλ^ΙΙ sono di carattere familiare ; contengono cioè raccomandazioni , o promesse, o credenziali, ecc. Le altre sotto i numeri II, VI, VIII-IX, XI, XVIII, trattano più specialmente affari di stato, governo, guerra, difesa delle coste e via dicendo. Appartengono al secondo gruppo tutte e cinque quelle in- (1) A. Ronchini, Mons. Ambrogio Ricalcato. In Atti e Memorie delle RR. DD. di Stor. Patr. per le prov. dell’Emilia, N. S., II, 69-79. Modena, Vincenzi, 1877. Qiorn. St. e Lett. della Liguria. 3 — 34 — dirizzate al Landi, le quali, non solo attestano la viva corrispondenza epistolare fra Andrea D’Oria e quel feudatario, ma dicono anche quanto importasse al primo tener legato a sè e all* imperatore un signore, i cui domini nell Appennino , a cavaliere fra i ducati e il genovesato , potevano avere peso non lieve nella bilancia dell’ostinata guerra per il dominio d’ Italia e il primato in Europa. Fra quei monti dirigeva il Landi un servizio d’informazioni preziosissimo per gli imperiali. E Andrea gli inculcava di non « perdonare ad alcuna spesa......per intendere et vedere tutti quelli movimenti » che facevano i nemici. E al Landi si rivolgeva anche , come del resto a tutti gli altri principi e signori amici, per rifornire di rematori le sue galee, avvertendo che, commutando ai condannati « il suplitio della vita in el star in Gallera in perpetuo , essi non sariano senza condecente pena al delitto ». Opinione già manife stata da lui anche in altre occasioni (i). Speciale importanza hanno , le lettere Vili, XI? XVIII, La prima del 16 settembre 1537, al Ricalcato, da Napoli, in risposta alle sollecitazioni del papa , perchè , congiunta la sua armata con quella dei veneziani, il D’Ona movesse contro i turchi, oppugnanti Corfù, fu scritta evidentemente prima che Andrea fosse informato che erano stati firmati (13 settembre) i preliminari di quella lega fra Carlo V, Paolo III e Venezia, alla quale furono date forma definitiva e sanzione l’otto febbraio dell’anno seguente 1538, e che, d altra parte, nello stesso tempo, i turchi si erano levati da Corfu. Se altrimenti fosse stato, che cosa avrebbe costretto il genovese a fare un lungo ragionamento per giustificare il suo rifiuto? Fu molto biasimato il contegno del D’Oria in quest’ occasione. Ma a chi ha conoscenza non superficiale dei fatti, le ragioni da quello addotte devono sembrare più che plausibili. Comunque , questa lettera, oltre che farci (1) Ai 5 dicembre 1530 scriveva al Duca Federico Gonzaga di Mantova. « .......... condannati a morte, della quale non per questo veneranno a restare excusati , ma su ne le galere forsi tante ne proveranno quante meriteranno li loro errori....... ». Achille Neri, Andrea D’Oria e la Corte di Mantova, Genova, 1898, pag. 35. — 35 — conoscere il programma navale del D’Oria per una impresa di polso contro il turco, ci dà modo di spiegare più d’un avvenimento marittimo del tempo e in particolare certe titubanze e incertezze, che tanto nocquero alla fama dell’ammiraglio cesareo. La undicesima, del 18 febbraio 1540, da Genova al papa, dal quale Andrea chiedeva l’esenzione in perpetuo da ogni decima per i coloni , che il banco di S. Giorgio voleva attirare in Corsica, coloriva molto abilmente un tentativo dei genovesi nell’ isola soggetta. Secondo questa lettera gli amministratori del banco volevano assicurare la difesa dell’ isola dagli assalti turcheschi con castelli e torri, presidiati da soldati, che avessero le famiglie vicino a sè, nell’isola stessa. E il D’Oria mostrava credere che un tal provvedimento avrebbe recato vantaggio anche alle coste dello stato pontifìcio. In verità la cosa non poteva essere trattata con maggiore accorgimento per cattivarsi la benevolenza papale. Ma dagli storici genovesi sappiamo che la ragion vera del tentativo era stato il desiderio del senato genovese di ovviare ai disagi prodotti dalle carestie e dalle difficoltà, di importar frumento da altri Stati, coll’introdurre in Corsica la cultura del grano. Difatti, su proposta di Francesco Grimaldo Bracello e Troilo Negrone, mandati a studiare i luoghi nel 1539, fu edificata l’anno dopo una città a Portovecchio, dove, a tutela della colonia dedottavi, fu destinato anche un presidio di soldati, capitanati da Bartolomeo Spinola. Ma il tentativo fallì, e per la sterilità del suolo , e per la insalubrità dell’ aria (1). La diciottesima, che è quella di Giannettino, scrìtta al Landi da Messina il 30 luglio 1537 , offre una relazione nuova della crociera di Andrea nel mare Ionio in quel mese, con qualche particolare ignorato sinora, come , ad esempio, la notizia che il D’Oria,· già verso la metà di luglio, aveva saputo dalle ciurme di due galee e di una galeotta turche cadute nelle sue mani, che il sultano era già alla Valona e preparavasi a passare in Puglia. Da notare poi è anche (1) Bonfadio I , Annali delle cose de1 Genovesi dall’anno 1528 sino all’anno 1550, (traci. Paschetti), Capolago, 1836, pp. 320-121. — 36 — che Giannettino , il quale scriveva al Landi che gli si^ rimandavano dei sudditi suoi, già schiavi, ma ricuperati in quella occasione, mentre ricorda la ferita riportata da Antonio sopra il ginocchio nello scontro del 22 con le dodici galee di Gallipoli, tace la notizia, a noi da altra ionte nota, che egli stesso in quello scontro era stato ferito , bene e leggermente, ad una coscia (i). Ma l’importanza maggiore della lettera è in questo che da essa possiamo rilevare la data precisa di quegli avvenimenti, che è confermata anche dalle lettere di Don Ferrante Gonzaga dalla Sicilia, mentre, in generale, gli scrittori non vanno in ciò d accordo. * * * Minore importanza hanno, com’è naturale, le lettere di carattere famigliare, quantunque alcune di esse si ricolleghino agli avvenimenti pubblici. A ogni modo ci attestano con quanto calore Andrea D’ Oria assumesse la protezione e la difesa di parenti, amici e clienti, e come, pur in mezzo a cure gravissime, non isdegnasse prendere interessamento a cose private, che gli sembrassero degne della sua attenzione. Nè mancano in esse notizie di qualche valore. Cosi per esempio , impariamo dalla prima che 1 arcivescovo di Corone e legato del Peloponneso, ch’era passato col DOria in Italia quando quella città fu riconsegnata ai turchi, ancora nel 1536 errava miseramente per la penisola, senza mezzi e da tutti abbandonato. Così uno sguardo , sia pur fuggevole , agli intrighi monastici del tempo ci è consentito dalla decima, con la quale il D’Oria raccomandava al Ricalcato alcuni frati di S. Francesco , che , volendo passare ai cappuccini, brigavano per condurre le pratiche alla chetichella , di nascosto del loro superiore. E altro si potrebbe aggiungere, che il lettore rileverà da sè , senza bi-sosfno d’aiuto altrui. Gaetano Capasso. (1) Don Ferrante Gonzaga a Carlo V, da Messina, 29 luglio 1537. Registro delle cose del governo di Sicilia , i535~39 > f°l* io3· Carte Gonzaga, dell’Arch. di Stato in Parma. — Anche Antonio D’Oria, alla sua volta, nella sua relazione non parla della ferita a lui toccata. Cfr. A. D’Oria, Compendio delle cose di sua notitia et memoria occorse al mondo nel tempo de II’imperator e Carlo Quinto, Genova, 1571, pp. 70-72 ■ — 37 — I. (A tergo) Alla S.a di N. S. Sanctiss.0 et Beatiss.0 P.re Dui anni passati, quando si succorse Corone, portai in queste bande Γ arcivescovo della detta Cita et Legato di tutto II peloponneso exi-bitor della p.te. persona di grande bontà et molto venerata da quelli populi. Et perche si trova privo della patria sua et dello Intrateni-mento et governo che teneva, non per altra causa, se non per mantenersi in la fede, Et si può dir sia constretto andar mendicando, Mi è parso far non solamente testimonio de 1’ essere et condicione sua bona a V. B.° ma suplicarla li voglia haver compassione, et per ben raccomandato , che certamente qualsivoglia carita in Lui sara ben spesa, Et io Insieme ne recevero g.^a da V. SM Alla quale baso soi Santi piedi. — Da Napoli alii XXI di Genaro 1536· Di V. SM humill.mo et devotis.mo Servo Andrea d’ oria. II. (A tergo) All’III S.or il S.oy Conte Aug.no de landò III. S.or come fratello, ho ricevuta la lettera di V. S. di viiij in credenza del suo mandato dal quale fidelmente mi è stato exposto quanto da quella gli è stato commisso, et per risponder prima a quella parte che tocca al seruitio di S. M.ta alla quale totalmente questo se può indrizare, V. S. tenghi per certo ch’io farò tal relation delle attion et buona volunta sua che spero in ogni tempo ne sarà tenuto memoria, et buon conto , perchè queste démonstration di V. S. son tale che meritano altrimente,....... quanto poi a quella parte che tocca al beneficio di questa terra et a me non mancarò già di dire a V. S. che se io non li havesse altro obligo di questo, o, che io non fussi suo prima di adesso, che queste dimostrationi etiam che fussino minore bastariano ad farmele perpetuamente ubligato , et se acaderà oltra delle predette cose il bisogno li effetti, o, almeno la bona volontà ne farano fede. Per la importantia che portano seco li andamenti di quelli ecc. io desidero grandemente esserne di continuo bene avisato, però non bisognando perdonare ad alcuna spesa , pregarò V. S che per tutti li detti respetti vogli mandare qualche suo fidato , et che sia discretta persona, per intendere et vedere tutti quelli movimenti che fanno, et secondo la importantia di quel che trovarà espedirme poi in diligentia con darmene aviso et distinguerme bene ogni cosa tanto del numero della gente, et delli lochi dove si ragunerano, come del camino che disegnerano tenere, che oltre si pagarano tutte le spese che V. S. fara — 38 — a chi ella ordinarà , agiongerò questo obligo alli altri , et a V. S. mi racc.0 — Da Genova alli XI di Aprile 1536. Di V. S.ria Andrea d orta. III. Allo stesso. III. S.or Heri feci risposta all’ altra lettera di V. S. di XV per 1 homo suo et la ringratiai infinitamente delli avisi dattemi, et hora non so se non far il medesimo de questi altri che mi ha inviati con la sua di XVI, et tanto più quanto sono distinti et usciti da persona qualificata ; nè dubiti V. S. chio non tenghì tutto secreto come conviene et chio non faccia rellatione della diligentia et devotione sua verso la Ces. M.|a, cussi la prego ad essere contenta avisarmi di mano in mano secondo la importantia et certezza delli successi, che io particolarmente gli restaro sempre obligatiss.m0 , offerendoli all’ incontro quel poco eh io posso et tengo al mondo al suo comando, sperando si debia ritrovare ben contenta et satisfatta d’ogni servicio fatto alla M.ta Sua et a V. S. mi Rac.° — Di Genova alli xviij di Aprile 1536. A Comandi della S. V. Andrea d’oria. IV. Allo stesso. Molto Mag.0 S.or ho ricevuta la lettera di V. S. la quale non solo ringratio summa-mente della demonstratione c’ ha fatto verso di me della sua bona vo-luntà, ma ne la comendo, perchè essendo ella feudataria dello impe-rador, quando S. M> se lo havesse asdegno, saria sufficiente escusa-tione di havermelo fatto intendere. Me rincresce ben assai del caso del S.01' Aurelio (1), amandolo singularmente per tutti li respetti, però voglio ben dire a V. S. che se il S.or Aurelio o , altri S.ri fregosi si persuadessero esser exosi a questa Cità, sariano in grandiss.0 errore ; et tra li altrj quando esso S.or Aurelio si elegesse venire in questa terra, saria tanto voluntierj visto et acarezzato , come quando la bo : me : di suo padre vi era vivo, et di questo non ne tenghi dubio alcuno. Nè mi occorre dire altro a V. S. che offerirmeli et raccomandarmi. — Da Genoa alli XV di luglio 1536. Di V. S.ria Andrea d’ oria. (1) Intorno ad Aurelio Fregoso , che fu bandito dai domini della Repubblica come ribelle, può vedersi un cenno biografico nel Litta, Famiglia Fregoso. Ed è inoltre a vedere Livi, La Corsica e Cosimo /, pp 113, 181, 183. — 39 — V. Allo stesso. IlLU : COME FRATELLO. Essendo ritornato di questo viaggio di Spagna habbio inteso V. S. haver due prigioni per la vita , et perchè le Gallere hanno pattito, quando a V. S. paresse commutarli il suplitio della vita in el star in Gallera in perpetuo, essi non sariano senza condecente pena al delitto, et V. S. a me faria sommo piacere , a la quale di continuo mi raccomando et offero — Da Genova alli Vili di Genaro del MDXXXVII. De V. S. Andrea d’ oria. VI. Allo stesso. III. S.or ho inteso quanto V. S. mi ha scritto et quanto mi ha refferto a bocca il presente suo m. Hieronimo , di che resto in tutto satisfattis-simo di V. S. essendo certo che essendo tanto ben nasciuta come è, non sapra fare se non cose degne di lej tanto in quelle cose che mi ha promisso , come in ogni altra che concerna il servitio di S. M.ta, come ancho intenderà dal p.to suo m. Hieronimo al quale nel resto mi remettero , accertando V. S. che se in qualche cosa li potrò far piacer et servitio, conoscerà di havermi sempre per suo, et che potrà disponer di me come di cose sue : però senza altro dire me le offero. — Da Genoa alli xvj d’aprile 1537. A piacerj di V. S. Andrea d’oria VII. Al Papa. Sanct.1110 et Beat.1110 Padre Essendo per fin stati di compagnia il cap.° Iulio (1) con le galere della S.ta V. et io con quelle de Γ Imperatore nelle parti di levante, in quei luoghi nei quali havemo giudicato posser fare maggior servitio alla rep.a christiana et fatto quel tanto che alle piciole forze nostre si è offerta 1’ occasione di puoter fare , il che non è già stato se non a gran benefitio de tutti christiani. Et dovendo esso Cap.° Giulio ritornar dalla S.ta V. havendolo conosciuto persona et prudente et tanto ben qualificata che se li può credere non tanto questo pic- (1) È probabilmente Giulio Podiani o Pojani da Rieti; cfr. Guglielmotti, Guerra dei Pirati, Firenze, 1S66, II, pp. 96, 112, 134. — 40 — ciol carrico, ma assai maggiore impresa, essendo sempre stato in tutte le actioni sue tanto considerato et circonspetto quanto possi esseie alcuna altra persona, mi e parso convenirsi al debito mio di farne buon testimonio alla SM V. et pregarla humilmente che la si degni farmi gratia di haverlo per ben raccomandato et tenerne quel conto che meritano le virtù sue pregan. N. S. che alla SM V. Conceda longa et felice vita. — Dat. in Gal.a a Messina li XXXI di agosto MDXXXVII. De V.a S> r , Humiliss.o Ser.or et ubidient.mo figliuolo qual suoi piedi basia Andrea d’oria. VIII. (A tergo) Al R.mo Mons. il Prothonotarìo Ambrosio [Ricalcato\ Secr.10 de S. S.a R.m0 Mons. [L’ardente desiderio che S. S.ta tiene di soccorrere alla Isola de Corfu in questa obsidion turchesca è tanto laudabile che la non po-tria essere più, quando che il tenda tanto evidentemente al ben de tutta la Repu.a X.*, ma quando che la pensi questo puotersi fare al presente con le pochissime forze che si hanno , mi bisogna dii e che S. SM sia male informata del luoco et del sito] (i): al quale non e possibile poter soccorrere se non con armata che unita con quella della S> de Venetia sia non solamente et numerosa et grande , ma bastante a opprimere et sforzare la nemica, la quale quantum che per adesso io non veda il modo di posserla congregare, havendo io licen-tiato il presidio eh’ io teneva, qual , havendo più volte offerto al generai de l’armata veneta non è stato accettato, che era de Nave cinquanta che teneva in Messina et delle Galere con le quale io era passato in quelle parte , cioè quelle de S. S.ta et della religion che son licenziate et già più giorni da me partite , et le de Napoli et Sicilia ch’io ho lasciato alla guardia de 1’ uno et Γ altro regno, secondo che le sono deputate, et de quelle ch’io tengo al servitio de S. M.|d, con le quale io me ne vado a Genoa per posser obviare a dessegni che far potessero le armate de suoi nemici et essendo la stagione tanto inanzi che hormai la vieta la navigatione et concede i porti. Non so che mi dire, benché il mio desiderio sia sempre stato et sia di spender quelli puochi giorni che mi restano in servitio e di S. SM et della M.ia Ces. Mass.e in una così S.ta impresa, eccetto ch’io giudicarla necessario che S. S.ta, qual ben cognosce l’animo et le forze de l’imperatore et quanto Sua M.ta sia calda nelle cose che riguardano il servitio de Idio et il ben uni versai de christiani, li scrivessi et facessi de (i) Questo periodo fu già pubblicato nell’opera: Carlo Capasso , La politica di Papa Paolo III e l’Italia. Camerino, 1901, pag. 311, n. 1. — 4i — ogni cosa notizia concludendo il congregar de una armata , la qual, come ho detto , gionta con la veneta possi non ( solamente opponersi alla Nemica, ma debellarla e riportarne vittoria, al che io tengo certo che S. M.ta si exibirà promptissima come in simili cose la è sempre stata. Et con pregar N. S. che V. S. Rev.ma conservi longamente la prego che la si degni in vece mia basiare a sua S.,a li santissimi piedi. De Galera a Napoli li XVI di Settembre MDXXXVII. A comandi de V. S. R.ma Andrea d’oria. IX. Al Conte Agostino Landi. III. S.01’ Conte Mi persuado che V. S. habij havuto noticia dell’ assassinamento fatto a m. Troilo ravaschero de Chiavari bo: me: sopra il quale non mi accadde extendermi, se non che sapendo V. S. essere protectore delle persone virtuose, et inimico delle triste , mi è parso pregarla come amico del detto m. Troilo et quasi parente per la dependentia teneva con questa casa, voglia essere contenta per amore mio , capitando alcuno degli homicidiali in le terre sue, che sono Anton.0 Calcia, il Cavagnaro, et Bartolomeo Sanguineto de chiavari, farli dettenere et remetterli alla giusticia di questa Cita, che oltra farà opera degna di lei, io gli ne resterò molto obligato , et a V. S. mi rac.° — Dat. In Genova al)i X di ottobre MDXXXVII. A servicij di V. S. Andrea d’ oria. X. Ad Ambrosio Recalcato. Molto R.° S.or, Alcuni frati di questi di San Francesco amici mei, et persone devote desiderano intrare in la religione et vita de capuzini et obtenerne licentia da S. S.ta senza notizia del loro Ministro, qual se li oppone, et oltre di questo poi li punisse. Prego V. S. attento che la loro intentione è bona, voglia essere contenta'impetrarli tal licenzia da N. S. et favorirli secondo ho fede in quella, et secondo più a pieno sarà informata da Mons.01' R.mo Camerlengo , al quale ho inviato il memoriale, et V. S. mi ne fara grandissimo piacere, alla qual mi racc.0 — Dat. in Genova alli XIIII di ottobre MDXXXVII. A comandi di V. S. Andrea d’ oria. — 42 - XI. Al Papa. Sanctiss."10 et Beatiss.1110 Padre Per obviar alle assidue incursioni, prede, et danni, che le fuste de infideli facendo in Corsica scorano poi la piaggia Romana et tutta questa région maritima, hano pensato li Protectori et Governatori di questa Mag.a casa di San Georgio , far fabricar alcune torre Castelle et altre habita.e in la detta isola, mediante le quale non sia cussi facile l’ingresso alli detti infideli. Et perchè senza aiuto de novi habitanti et agricoltori restarebbe il dissegno imperfetto et vano , li quali è necessario condurre da diverse parte con tal speranza et comodità et exemptione che li rendi più facili al venire , et fra le altre che non habiano da pagar imperpetuo alcuna decima alla quale sono insoliti, mi è parso suplicar instantissimamente V. S.ta, poi che l’opera è santa, la spesa et difficulta grande, et l’interesse comune, sia contenta concorrere et concedere la sopradetta exemptione di decime che oltre sarà per servicio di N. S. Dio et salvatione di tante anime, io la re-ceverò per gratia singolar.ma da V. SM Alla quale devotamente baso soi S t* piedi. — Da Genova alli XVIII di fevraro MDXXXX. De V. S> Humilliss.mo et devot.mo Servitor qual soi santi piedi basa Andrea d’ oria (i). XII. Allo stesso. SAN.mo ET BEA.mo PR. Ritornando Ambrogio d’oria a servir V. S.t-a il proveditor generale dell’ armata della M.ta Ces.a (2) et io havemo conferto seco alcune cose che toccano al servitio di S. M.ta, supplicando la S.ta V. si degni ascoltarlo, et insieme concederci la gratia della quale la p.ta M.a scrive alla SM V.ra, che oltre il piacer ne farà a S. ΜM, il p.t0 proveditor et io la riceveremo come se fusse cosa che particularmente a noi proprj toccasse. Et così basciando li piedi a V. S.ta prego N. S. dio le doni longa et felice vita, secondo li soi giusti et santi desiderij. Da Civitavecchia alli XIX di Maggio del MDXL. Di. V. S.ta humill.mo servo qual suoi s.ti piedi bascia __Andrea d’oria. (1) Il cardinal D’Oria scriveva al papa, per la stessa ragione, il 20 febbraio 1540. Anche lui avevano pregato di buoni uffici i protettori del banco di S. Giorgio, i quali, per altro, avevano già inviato a Roma, a Paolo TII, Benedetto Gentile e G. B. Lomellino. CartegFarnesi del R. Arch. di Parma. (2) Francesco Duarte. Cfr. il N. XIV. — 43 XIII. (A tergo) Ao Ill.nw et R.mo Mons.01' oss”10 il S.or Cardinale Farnese. lLL.mo et R.m0 Mons. oss.m0 M. Paulo Spinola (i) presente exhibitor è stato non solamente a-robato ma assassinato di sorte da Lionelo de Vivaldo suo fattore, che è stato constretto per recuperat.0 delle cose sue proprie procedere contra di lui de la manera che già per aventura V. S. R.ma deve essere informata, et per che mi pare che per qualchi favori il detto Lionello sia stato relaxato dalle carcere con certa sicurtà , et liberato dalla condenatione fatta contra di lui dalla giusticia, in grave pregiu-dicio et dano del detto m. Paulo , non già perchè si curi li sia datta altra punitione, eccetto che li habia da manifestare et ritornare il suo come ogni debito et honestà ricerca , et per questo vorebbe fosse ritornato in pregione acciò che con questo timore si havesse per una volta da terminare. Suplico V. S. R.ma sia contenta per la servitu ch’io li porto farmi gratia di favorir il detto m Paulo in tuto quello che la sua giusticia l’accompagna, talmente che senza più consumarsi possi uscir di questi soi travagli, che di quanto V. S. R.ma degnerà operar a beneficio suo, reputerò fatto a me medesimo, per la stretta amicitia tengo con lui, et a quella ne resterò in particolare obligatione che cussi facendo fine li baso le mani. — Da Genova a XXI di A-prile MDXXXXI. De V. S. Ill.ma et R.ma Servitor Andrea d’oria. XIV. Al Papa. SANTISS.mo ET BEATISS.m0 PADRE, Quello che per la distantia non m’ è concesso suplicar personalmente alli piedi di V. S> corno desiderarci per poterli dimostrare meglio le ragione che mi accompagnano a farlo , ho datto cura a m. Ambrosio d’oria, che lo eseguisca da mia parte. Suplico humilmente (i) Fu ambasciatore a Carlo V a Savona nel 1536. Più tardi si voltò contro il D’ Oria e gli Spagnuoli. Si può vedere al proposito : Bernabò Brea, Sulla congiura del conte Gian Luigi Fieschi. Docume?iti inediti. Genova, Sambolino, 1863, pag. 135 sg. — Documenti Ispano-Genove si, in Atti Soc. Lig. Stor. Pat., VIII, pp. 221-222. — Canale, Storia di Genova dal 1528 al 1550. Genova, Sordomuti, 1874, p. 321 sgg. Fu anche implicato nella congiura di Giulio Cibo; Cfr. Staffetti, Giulio Cibo-Malaspina, in Atti e Memorie della R. Dep. di Stor. Pat. per le provincie Modenesi, Ser. VI, vol. II, pp. 59» 6o> 6r· 67 »· — 44 — V. S.ta prestarli fede come a me medesmo, et non mi tener presuntuoso se fra le racc.e di S. M> Ces.a voglio interponere l’opera mia debilissima, et superflua come accade in questo caso. Pero ceitifico V. S.ta che oltra fare mercede a persona benemerita, et suo devotissimo servitore com’è il proveditor Frane.0 Duarte , io la receveiò in particolare gratia da quella, che cussi resto pregando N. S. Dio felicissima la conservi. — Da Genova alli XI di Maggio M. D. XXXXI. De V S ta v * * devotiss.mo Servitor qual soi s.ti piedi basa Andrea d’ oria. XV. Al Cardinal Farnese. lLL.m0 et R.mo S.or mio. E per essere io servitore della S.ta di N. S. e di V. 111.'11·1 e R. S. e del Ill.m° S.r Duca di Camerino (i), tanto più per il stretto grado tiene S. Ecc.a con S. M.ta, non mancherò di fare tutto quello che in me sera che S. 111«·» S. habbi quello et tutte quelle commodità se non quale essa meriterebbe, quelle che saria il desiderio mio per la detta mia servitù. Ben mi dispiace che di ciò non sia stato prima avvertito, acciò havesse hauto più tempo di assestare et accommodai e quelle gallere che a S. Ecc.a fussero state assignate , tanto più che hora , oltra la brevità del tempo , è tanto grosso il mare et mal disposta Paria che non posso mandare gallere quà e là per fare quella provisione che vorrei e saria mio debito di fare , pur non mancherò di quello che mi fia possibile rimediare che si di grossa la sua banda come di quelle commodità si potranno sua p.sona et corte sia servita. Et a V. Ill.ma et R.ma S. bascio le mani, che n. s. dio la conservi et aum.ti come esso et io desidero. Di G.ra il XVII Settembre del XLI. Di V. Ill.ma et R.ma S. Andrea d oria. Et perchè S. Ecc.a condurà cavalli et muli per sui carriagi sarà necessario ch’io habbi la lista et il numero de cavalli et mulli quali si haveranno a condurre , perchè manderò a Genova a far provisione di nave per essi, che non basteriano quelle che habbiamo stando già dessignate ciascaduna di esse al suo carrico. XVI. Allo stesso. Ill.1u0 et R.mo Mons. Oss.mo Desiderando ottenere gratia da S. S.ta del refferendariato di gracia per m. Giovan Battista d’oria mio parente, ne ho scritto a S. B.e su-plicandola non me la voglia denegare. Però suplico medesmam.1' a (i) Ottavio Farnese; cfr. Guglielmotti, op..cit., Il, 95. — 45 — V. S. R.ma mi voglia fare tanto favor apresso di quella, che ne segui lo effetto, sì come per la servitù mia verso S. S.la et V. S. R.'“J ha da sperare che glie ne resterò con perpetuo obligo , oltra che favorirà persona della quale si troverà ben servita, et cussi facendo fine li baso le mani. — Da Genova alli XXVII di Fevr ro i542· De V. S. Ill.ma et R.ma Servitor Andrea d’ oria. XVII. Allo stesso. lLL.m'° et R.m0 Mons.01' Oss.m0 Desiderando la expeditione de un negotio toccante al R.° Abbate di Negro (i), et ad Erasmo D’Oria mio nepote, ho dato cura a M. Gio. Battista Lomelino , che ne informi V. S. Ili.,lia et R.raa a bocca , per darli manco fastidio con littere. La suplico mi voglia far gratia di favorirlo, come ricerca la mia servitu verso quella , che oltre sia cosa giusta, et di non molto momento , ne resterò assai più obbligato a V. S. R.ma che se tocasse a me proprio. Alla quale basando le mani prego dio concedi quanto desidera. — Da Genova alli V di Aprile MDXLII. Servitole Andrea d’oria. XVIII. Al conte Agostino Landi. lLL.m0 S.0I‘ MIO OBSERVANTISSIMO. Dovendo per ordine del S.01’ Cap.° nostro (2) scrivere alla Ill.“a S. V., et farli parte del successo del nostro viaggio narrerò brevemente a quella. Partendosi da Messina a li octo dii presente navigamo a levante et in spacio di tre giorni pigliamo terra nel Canalle de Griffo: dove noi arivando pigliamo diecoe schirassi di 1 urchi cum tucte le (1) È l’abate Tomaso di Negro, il cui nome ricorre sovente nelle carte politiche del secolo XVI ; della sua persona poco si sa , soltanto si rileva ch’egli fu accorto ed inframmettente diplomatico, agente della Repubblica, del duca di Toscana e d’altri ancora, ma sovente ufficioso e segreto, anziché investito da pubblico mandato. Comparisce fra i testi nella causa della Repubblica di Genova contro Scipione Fieschi (Atti Soc. Ltg. Stor. Pat , VIII, p. 338). Sembra dovesse essere ucciso nella congiura fieschina (ivi, p. 338). Le sue deposizioni testimoniali non ci sono rimaste, ed è a dolere perchè da esse si potevano ricavare notizie biografiche delle quali manchiamo affatto. (2) È Antonio D’Oria, come si ricava dall’ accenno alla ferita di freccia sul ginocchio, che fu appunto riportata da Antonio. - — gente, qualli erano carichi di victovaglie per sua armatta, et la nocte a epssi et vieto vaglie si dette il fuocho. Poi venendo alla volta di la vellona pigliamo doe Gallere et una Galeota che veniano da l’armatta, da le qualle inteixemo il S.or Turcho essere in persona ne la vellona et cum ogni celleritta haprestarsi per passare in puglia: et habbiando inteixo veniva da levante certe Gallere, si voliamo et a li ventiduo s’ incontriamo in dodexe Gallere de Galipolli benissimo in ordine , et si deffendereno gagliardissimamente , et cum grande mortalità Ihoro et danno nostro le preizamo tucte. Et il S.or Cap.° nostro in dieta ba-taglia restò feritto di una frechia sopra il zenochio, et laudato s:a dio è fora de pericullo, et li è dispiasuto assai di non posser scrivere per fare suo debito alla Ill.ma S. V. Et habbiando nel presente viaggio ricuperatto certi schiav et cognosciendo Γ obligo grande à verso di quella, ha volsuto si mande li sei subditi, quali habbiamo facto imbar-chare ne la presente nave, parendo presta et secura , a li qualli si è dacto bono ordine et governo , et non se li è facto il conto intierro non sapendo quanto habbiano havere, essendo stati pagati da baptista Bacigalupo mentre demancho arivando a Genoa se venderà il conto et se li farà il debito. Che non dirò altro al presente alla Ill.ma S. V. se non che il S.or Cap.° resta continuamente servitor di quella , et supplicha voglia disponere di lui et sue Gallere, come se fosseno soe proprie, et cossi io restando sempre a comandi di quella et a epsa humilmente m’araccomando. Da Messina a li 30 di Iullio 1537. Di V. 111.“» s. Servitor IO. BATIN D’ORIA L’INDUSTRIA E IL COMMERCIO IN SESTRI PONENTE NEL MEDIO EVO (0 Il volume XXXIV degli Atti della Società Ligure di Stona Patria contiene gli annali storici di Sestri Ponente e delle sue famiglie dal secolo VII al secolo XV. E una raccolta diligentissima di ben millecinquecento trentasette documenti che riguardano Sestri, parte tratti dair Archivio di Stato di Genova, parte dall’Archivio Parrocchiale della chiesa di San Giovanni Battista, dovuta all’ opera paziente (1) Atti della Società Ligure di Storia patria, vol. XXXIV. — Annali storici di Sest?'i Ponente e delle sue famiglie (dal secolo VII al secolo XV). — 47 — e dotta del R.ev. Teol. Giuseppe Parodi, benemerito Prevosto di quella chiesa , coadiuvato dall’ egregio archivista Arturo Ferretto noto ai cultori della storia genovese. Parlare di questo volume a mò di recensione è cosa impossibile. Quando si è detto che chiunque voglia parlare della storia di Sestri nel medio evo dovrà assolutamente consultarlo e sempre ne ricaverà giovamento non poco , si è detto tutto e si è detto niente. È una fonte inesauribile di notizie per chi sa dal freddo documento far balzare la vita, come lo scultore dal rigido marmo fa balzare la statua. Io, nato a Sestri, leggendo questo volume, prima con curiosità grande , poi con molta attenzione, ho ricavato alcuni dati che riguardano il commercio e l’industria sestrese di quei tempi, e qui brevemente li espongo , non già presumendo di far balzare da quei documenti la vita , ma convinto del detto di Victor Hugo che non ci sono piccoli avvenimenti nell’ umanità nè foglie piccine nella vegetazione, pensiero posto per epigrafe alla bella prefazione che precede questi Annali di Sestri. * * * Parlando del commercio e delle industrie di Sestri nel Medio Evo, occorre che il lettore conosca l’equivalenza delle monete e delle misure genovesi di quei tempi, in confronto delle monete e delle misure attuali. Il sistema monetario genovese era costituito della lira di Genova, che variò continuamente, tanto da scendere di peso da grammi 8,838 d’oro fino (anno 1200) sin a grammi 0,242 (anno 1792), con una proporzionata diminuzione di valore. La lira genovese dividevasi in 20 soldi e il soldo in 12 denari, proprio come nel sistema monetario inglese. Ciò posto io riporto qui in parte la tavola dei valori in lire antiche genovesi con la corrispondenza in lire italiane attuali compilata da Cornelio Desimoni (1). (i) La tavola completa è in appendice all’opera del Belgrano , Della vita privata dei Genovesi. Genova( Sordo-muti, iSy>5. — 48 Numero Anno. Peso in grammi Suo valore in L d’ ordine. 1200 (?) della Lira di Genova. 30,438 I 8,838 2 I240 (?) 7,070 24,354 3 1260 (?) 5,891 20,288 4 I273 (?) 5,370 iS,494 5 1276 5,050 17,392 6 » 4,990 17,186 7 » 4,932 16,986 S 1290 (?) 4,7i3 16,234 9 ...... 4,4i9 15,219 IO I302 4,h8 i4,iS2 II 1309 3,535 12,177 12 ...... 3,367 n,595 13 I327 3,3i4 n,4i3 14 ...... ......... 15 I335 ....... l6 I339 2,S2S 9,750 17 1348 » » l8 1370 2,854 9,829 19 I390 » » 20 I404 » » 21 1412 2,378 (?) 8,190 (?) 22 1421 2,229 7,677 23 ...... 2,l62 7,547 24 I429 1,982 6,826 25 I,92S 6,640 26 ...... 1,877 6,464 27 I434 1,784 6,144 28 ...... 1,698 5,848 29 ...... 1,621 5,583 30 I440 1.585 5,459 Per ciò che riguarda le misure io mi 'equivalenza loro così come fu trovata da limito a riferire Pietro Rocca (i). La tavola, misura di terreni, equivale a m. q. . 11 moggio, misura di calcina pesava cantare . . Il cantaro pesava libbre.......... La libbra pesava Kg. attuali........ Sicché un moggio di calcina equivarrebbe a Kg. La metreta misura da vino equivale a barili . . Il barile conteneva pi7ite......... 12,728800 16 150 0,317.064 762,3936 2 48 (1) Pesi e misure antiche di Genova e del Genove salo, Genova, Sordomuti, 1871. *. — 49 — La pinta equivaleva a litri............0,953 (1) Sicché una metreta di vino equivarrebbe a litri .... 91,488 La mina misura di grano equivale a Kg...... . 71,474 * I Sestresi, come del resto la gente eminentemente ma- 1 inara, si trovano sparsi nel Medio Evo per tutto il mondo. Quando il paese natio non porge sufficiente il viatico per la vita, ovvero un sentimento, comune a tutti i Liguri, di maggior lucro li spinge, abbandonano la riva del loro mare e vanno altrove a cercar lavoro per le loro braccia e soldi per la borsa. Oltre a trovare cittadini di Sestri in Savona, in Chiavari, in \rentimiglia lungo il 1100 e il 1200, ne troviamo a negoziare in Provenza, a Marsiglia, a Monaco. Un attivo commercio di grano, di vino, di cacio, di pesca e di lane vi era in quei tempi fra Genova e le isole di Sardegna e di Corsica, e noi troviamo Sestresi navigare e negoziare per quelle isole, come in Sicilia , in Maremma, in Grosseto. Ma non soltanto al Mar Tirreno limitavasi la navigazione ; molti Sestresi veleggiavano per Γ Oriente, come Girardo Frixone (an. 1233), Nicoloso Guercio de Bru-scota (an. 1252), Giannino Gandolfo (an. 1255), Giacomo da Sestri, Mazone e Roberto de Loco pure di Sestri sulla nave Inglesita (an. 1270) e Loisino Abate di Sestri che in O-riente va a vendere spade (an. 1334). Numerosi Sestresi dal 1299 al 1302 sono in Famagosta : Antonio da Sestri, Oddone da Sestri che vi ha casa e vi negozia olio (2), Giovanni Gualterio e Giacomo da Sestri, Sestino Caldino, Antonio da Sestri, Giacomo Cavanna , Obertino Sachello e Ansaldo da Sestri che vi negozia cotone; come pure ne troviamo in Maiorca, in Pera, a Caffa , a Scio e persino nel lontano Catai, la moderna Cina. Va a negoziare in Romania Sestino Caldino, e nel 1288 certo Ruota vi commercia pezze di panno ; panno di Lombardia commercia in (1) Quantunque la pinta abbia variato tuttavia per quei tempi di cui parliamo avea tale valore. V. Rocca, op. cit., pag. 74. (2) Su questo negoziante cfr. Desimoni, Actes passés à Famagosta par le Notaire Lamberto de Sabuceto, Gênes, Sourds-Muets, 1883, pag. 20. Giorn. St. e Lett. della Liguria. 4 — 5° — Tunisi nel 1237 il sestrese Ansaldo Peloso; nel 1161 va a negoziare in Alessandria d’Egitto Guglielmo da Sestn ; nel 1313 in Trebisonda Bertolino l^raxeloni, e nel 1315 in Cefalonia Tommasino Sezardo. Sestri eostrusse sempre navi. È famoso lo scalo di Se stri per le costruzioni di navi a vela ; i vecchi bianchi per antico pelo si ricordano aver contati innumeri gli scafi in costruzione sulla spiaggia sestrese, ed ogg'i, affinati gli in gegni, progredite le scienze, superbe moli di acciaio scendono dai rumoreggianti cantieri al bacio dell onda e della gloria. Orbene, da un atto del 1251 conosco un maestro d’ascia, Sesto da Sestri, da un altro un calafato, fommaso da Sestri, che il 22 aprile 1244 fa testamento beneficando chiese, conventi e poveri, lasciando a questi ultimi 10 soldi, credito che ha verso un ebreo cui li imprestò essendo^ a Murcia in Spagna. Un apprendista nell’arte di maestro d’ascia è Bonaora figlio di Ogereto da Vernazza che nel 1248 comincia a imprender l’arte dal già nominato Sesto, obbli gandosi a stare con lui per 10 anni: in compenso Sesto promette tenerlo sano e infermo , calzarlo , vestirlo , insegnargli 1’ arte portandolo pure sul mare, e dargli alla fine del tempo prefìsso una mannaia, un mannarone, un ascia e una serra. Questo Sesto da Sestri fu per quei tempi abbastanza danaroso. Possedeva barche: è sua quella chiamata S. Stefano e da lui venduta nel 1254 per lire n a Nicola Calverio da Messina , a Guglielmo da Lerida e a Guglielmo de Plamerio di Montpellier ; come è sua un altra per un terzo affittata nel 1251 a Guglielmo de Casalegio da Nervi per lo spazio di un anno e per soldi 22 solvibili ogni quattro mesi. Altri maestri d’ascia sono : Francesco Ottone, nominato in un atto del 1337; Francesco Conte ( 1341 ) ; Lorenzo Pellerio che in qualità di maestro d’ascia si imbarca nel 1364 su una galea armata dal Comune di Genova ; Antonio Chiap-pori imbarcato nel 1370 sulla galea sottile a bordo della quale trovavasi papa Urbano V; Quilico Casella ( 1373) > Benedetto Ottone che per incarico di Genova costruisce nel 1384 una galea; Bertola Rosso che nel 1454 fa parte — 5i — della flottiglia preparata contro il re d’Aragona; Nicolò Gaeta, calafato a bordo nel 1459 della galea di Baldassare Doria; Battista Rossi imbarcato nel 1476 in difesa di Scio, e Biagio Aicardo calafato, Rettore nel 1477 di Castiglione borgo sestrese. Da documenti del 1496 apprendo che i Sestresi fornivano le galee a Massimiliano d’Austria, re dei Romani, com’ oggi han fornito navi da guerra a nazioni straniere. Idone da Sestri nel 1250 colla saettia Melinata prende il mare per dar la caccia ai nemici della Chiesa Romana e del Comune di Genova , e a tal uopo si fa imprestare da Andriolo del Bisagno lire 12 genovesi che gli restituirà raddoppiate sulla prima preda che farà. Sestri nel 1351 fornisce trentadue marinai alla flottiglia, della quale è ammi raglio Paganino Doria , preparata contro Venezia. Importante è un documento del 23 maggio 1354 perchè ci fa conoscere la paga del marinaio di guerra di quei tempi. Benedetto Cagaletto di Sestri marinaio della galea di Visconte Grimaldi che fa parte della flottiglia di Paganino Doria, riceve lire genovesi 29 e mezza come paga di quattro mesi, sicché verrebbe a prendere lire nostre 47,46 al mese. Nel 1367 il Sestrese Lanfranco Baiardo è patrono di una galeota é va contro i nemici del Comune di Genova, come nel 1342 un altro Sestrese, Bertola Rossi, è patrono di una delle quindici galee che navigano sotto il comando di Pietro Boccanegra. Passando alle navi mercantili allora in uso, esse avevano diverse foggie e diversi nomi : taride , panfili, barche coperte, barche catalane e leudi. Dò qui una tabella dei contratti, che mi fu dato rinve- nire, di vendita di navi: Anno Nave Lire genovesi Lire it. II98 nave per viaggi di Sardegna e Corsica . 76 2313,28 1254 S. Stefano barca a 7 remi...... II 267,89 1274 Sparviero panfilo , 80 remi, 2 alberi, 3 ancore, ne è venduto 1/l0 per . . . 20 369,88 I274· Barca a 6 remi, albero e antenna . . . 5 e soldi 15 96,98 1254 Barca catalana a 6 remi, albero, antenna 4 97,41 Anno Nave Lire genovesi Lire it. 1293 Barca con tutti gli attrezzi...... 60 9r3>T4 I3°3 Giacomo barca, ne è venduto 1/3 per . 30 425,46 1309 Barca.............. 60 730,62 1313 Barca con barchetta e attrezzi, ne è ven¬ 463, So duta */2 per.......... 40 I313 Bartolomeo barca con gondola e at¬ 486,99 trezzi ; ne è venduto J/3 per .... 42 1320 Barca ; ne è venduto */3 per..... 20 231,90 1347 6*. Maria barca coperta ; ne è venduto */2 per............ 46 443,50 1356 30 l1) 365,62 1357 Barca catalana , ne è venduto f/4 per fio- 438,74 35 Pochi sono i documenti che accennino a quanto ascendesse il diritto di nolo di una nave. Da uno che ha la data dell’ii settembre 1234 si rileva che i fratelli Corso e Nicolò Corsi di Sestri danno a nolo a Guancino e a Benin-casa de Albertino, Toscani, una tarida chiamata S. Giovanni con 28 marinai, tra i quali 10 vestiti di ferro con balestre .— per difendersi dagli assalti dei pirati era uso imbarcare sulle navi uomini d’arme — per andare a Mon-taldo in Maremma a caricare 40 moggi di grano, ricevendo soldi 6 per ciascun moggio come diritto di nolo. Ora nel 1234 il soldo genovese valeva L. 1,5229 delle nostre, e il moggio di grano equivaleva a Kg. 762,393. Da un altro documento del 12 ottobre 1267 si apprende come Guglielmo Cuneo da Sestri promette a Corrado Vento di andare con la sua barca a Ventimiglia a prendere 58 metrete di vino da Falcone Curio, esigendo per nolo soldi 21. Nel 1258 il soldo ■genovese equivaleva a lire it. 1,6144 e la metreta di vino come abbiam visto, equivaleva a litri 91,488. * * * Già abbiamo accennato come in quei tempi il commercio della pesca tosse abbastanza importante. Nel 1215 Giovanni Grasso e Ido de Donapurpura, entrambi di Sestri si fanno (1) Secondo il Desimoni il fiorino equivaleva a 25 soldi, e fu moneta stabile di conto dal 1327 fino a tutto il secolo XV. — 53 — imprestare lire 4 dal sestrese Ugone de Belmusto per andare alla pesca dei coralli. Questo commercio dovea essere ben lucroso se stabiliscono di pagare ad Ugone 6 soldi di interesse per ciascuna lira il giorno che torneranno dalla pesca. Dato il valore della lira in quell’anno, l’interesse che vengono a pagare sarebbe oggidì del 20 per cento circa. Due barili di tonnina nel 1251 costavano soldi 15 equivalenti a lire it. 18,26. Nè si limitavano a pescar lungo il nostro mare, ma andavano in Acri, in Tiro , attratti colà dai privilegi che i genovesi vi godevano. Nel 1223 partono alla volta di Acri per pescare i sestresi Oberto Vaccari, Frixone, Abracino, Guglielmo Campioni, Lanfranchino de Priano e Vassallino. Si preparavano appositamente flottiglie per andare a pescare e sovente molti dei pescatori mette-vansi in società. Da Sestri poi i pesci venivano portati cotti in Lombardia, ovvero freschi venivano venduti in Chiappa a Genova. Ala per poterli vendere in quel luogo occorreva un permesso, e perchè Oberto da Sestri ne vendeva nel 1385 in Chiappa senza permesso, fu dai Conservatori della città multato di 10 soldi — quasi L. 5 nostre. Così pure nel 1406 fu condannato dai detti Conservatori Busnardo da Sestri, ma questi non perchè mancasse del dovuto permesso di vendita, ma perchè i pesci che vendeva erano fracidi. Lo stesso Busnardo fu nuovamente colpito dalla multa nel 1408, però questa volta probabilmente i pesci erano freschi, ma egli mancava della licenza di venderli. * * ^ Uno dei più floridi commerci di Sestri nel Aledio Evo fu quello della calcina. Quando essa in Liguria cominciasse ad essere usata per le costruzioni delle case prima fatte di legno, non è positivo, poiché il Serra (1) ne assegna l’uso sullo scorcio del 1143, mentre il Belgrano (2) lo pone fra 11 700 e il secolo XII. Però lungo quest’ ultimo secolo la (1) Storia dell’antica Liguria, IV, 135, ediz. Capolago. (2) Atti Soc. Lig. Storia Patria, II, parte I, pag. 270. — 54 — maggior parte delle case erano costrutte in legno , e una riprova di ciò si ha nell’obbligo fatto al cintraco di ammonire , girando intorno per la città nei giorni di vento, che ognuno vigilasse al fuoco (i), e nel fatto degli incendi che in brevissimo giro di tempo distrussero nel 1122 la contrada di Sant’Ambrogio, nel 1179 il quartiere di Palazzolo e nel 1213 cinquantaquattro edifizi in mercato vecchio (2). Ancora, da un documento del 1225 si ricava che Bottario Doria dona al figlio Martino una casa in legno posta in Cornigliano. Comunque, il primo documento riguardante Sestri e la calcina è del 27 gennaio 1197, col quale Barone da Pegli dichiara di aver ricevuto in dote tanti monili e tanta calcina per lire 14. Di una calcinara di spettanza dei Malo cello poi fa menzione un atto del 3 gennaio 1221. Una cal cinara si trovava già nel 1236 in località Roccabruna , la quale probabilmente è quella che oggi chiamasi Gianchetta, ed era di proprietà dei fratelli Corrado e Giacomo Por cello; altre a Panicale come ne fan fede atti del 1255 e del 1310; una era chiamata B or ella e nel 1256 apparteneva a più proprietarii, un’altra Zunco e trovavasi alla sinistra del Chiaravagna — oggi Zunchetto — altra chiamavasi Calocho. Molte calcinare erano poste al Gazzo. Così vi e rano quelle chiamate Alpexella, esistente dove tuttora con lo stesso nome si eleva un poggio a nord-est del monte Figogna, comune di Ceranesi , parrocchia di Livellato , e Zucarus probabilmente sulla località Zucchero, poco di stante dal monte Figogna , di proprietà nel 12Ò5 dei fra telli Malocello ; la calcinara detta Nuova appartenente a Tommaso Loco e da costui nel 1274 data in locazione a Giovanni Conte da Sestri, e nel 1278 a Giovanni Cuneo pure di Sestri. Altre calcinare trovavansi nel luogo detto Cuneo e in Panigaro, e quest’ultima era nel 1346 dei fratelli Natino ; altre infine trovavansi in Cantarama. Sestri forniva la calcina a quasi tutta la Liguria. Così (1) Liber iurium Reip. G en., I, 78. (2) Belgrano, Vita privata cit., pag. 5 e 6. — 55 — la fornì per la costruzione del chiostro nuovo di *S. Alaria di Castello in Genova, secondo un atto del 25 maggio 1241. Nicoloso Strixiolo da Sestri fornì la calcina per il palazzo che Andreotto di Negro costrusse nel 1302, come Oberto Natino da Sestri la fornì a Pietro Villa nel 1306 per la costruzione di un palazzo in contrada di S. Giorgio ; Antonio di Francheto da Sestri la fornì nel 1315 a Pallavicino Palla vicini per la costruzione di un suo palazzo , ed infine il sestrese Antonio de Custo la fornì nel 1316 a Manfredo Fieschi dei conti di Lavagna. Nè solo a Genova, chè da un documento del 1308 si rileva come i sestresi Giovanni Zuccarello e Michele Massardo si obbligano verso Giovanni Dardella medico di portargli in Pegli 30 moggi di calcina, in ragione di tre moggi alla settimana. Da Sestri si esporta calcina per .Chiavari (atto del 1307), in Savona nel 1340 per i restauri del Castello di S. Giorgio di quella città, in Calvi (an. 1351) per fortificarla, a Vado (an. 1395) per la costruzione di una bastita, e a Savona, a Calvi, a Vado la torniscono i Strixiollo; a Busalla (anno 1396) per la costruzione del Castello, e infine a Monaco, come si ha da un atto del 1274 col quale Giacomo Cappone da Voltri promette a Giovanni Govello da Sestri di portare sulla sua barca da Sestri a Monaco 10 moggi di calcina, esigendo per nolo lire 3 e soldi 10 , vale a dire lire it. 34,39. Abilissimi erano i Sestresi per la costruzione delle calcinare, tanto che il Comune di Genova nel 1369 dava incarico a Nicolino Chiappori da Sestri di costrurre una calcinara al Sassello per servizio del Comune stesso. Ed i lavoranti nelle calcinare erano abbastanza ben pagati. Ad e-sempio, Guglielmo Gaietta da Sestri lavora nella fornace di Nicoloso d’Arcola per 6 mesi coll’ onorario di 50 sòldi pel primo mese (L. It. 35,45) e di 60 soldi per gli altri (L. It. 42,54) oltre il vitto e l’alloggio (an. 1304). Ouesto grande commercio di calcina fa sì che abbastanza alto rispetto all’economia di quei tempi fosse il fitto delle calcinare. Ad esempio , la calcinara sita nel luogo detto Cuneo fu locata nel 1259 per lire 7 annue che sa- — 5Ò — rebbero L. It. 170,47; la calcinara Ccilocho nel 1274 fu locata per lire 8 annue uguali a L. It. 147,95 ; la calcinara Nuova nello stesso anno per lire 5 (L. It. 92,47) e la calcinara Caroco nel 1258 per lire 9614 soldi (L. It. 164,76). Per quanto riguarda il prezzo cui era venduta la calcina dò questo prospetto : Anno. Quantità Lire genovesi Lire It. 1271 i Moggio = Kg. 762,3936 18 soldi 16,64 1288 » » 14 » 11,36 1291 » » 14 » 11,36 1302 » » 24 » 17,01 1315 » » 22 » 12,75 1316 » » 25 » 14,49 I395, » » 45 » 22,11 Si avverta però che il prezzo del moggio di calcina del 1302, 1315 , 1316 e 1395 probabilmente comprende anche il prezzo del trasporto, perchè la calcina venduta nel 1302 a 24 soldi il moggio dovea essere trasportata da Sestri a Genova, così pure quella venduta il 1315 a 22 soldi, e quella venduta il 1395 a 45 soldi doveva essere trasportata a Vado. L’importanza di questo commercio ci è data anche dell fatto che vi era un pubblico pesatore della calcina, come rilevasi da un atto del 1447 con cui il Doge concede officium ponderis calcine al rettore e ai massari della chiesa di S. Giovanni di Sestri per lo spazio di anni due ; e da altri due atti del 1454 e 1456 con i quali il Doge concede a Luca de Costo da Sestri quest’ufficio stesso. Affine a questa industria è quella dei mattoni. Due importantissimi documenti ce ne danno il prezzo. Il primo è del 27 febbraio 1228. In esso leggesi che Guglielmo de A-lessio da Sestri e Brugnone del fu Tommaso Mazapè promettono al famoso Guglielmo Embriaco di dargli nella Ripa del porto di Genova 12000 mattoni buoni e ben cotti per fare una torre, che è la nota torre di Embriaco in Genova. Il prezzo di questi mattoni è fissato in 11 bizanti. Il secondo documento, che è del 31 gennaio 1254, parla di — 57 — Sesto Caldino da Sestri che promette a Corrado Vento di fargli avere ioooo mattoni della sua fornace che è in Pa-ncigio per soldi 9 e denari 9 per ciascun migliaio , il che darebbe per risultato 6 centesimi al mattone. Così pure l’arte muraria non fu ignota ai Sestresi, poiché nel Σ345 i quattro sapienti nominati dal Doge di Genova per far cintare di mura i borghi di S. Tommaso e di San-t’Agnese , cioè quella parte della città di Genova che da Castelletto andava sino alla porta di S. Tommaso, scelsero molti maestri muratori tra gli uomini di Fegino, Borzoli e Sestri. Un muratore sestrese è nominato in un atto del 1351 e chiamasi Antonio de Ciano; un ingegnere militare e bombardiere è nominato in un altro atto del 1496 e chiamasi Andrea da Sestri ed è proposto a Ludovico Maria Sforza , Signore di Milano, perchè gli affidi Γ esame delle Castella di Savona, Noli e Ventimiglia (1). * * * Nel Medio Evo molti erano in Sestri i mulini. Se ne trovavano lungo il torrente Chiaravagna ed erano dei Ma-locello, dei Mallone, e della chiesa di S. Maria del Priano; in Riolungo pure dei Mallone ; in Varenna dei Lombardo. Nel 1268 Mallone loca a Oberto Galletta da Sestri un suo mulino posto in Riolungo per lo spazio di due anni a patto che questi dia a lui 21 mina di farina nitida per ciascun anno e cioè Kg. 1491. Il grano secondo un documento del 31 luglio 1253, in cui Giuliano di Ghisalberto da Sestri dichiara di dover dare lire 7 ai fratelli Faziolo e Guglielmo Panzano per 10 mine di grano acquistate, verrebbe a costare al Kg. L. It. 0,23, mentre l’orzo, secondo un documento del 1268, costava un po’ più di 4 centesimi al Kg. E che detto prezzo del grano fosse appunto tale lo si può anche ricavare da un altro documento del 20 ottobre 1215, per il quale Giovanni Rai-nerio da Corneto alla presenza di Guglielmo Balbo da Se- (1) Giornale Ligustico, vol. IV, pag. 254. stri promette di consegnare a Stefano , calzolaio in Fossa-tello, 50 moggia di grano sulla spiag'gia di Corneto franco da qualsiasi gabella per L. 47 e mezza e cioè L. It. 0,20 al Kg. Un atto del 1254, ci dà approssimativamente il prezzo di fitto di un mulino. I monaci della famosa abbazia di Sant’Andrea di Sestri locano a Guglielmo Saccarello 3 mulini che hanno in Varenna col patto che egli dia ai monaci iS mine di frumento al mese. La mina di grano equivalendo in quel torno di tempo, come già abbiam visto, a Kg. 71,474, le 18 mine equivalgono a Kg. 1286,532 , e siccome un Kg. di grano costava allora centesimi 26 , il Saccarello pagava ai monaci per la locazione dei 3 mulini L. 295 circa al mese. Che a Sestri importante fosse il commercio del gxano, lo si deduce dal fatto che il Doge di Genova Pietro Cam-pofregoso, nel 1456 avendo saputo che gli uomini di Sestn possedevano grande quantità di granaglie mentre ve ne era penuria in Genova , inviava Evangelista de Marino a prenderne 90 mine e cioè, dato il peso della mina in quel torno di tempo, salito a Kg. 82,434 (1), Kg. 74*9» I mugnai di Sestri insieme a quelli dei paesi circostanti, viventi cioè sotto la podesteria di Voltri, formavano corporazione a capo della quale stava un console. Nel 1335 era console dei mugnai della podesteria di Voltri Pietrino Forte, il quale assieme ai Consoli delle Podesterie del Bi-sagno e della Polcevera poteva, per ordine delle tre corpo-razioni, spendere in quell’anno sino a 25 fiorini (2) per negozi spettanti a detta arte. * * * Parlerò or^, di un commercio triste e strano, non tanto per la importanza sua, quanto per lo interesse che può destare , cioè del commercio degli schiavi. Luigi Cibrario in una sua breve nota sul commercio (1) Rocca, op. cit., pag. 109. (2) E cioè lire italiane 356,54. — 59 — degli schiavi a Genova (i), dice aver trovato visitando gli archivi di Genova nel 1839 quattro atti di vendita di schiavi. Col primo, 11 marzo 1378, Benvegnuda vedova di Pietro Villar di Barcellona vende al notaro Antonio de Credentia stipulante in nome di Domenico Bracelli genovese quamdam servam suam s clavam, de progenie tartarorum, aetatis annorum XXVI vel circha......... sanam ab omnibus maga- gnis occultis. Il prezzo di questa schiava era fissato in lire 22 di Barcellona. Col secondo contratto che è del 10 febbraio 1384, Nicolò Ihapella vende al notaro stipulante in nome di due monache, Nicolosa di Levanto e Marietta di Paxerio, quamdam sclavavi nomine Margaritam, aetatis annorum XXV , de progenie tartarorum e il prezzo è di lire 60 di genovini. Col terzo contratto del 9 luglio 1389 Antonio di Sampierdarena vende al notaro stipulante in nome di altro notaro Giuliano Grolerio quamdam s clavam nomine Gucia, de progenie tartarorum aetatis annorum XXX vel circha al prezzo di lire 75 di genovini. Col quarto atto infine, che è del 21 agosto 1391 Raffaele Lavoraben vende a Linona moglie di Andrea de Carius quamdam s clavam de progenie tartarorum aetatis annoruvi XI vel circha sanam et nitidam ab omnibus occultis langoribus seu magagnisi Il Cibrario osserva ancora che detto traffico di schiavi, il quale probabilmente, secondo lui, ebbe origine nei secoli IX e X, quando i Saraceni assalirono le coste d’Italia , e i rivieraschi, costretti alla difesa, ridussero in ischiavitù i prigionieri fatti su quei corsali, non fu mai a Genova di molta importanza, tanto più che il dotto Piemontese per quante ricerche confessi aver fatto, ben pochi riscontri ha trovato di tal traffico. Oltre i già citati contratti rinvenne soltanto i seguenti due atti: i.° testamento di Sibilla di Tassano , moglie di Boiamonte , in data 26 marzo 1156, la quale lega al marito lire 30 si manumiserit Gazellam ancillam suam, si ipsa baptizaverit se usque proximum pentechosteii. Si non manumiserit, tantum XX. Non v’ ha dubbio che quella ancella fosse schiava perchè è pa- (1) Trovasi in Opuscoli, Torino, 1841, Fontana. — 6o — gana, e perchè la condizione apposta al maggior legato a favore del marito è la condizione della manomissione, e la manomissione è Γ atto col quale gli schiavi venivano donati o restituiti alla libertà: 2.0 il 9 maggio 1156 i consoli Ogerio Vento, Lanfranco Pevere e Arrigo Doria aggiudicano a Pagano il possesso d’ una saracena di proprietà di Ottone Bossi, per il fatto che quest’ultimo aveva ucciso il saraceno di proprietà del Pagano e si era reso contumace. Un’altra schiava è nominata nell’inventario dei beni di Guglielmo Scarsaria fatto il 1154, documento sfuggito al nostro scrittore. Ma che questo brutto traffico non fosse in Genova cosa di poco momento, come sembra al Cibrario, lo starebbe ad indicare la bottega di Giorgio da Fegino rivenditore di schiavi posta nella Contrada dei Marini, di cui parla un atto del 1392, e lo Statuto del 1336 che sanziona pubbliche battiture e persino il taglio del naso a quel fabbro che senza il comando del proprietario sferri gli schiavi (1) ; e infine il fatto che la schiavitù non era ignota ai piccoli centri, come ad esempio, il nostro Sestri. Non v’ ha dubbio che il contingente massimo di tali sventurati lo davano Caffa e le altre terre dai genovesi possedute nel mar Nero, anzi il Serra (2) così giustifica, se fosse possibile d’una giustificazione, questo commercio : « Ben è vero che la legislazione genovese proibì in ogni » tempo a’ nazionali navigli di trasportare schiavi....... ma » il savio decreto si eluse in ragione del commercio di » Caffa , ove due navi del Soldano venivano ogni anno a » farne compra e caricarli, per cui doveasi ledere la fran-» chigia di quel porto, privarsi di un gran profitto e trarsi » addosso una guerra con il Sultano ». Ma non solamente de progenie Tartarorum erano gli schiavi posseduti dai Genovesi, poiché da un documento del 17 giugno 1191 si rileva — e così accenniamo alla schiavitù in Sestri — che Vassallo da Sestri, Oliviero Calvo, Vassallo Maxirito tutti (1) Belgrano, op. cit., pag. 85 in nota. (2) Op. cit., IV, pag. 72. — 6ι — eli Sestri, insieme ad altri di Voltri e di Prato vendono a Raimondo Baltigiario per lire 7 meno 4 soldi una schiava Sarda chiamata Giusta con una sua figlia chiamata Vereta. Altri documenti accennano alla schiavitù nel nostro paese. Così il i agosto 1268 Maestro Adamo, medico, alla presenza di Giovanni da Sestri, giudice, libera il suo schiavo Asmet. Però questa liberazione è interessata abbastanza, perchè si fa promettere dallo schiavo Asmet lire 40. Da un altro documento del 16 luglio 1288 Manuele Ferrario da Sestri vende per lire 11 a Giovanni Pallavicino uno schiavo olivastro di anni 11 chiamato Saito da lui acquistato nelle parti di Maiorca. Un sestrese di nome Ansaldo in Famagosta il 1 agosto 1300 fa instanza perchè sia riconosciuto il suo diritto su una schiava da Daniele di Chiavari concessa a Maria di Smirne. Di uno schiavo tartaro di 30 anni di proprietà di Babilano Lomellini parla un ordine del podestà di Voltri, da cui dipendeva Sestri, Bartolomeo Visconti, col quale si impone ai rettori, ai campari ed agli altri ufficiali di Sestri e della podesteria di denunciare dove si trova il detto schiavo. L’ordine del Podestà è del 15 marzo 1368. Una schiava tartara è venduta per 30 lire il 30'agosto 1374 da Michele Bandora di Sestri a Federico da Lussuolo maestro di scuola. Dagli atti del no-taro Francesco Casanova si rileva che nel 1415 Andriola figlia di Leonino di Nattino e vedova di Giovannino da Forotorpido libera in Sestri, anche a nome dei suoi figli, lo schiavo tartaro Martino di 22 anni, ereditato dal marito, il quale schiavo presenta ed implora in ginocchio la libertà. Così pure in Sestri il 30 settembre 1437 Francesco Balestrino vende a Giovanna de Pietro una schiava di anni 18 de progenie rubroruvi per lire 145. Volendo accennare al prezzo di questi schiavi ecco una tabella del valore di quelli di cui abbiamo parlato : Anno. Età e sesso. Lire genovesi. Lire it. 1191 Schiava sarda e figlia 7 meno 4 soldi 206,97 1268 schiavo 40 881,51 1288 Schiavo di 11 anni 11 186,84 1374 schiava 30 294,88 - 62 --- Antio. Età e sesso. Lire genovesi. Lire it. 1384 Schiava di 25 anni 60 589,74 Ι3δ9 Schiava di 30 anni 75 737,17 Ι39Ι Schiava di 11 anni 50 49Ι·45 Ι437 Schiava di 18 anni 145 809,53 Dall’ insieme di questi pochi dati statistici, si può con una certa probabilità affermare che nel medio evo lo schiavo aveva un valore minore dello schiavo romano. Poiché in Roma prima del cristianesimo e precisamente nel \ I secolo di Roma un buono e robusto schiavo valeva in media 1830 lire (1). Questa cifra è abbastanza esatta per ciò che in Plinio (2) si legge che un usignuolo si vendeva al prezzo di uno schiavo , ‘e un usignuolo bianco si vendeva circa 6000 sesterzi cioè circa 1500 lire. Per contro gli schiavi del medio evo costavano quanto gli schiavi attuali, poiché a Costantinopoli nel 1824 una bella abissina si pagava 814 lire (3). * * Per poter avere un’ idea la più esatta che sia possibile sul commercio di Sestri a quei tempi, darò una tavola dei prezzi dei muli , uno dei pochi mezzi di trasporto di quei tempi, e accennerò brevemente al prezzo dei terreni e a quello delle case. i mulo fu venduto nel 1259 per L. gen. 14 e 10 den. = a L. it. 34r,97 » » 1261 II == 223,16 » » 1254 5 e soldi 10 = 133,94 » » 1264 12 --- 243,45 » » 1264 13 = 263,74 » » 1264 I [ = 223,16 » » 1268 6 = 121,72 » » 1287 17 = 288,76 » » 1306 16 e soldi 10 = 227,91 » » 1459 18 = 79,54 I asino 1264 5 = ioi,44 (1) Plauto, Capi., II, 103; IV, 15; v. 21: Pseudolo, I, I, 4950· (2) X, 43· (3) Relazione del dott. Maddon citata dal Dureau de La Malle, Economie politique des Romains, I, 128. — 63 — Per ciò che riguarda i terreni dò queste prospetto : Anno. Tavole (vedi pag. 48) Lire genovesi ^j^L^It?" ^ 1164 222 62 e soldi 18 0,76 1164 222 3X e soldi 9 0,34 1190 2 (il terreno è posto verso il mare) 6 e soldi 15 0,74 1190 2 4 0,47 1191 2 (il terreno è posto verso il mare) 8 0,95 Dobbiamo osservare che il prezzo di terreni posti verso il mare era superiore di non poco a quelli posti verso il monte, come pure che questi terreni probabilmente erano incolti perchè, ad esempio, una terra vignata con boschi sita in Celle fu venduta per L. 260 che corrisponderebbero a Lire Italiane 7913,88, nell’anno 1190, mentre invece un’aia al Gazzo nel 1255 fu appena pagata 50 soldi cioè Lire Ita-taliane 60,88, e un quarto di bosco nel 1266 fu pagato solo L. 6 (L. It. 121), il che darebbe per il bosco intero la cifra di L. It. 484. Scendendo al prezzo delle case occorre notare che queste erano quasi tutte ad un piano. Ed ora ecco il prospetto: Anno. Stabile Lire gen. L. It. 1221 Dev’ esser stata grande perchè ne è venduta solo la metà per.......... 40 1217,52 1236 Casa per............. 4 121,75 1237 » » ..................21 639,19 1248 Un palazzo per...........175 1826,550 1254 Casa per.............33 V2 8i5»85 1287 3 case per..........................35 568,19 1291 Casa e 2 terre vignate per.......300 4065,70 1310 Casa e terra vignata per........140 1704,78 1312 Casa per..........................80 974?ι6 1312 Casa (metà solo) per..................20 221,90 1329 Casa e terra alberata di ciliegie, fichi e olive per 36 410,86 In Genova una casa venduta nel 1245 costò lire genovesi 70 pari a lire it. 1420,16. Il fitto delle terre era proporzionato al loro prezzo, come si può vedere dal seguente prospetto : Anno. Località Fitto annuo in L. Gen. L. It. 1157 2 pezze di terra presso il Gazzo 17 soldi 25,87 1192 Una vigna 6 lire 182,62 1203 Territorio in Bruscata 13 den. e metà raccolto 1,64 — 64 - Anno. Località Fitto annuo in L. Gen. L. I{. 122 I Terreno 3 9r,3i 1221 » So soldi e frutta 60,87 1242 Terra 3 soldi 3,65 1246 » 12 soldi 14,61 1248 Terra detta Ferraria 5 lire 121,77 I25I Un castagneto 40 soldi 48,70 I251 Terra 7 lire 170,46 125S Terra sul Gazzo 12 soldi 14,61 Accenneremo ancora prima di finire al prezzo dei libri e delle corazze. Da un documento curioso e interessante che si riferisce probabilmente al 1239, apprendiamo 1 alto valore dei libri in quel tempo. Una certa Richelda vedova del giudice Guglielmo Bocella vende al notaio Gandolfo da Sestri il codice di Giustiniano scritto su cartapecora, e colle note di Alessandro, giurista vissuto verso il 1227 e continuatore della scuola di Azzone di cui trascrisse le prelezioni, inoltre il digesto vetus, il novum commentato dal celebre Azzone, Γ infortiatum , altri tre libri del codice e la somma dei decreti, il tutto per lire 43 che equivalgono a lire 1308,34 nostre. Da un atto infine del 1250 sappiamo il prezzo probabile di una corazza con maniche di ferro , il quale era di 3 lire, equivalenti a lire nostre 63. Antonio Bozzo. DI ALCUNI SCRITTORI PONTREMOLESI DELLA FAMIGLIA BOLOGNA i. ANTONIO BOLOGNA. E certo che fu figlio di Giacomo di Gio. Domenico, ma non è possibile precisare l’epoca della sua nascita, per difetto di registri nelle parrocchie pontremolesi. Può ra gionevolmente credersi che nascesse intorno al 1570. Fu dottore in ambe le leggi, e dedicatosi alla trattazione degli affari legali, entrò presto in grazia dei Mala- — 65 — spina di Mulazzo e del Duca di Guastalla che gli affidarono vari uffici ed incarichi nei loro Stati. Serio cultore, fin da giovane, degli studi letterari, scrisse poesie ed orazioni latine. Ebbe in moglie una tal Genevera della quale non si conosce il cognome; e morta costei nel 9 luglio 1624, si fece Sacerdote , ritirandosi in patria, e dedicandosi tutto all insegnamento e alle opere di pietà. Il cronista Campi, discorrendo della famiglia Bologna in un Zibaldone di ricordi sulle famiglie pontremolesi, ne fa memoria con queste parole : /. C. Antonius presbiter vir eruditissimus qui Pontremuli rethoricam docuit et doctissimos alumnos effecit. E quando nel 7 luglio 1630 fu convocato il Consiglio generale di Pontremoli per deliberare la fabbrica della nuova Cattedrale, egli fu tra i primi ad accorrere colla sua offerta, obbligandosi « dar scudi dieci per detta fabrica subito si cominciasse ». Morì nella parrocchia di San Colombano a dì 9 giugno 1649 , ricevendo la estrema unzione dal Sacerdote Francesco di lui figlio, ch’era Rettore della parrocchia di Santa Cristina e Vicario Generale di Mons. Gio. Batta Spinola Vescovo di Luni-Sarzana (1). Oltre questo prete Francesco ebbe dalla moglie Ge?ie-vera anche un altro figlio per nome Bartolomeo nato il 21 gennaio 1601 del quale tratteremo nel paragrafo seguente. Il Cinelli negli Scrittori fiorentini, opera Ms. esistente nella Magliabechiana , discorre di questo Antonio Bologna , ma evidentemente lo confonde col figlio Bartolomeo ora ricordato, come a suo luogo dimostreremo. SCRITTI A STAMPA. i. — In Christi — Passionem — Carmina — Antonii Bononii Pontremulensis — Recitata a loan. Francisco Garzonio, in urbe Bo — zulo in Ecclesia Divi Petri eius Urbis — Protectoris — De consensu Superiorum. Segue una piccola stampa in legno rappresentante la Crocifissione, (1) Un sonetto di questo Francesco Bologna sta in un libretto che ha per titolo: La vendetta di Amore, Idilio del Sig. Gio. Pietro Simonacci di Pontremoli. Parma, 1640, in 16. Giorn. St. e Lctt. della Liguria. 5 - 66 — e dopo, in fondo alla pagina : « Ex Typographia Rampazetana ι6οβ ». Sulla 2.a carta sta una lettera di dedica al « Signor Gio. 1 rancesco Bragadin Rettor et Provveditor di Cattaro », colla data di Bozzolo 15 maggio 1606, firmata da Gio. Francesco de’ Garzoni. - Sulla 3. carta comincia il componimento in esametri che termina sul vei so della 6.a carta colla parola Finis. Gli esametri sono 210. In S. di carte 6. — Un’esemplare di questo opuscolo esiste presso il Cav. Camillo Cimati di Pontremoli. 2. — In Illustriss. et Excellentiss. — D. D. Ióannem Fernan dez Valascum — Ducem Friae — ComestaBilem Castellae etc. Comitem Havae etc. Dominum Domus Velascae etc. De Consilio Sla tus Majestatis Catholicae Supremum ejusdem Majestatis Cubicula^ riunì, in supremo Italiae Consilio Praesident , et summum — exerci tuum ejusdem Majestatis in Italia Ducem, totiusq ; Insu briae ejusq ; Status Gubernatorem Integerrimum — Antonii Bononii I. U. D. Pontremulensis — Carmen. Sotto è Tarme del Duca di Feria ; quindi : « Mediolani — In Palatio Regio Ducali , Ex Officina typographica — Marci Tullii Malate-stae — MDCVI ». — Sulla 2.* carta: Perillustrem virum -- et sire-nuissimum militem — Ducem Christophorum Lopez — G aviri am Pon-tremuli Gubernatorem — integerrimum. Seguono quattro distici firmati Antonius Bononius /. C.— Sulla 3.a carta: Ad Ioannem Vela scum— Principem — Rebus praeclare gestis clarissimum et singularis — doctrinae laude maxime insignem — Antonii Bononii I. C. P°N" tremulensis — Carmen. Questo carme si compone di 49 esametri, poi seguono diversi epigrammi, ed in fine: Laus Deo omnipotenti, et Vii-gini — Beatissimae. — In 8.°, di carte 8. — Un esmplare di questo opuscolo esiste presso il Cav. Camillo Cimati di Pontremoli. 3. — Antonii Bononii Pontremulensis I. C. Oratio de pace ad populum Guastallensem. Mantuae, 1621, ex Officina typ. fratrum de Osanna. A- Pa£· 3 sta una lettera dedicatoria: Ill.m0 D.° Moroello Mala-spinae Marchioni Mulatii et Paranae Superioris Domino suo Antonius Boiionius I. C. S. D. Con questa lettera datata da Guastalla , idibus maii (5 maggio) i6?i, PAutore si professa grato al Malaspina per molti benefizi ricevuti, ed aggiunge : « cum hanc de pace orationem in maximis meis occupationibus aliorum jussu conscripserim, illam tibi ut sit quoddam quasi pignus meae singularis in te observantiae, perpetuumque extet gratae voluntatis monumentum, offerri placuit ». — In 8.° di p. 24. — Un esemplare di questa .orazione sta nella Biblioteca Nazionale di Firenze, Sezione Magliabechiana. Dalle parole jussu conscripserim sembra potersi dedurre che il Bologna dettò questa orazione per ordine di Ferdinando Duca di Guastalla, il quale si adoperò molto per sistemare la vertenza insorta fra i Duchi di Savoia e di Mantova per la successione al Marchesato di — 67 — Monferrato; vertenza che messe in guerra tutta l’Europa, essendo i Duchi di Savoia sostenuti da Francia e da Venezia, e il Duca di Mantova dalle truppe Spagnuole. Più tardi, quando di questa vertenza si arrogò la decisione l’imperatore, ebbe molta parte nelle trattative che si feceio in Trento un altro Pontremolese, Anton M.a Ricci che fu nominato plenipotenziario spagnolo. 4· Ad — Ioannem — Velascum — Antonii Bononii I. C. — Elegia. In fine: Papiae — apud Ioannem Nigrum 1622 — Superiorum permissu. Sono 39 distici. — In 8.° di carte 2. — Un esemplare esiste presso il Cav. Camillo Cimati di Pontremoli. 5· Oratio funebris Antonii Bononii Pontremulensis I. C. ab eo Pontremuli habita, dum in templo D. Francisci Reginae Margaritae Austriae Philippi III uxoris justa funebria solemni ritu a populo Pon-tremulensi persolverentur. ///.mo D. D. Vincentio Gonzagae Ferdinandi Guastallae Ducis et Molfcti Principis filio dicata. Mantuae, 1623, ex off. typ. fratrum De Osanna. In 8.° di p. 24. — Anche di questo raro libretto esiste una copia nella Nazionale di Firenze, Sezione Magliabechiana. II. BARTOLOMEO BOLOGNA. Figlio di Antonio sopra ricordato , nacque Bartolomeo Bologna a Pontremoli nella parrocchia di S. Colombano e fu battezzato il 21 gennaio 1601. Laureato in legge, attese alla Avvocatura, prima in Pontremoli e poi a Milano. In seguito fu nominato Auditor Fiscale a Genova, e quindi Auditore della Rota Civile nella stessa città; nel quale ultimo ufficio venne* confermato per un secondo triennio, con patente onorevolissima del 17 marzo 1643. Vacando nel 1650 un posto nella Rota Fiorentina, il Bologna vi concorse e l’ottenne per la raccomandazione di Bartolomeo Arese, come risulta dalla seguente lettera in data di Milano 7 Settembre 1650, colla quale l’Arese ringrazia il Granduca Ferdinando II di avere favorito il Bologna : Sereniss.0 mio SiG.e Col.0 Umiliss.0 gratie porgo a V. A. S.ma dell’ honore che la s’è degnata di fare al Sig. Dott.1’ Bologni, conferendogli il luogo di cot.a Rota, e riconosco la mercede segnalatiss.1™ della magnificenza di V. A. con aumento sempre maggiore delle mie già infinite obbligazioni al Sere- — 68 — niss.o Suo nome. Il valore del S/ Bologni spero mi disimpegnerà dalla sicurtà che per esso feci presso V. A. Ma non so già come discontar mai una parte di tanto debito addossatomi dalla superiore umanità delTA. V., a cui non lasciando di porgere riverente supplica per esser gratiato delT onore de’ suoi commandi con umiliss.0 ossequio me le inchino ecc. (i). Da Auditore della Rota fu inalzato il Bologna nel 27 febbraio 1659 al posto di terzo Auditore della Suprema Consulta di Grazia e Giustizia in luogo dell*Auditore Valentino Farinola; e nel tempo stesso fu nominato Auditore del Magistrato dei Capitani di Parte Guelfa, Assessore dei Conservatori di legge , dell’Abbondanza e del Monte di Pietà. Nel i.° marzo 1660 fu provvisoriamente incaricato di supplire nell’ufficio di Auditore del Magistrato Supremo il Dott. Federico Marioni di Gubbio, ch’era caduto ammalato ; e nel 9 settembre 1661, essendo il Marioni ritornato in patria, fu il Bologna confermato definitivamente in quello ufficio, con obbligo di lasciare tutte le altre cariche che riteneva , eccettuate ' soltanto quelle d’Auditore di Consulta e di Assessore del Monte di Pietà (2). In questi uffici rimase fino al 13 aprile 1674, nel qual giorno ottenne onorevole motuproprio che lo collocava a riposo, accordandogli una pensione vitalizia di scudi 300 annui. Passò gli ultimi anni della sua vita in Firenze, ove morì il 4 giugno 1679 e fu sepolto in S. Procolo (3). Il Conti nel libro già citato De claris judicibus, il Ge-rini nelle Mem. Stor. di Lunigiana (II, 257) e il Cinelli nel libro degli Scrittori toscani (4) ricordano con lode Bartolomeo Bologna. Il Cinelli per altro lo chiama Antonio confondendolo col di lui padre ; ma 1’ equivoco è talmente evidente che non ha bisogno di dimostrazione. Ecco come ne scrive : «........per molti anni esercitò la carica (1) Archivio Mediceo , Filza 1006. Carteggio di Ferdinando II, Lettere dal 1648 al 1650. (2) De Comitibus (Conti), De claris judicibus etc.... Settimanni, Cronaca, vol. XI, car. 41 e 116, in Arch. di Stato di Firenze. (3) Libro dei viorti nelTArch. di Stato di Firenze. (4) Manoscritto nella Magliabechiana c. 163. di Auditore de’ Consiglieri in Firenze , e ’l so per prova perchè revocò una sentenza data a favor mio dal suo antecessore Marioni. Fu uomo dotto , ed ebbe grandissima cognizione di libri in ogni genere...........Molti altri suoi motivi M. S. sono nell’ uffizio del Proconsolo di Firenze con l’occasione di avere esercitate più cariche nella mia patria, de’ quali siccome d’ uso , non so per qual ragione non abbia fatto menzione il P. Co. Agostino Fontana nella sua Biblioteca legale amplissima. Morì il Bologna in Firenze dopo avere avuto il riposo circa l’anno 1679 ». A conferma di quanto scrisse il Cinelli circa la cultura di Bartolomeo Bologna, aggiungeremo ch'egli raccolse codici e oggetti d’arte, i quali furono trasportati a Pontremoli dai suoi figli che là ripresero stanza definitiva dopo la sua morte. Infatti i tutori del di lui bisnipote Giacomo Bologna venderono nel 1717 a Francesco I Farnese Duca di Parma dieci dipinti qualificati tuttti di buono autore (1); e il Duca aggiunse al prezzo concordato anche il titolo di Conte al minore Giacomo e ai suoi discendenti in infinito, e di Contessa alla madre sua che fu Angela Pavesi (2). E il Mehus nella Prefazione alla vita del Tra versari (pag. V e VII) ricorda un Codice cartaceo in 4.0 appartenente al Conte Bologna di Pontremoli, nel quale erano trascritte varie lettere di Paolo e Timoteo Veronesi, di Lorenzo de’ Medici, di Poggio Bracciolini, di Matteo Bossio, di Bartolomeo Faccio e di altri, nonché di Ambrogio Traversari. Aggiunge poi nella Vita (a pag. 419) di aver preso copia dal detto Codice di una Orazione del Poggio fiorentino in lode del Cardinale di S. Angelo e di averla inserita nella Biblioteca del Marchese Riccardi. Diverse sue Decisioni sono a stampa in varie raccolte di Decidenti e in Trattatisti. (1) Archivio notarile di Pontremoli, rogito di Ser Ascanio Falaschi de’ 16 novembre 1717, Prot. V, c. 128. (2) Diploma dato a Piacenza il 4 aprile 1718. III. NICCOLÒ MARIA BOLOGNA. Figlio dell’Avv. Pietro Giovanni e di Delia Maracchi nacque in Pontremoli, ed ivi fu battezzato nella parrocchia di S. Colombano il 30 gennaio 1698 (1). Compiuti gli studi legali attese all’ esercizio dell’Avvo-catura , nel quale ebbe molto credito non solo in Pontremoli ma in tutta la Lunigiana. Pei Marchesi Malaspina compilò gli Statuti de’ Feudi di Madrignano e di Suvero: e del Marchese Carlo di Mulazzo fu giudice delegato. In un atto del 1775 è anche qualificato come Pro vicario maggior generale per S. A. R. il Granduca di Toscana in Pontremoli, sua giurisdizione e feudi granducali. Nel *743 fu ammesso tra i Consiglieri urbani del Comune di Pontremoli; ed ivi tenne anche vari altri uffici, frai quali quello di Rettore o Priore del Venerabile Spedale di Sant’Antonio Abate. L’Avv. Niccolò Maria morì senza discendenza, dopo il 1780. SCRITTI A STAMPA. I- —Notizie istoriche della Terra di Pontremoli, Stanno nelle Re-lazio7ii di alcuni viaggi fatti in diverse parti della Toscana dal Dottore Gio. Targioni Tozzetti, da pag. 211 a pag. 410 del Tomo XI della Edizione di Firenze, MDCCLXXVII, per Gaetano Cambiagi Stamp. Granducale. Il Targioni nel darle in luce vi fece la seguente dichiarazione preliminare : « Sono tanto copiose, tanto diligentemente ricercate e tanto (1) Il padre di Niccolò Maria, Pietro Giovanni, morto in età di 87 anni, nel 1737, fu esso pure giureconsulto assai stimato, e tenne gli uffici di Podestà di Monticello presso Piacenza., e di Auditore Generale dei Marchesi Malaspina di Villafranca, Virgoletta e Podenzana. Compose un dramma pastorale che fu messo in musica dal maestro Paolo Bavara e rappresentato a Pontremoli nel 1685. È a stampa col seguente titolo: La semplicità instrutta, Dramma pastorale per musica del Dott. Gio. Pietro Bologna, nobile pontremolese, dedicato alle gentilissime dame di Pontremoli. — Da rappresentarsi in questo anno 1685 — In Massa nella stamperia di Girolamo Marini (senz’anno), in 8 picc. di pag. 32. interessanti le notizie istoriche della ragguardevolissima terra di Pontremoli, delle quali per mezzo del Sig. Cav. Stefano Bertolini Presidente della Regia Consulta mi favorì con somma gentilezza fino dal-P anno 1754 il Sig. Avvocato Nicolò Maria Bologna , che mi hanno impegnato a formarne un capo a parte, colla fiducia che riuscirà graditissimo ai lettori per la novità e per l’importanza della materia. Imperocché se uno rifletta alla situazione di Pontremoli, quasi nel centro di vaste Alpi, e si riduca a memoria le poche e sconnesse notizie che se ne trovano in alcuni libri, appena crederà possibile che , con tutte le più premurose ricerche, si possa mettere insieme da empire un foglio di cose utili e dilettevoli spettanti ad essa Terra. Ma lo zelo pa triottico, la diligente ricerca, e la giudiziosa scelta di esso Sig. Avvocato, ha saputo rammassare materiali da formare un corpo d’ Istoria di Pontremoli, che non avrà invidia a quello di alcune città d’ Italia, anche più grandi e commendate dagli scrittori...... Nel far parte al pubblico delle dotte fatiche del Sig. Avvocato Bologna , io non ho altro merito , se non che di averle ridotte sotto diverse Sezioni , che mi sono sembrate opportune, e di avervi aggiunto quello che ho trovato di più nel manoscritto di Bonaventura de Rossi Sarzanese , ed incidentemente in vari libri stampati, affinchè l’opera riesca tanto più completa, quanto più nuova ed inaspettata ». Queste notizie storiche sono divise in cinque Sezioni , le quali, dal canto loro , si suddividono in diversi paragrafi o capitoli, come appresso : Sezione I. — Descrizione di Pontremoli — Sua situazione Recinto e fortificazioni — Popolazione e fabbriche. Sezione II. — Storia civile — Condizione di Pontremoli nei tempi antichi e nei secoli di mezzo — Dall’anno 1077 al 1202, e se sia stata dominata dalla famiglia Malaspina — Pontremoli governata a Comune dal 1202 al 1319 — Sotto il dominio di Castruccio dal 1320 al 1328 — Sotto i Rossi di Parma e gli Scaligeri di Verona dal 1329 al 1339 Sotto i Visconti dal 1339 al 1403 — Sotto i Fieschi dal 1404 al 1430 _ Di nuovo sotto i Duchi di Milano dal 143° ^δ00 Sotto i Re di Francia dal 1500 al 1522 - Per la terza volta sotto il Duca di Milano dal 1522 al 1525 — Sotto Carlo V dal 1526 al 1528 — Di nuovo sotto i Fieschi dal 1528 al 1547 - Per la seconda volta sotto Carlo V dal 1547 al 1555 - Sotto i Re di Spagna dal 1555 al 1647 - Sotto la Repubblica di Genova dal 1647 al 1650 — Sotto i Granduchi di Toscana dal 1650 in poi. Sezione III. — Governo di Pontremoli. Sezione IV. — Notizie di storia ecclesiastica di Pontremoli. Sezione V. — Soggetti più illustri Pontremolesi. Questo lavoro del Bologna fu accolto con favore, a’ suoi tempi, perchè era il primo che trattasse la storia pontremolese sui soli documenti o attingendola a fonti indiscutibilmente autorevoli, e sfrondali- — 72 — dola da tutte le fantasticherie dei vecchi cronisti locali. Ma, certo, quel lavoro non fu che una semplice raccolta di memorie , perchè il Bologna non ebbe veramente Γ idea di dargli forma e sviluppo di storia. Egli trascorse la lunga ed operosa sua vita (lo scrivemmo in altra occasione) entro i confini municipali, e trasse solo profitto dai pochi documenti che potevano venirgli a mano a Pontremoli, trascurando anche, perchè forse non ne ebbe la comodità, di sfogliare molto i libri a stampa. Si studiò di condurre il suo lavoro con retto criterio, ma la nuova scuola critica, della quale egli vide soltanto i primi albori, ha dovuto più d’una volta correggerlo. Ciò non di meno, egli è meritevole d’encomio per l’opera sua, la quale in talune parti resta sempre importante. OPERE MANOSCRITTE. 1. — Statuti del Comune di Madrignano, fatti e pubblicati nel mese di dicembre deir anno del Signore 1760, con la permissione ed approvazione di Sua Eccellenza il Sig. Marchese Carlo del fu Signor Marchese Azo Giacinto Malaspina di Mulazzo > nostro Padrone eie-mentissimo, essendo Co?isoli Domenico Tacconi e Santo Bertoni. Codicetto in 4.0 piccolo di carte 18, posseduto da Giovanni Sforza. Si dividono in 42 capitoli, ed infine sono sottoscritti dall’Avv. Nicolò M.a Bologna di Pontremoli Giudice Delegato di Sua Eccellenza il Signor Marchese Carlo Malaspina di Mulazzo. (Cfr. Sforza , Bibliogr. Storica della Lunigiana, a pag. 32). Riguardo a questi Statuti così scrisse il Branchi nella Storia della Lunigiana feudale, (Pistoia, Beggi, 1898, vol. I, pag. 616): « Nel 1746, 19 Decembre, il Marchese Carlo Morello faceva compilare dall’ Avv. Niccolò Maria Bologna di Pontremoli gli Statuti questo feudo (di Madrignano) direttamente concernenti , e gli approvava quindi nel febbraio del 1760. Un simil Codice che conteneva 42 capitoli, non fa conoscere che veruna antica disposizione vi sia riportata : tutti questi Capitoli, 1’ ultimo eccettuato , riguardano la materia civile, la quale sostanzialmente non si riduce che ad un accozzamento delle leggi eh’ erano in vigore nella vicina Toscana di cui formava parte la patria del compilatore. Il capitolo ultimo appella al diritto penale ». Altri due esemplari di questi Statuti, scrive lo stesso Branchi, esistevano , uno nella Cancelleria Comunitativa di Pontremoli, e l’altro presso Paita di Calice. 2. — Statuti del Comune di Suvero. « L’ antico Statuto di Suvero più non corrispondeva nel 1774 ai bisogni della popolazione, per cui i Consoli ed i Consiglieri di quella Terra chiesero al Marchese Giuseppe Malaspina di Villafranca, Amministratore Cesareo della Casa di Suvero che volesse provvederli di — 73 — un nuovo Statuto ; ed egli come rappresentante il minorenne Signore di Suvero Marchese Torquato Malaspina, con rescritto dell’8 febbraio di quell’anno incaricò della compilazione del medesimo ì’Avv. Niccolò Maria Bologna di Pontremoli. Esso compilò di fatti il nuovo Statuto che fu pubblicato in Stiverò il 2 giugno 1775 ed approvato dal Marchese Giuseppe il 4 luglio successivo. Si compone di 99 capitoli; ed un esemplare di esso trovasi nello Archivio domestico dei Marchesi Malaspina di Mulazzo, Filza 21, N. 3 ». (Cfr. Sforza, Bibliogr. Storica detta Lunigìana, a pag. 243. Ved. anche Branchi, op. cit., volume II, pag. 559). IV. BOLOGNA CARLO (di Paolo). Nacque in Pontremoli il 14 agosto 1767 da Paolo Bologna e da Teresa Mastrelli. Manifestò fino dai primi anni un ingegno versatile e potentissimo, accompagnato da una prodigiosa memoria per la quale tutto lucidamente e tenacemente riteneva. Studiò nelle Università di Parma e di Pisa ; e in questa ultima ottenne la laurea di teologia e di ambe le leggi nei giorni 17 e 21 maggio 1793. Nell’una e nell’altra città non ebbe fra i suoi condiscepoli chi lo e-mulasse per talenti, per operosità e per sapere; e special-mente in Parma, ove più lungamente dimorò, lasciò desiderio di sè e contrasse onorevoli amicizie, fra le quali quella del celebre Angelo Mazza , il quale compiacendosi a conversare con lui, soleva chiamarlo il dotto Bologna. Fattosi poi Sacerdote all’ età di 24 anni, ottenne per concorso nel 1795 l’Arcipretura parrocchiale di Rossano presso Pontremoli. Poco tempo per altro potè rimanere in questo pacifico ritiro, ove il suo spirito si sarebbe sempre più temperato alla severa scuola della meditazione e della carità. Le vicende del 1799 sopraggiunsero a turbarlo, sconvolgendo la Lunigiana coi frequenti cambiamenti di governo e col continuo passaggio di eserciti di ogni nazione dalla Liguria alla Lombardia, e provocando anche fatti sanguinosi nella memorabile resistenza alle truppe francesi per parte dei montanari di Zeri, in quei luoghi appunto ove il Bologna aveva la sua parrocchia. La maggior parte — 74 — dei cittadini pontremolesi, vinta dal timore e dalle rappresaglie , fuggì ; ma ΓArciprete Bologna che sedeva nel Civico Magistrato , corse al suo posto in Pontremoli, seppe in varie occasioni parlare alto e franco ai colleghi della Municipalità, si adoperò con prudenza a moderare le militari esigenze, e riuscì a risparmiare mali maggiori al paese. Ristabilito l’ordine col sorgere della fortuna Napoleonica, il Bologna attratto dalla nuova vita pubblica che andava instaurandosi e sollecitato dalle istanze dei parenti e degli amici , rinunziò alla sua Chiesa ritornando a vivere colla famiglia in Pontremoli, ove nel 24 agosto 1801 il Vescovo gli confermò il titolo di Arciprete. Attese allora all’esercizio dell’Avvocatura, avendone ottenuta licenza non ostante la sua qualità di ecclesiastico ; e può quasi dirsi che d’allora in poi non vi furono affari importanti in tutta la Lunigiana che non passassero per le sue mani, fra questi è da ricordare la sistemazione di tutte le vertenze riguardanti gli ultimi Marchesi Malaspina di Mulazzo e i loro e-redi Marchesi Mosti Recupito di Benevento , dei quali fu per molto tempo amministratore. In dipendenza dell’esercizio della professione di Avvocato ebbe a soffrire il Bologna nel 1810 un processo criminale che fu celebre per tutta la Lunigiana, non solo per la qualità delle persone che vi furono implicate, ma anche perchè celava i rancori personali e la vendetta di ben noti intriganti camuffati, come dicevasi allora, da patriotti. Perciò stimiamo opportuno di darne un brevissimo cenno. I Padri Agostiniani del Convento della SS. Annunziata di Pontremoli avevano venduto con le debite autorizzazioni del governo della Regina d’ Etruria , allora dominante in Pontremoli , all’Avvocato Luigi Torrigiani di Parma una loro tenuta detta di Ozzano posta nel territorio di quella provincia ; e Γ Arciprete Bologna, come consultore legale del Convento, aveva avuto parte nelle trattative deH’affare e dettati i relativi contratti. Trascorso poco più di un anno dopo questo fatto, e avvenuta la riunione all’impero francese della Lunigiana e delle Provincie Toscane, fu pubbli- — 75 — cata nel 1808 la legge di soppressione delle Corporazioni religiose, che ordinava il passaggio nel Demanio di tutti i beni di queste. Quantunque i frati dessero esatto conto del prezzo ricavato da quella vendita, consegnando anche i titoli di quanto restavano ancora in credito verso il compratore, le Autorità francesi istigate da maligni e mendaci calunniatori che ipocritamente sfoggiavano patriottismo, in-struirono un processo per simulazione di contratto in frode al governo, contro il compratore Torrigiani, contro i Frati che stipulavano la vendita e contro l’Arciprete Bologna loro Avvocato consultore ; i quali tutti ebbero a soffrire prigionia dallo agosto del 1810 al febbraio 1811. Non tardò per altro a trionfare la giustizia , giacché portata la causa al pubblico dibattimento avanti la Corte criminale e speciale residente in Chiavari, dopo le difese pronunziate dal-ΓΑνν. Giuseppe Bertani Professore di diritto civile in Parma e dall’Avv. Giovanni Bologna fratello deir Arciprete , nel dì 12 novembre dell’anno 1810 fu pronunziata amplissima sentenza assolutoria di tutti gl’imputati. Ma poiché questo non bastò a far tacere 1’ animosità apertamente dimostrata da chi sosteneva la parte di Pubblico Ministero , sempre instigato dalla faziosa combriccola sedicente patriottica, o-stile specialmente al Bologna, la Corte di Cassazione di Parigi, presso la quale patrocinò la causa degli imputati il celebre Avvocato Mejan, pronunziò nel dì 8 febbraio 1811 il suo verdetto definitivo , confermando in ogni parte la sentenza assolutoria (1). Le non lievi traversie della vita e le severe occupazioni legali non distrassero per altro il Bologna dallo attendere agli studi filosofici e anche a quelli letterari, che sino dalla (1) Cfr. Orazione a difesa dei Signori Avvocato Arciprete Carlo Bologna, Avvocato Luigi Torrigiani e dei già Religiosi Agostiniani Andrea Marioni, Giuseppe Benedetti e Celestino Ferrari, recitata il dì 12 Novembre dell’ anno 18 10, innanzi alla Corte di Giustizia Criminale e speciale del Dipartimento degli Appennini in Chiavari dai Signori Giuseppe Bertani Avvocato e Professore di diritto civile in Parma e Giovanni Bologna Avvocato alla Corte di Appello di Firenze; preceduta dalla esposizione del fatto. — Parma dalla Stamperia di Filippo Carmignani e Giuseppe Paganino (1810); in fol. di pp. 26-4S-14. _ 76 — gioventù sempre predilesse. Non vi fu opera importante storica , letteraria o filosofica pubblicata ai suoi tempi che non trovasse posto nella copiosa sua biblioteca ; e non vi fu questione di critica, specialmente letteraria, eh’ egli non seguisse con vivo interesse. La lingua latina conobbe perfettamente , dettando in essa con grandissima facilità epigrafi e versi. Dell’antica storia di Lunigiana fu buon conoscitore ; e a lui ricorsero l’Ab. Emanuele Gerini per notizie e documenti da servire alle Memorie storiche di Lunigiana , come ne fa testimonianza lo stesso Gerini nella prefazione alla sua opera , il conte Pompeo Litta per notizie sulla famiglia Malaspina, come lo dimostrano alcune lettere originali del Litta stesso esistenti presso lo scrivente, e finalmente il P. Massimiliano Ricca delle Scuole Pie per aiuto ad un lavoro che si era proposto di fare sul Marchese Alessandro Malaspina , come pure apparisce da lettere del Ricca. Affabile per natura, volentieri accoglieva le. molte persone che si rivolgevano a lui per consiglio e assistenza, per direzione negli studi, per indicazione di fonti e d’ autorità e per giudizio in lavori letterari. Era ricevuto nelle conversazioni per la sua erudizione che a tutto rispondeva e per le sue piacevolezze ; e anche oggi dopo oltre settanta anni dalla sua morte, vivono sulla bocca dei pontremolesi le sue arguzie e i suoi motti di spirito. Per altro la franca lealtà , la indipendenza del carattere , una certa spensieratezza, la facile parola e il sentimento della superiorità del proprio ingegno lo trascinavano a non saper disciplinare i vsuoi sentimenti o ad occultare prudentemente la verità, ancorché gli uni e 1’ altra dispiacessero a qualcuno o urtassero nella opinione comune ; e perciò le sue parole erano temute perchè coglievano spesso sul vivo, e riuscivano pungenti. Poco scrisse come avviene sovente agli uomini tutti compresi dal desiderio d’imparare e di erudirsi, e che nel tempo stesso sono forniti di straordinaria memoria; la quale, a dir vero, fu tale ch’egli ricordavasi non solo delle opere in cui avea letto qualche fatto o sentenza , ma anche del — 77 — volume e del capitolo. Tutto concentrato in uno studio piacevole, talvolta si dimenticava di affari più gravi, e allora rimediava al ritardo col raddoppiare la produzione del suo lavoro , perchè mentre scriveva sopra un argomento dettava al suo, giovane sopra un altro. Tale altra volta quel suo concentramento lo portò a distrazioni che produssero equivoci singolari. Onestissimo e di costumi illibati , non ebbe (convien dirlo per la verità) che il difetto d’intemperanza nel vitto , che contribuì ad indebolire a poco alla volta la sua costituzione fìsica, quantunque fosse robusta e di proporzioni quasi colossali. Nessuno stimolo sentì di dare al pubblico i suoi lavori, per la qual cosa anche i pochi suoi scritti andarono per la maggior parte dispersi; e neppure ambì uffici pubblici ed onori. Ciò fece dire giustamente al suo necrologista che « si sarebbe desiderato in questo uomo straordinario un qualche grado di ambizione che lo spingesse a mettere in attività in un campo più vasto tante belle qualità di mente e di cuore ». E Marco Tabarrini egregiamente lo giudicò colle seguenti parole che ci piace di riportare come conclusione di questo breve articolo : « Carlo Bologna era uno di quegli uomini che nei costumi del secolo scorso costituivano un elemento principalissimo della vita municipale nostra, prima che fosse incominciato quell’accorrere di tutti i migliori alla capitale in cerca di uffici e di lucri. Ricco di scienza appresa nelle Università di Parma e di Pisa, discepolo ed amico del celebre Angelo Mazza, in quella età che più sente il pungolo deir ambizione, Carlo Bologna si fece sacerdote, ed al bene dei suoi concittadini consacrò il suo sapere e la sua instancabile operosità. Egli era nel suo paese il paciere invocato nei dissidi, il consigliere accetto nei dubbi, il difensore intrepido dei diritti conculcati, esercitando così quella magistratura benefica di concordia , a cui danno diritto la superiorità della mente e la probità della vita » (i). (r) Tabarrini Marco. Notizie sulla vita del Consigliere Giovanni Bologna. Firenze, coi tipi di M. Cellini e C. alla Galileiana, (1857); in 8. — 7S — Morì ΓArciprete Bologna in Pontremoli il 13 aprile 1827. La sua necrologia fu stampata nel Supplemento alla Gazzetta di Firenze del 5 maggio 1827. OPERE MANOSCRITTE. 1. — La Tolleranza conforme ai diritti di natura ed alla pubblica utilità. Discorso accademico, Con note. Fascicoletto manoscritto , autografo , in 8.° di carte 16. Fu letto nella Università di Parma nel 1791 o 1792 , mentre il Bologna vi era scolare, alla presenza del Conte Antonio Cerati Preside della Facoltà di filosofia. — Esiste presso lo scrivente. 2. — Piano per un buo?io Studio di Metafisica. È ima brevissima scrittura autografa, di 2 carte in 4.0 grande colla quale in 10 articoli sono dal Bologna indicati i piincipali trattatisti di questa scienza conosciuti a’ suoi tempi, l’ordine da seguirsi e le cautele da aversi nel leggerli e nello studiarli. Anche questo esiste presso lo scrivente. 3· — Carlo Bologna Municipalista alla Municipalità di Pontremoli. Rossano, 12 luglio 1799, Manoscritto di due carte in 4.0 gr. esistente presso lo scrivente. Nel 10 luglio 1799 la Municipalità di Pontremoli della quale faceva parte Γ Arciprete Bologna, deliberò, lui assente , d’imporre una tassa personale uniforme su tutti i cittadini possidenti del Comune , senza riguardo alcuno alle rispettive loro sostanze; era, in altri termini, una specie di quella odiosa tassa che si chiama il testatico. Il Bologna appena lo seppe, protestò con questo scritto diretto ai Cittadiìii Colleghi contro sì assurda ed ingiusta tassa, adducendo le ragioni che la condannavano; e accompagnò la protesta con una lettera al cittadino Segretario della Municipalità , ordinandogli di leggere la protesta stessa in pubblica Sessione, e di registrarla negli atti e documenti della Segreteria; e aggiungendo: « Sono ben lontano dal volere imporre agli altri col mio sentimento. Ognuno è padrone delle sue opinioni ; ma debbo a me stesso ed al mio onore la pubblica manifestazione de’ miei sentimenti in un affare di tanta importanza ». 4, Ludovici Savioli — Carmina — Ab Italico in Latiimm ser-7nonem — Versa. Codicetto cartaceo in 8.°, legato in tutta pergamena, di pag. 53 numerate e 2 senza numerazione. È tutto scritto di mano del traduttore Carlo Bologna. Sono 24 Elegie in distici latini. — Esiste presso lo scrivente. 5. — Iscrizione latina dettata per essere scolpita sulla torre di Mulazzo. Fu pubblicata da Giovanni Sforza a pag. 24 dell’ opuscolo : Epistola Peregri7ii de Belmesseris Pontremulensis. Lucca, Giusti, 1SS0. ì — 79 — 6· ~ Due motti — a — Pirro Secondo. Aletopoli MDCCCVIT. Codice cartaceo in 4.0, legato in mezza pergamena, di pag. 235 di testo e T52 di noie; totale di pp. 387. È in copia , ma ha abbondantissime note ed aggiunte dell’ autore Carlo Bologna. Esiste presso lo scrivente. In questo scritto il Bologna fece l’apologia delle tragedie di Vittorio Alfieri , delle quali fu caldissimo ammiratore , con 1’ intendimento di difendere quel sommo dagli attacchi che gli vennero da alcuni toscani ed in special modo dal Prof. Carmignani. L’opera è dedicata al Cesarotti , designato col suo nome arcadico di Meronte , è divisa in sette capitoli preceduti da una introduzione. I titoli dei capitoli sono i seguenti : I. Esperienza ed effetto teatrale. — II. Unità di azione. — III. Numero dei personaggi. — IV. Caratteri. — V. Dialogo. — VI. Stile. — VIJ. Spirito. Il Bologna aveva in animo di pubblicarla, ma sembra che ne deponesse il pensiero per difficoltà incontrate colla censura governativa, giacché in una lettera del 25 luglio 1809, da lui diretta al fratello Giovanni in Firenze, così scriveva: « Convengo aneli’ io pienissimamente nel pensare che il Governo non può essere in questo moménto tanto tranquillo da permettere la stampa del mio scritto; e voglio piuttosto bruciarlo che spogliarlo di tutti i tratti politici e ridurlo così ad un nudo schèletro inanimato ». 7. — Iscrizioni latine pei fimerali del Granduca Ferdinando III celebrati in Pontremoli nel 1824. Manoscritto in 4.0 gr. di carte 3 presso lo scrivente. Oltre le iscrizioni per la porta della Cattedrale e per il Catafalco, aveva l’Arciprete Bologna dettata anche una lunga iscrizione da dispensarsi privata-mente a nome, e come attestazione di ossequio e di gratitudine della famiglia Bologna , la quale fu stampata a Pisa dalla tipografia Nistri, con l’approvazione della censura di quella città. Ma avendo questa cosa suscitato delle piccole invidie, il Commissario governativo, certo Scaramucci, che aveva dei vecchi rancori coll’Arciprete, gli ordinò di non dispensare la iscrizione senza prendere intelligenze con lui. Al quale ordine il Bologna sdegnato rispose in data 5 agosto: « Ho fatto gettare sul fuoco tutte le copie delle iscrizioni , facendo così sfumare quell’ allarme risvegliato dal mio ardire di richiamare alla memoria dei Pontremolesi i benefizi loro compartiti ampiamente dall’estinto Sovrano ». E così veramente fece, non essendo rimasta delle iscrizioni neppure una copia. E. ritirò anche quelle destinate per la porta della Chiesa e per il catafalco, le quali perciò non furono messe in opera. In questa stessa occasione della morte di Ferdinando III dettò pure la iscrizione pei funerali celebrati il 17 luglio nella Chiesa del Conserva-torio di S. Giacomo in Pontremoli, la quale è così ricordata nel n. 94 della Gazzetta di Firenze di detto anno : « Sopra la porta della Chiesa era stata collocata una elegante iscrizione funebre , parto felicissimo della celebre penna del Sig. Avv. Carlo Bologna ecc..... ». — 8o V. CARLO BOLOGNA. (di Giovanni). Carlo Bologna nacque in Firenze il 18 ottobre 1824 da Giovanni, allora Auditore della Rota Fiorentina e poi Presidente del Buon Governo di Toscana e Ministro di Leopoldo II, e da Giulia Villani di famiglia patrizia di Pistoia (1). Attese agli studi letterari e filosofici nello Istituto dei Padri delle Scuole Pie, ove ebbe a maestri Mauro Bernardini , Eusebio Giorgi e Numa Pompilio Tanzini. A 16 anni incominciò gli studi legali nella Università di Pisa, e riportò diploma di Dottore nel 14 luglio 1844. Ritornato poi a Firenze, fece le pratiche di giurisprudenza presso Niccolò Lami R. Procuratore generale della Corte di Appello , e che fu più tardi Ministro di Grazia e Giustizia, finché nel giugno 1848 conseguì il grado di Avvocato. Il libero esercizio della professione legale era nei suoi desideri ; ma per deferenza al padre che desiderava di vederlo avviato negli uffici governativi, concorse per esame ad un posto di Uditore o Referendario al Consiglio di Stato, e l’ottenne nel 20 maggio 1850. Fino da quel momento egli ebbe occupazioni importanti e gravi , giacché dovè sostenere la parte di Segretario relatore di varie Commissioni del Consiglio , e specialmente di quelle incaricate di esaminare i progetti del Codice penale comune e di quello penale militare. Il 12 giugno 1856 fu anche nominato Segretario di una Commissione composta di Ferdinando Tartini, Odoardo Dufour Berte , Pietro Betti, Girolamo Gargiolli e Gherardo Lenzoni, incaricata di una riforma generale del R. Arcispedale di S. Maria Nuova. (1) Riguardo a Giovanni Bologna, pontremolese, padre di^Carlo, vedasi una mia Memoria col titolo : Giovanni Bologna, la riforma penale in Toscana e il Concordato del 1851. Cenni storici e biografici. Si aggiunge la Necrologia del Bologna, scritta da Celestino Bianchi, già Segretario generale del Governo Provvisorio della Toscana nel 1859. Firenze, Ufficio della Rassegna Nazionale, Via della Pace, 2, 1898. Pistoia tip, di G. Fiori, Estratto dalla Rassegna Nazionale, in 4, di pag. 100. Caduto il governo granducale , il Ricasoli Governatore generale della loscana gli affidò la gerenza della Strada errata Aretina; e d allora in poi rimase sempre in uffici ferroviari, prima come Commissario Amministrativo presso la Società delle Strade Ferrate Livornesi, poi come Segretario Relatore della Commissione d’inchiesta sui servizi e sulle tariffe delle Ferrovie del Regno (1867), come Commissario straordinario di vigilanza e revisione presso la Società delle Strade Ferrate Romane (1870), e come Ispettore Superiore per gli affari commerciali delle Ferrovie del Regno. Questi furono gli uffici governativi sostenuti da Carlo Bologna. Ma egli non era uomo da rimanere internamente soddisfatto, limitando l’operosità sua alle nobili sì, ma a-ride speculazioni ufficiali. Il suo sentimento ed il suo ingegno volevano ben altre soddisfazioni e le trovò in altri uffici di azione più diretta sul pubblico bene, e negli studi specialmente di erudizione, d’arte e di bibliografìa. Per 20 anni, dal 1851 al 1871, fu Segretario della Società per gli Asili Infantili; ed ivi ebbe a colleghi nella cura di quello Istituto, che si manteneva col concorso della carità cittadina, amici carissimi, che portavano i nomi, an-che oggi onorandi, di Carlo Capponi, Ferdinando Bartolomei, Lorenzo Strozzi Alamanni e Lotteringo Della Stufa. Più tardi fu anche nominato Socio e Sindaco della Cassa di Risparmio. Nel 1859 , appena si ricostituirono col sistema elettivo le rappresentanze municipali, Carlo Bologna fu chiamato a far parte del Consiglio del Bagno a Ripoli florido e popolato Comune del suburbio fiorentino; ed entrato poi nella Giunta, che allora chiamavasi Magistrato dei Priori, attese con altri egregi, fra i quali Enrico e Giuseppe Poggi, ribaldino e Cosimo Peruzzi, Felice Francolini, Carlo Magnani, ad ordinare quell’ amministrazione secondo le leggi e i sistemi portati dal nuovo ordinamento politico , a preparare il plebiscito italiano, a sviluppare la istruzione e la educazione popolare, ad avviare insomma quel Comune sulla miglior via suggerita dallo spirito dei nuovi tempi. Giorn. St. e Leti, della Liguria, 6 — 82 — E tanto eg'li corrispose alla fiducia dei suoi elettori e del Governo , che con Decreto Reale del i.° maggio 1861 fu nominato Gonfaloniere (Sindaco) del Comune stesso : nel quale ufficio ebbe poi conferma con altro Decreto del 14 gennaio 1864. In questa occasione il Prefetto di Firenze, Marchese di Torre Arsa , così gli scriveva : « Non saprei come meglio dimostrarle la soddisfazione del Governo per il modo lodevole con cui ella ha condotta cotesta amministrazione municipale fino a tutto il perduto anno 1863, che accompagnandole il Decreto Reale di conferma nella carica di Gonfaloniere anche per il futuro quadriennio ». Ma egli occupato da altri gravi affari propri e d’ufficio, insistè poco dopo per averne dispensa, e l’ottenne nel 24 agosto 1864, rimanendo bensì per vari anni ancora nel Consiglio e nella Giunta. Nel 1866 fu anche eletto Consigliere nel Municipio di Firenze, ove sedè per quattro anni. Quanto agli studi, egli vi attese (lo dirò con una parola di uso comune) come dilettante, per sola soddisfazione propria e senza alcuna pretesa di prendere posto fra gli eruditi e i letterati. Dedito allo studio anche nella età giovanile , desideroso di osservare e di apprendere , lo fermo naturalmente la città in cui era nato e nella quale aveva sempre vissuto ; e la sua storia e i suoi monumenti ne fecero la educazione e ne formarono il gusto. Le gloriose vicende della Repubblica Fiorentina, nelle quali si confondono e quasi s’immedesimano i fatti splendidi del risorgimento letterario ed artistico , destavano in lui una specie di entusiasmo che lo portò ad avere quasi un culto per tutto quanto fu prodotto in quella epoca memoranda. Inspirati a questo culto sono i molti articoli che dal 1866 al 1871 pubblicò nella Gazzetta del Popolo di Firenze , una bellissima collezione di acquarelli di Firenze antica , la recensione del Codice Rustichi, la collezione dei Codici e delle Opere Dantesche, il catalogo delle Edizioni fiorentine e toscane del secolo XV e la collezione delle iscrizioni fiorentine. Ma di tutto ciò tratteremo nella parte bibliografica sembrandoci non inutile di discorrerne partitamente con una certa larghezza. - 83 - l (de Franchis) not. et cancell. (1). (1) Era un notaro Rebecco aggregato all’Albergo De Franchi; dopo il 1576 gli aggregati ripresero l’antico cognome di famiglia, --I oo — 1565: 17 maij - Ill.mus Io. Bapta Lercarius sciens per Ill.mum D. Ducem et Illustres DD. Gubernatores et Procuratores exc. Reip. ge-nuensis fuisse decretimi solvere et satisfacere persone nominande per nob. Nicolaum de Glimaldis q. D. AnO summam per predictos ìll.mos d.nus declarandam quatenus dictus nominandus intra dies quinquaginta inceptos debilitaret sensu vel corpore Sampetrum corsum ita ut officia virilia ulterius exequi non posset et volens ut dictus nominandus certius (sic) sit respectu summe declarande per prefatos II ,mum et Illustres dominos. Ideo vigore presentis promissit et se obligavit ita et taliter facere quod summa declaranda ut supra non erit minoris quantitatis in casibus predictis de scutis mille usque in mille quingentis secundum quod debilitatio facta fuerit iudicio ipsius 111.nu D. Io. Bapte et ita in dictis casibus promissit etiam suo proprio nomine solvere seu solvi facere dicto nominando summam predictam absque ulla contradictione delegans propterea omnia bona sua volens quod presens promissio vel obligatio remaneat penes prefatum nob. Nicolaum pro maiori cautione dicti nominandi et quod sit firmata per me notarium et cancellarium infrascriptum absque aliqua alia solemnitate testium. Ita est: Io. Aug. de Fr.is Not. et cancel. E un di quei mandati d’assassinio che si trovano pur troppo fra i documenti del governo genovese in Corsica , sia di San Giorgio che della Repubblica. Ma lo storico moderno, pur stigmatizzando simili delitti, deve tener calcolo dell’ epoca e dell’ ambiente, non per scusarli ma per comprendere come fossero possibili. Ugo Assereto. ANNUNZI ANALITICI. Vita di Pietro Giannone scritta da lui medesimo per la prima volta iìitegralmente pubblicata con note, appendice ed un copioso indice da Fausto Nicolini. Napoli, Pierro , MCMV, in 8 0 di pp. XXXV· 505, con rit. e facsim. — Gaetano Cogo. Intorno alla Istoria civile di Pietro Giannone. Osservazioni a proposito di una pubblicazione recente. Venezia, Visentini, 1904, in 8.° di pp. 46. — L’ autobiografia dello storico napoletano non viene fuori ora per la prima volta; tutti sanno infatti che nel 1890 uscì per le cure del Pierantoni un volume che la conteneva; ma il secondo editore, Fausto Nicolini, conscio del modo veramente indegno onde s’ era fatto strazio in quella pubblicazione dell’opera lasciata autografa dal Giannone , stimolato da recenti studi e polemiche giannoniane, le quali ultime s’appuntarono anche — ΙΟΙ - sul testo delia vita , venne nel lodevole proposito di offrire agli studiosi la riproduzione esatta ed integra del prezioso manoscritto. Ecco perchè vuoisi ritenere giustamente annunziata questa vita come edita « per la prima volta integralmente ». Il N. si è posto al lavoro con una larga preparazione, e lo ha condotto con ottimi criteri, così nello esemplare il testo, come nel corredarlo di opportuni richiami e di illustrazioni copiose ed importanti. Un’ acconcia prefazione, dando ragione della presente stampa, descrive in ogni sua parie il manoscritto autografo , ed espone il metodo seguito nel riprodurlo. Utilmente il N. ha preposto ai capitoli ed ai paragrafi, onde questi si veggono divisi, accurati sommari, facendo seguire il testo dagli appunti autobiografici e da una nota in cui con bella chiarezza sintetica espone i casi del Giannone negli ultimi sette anni di sua vita. L’appendice assai interessante contiene la lettera scientifica del Giannone intorno alla neve sulle cime del Vesuvio , un saggio dell’epistolario inedito , il memoriale al re Carlo Borbone , infine una poco conosciuta relazione sulle vicende dei mss. giannoniani rimasti a Ginevra. Chiude il volume l’indice dei nomi. Dire che il N. ha fatto opera egregia, in verità è superfluo; ma egli ha fatto anche un’opera buona, perchè la figura del martire d’Ischitella, esce viva e vera da queste pagine, non deturpata dai cervellotici conceri de’ disadatti che prima posero le mani nel manoscritto originale. Le impressioni che si ricevono dalla lettura di questa autobiografia non importa ricordar qui ; esse bensì valgono a confermare quanto espose genialmente e con rigore storico il Cian intorno aW Agonia d'un grande italiano sepolto vivo. Al quale non bastarono le persecuzioni e le torture mentre era in vita, chè dopo un secolo e mezzo dalla sua morte un critico si gettò sopra di lui, e intese a demolirne la fama oggimai acquisita, come uomo e come scrittore. Era naturale che altri sorgesse in sua difesa; donde una polemica vivace e fruttuosa, per la quale le ragioni del critico vennero vittoriosamente confutate, e il Giannone ebbe postumo rinverdimento di fama. Fra coloro che si posero con serenità d’animo e con severo metodo critico ad esaminare l’ormai noto libro del Bonacci rileviamo in ispecial modo Gaetano Cogo, il quale con piena competenza ed e-satla informazione di tutta quanta la materia ha cooperato con poderosa dialettica, e con copia di riscontri a demolire 1’ edifizio del Bonacci, « che, costruito con pietre di color vivo, ma con calce di eat tiva qualità, è destinato a cadere inesorabilmente ». Ci piace chiudere questo cenno con Γ augurio che presto si vegga uscire la bibliografia giannoniana promessa dal Nicolini, che sarà certo lavoro importante ed utile compimento della autobiografia. Alessandro D’Ancona. Esilio e carcere di Pietro Giordani. Nuovi documenti da archivi e biblioteche. Roma, 1905, in 8.0 di pp. 47 (E-stratto dalla Nuova Antologia). — L’A. s’era di già occupato di questo importante episodio della vita agitata dello scrittore piacentino alcuni anni or sono ; ma ulteriori ricerche gli danno ora modo di tornare - io 2 — sn quei fatti, integrarli ed illustrarli. I sequestri a cui veri nero sottoposte le carte giordaniane , e la oculata , insistente , feroce vigilanza sulla corrispondenza sua ebbero per effetto di arricchii e archivi e biblioteche di lettere da lui scritte e di altre a lui indirizzate. E tutto questo materiale venuto a mano di chi sa giovarsene con tanta perizia, ha porto argomento a questa nuova ed importante pubblicazione, ricca di svariati documenti , onde ricevono miglior lume la vita e i tempi del Giordani. Qui abbiamo la prova che le persecuzioni contro di lui ebbero le mosse dall’Austria, in seguito all’arresto del Montani, cui vennero prese parecchie lettere dell’amico, eh’ egli non aveva distrutte , e che non consegnate agli archivi polizieschi dallo Zajotti, il quale se le tenne in proprio, dopo la morte di costui passarono nella biblioteca di Trieste. Queste insieme alle lettere mandate in copia a Vienna dalla polizia ed a quelle serbate nell’ archivio di Parma , con gli altri documenti, ci rivelano molte particolarità riguardanti il Giordani ed i suoi amici, che messe in acconcio rilievo dal D’A. ben ri velano la infelice condizione politica dell’Italia, negli anni in cui 1 Austria esercitava sopra di essa la sua nefasta oppressione. Carlo Sforza. U?i missionario e sinologo piemontese in Cina nel secolo XVII. Torino, Paravia, 1905, in 8.° di pp 10. — La permanenza in Cina dell’A., che è fra i più valenti giovani ufficiali delle nostre Legazioni , è riuscita utile alla storia degli italiani che si proposero di recare la fede e la civiltà in quella regione. Le ricerche da lui fatte nell’archivio del collegio de’ gesuiti a Zi-ca-wei presso Sciangai lo hanno portato alla conoscenza di un manoscritto dove il P. Luigi Pfister ha raccolto le notizie biografiche e bibliografiche di tutti i padri vissuti in Cina, dalla morte di S. Francesco Saverio fino alla soppressione della compagnia. Da esso ei trae la biografia del P. Antonio Vagnoni da Trofarello, dettata, come tutte le altre, in francese. Questo missionario, pressoché ignoto, che per ben 35 anni esercitò il suo ministero nella Cina , ed ebbe processi, persecuzioni e prigionia, s era impossessato assai bene della lingua cinese, e varie opere ha lasciato distribuite in circa venti volumi. Di tutte porge notizia l’A., ed accompagna questa sua esposizione con rilievi critici ed osservazioni sociali , che ben dimostrano 1’ acutezza della sua mente , e la cura con cui, pure in mezzo alle faccende burocratiche, egli ha saputo studiare l’indole e la condizione di quella società , in rapporto alla civiltà europea. Di così fatti studi (e l’a. ha dato altri bei saggi in sedi diverse delle sue indagini storico-sociali) s’avvantaggia la scienza , Θ noi speriamo ch’egli vorrà presto partecipare agli studiosi altri frutti delle sue ricerche, sì come ce ne fu dato sentore. Emma Boghen Conigli ani. Storia della letteratura ilalia?ia ad uso delle RR. Scuole normali. Vol. Ili, in 16.°, Firenze, Bemporad, 1905. — Fare una storia letteraria per le scuole normali è assai più diffìcile che scriverne una per i licei dove la coltura dei giovani è assai più uniforme e dove certi fenomeni come l’umanesimo e il classicismo — 103 — possono essere , per la conoscenza del greco è del latino , meglio intesi e meglio valutati. Appunto perchè dell’insegnamento normale l’A. conosce le difficoltà, ha potuto fare un’ opera pratica e buona , evitando , quanto era possibile , le minute e accademiche indagini per tendere di continuo alla sintesi. Ed ottima idea è stata di servirsi, nel caratterizzare una data epoca o un determinato scrittore, delle parole de’ nostri sommi critici moderni come il De Sanctis, il Bonghi , il Bartoli , il Del Lungo , nomi pressoché ignoti alla massima parte dei giovani delle nostre scuole. E poiché i programmi di storia e di lettere non corrono paralleli nell’insegnamento normale, E. B. C. ha cercato che queste sintesi fossero, quanto più era possibile, comprensive e in apposite tavole ha diligentemente disposto con ragionevole corrispondenza lo svolgimento delle lettere con lo svolgimento dei fatti storici , artistici e scientifici. In tal modo e con ciò che è nel testo si viene a correggere, in parte, quel vizio che è ne programmi delle scuole nostre e che produce gravissimi danni, di dar solo importanza alla storia letteraria, e di non far conoscere, accanto ai nomi de’ grandi scrittori, quelli de’ grandi scienziati e de’ grandi artisti. Inutile parmi nella storia letteraria della signora Boghen — ed è il solo appunto che le faccio — la bibliografia che ha posto a piè dei capitoli, e per le persone a cui il libro deve servire, e perchè spesso tale bibliografia è incompleta e perchè vengono in essa citate opere di prima consultazione di cui è ovvio che, componendo i suoi volumi, l’A. siasi servita. (G. R.). Francesco Flamini. Varia; pagine di critica e d’arte. Livorno, Giusti , 1905 , in 8.° di pp. Χ~35°· — Col proposito di rendere popolari cognizioni di letteratura che oggi sono cibo soltanto di pochi iniziati, il F. riunisce in un volume articoli e discorsi che apparvero in varii tempi in fascicoli, ne La Nuova Antologia e nel Fanfilla della Domenica e li presenta alquanto mutati dalla prima lor forma. I primi quattro scritti formano quasi un ciclo: Dante e il dolce stile, Il trionfo di Beatrice, Il significato e il fine del poema sacro , Nel cielo di Ve-^ nere,'e contengono, il terzo in special modo, le medesime conclusioni dal F. già esposte nell’ opera I significati reconditi della Commedia di Dante e il suo fine supremo e universalmente note nel mondo degli studiosi. Erudizione profonda ed arte squisita che tale erudizione cerca nascondere e render gradevole è nel discorso Poesia di popolo nel buon tempo antico, e negli articoli Un virtuoso del quattrocento (Serafino de’ Ciminelli dell’Aquila) e Le lettere italiane in Francia 7iei secoli del Rinascimento, soggetto caro al Flamini, ove si parla a lungo di L Alamanni e di Nicolò Martelli. Seguono: G. Leopardi poeta, Commemorando N. Tommaseo , Vopera di G. Verdi , A. Graf e i suoi poemetti drammatici, Per il buono , In memoria di un filologo (Ferd Gnesotto) e U insegnamento scientifico della letteratura nazionale; nonostante il valore de’ quali scritti, parmi che negli altri citati i — 104 — antecedentemente sia la parte essenziale e la ragion principale del nuovo volume di F. Flamini. (R. G.). Giovanni Dolcetti. La fuga di Giacomo Casanova dai piombi di Venezia. Venezia , Fantini , 1905 , in 24.0 di pp. 16. — L’A. non ha voluto riprendere storicamente in esame il racconto di questa fuga celebre , intorno alla quale parecchi già scrissero sulla scorta di documenti; ma ha ricordato lo straordinario avvenimento in una narrazione semplice e geniale , dettata da chi ben conosce tutto quanto a quel fatto si riferisce, e si mostra ben addentro alla conoscenza dell’uomo, de’ tempi, dell’ ambiente. Alfredo Comandini. L}Italia nei cento anni del secolo XIXgiorno per giorno illustrata. Milano , Vallardi. — Con questo fase. 46 che abbiamo dinanzi siamo negli anni fortunosi del nostro risorgimento, 1847-48, e gli avvenimenti incalzano numerosi ed importanti L’A. con ottimo criterio ne rende conto largamente ; ed è naturale che si accresca il novero delle illustrazioni , sempre ben scelte ed appropriate da riuscire utile corredo alle diligenti effemeridi. Cristoforo Colombo nacque in Genova. Monografici di Francesco Podestà. Genova, tip. della Gioventù, 1905. in 8.° di pp. 8 con tre facsimili. — Questo opuscolo ha un intento divulgativo , e come oggi dicesi, popolare. Tutti coloro i quali non hanno tempo e modo di ricercare la ponderosa Raccolta Colombiana, di spogliare collezioni di giornali eruditi, o tener dietro a pubblicazioni straniere, possono da queste poche pagine rilevare la prova che Cristoforo Colombo deve esser nato a Genova. Dopo i documenti pubblicati dallo Staglieno e dall Assereto per i quali si viene a stabilire che la nascita dello scopritore si deve porre nel 145], e più precisamente fra il 25 agosto e il 31 ottobre, il rilievo del P. che cioè Domenico, padre a Cristoforo, doveva necessariamente trovarsi a Genova nei tredici mesi che corrono dall’ottobre 1450 al novembre 1451, perchè investito dell’ufficio di custode della Porta e Torre della Olivella , ci dà la migliore testimonianza (in difetto della fede di nascita o del certificato della levatrice) dell’ essere Colombo nato a Genova. Lo Staglieno era andato anche più oltre; poiché guidato dai documenti riteneva lo « stabile domicilio in Genova » di Domenico « dal 1429 al 1470 », giungendo alla stessa necessaria e logica conclusione. Il Vignaud , 1’ ultimo a nostra notizia che ha parlato della questione della nascita e del luogo , accetta e corrobora sì fatte conclusioni. I documenti dunque che si riferiscono al periodo sopra indicato , sebbene già editi nella Raccolta ricordata (Par. I, vol. II, p. 10-12), ora compariscono qui in forma spicciola in riproduzione fototipica per opera del P., e con questo o-puscolo, che ciascuno può avere facilmente sotto gli occhi, auguriamo, senza sperarlo , che sia chiusa la quistione divenuta parecchio bizantina. Dobbiamo in fine notare che l’atto 25 agosto 1479 non è rogato a Lisbona, ma a Genova, e che il documento 25 settembre 1451 non è « riferito » dallo Staglieno nel luogo indicato, ma solo citato a pa- V — 105 — gìna 8'del Giorn. Ligustico , a. 1903, e per errore tipografico colla data del 1452, ma poi esattamente prodotto per intero nella Raccolta Colombiana. SPIGOLATURE E NOTIZIE. *** Nel marzo del 1487, mentre era sempre accesa la guerra tra Genova e Firenze per l’acquisto di Sarzana, i genovesi assalirono il castello e la rocca di Sarzanello ; del primo s’impadronirono, e questa, difesa dai fiorentini, battevano virilmente. Lorenzo de Medici raccolse armati per soccorrere i suoi, deliberato a dar termine alla impresa di Sarzana. Furono richieste le bande assoldate di Galeotto Manfredi signore di Faenza, alleato di Firenze e condotto agli stipendi della repubblica. Ed egli, che aveva contribuito nel 1484 alla presa di Pietrasanta, questa volta si giustificava presso Lorenzo affinchè « non creda che sine legitima causa habia ritenuto li cavalli e fanti preparati per el bixogno là di Sarzanello »; e la legittima causa era la necessità di doversi ditendere dalle insidie del Bentivoglio, che d’accordo col Riario di Forlì, voleva impossessarsi del suo stato; al qual uopo a-spettava appunto che il Manfredi avesse spedito le apparecchiate soldatesche. Egli instava presso il Magnifico perchè s’interponesse a liberarlo da quel pericolo; allora « bisognando viria in persona con ogni mio sforzo », e « subito subito manderò la zente tutte parate ad talia » ( Galeotto Manfredi signore di Faenza, medaglione storico di Antonio Messeri, Faenza, 1904, pag. 46 sg. e 114, 118). Deve credersi tuttavia che, in seguito alle note pratiche di Lorenzo, sventata la congiura, ei mandasse poi la sua gente all’impresa, perchè il rapsoda che cantò la guerra di Sarzana scrisse: Di poi ancor con ogni diligenza La gente de’ Galleschi s’ ordinava, E comandossi al signor di Faenza Che la mandassi, e quel sì la mandava. E più innanzi indicando le diverse milizie accampate da una parte della città, soggiunge: E Faenzaschi v’erano a confino. (Cfr. La guerra di Sarzana, Sarzana, 1867, p. 10, 21). Il Boletin de la Reai Academia de la Historia di Madrid va pubblicando la Corrispondencia de la Infanti Archiduqnesa D.a Isa-bela Clara Eugenia de Austria con el duque de Lentia, la quale sposata all’Arciduca Alberto si condusse dalla Spagna nelle Fiandre. La prima lettera (toni. XLVII, p. 260 sg.) in data 20 giugno è scritta da Genova. Quivi, come è noto, gli sposi vennero ricevuti con grandi onori, ed andarono a stanza nel palazzo D’Oria a Fassolo (cfr. Merli-Belgrano, Il palazzo D’Oria in Atti Soc. Lig. St pat., vol. X , pa- — i oó — gina 95; Roccatagliata, Annali di Genova, Genova, 1873, p^g. 233 sg.). L’Arciduchessa dice fra l’altro: « estos dias han sido lantas las visitas , que no ha sido posible entender en otra cosa » ; della verità di queste parole fanno fede i Cerimoniali (Arch. di Stato, vol. I, pagina 221 sgg.) , dove le particolarità della dimora in Genova di que’ principi sono ampiamente descritte. *** Tommaso Casini pubblica le Fonti per la storia della Consulta di Lioìie (in Memorie della R. Accademia delle Scienze, Lettere ed Arti in Modena, Ser. Ili , vol. V) dove si leggono alcune corrispondenze del Commissario di governo in Massa (distretto delle Alpi A-puane, dipartimento del Crostolo) , Giacomo Ortalli , che riguardano l’elezione del rappresentante a quel consesso ; notevolissima una lettera del 22 dicembre 1801 indirizzata a Bonaparte, con la quale si rileva l’importanza del golfo di Spezia, e si propugna la sua unione alla Cisalpina (pag. 130 sgg.). A rappresentante venne nominato l’avv. Pez-zica, ma non avendo potuto recarsi a Lione per ragioni di salute , si fece il nome del Prof. Domenico Nardini , se non che la proposta giunta forse tardi non ebbe seguito (p. 206) ; egli è certo quell’abate massese di cui abbiamo a stampa un volume di Saggi poetici e lette-rarj (Massa, 1823). *** Il comm. Vittorio Poggi ha condotto a termine la classificazione e l’assetto definitivo del medagliere che la signora Maria Lamberti, interprete della volontà del defunto fratello suo Policarpo, donava alla città di Savona. Il Consiglio comunale non· poteva certo affidare il lavoro a persona meglio competente e perita; poiché il modo con cui egli ha ordinato la pregevole raccolta numismatica , sta a testimoniare una volta di più , se ve ne fosse bisogno , la dottrina dell’erudito ligure. Il medagliere consta di 3229 pezzi, 149 in oro, 2055 d'argento e 1025 di mistura e di bronzo. Questo materiale venne distribuito in tre gruppi principali : il primo per la numismatica italiana antica, medioevale, moderna, il secondo per le monete estere, il terzo per le medaglie tanto italiane che forestiere. Ogni gruppo venne scompartito in sezioni regionali. Le zecche di ogni sezione si seguono in ordine alfabetico. Le singole monete in ordine cronologico. La serie più insigne scientificamente e artisticamente è quella del r.° gruppo, cioè quella delle zecche italiane e tra queste la più ricca e la più ragguardevole per quantità ed importanza d'esemplari è la genovese. Speriamo di vederne pubblicato il catalogo. *** Allorquando il barone Pietro Custodi si proponeva di pubblicare la Biografia d’illustri o celebri italiani, e andava raccogliendo e ricercando notizie e materiali da ciò , richiedeva al professore Pietro Configliacchi, oltre a documenti intorno a diversi professori dell’ Università pavese, « i materiali per l’illustrazione de’ viaggi ne’ mari a-tlantici del cavaliere Malaspina di Fosdinovo (sic), nella supposizione che non sia quella già da voi stesso pubblicata , siccome ne avevate data lusinga, molti anni fa, in una vostra comunicazione all’ Istituto — 107 — Italiano. Io possiedo le così dette carte marine di quelle famose e misteriose peregrinazioni , le quali essendo in una crociera marittima cadute in potere de’ francesi, furono rese pubbliche dall’ ufficio topografico del ministero della Marina dell’ Impero ». E sette anni più tardi esprimeva allo stesso amico il desiderio di acquistare i manoscritti del Malaspina (Cfr. Bulletin Italien, T. V, p. 35r_352)· .*** Nella importante monografia di A. Giussani : Il forte di Luentes. Episodi e documenti di ima lotta secolare per il dominio della Vai-tellina (in Raccolta storica della Società storica per la Provincia e antica Diocesi di Como, vol. V) troviamo un cenno dell’acquisto del Finale da parte della Spagna; ed a corredo un documento tratto dall’archivio di Simancas, donde si desume che il castello venne occupato da don Diego Pimentel, nipote del conte di Fuentes il 20 gennaio 1602 (pag, 31). *Y Una Lettera di Vittorio Amedeo II per la guerra contro 1 Francesi nel 1704, scritta al Duca di Massa Carlo II Cybo, manda in luce Luigi Staffetti traendola dall’Archivio massese di Stato, e illustrandola convenientemente. È un monito in forma cortese, affinchè il duca non consentisse ai gallo-ispani il passaggio nel suo territorio come base di operazioni militari nella vai di Magra, dove essi intendevano (in Bollettino storico-bibliografico subalpino, X, pp. 182-184). *** Dal Supplemento alla Rivista delle biblioteche e degli archivi, A. II, n. 6-7, rileviamo la seguente notizia che riguarda un nostro ligure: « La Biblioteca Negroni ha avuto testé anche il pregevole dono di tutte le carte lasciate dal valente latinista e grecista Stefano Grosso che fu professore di letteratura greca e latina nel liceo Carlo Alberto di Novara e nel liceo Parini di_ Milano. Donatore è il distinto letterato e accademico della Crusca Giovanni Canna , professore nell U-niversità di Pavia , che fu intimo amico del prof. Grosso e dal quale ereditò i preziosi manoscritti. Questi consistono in lettere dirette da altri distinti letterati all’insigne grecista, ed in studi, commenti ecc. del Grosso stesso ». In una Profezia inedita della fine del quattrocento pubblicata ed illustrata da Andrea Benzoni (in Ateneo Veneto , A. XXVili, vol. II, pag. 161) si leggono questi versi a proposito di Genova: E tu che te delecti esser permossa continuamente da noveli spoxi, non è per remanerti apena Tossa. Farà vendetta Idio de tuo doloxi e scelerati zitadini. che fumo chaxon de far star grezi doloroxi ; Dapoi che un sacerdote non adorno ti torà chôme ducha il tuo texoro, spargerà il sangue tuto il santo giorno. Versi i quali si riferiscono al frequente mutar di Signore per le civili discordie; ed alle lotte fra l’arcivescovo Paolo da Campofregoso e Prospero Adorno: singolarissimo il riferimento della seconda terzina — ιο8 — che ricorda a nostro parere il passaggio de’ turchi per opera de’ genovesi, a danni della cristianità. *** Alessandro Colombo nella sua monografia riguardante L’ingresso di Francesco Sforza in Milano e l’inizio di un nuovo principato (in Arch. Slor. Lombardo, A. XXXII, vol. IV, pag. 64) dà ragguaglio di una convenzione del 31 marzo 1450 fra lo Sforza e Benedetto d’Oria, con la quale questi prometteva al Duca d'aiutarlo nell’acquisto di Genova; mentre il duca, ottenuto il suo intento, gli avrebbe concesso in feudo il vicariato della valle d’Arroscia con Pieve di Teco e Ranzo, oltre il capitanato della riviera occidentale da Noli, salvo Ven-timiglia, con altri cospicui compensi. Accenna quindi a trattati consimili fra lo Sforza e gli Adorni, e fra lui e i Fregoso. NECROLOGIE. G astavo Saige. Il mattino del giorno cinque dicembre si spegneva improvvisamente, per vizio cardiaco , 1’ illustre Gustavo Saige, il quale aveva speso un quarto di secolo nel culto severo della storia, specie in quello della Liguria occidentale : alle ore dieci pomeridiane del quattro, pieno di vita rientrava nel suo pacifico studio; sei ore dopo era già freddo cadavere; laonde si può dire, che egli non deponesse , ma vedesse cadere dalle irrigidite dita, la penna. Nato a Parigi il 20 agosto dell’ anno 1858 dall’ ingegnere Gio. Batta , dopo splendide pròve fatte negli studi secondarii , ammesso alla Scuola delle Carte , spiegava così aperta attitudine nella intrapresa carriera, che nel 1863 vedeva premiata di medaglia daU’Accademia delle iscrizioni e belle lettere la tesi di laurea, da .lui presentata col titolo : Le sigtiorie della Li7iguadocca. Si credette per un momento che la politica lo avrebbe attirato nella sua cerchia, trovandolo a quei giorni a-scritto al Gabinetto di Napoleone III, ma lo studio dell’antichità ebbe più forza sopra di lui e nel 1881 faceva venire in luce a Parigi Les Jouifs de Languedoc , dopo cui veniva nominato Archivista onorario. Fu in quel tempo che il Principe di Monaco Carlo III offriva al Saige la Direzione dell’Archivio di Stato , carica che egli accettò e provò ben tosto di meritare ; perchè non solo riuscì a rimediare a deplorevoli dispersioni, ma guidato da rigoroso processo metodico valse a rintracciare il filo di un grande labirinto di carte, ordinandole e classificandole di guisa, da poter rispondere alle esigenze degli studiosi, verso i quali, spoglio d’ ogni senso di gelosia, si mostrò generoso d ogni maniera di aiuti. In fatti dopo alcuni anni di assiduo e mal compreso lavoro , fu in grado di pubblicare in Monaco P anno 1888, il primo volume dei Documents historique relatifs à la Principauté de Monaco , formato in 4.0 di 906 pagine, nelle quali racchiuse racconto e documenti, che corrono dal 1412 al 1494: non tardò a se- — 109 ' guire il secondo, che va dal 1494 al 1540 e vide la luce nel 1890; andò compagno l’anno seguente il volume terzo , che tratta delle vicende avvenute dal 1540 al 1641, pubblicando così tale tesoro di notizie , che non avrebbe neppure sognato lo stesso Pietro Gioffredo. Perchè 1’ egregio Archivista pigliasse le mosse dal 1412 , anziché dalle origini, viene chiarito dal desiderio e dal debito gravissimo che egli aveva di risalire alle fonti , affine d'essere in grado di sfatare le non disinteressate menzogne del Venasque , autore della Genealogica et historica Grimaldae gentis arbor, stampata in Parigi l’anno 1647 e tosto rimunerata col nastro di cavaliere di S. Michele dal re Cristianissimo, intercedente il Principe Onorato II. Per verità come non sorridere a fior di labbra nel veder l’autore ad aver presti alle mani col Grimaldo figlio del carolingio Pepino, i Teodobaldo, gli Ugo, i Passano e così di seguito per giungere ad allacciarsi ai primi nomi storici dell’illustre Casato! Era quello il secolo dei Fanusio Campano e dei Ciccarelli , ma non tardò la ria merce ad essere fiutata dagli intelligenti , e giustamente fu menato lagno , che ad una corona d’ oro si fosse voluto associare un cerchio di oricalco. Fu tardo, ma fu completo e stringente il tessuto critico dal Saige elaborato , standone in prova il volume, or ora venuto in luce col titolo: Documents historiques antérieurs au quinzième siècle relatifs à la seigneurie de Monaco et à la Maison de Grimaldi, Tome I , collezione di ben 207 documenti, che incominciano colla leggenda di Santa Devota , cavata dal Barralis e che corrono fino all’anno 1269, prima di trovare i nomi dei Grimaldi, che erano al seguito del re Carlo I d’Angiò. Nomi che mentre si combaciano prontamente coi discendenti di Ottone Canella, fatti oggetto di lunghe ricerche non meno in Genova, che nella dotta Germania, metterebbero ora in un serio imbarazzo il cortigiano Venasque, se sopravvivesse. Alea jacta est e chi si farà editore di quanto il compianto Archivista lasciò in gran parte stampato, troverà che egli non poteva chiudere la carriera di storico con più coscienzioso monumento. La confidenza posta dal Principe Carlo III in Gustavo Saige, non venne meno sotto il figlio e successore Alberto I, che appassioato cultore degli studi, non solo accordò venisse a far parte della Collezione storica Grimaldina lo Chartier de VAbbaye de Saint Pons de Nice, lasciato in tronco dal Conte Cais, ma accennando egli, con fine accorgimento , all’ importanza dei numerosi feudi passati nei Grimaldi col-1’innesto dell’unica figlia del Principe Antonio, Luigia Ippolita col potente casato francese dei Matignon , bastò perchè 1’ operoso archivista desse opera a pubblicare altri quattro in 4.0, racchiudenti le carte della Seigneurie de Fontenay le Marmion , del Vi scontado di Cariai e del Trésor de chartes du Comté de Rethel, pubblicazioni, segnatamente quest’ ultima, che apersero al Saige le porte dell Istituto di Francia. Una rara dote che vuol essere a questo scrittore attribuita, si è quella di non essersi lasciato irrugginire lo stile dalla polvere degli archivi : basterebbero le sue belle introduzioni a rivelare non solo la - I IO — chiarezza e la precisione delle idee, ma Γ eleganza del dettato ; se pure non restasse prezioso vademecum, per chi desidera conoscere le vicende dell’ antico e storico Principato , il volume adorno d’ incisioni , edito dai tipi dell’ Hachette in Parigi nel 1897 , che porta in frontispizio: Monaco , ses origines et son histoire. Non potevano a tanto merito e a così rara operosità fallire premi condegni , quali furono 1’ ascrizione a storici e letterarii sodalizi e ’l conferimento di numerose decorazioni per parte del suo Principe , della Francia , della Spagna, del Portogallo e del Wurtemberg: decorazioni recate sopra un cuscino da un araldo nel giorno dei veramente solenni funerali. Al cadavere, esposto sotto le volte della superba cattedrale, testé eretta dal Lenormant , dava la assoluzione a capo del clero diocesano il vescovo De Curel : stava rappresentante di S. A. S. il Principe, il colonnello Conte di Christen : venivano dietro al carro funebre il genero Conte de Wissocq e la figlia e precedeva le autorità tutte e le numerose notabilità, S. E. il Governatore generale Conte de Ritt, il quale con facile ed elegante parola tesseva nn degno serto di lodi al trapassato: seguiva con serie di nobili ricordi l’egregio Archivista delle Alpi marittime, cav. Enrico Moris, nè ometteva di mandare l’estremo addio, l’amico Girolamo Rossi. Ippolito Gaetano Isola nacque a Genova il 4 giugno 1830 da Giuseppe valente e reputato pittore. Per desiderio del padre si laureò in giurisprudenza, ma non esercitò mai 1’ avvocatura, tratto com’ egli si sentiva a coltivare piuttosto gli studi letterari e filosofici. I suoi primi scritti comparvero nel giornale IL Michelangelo che si pubblicò a Genova dal febbraio all’agosto del 1856. Collaborò nella Gioventù e nel Borghini di Firenze; negli Opuscoli di Modena; nel Propugnatore di Bologna; nella Rassegna Nazionale di Firenze. Per ben tren-t’ anni impartì 1’ insegnamento di storia e geografia nella R. Scuola Normale femminile, mentre attendeva nel tempo stesso ad erudire i giovani negli istituti privati Danovaro e D’Aste, o in quello eh’ ei fondò e diresse parecchi anni. Dal Liceo Andrea D’ Oria , dove pur fu insegnante di storia, passò alla Civica Biblioteca in ufficio di vice bibliotecario, e ne tenne poi la direzione dopo la morte del Belgrano. Fu dottore aggregato alla Facoltà di filosofia e lettere dell’Università, Socio della R. Commissione pei testi di lingua, membro della Società Ligure di Storia patria; corrispondente della R. Deputazione di Storia patria di Torino, della R. Accademia delle scienze, lettere ed arti di Lucca, della R. Accademia Peloritana di Messina. Indichiamo qui una parte delle sue pubblicazioni, altre sono sparse ne’ giornali citati: Le lettere e le arti belle in Italia a' dì nostri. Genova, Schenone, 1864. I sofismi del Renan nella sua pretesa « Vita di Gesù ». Prato, Guasti, 1864. — Discorso di scienza politica. Modena , Soliani, 1866. — Ili - — Filosofia e filologia. Firenze, Galileiana, 1868. — Idiscorsi sull’unità della lingua. Firenze , Cellini, 1869. — Un po’ di critica al socialismo. Modena , Soliani, 1869. — I due usurai, novella. Genova, Schenone , 1870. — Il metodo: dialogo filosofico. Modena, Soliani, 1870. — La lingua comune, dialogo. Bologna, Fava e Garagnani, 1870. — Secondo dialogo filosofico. Modena, Gaddi , 1871. — Il pittore inglese, novella. Genova , Schenone , 1871. — Ai giovani italiani. Firenze , Cellini, 1871. — Sulla vita e sugli scritti di Mons. Giuseppe Buscarini vescovo di Borgo S. Donnino. Modena, Gaddi, 1873. Storia delle lingue e letterature romanze. Bologna, Romagnoli e Genova, Sordomuti, 1880-1905, voi. 3. — Un codice del sec. XIV contenente poesie e prose genovesi: notizie e saggi. Firenze , Cellini, 1882. — Il positivismo dì Augusto Còmte. Firenze, Cellini, 1887. — Prolusione alle conferenze sulla storia d’Italia dal 1815 al 1878. Genova, Schenone, 1890. — Commemorazione dt Cesare Cantii. Pistoia, Fiori, 1896. — Diario dei Jatti occorsi in Genova negli anni 1847-48 49. Genova, Carlini, 1902. — I parlari italici dell’antichità fino a noi. Li vorno, Giusti, 1903. Curò altresì la stampa dei seguenti testi : Visione dei gaudi de’ beati e de’ mali sopravvenuti al mondo: testo del buon secolo. Genova, Schenone, 1865. — Morali tratti da diversi santi, filosofi e poeti: testo del buon secolo. Genova , Schenone , 1865. La leggenda di S. Giorgio: testo del buon secolo. Genova , Schenone, 1867. — Due canzoni di Franco Sacchetti. Genova, Schenone, 1868. — Novella del conte Guglielmo di Nerbona e di Or abile, scritta nel secolo XIV. Bologna, Fava e Garagnani, 1869. — Epistola di S. Girolamo ad Eustochio: volgarizzamento antico. Bologna, Romagnoli, 1869. — La bella carbonaia, novella inedita del sec. XIV. Bologna, tip. Regia, 1872. — Leggenda di S. Tecla non mai stainpata. Bologna , Fava e Garagnani, 1873. - Storie Nerbonesi, romanzo cavalleresco del sec.XIV. Bologna, Romagnoli, 1877-87, voi. 3. — Narrazione dello stato della Repubblica di Genova, scrittura del sec. XVI. Genova, Schenone, 1881, — Storia di Rinovardo del Pine Ilo: testo inedito del sec. XIV. Genova, Sambolino, 1882. Notiamo infine la traduzione Della Costanza, libri due di Giusto Lipsio. Modena, Soliani, 1S79. - Stava rivedendo le bozze della sua Critica del Rinascimento, di cui è compiuta la stampa del primo volume, presso il Giusti di Livorno, quando caduto ammalato si spense agli 11 novembre 1905. Isa 1«1 a ssa re Avanzini moriva la sera dell’8 ottobre 1905 in Brianzola (Oggiono) , e la sua morte destava nel campo della stampa periodica un senso universale di sincero rimpianto. Tutti i fogli politici principali della penisola dedicarono alla memoria del brillante e fecondo giornalista commoventi necrologie. Era nato alla Spezia il 13 di marzo del 1837 da Niccolò e dalla signora Francesca Giustiniani ; e dall’atto di battesimo, che si conserva nell’archivio della par- - 112 - rocchia di S. Maria Assunta , risulta che gli furono dati i nomi di Giuseppe , Agostino , Baldassare , Paolo , Giovanni ; ma fu chiamato . sempre, tanto in famiglia come dai colleghi nel giornalismo , Bino, vezzeggiativo di Baldassare, ch’era stato il nome dell’avo materno. Compiuti in patria gli studi di filosofia, si addottorò poi in diritto; ma non esercitò la professione di avvocato , preferendo la carriera degli impieghi , e coprì uffici presso i Ministeri dell’ Interno e della Marina. L’indole sua lo trasse per altro ben presto da quella vita monotona per lanciarlo nel mare magnum del giornalismo, in cui doveva procacciarsi subito , mercè le sue doti particolari , un posto fra’ principi. Nel 1870 con De Renzis, Martini, Cesana, Ferrigni (Vorick), Piacentini ed altri, fondò in Firenze il Faufutla, giornale di parte moderata, che fa la palestra delle più vivaci politiche battaglie del nuovo regno. E degli articoli dell’Avanzini, che erano firmati E. Caro si ricorda ancora la nobile veemenza, lo spirito arguto e fine ch'erano la causa del loro successo. Nel giugno dell’anno stesso, ebbe, per generale consenso dei colleghi , la direzione del giornale. Nel quale , fra l’altro, egli scriveva i resoconti delle sedute parlamentari in forma così spigliata , salace e insieme tanto garbata , che Alessandro Manzoni, assiduo lettore di quei resoconti, volle tradurne uno in versi martelliani. Dal Fanfulla nacque il Fanfulla della Domenica, ebdomadario letterario , che vive tuttora , il primo nel suo genere in Italia, seguito in appresso da molti altri , che non hanno eguagliato mai nè l’importanza nè il successo de’ suoi primi anni di splendore. Il Tor7ieo ebbe tra i fondatori l’Avanzini insieme con un manipolo dei più autorevoli pubblicisti italiani ; il Popolo Romano e il Corriere della Sera lo ebbero tra i collaboratori; e l’Associazione della Stampa Italiana e la Ligure dei Giornalisti tra i primi soci fondatori. In questi ultimi dieci anni VA. s’era ritirato dalla palestra giornalistica ed era passato a dirigere l’Ufficio della Stampa presso la Ditta Ansaldo di Genova. Affetto da malattia di cuore , s’ era ultimamente ritirato in Brianza, dove ha finito la sua vita onesta e intemerata tra le braccia de’ suoi. Cenni necrologici, biografici, ed aneddotici di lui furono pubblicati in: Corriere della Sera (9 ottobre), Messaggero (9-10 ottobre di Luigi Cesana) , Caffaro (9 10 ottobre), Tribuna (9 ottobre), Secolo XIX (di L. A. Vassallo, 10 ottobre), Corriere della Spezia (14 ottobre), Il Lavoro gazz. di Spezia (14 ottobre) , Il Giornale d'Italia (9 ottobre), Rassegna Nazionale (di Jack la Bolina, 1 novembre, pag. 147 se£*)> Nuova Antologia (16 ottobre), Illustrazione Italiana (di Ugo Pesci, 22 ottobre), Il Marzocco (di Guido Biagi. 15 ottobre), ecc. m. Girolamo Kaffo nato a Genova il 29 novembre 1824 , mancò ai vivi il 28 novembre 1905. A diciasette anni entrò nella Compagnia di Gesù, e quivi compì il corso de’ suoi studi così felicemente, che ben presto fu chiamato a professare letteratura italiana, latina e greca; in se- — 113 — guito attese più specialmente alla filosofia ed alla teologia. Queste discipline egli insegnò in parecchi collegi del sodalizio così in Italia come nel Belgio. Si distinse in modo singolare nelPinsegnamento della teologia dogmatica, e il testo che va per le scuole sotto nome del suo confratello p. Schouppe vien ritenuto in gran parte opera di lui. Si piacque della poesia sacra ed abbiamo alle stampe il Canzoniere di S. Giuseppe, Genova, tip. Arcivescovile, 1888, in 16.0 di pp. 691; lascia medito il Canzoniere Mariano al quale lavorava d’ assai tempo. Pubblicò altresì la Vita di Eugenio Ricco della Compagnia di Gesù., Torino, Speirani, 1875 ; in 16.0 di pp. 230, e la Vita del serafico giovinetto S. Stanislao Kostkx novizio della Compagnia di G e sii y Genova, tip. Armanino, 1895, in 16.0 di pp. 150 fig. Giovanni Gin incili nato a Pontremoli nel 1834 dall’ avvocato Domenico, è morto il i.° ottobre 1905 in patria. Fece i primi studi nella città nativa, poi si recò all’ Università di Siena , donde passò a Parma, e finalmente a Torino. Laureato in giurisprudenza attese all’esercizio della avvocatura ; quindi giunti i nuovi tempi, venne eletto nella amministrazione comunale e v’ ebbe anco il supremo ufficio di sindaco. Del pari fu per molti anni consigliere provinciale e membro della deputazione. In tutte queste cariche portò il contributo del suo felice ingegno, e della bontà del suo carattere, ond’era universalmente amato. Ebbe da natura genio ben disposto alla poesia, e compose alcune tragedie e moltissimi sonetti. Pochi di questi videro la luce sparsamente, come certe altre satire occasionali non prive di aculei. Chè appunto nel genere giocoso e satirico si esercitò la sua musa. Amante dello studio s’ era formata una soda coltura sui classici, de’ quali soleva con felicità citare ed applicare le sentenze ed i motti. Severino Ferrari morto il 24 dicembre vuole essere ricordato in queste pagine perchè diede al Giornale Ligustico (a. XV, pp. 121 e 266), del quale il presente è continuazione, due scritti importanti : L’ incatenatura del Bianchino e Gabriello Chiabrera e « La Corona d’Apollo ». È noto poi come intorno al poeta Savonese egli avesse fatto larghi studi, per altre occupazioni intermessi; sì come ne porge buon documento, oltre alla citata scrittura, il suo ottimo studio bibliografico : Gabriello Chiabrera e le raccolte delle sue rime da lui me de simo ordinate, Faenza, Conti, iS88. Giorn. Si, e Leti, della Liguria. S — 114 — APPUNTI DI BIBLIOGRAFIA LIGURE. Bonomelli Geremia. Cristoforo Colombo (in Foghe autunnali, Milano, Cogliati, 1906). Boscaglia Domenico. La chiesa di S. Giacomo in Savona ed una lapide a Gabriello Chiabrera (in Arte e Storia , XXIV, pagine 152-154). Bruno A. L’antica via S. Giuliano al tempo di Cristoforo Colombo (in II Cittadino, Savona, 1905, n. 258). — Quistioni di storia e di archeologia (ivi, n. 266). — Testimonianze illustri intorno a Cristoforo Colombo (ivi, n. 267). — Un Colombo a Cogoleto (ivi, n. 268). Il cortile del palazzo Della Rovere e i diritti del Comune (ivi , n. 270). — Memorie Napoleoniche (ivi , 11. 271). — L’ isola Saona nel mare delle Antille (ivi, n. 273 e 275). Campora Bartolomeo. Capriata d’Orba. Un po’ d'antichità (in Rivista di Storia, arte, archeologia della prov. d'Alessandria, XVI, pagine 407-419 con tav.). Casazza Vittorio. Notizie storiche su l’Ospedale militare principale di Genova. Genova, tip. Gioventù, 1905, in 4.0 di pp. 23. Cerchiari G. Luigi. Il ponte dei suicidi (in II Secolo XX, A. IV, pp. 921-927, con fig.). È il ponte di Carignano a Genova. Colombo Cristoforo. Tre lettere autografe conservate nel Palazzo Municipale di Genova. Ricordo offerto dal Municipio di Genova ai Signori Membri del X Congresso Internazionale di Navigazione di Milano, nell’occasione della loro visita alla Città ed al Porto di Genova il 30 settembre 1905. Genova, Armanino, in fol, di pp. 16 n. n., con tre facsimili. Cer\^etto L. A. Feste nel Porto di Genova attraverso ai secoli (in Rivista Ligure, Settembre-Ottobre 1905, p. 273-324). Conio A. G. Nella Riviera ligure, Sanremo-Bordighera [versi] (in Domo-gymnasium, 1905. n. 10). Festa Cesare. La costituzione del Consorzio autonomo del Porto di Genova: illustrazione della legge 12 febbraio 1903. Genova, libreria Moderna (Castrocaro, tip. Moderna , 1905, in 16.0 di pp. 187). Fornaciari R. Ippolito Gaetano Isola (in Rassegna Nazionale, 15 die. 1905, pp. 702-709). Gênes et ses environs. Milan, G. Lampugnani (Bergamo, tip. Arti Grafiche), 1905, in 16.0 di pp. 62, tav. 2. Graziani Augusto. L’opera scientifica e pratica di Pellegrino Rossi. Torino, Bocca, 1905, in 18.0 di pp. 37. — 115 — Guiraud Giovanni. La Chiesa e le origini del rinascimento. Versione dal francese di V. Lusini. Siena, tip. S. Bernardino , 1905, in 8.° di pp. 244. [Contiene: Niccolò V e le arti — Niccolo V e l’umanesimo}. Hòrstel Wilhelm. Genueser Palaste (in Uber Land und Meer, Stuttgart, 1905, n. 29) con fig. Issel Arturo. Excursion géologique dans les environs de Gênes (in Atti Società Ligustica di Scienze Nazionali e Geografiche, 1905', settembre, p. 219-232). I. T. Il Cenobio e il Santuario di Finalpia (in II Cittadino , i9°5> n. 3°9> 317). Labò Mario. Il chiostro di Sant’Andrea in Genova (in L’Arte, 1905, luglio-agosto). Lazzoni Carlo. Carrara, le sue ville e le sue cave : guida storica, artistica , industriale illustrata, trasformata ed ampliata da Adolfo Lazzoni. Seconda edizione. Carrara, Sanguinetti, 1905, in 16.0 di pagine 296, con tav. Locatelli Carlo. Il 4 novembre 1605: memorie e documenti. Mi ano, Ghirlanda. 1905, in 4.0 di pp. 76. [Contiene fra l’altro: Epistolario di S. Carlo e S. Alessa?idro Sauli — Analogie tra S. Alessandro Sauli e S. Carlo Borromeo\ Malagoli A. Nino. Guida illustrata amministrativa commerciale-industriale di Carrara e Fosdinovo. Carrara, Coop. Lunense, 1905, in 16.0 di pp. 128 con fig. Marcel Gabriel. Christophe Colomb devant la critique. La jeunesse de l’amiral (in La Geographie, Bulletin de la Société de Geo-graphie, 1905, 15 septembre, pp. 149-162). Mazzini Ubaldo. Un pittore quasi ignoto del cinquecento. Antonio Carpenino (in Rassegna Nazionale, 16 novembre i9°5> PP· 310)· Medin Antonio. La visione Barbariga di Ventura da Malgrate. Poemetto storico-allegorico della fine del secolo XV. Venezia, Ferrari, 1905, in 8.° di pp. 16. (Estr. dagli Atti del R. Istituto Veneto di Se., Lett. ed Art., vol. LXIV). Meunier D. Paysage d’Italie. De Gênes à Pise (in Quinzaine , 1 octobre 1905). Mussi Luigi. I prelati nati a Massa di Lunigiana (in Rivista di scienze storiche, Pavia, A. II, pp. 260-62). - Cenni biografici sui prelati nati a Massa di Lunigiana. Massa, Medici, s. a., [i9°5]> m ι6>υ pp. 24. Munro A. O. Praktischer Fuhrer von Genua u. den Rivieren, Pisa, Livorno, u. eine Fahrt v. Genua nach Monte Carlo einbegriflen. Ver- — i ιό —r- . besserte Anfiage. Empoli, E. Traversari, 1905-1906, in 16.0 di pp. 179-Lxiiii , con tavola e fig. Navone C. Navoneide: due secoli di memorie famigliari ed intime. Genova, tip, della Gioventù, 1905, in 24.0 di pp. 134. Paladino Valentino. Memorie storiche del Santuario di N. S. del Deserto e cenni su Millesimo. 2.a ediz. Savona, Ricci, 1904, in 16.0 di pp. 604. Pedretti Luigi. Maria SS. e Cristoforo Colombo (in La squilla Mariana (di Recco), anno 1, 11. 1, die. 1905, pp, 3-6. — Maria SS. e i Genovesi (ivi pp. 10-12). Penzig Ottone. Commemorazione di Federico Delpino (in Atti Soc. Lig. di Scie?ize Naturali e Geografiche, 1905, Settembre, pagine 161-178). Persoglio L. Le vie di Genova (in Settimana Religiosa, 1905, num. 41, 42, 43, 44, 48; in continuazione). — Memorie storiche genovesi. Le figlie di Casa (ivi, 1905: num. 42, 43, 44, 45, 46, 48; in continuazione). Pica Vittorio. Il Museo Chiossone a Genova (in Emporutm, dicembre 1905, pag. 473 sgg. con 5 illustr.). Poggi Gaetano. Genova. XXVI secoli di storia. Empoli, tip. Traversari, 1905, in 8.° di pp. 128. Relazione finanziaria e morale sulla gestione del 1904 del R. Istituto Nazionale pei Sordomuti in Genova. Genova, tip. Sordomuti, I9°5I in fol. di pp. 29, con 8 tav. [Alla relazione seguono: La prima sede della.scuola pei sordomuti in Genova , e Un quadro dipinto da sordomuti del R. Istituto di Genova che si conserva nel re al palazzo di questa città con relative illustrazioni]. Repetto Davide. Il Porto di Genova: come fu, come è, come sarà (in II Secolo XX, n. 12, Dicembre 1905, p. 1004-1015). Roccatagliata-Ceccardi Ceccardo. Apua mater [sonetti]. Lucca, tip. Alberto Macchi, 1905, in 8.° di pp. 16-vn. Rossi Girolamo. Sopra un poemetto sul preteso diritto cosciatico. Lettera al barone D. Antonio Manno. Torino, Paravia, 1905, in 8.° gr. di pp. 11. Sanguineti L. R. La Basilica dei Fieschi (in Ebe, Chiavari, 1905, n. 14-15)· Staffetti Luigi. Lettera di Vittorio Amedeo II per la guerra contro i francesi nel 1704 [)n Bollettt?io storico-bibliografico subalpino X, pp. 182-184). È diretta a Carlo II Cybo duca di Massa. Storia (Breve) della Madonna miracolosa di Taggia, coll’aggiunta — i i 7 del regolamento e degli esercizi della pia associazione di preghiere al Cuore immacolato di Maria. Savona, Ricci, 1905 , in 24.0 di pp. 147* Strenna a benefizio del Pio Istituto dei Rachitici. 1906. A. XXIII. Genova, Montorfano, 1905, in 8.° di pp· 244, con figg. Svampa Domenico. S. Alessandro Sauli: panegirico recitato a Bologna nella chiesa di S. Antonio dei pp· barnabiti. Bologna, tip. Arcivescovile, 1905, in 8.° di pp. 20 con rit. e fig. Testi Michele. I Barnabiti si stabiliscono a Cremona sotto il generalato di S. Alessandro Sauli e gli auspicii di Nicolò Sfondrati vescovo, poi Papa Gregorio XIV. Milano, Cogliati, 1905, in 16.0 di pagine 24. Varaldo Ottavio. La vera «Amedeide » di G. Chiabrera (in Rivista d’Italia, novembre 1905, p. 749-769). Villa Umberto. La Casa di S. Giorgio: memorie e documenti. Genova, Stabilimento tip. del « Successo », 1905, in 16.0 di pp. 147, con fig. BIBLIOGRAFIA MAZZINIANA Supplemento (1). Andò A. Ezio. L’apostolo (in L’Unione Sarda, Cagliari, 1905, 24 giugno). Barrili A. G. La giovine Italia (in La Polemica, Genova, 1905, 29 giugno). Bastiani Attilio Urbano. Per G. Mazzini. Udine, Domenico Del Bianco, 1905, in 8.° di pp. 8. Berardi Cirillo. Per Giuseppe Mazzini, discorso. Ragusa, tip. Pic-citto e Antoci, 1905, in 16.0 di pp. 22. Bini-Cima G. Giuseppe Mazzini, Commemorazione pel primo centenario della nascita. Perugia, tip. G. Donnini, 1905, in 8.° di pp. 36. Bonetti Emiliano. Vedi : Mazzini (A). Calegari Ernesto. Vedi: Mikros. Carducci Giosuè. L’uomo (in VIndipendente di Savona, 1905, 24 giugno). Centenario (lì) di Giuseppe Mazzini (in Corriere della Sera , Milano, 1905, 22 giugno). Centenario (II) della nascita di Giuseppe Mazzini (in Fieramosca, Firenze, 1905, 22-23 giugno). (1) Cfr. Anno VI, pag. 467. — 118 — Centenario (Nel) di Giuseppe Mazzini nato a Genova nel 1805, morto a Pisa nel 1872 (in In Tramway, Milano, 1905, n. 79). Centenario (Nel i.°) del Maestro (in Lucifero, Ancona, 1905, 17-18 giugno). Centenario (Nel Primo) dalla nascita di Mazzini (in II Giornaletto, Venezia, 1905, 22 giugno). Centenario (Per il) di G. Mazzini (in La sentinella Brescianaì Bre scia, 1905, 22 giugno). Conio A. Giov. Il « Lorenzo Benoni » di G. Ruffini nella storia di Genova (in Domo-gymnasium, 1905, n. 9, 10). — La « Lilla » del « Lorenzo Benoni » di Giovanni Ruffini (ivi, n. 12). — Ruffini e Bian-cheri (ivi, n. 13). Davies D. P. Giuseppe Mazzini (in Review of Reviews, luglio 1905). 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Genova, Bacigalupi, 1905, in 8.° di pp. 47. Lucatelli Luigi. L’immortale (in La Patria, Roma, 1905, 22 giugno). Macaggi Giuseppe. Onori postumi (in L’Italia del Popolo , 1905, 3 giugno). — Dopo il centenario (ivi, 3 luglio). Malinverni Carlo. Guardando all’avvenire [versi], Genova , Stabilimento del « Successo », 1905 , in 8.° di pp. 115. _ Vi si legge : ————————————— — 119 — Maria Mazzini. — È uno che amerà il popolo. — Fantasio. — Giovine Italia. — Goffredo Mameli. — Momenti epici. — Memorie liguri. — Albaro. Mandalari M. Giuseppe Mazzini nelle lezioni di F. De Sanctis. Roma, Italia Moderna, 1905, in 16.0 di pp. 14. Marzo (io) 1872. Numero unico , XXII giugno MCMV. Genova, tip. Molinelli, 1905, in fol., pp. 8. Massuero Luigi. Il centenario della nascita di Giuseppe Mazzini (in Sentinella delle Alpi, Cuneo, 1905, 23 giugno). Mazzini [una poesia inglese] (in II Secolo, Milano 1905, 22 giugno). Mazzini, 22 giugno 1805-22 giugno 1905 (in La Giustizia, Reggio Emilia, 1905, 22 giugno). Mazzini (A), cantata per cori, in occasione del primo centenario della sua nascita: versi di Biante Montemioi (Emiliano Bonetti), musica di Luigi Montaldo, Genova, giugno 1905, in 8.° di pp. 12. Mazzini Gius. Rivendichiamo Mazzini: lettere autografe e documenti dell’apostolo a Gennaro Bovio. Napoli, E. Chiurazzi edit. (tip. di Federigo Sangiovanni), 1905, in 16.0 di pp. 37 con ritratto. — Lettere : alla Società operaia di Savona : alla Società dei carpentieri liguri (in \I Indipendente di Savona, 1905, 24 giugno). — Lettera inedita a Giuseppe Garibaldi, 11 febbraio 1870 (in La Polemica, 1905, 29 Giugno). — Una lettera inedita a Lamennais (in La Nazione , 1905, 22-23 giugno). Mazzoni Guido. Mazzini e Foscolo (in La Naziotie, Firenze, 1905, 22-23 giugno). Mikros (Calegari Ernesto). Scissure Mazziniane (in II Cittadino, 1905» 17 giugno). Minuti Luigi. La lettera di Mazzini a Bettino Ricasoli. — Come fu ricuperata la lettera (in La Nazione, Firenze 1905, 22-23 giugno). Minuti L. Vedi Giovannini. Momigliano Felice. La fede e l’incontentabilità deppostolo (in VItalia del Popolo, 1905, 23 giugno). Montaldo Luigi. Vedi: Mazzini (A). Montanari E. L’arte nell’idea mazziniana. Napoli, Pansini, 1905, in 16.0 di pp. 20. Morello Vincenzo (Raslignac). Mazzini (in La Tribuna, Roma, 1905, 23 giugno). Mormina Penna Francesco. Maestro (in l’Indipendente di Savona, 1905, 24 giugno). - 120 - Nemo. Memorie Mazziniane (in VEco d'Italia, i9°5> 27 giugno). O. R. Mazzini et le materialisme (in Le Courrier de Bruxelles, 21 luglio 1905). Pascoli Giovanni. A Mazzini nel dì secolare della sua nascita (in La Nazione, 1905, 22-23 giugno). Pensatore (II): Numero unico a Giuseppe Mazzini nella ricorrenza del primo centenario della nascita. Genova, tip. Molinelli , 1905 , in fol., di pp. 8. Pisa (A). Il soggiorno, la morte, le onoranze (in La Nazione, 1905, 22-23 giugno). Porro Francesco. Il pensiero religioso e politico di Mazzini e Tolstoi : conferenza (in II Napoli, Napoli, 1905, 24 giugno). Profeta (II) dell’unità (in La Nazione, Firenze, 1905, 22-23 giugno). Raqueni. Mazzini (in Nouvelle Revue, 15 luglio 1905). Rensi Giuseppe. Nel Centenario di Giuseppe Mazzini (in Avanti della Domenica, 1905, n. 25). Sommariva Angelo. Nel primo centenario della nascita di Giuseppe Mazzini, commemorazione letta agli alunni del R. Ginnasio in Albenga il XXII giugno MCMV. Recanati , tip. R. Simboli, 1905, in 8.° di pp. 26. Storace A. M. Giuseppe Mazzini (in Roma , Napoli , 1905 , 22 giugno). Thayer Roscoe William. Giuseppe Mazzini (in Nation , 22 giugno 1905). Tiberi Leop. Alla memoria di G. Mazzini, 22 giugno 1905 (discorsi). Perugia, tip. Umbra, 1905, in 16.0 di pp. 52. Torre Andrea. Mazzini (in II Giornale d’Italia, Roma, 1905, 23 giugno). Zacchetti Corrado. Gli ideali dì Giuseppe Mazzini: discorso tenuto nel teatro comunale di Assisi la sera del 26 giugno 1905, in 8.° di pp. 22. Giovanni Da Pozzo amministratore responsabile. PUBBLICAZIONI RICEVUTE XXX lettere inedite. Romanzieri. Statisti. Poeti. Soldati. Patriotti. Milano, Allegretti, 1905. Girolamo Rossi. Sopra un poemetto sul preteso diritto cosciatico. Lettera al barone A. Manno. Torino, Paravia, 1905. Piero Sturlese. Eroine del mare. Discorso pronunziato nella inaugurazione di una lapide commemorativa delle sorelle Maria e Caterina Avegno in S. Fruttuoso Capo di monte Po?tofino. Recco, Nicolosio, 1905. Antonio Pilot. Contro D. Pedro di Toledo. Firenze , 1905. — Due documenti vernacoli in proposito della Lega tra Venezia e i Grigioni nel 1603. Bell inzona, Colombi v 1905. — Contro gli astrologhi ed indovini. Capodistria, Cobol e Priora, 1905. — Figlia mia fate monica. Arezzo, Sinatti, 1905. Gio. Lupi D’Aste. Brevi considerazioni sul Crocifisso dipinto da Guglielmo nel 1138. Sarzana, Tip. Lunense, 1905. Amy A. Bernardy. Cesare Borgia e la Repubblica di S. Marino (1300-1304). Firenze, Lumachi (Tip. Galileiana), 1905. Amedeo Pellegrini. Per la guerra dei sette anni, lettere dal campo 1756-1764. Lucca, (Monteleone, Raho), 1905. Francesco Flamini. Avviamento allo studio della Divina Commedia. Livorno, Giusti, 1906. Antonio Medin. La Visione Barbariga di Ventura da Malgrate. Venezia, Ferrari, 1905. Giuseppe Mazzini. Commemorazione detta il XXII giugno MCMV nel teatro Carlo Felice dall’ avvocato Angelo Graffagni Deputato al Parlame7ito. Genova, Bacigalupi, 1905. Giuseppe Biadego. Un cremonese maestro a Verona (Bartolomeo Borfoni). Verona, Franchini, 1905. — Ingresso in Milano di Cristiana di Danimarca sposa del Duca Francesco Maria Sforza (.1534). Ivi, 1905. Cesare Musatti. I numeri della tombola a Firenze (Costumi popolari). Venezia, Pellizzato, 1905. Paolo Barsanti. Il pubblico insegnamento in Lucca dal secolo XIV alla fine del secolo XVIII. Lucca, Marchi, 1905. G. Roiìerti. Il centenario di un viaggio trionfale. Roma , Ripamonti-Co-lombo, 1905. Achille Pellizzari. Il Dittamondo e la Divina Commedia. Pisa, Mariotti , 1905. Per it primo centenario della morte di Edoardo Calvo. Spigolature dì due amici del dialetto e delle memorie Torinesi. Torino, Bocca, 1905. Fortunato Rizzi. Le commedie osservate di Giovan Maria Cecclii e la commedia classica del secolo XVI. Rocca S. Casciano, Cappelli, 1904. Carlo Sforza. Un missionario e sinologo piemontese in Cina nel secolo XVII. Torino, Paravia, 1905. AVVERTENZE 1) Il giornale si pubblica di regola in fascicoli trimestrali di 120 pagine ciascuno. 2) Per ciò che riguarda la Direzione rivolgersi in Genova al Prof. Achille Neri - Corso Mentana, 43-12. 3) Per quanto concerne l’Amministrazione, esclusivamente all’Am- ministrazione del periodico - Spezia. 4) Il prezzo d’associazione per lo Stato è di L. 10 annue. — Per l’estero franchi 11. AI SIGNORI COLLABORATORI La Direzione concede ai propri collaboratori 25 copie di estratti dei loro scritti originali. Coloro che ne desiderassero un maggiore numero di copie, potranno rivolgersi alla Tipografia della Gioventù - Via Corsica N. 2 (Genova) che ha fissato i prezzi seguenti : Da i a 8 pagine Da 1 a 16 pagine Copie 50.....L. 6 Copie 50.....L. 10 » 100.....» 10 » 100.....» J5 » 100 successive » 6 » 100 successive . » 8 In questi prezzi si comprendono le spese della copertina colorata e della legatura, nonché di porto a domicilio degli Autori. Prezzo del presente fascicolo L. j Giornale storico e letterario della T ΪΓΤΤηΐ Λ diretto da ACHILLE NERI * * * l-jl VJtLJ ΙνΙΛ e da UBALDO MAZZINI * * + pubblicato sotto gli auspici della Società Ligure di Storia Patria 1906 Aprile-Maggio Giugno SOMMARIO. G. Sforza: Contributo alla vita di Giovanni Fantoni, pag. 121. —A. Massa: Documenti e notizie per la storia dell’ istruzione a Genova, pag. 169. — A. Pel-lizzari : Un asceta del rinascimento, pag. 206. —VARIETÀ: L. Mussi: Il tentato assassinio della principessa Brigida Spinola Cybo, pag. 216. — A. Pesce : Restauro alla porta delle Fontane Marose, pag. 219. — BOLLETTINO BIBLIOGRAFICO : Vi si parla di: Freeman (G. Bigoni) pag. 220. — ANNUNZI ANALITICI: Vi si parla di: F. Medici, G. C. Buraggi, A. Solerti, G. Dolcetti, F. Rizzi, A. D’ Ancona, C. Musatti, A. A. Bernardy, pag. 230. — SPIGOLATURE E NOTIZIE, pag. 231. — NECROLOGIA, pag. 236. - APPUNTI DI BIBLIOGRAFIA LIGURE, pag. 238. ANNO VII Fascicolo 4-5-6 direzione Genova - Corso Mentana 43-12 LA SPEZIA Società d’Incoraggiamento editrice Tip. della Gioventù amministrazione La Spezia - Amministrazione del Giornale — 121 - CONTRIBUTO ALLA VITA DI GIOVANNI FANTONI (LABINDO) A GIOSUÈ CARDUCCI. L’Italia aspetta da te la compiuta biografia di Labindo. I tocchi che già desti alla tela, e che ritraggono così al vivo e con tanta verità l'immagine del Poeta, ne accrescono il desiderio. Lo togliesti all’ oblio ingeneroso e Γ hai reso alla fama. La Lunigiana, per bocca mia, f esprime là sua ri-conoscenza e il suo amore. Vivi lunghi e lunghi anni a gloria della patria e dell’ arte. Il tuo amico Giovanni Sforza. I. GLI ANTENATI E I FRATELLI DI LABINDO. Il conte Agostino Fantoni afferma che lo zio Labindo « nacque in Fivizzano il 27 gennaio 1755 » e che fu battezzato il giorno seguente. Ebbe realmente il battesimo il 28. Sta lì a farne fede il registro parrocchiale segnato D. 4, dove a c. 73 si legge: Die 28 ianuarj dicti [1755] — Baptizatus fuit a me Praeposito Leonardo Querni filius natus ex Domino Comite Lodovico Antonio Fan-toni et Domina Marchionissa Anna De Sylva, coniugibus, cui impositum fuit nomen Ioannes Nçpumocenus Celsus Caietanus. Padrinus fuit Adm. Rev.us Dominus Petrus de Rubeis. Don Pietro Rossi era il cappellano della famiglia. Per altro , da’ ricordi domestici, lasciati dal padre, risulta che venne battezzato il giorno stesso in cui nacque. La data Ciorn. St. c Leti, della Liguria. 9 - 12 2 - vera dunque è il 28 di g*ennaio, non il 27, come, per una svista, asserisce il nepote. Il padre voleva imporgli i nomi di Giovanni, Nepumoceno , Saverio, Marcello, Francesco, Gaetano, nè si sa poi capire come quelli di Saverio, Marcello, Francesco non li avesse, e invece gli fosse aggiunto il nome di Celso. De’ cinque maschi che Anna De Silva partorì al conte Lodovico Antonio era questo il quarto. Il primo fu Luigi, nato il 19 marzo del 1749 e battezzato il 25. Ebbe per compare Giuseppe Malaspina Marchese di Olivola ; per comare Vittoria del marchese Giorgio Olivazzi di Alessandria, moglie di Cornelio Malaspina Marchese di Licciana. Il secondo, Odoardo , venne al mondo il 19 e ricevette il battesimo il 21 aprile del 1752. 11 terzo, un altro Giovanni, vide la luce il 15 ottobre del 1753; tenuto al battesimo il giorno appresso da Pietro Pavesi di Pontremoli co’ nomi di Giovanni, Saverio, Marcello, Pietro, Gaetano, morì nelle fasce (1). Quando il padre, nato a Fivizzano il 3 settembre del 1716 dal conte Terenzio e dalla contessa Lucrezia Pandol-fìni, tolse in moglie, il 13 giugno del 1748, Donna Anna di Odoardo De Silva Marchese della Banditella , in quel tempo Commissario ordinatore degli eserciti e piazze di Sua Maestà Cattolica e Regio Ministro di essa e del Re delle Due Sicilie in Toscana , le Muse non mancarono di festeggiare la giovane coppia (2). La famiglia De Silva, che portava anche il cognome de’ Pinto , originaria della Spagna, era da quasi un secolo trapiantata in Italia. O-doardo, padre della sposa, nato a Livorno, e màrito della torinese Donna Anna Violante Scozia de’ conti di Pino, nasceva da Don Emmanuel e da Teresa Grunenberg. L’avo, di nome Odoardo anch’ esso, ebbe per fratello Don Pietro, il quale nel 1658 venne dal Re di Portogallo nominato suo Agente a Livorno; e il figlio di lui, chiamato pure Odoardo, sposò Chiara Farsetti di Massa ; e delle due femmine che gli partorì, Isabella Felice fu moglie del cav. Giuseppe Cattani; Angela Maria del cav. Camillo Cec-copieri, massesi entrambi (3). — 123 — Donna Anna, madre di Labindo, ebbe per fratello Don Andrea, aiutante generale di Vittorio Amedeo III, Re di Sardegna ; per cugini, il canonico Don Giovanni De Silva, monaco roccettino e tra gli arcadi Ramisso Dipeo , alla pari di Labindo grande amico di Antonio Di Gennaro, Duca di Beiforte e Cantalupo (4) ; e Don Giuseppe De Silva , al quale il poeta indirizzò una delle sue odi, ma poi, per « disparità d’opinioni e dissapori », la ruppe con lui, che « in alcune critiche circostanze sembrò dimenticare Γ amicizia e la parentela » (5). Originaria di Firenze e patrizia fiorentina è la famiglia de’ Fantoni, la quale dette alla Repubblica tre Priori: Antonio nel 1454, Bernardo nel 1474, Fantone nel 1519. Giovanni , figlio di quest’ ultimo , andò in Lunigiana e prese stabile dimora a Fivizzano (terra allora soggetta a’ Fiorentini e rimasta unita al Granducato di Toscana fino al 1847), dove si ammogliò nel 1534. Accennando a’ propri maggiori, Labindo cantava: da vetusto stipite Nella vicina Etruria La Gloria mi creò. Illustre sangue scorremi (6) Entro le vene al cor; Nè ignote agli avi egregi Furo le vie che guidano Al tempio dellOnor (7). Il 27 settembre del 1613 mancò ai vivi Terenzio di Antonio Fantoni, lasciando incinta la moglie, Bianca Dianora Zaniali di Spicciano, la quale il 22 di quello stesso mese partorì un figlio, che portò il nome del padre. Laureatosi in legge nello Studio di Pisa, il giovane Terenzio, nel 1648, dal Granduca Ferdinando III fu chiamato a presiedere il Magistrato supremo, detto allora de’ Buoni uomini ; nel ’58 lo nominò auditore generale delle Bande di Pisa e della Lunigiana; nel ’66 gli diede un seggio nel Consiglio dei Dugento. Dal Granduca Cosimo III venne eletto uno de’ Nove Conservatori del Dominio Fiorentino. Il suo fratello maggiore, Giovanni, fin dal 1631, nel re- — 124 — carsi per mare a Napoli, era caduto in mano de’ barbareschi e viveva schiavo del pascià di Rodi. Terenzio tentò ogni mezzo per liberarlo , ma senza frutto. Nel ’45 facendosi in Toscana una levata d’ armati per frenare le scorrerie di que’ ladroni, messosi a capo d’ una schiera di coraggiosi, s’offrì pronto a correre il mare, nella speranza di salvare il fratello. Il Granduca, commosso a tanta prova d’amore, cambiò Giovanni con Mustafà Isaim di Scio; un ragguardevole prigione turco, che era stato preso dalle galere toscane. Amò con vivo affetto il suo nativo Fivizzano, dove nel ’7o eresse una scuola per le ragazze povere ; aprì senza ritegno la borsa quando sulla piazza pubblica a vantaggio degli abitanti fu eretta la bella fontana che prese il nome di Marterrea (8); difese le immunità e i privilegi del Comune (9), al quale fu largo sempre del consiglio e del-1’ opera sua. Nel ’73 stampò un discorso per dimostrare che a’ rei non era da darsi il giuramento (10). De’ primi a trattar la questione , ebbe il vanto di raggiungere l’intento. Infatti nel medesimo anno venne vietato in Toscana ai tribunali di costringere i colpevoli a giurare nelle cause penali. Afferma il Gerini che « scrisse parimente contro l’inumana tortura, che degradava 1’ autorità de’ giudizi, e molte allegazioni e consigli, che furono stampati a Pisa » (11). Il suo lavoro sulla tortura non mi venne fatto di trovarlo, e non ve n’ è traccia neanche nell’ archivio e nella libreria de’ Fantoni, che tante cose manoscritte conservano di lui; ma 1’ autorità del Gerini, fivizzanese, trattandosi d’ un fìvizza-nese ha il suo peso. Già maturo d’anni si ammogliò con Cornelia di Scipione Borni, famiglia assai ragguardevole di Fivizzano, e de’ figli che n’ebbe, i due maggiori, nel 1678, indirizzavano questa supplica a Cosimo III de’ Medici : SER.mo Granduca, Antonio e Lodovico fratelli e figliuoli del D. Terenzio Fantoni, umilissimi servi e vassalli di V. A. S., desiderando di terminare i loro studi legali et incamina si a Roma alla pratica, per rendersi mag'gior- mente abili al Suo Reai servizio, e mancandogli qualche poco di tempo al prescritto dagli Statuti, per non essere stati cinque anni in Pisa, devotamente supplicano la sua somma bontà a permettergli che si possano addottorare, non ostante, che per tal grazia, etc. Il Granduca, il 26 di marzo, accordò la grazia desiderata, avendo inteso dal Provveditore dello Studio di Pisa, che i supplicanti erano figli di « un causidico di molto valore » e « ben noto » al Principe; e che « havendo studiato sotto il predetto lor padre 1’Instituta, et habilitatisi nello studio et esercizio legale, hanno potuto nel solo biennio, che sono stati in Pisa, rendersi capaci della laurea dottorale » (12). Lodovico, nato il 13 giugno del 1659, abbracciò la carriera diplomatica. Fu ciamberlano e consigliere di Stato de’ Duchi di Mantova e di Guastalla; consigliere di Stato di Giovanni Guglielmo Conte Palatino del Reno, uno degli Elettori dell’ Impero. Andò ministro plenipotenziario di Livio Odescalchi, Duca di Sirmio, alla corte di Leopoldo I imperatore. Vi tornò per conto di Ferdinando Carlo Gonzaga, Duca di Mantova; del quale fu poi oratore a Parigi e presso Filippo V Re delle Spagne. Inviato dal Duca di Guastalla, Vincenzo Gonzaga, a Giuseppe Re de’ Romani, all’Imperator Carlo VI, ai Re di Polonia e di Prussia, trattò i suoi negozi al congresso d’Utrecht, a Rastadt e a Baden. Trattò quelli degli Elettori dell’ Impero presso la Regina Anna di Gran Brettagna e presso la Confederazione del Belgio. Mancò ai vivi in Firenze il 9 decembre del 1725. La moglie, Agnese Pasqualigo Basadonna , nobile veneziana, gli fece scolpire un busto e l’allogò presso la sua sepoltura nella chiesa di Badia a Firenze, nella prima cappella a sinistra di chi entra (13), con sotto una lunga iscrizione latina, che ne compendia la vita operosa (14). Oltre Antonio, ebbe anche per fratello Giambattista, nato a Fivizzano il 24 giugno del 1678; al quale fu maestro nella lingua latina Lorenzo Adriani di Lucca, scolaro del celebre Pietro Adriano Van den Broeck; e la studiò con tale profitto da scriverla « elegantemente e pulitamente ». A Pisa, dove si laureò in legge, non avendo più che sedici anni, il 3 giugno del 1694, da’ professori « venne - I 2 6 — stimato e ammirato come un prodigio della sua età », Non sentendo inclinazione alcuna a esercitare la giurisprudenza, si consacrò alle lettere , prediligendo la poesia. Per testimonianza di Salvino Salvini, che gli fu amico e ne scrisse per due volte la vita (15), « piacevagli sopra ogni altro poeta toscano il Chiabrera, e nella lirica poesia l’andò felicemente imitando, come si può vedere nelle molte canzoni anacreontiche che ne conservano i suoi eredi » (16). Era versato nella storia universale ; delle genealogie de Principi poi « così tenacemente n’ avea fatta nella sua mente conserva, che spesse volte, anco ne’ famigliari discorsi, se ne faceva onore ». In Firenze appartenne all’Accademia degli Apatisti, e «l’anno dell’età suo diciottesimo » ne fu Reggente. Vi lesse « molte delle sue composizioni, sì in prosa, come in verso », che gli meritaron le lodi di Anton Maria Salvini ; vi « orò anche pubblicamente per la promozione alla sacra porpora del dottissimo cardinale Enrico Noris », apatista egli pure. Il 30 aprile del 1699 venne a-scritto all’Arcadia col nome di Elcindo Azonio. In quel tempo dimorava a Roma, « ove conobbe Benedetto Men-zini e familiarmente seco in virtuosa amicizia conversò ». L’Accademia Fiorentina lo scelse per suo Console ; succedette a Pier Andrea Forzoni Accolti; ebbe per consiglieri Marcantonio de’ Mozzi e Salvino Salvini, per censore l’abate Giambattista Casotti. La canzone che scrisse e stampò « in occasione della partenza dalla Corte di Toscana d’Arrigo Newton , inviato straordinario della Regina d’Inghilterra », piacque a’ contemporanei per lo stile « ornato e florido » ; come piacquero per « la purità e bellezza del suo comporre in latino » 1’ epigramma che dettò « in lode di quel dottissimo personaggio » e la lettera con la quale gli accompagnò le Memorie a stampa dell’Accademia Fiorentina e il catalogo manoscritto de’ suoi consoli. Per opera del fratello Lodovico, « restò decorato da Ferdinando Carlo Duca di Mantova del titolo di conte e di nobile mantovano e monferrino, insieme con tutti i suoi fratelli e discendenti ; e da Federigo Augusto Re di Polonia ebbe il carattere di suo cameriere della chiave d’oro; il che seguì — 127 — l’anno 17io ». Assalito da « precipitosa infermità», passò di vita il 17 febbraio del 1714, scorsi di poco quarant’anni. Ma un ben altro poeta doveva dare all’ Italia la famiglia Fantoni ! Nello studio della lingua latina, Labindo, per testimonianza del nepote, nel Collegio Nazzareno di Roma fu « di gran lunga superato dal fratello primogenito »; lo stesso fratello Odoardo, « non tanto per la sua condotta, quanto per il progresso nelle scuole », lasciò in quel Collegio « maggior lode » e « migliori speranze di sè ai maestri e condiscepoli » ; speranze che poi restaron deluse, avendo affatto abbandonato gli studi, dopo il ritorno al nativo Fi-vizzanò, dove morì il 20 gennaio del 1813, menando vita quieta e casalinga (17). Labindo gli intitolava l'ode « per il ritorno dall’Europa in Filadelfia di Beniamino Franklin dopo la pace del MDCCLXXXIII », che è l’ottava del libro IV. Luigi, invece , serbò agli studi classici un culto d’ amore per tutta la vita. Compose versi in italiano e in latino (18); e in latino dettò varie iscrizioni, notevoli per la eleganza della forma (19). Prese a illustrare la storia della regione nativa con tesserne un compendio, che inserì nelle sue Effemeridi biennali d’Aronte Lunese, 0 sia doppio lunario storico , economico e letterario della Lunigiana per gli anni 1779 e ijSo, con molte notizie utili e dilettevoli per ogni ceto di persone e specialmente per tutti 1 capi di famiglia (20), così giudicate da uno de’ giornali letterari d allora: « Non dee considerarsi questo come un semplice Lunario, ma bensì come una fedele e diligente relazione della Lunigiana , non solo quanto all antica storia, ma ancora quanto alla presente politica, e di più quanto allo stato suo attuale, sì fìsico, che economico , in tutti gli aspetti. Il signor conte Luigi Fantoni, accademico georgofilo (21), che n’è l’autore, ha dato una bella prova d’amor patriottico ed un esempio degno d’ essere imitato in ciascuna provincia della Toscana dagli zelanti cittadini, com’ egli si è dimostrato. Egli ha divìsa la storia della Lunigiana in due parti, una riguardante la storia universale di tutta la provincia dagli antichi Liguri ed Etruschi fino a’ moderni tempi (22); l’altra spettante alla storia particolare del dominio Fiorentino in essa provincia. Quanto alle notizie fìsiche ed economiche , egli le ha divise in tre principali capi , restringendole solo , per ora, al territorio Fivizzanese. Il primo di essi capi dichiara la costituzione naturale del paese e tratta delle arti madri e produttive ; il secondo delle arti della classe sterile.; il terzo del commercio. A queste tre principali classi sono stati da lui ordinati tutti gli ogg'etti più utili alla sua patria, secondo le loro rispettive denominazioni. Non vi è cosa che riguardi il vantaggio della civil società che non sia da lui ben ponderata : parla spassionatamente e con libertà filosofica di quel che gli sembra da correggersi e da migliorarsi ; suggerisce nuovi utili · stabilimenti ; corregge i pregiudizi e sparge molti lumi in tutte le materie eh’ ei tratta » (23). Per uno scherzo , chiuse le sue Efemeridi con la Patente, che Don Lunardo Battilana dava, a nome dell’Accademia de’ Lunatici, « a tutti quelli che se ne vogliono servire ». A Pontremoli (altra grossa terra della Lunigiana, che per gare di campanile non aveva buon sangue con Fivizzano) fu presa male e gli venne risposto con una Notificazione di Lunardo Girandola, plenipotenziario della Congregazione de’ Lunatici, con la quale veniva bollata come insulsa la Patente, dando del « sognatore » ad Aronte Lunese , pseudonimo preso dal Fan-toni (24). Coltivò con molta passione 1’ agronomia e la fece progredire nelle sue vaste terre del Fivizzanese. Vissuto in tempi procellosi, finì col ripararsi da’ civili trambusti nella dolce solitudine degli ameni colli di Noletta, dove cessò di vivere 1’8 giugno del 1808 (25). Ammogliatosi con Maddalena Morelli (26) , ebbe Agostino il 14 agosto del 1777, al quale Labindo pose tenerissimo affetto. Nell’ode XXIII del libro I canta di lui : E tu, ingegnoso fanciulletto, esamina Gl’ignoti accenti, e addestrati Gl’ impeti primi a secondar deiranima. — 129 — Gl’indirizzò l’ode XX del libro II, che incomincia : Biondo garzon, dei teneri Miei paterni pensieri amabil cura, Che di tre lustri veneri La pietade, le leggi e la natura: Fuggi la schiatta ignobile, Cui l’alma vile un folle orgoglio ingombra, Nè creder d’ esser nobile Dell’ altrui merto e de’ tuoi padri all’ ombra. E finisce: Libero vivi: nomini Te più saggio di lor l’itala istoria, E all’amico degli uomini Nelle più tarde età plauda la gloria. Ma, se ai dolenti fremiti Di natura il tuo cor non si riscote, Se sprezzi e preci e gemiti, Vanne lungi da me; non ho nipote. Ah no...... P ingenua faccia Bagni di pianto, e a me rivolgi il piede ! Vieni fra queste braccia....... Esultate, infelici ; ecco il mio erede. Nel 1811 venne nominato Maire del paese nativo, che allora faceva parte dell’Impero francese, e aggregato al Dipartimento degli Appennini , aveva Chiavari per capoluogo. Quando la fortuna di Napoleone incominciò a pericolare e gli Austriaci scorrazzavano minacciosi per la Lunigiana, difese a viso aperto il Governo imperiale a Fiviz-zano (27). Rimase alla testa del Comune anche dopo che le Potenze alleate se ne furono impadronite il 24 marzo del ’14. Seppe tutelare l’ordine contro la coalizione de’ campagnoli ; andò a Livorno a complimentare il Bentinck e a chiedergli restituisse a Fivizzano le franchigie delle quali lo avevano spogliato i Francesi ; insieme col cav. Giambattista Agostini Trombetti si recò a Firenze nel ’ 15, oratore del paese suo presso il restaurato Granduca Ferdinando III. Per due volte, il 7 e il 10 maggio del ’ió, ebbe ospite nel proprio palazzo Francesco IV Duca di Modena; tornò ad avercelo nel giugno del ’ 18, in compagnia di Vittorio Ema- — 130 — nuele I, Re di Sardegna ; e da tutti venne ammirata la maniera signorile con la quale seppe fare gli onori di Fivizzano e della casa (28). Per il Governo toscano , prima fu Commissario Regio a Portoferraio , poi Commissario Regio, a Pistoia. Al pari del padre amò l’agronomia;, e le sue terre destavano l’ammirazione per la bravura con la quale le faceva coltivare ; ideando , consigliando , dirigendo da per sè ogni nuovo esperimento voluto dal progredire della scienza. Prese a descrivere anche le pratiche agrarie di tutta la Lunigiana; lavoro che è a rimpiangere non abbia veduto la luce (29). Tolse moglie due volte: la seconda fu Maria Teresa Spinola (30). Morì a Fivizzano il 14 febbraio del 1847. Legò il proprio nome a quello dello zio, raccogliendone amorosamente le opere, con largo corredo di note illustrative e osservazioni sui vari metri adoperati da lui (31). Le stampò a proprie spese in Firenze, co’ torchi di Guglielmo Piatti ; accompagnandole con le Memorie della vita del Poeta , scritte senza che 1’ affetto mai gli facesse velo al vero, e con tanta pienezza di particolari, da restare anche adesso la fonte migliore e maggiore (32). Non è da far colpa al biografo se della parte presa da Labindo ne’ ri-volgimenti politici della fine del secolo XVIII, o tocca di sfuggita, o tace i fatti che offrono più interesse e importanza. Il Poeta nel 1796 vagheggiò l’Italia libera e forte, padrona di sè e de’ propri destini. Era un sogno allora, per quanto fosse un sogno nobile, bello, generosissimo; e tutto pieno di quel sogno, lo propugnò animosamente a Reggio, a Modena, a Milano, a Venezia, a Torino. Non fu inteso ; anzi venne fatto segno agli scherni, alle calunnie, alle persecuzioni. Tirò innanzi, alzando più che mai fiera e coraggiosa la voce ; e da’ repubblicani di Francia , che di liberatori avevano soltanto la maschera, fu messo in prigione a Modena, a Milano, a Torino, senza che lo pigliasse lo sgomento o lo sopraffacesse la paura; indomito sempre, sempre fedele all’ideale suo d’una patria grande e libera. Questi ricordi, nel 1823 , non si potevano rievocare neppure nel Granducato di Toscana , per quanto fosse il governo più — 131 — tollerante e mite d’ allora. Sta qui la scusa e la giustificazione del nepote, forzato dalla necessità de’ tempi a sopprimere tanta e così bella parte della vita di Labindo. È quella che piglio a illustrare, insieme con pochi altri episodi di essa, o mal noti, o affatto sconosciuti. (1) E nelle fasce morì Emanuele-Francesco-Giovanni-Nepumoceno-Gae-tano , battezzato il 20 maggio 1756. I libri parrocchiali di Fivizzano registrano anche una figlia di Lodovico Antonio e di Anna Fantoni, nè mancano d'indicarne i padrini, non però il nome. Il Proposto la qualificava soltanto N. N. La cosa è evidente. Per trascuraggine non la notò subito nel libro parrocchiale , e quando prese la penna, scordatosi il nome, senza darsi altra briga, corse a quel meschino ripiego. (2) Componimenti poetici per le faustissime nozze dell’illustrissimo Signore Conte Lodovico Antonio Fantoni, patrizio fiorentino, con la nobile donzella donna Anna dell’Illustriss. Sig. Marchese della Banditella Don Odoardo De Silva Commissario ordinatore degli Eserciti e Piazze di Sua Maestà Cattolica, suo Regio Ministro e del Re delle Due Sicilie in Toscana, In Pisa, per Gio. Domenico Carotti, stampatore Arcivescovile, senza anno; in 8.° di pp. 28. (3) Albero della casa Pinto de Sylva, stabilita in Massa, ms. presso di me. (4) Lo ricorda nella strofa 8a dell’ ode XIII del libro II e nella prima delle Notti. (5) È l’ode 5a del libro III, da lui composta nel 1799, che poi intitolò a Glauco Masi, stampatore livornese. (6) Prima scrisse: Ghibellin sangue scorrerai A richiamar sollecito L’ire tacenti al cor. (7) Poesie, (edizione curata dal nepote) ; II, 278 e 315. (8) Mar terrea , superbissima fonte, eretta in Fivizzano sotto la dire-zione dell’Ill™ Sig. Maestro di Campo Alfonso Maria Bracciolini, Go-vernatore di esso, Prosopopea lirica del cav. Gio. Battista Andriani del-l’Ordine di S. Stefano, In Parma, per Galeazzo Rosati, 1682; in 4.0 di pp. 8. (9) Difesa della immunità della insigne Terra dì Fivizzano e de’ suoi privilegi, Firenze, alla Condotta, 1684; in 4.0. (10) Legalis discursus pro veritate Terentii Fantoni, I. U. D. Assessoris Eminentiss. et Rever.mi D. Card. Ner Hi Archiep. Florentini, ac Militiarum Legionum Provinciae Lunigianae Sere?iiss. Magni Ducis Aetr. Auditoris, pro tuitione animarum fidelium adversus iuramentum quo u-tuntur Indices criminales in examinandis reis, Florentiae, typis Francisci Onofrii, 1679; in 4.0 di pp. 48. (11) Gerini E. Memorie storiche d’illustri scrittori e dì uomini insigni dell’antica e moderna Lunigiana; II, 163-165. (12) R. Archivio di Stato in Pisa. Università. Dottorati, filza 1, c. 561. (13) Afferma G. B. Uccelli {Della Badia Fiorentina, ragionamento — 132 — storico, Firenze, tip. Calasanziana, 1858 ; p. 80) che dove è oggi il monumento di Lodovico, prima si leggeva questa iscrizione: fantonorvm — Q. TERENTII FILII OLIM ANTONINI CIVIS FLORENTINI — S. HOC FANTONORVM — FAMILIAE IPSORVM — AN. DOMINI MDCIII - TERENTIVS I. V. D. REST. F. — ET AN. MDCLXI — R. D. IOANNES PROTONOT. APOSTOLICVS — ORNAND. CVR. (14) Lodovico comiti fantonio nobili florentino i. v. consvltis- SIMO — CVI OB ANIMI SOLERTIAM HONORIS STVDIVM ET PRVDENTIAE SCIEN-TIARVM A LIVIO ODESCALCO — SYRMII POSTMODVM A FERDINANDO CAROLO MANTVAE DVCIBVS AD LEOPOLDVM IMPERATOREM — ET AB HOC VLTIMO LV-TETIAE PARISIORVM ET AD PHILIPPVM V REGEM HISPANIARVM —A VINCENTIO DVCE GVASTALLAE AD IOSEPHVM REGEM ROMAN.' AD CAROLVM VI IMPER : — AD CONGRESSVS VLTRAIECTI ET BADAE ERGOVIAE AD REGES POLONIAE ET BORVSSIAE — CVNCTISQVE S. R. I. ELECTORES AD ANNAM MAGNIAE BRITANNIAE REGINAM — ET AD GENERALES FOEDERATI BELGII ORDINES LEGATIONIS ET PLENI POTENTIAE — IVRIBVS GRAVISSIMIS ARDVA DEMANDATA PROVINCIA — ET A PRAEDICTIS MANTVAE ET GVASTALLAE DVCIBVS A CVBICVLIS ET AB IPSIS — ATQVE AB IOANNE GVILLELMO COMITE PALATINO RHENI S. R. I. ELECTORE — A CONSILIIS STATVS ADSCITO — SIC TOTIVS GERMAN. HfSPAN. GALL. BRITANN. POLONIAE BELGII ET ITALIAE — ITINERIBVS FELICITER ABSOLVTlS — LONGE ET PROPE ETRVRIAE SVIS PRINCIPIBVS APPRIME CARO — AETATIS AN. LXV. Μ. V. D. XXVII. IN PATRIA V. ID. DECEMBRIS VITA FVNCTO — AGNES PASQVALIGO BASADONNA NOBILIS VENETA — CONIVX MOE-STISSIMA VIRO SVO BENEMERENTISSIMO — GRATI ANIMI ET AMORIS MONV-MENTVM P. C. A. S. MDCCXXV. (15) II-Salvini ne scrisse la vita, prima ne’ Fasti consolari dell’Accademia Fiorentina, Firenze, per Gio. Gaetano Tartini e Sante Franchi, 1717, pp. 656-660; poi nelle Notizie istoriche degli Arcadi morti, tom. Ili (Roma, De’ Rossi, 1721), pp. 106-108. Per testimonianza del Salvini stesso, parla « con molta lode » del Fantoni il P. Alessandro Puliti nel suo libro De patria in testamentis condendis potestate ; e Gio. Mario Crescimbeni « ne pianse la morte nella ristampa del tomo I della Storia della volgar poesia, lodandolo d’avere egli egregiamente esercitata non meno la detta volgar poesia che la latina ». (16) Il Salvini scrive così ne’ Fasti consolari dell’Accademia Fiorentina. Nelle Notizie istoriche degli Arcadi morti aggiunge: « In varie raccolte, fatte per occasioni particolari, si leggono con soddisfazione alcuni de’ suoi poetici componimenti toscani; molti de’ quali si conservano manoscritti nella Strozziana e fra questi alcune gentilissime anacreontiche ». (17) Odjardo, insieme con Angiolo Battaglia di Fivizzano, che « pjsse-deva un genio straordinario per la musica », si dilettava « d’andare a sonare il flauto sopra certe balze della valle del Rosaro, che ne ripercuotevano il suono ». Labindo ne fa ricordo nell’ode XXIII del libro primo co’ versi : dall’argute canne Desta fiato soave industre Titiro, E tu dell’eco imitator, deh vanne Su quella balza Coridon col flauto. Cfr. Poesie; I, 58 e 308. (18) A p. 9 delle Poesie nelle faustissime nozze de* nobili signori Bar- — *33 — tolomeo Giacomini di Porrata ed Anna Eleonora Sproni di Livorno, [Livorno] Nella Stamperia di Giov. Vincenzo Falorni, con approvazione, 1792; in 4.0, si legge un Sonetto alt’ornatissimo Sposo, del conte Luigi Fantoni fra gli Arcadi di Roma, e a p. 10 un Epigramma eiusdem Aloysii comitis Fantoni. Ha pure alle stampe: Il Baciamano, ode del conte Luigi Fantoni; in 4.0 di pp. Vili, senza anno e date tipografiche. È però del 1771, come si rileva da una nota. (19) Nel Supplemento alla Gazzetta Toscana, n.° 2 del di 8 gennaio 1791, si leggono le iscrizioni latine che dettò in onore del Granduca di Toscana Pietro Leopoldo quando fu eletto imperatore. Erano state affisse « alla porta grande » di Fivizzano ne’ giorni 10-12 decembre 1790, e al dire della Gazzetta anche « distribuite in stampa » ; ma dove venissero stampate lo ignoro, non essendomi mai venute alle mani. Compose pure dieci iscrizioni latine per festeggiare la salita al trono del Granduca Ferdinando III. Le Novelle letterarie pubblicate in Firenze l’anno MDCCXCI riportano nelle colonne 245-248 la prima, « come istorica di un sì fausto avvenimento », e la seconda, « contenente un’affettuosissima acclamazione ». (20) In Livorno, 1779. Nella stamperia di Gio. Falorni. Con approvazione; in 8.° di pp. 152, oltre 4 in fine senza numerazione. Fu in grandissima parte ristampato a pp. 7-207 deWAronte Lunese, illustrato da Michele Angeli di Mazzola, dottore in medicina, Pisa, tipografia Prosperi, 1835, in 16.°. (21) Anche nell’ iscrizione sepolcrale, dettata dal figlio Agostino, è detto « fra i Georgofili accademico operoso ». Non si legge però il suo nome nell’elenco de’ soci compilato da Marco Tabarrini. Cfr. Degli studi e delle vicende della R. Accademia dei Georgofili nel primo secolo di sua esistenza, sommario storico, Firenze, coi tipi di M. Cellini, 1856; in 8.° (22) Alcuni errori ne’ quali cadde trattando della parte antica furono notati dall’avv. Paolo Pisani di Sarzana nelle sue Osservazioni o sia lettera critica-apologetico-istorica di un anonimo sulla Lunigiana, di cui trattano due opuscoli ultimamente usciti alla luce, Parma, per li fratelli Borsi, 1780; in 12.°. (23) Novelle letterarie pubblicate in Firenze l’anno MDCCLXXIX; cc. 428-430. (24) È in fol. volante e senza note tipografiche ; fu però stampata a Massa co’ torchi del Frediani nel 1779. (25) Il figlio Agostino nel 1842 fece murare un’epigrafe sulla tomba paterna e dettò un’elegia, rimasta inedita. Cfr. Alla tomba di mio padre, e-legia in occasione di apporvi l’iscrizione sepolcrale nella cappella della villa di Noletta; ms. in 4.0 di pp. 4, presso gli eredi. (26) Per consolare il fratello, addolorato dalla morte del marchese Agostino Grimaldi Della Pietra di Genova, suo cognato, avvenuta nel 1782, Labindo compose l’ode IV del libro IV, che incomincia: Musa , lacero il crin, sciolta la vesta ; da lui poi rimaneggiata nel 1796, quando invece la intitolò a Bartolommeo Boccardi di Genova, in morte di Bianca, sua madre. (27) Nel n.° 12 [28 febbraio 1814] del Giornale degli Appe?i7iini si legge: « Debbonsi segnalare il zelo e la fermezza del Maire di Fivizzano, che rifiutò al nemico l’ingresso nella sua Comune. La nobiltà della sua risposta merita che ella sia fatta palese. — << Sig. Comandante. Delle forze francesi — 134 — > hanno battuto i Tedeschi che erano a Pontremoli. Qui abbiamo sedici » gendarmi. Il dovere c’impone di non cedere se non nel caso di forza mag-» giore, e che le circostanze, o un ordine superiore ce lo imponga. Ho l’o-» nore di salutarvi. Il Maire Fantoni ». — Il sig. Fantoni si è sempre fatto distinguere colla saviezza della sua amministrazione ; in quest’ultime circostanze le misure ch’egli ha prese per mantenere la tranquillità nel Cantone di Fivizzano hanno provato che il suo zelo pareggia il suo attaccamento ai suoi amministrati ed al Governo ». (28) Adami-Tenderini M. F. Cronaca di Fivizzano dal 1799 al iSjj, Lucca, tip. del Serchio, 1880; pp. 14. 17-21 e 24. (29) L’ 11 ottobre del 1839 alla sezione di agronomia e tecnologia del primo Congresso degli scienziati italiani, che fu tenuto in Pisa, il marchese Antonio Mazzarosa proponeva « la compilazione di un Dizionario della pratica agraria di ogni terra d’Italia ». Il 17 settembre del 1841 Pavv. Vincenzo Salvagnoli annunziava nel Congresso di Firenze che il Mazzarosa a-veva compilata « un’opera relativa all’agricoltura del Ducato di Lucca » e aggiungeva: « il conte Agostino Fantoni ha compilato un simile lavoro per tutta la Lunigiana ». Cfr. Atti della terza, riunione degli scienziati italiani tenuta a Firenze nel 1841, Firenze, coi tipi della Galileiana, 1841; p. 19. (30) Ebbe quattro figli, due maschi: Paolo e Luigi; due femmine: Egle e Isabella. Paolo andò volontario alla guerra del '48 e per il « virile contegno tenuto in faccia al nemico » a Curtatone, « durante tutto il tempo del combattimento e della ritirata », meritò una « menzione onorevole » dal Granduca Leopoldo II e dal Re Carlo Alberto. Fu deputato di Fivizzano (che allora faceva collegio a sè con Tresana e Mulazzo) nel primo Parlamento d’Italia. Consacrò l’intiera sua vita al bene della famiglia, al sollievo de’ poveri,’ all’affetto de’ parenti e degli amici. Come scrisse la Gazzetta d’Italia il 29 maggio del 1874, « a Fivizzano, dove ebbe fertili e deliziosi possedimenti, intraprese grandi lavorazioni negli anni meno prosperi, più per vantaggio altrui, dando lavoro, che nel proprio interesse ». Mori il 24 maggio del 1874. Delle sorelle, 1’Egle, la minore, nata nel 1813 , sposò Giovanni Bracciolini di Pistoia; Isabella, la maggiore , nata il 24 maggio dell’ 11, corse rischio di maritarsi col poeta Giuseppe Giusti. Cfr. Epistolario edito e inedito di Giuseppe Giusti, raccolto, ordinato e annotato da Ferdinando Martini; III, 401-403. Il disegno, vagheggiato dal padre del Giusti, nè sgradito a quello di lei, andò a monte, e l’isabella prese per marito il conte Francesco Caimi della Bettola in Lunigiana. Visse a Parma e fu grande maitresse della Duchessa Luisa Maria di Borbone. Pigliò parte non piccola alla congiura tramata in corte per fare interdire Carlo III, pazzo, cattivo, scialacquatore ; ve la spinse la stessa Duchessa, fatta segno agli oltraggi di quel dissoluto. Sventata, la Caimi ebbe lo sfratto dalla reggia; vi tornò dopo la morte del Duca, ma senza trovare nell’ingrata principessa, divenuta Reggente, il vecchio amore e la vecchia confidenza. Finì col ritirarsi nella sua villa di Felino, sempre pronta, sempre ingegnosa nello spendere tutta sè stessa per alleviare le sofferenze altrui. A Parma molti de’ compromessi e de’ condannati politici dovettero la propria salvezza, o l’addolcimento delle loro pene, all’ intercessione di lei, buona di cuore, colta, gentile. Morì a Firenze il 17 agosto pel 1856, vittima della miliare, ma più delle amarezze e de’ disinganni patiti alla corte de’ Borboni. — !35 — Cfr* Della Rosa G. Alcune pagine di storia parmense ; II, 43_5°î IH 252-258. (31) Il prof. Angelo Solerti [Le odi di Giovanni Fantoni (Labindo), con prefazione e note, Torino, Triverio, 1887] afferma che le Opere del poeta ebbero « per editori Agostino Fantoni, nipote di Labindo, e Agostino Bar-toli, amico ». Il Bartoli, padre di Adolfo, che poi aprf in Fivizzano una stamperia, fu un agiato possidente, ma non un letterato, sebbene avesse qualche cultura, e non si occupò per nulla di quell’edizione, fatta [esclusivamente da Agostino Fantoni, che si valse dell'aiuto di Girolamo’ Gar-giolli, allora giovanissimo, nel trascrivere e collazionare gli autografi, e soprattutto nello smercio dell’opera, della quale finì con esser quasi il commesso viaggiatore. Il Gargiolli ha poi anche un’altra benemerenza: « quell’edizione deve propriamente alle sue cure e alla sua ardita insistenza se potè uscire di sotto le forbici censorie senza indiscrete castrature >/. Cfr. Saltini G. E. Elogio di Girolamo Gargiolli, Firenze, Le Monnier, 1870; p. 9. (32) Memorie istoriche sulla vita di Giovanni Fantoni cognominato Labindo: nelle Poesie di Giovanni Fantoni fra gli Arcadi Labindo, Italia, [Firenze, Guglielmo Piatti], 1823; tom. Ili, pp. 223-316. [Di queste Memorie furono tirati alcuni esemplari a parte, oggi divenuti rarissimi. Il prof. Guido Mazzoni ritiene che siano state scritte da Girolamo Gargiolli «sulle notizie dategli da Agostino Fantoni ». Cfr. Rivista critica della letteratura italiana, ann. IV, n.° 3, marzo 1887, p. 66. Son proprio uscite dalla penna d’Agostino, e il Gargiolli non ci mise le mani : basta confrontarle con le prime scritture sue, dettate con tanta proprietà e tanto garbo, per convincersene.] Intorno alla vita e alle opere di Labindo si consultino gli scritti seguenti : Canti funebri su la tomba di Labindo, Napoli, senza nome di stampatore, 1808 ; in 8.° di pp. 44. [Son preceduti da questa dedica: Al. filosofo, della, virtù — al. eh. consiglier. Delfico — i. canti, funebri — su. la. tomba, di. Labindo — alcuni, alunni — delle, muse, napoletane — consacrano. All’Epistola dedicatoria di P. B. (pp. 5-10) segue un Poemetto del M. di C. (pp. n-19), poi VII odi, II sonetti e II canzonette di vari autori, che tutti si sottoscrivono con le sole iniziali. — In morte di Labindo scrisse un’elegia Francesco Benedetti e la indirizzò a Salomone Fiorentino. Cfr. Opere di Francesco Benedetti , pubblicate da F. S. Orlandini , Firenze, Le Monnier, 1858, vol. II, pp. 331-334]. — Bertolotti (Davide). Notizie intorno alla vita e alle opere del conte Giovanni Fantoni; nelle Poesie del conte G. F. fra gli arcadi Labindo, Milano, per Giovanni Silvestri, MDCCCXXIII, pp. VII-X. [Dichiara: « queste poche, ma esatte notizie, per noi raccolte con incredibile fatica e n.ercè di lungo commercio di lettere, sono le prime che pubblicate vengano intorno a questo gentile poeta ».] — [Fantoni (Agostino)]. Osservazioni sui metri oraziani delle Odi di Labindo; nelle Poesie di G. F.fra gli arcadi Labindo, Italia, 1823; tom. I, pp. 255-295. — All’ornatissimo Sig. M..... autore dell’articolo intorno alle Poesie di Labindo ; in Antologia, di Firenze, tom. XVII, n. XLIX, pp. 64-101. [Lettera del-l’A(vvocato) G(iovanni) C(astinelli) di Pisa, scritta da Livorno il 15 novembre 1824. Il Sig. M. è Giuseppe Montani, che nello stesso periodico, tom. XV, n.° XXXIV, pp. 1-43, aveva giudicato con ingiusta severità le opere di Labindo]. _ Costa (Paolo). Intorno alle poesie di Giovanni Fanto?ii detto Labindo, ragionamento ; in Giornale Arcadico di scie?ize, lettere ed arti tom. XXVIII [1825], pp. 380-399. — Osservazioni sulla lirica di Labindo; — 136 — iiel Nuovo giornale de’ letterati, di Pisa, toni. X [1825] , pp. 89-113. [Sono firmate P.J. — Gerini (Emanuele). Di Giovanni Fantoni poeta e scrittore; in Memorie storiche d’ illustri scrittori e d* uomini insigni· dell'antica e mode?'na JLunigiana, per Γ abate E. G. da Fivizzano , socio cor?-isponde7ite di va?-ie Accademie, in otto libri disposte ; vol. II [Massa, per Luigi Frediani, tipografo ducale, 1829], pp. 187-192. — Mauri (A-chille). Giovanni Fantoni; in P?Ose e Poesie scelte di Giuseppe Pari?ii — Agostino Pa?'adisi — Luigi Ceretti — Teodoro Villa — Giovanni Fantoni — Luigi Lamberti — Ugo Foscolo , Milano, per Nicolò Bettoni e comp , 1833 » PP· XX-XXIL [Breve cenno , ma notevole perchè mette in evidenza la vita politica del Fantoni e ne giudica con serenità grande gli scritti] — Ticozzi (Stefano). Fantoni Giovanni detto Labindo; in / secoli della letteratura italiana dopo il suo risorgimento, commentario di Giambattista Corniani, continuato fino all’età presente da Stefano Ti-cozzi, tom. II, part. Ili, Milano, coi tipi di Vine. Ferrario, MDCCCXXXIV, PP- 534-536. — CiAMPOLiNi (Luigi). Fantoni Giovanni, tra gli Arcadi Labindo; nella Biografia degli italiani illustri nelle scienze , lettere ed arti del secolo XVIII e dei contemporanei, compilata da lette?'ati italiani di ogni p?-ovi?icia e pubblicata per cura del prof. Emilio De Tipaldo; vol. I [r^34] > PP· 234-238. — Fantoni Giovanni ; in Nuovo dizionario storico, ovvero biografia classica universale , nella quale sono registrati per ordine alfabetico i nomi degli uomini celebri d’ ogni nazione dal principio del mondo i?ifino a noi, e si narrano in compendio i fatti principali della lor vita; compilazione di una. società di dotti francesi, pubblicata nel 1830. Prima versione italiana con aggiu?ite; vol. II [Torino , presso Giuseppe Pomba, 1835], pp. 394-395. [Una delle aggiunte è la biografia del Fantoni, notevole per l’accenno alla sua vita politica]. — Ciampolini (Luigi). Della vita e delle opere di Giovanni Fantoni cognominato Lab indo ; in Prose e poesie di Luigi Ciampolini. Edizione terza, con giu?ite e correzioni, Firenze, appresso S. Ricordi e G. Piatti, 1840; tom. I, pp. 181-192. [Questa nuova biografia è in gran parte diversa dalla vecchia, già ricordata]. — Bellini (Filippo). Alcuni cenni intorno alla vita ed alle opere del conte Giovanni Fantoni appellato fra gli Arcadi Labindo Arsinoetico, Parma, dalla tipografia Ferrari, 1844; in 8.° di pp. 34. — Thouar (Pietro). Giovanni Fantoni e il suo calzolaio; nelle Letture per la gioventù, compilate da R. Lambruschini e dai suoi amici e cooperatori, nuova serie, vol. II, (anno IX della collezione), Firenze, 1845, pp. 49-57; e ne’ Raccoyiti di Pietro Thouar, Firenze, Felice Paggi, 1867, pp. 175-184. — Ambrosoli (Francesco). Giovamii Fan-toni; nel Manuale della letteratura italiana compilato da Francesco Ambrosoli. Seconda edizione ricorretta ed accresciuta dall’ autore; vol. Ili, [Firenze, Barbèra, 1864], pp. 383-384. [Si ricrede dell’acerbo e ingiusto giudizio che aveva dato del Fantoni nella Biblioteca italiana di Milano, tom. XXXVIII, pp. 23-36 e 331-352; il qual giudizio, da lui ritoccato nella forma, non nella sostanza, venne riprodotto a p. 35 e sgg. del vol. I de’ suoi Scritti letterari editi e inediti, Firenze, Civelli, 1871]. — Carducci (Giosuè). La lirica classica nella seconda metà del secolo XVIII; ne’ Lirici del secolo XVIII a cura di G. Carducci — Savio li, A. Paradisi, Cerreta, Rezzo-nico, Cassoli, Mazza, Fantoni, Lamberti, G. Paradisi, Firenze, G. Barbèra, editore, 1871, pp. Y-CXXXIX. [Tratta del Fantoni a pp. CIV-CXXXVII. Finisce con dire : « Dal 1790 la sua poesia rialzò il tono, e una W' - — — 137 — vita nuova cominciò per lui. Lasciamolo qui dove 1’ uomo vecchio finisce : lo ritroveremo poi fra i Poeti della repubblica cisalpina e italica, un altro volumetto che verrà dietro a questo ». Non ha però mai veduto la luce]. — Franchi (Italo). Labindo; nella Domenica letteraria, di Roma , anno II, n-°39> 3° settembre 1883. [Sotto il nome d’ Italo Franchi si nasconde il noto giornalista toscano Enrico Valtancoli da Montazio]. — Neri (Benedetto). Della vita e delle poesie di Giovanni Fantoni; in Poesie scelte di G. F. , Torino, tipografia· e libreria Salesiana, 1883; pp. 5-31. — Intra (G. Β.). La traduzione dell’Fneide di Clemente Bondi giudicata da Giovanni Fantoni (da lettere inedite), nota; in R. Istituto Lombardo di scienze e lettere. Rendiconti; serie II, vol. XIX [1886], pp. 130-141. — Mazzoni (Guido). Imitatori di Labindo: in Vita nuova, periodico settimanale di letteratura, di arte e di filosofia, ann. I, n.° 14, Firenze, 21 aprile 1889, pp. 1-2. [Ricorda e riporta brani di poesie dell’ab. Cesare Montalti, di Giovanni Rosini , di Bernardo Maria Calura, d’Ignazio Vignola, del canonico Gaetano Baluffi e di Antonio Bianchi]. — Solerti (Angelo). La poesia barbara di Labi?ido; in Le odi di Giovanni Fantoni (Labindo) , con prefazione e note di Angelo Solerti, Torino, Casa editrice Carlo Triverio, 1887, pp. XLIX-LXXV. — Carducci (Giosuè). A proposito di una recente edizione delle Odi di Giovanni Fantoni; nella Nuova Antologia, ann. XXIII, serie III, vol. XIII, della raccolta vol. XCVII, 1898, pp. 53-59. — Carducci (Giosuè). Un giacobino in formazione [antecedenti]/ nella Nuova Antologia, ann. XXIV, serie III, vol. XIX, della raccolta voi. CHI, pp. 5-20. [Tratta del Fantoni dalla sua nascita fino al 1789]. — Frateili (Gioacchino). Giovamii Fa?i-toni; in L’Istrìizione, foglio periodico di letteratura e d’arte, diretto dal prof'. Basilio Magni, ann. VII [1893], n· 6, pp. 124-120; n. 7, pp. 150-154; n. 8, pp. 182-189; n. 9, pp. 205-207; n. 10, pp. 233-235; n. 11, pp. 252-254; 11. 12, pp. 872-273; ann. Vili, n. 1, pp. 13-16; n. 2, pp. 35-41 ; n. 3, pp. 64-68; n. 4, pp. 85-90. — Pranzetti (E). Della lirica di Giovanni Fantoni, Roma, Mantellata, 1895. — D’ancona (Alessandro) e Bacci (Orazio). Giovanni Fantoni; in Manuale della letteratura italiana compilato dai professori A. D’A. e Ο. Β. ; vol. IV [Firenze, Barbèra, 1900], pp. 633-655. — Carducci (Giosuè). Un poeta giacobino in formazione ; nella Rivista d’Italia, ann. II, 1899; pp. 5-56. — Alpago-Novello (Luigi). Fantoni per Fantuzzi? nell’Antologìa Veneta, 1902, III, pp. 342-352. — Neri (Achille). Aneddoto intorno a Labindo ; nel Giornale storico e letterario della Liguria, ann. VI [1905], pp. 423-435. [Tratta del soggiorno del Fantoni a Genova nel 1779 e nel 1797]. Giorn. St. c Lett. della Liguria. 10 — 138 — II. GLI ANNI DELLA DISSOLUTEZZA. Nel poemetto L’Amicizia, che il Fantoni intitolò a Carlo Emanuele Malaspina , Marchese di Fosdinovo, stato suo condiscepolo nel Collegio Nazzareno di Roma , così canta di sè e de’ casi della sua vita: ancor pendea Per me sull’ ali il dodicesim’ anno Quando mi vide al fianco tuo gli alpestri Varcar gioghi del Lazio ΓAniene Precipitoso crollator di sassi. Teco m’accolse la superba Roma Dal purpureo senato, e dietro Torme De’ passi tuoi, nelle latine scuole Libai la tazza degli achei precetti. Mentre anelava ad emularti, il saggio Eroe, cui tanto nei pensier somigli, Ti ricondusse alle paterne mura, Ove l’amor delle commesse genti Affrettava coi voti il tuo ritorno (i). Io vissi ancor tre primavere in grembo Alla madre del mondo..... L’altrui consiglio e ’l giovanil desio Dal Tebro all’Arno mi guidò nel muto Labirinto di corte: un Dio mi trasse Dal sentier periglioso, e in sen di Marte Improvviso mi spinse, ed ahi! la sorda Alle preci ed al pianto orrida diva Volea ferirmi, se all’acuto dardo Non m’era scudo colla cetra Apollo. Voi cari boschi, alle cui rupi insegno Ora d’Argene a replicare il nome, Mi rivedeste. Era il mio foco Argene, Candida quasi latte, azzurri i lumi Qual ciel sereno : il nostro amor crescea Con il crescer dei giorni, allor che svelto Dalle braccia di lei tornai fra Γ armi, Vittima infausta del voler tiranno Di un’adorata genitrice. Un lustro — 139 — Fra le falangi del Sabaudo Giove Quella pace cercai che alfìn rinvenni Nel cheto asilo del paterno albergo. Il Fantoni nell’estate del 1772 uscì dal Collegio Nazzareno ; il 7 agosto dell’anno dopo ebbe il posto di apprendista nella Segreteria di Stato a Firenze. Fece talmente cattiva prova, che, per risparmiargli la vergogna d’esser cacciato via , e nel tempo stesso tentare di rinsavirlo , fu messo ne’ cadetti. Ne vestì la divisa a Livorno nel luglio del ’74 , ma per lasciarla di lì a un anno , avendo continuato a condurre la vita più dissoluta (2), con dolore e sdegno del padre che, fallitogli il tentativo di farne un frate (3), voleva a ogni costo , 0 che si stradasse per la via degli impieghi, o che abbracciasse la carriera delle armi. Invece il ragazzo, insofferente di freno, irrequieto, volubile, focoso, aveva la testa agli amori, alle allegre brigate, alla poesia; e rientra fra le mura domestiche carico di scartafacci di versi, con la patente, per giunta, di socio dell’Accademia degli Apatisti di Firenze. Le donne a Fivizzano sono il solo suo pensiero, il solo suo spasso. Una, tra le altre, gli ferisce il cuore ; se ne innamora perdutamente, e tratta nientemeno di sposarla (4). La famiglia è alle stelle ; ai rimproveri paterni si uniscono quelli della madre e de’ fratelli. Ecco che passa da Sarzana lo zio Don Andrea De Silva, il quale, in compagnia della moglie, tornava a Torino. La sorella corse ad abbracciarlo, conducendo seco il figlio scapestrato. Lo zio , fatto inteso di tutto , lo menò via , col doppio proposito di fargli mutar vita e di aprirgli l’avvenire. Le carte degli archivi piemontesi offrono alcune particolarità nuove sul soggiorno di Labindo in Piemonte. Ne tesserò il racconto, tenendole per guida. L’Accademia Reale di Torino , ideata dal Duca Carlo Emanuele II nel 1669, aperta nel 1678 dalla vedova sua, Maria Giovanna Battista di Savoia Nemours, nel palazzo fatto costruire da lui, ebbe per intento 1’ educazione de’ paggi e de’ nobili di corte. Vi s’insegnava « la danza, l’armeggiare, il volteggiare, il maneggio dell’armi, gli esercitii militari, le matematiche et il disegno », non che « mon- — potare a cavallo, correre al saracino , all’ anello et alle teste de’ mostri »: insomma vi s’addestrava la gioventù agli e-sercizi cavallereschi, senza , peraltro , trascurare affatto gli studi scientifici , che soltanto col volger de’ tempi ebbero la prevalenza e formarono la parte essenziale dell’insegnamento (5). Spartita in tre classi, che si chiamavano appartamenti , la prima, dove venivano accolti anche i forestieri (6), era soprattutto destinata per quelli che avevano « come principale intento l’acquisto delle arti cavalleresche e specialmente la cavallerizza, la scherma , il ballo e 1’ architettura militare » ; nè vi mancava « il comodo di coltivare lo spirito con qualche studio di lingue, di geometria, d’ aritmetica , di fortificazione , di geografia, di storia e di altre simili scienze ». Ciascuno aveva un alloggio « a parte, in appartamenti uniformi »; teneva « un servidore a suo comodo e disposizione » ; ed era « in sua facoltà averne più , come anche di aver seco un compagno di viaggio, o governatore particolare e cameriere, pagando per ciascuno di essi la tassa ». In quanto al vitto erano serviti « a nobile ordinario, o sia a mensa secondo lo stile con cui comunemente si servono le tavole onorate della nobiltà del paese » (7). Potevano « uscir fuori dell’Accademia » soltanto « ne’ dì festivi e di vacanza di ciascuna settimana, per andar alla Corte e per frequentar compagnie degne di loro , in cui veggano esempi di maniere colte e gentili, senza mai metter piede in luoghi disdicevoli, sospetti e pericolosi ». A tavola non si potevano presentare « nè con sopraveste , volgarmente rodingotto , nè con gli stivali » ; e « in casa, e anche fuori cavalcando », dovevano usar « 1’ abito del loro uniforme » ; però « per comparire in Corte , o in visite , o in conversazione » potevano adornarsi « di quelle fogge decenti », che meglio « avevano in grado ». La pensione non poteva esser più tenue; consistendo in settantacinque lire di Piemonte al mese (8). La seconda classe , ossia secondo appartamento , dove dallo zio De Silva fu messo Labindo , era per quelli che volevano « intraprendere il corso delle scuole militari », e per quelli che proseguivano « gli studi all* Università in — 141 - qualunque delle scienze che ivi s’insegnano ». L’alloggio di ogni accademista consisteva in « una piccola camera »; ogni otto di essi poi avevano « una sala o vasto corri-toio chiuso ». Soltanto « all’uscir di casa » portavano « l’abito nero e la spada»; dentro, l’abito doveva essere « modesto e uniforme ». Pranzavano a « tavole ripartite per piccole brigate, con un assistente a ciascuna, e con l’intervento di qualcuno de’ superiori »; e il vitto era « abbondante e civile » (9). Pagavano di pensione quaranta lire mensili a testa. L’onorario « per ogni maestro d’esercizi cavallereschi », da cui volessero pigliar lezione, era di tre lire al mese; e se venivano ammessi « alla cavallerizza », ci volevano dieci lire in più. « Lo studio sodo e pratico d’ una vera pietà » veniva « insinuato come principio, mezzo e fine d’ogni vero sapere »; e « alle massime di quello » si univano « documenti e lezioni metodiche con accademie di quella morale filosofìa, o sana cavalleria, che misura il vivere civile e nobile con le regole del vero o-nore ». In questa classe erano « un po’ più ristrette » che nella prima « le regole di disciplina »; ma a tempo opportuno si accordavano e procuravano « que’ divertimenti o-nesti e civili, che più possano contribuire alla sanità del corpo , alla giovialità dello spirito ed alla disinvoltura del tratto ». Era proibito « indistintamente ed in qualunque tempo andar a’ balli, ridotti, giuochi pubblici, bettole, botteghe di caffè ed a qualunque altro luogo dove non istia bene d’ andare a persone onorate e di qualità ». Vietato « farsi recar di fuori bevande, 0 commestibili di qualunque sorta, senza permissione de’ superiori »; vietato « in tempo di studio tener cameriere, parrucchiere, 0 altra persona nel luogo dove si studia ». Sempre accompagnato da un domestico, sia nell’andata, sia nel ritorno, l’accademista « invitato a pranzo da qualche cavaliere parente, o amico »; accompagnato pure da un domestico quando si recava « al • passeggio, o a far visite ». Nel refettorio serbato « il silenzio finché sia finita la lettura »; e ognuno doveva « alzarsi in piedi, con capo scoperto , in tempo della benedizione della tavola e del ringraziamento ». Obbligatorio lo — 142 — intervenire « con puntualità e prontezza ad ogni sacra funzione che si abbia a fare in cappella », recando seco « 1 ufficio della B. V. , non solo per recitarlo ad alta e chiara voce in comune ne’ giorni festivi, ma eziandio per recitarlo tra sè negli altri giorni, per tenere lo spirito raccolto e l’animo unito con Dio » (io). Non è qui il luogo di parlare della terza classe, poi a-bolita, destinata a quelli i quali « o per la tenerezza dell’età, o per bisogno d’abilitarsi ne’ fondamenti delle prime scuole », non erano « ancora capaci nè di andare agli studi dell’Università, nè di appigliarsi di proposito agli e-sercizi cavallereschi » (n). Il Fantoni entrò nell’Accademia il 25 settembre del 1775, e oltre gli studi consueti, attese al ballo, alla scherma, all’aritmetica e alle fortificazioni, pagando tre lire mensili a ciascuno di questi quattro maestri. Quello di ballo era Francesco Agostino IIus (12); quello di schermali Pascal, che aveva per suo assistente il Tealdi ; quello di aritmetica il Cevasco, che ripeteva anche filosofia; quello di fortificazione l’Alberti (13). Fin dal 19 gennaio del 17 71 te" neva le guide dell’Accademia il cav. Vittorio Verdina col titolo di Governatore, e gli stava al fianco Don Sicco col grado di Vice Priore. Gli studi de’ militari consistevano: nel primo anno, cosmografia, aritmetica e geometria speculativa, fortificazione regolare ; nel secondo anno, geografia, geometria pratica in carta e sul terreno, fortificazione irregolare ; nel terzo anno, storia militare, prospettiva e disegno militare, attacco e difesa delle piazze , esponendo i sistemi più celebri, coi ne* cessari principii di tattica. In tutti e tre gli anni « studio di scrivere » e lingua francese, insegnata dall'ab. Deleuse. Uscì daH’Accademia il 5 febbraio 1776. Essendo morto il Dunant, luogotenente del reggimento di fanteria straniera del Ciablese, lo zio De Silva aveva domandato quel posto per il nepote; e Vittorio Amedeo III non era rimasto sordo al desiderio e alla preghiera del suo Aiutante generale (14). Ecco il testo delle regie patenti: Il Re all’Uffizio Generale del Soldo. Torino, 22 gennaio 1776. Abbiamo conferito al Conte Giovanni Fantoni, nato a Fivizzano nella Lunegiana, già Accademista, la carica di Sottotenente nel Reggimento di Fanteria straniera del Ciablese, con tutti gli onori , autorità a prerogative che ne spettano ed appartengono , invece del Du-nant, resosi defunto. Vi ordiniamo pertanto di assentarlo in tale qualità, e di farlo godere della annua paga di lire quattrocento sessanta di Piemonte, razioni due di pane al giorno, un foriere, alloggiamento, utensili ed altre cose, portate dal Regolamento nostro de’ 18 ottobre 1774, a voi diretto , incominciando dal suo assento e continuando in avvenire durante la di lui servitù ed il nostro beneplacito , che tal è nostra mente. Il Re Vittorio Amedeo III nel nuovo ordinamento dato al suo esercito aveva diviso la fanteria stanziale in tre « scompartimenti », composto ciascuno di quattro reggimenti. Formavano il primo i reggimenti Guardie, Pieni onte % Reale Alemanno, e Svizzero Bearnese; il secondo i reggimenti Savoia, Saluzzo, Marina, e Regina: il terzo i reggimenti Monferrato, Aosta, Ciablese, e Sardegna. Il reggimento del Ciablese era di fresca istituzione; rimontava al i8 ottobre del 1774, essendo stati riuniti insieme il reggimento d’infanteria straniera e quello Fatio per formarlo. Il Fantoni venne ascritto alla compagnia Capo , chiamata cosi perchè ne aveva il comando Benedetto Maria Maurizio , Duca del Ciablese, figliuolo di Carlo Emanuele III, che poi mori a Roma il 4 gennaio del 1808. Fu capitano luogotenente di questa compagnia il Bousquet fino al 21 luglio del 1776; dal 26 dello stesso mese all’ottobre del *78 ebbe quel grado il Pauc, al quale succedette lo Shacübly. In tutto il tempo che vi rimase il Fantoni, la carica di luogotenente venne ricoperta dal Bernardi. La compagnia tenne guarnigione, prima a Torino , poi ad Alessandria. Appunto a Torino ebbe esso la lieta notizia che, a proposta del suo vecchio maestro ab. Luigi Godard, l’Arcadia di Roma, nell’adunanza del 14 gennaio 1776, gli aveva conferite le campagne arsinoetiche col nome di Labindo ; avvenimento che ringagliardì il suo estro di poeta e gli fu — 144 — stimolo a scrivere una quantità di anacreontiche, che, sebbene da lui, in gran parte rifiutaté, non mancano però nè di facilità, nè di eleganza (15). E a quel tempo, per testimonianza del nepote , « devono riferirsi quasi tutti i suoi scherzi stampati (16), di cui una parte corresse ed una parte rifuse, e molti altri, ancora inediti; non senza diversi poemetti in ottava rima , come quello composto in occasione del matrimonio della Principessa Clotilde di Francia, il Teatro, Γ Isola di Citera ed altre produzioni, che tutte egli stesso condannò all’oblio ». Il matrimonio del Principe di Piemonte (il futuro Re Carlo Emanuele IV) con Maria Clotilde di Francia, ebbe luogo il 6 settembre del 1775, quando il Fantoni stava per entrare nell’Accademia Reale; e il poemetto inneggiante a quelle nozze corse manoscritto per le mani degli amici e de’ conoscenti, senza che vedesse la luce; come, del resto , fin che rimase in Piemonte nessuna delle sue poesie venne messa alle stampe. Mentre era di guarnigione ad Alessandria prese a comporre le Notti e ne offri un saggio a Don Alessandro Sappa (17). con questa lettera del 13 ottobre 1777: Due cori nati per F amicizia non si rinvengono sovente. Sembra che la bizzarria delle differenze e che la varietà de' caratteri sia necessaria per l’armonia del creato. Dafni, il cui nome solo mi richiama le lacrime , era nato per me ed io ero nato per lui. La morte me lo rapi fra le braccia, e da quel momento fatale io non ho più un amico. Riempite voi il vuoto in cui mi ha lasciato la morte. V* invio quelle Notti che mi ha dettato il dolore e che l’amicizia vi consegna perchè le facciate rispettare dal tempo. Conoscerete in queste la sensibilità del mio cuore; vedrete se vi somiglia, e se merita che voi mi dichiariate quello che io sarò se volete Vostro afì.** amico. Chi si nasconda sotto il nome di Dafni, nato per I.a-bindo e Labindo nato per lui, lo ignoro; essendomi riuscita vana ogni indagine per chiarirlo. Da Alessandria inviò pure a Lesbia Le quattro parti del Piacere, e nello inviargliele, cosi le scriveva, il 23 settembre del 1778: « Fra Γ importuno rumore delle armi voi mi avete richiamato a bamboleggiare con gli Amori, e la speranza di non dispia- — 145 — cervi mi ha fatto porre la mano ad un lavoro interrotto. Il piacere ha animato la cetra, e sorridendo al vostro nome ne ha temprate più lusinghiere le corde. Non disprezzate i suoi taciti voti, nè la semplicità del mio cuore ». La nuova Lesbia celebrata dal nuovo Catullo era una gentildonna genovese, sangue dei D’ Oria, la Marchesa Maria, moglie di Domenico di Raffaello Spinola; anche lui sotto le bandiere del Re di Sardegna. Non senza il suo perchè il poeta ricorda nella lettera « l’importuno rumore delle armi », e torna a ripetere nell’ode XI del libro secondo: Non fra lo strepito guerrier dei timpani, Fra i cieco-torbidi globi di polvere M'impallidì la faccia Sabaudica minaccia. E un accenno ai « pericoli corsi contro le bande di assassini che infestavano i boschi di Alessandria » (18). Non fu la sola avventura che ebbe nel prestar servizio in quella guarnigione. La paga di quattrocento sessanta lire di Piemonte , somma ragguardevole allora, e il denaro che a mano a mano gli mandava il padre, non gli bastavano. Per confessione del nepote, « il fervido di lui temperamento, agli amori inclinato e a darsi bel tempo, portandolo a larghe spese # più che a figlio di famiglia si convenisse , gli attirò diversi dispiaceri, e lo spinse fin anco a sfidarsi a duello con un uffiziale supcriore, senza che ne seguisse 1 effetto; dovette chiedere la dimissione, ed ottenutala, fu messo in arresto per debiti, ad istanza dei suoi creditori ». Negli archivi piemontesi non resta traccia della sfida, occasione e cagione del suo licenziamento. Si trova soltanto la seguente lettera di Don Gio. Andrea Chiavarina, che era allora reggente della Segreteria di Guerra. È scritta il ó febbraio del 1779 e indirizzata al Marchese di Cravanzana: Sio.r SiG.r P.e COL.mo S. M. essendosi degnala di accordare al Sigr Conte di Fantoni le sue dimissioni dal posto di Sottotenente nel Reggimento di Fanteria straniera di Ciablese , ne tengo intesa la S. V. 111.- affinchè possa — 146 — farne seguire l’opportuna annotazione sui ruoli di cotesto generale Uf. tìzio , e le rinnovo ad un tempo gli atti del divoto ossequio, che mi costituisce Di V. S. 111.®» Div.mo Obbl.®0 Serv.w Chiavarina. Ebbe per successore nel grado di luogotenente Antonio Giuseppe Fortunato de Serre di Besançon , con regie patenti del 25 aprile. I suoi numerosi creditori gli furono subito addosso, presi dalla paura che fuggisse via senza pagarli ; anzi la paura fu tanta che finirono col farlo arrestare; e quasi ciò non bastasse, vollero anche fosse spiccato ordine alle porte della città di non lasciarlo passare; non ostante che la famiglia Sappa, rimastagli fedele in quel rovescio della fortuna , avesse con lo zelo più operoso tentato ogni sforzo per risparmiargli una così grossa vergogna. che era nel tempo stesso la più manifesta delle ingiustizie. Non venne però chiuso in prigione, ma tu messa un'ordinanza a guardarlo a vista nella casa dove alloggiava. Il dolore di Labindo passò ogni segno. Pieno d’ira e d’angoscia scriveva a un amico: « Dunque i miei nemici assicurano ch'io voleva partire la stessa mattina che mi fu intimato l’arresto, e che tutto era pronto fino dalla sera? Specioso pretesto per autorizzare un affronto. Se avessi avuto nella mente di eseguire quello di cui mi tacciano, chi me lo avrebbe impedito , in cinque giorni di liberta, dopo di aver ottenuta la mia dimissione? Dati già in nota i miei debiti a persona di riguardo, io attendeva una rimessa da mio padre, a cui aveva scritto e fatto scrivere facendogli conoscere la mia situazione. Xon mi sarei immaginato che senza aver riguardo al mio carattere, alla mia nascita ed ai miei sentimenti, su di un sospetto leggero di qualche timido mal onesto creditore, si sarebbe appoggiato il motivo di un arresto, prima eseguito che considerato. Inutile cautela per chi e guardato a vista dalla propria onoratezza Un caso pietoso venne a consolarlo in mezzo all'an· goscia. Il suo calzolaio corse a offrirgli quanto posv*deva; — 147 — e dolente che non si piegasse a servirsi del suo danaro, ripetè per lettera la profferta; rifiutata di nuovo, ogni giorno andava a trovarlo, e quando non poteva, non mancava di scrivergli una parola confortatrice. Il padre, come sempre, pagò. « Ogni cosa è aggiustata », tornò a scriver Labindo; «· posso partire quando mi piace. Ecco dove sono andati a finire tanti provvedimenti sulla mia persona e a quale scopo mi è stato fatto un affronto ! Me ne ricorderò fin che vivo ». Infatti sentì sempre vergogna d’aver creduto amici « certi insetti titolati, che s’imbrattano nel fango, mentre nuotano nell’oro » ; e sempre serbò memore affetto del « povero, ma onesto e sensibile artigiano » ; il solo che gli mostrasse cuore ne’ momenti del pericolo , della vergogna e dell’abbandono (19). S’avviò finalmente alla volta del paese nativo, pur troppo * non corretto nè dall’esperienza, ne dai disgusti » (a confessione dello stesso nepote), e si fermò « diversi mesi » a Genova, « allettato dalle relazioni e conoscenze che si era procurato in Piemonte » ; dandosi « a corteggiare alcune di quelle dame e a spendere nuovamente più di quello che la famiglia poteva o voleva somministrargli ». Soprattutto ve lo incatenarono le grazie di Lesbia , per la quale, tra le altre anacreontiche, scrisse allora il Capriccio, da lui poi « riprovato intieramente per il pensiero », chè non poteva essere più sconcio ; come galanti oltre il segno son le tre lettere: « Il Lei, il Voi e il Tu ». Fin dall’anno prima, in Piemonte s’ era fatto un programma : giammai si perde Tempo bevendo; nel divin licore Muoion le cure, solo in esso amore Non si disperde. A che star mesto? gioventude fugge, Pigra i suoi passi segue la vecchiezza, E il brio vivace della giovinezza Fredda distrugge. Hrev’è la vita. Profittiamo, amici, Dunque di quella; di divin liquore Fra colme tazze, fra i piacer d’amore Viviam felici. — 148 — A Genova lo rinnovò : Di Chianti ambrosia in anglico Vetro génial m’invita Dell’inquieta vita Le cure ad obliar! Godiamo, che all'instabile Avara falciatrice D’insidiar non lice Chi disprezzar la sa. E non solo lo rinnovò: lo mise in pratica in tutta la sua pienezza, « continuo commensale del magnifico Domenico Spinola », il compiacente marito di Lesbia. È vero, peraltro, che neirinviare questi versi al marchese Girolamo Pallavicini, vice custode dArcadia, « uno de’ più notevoli e stimati patrizi » di Genova in quel tempo , presidente del-ΓAccademia Ligustica di belle lettere, della quale era ranima, e autore per giunta d’un Saggio t/i poesia, stampato nel 73» dove « è notevole una visione ispirata daU'assidua lettura della Divina Commedia », e che « s* era proposto di onorare il Chiabrera, dando fuori una nuova e splen-dida edizione delle sue opere, per la quale con non poco dispendio aveva raccolto ricchi materiali » (20): è vero, peraltro, torno a dire, che Labindo gl'intitolò anche un’ode, dove a Genova fa questa promessa : Se il fatale turbo errante Delle guerre transalpine Dal sabaudico confine Minacciando scenderà, Mi vedrai novello Alceo Non temer guerrieri affanni, E difender dai tiranni La tremante libertà. Fra quei candidi ligustri Che Γ amore a me comparte, I temuti allor di Marte Alle chiome intreccerò. Con le corde della cetra Curvo teso un arco armeno Io temprate di veleno Le saette vibrerò. — 149 — In quell’ode accenna anche ai poeti genovesi d’allora. Per il primo ricorda, col suo nome arcadico di Partenio, Niccolò Grillo Cattaneo, che, dall’ inglese, tradusse II Tei?i-pio della Fama di Pope (21): Teco sia Partenio il biondo Da i languenti azzurri lumi, I cui placidi costumi Fero Egina innamorar. Di quei lauri che rapio Alla Fama anglico vate L’alte tempie coronate E '1 negletto aurato crin. Gli mette al fianco il « vivace » Mainerò, col Balbi e con lo « scherzoso » Capozza » (22). Luigi Maineri (1734-1793)· amico di Antonio Genovesi e agronomo accoppiante la teoria alla pratica, era stato ascritto fin dalla prima giovinezza alla Colonia Ligustica col nome di Linceo , « appropriato assai bene alla sua natura, piuttosto volta all’osservazione ed al ragionamento filosofico che agli slanci spontanei dell’estro e della fantasia ». Verseggiatore mediocre , nelle prose ha « una certa robusta eleganza di stile » (23). Il Balbi dovrebbe essere Costantino , arcade; appartenente all’Accademia degli Industriosi, di cui si hanno alle stampe dei versi in raccolte, e che fu poi senatore e diplomatico (24). Cirillo Capozza, carmelitano, leggeva teologia all*Università. Per Francesco Antonio Fasce (1732-1792), che consumò la vita insegnando a Genova, a Savona, a Milano, a Roma, con profitto grande della gioventù , e che verseggiò in latino con facilità elegante e in italiano non senza gentilezza, il memore affetto di Labindo, scolaro suo nel Collegio Nazzareno, ha una parola di lode. Lo chiama di Rolli il delicato Dotto Fasce imitator; e gli mette a lato Masfiucco dalla greca Fantasia, di sciolti fabbro, Grave il petto e pieno il labbro Di poetico furor (25). — 150 — Incuora il Pallavicini a riprendere la cetra abbandonata, obliando le cure del foro e del Senato : geloso veglia il fato Al Ligustico destin. A lui veglia Lomellino (26) E alla patria ancora ignoti Nel mio cor vegliano i voti D’un novello cittadin. Versi, questi ultimi, allusivi al desiderio suo d essere ascritto al patriziato di Genova , con Γ aiuto e per opera appunto dell’amico; il quale rimase sordo a ogni preghiera. Se ne sdegnò I^abindo, affidando a un’altra poesia il proprio rammarico : Perchè negasti porgere La destra e i voti accogliere Di un nuovo cittadin? Se i carmi in vita serbano Non andrò tutto in cenere Nè il nome mio morrò. La ragione del silenzio è spiegata da un curioso documento, che rischiara di nuova luce il soggiorno del poeta a Genova (27). la mano ignota d’un segreto accusatore, il i.° di giugno aveva messo nel bossolo delle votazioni un biglietto di calice contro di lui; cosi nel linguaggio d'allora si chiamavano le denunzie. Benché già stampato, mette conto che lo trascriva. Signori Serenissimi. — Vi è in Genova certo conte Fantoni, fiorentino, già uffizi al e di S. M. Sarda. Questo è assai giovine e di maniere seducenti, onde è idolamato dai giovani suoi contemporanei ed anche dalle dame le più stordite, colle quali usa carene. imititele presso di noi e condannate da' virtuosi. Le sue massime sono perniciose e contrarie alla buona morale. Queste, tanto più ti bevono facilmente, quanto essendo legate in versi leggiadri e lascivi, avendo un genio e talenti straordinarii per la poesia. Si è quasi stabilito qui, ma essendo ristrettissimo nelle finanze . si fa imprestar danaro dagli a-mici. La religione, i costumi e la costui conversazione meritano di essere osservati da VV. SS. Ser.** accio non venga infestata la nostra gioventù, che pur troppo inclina al male in gran parte. — 151 — iili Inquisitori di Statolo presero a tener d’occhio. Il 19 riferirono : « il suo contegno non è proprio, ma incivile » (28). In forza delle leggi, poteva avere , ο Γ ammonizione, o lo sfratto ; non ebbe nè l’una, nè l’altro. La protezione degli amici gli fu scudo. Tirò innanzi la sua vita spensierata in mezzo alle liete brigate e alle gioie dell’amore, desiderato, voluto , cercato , strappato , applaudito ; e continuò a far versi e debiti. La mano sdegnata del padre pose fine a quel baccanale ; e mentre fu larga e pronta nel pagar tutto e tutti, seppe acquistare la più terribile rigidezza nel trascinarlo a viva forza a Fivizzano. Eccolo — ed era tempo — tornato nella valle nativa, tra le mura austere del signorile palazzo de’ suoi maggiori. Nella Lunigiana d’allora, a confessione dello stesso Labindo , « la prodigiosa quantità di villaggi e di borgate, che pure aspirano al grado di città, come Pontremoli e Fivizzano (29), c nelle quali dimorano disperse le signorili famiglie, lungi claH’impedirne le socievoli comunicazioni, le rendevano se non più frequenti , più animate assai e più piacevoli. Oltre una quindicina di famiglie Maiaspina disperse ne’ loro feudi (30), altrettante e più di signorile condizione ne avevano Pontremoli. Fivizzano, Bagnone (31), appartenenti al Granducato (32); le quali tutte si convitavano a vicenda. Cosi i doviziosi lunensi trovavansi riuniti tre giorni in una famiglia e tre giorni in un’altra in certi determinati tempi, di modo che una grossa quarta parte dell'anno si passava lietissimamente in paese (33). Firenze, Massa di Carrara, Pisa (34) offrivano nel cuor dell’in verno più temperato clima a coloro che potevano, senza sentirne incomodo, mantenersi alcuni mesi fuori della Lunigiana» (35). Fu allora che rannodò l'amicizia col marchese Carlo E-tnanuele Maiaspina di Fosdinovo, il condiscepolo del Collegio Nazzareno di Roma. Sentiamone il racconto dalla sua bocca: Un lustro Fra le falangi del Sabaudo Giove Quella pace cercai, che alfin rinvenni Nel cheto asilo del paterno albergo. Breve spazio di via dal mio soggiorno Divide il tuo : nel faticoso calle Mi riconforta l'amicizia, e meco Pungono i fianchi e sulla groppa stanno Del fugace destrier gli avidi affetti. Ospite io salgo nell’armata rocca De* padri tuoi : tu m’accogliesti : in volto Nunzia del cuor non ti ridea la gioia, Che sull’altera mal-chiomata fronte S’agitava una fosca nuvoletta: Tentai tre volte sollevar le braccia Onde cingerti il collo, e oh Dio! tre volte Cadder delusi gli indecisi amplessi. Gelai di tema che coperte avesse La lontananza le memorie antiche D’obliosa caligine profonda. Ma il mio timore era un inganno: appena Tu favellasti, nei soavi sguardi Tutta l’anima tua candida apparve. Teco sei lune, quasi lieto sonno, Mi fuggiron veloci : altrove un cenno Del genitor mi chiama: ecco la notte Della mia tenerezza e del mio pianto. I benefizi tuoi tento, nè posso Numerar singhiozzando, e tu vorresti Consolarmi, ma invan. .. m’abbracci, io parto; Da quel momento un sol destin ci strinse, Nè sciorre ne potrà l’amato nodo D’astro maligno velenoso influsso, Aurea lusinga di ricchezza, o figlio Di pallida viltà freddo spavento. Non dall* urtar dei coronati nappi Nacque in noi l'amistà sull* ebrìe mense, Non dai lascivi garruli concetti, Padri della licenza e delle risse. Ci animò la virtù, la non velata Sincerità ci palesò l'occulta Somiglianza dei cuori e ti congiunse. Il più importante de' feudi imperiali de’ Maiaspina era allora quello di Fosdinovo. Carlo Emanuele — l’ultimo de’ suoi Marchesi — colto e amante della musica: la soave armonia figlia cUl cielo, come portava scritto in uno de' suoi motti Γ Accademia filarmonica dei Dissonanti di Fi vii· zano, che lo scelse a proprio Principe, restaurò il vecchio — 153 — teatro di I^osdinovo (36), e vi faceva rappresentare melodrammi e commedie « quasi al grado di perfezione ». Lo attesta Labindo, che anch’egli vi recitava, e soggiunge : « Non solo è egli il direttore della società dei suoi dilettanti, ma n’è il compagno, e forse non vi è in Italia comico che lo pareggi ». Col favorire il teatro si proponeva il doppio scopo di sbandire dal suo « piccolo paese l’ozio, che per ordinario vi domina », e dare « un’educazione pratica » ai sudditi. A vantaggio della gioventù fondò pubbliche scuole e le provvide d’insegnanti (37); accrebbe la biblioteca avita di pubblicazioni letterarie e politiche le più in voga e le più difficili a ottenersi da’ privati in que’ tempi (38); costruì un’arena per il giuoco del pallone e vi diede più d’ una prova d’ agilità e di destrezza (39). Non sordo ne insensibile ai bisogni del secolo e all’ idee novatrici delle quali si faceva banditore sul trono della vicina toscana il Granduca Pietro Leopoldo, anche lui pose un irono all avidità delle mani morte, vietando che ad esse si contrattasse o lasciasse in eredità; proibizione da estendersi a testamenti tuttora in sospeso « per causa di condizioni non anche verificate » (40). 1 eneva splendida corte ; e nella stagione delle villeggiature accorrevano alla rocca ospitale, per cortese invito di lui, da’ paesi vicini, da Lucca, da Pisa, da Genova; e si deliziavano al teatro , in banchetti, nelle conversazioni, alle caccio, nelle quali Carlo Emanuele fcermc d’eroi, terror di belve, Dairinvincibil braccio, sguinzagliava i veltri, tanto prediletti, alla preda (41). Il grandioso salone del castello era adorno di affreschi, che, caduti i Marchesi, furano imbiancati (42). In altrettanti medaglioni si vedevano dipinte le terre del feudo co’ propri costumi. Gli abitanti di Giuccano, gente manesca, avevano il moschetto al braccio; quelli di Gragnola recavano le trote del Lucido, rinomate per la loro delicata squisitezza; quelli di Pulica e Ponzanello agnelli e capretti. Degli altri è perduto il ricordo (43). Giom. St. e IMI dèlia Liguria. i\ — 154 — Α1Γ antico cassero , eretto da’ Nobili di Fosdinovo, signori del paese prima che passasse in pieno dominio de Maiaspina, questi ultimi aggiunsero la rocca, vasto e irregolare edifìzio, fatto a più riprese, che nella varietà de suoi stili architettonici mostra la cupa torre del medio evo, le snelle ed eleganti loggie del cinquecento, il signorile palazzo moderno, contornato allora da ridenti giardini, dove in mezzo a tante delizie e tra quelle memorie menava la vita il geniale Marchese dell* ultima età. Labindo, ospite cercato e gradito per mesi e mesi, voleva sempre dormire in una stanzuccia del cassero, detta la camera di Dante, perchè ritenuta, ma senza fondamento di sorta, alloggio al Ghibellin fuggiasco, quando ne’ dolori dell'esilio fu accolto con tanto amore dai Maiaspina (44). Da quella stanzuccia il poeta fivizzanese guardava Il curvo lido che flagella inquieta L’onda di Luni ; era lì che la sua arpa pigliava ispirazione a fingere Gl* inimitabili modi d' Orazio ; a cantare Washington che cuopre dai materni sdegni L’Americana libertà nascente. Il poeta spiega le ali a un volo più alto e più sicuro. È merito de’ consigli, de* conforti, degli stimoli, degli incoraggiamenti di Carlo Emanuele Maiaspina. Appunto per far cosa gradita all’amico, Labindo, nell* aprile del 1782, uscito che fu dalla carica di Commissario di Sarzana per la Repubblica di Genova il marchese Giuseppe Pi nel lo-Sai vago, del quale Carlo Emanuele aveva sposato la sorella Eugenia (45), prestò largamente il suo aiuto alla raccolta di poetici componimenti, fatta dai cigni del parnaso lunigiancse per cantare il « celebratissimo governo felicemente compiuto » (46). Vi mise in fronte una « prefazione », inneggiando egli stesso al fausto evento con Γ ode, di metro oraziano, Al merito, che incomincia: Cadde Minorca : di Crillon la sorte Ride superba fra le sue mine; Sprezza di Gade sull* erculeo fine Elliot la morte. ; . — χ55 — k la prima poesia che dette alle stampe ; non il primo frutto del suo ingegno che vedesse la luce. Il 31 di marzo dell anno innanzi aveva letto nella prepositura di Fivizzano 1 Elogio dell’imperatrice Maria Teresa, che fu Gran-duchessa di loscana dal 1737 al 1765, ed ebbe un successore degno di lei nel figlio Pietro Leopoldo (47). « Non avvezzo a vendere adulatrici parole di dolore, o di giubilo », Labindo potè dire con coscienza serena: « spira virtù an cora quella tomba e l’addita madre de’ sudditi, che la piangono ; esempio di clemenza ai monarchi, che la rispettano; di beneficenza all universo, che l’ammira ». Stampato l’anno stesso in Lucca, ΓElogio ebbe le lodi àe\Y Effemeridi letterarie di Roma (48); dell’ ode però « straordinario ne fu l’incontro presso il pubblico e gl’intelligenti ». Lo attesta il nepote, il quale soggiunge: « benché non mancassero critici ad un poeta che non aveva ancora alcun nome, insorsero però da altra parte a difenderlo alcuni entusiasti della sua nuova maniera oraziana di scrivere. Fu questo il primo incoraggiamento che lo determinò più che mai a mettersi in grado di darne un saggio più completo ». Lo dette infatti, e l'anno stesso, col libriccino delle Odi, divenuto ora una rarità bibliografica, che sebbene fìnga stampato « a bordo della Formidabile, con permesso del-Γ Ammiraglio Rodney », fu impresso a Massa di Luni-giana co' torchi di Stefano Frediani ; libriccino da lui intitolato a Caterina II, «crede immortale di Pietro il Grande, adorata dai popoli, temuta dai nemici, rispettata dall’ u-niverso ». Il poeta delle lascivie di Lesbia aveva finalmente mutato strada, e nella nuova, che era quella della gloria, moveva il passo fidente, animoso, sicuro ; 1’ uomo, pur troppo, seguitava a razzolare nel fango. E una pagina fin qui ignorata, la più brutta di tutta la sua vita, e nello svelarla per il primo, non so nascondere il ribrezzo che m’ispira. Il padre, al quale non dava che dolori e n* era il tormento, nel novembre di quello stesso anno 1782 finì con Γ indirizzare questa supplica al Granduca Pietro Leopoldo : - 156 — Altezza Reale, Il Co. Lodovico Fantoni, umilissimo servo e suddito di \. A. R., con profondo ossequio l’espone, come non ostante di aver procurato di dare la dovuta educazione a suo figlio Giovanni ed aver ancora cercato d’instradarlo mediante la somma clemenza della K. A. \ . per la Reai Segreteria e nelle Milizie Toscane e poi in quelle del Re di Sardegna, tuttavolta, tornato a casa, tiene un contegno poco uniforme al suo dovere e pregiudiciale agli interessi e al decoro della sua famiglia, non bastando l’autorità patema per tenerlo a freno. Prega pertanto l’A. V. R. a voler comandare che egli sia relegato nella Fortezza di Portoferraio, potendosi sperare, che, soffrendo per qualche tempo un tal gastigo, si possa ottenere la di lui emenda. Che della grazia, quam Deus, etc. Se ne occupò l'Avvocato Fiscale di S. A., che essendosi rivolto a Ranieri Tozzi, Vicario di Fivizzano, per le opportune informazioni, ebbe, il 28 decembre, la seguente risposta : iLL.mo Sig." Sig." Pad/ col.·* Sussiste in tutto e per tutto quanto questo Sig. Conte Lodovico Fantoni rappresenta nell’annessa supplica a S. A. R. umiliata. E di fatto , egli, quanto amoraso, altrettanto pieno di zelo per il buono stradamento de’ suoi figli, incominciò ben presto a porgere ni conte Giovanni, il minor dei medesimi, tutti i mezzi più efticad per un’ ottima educazione. Lo instradò prima nel Collegio Nazzareno in Roma e di poi gli procurò un posto nella Segreteria di S. A. R., nostro Padrone. Indi lo inviò a Livorno a servire nel Toscano Reai Reggimento , ed in fine mandato a Torino a servir nelle truppe di S. A. Sarda , dovè farlo tornare sotto i suoi occhi, per tentare se, colla di lui presenza e suggezione, lo rimoveva dalle donne, dal gioco e dai divertimenti, per il che contratto aveva non indifferenti debiti, che il supplicante pagò; vizi tutti che reso lo avevano e lo hanno insufficiente a stabilmente e decorosamente applicarsi a qualche e-sercizio. Moltissime sono state, con l'andar del tempo, le premure e correzioni paterne fatte e fattele fare, ma tutto si è reso inutile, perche la* sciatosi trasportare dal furor giovanile, abusatosi di un più che mediocre talento, di cui è stato dotato, si è sempre più incautamente inviluppato nell’ozio e nei prenarrati vizi, essendo fino giunto a render gravida una certa Caterina Mancini, sena di casa, che poi rommease il noto infanticidio, per cui è stata condannata alla carcere a vita. In* somma , ridottosi senza freno , scosso il giogo della patema autorità, va a gran passi in danno degl'interessi e del decoro della famiglia al precipizio, se non è concessa all'oratore la domandala sovrana podestà e Peconomico temperamento e castigo. — 157 — L Avvocato Fiscale, che era Domenico Brichieri Colombi, il 7 gennaio del 1783 dette al Granduca questo consiglio: « Trattandosi di un tal cattivo soggetto, proporrei umilmente che V. Λ. R. si degnasse di esaudire le preci del di lui padre, rescrivendo : previa ΐobbligazione del supplicante di supplire a tutte le spese necessarie, concedesi come si domanda ». Così rimase stabilito con rescritto del 9 di quello stesso mese (49). Il pentimento venne, e venne schietto, sentito, sincero. Lo provano questi versi « in morte d’un bastardo »; pagina autobiografica delle più commoventi. Pallido figlio della colpa, esangue Frutto infelice di un funesto amore, Che la pena con te porti nel sangue Del delitto fatai del genitore, Perdona al mio dolor, perdona, oh! Dio, Se ti diede la morte il fallo mio. Chi li diede la vita? ahi! che la sorte Puoitrìce de' rei cangiò d’aspetto, E ministra di lei scese la morte A rinfacciarmi un sconsigliato affetto; La vidi e piansi ; ella guatommi e rise E su le membra tue lenta s’assise. Corsi tremante ad abbracciarli, invano Tentando oppormi al minacciato danno, Stesi tre volte la pietosa mano Credula ahi ! troppo del bramato inganno, Mentre sciolta dal fral corporeo velo Forse l’anima tua ridea dal cielo. Avaro Rei la tarda man mi strinse, Che dell’inganno allor stolta s’accorse; Sul caro busto, ove il dolor mi spinse, Immobil caddi, e di mia vita in forse Ed indistinto nel comun periglio Vi fu chi pianse il genitor col figlio. Invan la mesta genitrice, invano La sbigottita tenera famiglia Dal freddo tronco mi guidar lontano Con dolci prieghi e lagrimose ciglia ; Lungi da te, la muta spoglia, come Stringessi ancora, io ti chiamava a nome. Ahi! da quel giorno di perduta pace D’amaro pianto il mesto cuor si pasce, — 158 — E nel mio pianto la memoria edace De’ languenti miei dì muore e rinasce, E parmi innanzi agli occhi ognor presente Il tradito da me figlio innocente. Tremendo Iddio, se al mio fallir, pietoso Posso sperarti, e se col pianto appieno Lavar le macchie, onde trovar riposo Insiem col figlio alla tua gloria in seno A te mi chiama, e fra l’alate squadre M’addita il figlio, e riconosca il padre. Consoliamoci. Labindo ha mutato vita per sempre: d’ora innanzi l’uomo è degno del poeta. (Continua). (1) Il « saggio eroe » è Carlo de’ Maiaspina d’Olivola. Nasceva da una sorella del padre di Carlo Emanuele, di nome Maria Teresa, vissuta dal 1703 al 1770. Carlo Emanuele, nato a Fosdinovo il 31 maggio del 1752, succedette nel feudo al padre, Gabriele, nel 1758, ed ebbe l’investitura imperiale il 7 settembre del 1759. Fin che non raggiunse l’età maggiore, si prese cura grande di lui appunto il cugino Carlo; il quale nel 1783, essendogli morto il fratello Lazzaro, divenne Marchese di Olivola, e ne fu l'ultimo feudatario ; e con lui si estinse anche la sua linea , quando mancò ai vivi, in Sarzana, il 21 febbraio del 1811. (2) A Firenze una malattia tremenda lo mise in fin di vita e dovette la propria salvezza alle cure amorose e sapienti del medico Vamberti : nell’an-dar di guarnigione all’isoletta della Gorgona, sorpreso da una tempesta, corse rischio d’affogare. Allude a queste sue avventure nell’ode XI del libro II co’ versi: Me caro ai vergini lauri castalii Non rese esanime morbo venefico. Non rapi il mare infido Presso il Gorgonio lido. (3) Il padre, prima di metterlo nel Collegio Nazzareno, lo mandò a Su-bìaco nel monastero di S. Scolastica , de' Monaci Benedettini, e vi rimase tre anni. Per testimonianza del nepote, il P. Alberoli, suo maestro, « ad onta d’ogni sforzo, non riuscì nel secondare le segrete intenzioni del padre, che desiderava indur potesse il figlio ad adattarsi a quel luogo ed a vestir l’abito di S. Benedetto i>. Non era stoffa da frate il futuro giacobino! (4) La canta nell’ode XIX del libro II sotto il nome di « Fille bianca di Cairba figlia ». E « l'occhio cerulea Nice », la « bella candida Argene » dell’ode VIII del libro IV; « l’occhi-azzurra infedel » dell’idillio La noia della vita; la « Argene dal soave rossore », che ha varcato « di quattro primavere il quinto lustro », del poemetto II disinganno; la « candida figlia del severo Cairba » del poemetto La pace; la * bionda Irene * dello scherzo Il gabinetto; l’Argene dello scherzo II ritratto. Nel terzo de’ suoi idilli, in* titolato La solitudine, lamenta il tradimento fattogli « da un'ambiziosa * — 159 — Ninfa incostante » ; la designa col nome di Clori, e grida con accento disperato : Dopo due lustri di feconde brame Di corrisposta tenerezza, sparve La mia felicità....... L’ingrata Clori coronò di Mevi, Di me più ricco in numerar l’armento, Le nuove fiamme, ed obliò le sacre Leggi d’amor, e per lo ciel dispersi I vani indimenticati giuramenti. Il preferito dalla traditrice era largo di censo , ma contava più d’ una primavera; nè Labindo manca di scagliare le sue freccie contro il canuto Licida geloso Della...... biondi-bruna Nice Amante e sposo. (5) Claretta G. Sui primordi dell’Accademia militare di Tori?io, nota storico-diplomatica; in II Filotecnico, ann. II, pp. 129-144. — Rogier F. L La R. Accademia militare di Torino, note storiche, 1816-1860, Torino, tipografia G. Candelletti , 1895 ; pp. 25-43. [L’antica Accademia Reale e il 'Liceo (1699-1814) forma il soggetto del cap. II]. — Bertana E. Vittorio Alfieri studiato nel pensiero, nella vita e nell’arte [2 a edizione accresciuta], PP- 43-47- (6) Cfr. Relazione del Piemonte del Segretario francese Sainte-Croix; annotata da Antonio Manno; nella Miscellanea di storia italiana, XVI, 99-100 e 312. (7) Il pranzo di grasso consisteva in un primo servizio di nove portate, cioè « due zuppe, un bollito di vitello, un cappone, tre colombotti, un fricando, una salciccia, un quarto d’agnello, butirro fresco » ; in un secondo, di sette portate, cioè « torta con marmelada, un arrosto di bue, un arrosto di vitello, una farsa, aleroni di dindo, cavoli fiori, insalata »; più, in nove piatti di frutta e formaggio. A cena c’ era un solo servizio, ma di dieci piatti, cioè « una zuppa, un arrosto, un’anitra, uno stufato, un piatto di broccoli, un quarto d’agnello, bas de soie, una farsa, un carré di montone, insalata »; più, sette piatti di frutta. Ne’ giorni magri venivano serviti pesci fini, piatti dolci e frutta cotta. Per gli accademisti acattolici c’erano vivande di grasso. Roberti G. Gli otto anni d’ineducazione di Vittorio Alfieri, Pistoia, Fiori, 1903, p. 6. (8) Per <1 un compagno di viaggio » pagavano pure 75 lire al mese; 60 per € un governatore particolare » ; 25 per il servitore ; e per « un cameriere, o paggio, il terzo di più d’un servitore ». Al maestro di cavallerizza davano dieci lire a testa d’ onorario ogni mese ; sei ogni mese per ciascheduno a’ maestri di scherma, di ballo e di fortificazione. Quest’ ultimo insegnava nel tempo stesso la geometria e l’aritmetica. (9) Dalla « Disposizione delle tavole e delle cucine » deU’Accademia Reale si rileva che per il secondo e per il terzo Appartamento il vitto era il seguente : « La carne sarà calcolata a ragione di onde 15 per ogni bocca che ivi dovrà nudrirsi. Il pollame sarà fisso solamente per ogni giovedì di festa e di vacanza. La quantità del suddetto pollame sarà ragionata ad un quarto di cappone per testa su le persone che avranno pasto nel refettorio. La tassa per i condimenti, per le minestre e per le frutta e per gli altri messi, che non saranno sempre di carne, si calcolerà alla ragione di — ι6ο — soldi sei per ognuna delle medesime persone, compresavi la colazione degli Accademisti, a cui non si darà mai cosa di cucina ». Debbo queste notizie all’ amico cav. Giuseppe Roberti professore nella R. Accademia Militare di Torino. (10) Archivio di Stato di Torino. Regole per li Signori Cavalieri del secondo e terzo Appartamento nella Reale Accademia di Tonno, emanate dal Governatore De Villa, il i 0 novembre 1759. — Cfr. pure: Distribuzione delle ore per gli studj sì letterari, che militari, de' Signori Accademici del secondo e terzo Appartamento dal primo di novembre fino al primo di maggio, fatta parimenti dal Governatore De Villa, nel 1759. (11) Archivio di Stato di Torino. Regolamento dell’Accademia Reale di Torino, colle istruzioni per quei che vorranno esservi ammessi, In Torino. Nella Stamperia di Giacomo Giuseppe Avondo, Stampatore Arcivescovile e della Città, [1769]; in 4.0 di pp. 40, col testo francese a fronte. Lo emanò il Governatore Emanuele Ignazio Cavaliere di Campilione de’ Conti di Lucerna e Valli, colonnello di fanteria nelle Truppe di S. M., il i.° novembre 1769. Era in vigore al tempo del Fantoni, insieme con le Regole del 1759, già rammentate. (12) Vittorio Alfieri, che fu egli pure allievo dell’Accademia Reale, ricorda nella Vita [epoca II, cap. VI] questo stesso maestro di ballo ; « francese, nuovamente venuto di Parigi , che con una cert’ aria civilmente scortese, e la caricatura perpetua dei suoi moti e discorsi » gli « quadruplicava l’abborrimento innato », ch’era in lui, e per codest’arte burattinesca ». (13) R. Archivio di Stato di Torino. Sezione III [Archivio Camerale]. Conti dell’Accademia Reale, (inventario generale, n. 216). (14) Per non moltiplicare le citazioni, dico una volta per sempre, che tutte quante le notizie riguardanti la vita militare di Labindo in Piemonte sono tolte dai registri del Reggimento d’infanteria straniera del Ciablese, che si conserva nella Sezione IV [Archivio della Guerra e della Marina] del R. Archivio di Stato in Torino. (J5) Afferma il nepote che d’ allora in poi « celò modestamente il suo nome di famiglia sotto l’arcadico di Labindo, temendo i giudizi del pubblico, e volendo prima accertarsi se lode 0 biasimo ne dovesse riportare ». Fu la ragione che lo indusse a chiamarsi Labindo nel dar fuori le sue prime poesie; ma acquistata che ebbe fama e popolarità, un’altra ragione si aggiunse per continuare a chiamarsi Labindo, come confessò egli stesso al Ti· cozzi, quella « di non sapere con più semplice predicato distinguersi » da una celebrità vivente, dello stesso cognome, l'idraulico Pio Fantoni di Bologna, al quale intitolò l’ode XV del libro II e l’ode anacreontica : Per la malattia dell'autore. (16) Di alcuni degli Scherzi Labindo stesso fece una scelta per un'edizione che preparava [Cfr. in fine la Bibliografia] e sotto ciascuno di essi v’è scritto a penna l’anno in cui fu composto. Eccone l’elenco: 1767. «La danza ». — 1768. « La dichiarazione ». — 1769· « La divisione ». — 1778· «Al genio degli scherzi»; « A Paimiro Cedonio»; e « La curiosità punita*. — 1779 « Per la malattia dell’autore ». — 1780. « Il ritratto »; e « L’amante contento ». — 1781. « Amore spennacchiato ►; e « Il rivale conosciuto ». — 1782. « Al mirto di.... ». — 1785. * Il giudizio d’amore ». — 1785. dello Spinola, ma « alcune volte » anche del magnifico Francesco Maria Gropallo , cittadino tra’ ragguardevoli. (29) Pontremoli venne dichiarato città dal Granduca Pietro Leopoldo il primo agosto del 1778; Fivizzano, dal Granduca Leopoldo II il 6 luglio del 1848. (30) I feudi de’ Maiaspina in Lunigiana verso il 1780 erano i seguenti: Marchesato di Fosdinovo. Carlo Emanuele Maiaspina, l’amico di Labindo, che mori il 14 gennaio 1808. Conviveva seco il fratello cadetto Azzolino, colto gentiluomo, che visse dal 1755 al 1820. — Marchesato di Podenzana e Aulla. Alessandro di Francesco Maria Maiaspina, nato nel 1729, morto a Firenze il 13 settembre 1789. Gli succedette il fratello Alfonso, Abate di S. Caprasio dell’Aulla , che nel 1795 prese a contendere a Claudio Maiaspina del Ponte Bosio la successione al feudo di Licciana. — Marchesato di Licciana. Ignazio di Iacopo Antonio Maiaspina, nato nel 1714, succeduto al fratello Cornelio nel 1778, morto il 31 decembre 1794 senza lasciar figli maschi. — Marchesato di Villafranca. Tommaso di Obizzone, che, nato nel 1749, ebbe l’investitura nel 1772 e mori il 16 luglio del 1834. — Marchesato di Terrarossa. Manfredi di Bernabò Maiaspina del ramo di Filattiera, nato nel 1720, morto nel 1787. Il feudo tornò alla Camera Granducale. La sua figlia Vittoria [1754-1825], moglie di Giulio Barbolani, conte di Montauto e marchese di Montevitozzo, con la prodigalità dissipò il pingue patrimonio paterno — Marchesato d'Olivola. Lazzaro Maiaspina, che successe al padre Massimiliano ed ebbe l’investitura nel 1759. Mori nel 1783, e il feudo toccò al fratello Carlo, il cugino e tutore di Carlo Emanuele Marchese di Fosdinovo. — Marchesato di Suvcro. Torquato Maiaspina, nato nel 1769, morto a Parma nel 1827. — Marchesato di Jlaslia. Giovanni di Serafino Maiaspina, che ebbe l’investitura nel 1738 e mori nel 1783 a Parma, dove si era domiciliato. Non avendo figli maschi, il feudo passò alla linea di Ponte Bosio. — Marchesato di Ponte Bosio, Claudio Maiaspina, che successe a Giulio, suo padre, nel 1760, e fu erede del feudo della Bastia nel — 163 — 1783· Mon a Carrara il 22 decembre del 1803. — Marchesato di Mulazzo. Azzo Giacinto Malaspina, nato nel 1746, il più geniale de’ feudatari della Lunigiana, che ebbe il comando nel 1774. Era padrone soltanto della metà del Marchesato; l’altra metà apparteneva a Cesare di Gio. Cristoforo, ramo collaterale. Avendo esso sempre trascurato di cercarne l’investitura dall’impero, finì coll’essere dichiarato decaduto nel 1776. L’amministrazione venne affidata ad Azzo Giacinto, che di fatto diventò il solo feudatario. Il Marchesato di Fresarla , Castagnetoli e Giovagallo apparteneva alla famiglia Corsini di Firenze; e ne tenne il comando dal 1767 al 1792 Barto-lommeo di Filippo , al quale successe il figlio primogenito Tommaso. Il Marchesato di Groppoli era proprietà della famiglia Brignole-Sale di Genova. Lo resse fino al 1774 Rodolfo Emilio Maria: gli succedette il figlio Anton-Giulio, morto nel 1803. Il Marchesato di Malgrate era de’ Freganeschi , eredi degli Ariberti di Cremona; ne furono ultimi feudatari Giambattista, poi il figlio Alessandro, padre di Maria, moglie del conte Cesare Castel-barco di Milano. In Lunigiana viveva inoltre una quantità di cadetti de’ Malaspina, alcuni scapoli, altri con famiglia. (31) Della famiglia de' marchesi Pavesi, oggi estinta, viveva a Pontre-inoli Lorenzo, uomo di molta cultura ed erudizione, fratello di Girolamo, primo vescovo della nuova diocesi della città nativa. Fioriva la famiglia de’ conti Damiani, padrona di un grandioso palazzo; e Bernardo che ne fu l’ultimo fiato, per ragione della madre Caterina, raccolse le sostanze de’ conti Tranchedini, e morendo nel 1818 fece suo erede lo Spedale degli Innocenti di Firenze. De’ conti Bonaventuri era in vita Giuseppe , con due fratelli canonici; lasciò un’unica figlia, la quale entrò ne’ Galli, che, sebbene divisi in due diramazioni, son poi affatto scomparsi. Due altre famiglie d’allora son pure estinte: quella de’ conti Sitnonacci-Mastrigiani, di nobiltà recente, ma ricchi, e quella de’ Petrucci, venuta da Siena e rappresentata dal conte Fabio e dal conte Paolo. I Citrini, benché trapiantati a Pisa, venivano a passare una parte dell’ anno a Pontremoli , dove avevano palazzo e possessi. A Pontremoli teneva stabile dimora una delle diramazioni de’ conti Cai mi] l’altra, che per l’eredità del marchese Ferdinando Santi , prese a chiamarsi Caimi-Santi, s’era fatta parmigiana. Primeggiavano pure in Pontremoli i marchesi Dosi, i conti Costa-Reghini e i Venturini. I primi nella loro splendida villa de’ Chiosi, l’anno 1714, ospitarono per tre giorni Francesco Farnese, Duca di Parma, con la moglie; i Venturini per quasi tre secoli dettero allo Studio di Pisa e alle Rote d’Italia giureconsulti di grido. In Fivizzano, insieme co’ Fantoni, fiorivano i conti Benedetti, e allora viveva il conte Corradino, stato erede degli Agnini; ma alla sua volta la famiglia s’estinse e le sostanze toccarono ai Chigi di Siena. V’erano gli Agostini-Trombetti, aneli’essi scomparsi; i Sarteschi, che poi si trapiantarono a Carrara; i Cocchi, poi andati a Terrarossa e a Firenze; i Gargiolli e i Battini-Ponzò, con più altre casate signorili. A Bagnone fiorivano e seguitano a fiorire i conti Noceti e i Querni. Debbo in gran parte queste notizie all’amico cav. Pietro di Giovanni Bologna, l'erudito genealogista della Lunigiana. (32) Formava parte del Granducato quel tratto della Lunigiana, che poi, in forza del trattato di Firenze del 1844, venne ceduta a’ Borboni di Parma e agli Estensi, e che era composta de’ Comuni di Albiano, Bagnone, Calice, Caprio, Casola , Filattiera, Fivizzano, Groppoli, Pontremoli, Terrarossa e Zeri. — IÓ4 — (5 5) In una lettera, che Labindo scrisse da Fivizzano il 29 luglio del 1791 all’ab. Alberto Fortis di Padova, tra le altre cose, gli dice: « Io vivo in Lunigiana satis beatus non dirò unicis sabinis, ma della discretezza de’ miei desideri. Ho un padre vecchio e cagionoso, ch’io amo, benché a tren-tasette anni mi faccia essere figliuolo di famiglia; ho dei fratelli ed un nipote che mi dà le migliori speranze di divenire un uomo non ordinario. Sono poche miglia lontano dal mio buon amico il Marchese di Fosdinovo con cui passo quei giorni che posso rapire alle mie letterarie occupazioni. Converso molto coi miei amici per lettere; pratico poco ordinariamente; e qualche volta, per non divenire poco sociabile, faccio qualche gita in Toscana e nelle vicine città........ Qui ancora esiste ospitalità ; e vicini alla Lombardia, partecipiamo del suo buon cuore. La mia casa è aperta agli a-mici; ed il mio buon padre settuagenario gode d’accoglierli, benché la noia della vecchiezza non lo renda capace di quella delicata urbanità che lusinga e trattiene un forastiere ». (34) Di Pisa sul finire del secolo XVIII fa una bella e interessante pittura Felice Tribolati, Saggi critici e biografici, Pisa, Spoerri, 1891, pp. 257 sgg. Cfr. anche Cian V. Vittorio Alfieri a Pisa] in Nuoi'a Antologia, serie IV, voi. CV1I, pp. 548-589. (35) E una descrizione che il Fantoni fece a viva voce a Stefano Ticozzi, e che questo riporta nel suo cenno intorno a Labindo. Cfr. nota 32 al cap. I. (36) Sulla porta si legge anche adesso questa iscrizione : Theatrvm hoc — Car. Emanvel Maiaspina — Marchio Fosdenovi — restavravit exornavit — a. d. MDCCLXX. (37) Litta P. Famiglie celebri d’Italia. Maiaspina; tav. XV. (38) Carducci G. Un giacobino in formazione (antecedenti) cit. Cfr. Tribolati F. L’ultimo feudatario di Fosdinovo; nel Fanfulla della Domenica, del 19 ottobre 1884. (39) L’arena per il giuoco del pallone era situata fuori della Porta di Sotto nel luogo detto il Fosso. Vi fu scolpita questa iscrizione, che poi dai Maiaspina venne trasportata nella loro villa di Caniparola: Praerupti faciem impar is que loci — in circum modo conversatu — cymnicis ve lut ludis paratam — valido et in altum aedito muro — stipatam — qui dentato robore pulsum —follem pugilatorum — contineret — utrius-que feudi populorum — reiiiota quorumdam segnitie — erario misso — incisa haec inscriptio — pandit — publicae voluptati — dominante vigilantissimo — Marcinone Carolo II — a. d. radcclxxxix. L’avo si chiamò Carlo Agostino, Carlo Emanuele era dunque il secondo Carlo che sedesse sul trono marchionale di Fosdinovo. (40) Branchi E. Storia della Lunigiana feudale, Pistoia, pei tipi di G. Fiori, 1898; vol. III, p. 653. (41) Levò gran rumore una controversia che ebbe nel 1787 con Filippo Sauli Commissario di Sarzana per la Repubblica di Genova. A costui fortemente rincrebbe che il Marchese Carlo P^manuele non gli facesse dono, come era stato solito coi suoi predecessori, di un numero copioso di pernici e di trote. Volle pigliarne vendetta, e insieme con gli Anziani di Sarzana, il 6 d’agosto emanò un decreto col quale si proibiva di estrarre dal territorio sarzanese « grassine e conciumi »; d’introdurvi ortaglie, frutta, erbaggi e simili; di vendere, dare a fido, o in qualsivoglia modo concedere a persone forestiere, cosi all'ingrosso, come al minuto, qualunque cosa, tanto del genere de’ commestibili , quanto di ogni altra sorta , assoggettando i — iÔ5 — contravventori a pene pecuniarie e anche alla carcere. Con un altro decreto, emanato pochi giorni prima, il Sauli aveva richiamato in vigore una legge che proibiva la caccia ai forastieri ; anche questo· per rappresaglia contro il Marchese, che soleva recarsi qualche volta l’anno a cacciare nella Marinella, luogo del Sarzanese. Carlo Emanuele ne fece le più grandi maraviglie , e l’8 d’agosto cosi scrisse al Commissario: « Se to con somma sorpresa che in codesta città siano emanati due decreti che tendono a togliere ogni sorta di commercio co’ miei feudi. Veramente non so adattarmi a credere una novità così strana, e tanto meno so immaginarmene una ragione e verun giusto motivo; ma, ciò non ostante, siccome da’ miei Ministri mi vien data per cosa sicura, qualora sia così, sono a pregare per mio governo V. E. a volermi favorire le copie di tali decreti, che gliene sarò infinitamente tenuto ». Niente gli inviò il Sauli, e nel rispondergli si lagnò di certe proibizioni che si dicevano emanate di recente nel feudo di Fosdi-novo; delle quali però egli stesso mostravasene dubbioso. La sbirraglia venne tosto inviata da lui presso i confini e sulle strade che da Fosdinovo menavano a Sarzana, per fare eseguire il bando e punire i contravventori; fu ordinato agli scafari del fiume Magra che non transitassero in barca alcun fosdinovese; fu vietato ai pescivendoli di Santerenzo di vender pesce al Marchese e ai suoi sudditi ; fu vietato ai fosdinovesi che possedevano in quel di Sarzana di trasportare alle case loro i fieni e le messi mature; venne proibito di trasportare fuori del distretto le olive da frangere; furono duplicate le gabelle delle merci forastiere ; agli osti, ai bottegai, ai venditori tutti venne dato il comando di non osare di vendere cosa alcuna a quelli di Fosdinovo, compreso il pane e il vino. Il Marchese non fece nessuna rappresaglia , ma inviò un suo fidato a Genova perchè fosse cassato il bando del Sauli; e lo fu infatti per decreto della Repubblica del giorno io settembre, pubblicato a Sarzana il 18 dello stesso mese. Cfr. Lettera ingenua che tratta delle controversie insorte tra il Feudo imperiale di Fosdinovo e la Città di Sarzana, scritta da un rispettabile soggetto di Carrara ad nn suo amico di Roma e resa da questi pubblica in ossequio della verità e della giustizia, Roma, senza anno e note tipografiche; in 4.0 di pp. 32. È la storia della controversia, raccontata ne’ più minuti particolari e corredata de’ principali documenti che la riguardano. Fu scritta senza dubbio, o dallo stesso Marchese, o per ordine suo, a propria difesa. Altri opuscoli videro pure la luce. Conosco soltanto La lettera seconda dello scultore carrarese all’amico di Roma in seguito delle vertenze tra il Feudo imperiale di Fosdinovo e la Città di Sarzana, Roma, senza data e note tipografiche; in 4.0 di pp. 16, che è dell’autore stesso della citata Lettera ingenua. Mette addirittura alla gogna que’ Sarzanesi che si erano schierati contro il Marchese e principalmente « il rapace leguleio >, che un dramma giocoso designava col finto nome di Carezza , cioè il giureconsulto Terenzio Baracchini , allora capo degli Anziani. A queste lettere serve di replica la Lettera dello scarpellino in risposta alle due date fuori dallo scultore di Carrara sopra la vertenza ira il Marchesato di Fosdinovo e la Città di Sarzana della quale si trova una copia nella Biblioteca Comunale di Sarzana fra i manoscritti di Giacomo Costa (Cfr. Catalogo della Biblioteca Comunale di Sarzana, Sarzana, tip. Lunense, 1899, p. 157). Sebbene non sia e-scluso che possa appartenere al Costa stesso, poeta non spregevole, e scrittore satirico e mordace, pur la credo opera dell’avv. Paolo Pisani, preso di mira direttamente negli opuscoli sopra citati come « vile susurratore , — 166 — avvocato avvezzo al frequente rimbombo d’un bastone », e designato colla iniziale P. in una nota dov’è detto « professore della più iniqua e terribile maldicenza ». Era tuttavia uomo erudito, come dimostra la sua Lettera sulla storia lunigianese già citata. Della singolare controversia si possono vedere i documenti numerosi e copiosi nelPArchivio di Stato in Genova, Confinium, fil. 159, e Renivi public, fil. 655. Spogliato il Maiaspina de’ propri feudi da’ Francesi nel 1797, mandò alle stampe: An General en chef de VArmée d’Italie le cytoien Charles Emanuel Maiaspina au nom de la famille; in fol., s. n. tip. — Documenti in giustificazione della condotta e in difesa dei diritti del cittadino Carlo Emanuele Maiaspina di Fosdinovo nel Dipartimento delle Alpi Apuane. Nouvelle édition, augmentée des notes par J. S. cytoien français, qui a dernièrement Parcouru en philosophe et eu politique les pays démocrates d’Italie. An V de la Republique Française; in 4.0 di pp. 16, senza note tipografiche. (42) La rocca venne venduta per 5000 lire di Genova, verso il 1823, dal marchese Giuseppe Maiaspina, pronipote di Carlo Emanuele ; la ricomprò per la stessa somma il Governo Estense, e ne fece la residenza del Delegato governativo e del Comando militare. Fu allora che vennero imbiancate le pitture del salone. Abolita la Delegazione governativa il 15 aprile del 1840 e riunita la Lunigiana Estense alla Provincia Massese, la rocca servì di villeggiatura , prima ai Governatori, poi al Collegio che i Gesuiti tenevano a Massa. Il Demanio la vendette all’amministrazione dello Spedale di Fosdinovo, il 9 gennaio del 1866, per 12000 lire. La ricomprò la famiglia Maiaspina nel 1867, e dal marchese Carlo fu poi ceduta al marchese Alfonso, il quale la fece restaurare e l’abbellì d’affreschi, rievocanti le glorie della Casa, e tra le glorie prima di tutte, più durevole di tutte, l’avere a Dante addolcito le amarezze dell’esilio. (43) Ferrari E. Memorie storiche di Fosdinovo, Sarzana, tip. Lunense di Luigi Ravani, 1873; pp. 91-92. (44) Anche della villa che i Maiaspina di Fosdinovo hanno a Caniparola, presso Sarzana, Labindo fu ospite un’infinità di volte. Questa villa, che nella sua origine era un’antica torre, venne ridotta un suntuoso palazzo da Gabriele Maiaspina, padre di Carlo Emanuele, nel 1724; e l’addobbò ricca-, mente, circondandola di un ampio giardino. Fu quasi tutta dipinta dal pittore Tempesti di Pisa, che soggiornò ben trent’anni in casa de’ Maiaspina, e dipinse anche il loro palazzo di Pisa. (45) La sposò nel 1776. Cfr. Raccolta di componimenti poetici per le faustissime nozze di Sua Eccellenza D. Carlo Emanuele Maiaspina, Marchese di Fosdinovo, Gragnola, ecc. ecc. con Sua Eccellenza D. Eugenia Marchesa Pine Ili, dama genovese, In Massa, MDCCLXXVI. Per Giambattista Frediani Stamp. Ducale; in 4.0 di pp. 28. Ne sono autori il dott. Giuseppe Maria Uccelli, genovese, Commissario del feudo di Fosdinovo, Pah. commendatario D. Genesio Mussini, il dott. Cesare Loschi di Piacenza, il Padre Innocenzo Maria Laurenti de’ Servi di Maria, Pab. G. B. Grassi,’ Luigi Ortalli, Gamaliele Marchini e Niccolò Bassi. (46) Cfr. Saggio bibliografico, al quale si rimanda per tutti gli accenni alle stampe delle poesie e prose fantoniane. (47) Labindo non solo recitò VElogio di Maria Teresa, ma fu Panima dell’esequie che i fivizzanesi celebrarono alla morta imperatrice ; pagina fin qui ignota della sua vita. Non senza interesse è la descrizione che ne fcce la Gazzetta di Firenze. Leggendola, si rivive a Fivizzano in que’ giorni. — i67 — Eccola. « Nella Prepositura de SS. Iacopo ed Antonio, previo per tre giorni consecutivi il lugubre suono delle campane, si sono fatte, a spese di tutte le famiglie più distinte, solenni esequie in suffragio della defunta Imperatrice Regina Apostolica, madre del clementissimo nostro Sovrano. In mezzo alla chiesa, disegno del rinomato antico architetto sig. Cantagalli, divisa in tre navate da due ordini di colonne doriche, tutta addobbata magnificamente a lutto, sorgeva un grandioso catafalco, di forma quadrata , al quale si saliva per quattro scale, che dividevano una balaustrata, ornata sopra di piccole guglie e ne’ canti di quattro statue simboleggianti la Clcme7i2a, la Carità , la Beneficenza e la Religione. Su di un piedestallo , ornato delle armi austriache e di funebri insegne, posava un’urna, abbracciata da sfingi mortuarie, e nella facciata della stessa si vedevano raffigurati quattro bas-sirilievi, cioè: « Maria Teresa che presenta all’Assemblea il bambino Arciduca »; « Il Maresciallo di Kevenuller che palesa all’esercito la lettera ed i ritratti inviatigli dal campo di Lansut »; « Un Ministro che pubblica un generale perdono ai contadini della Boemia che si erano ribellati »; « Maria Teresa che detta nuove leggi a favore dell’ umanità e mostra orrore per i tormenti ». Reggeva questa una parte di obelisco , con 1’ effigie in ritratto di S. M. C., e nella sommità vi era uno strato di velluto, frangiato d’oro, ed un cuscino, con scettro e diadema imperiale; nella base poi si leggeva: Monumentum amoris virtuti erectum sacrum immortalitati. Tutta la macchina poi restava sotto un gran padiglione nero, dal quale si partivano quattro cascate, foderate a guisa di ermellini, e sostenute ne’ lembi alle pareti da quattro aquile coronate. Le pitture, medaglioni ed altri ornati e figure sono state bravamente eseguite dal nostro pittore Ercole Lemmi, già allievo del famoso professore romano Domenico Muratori. L’illuminazione, tutta a grossa cera, è stata copiosissima è vagamente distribuita, tanto intorno al catafalco, che su i viticci e bracci sopra le colonne , lampadari delle arcate ed altari delle cappelle. Gli accademici Filarmonici si sono contradistinti, concorrendo gratis a tutta la sacra funzione, con l’esecuzione felice d’una scelta e buona musica, eccellentemente composta e diretta dal reverendo sig. Antonio Lamberti, Maestro di Cappella della Scuola Napoletana e membro della predetta Accademia, che ha riscosso l’universale gradimento ed applauso, tanto per la parte instrumentale, che vocale. Nel tempo della solenne messa, celebrata pontificalmente da questo sig. Proposto, ha recitata una bellissima orazione funebre, scritta con il più terso stile ed elevati sentimenti e caratteristici della defunta Sovrana, il sig. conte Giovanni Fantoni, patrizio fiorentino e mantovano , avendo preso per tema il motto de’ Proverbi: Lex clementiae in lingua eius ; ed in seguito sono stati distribuiti de’ sonetti stampati, allusivi a’ detti funerali. Hanno poi assistito alle cinque assoluzioni dell’esequie cinquanta parrochi, coi loro proposti, arcipreti e pievani , tutti di questo Vicariato, e coi superiori delle Religioni Agostiniana, Francescana, Carmelitana e Servita. Questi tutti facevano corona al feretro, con torcetto acceso in mano, duranti le dette esequie, e tutta la mattina gli altari sono stati coperti di messe piane da’ reverendi sacerdoti, con l’applicazione de’ suffragi, quali si continueranno domani con la recita de’ divini uffizi ed illuminazione di tutte le confraternite. Le persone nobili ed i Regi Ministri, vestiti a bruno, sono intervenuti a tutta la funzione; ed in forma pubblica, nella residenza degli antichi Governatori, il sig. Pietro Mortani, Vicario per S. A. R.; che inoltre ha fatta distribuire il quest’occasione una ricca elemosina a più di 500 poveri. Il concorso è, — 168 — stato grande de’ forastieri della Provincia e de’ paesi circonvicini, essendo ognuno rimasto soddisfatto della magnificenza ed ottimo regolamento con cui il tutto si è eseguito, mediante la direzione ed assistenza prestata da’ sigg. conte Giovanni Fantoni suddetto e Giambattista Duranti. Nella facciata esterna della chiesa, oltre i diversi componimenti poetici, sulla porta di mezzo, fra gli ornati funebri, si leggeva la seguente iscrizione del signor conte Luigi Fantoni, noto per altre sue produzioni letterarie: Manae . The-resiae . Augustae — Hungariae . Bohemiae . Reginae . Archid . Austriac — qjcod — dilata . regnis . ac . virtutibus — subditarum . nationum . maiesias . amor . et .felicitas — novum , beneficentiae .genus . invexerit — orbi . nomen . Hetruriae . patrem . in . nato . dederit — omnis . aevi . foeminae . suavissimorum . principum . matri — comunem . Europae . moe?-orem . Lunensi . in . provincia . assequuti — Fivizanenses . oppidani — non . postremi . amore . gratique . animi . devotione — aere . proprio — coiitra . votum . ereptae . justa . persolvunt. Anche i PP. Minori Osservanti di S. Francesco di Fivizzano fecero un triduo nella loro chiesa, « mediante un loro speciale amorevolissimo benefattore, pieno di attaccamento all’augusta Casa sovrana»; il quale, «con rara e mirabile largita», lasciò poi in dono tutta la cera a quei Religiosi, « per Γ ascendente valore di piastre cento ». (48) Così scrissero : « La morte già da un anno seguita della Imperatrice Maria Teresa d’Austria, di sempre gloriosa rimembranza, fu un accidente che animò le penne più scelte della nostra Italia ad eternar la memoria di una regnante che è stata la gloria dell’età nostra e che formerà sempre una parte interessante ne’ fasti dell’ universo. Sarebbe stata un’ impresa troppo ardua se avessimo voluto inserire gli estratti di tanti elogi che da molti felici ingegni Italiani sono stati colle stampe pubblicati , e che hanno meritata l’approvazione della letteraria repubblica. Egual silenzio peraltro non ci permette di osservare il sig. conte Giovanni Fantoni , del quale annunciamo al pubblico un elogio dato non ha molto alla luce. Lungi egli da quella ampollosa eloquenza e da quella affettata adulazione che 9uol essere il corredo di simili produzioni, invita i sudditi, i monarchi, l’universo a giudicare della pietà , della clemenza e della beneficenza della defunta e-roina, e rintracciando tutte queste singolari virtù nelle gesta sue più luminose, ci porge della medesima quella giusta idea che si conviene. Ma ciò che più di tutto rende degno di lode il nostro autore si è, che non pago egli di esporre con uno stile naturalmente sublime le azioni più celebri di Maria Teresa, le sottomette alle mature riflessioni di una giusta critica, e qual filosofo ed oratore combinando felicemente insieme questi due caratteri, mentre nel suo elogio fa sfoggiare mirabilmente l’italiana eloquenza, compagna vi fa trionfare la semplice verità. Di buon grado ci diffonderemmo maggiormente a dare al pubblico un più minuto saggio di questo elogio, ma lasceremo che se ne gusti in fonte tutta la sua eccellenza, e rinnovando al eh. sig. conte Fantoni le meritale lodi per questo suo singoiar lavoro, desideriamo con ansietà che ci onori spesso con nuove ed egualmente belle produzioni i>. Cfr Effemeridi letterarie di Roma, tomo undecimo contenente le opere enunciate nell’anno MDCCLXXXII\ In Roma, nella Libreria all’insegna d’Omero al Corso [nella stamperia di Giovanni Zempel], n.‘· VII, li 16 febraro 1782, p. 53. (49) R· Archivio di Stato in Firenze. Auditore fiscale. Affari di Polizia, filza i.a dell’anno 1783, al n.° 48. DOCUMENTI E NOTIZIE PER LA STORIA DELL’ISTRUZIONE IN GENOVA La scuola, a comune giudizio, è un fattore potente della civiltà di un popolo; vai quindi la pena di rintracciarne le memorie più antiche, e di proiettare così un raggio sulla coltura della mente e dello spirito che da quella emana ; donde gli animi sogliono qualche volta educarsi a virtù e trovare sollievo nella sventura. Le scuole antiche di Genova, riferendoci al medio evo, si possono distinguere in episcopali, claustrali e laiche. Le prime ebbero luogo presso i Capitoli delle chiese cattedrali : il maestro era scelto fra i canonici ; a Genova si chiamava magiscola (magister scolae), ed era tenuto in alto concetto , sicché nelle grandi solennità , si cingeva anche della mitria. A lui rivolgevansi spesso i pontefici per questioni di somma importanza. Difatti Ottobono Scriba riferisce al 1179 che Ugo, allora arcivescovo di Genova, chiamato da papa Alessandro III all’ universale lateranense concilio , vi andò accompagnato da Ogerio Galletto magiscola della nostra Cattedrale. Innocenzo III a sua volta, con lettere del 28 maggio 1201, delegava pure il nostro magiscola e l’abate di Borzone a decidere una controversia attinente al diritto canonico sorta fra l’Arciprete di Rapallo e il Rettore di Sant’Ambrogio della Costa (1). In carta del 1191 si ricorda un presbiter Iordanus allora maestro della collegiata di S. Lorenzo (2). All’anno 1254 rimonta un documento , riferito dal Poch , che termina con questa clausola: Actum Januae in domo Archiepiscopi ufo reguntur scote per magistrum Rubaldum, donde si può anche arguire dove risiedesse probabilmente la scuola del ma- li) Brizzolara, Storia dell'Abbazia di Sani’Andrea di Borzone, pagi ne 62-63. (2) Spotorno, Si. Leti, della Liguria, vol. I, p 308. Giorn. SI. e Lelt. della Liguria. 12 — I70 - giscola (i). In altri atti del 1299 si legge pure: Actum Ja-nue in canonica S. Laurentii in camera majuscolae^ pre-^ sbyteri Ugonis magistri scolanm Januae (2). Fra i testimoni ai capitoli di pace conclusi dai Genovesi con i Pisani pel possesso della Sardegna e della Corsica, compare: dommus Tedixius magister scolarum S. Laurentii Ianue (3). Finalmente in una delle pergamene appartenenti a S. Stefano troviamo scritto: Actum Ianuae in claustro S. Laurentii, in camera domini lacohi magistri scolarum ecclesiae Ia-nuensis an. nativitatis 1335 (4). Sollecitata dai Papi, da Carlo Magno e dal suo ministro Alcuino si sviluppa la scuola claustrale, dove col fervore della religione s’ accoppia lo studio dell’ arte nel suo triplice aspetto letterario, pittorico ed architettonico. Dalla Scozia scendono monaci di un’ alta coltura, diffondendola nelle Gallie ed in Italia. San Colombano fonda la Badia Bobbiense, e vi promuove colla scuola anche il lavoro dei campi, sia 1’ una che 1’ altro imposti già nella Regola dal fondatore dellOrdine. Cosicché avresti veduto dei suoi seguaci gli uni fissare sui codici fra le più smaglianti miniature il profondo pensiero dei filosofi e dei poeti antichi, quando per Γ appunto pareva più che mai obliato se non quasi estinto ; altri invece propagare la coltivazione dell u-livo, già sacro simbolo di sapienza ; e tutti ad una mettere in quest’opera di pace e di umanità quella energia che 1 più allora ostentavano nel solo maneggio dell’armi. Le materie del trivio e del quadrivio informavano press’ a poco (1) Poch, Misceli.. Mss. Bibl. civica Genova, Vol. V, Reg. 11, p· 9^· (2) Spotorno, op. cit., v. I, p. 309. (3) Liber Jurium, II. p. 127 sg. Lo stesso magiscola Tedisio presenta lettere pontificie nanti il not. Corrado Stefano nel 1297. (R. Arch. di Genova, detto not., reg. unico, pag. 108). (4) R. Arch. di Genova, Fascio delle pergamene di S. Stefano in fine. Altri magiscola sono ricordati dal doc. seguenti: dai Reg. 14 (num. 1790) dei Litte-rarum all’anno 1447-48, 5 marzo. Ivi si legge: Nobilis d. Spine ta ex mar-chionibus Malespinis de Tercerio acolitus V. Sanctitatis et magiscola Eccl. nostrae Cathedralis. In Divers., Reg. 139, an. 1468 : Pro domino Iohanne de Serra magiscola qui dicit excepisse in suam habitationem Magn. Dow. Potestatem pridie ex Mediolano profectum. E lo rifanno delle spese, devolvendo L. 15 dallo stipendio del podestà in suo favore. Vedi inoltre Art. Ferretto in Eco d’Italia, 1894, in nov. Maestri e scolari. — 171 — il# Pro8Tranima didattico della scuola benedettina. È probabile che questa non mancasse nelle più importanti badie liguri, sebbene per la coltura non godessero la fama a cui si levarono quelle di Subiaco e di Fulda (i). I Padri Domenicani, stabiliti che furono in Genova, non tardarono di molto ad istituirvi lo studio. Infatti nelle carte raccolte dal Muzio troviamo un documento del 1229 che fa menzione delle loro scuole (2). Ivi pure nel 1377 il Collegio dei giudici elegge i suoi procuratori (3). In esse insegnava senza dubbio, Giovanni Balbi genovese , dell’ ordine stesso, autore del noto dizionario latino che volle intitolare « Catholicon ». Dal Giustiniani vien ricordato con queste brevi parole: « Fiorì ancora Gio. Balbo genovese dell ordine dei predicatori, del quale, come ha scritto il Sabellico, sono uscite molte opere letterarie ed utili ai studiosi, e massimamente in quelli tempi ch’era penuria e gran scarsità di lettere » (4). Essi conferivano anche pubblicamente il titolo e le insegne magistrali, come risulta da un atto notarile del 1387 dove magister Antonius ordinis praedicatorum commissarius et exequtor apostolicus publice dedit Fratri Beltrami dicti ordinis insignia magistralia haec est biretum rotundum (5). (1) Mabillon, in Praef. Actis Sanctorum ordinis S. Benedicti, ed. 1732, pag. 268, dice: Porro in singulis Coenobiis maioribus Scolasticus instituebatur, id est scolarum magister, qui non solutu i?i scripturarum divinarum scie?itia ex ce lier et, sed etiam in litteris saecularibus, id est in mathematica, astronomia, aritmetica, geometrica, musica, retliorica, Poesi et in caeteris omnibus. La scuola in origine si biforcava in due, quella degli interni e quella degli esterni, la qual ultima si ridusse poi ai soli giovanetti oblati e fu infine soppressa: il motivo si legge nello stesso autore a pag. 118: Postea vero quam tepescente religione datus est locus parentum cupiditati, qui levandae familiae causa non devotionis si quos gibbosos, deformes, stupidos et saeculo ineptos haberent filios, Monasteriis includebant; res iri mo7iaslicae disciplinae versa dispendium, aboleri dein coepit Tosti. Stor'ia della Badia di Montecassino, Vol. I, pag. 221: « Tenevano floridissime scuole di giovanetti che nutricavano non solo di sacra, ma anche di civile sapienza ». San Pier Damiano, Epist. 17 del libro 2.0. (2) Spotorno, op cit., Vol. I, pag. 309. (3) Arch. cit., Notaro Paolo Lanfranco. (4) Armali, Vol. I, anno 1288. (5) Arch. cit., Richeri, Fogliazzo B, foglio 40, col. 5. In quanto all’usanza di conferire le insegne dottorali ripete le sue origini da un’epoca assai — 17 2 — Rispetto alle scuole laiche niuno ignora che Lottano, affinchè cessasse l’incuria dilagante per tutta l’Italia d’ allora in fatto di dottrina, avea messo le basi di ampie circoscrizioni scolastiche, e nominato in otto città del regno, altrettanti maestri, additando pure i paesi limitrofi donde gli scolari dovessero recarsi a quei centri di coltura e d i-struzione. A Pavia, alla scuola di Dungalo, monaco oriundo della Scozia, era prescritto di accedere ai genovesi insieme a quei di Milano, Brescia, Lodi, Bergamo , Novara, Vercelli, Tortona, Acqui, Asti e Como (i). Non si tratta solo di una scuola pei fanciulli, come osserva il Salvioli, ma di maestri che svegliassero le attività intellettuali e infondessero la dottrina agli scolastici, cioè a persone già dirozzate ed avviate agli studi (2). Ma di maestri 0 laici od ecclesiastici privati , che prestano 1’ opera loro a condizione, previo un contratto , o tengono scuola in casa propria o si convengono di insegnare a conto di altri maestri od anche in società , si trova di frequente memoria nei notari. Già un atto del 1221 , ci apprende che Gio. di Cogorno colloca suo figlio Enrichetto presso un notaro, affinchè gli serva da amanuense ed anche a fare scuola: e con un altro del 1248 il maestro Pagano promette a Conrado Calvo banchiere di insegnare ai figli di lui Guglielmo ed Emanuele il Saltero ed il Donato , finché sappiano leggere corretta- remota. Infatti si legge in Paolo Diacono {De Gestis Longobardorum , libro 6 °, cap. 7.0), che re Cuniberto donò a Felice insigne maestro nell’arte grammatica in Pavia baculum argento auroque decoratum inter reliqua suae largitatis munera. (1) Il sesto dei Capitoli promulgati a Cortolona l’an. 825 (cfr. Monumenta Germaniae Historiae, Voi. ΙΓΙ a pag. 249), riportato pure nei Documenti dall’Isnardi, Storia dell’ Università dì Genova, dallo Spotorno e dal Salvioli, dal Giesebrecht e dallOzanam nell’opere loro sull’istruzione. A questo regio proclama fa eco il canone di Eugenio II, il quale è inspirato alle comuni lagnanze sulla deficienza d’una coltura letteraria. Sulla precedenza poi più dell’uno che dell’altro si è fatta una quistione. Il Muratori fa Dungalo oriundo della Scozia e monaco, indi soggiunge: « fui anch’io il primo ad osservare che Dungalo donò buona copia di libri all· antichissimo monastero di S. Colombano di Bobbio, dei quali poi passarono le copie in altre parti d’ Italia ». (2) Salvioli , VIstruzione pubblica in Italia nei sec. Vili IX e X, pag. 21 — 173 — mente a giudizio di un buon maestro. E ciò per soldi 12 (1). Qui si parla soltanto di leggere , ma in quanto allo insegnare a scrivere , ci voleva del bello e del buono , non tanto per la scarsezza e la preziosità della pergamena, quanto per il prezzo assai caro della carta bambagina e del papiro. A tal uopo non era ancora scomparso Γ uso delle tavolette cerate di cui fanno cenno Orazio e Petronio nelle loro satire. Infatti il 10 agosto del 1283 Ponzio Ermengardo di Montpellier e Costantino Anglo , convengono di fare società per un decennio neirindustria di fabbricare simili oggetti da scrivere (2). Inoltre molti documenti manoscritti firmati dal signum manus, attestano che pochi sapevano scrivere. Ed era appunto il notaro che sopperiva al bisogno degli interessati, quando nell’ora che le contrade si facevano più frequenti, vi discendeva provvisto di penna e di calamaio , per servire ai suoi clienti. Del 1273 addì 14 aprile un Andrea, canonico di S. Maria di Castello ed il maestro Guglielmo di Novara, fanno vicendevole promessa di non accettare più per un anno nelle loro rispettive scuole allievo alcuno , oltre quelli che già tengono. Fra i testimoni apparisce Ballano di Novara esso pure maestro di scuola (3). Poco dopo, 1282 3 gennaio, è (1) Archivio cit., not. Giovanni de Amandolesio, 16 febbraio 1221: Ego Iohannes de Cucurno loco tibi magistro Bartholojneo notario filium meum Enrigelum usque ad annos quinque proxime venturos ad standum tecum et tibi serviendum et ad disciplinam tuam audiendum et scolares tuos prout melius sciverit educendmn et ad scripturas quas eidem facere preceperis scribendas. Promittens tibi me facturum et curaturum quod usque ad dictum terminum tecum stabit et quod res tuas que penes te fue7‘int bona fide custodiet et selvabit et non fugiet nec te dimittet et si fugiet eum u sque ad dies tres post fugam ad tuam disciplinam et ad tua reverti faciam servicia facienda et quod scripturas quas volueris tibi scribet et libros quos sibi docueris et donatum et psalterium in tuo ordine mandato edocebit. Insuper promitto dare tibi pro menstratura et doctrina dicti filii mei libr. i sol. XI, usque ad annos tres videli.et annuatim sol. X ecc. Actum Ia-nuae in Ecclesia Sancti Laurentii. — Isnardi , Storia dell1 Università, vol. I, pag. 248. (2) Arch. cit., in not. Guido di S. Ambrogio, vol. unico, pag. 204. (3) Arch. cit., Not. Faccio de Sancto Donato, pag. 105: Magister Andreas Canonicus ecclesiae sancte Marie de Castro ex una parte et magister Wilielmus de Novaria ex altera ex pacto adhibito inter eos et pure amice — 174 — ricordato un presbyter Guido de Manctrolio , m agis tei scolarum, abitante nel borgo di Santo Stefano (i). Da certe stipulazioni trasparisce anche l’indirizzo didattico a cui si tiene obbligato il docente ; mentre da una parte, come sopra si è visto , il Donato e il Salterio formano come un programma per 1’ avviamento allo studio dei classici, dal-Γ altra invece scorgiamo un insegnamento pratico , e direi più conforme a quello delle odierne scuole tecniche. Infatti Salvo da Pontremoli, maestro di grammatica (i maggio 13io), promette a Gio. Piacentini abitante in Genova, di insegnare a suo figlio a leggere gli instrumenti ed a redigere brevi scritture in guisa che divenga sufficientemente capace di servire da scrivano in qualche scagno. Onorario soldi 25 (2). Non molto dopo il medesimo stabilisce con Antonio da Tribogna di ammaestrare suo figlio tanto che nello spazio di quattro anni sappia leggere ed anche scrivere lettere brevi, per bene e a sufficienza secondo l’uso dei mercanti di Genova. L’onorario e di lire due ogni biennio, più dieci alla fine (an. 1317, 3° niarzo) (3). Questa specie di locazione d’ opera poteva parimenti aver luogo fra il maestro ed il Comune , sebbene non risulti che esistessero delle scuole stabilite per legge o consuetudine a carico del governo. In due documenti del 1374 e I37^ veggono registrati gli stipendi annui di 100 fiorini che la promiserunt convenerunt unus alteri vicissim quod ad annum unum proxime venturum aliquis illorum non docebit nec accipiet in scolis suis ali-quem puerum ex illis quos nunc habent alioquin penam sol. 40 Ianue unies alteri dare et solvere promittunt ecc. Actum Ianue in domo in qua regit dictus magister Andreas; a. 1275 14 aprile. (1) Arch. cit., Notari Angelino de Sigestro e Giacomo Nepitella, a pagina 120 del Reg. 2. (2) Arch. cit.. Not. Corrado de Castelli di Rapallo, filza 8. anno 1310, i maggio « ....... quod dictus Bartolomeus sciet legere instrumenta et scripturas facere breves et quod erit sufficiens pro serviendo in quadam apotheca pro scriba. Et dictus Ioannes promisit sol. viginti. Actum Ianuae in domo ipsius magistri ». (3) Arch. cit., Not. Ugolino Cerrino, Registro unico, anno 1317, 30 marzo, pag. 67 v. Altra menzione ne è fatta nel not. Antonio de Gregorio, F. 2, anno 1315 , 5 die.: « In nomine Domini amen. Ego Conradus de resto f. qm. Gulielmi de resto Confiteor tibi magistro salvo de Pontremulo me tibi debere dare et solvere s. sex Ianuenses occasione documenti a te recepti et — 175 — Repubblica paga ad Antonio de Calcina dottore di grammatica, e di soldi 240 al maestro Simone de Alexa (1). Il nome di questi maestri, la patria, la località stessa dove abitano, balzano fuori da quelle vecchie carte quando in testamenti, quando in atti per nomina di procuratore, o in altri di manomissione, di locazioni, d’affitto o in fine in veri contratti di servizio e di società (2). Nativi il più delle volte di qualcuno dei paesi rinchiusi nell’ambito dell’antico dominio della repubblica , questi magistri scholae, questi professores grammaticae, ed artium do et or es, spesso vanno randagi di città in città, di borgo in borgo, per fermarsi dove paia che possa meglio brillare alla loro mente la speranza di una condizione più commoda e più lucrosa. E Gènova era appunto, come tuttavia, una delle città por- librorum a te receptorum et prò nutrimento filii mei Gulielmi a te recepti per me et filium meum predictum. — Actum Ianue, in scolis dicti magistri Salvi ». Risulta quindi che riceveva la somma per aver scritto un documento e dei libri per conto di un certo Corrado de Resto e per la pensione e fors’anco l’insegnamento dati al costui figlio. (1) Arch. cit., Reg n. 57, Magistrorum Rationalium, pag. 8, an. 1374 « Anthoniolus de Calcina, doctor grammaticae debet nobis pro Napoleone Lomelino et sociis libras LXII et sol. X et sunt pro eius provisione ad ra-cionem florenorum 6 in anno: pro mensibus sex inceptis in kal. februarii proxime preteriti et finiendis in kal. augusti proxime venientis ». — Car tui. pro massaria Caffae. car. 330 v., 20 febbr. 1375: « Magister Symon de A-lexa mag scolarum pro suo salario quod est solidos 240 in anno ». (2) Arch. cit., Not. Cristoforo de Rovellino, Filza I, n. 109 : 1377, 15 ag. « D. Magister Antonius de Ceva magister scolarum habitator Ianuae ad portam S. Andree » — Filz. XI, n. 228 : 1398, 26 giugno , lo stesso fa società. col maestro Andrea de Petrarubea. — Filz. I, n. 35: 1379, 1 agosto, Matteo Bezossi maestro di scuola fa testamento: « Actum Ianue in contrata sancti Pancratii in domo dicti magistri ». Fra le suppellettili sono pur nominati : « liber Virgilii novus scriptus propria manu dicti testatoris qui nondum est ligatus. Liber Terentii ligatus in tabulis coopertus corio albo. Liber trajedarum senece non ligatus. Liber platonis qui non est completus. Liber salusti completus. Liber Iuvenalis completus. Liber loyca alberti magni scriptus in carta. Liber topicarum Aristotilis super octo volumina ». — Ivi, n. 34: 1394, 15 gennaio: « M. Veronus de Casali magister scolarum gramaticae et Petrus de Laborantibus » pur maestro fanno un compromesso. — Filz. XI, pag. 48 e 135: 1397, 12 gennaio: « M. Veronus de Resascho de Casati magister scolarum grammaticae » in Genova nomina un procuratore. _ 1397, 20 marzo: « dom. mag. Oddonus de Mellanis de Pochapalia magister scolarum gramatice » nomina procuratore — Lo stesso manomette Bartolomeo suo schiavo, tartaro. - 176 — tate in palmo di mano pei traffici fiorenti e la rispettiva ricchezza. Ma il vago miraggio cedeva talvolta ad una vera disillusione, quando le discordie e le lotte intestine turbavano il quieto vivere e quella serenità che è troppo indispensabile non tanto ai docenti quanto alla scuola, ed essi correvano il rischio di avere la peggio, come accadde precisamente a quel disgraziato umanista che fu Antonio Cas-sarino (detto altrimenti Antonio Siculo), il quale , tumultuando il popolo in sulle piazze della città, e presa di mira anco la sua casa, mentre cerca un varco alla sua salvezza sopra due assi di legno adattati lì per lì fra il davanzale della sua stanza , e quello prospiciente della casa attigua, precipita sulla pubblica via, restandovi esanime (i). Peggiore flagello erano poi le epidemie. Antonio Astesiaho da Villanova , in una sua epistola in distici latini indirizzata al fratello Niccolò, racconta che, fuggendo da Pavia per \ mettersi al riparo dalla peste del 1431, arrivato a Genova apre una scuola per suo conto in una delle tante villeggiature circostanti : ma anche qui, incalzato dalla epidemia e dallo spavento, in vedersi repentinamente rapiti dalla morte due dei suoi allievi, è costretto a fuggire, e mentre si trova in viaggio alla volta d’Asti, corre pure il pericolo di naufragare alla foce del torrente Cerusa (2). (1) Mongitore, Bibliotheca Sicula, pag. 58, Palermo, 1707. — Neri, Noterelle d’archivio, in Giorn. stor. e lett. della Liguria, a. V, pag. 31. (2) Muratori, Rer. Ital. Script., vol. XIV. Verum ut propositum repetam, carissime frater, Quando Ticinensi pulsus ab urbe fui Excepit meos, ut dixi, Genua gressus In qua hominum victus carior esse solet. Quum mihi tunc esset, velut ante, pecunia pauca, Qua possem vitam vix tollerare meam Civibus a multis pretio conductus honesto Incepi natos instituisse suos In quadam ex Villis quas illi tempore semper Aestivo cives incoluisse solent Non steteram in villa per menses quattuor illa Quando supervenit horrida pestis ei Quae de discipulis quos illic ipse docebam Abrasit subita morte repente duos. Di questa istessa epidemia si trova un altro riscontro in una petizione fatta dal maestro Bernardo della Torre da Castelnovo il 21 marzo 1430 : — 177 — D’altronde la Repubblica cercava pure d’adescare questi maestri accordando loro ogni sorta di immunità, esentandoli da ogni altro pubblico servizio , e largheggiando, il più che poteva, nello stipulare le loro convenzioni col Comune per la tassa che ogni professionista dovea pagare. Infatti addì 27 maggio del 1420 il Doge e gli Anziani: Scientes.......... quot scolar es omni doctrinarum virentes genere , opera sua, studio et incessanti cura perfecerit Egregius Artium doctor Magister Ludovicus de Guastis, audito et per aliquos egregios cives coram dominis Antianis exponentes Magistrum Ludovicum Saonam iturum cum optimo salario, ab eisdem Saonensibus postulatum, supplicantes ne hoc paterentur, ne serenissima civitas nostra huius tam u-tilis viri spoliaretur persona, 'consentientes eidem Magistro ultra alias immunitates eius, immunitatem perpetuam dederunt et concesserunt, dant et concedunt ab omnibus et singulis avariis angariis, mutuis, solutionibus reatibus et personalibus francum, liberum, et immunem creant (1). Ai Lombardi poi che contraevano matrimonio in Genova, per 10 anni erano accordati privilegi e convenzioni speciali, come risulta da una supplica di un Gio. Massorio, professore di grammatica, il quale richiama questi diritti in suo favore (2). Dagli stessi atti notarili ci risulta inoltre che due o più maestri potevano stipulare veri contratti a base « Supplicatur et humiliter exponitur vobis d.° d.° Archiepiscopo ducali gubernatori et consilio antianorum prò parte magistri Bernardi de la turre de Castronovo grammatice professoris. Cum gr.ivatus sit in avariis ab octo annis citra taliter quod nullo modo tolerare potest, considerato quod ubique locorum grammatice professores sint immunes tamquam avariis realibus quam personalibus ac etiam attento quod jam septem mensibus elapsis gramatice professores huius civitatis non possunt suum officium exercere propter epi-demias regnantes, ac etiam considerato quod in terra castronovi est suppositus avariis ecc. ecc. » implora che gli sia alleviato il peso della sua convenzione almeno per un quinquennio. Il governatore rimette la pratica nelle mani dell’Officio expense ordina7-ieì ricordando però « quod professores gramatice in diversis mundi partibus non sunt suppositi oneribus realibus vel personalibus, quod dictus magister Bernardus est valens in arte sua quamvis pauper nec ob hoc generatur grande preiudicio comuni ». Arch. cit., Diversorum, filz $.a, n. 224. (r) Arch cit., Diversorum, 1. cit. (2) V. Documenti. — 178 — di società, valevoli ordinariamente per la durata di anni cinque, quando però il Collegio ed i Rettori, previo 1 e-same ed il sindicamento, avessero riconosciuto con certezza le loro buone qualità sia morali che didattiche e la loro sommessione ai capitoli dello Statuto (1). Anche le maestranze degli artefici, alle quali si uniformava pure sotto molti rapporti, la corporazione dei grammatici, solevano eleggersi un maestro particolare per 1 ammaestramento dei figli degli artieri. Addì 5 novembre dell’anno i486, Raffaele Richeme, Battista Cazella, e Gaspare di S. Pietro lanieri, vengono a patti con prete Giorgio Lunense, maestro di grammatica che si obbliga di reggere e mantenere in burgo S. Stephani e in quella casa che si sceglierà a conigio Ponticelli usque ad fontes rivi turbidi, scolas et ibi docere bene fideliter et sine fraude, et toto posse suo grammaticam illos pueros de quibus ecc. I lanieri gli garantiscono 35 scolari dei quali 25 a soldi 8 il mese e dieci a soldi 4. L’anno seguente addì 2 di novembre gli stessi fanno un altra convenzione con Antonio de Pelegnnis de Noms q. Dominici, grammatice professore, onde questi si obbliga a reggere e mantenere nello stesso borgo, in illa domo seu habitatione quam elegerint dicti Raffael et socii, tamen m contentamento dicti magistri Antonii publice scolas, et ibi docere et instituere toto tempore infras cripto et m vero tevi-pore hyemali usque ad horam congruam, bene fideliter et sine fraude et toto posse suo grammaticam illos pueros seu scolares de quibus prout infra dicetur, et cum salano mercede sub modis ecc. Gli assegnano per 30 scolari, soldi 8 al mese da 20 di quelli, e quattro dagli altri dieci. Oltre a ciò detto maestro possa, e gli sia lecito riceverò e tenere scolari dieci che siano anche estranei al borgo di S. Stefano con tutto suo risehio e pericolo. Il contratto e valevole per la durata di un anno a cominciare dal 10 di novembre. Fra i testi havvi pure un Gottardo de Pele-grinis de Novis Magister scolarum (2). (1) V. Documenti. (2) Arch. cit., Not. Gio. De Benedetti, fil II, c. 407; fil. IIΓ, c. 202. — 179 — Fra tutti questi maestri, ed oramai ne va crescendo il numero , si contano non tanto dei sacerdoti, quanto dei laici ; ma col diffondersi dell’ umanesimo per via di quei poeti e chiosatori che sull’esempio del Guarrino, vanno errando di città in città colle preziose casse dei loro libri, Γ arte d’insegnare grammatica, fino allora speciale ufficio del clero, la classe dotta, si propaga a poco a poco nel laicato , quale un riflesso del nuovo rinascimento e diventa una specie di moda che trascina e affascina gran parte della gioventù. Ciò è provato da un atto in cui ventiquattro maestri del clero eleggono due di loro, quali procuratori perchè li difendano in tutto e per tutto contro i maestri laici (i). (i) Arch. cit., Not. Andrea de Cairo, filz. 41, f. 13: i486, 9 gennaio. I sacerdoti maestri, professori e dottori di grammatica fanno ampia procura in due colleghi per difendersi contro i maestri laici che inibivano a loro di fare scuola. Il documento comincia in questo modo : « In nomine domini amen. Infrascripti venerabiles sacerdotes clerici ac persone ecclesiastice civitatis Ianue grammatice doctores tenentes et regentes scolas in civitates et diocesi ianuensi et docentes grammaticam in loco infrascripto congregati .....» seguono poscia i nomi: « Dominus presbyter Antonius de gno- scis rector ecclesie S. lacobi de Calignano. — Dominus presbyter Iohan-nes de Parma de Prodhominibus. — Dominus presbyter Iohanes Baptista foresta curatus in Ecclesia praeceptorie Sancti Iohanis. — Dominus presbyter Nicolaus de Varixio. — Dominus presbyter Oliverius de Tabia, rector. — Dominus presbyter Ecclesiae Sancti Silvestri. — Dominus presbiter Iohanes Bertonus. — Dominus presbyter Bernardus de Miliotis Archipresbyter ecclesie de pareto aquensis diocesis. — Dominus presbyter Rogerius ex., comitibus Vintimilii. — Dominus, presbyter Ma-theus de Spedia. — Dominus presbyter Lucas de Vinali rector ecclesiae S. Martini de Murta. — Dominus presbyter Georgius Lunensis. — Dominus presbyter Antonius de Lerma. — Dominus presbyter Franciscus de Obertis capellanus in Sancto Luca. — Dominus presbyter Bernardus Maiochus. — Dominus presbyter Iohanes de Barlariis rector ecclesie S. Marie de Bacesia. — Dominus presbyter Ieronimus de Camera. — Dominus presbyter Iohanes de Pizanis de levanto, rector ecclesiae sancti Michaelis de insula. — Dominus presbyter Petrus de Figalo. — Dominus presbyter Iohanes Antonius de Rostico. — Dominus presbyter Petrus de Montenigro alias de rimazorio. — Dominus presbyter Henricus Caponus. — Dominus presbyter Nicolaus Calvus de Albingania. - Dominus presbyter Franciscus bacigalupus et Paulus de Murfino ». I due penultimi sono eletti procuratori generali. Il documento è rogato nel chiostro superiore di S. Maria delle Vigne. Ognuno dei soprascritti rappresenta una scuola ove s’insegna grammatica, come si vede da quest’altra espressione del documento stesso: « cum nul- — ιδο — II. Se i maestri di grammatica appartenessero al numero di quelle corporazioni d’arti e mestieri di cui il medioevo fu così fecondo, non si può asserire con piena certezza (i), nondimeno si vedono ripetutamente citati negli atti notarili gli statuti del loro collegio col nome dei Rettori e dei Consiglieri ; se ne hanno già notizie tra il XIII e il XIV secolo : anteriori non ci fu dato di trovarne. Il 27 maggio del 1298 alcuni maestri a nome itniver-sitatis et collegii universorum magistrorum grammatice de civitate et suburòii Januae, radunati nel palazzo Arcivescovile , deputano chi li dovesse rappresentare in qualità di procuratore (2). Pochi anni dopo (4 luglio 1304) apparisce nuovamente raccolto il collegio nella chiesa di S. Ambrogio per procedere alla nomina di due maestri candidati (3): e addì 5 dicembre del 1315 nella chiesa di San lum aliud exercitium preter divinum officium magis deceat sacerdotes et personas ecclesiasticas quam docere et.instruere gramaticam que est origo et fundamentum omnium liberalium artium ». Naturalmente i maestri sacerdoti sopranominati ne lasciano presupporre degli altri, a favore dei quali si estendeva pure l’azione della procura. (1) Manucci, La Cronaca di Iacopo da Varatine, p. 7. (2) Il documento è pubblicato dal Belgrano nella recensione alla Stona dell’Isnardi, inserita nzWArch. Storico Ital., S. 3-a, T. VI, p. 2, pag. 167 e dal Braggio, lac. Bracelli e l’Umanesimo in Liguria, in Atti della Società di St. Patria, Vol. XXIII, pag. 112. (3) Not. Corrado Stefano da Lavagna, filza 5, pag. 30. « In nomine Domini amen. Ego Thomas de fermo magister scolarum collegii civitatis Ia-nuae de consensu et voluntate dicti rectoris , volentes vos magistros perci-vallem de zoalio et paganum de Calexi recipere et habere pro sociis nostris in collegio . .. cum vos invenimus sufficientes in scientia grammaticali, facta examinatione diligenti de vobis..... recipimus, licentiam dantes et concedentes vobis et cuilibet vestrum ut in civitate Ianue in quocumque loco volueritis, possitis stare et morare, ibique domum'accipere , ad presens sco-laros recipere, docere et habere in quacumque arte vobis videbitur ad utilitatem et proficuum vestrum et omnia facere que vobis facienda videbuntur, promittens vobis et cuilibet vestrum quod omnia predicta vel aliqua ex pre-dictis nulla, fiat quaestio, actio seu sententia incurrebit contra vos .. . Mag. Thomas de fermo, mag. Iohannes de Placentie, presby. Leonardus, mag. Salvus de Pontremulo , mag. Rufinus de Tertona, mag. Iacobus de Calli-gnano, m. Martinus Ispanus, m. Iohannes de Brixia, m. Zinus de Papia, Lorenzo procede alla nomina del procuratore generale (i). Il Collegio si mostra sempre tenace e geloso della sua autorità e vigila perchè gli statuti vengano osservati con inappuntabile esattezza, punendone i trasgressori, salvo casi rari e specialissimi ; protesta e raramente cede se il Doge stesso od il Consiglio propendono ad accordare privilegi (2), anzi ogni magistrato del Comune era obbligato a prestare man forte perchè i Capitoli fossero osservati. Dallo Statuto dei maestri di grammatica pervenutoci nel testo riveduto ed emendato nel 1467 , ci risulta che il candidato al Collegio dovea: i.° farne domanda all’Ufficio dei Sindicatori; 2.0 avere una diligente inquisizione sulla vita e i costumi; 3.0 obbligarsi a tenere una pubblica di- m Rolandinus de Rapalo, M. Peregrinus de Cervo, m. Iohanninus Ferragli et m. Ioliannes de Sancto Ambroxio. Actum Ianuae in eccl. Sancti Ambroxii ». (1) Not. Ant. De Gregorio, filza 2, car. 9. (2) Politicorum, Mazzo i.°. A Francesco della Torre il Collegio , dietro istanza del governo, concede soltanto di esimersi per cinque anni dalla tassa prescritta dagli Statuti, 1430, 21 nov. Divers., 36-531 e 34-529: 1444, 6 nov. « Parte Ill.mi et ex.mi D. Ducis Ian. iubetur expresse vobis magistro Antonio da Novis Rectori ac ceteris de collegio magistrorum grammatice Ianue ad quos pertineat, quatenus ad penam indignationis prenominati IH.» D. Ducis acceptetis et recipere debeatis magistrum Laurentium Meria-num de Senis.... non obstantibus quibuscumque regulis, capitulis vel or-dinamentis forte in contrarium disponentibus ». — 1444, 21 genn.: « Per magnificos D.n°s Capitaneos Ianuensis libertatis et magn. consilii dom.m An-tianorum deliberatum est quod capitula magistrorum gram. observentur non obstante concessione in scriptis facta Laorentio Meriani de Senis contra formam dictorum capitulorum ». — 11 Doge Pietro di Campofregoso è costretto a revocare una concessione che aveva fatto a Giannino Massone professore di grammatica : « Illustris et excelsus d.s Petrus de Campofregoso dei gratia Ianuensis dux. Sciens ab se concessum fuisse magistro lanino Massono grammaticae professori licentiam retinendi certum numerum scolarium ad ejus doctrinam contra capitula et ordinamenta conc ssa rectoribus et.ceteris magistris scolarum de Collegio Ianue , quae fuerant ab ipso confirmata....... Nolens violari aliqualiter capitula predicta concessa magistris scolarum collegii Ianue , licentiam suprascriptam a dicto mag. lanino impetratam revocavit et vigore presentis deliberationis eam revocat. Decernens illam locum non habere nec ullam vim obtinere tamquam impetratam contra capitula......... im o haberi pro infecta. Mandans fieri noti- ticiam de supracripta deliberatione supranominato magistro lanino, ne possit ignorantiam pretendere: attento maxime quod per antedictos magistros rectores oblatum est aggregationem collegii ipsi magistro lanino, servatis in his servandis », scussione (facere collïbetum), notificandone prima l’argomento con avvisi alle porte delle chiese, in una di queste, in presenza di tutto il Collegio e di una eletta di scolari. A quest’ obbligo erano pure soggetti gli altri precettori già inscritti, e ognuno di essi nel periodo che decorreva dalla festa di S. Luca fino a Pasqua, incorreva nella multa di cinque genovine, se non disputava almeno una volta sola, salvo un’ equa ragione che lo scusasse ; 4.0 doveva quindi subire l’esame da due maestri di grammatica e due notari, entrambi collegiati ; innanzi ad un giudice mandato dal Podestà e a due Padri, invitati dal Rettore , uno del-l’ordine dei Minori, l’altro dell’ordine dei Predicatori, e ai due terzi dei maestri: si procedeva in ultimo allo scrutinio segreto; 5.0 se approvato, prima di poter accedere alla sua scuola pagava lire 12 di genovine, se forestiero, lire 2 e soldi 10 di genovine, se nativo di Genova o del suo distretto ; e per giunta metteva una cauzione (oscillante fra le 25 e le 100 lire genovine secondo l’arbitrio dei sindicatori), affinchè non potesse prendere la fuga con denari e libri, od anche rifiutarsi di pagare le tasse o quelle multe che dallo stesso Rettore si infliggevano ai maestri, quando avessero trasgredito agli articoli statutarii, multe il cui importo era devoluto per una metà all’opera del porto e molo, per l’altra al collegio stesso (1). Se veniva riman- (1) In quanto alla tassa d’ ammissione al collegio eccone una prova : « Magister Federicus de Luxoro et magister Antonius de Ceva rectores collegii magistrorum grammaticae, et sunt pro magistro Iohanne de Bobio qui entravit in collegio magistrorum lib. 5 ». Arch. cit. in Cartolario portus et moduli, all’anno 1393, fol. 116. L’importo totale era versato al Banco di S. Giorgio a profitto del Collegio. La legge sulla cauzione si spiega anche, quando si pensa al valore che doveva avere un libro nel medioevo prima della stampa ; certo non era accessibile alla borsa dei più, tanto meno dei maestri di scuola, ai quali i libri occorrenti alla scuola potevano anche venire imprestati da certi librai custodi di codici e manoscritti. A Bologna erano detti stationarii e peciarii quelli ai quali erano affidati i codici scolastici e la loio correzione. (Cfr. Coppi, Storia delle Università in Italia, Pa&· I55)· — Anche gli speziali ne potevano vendere insieme con la pergamena e i quinternoni da scrivere. — Le multe si possono meglio comprovare con parecchi riscontri. In Archivio civico al foglio 33 del Cartulario indicato coll’anno 1456, si legge: « Iohannes de Ripa magister scolarum, debet nobis prò una condemnatione facta per magi. Iacobum de Bussis magistrum — i83 — dato non poteva più essere esaminato ove prima non avesse studiato per due anni nello studio di Bologna od in un altro accreditato. Uno o due potevano essere i Rettori del Collegio , ad arbitrio della maggioranza dei grammatici in esso inscritti; la loro elezione, o anche quella del surrogato, era fissata pel mese di ottobre prima della festa dei BB. Ap. Simone e Giuda. La carica durava un anno, decorso il quale, il nuovo eletto riceveva dalle mani dell’altro il resoconto e l’inventario della cassa: e la gestione in fine d’ufficio si poteva sottoporre al sindacato. La rielezione non poteva aver luogo che dopo tre anni esclusivi. Il Rettore insieme ai suoi consiglieri, era designato quale autorità competente a giudicare, sentenziare , pignorare per questioni che nascessero tra maestri e maestri o tra questi e gli scolari : se si trattava d’interessi e di debiti, poteva intervenire fino alla somma di 4 fiorini; se la lite invece avesse riguardato lui ed uno del suo consiglio, subentravano a giudici i due terzi dei maestri od anche il vicegovernatore. Il condannato però aveva il diritto di appellarsi entro il limite di tre giorni al magistrato dei Sindicatori. Il Rettore in ultimo dovea esigere tutte le multe e farne poi la distribuzione voluta dalla legge. All’ intiero Collegio erano prescritte diverse ragunate. La terza domenica d’ogni mese dovea recarsi alla Messa che nella Chiesa del Carmine si celebrava alla cappella di S. Gerolamo, probabilmente il santo protettore: chi non vi fosse intervenuto pagava ogni volta due soldi, devoluti alla spesa dei ceri per detto altare. Inoltre tre volte all’ anno, cioè, per il Natale, per Pasqua e per la festa dei Beati scolarum vid. prò parte spectante officio Lib. 5 ». — L’anno 1466, 26 agosto (Arch. Civ. cit , Filz. a. 1432-68, n. 194), il maestro Crisio Antonio di Mom-baruzzo « procuratorio nomine » presenta scrittura di opposizione alla multa di L. 6 inflittagli dal rettore Giacomo de Vigenio, deducendo anzi a carico di esso rettore tre capitoli d’ accusa per aver contravvenuto agli articoli : i.° « de associando corpora defunctorum »; 20 « de congregando dictum collegium pro honorando dominum ducem et eius consilium 30 « de faciendo societate domino Duci »; e adducendo quale autorità competente a condannare gli artisti il vicegovernatore, — i84 — Ap. Simone e Giuda, i maestri ad invito del Rettore convenivano per far visita al Governatore, al Consiglio e alla Curia: pena, la multa di 5 soldi genovini. Così nell’ultima delle suddette feste doveano maestri, Rettore e consiglieri recarsi alla luminaria che si faceva in onore dei due apostoli. Ogni volta che fosse loro imposto, dovevano radunarsi in luogo idoneo per trattare degli affari concernenti il Collegio. Era anche prescritto l’associare per i funerali di un maestro inscritto, o di sua moglie, 0 dei figli se avessero passato l’età di anni 10. Ad ogni maestro spettava Γ obbligo di ammonire o castigare il discepolo che avesse ingiuriato o schernito con turpi parole per le contrade un altro maestro. L’ingiuria fatta tra colleghi collegiati, dal Rettore 0 da qualcuno di loro, era punita, quella con 10 soldi genovini , questa con il massimo di 20, ogni volta che fosse avvenuto lo sconcio. Anche il maestro od il ripetitore che non fosse del Collegio se usava parole sconvenienti e vituperevoli contro gli altri collegiati, era punito con multa dai 10 ai 40 soldi; e quando a ciò fosse stato incitato da altri, con multa da due infino a dieci soldi di genovine, da dividersi in tre parti: una per Γ accusatore, le altre due, come di solito. Nella prima quindicina di novembre tutti i membri componenti il Collegio doveano prestare giuramento di ubbidienza ai Rettori in tutto che fosse lecito ed onesto, pena, la multa di 2 fiorini al ricusante, salvo però i mandati del Governatore del Consiglio e degli Anziani del Comune. Il Rettore doveva in ultimo dentro cinque giorni mettere Γ accordo in ogni contesa che potesse sorgere nel Collegio. Contro gli osceni peccatori che Dante punisce nel sabbione sotto incessanti falde di fuoco, si era provveduto con restrizioni e leggi severissime, come si legge nel capo de his quibus prohibitum est regere Scolavi in Janna et suburbiis , capitolo che risale già al 1430. Contro lo scolaro debitore verso qualche maestro di grammatica, o di aritmetica, vulgariter abachistae, era prescritto il licenziamento da ogni scuola entro il termine di — ι85 — tre giorni in seguito ad avviso comunicato dal Rettore o da chi per esso, se non soddisfaceva ai proprii impegni: pena, la multa di soldi 20 di genovini ai trasgressori. Quindici giorni di scuola, non meno, obbligavano lo scolaro a pagare l’intera mesata. Se però fosse sorta controversia fra il maestro e lo scolaro, doveva bastare il giuramento del maestro, fino alla somma di due fiorini ; pena, la multa di quattro per chi si fosse provato spergiuro. Il numero degli scolari talvolta era tassativamente fissato. Un sacerdote od un chierico non doveva ammaestrare più di dieci scolari, e nessun cittadino genovese o forestiero poteva mandarne di più alle scuole loro senza incontrare una multa di sei fiorini: ed il suddetto maestro era obbligato a dichiarare il nome dei suoi allievi a richiesta del Rettore. A questa prescrizione potevano però sottrarsi i docenti in villa. Ogni maestro era condannato a pagare da 5 a 10 soldi se non accudiva quanto poteva all’insegnamento, salvo in quei giorni festivi che, oltre i soliti, erano più frequenti che oggigiorno, come si può vedere dallo Statuto sotto la rubrica quod Magistri docere deh cant Scolar es suos vel doceri faciant. Se uno di essi fosse caduto ammalato, o si facesse surrogare, oppure soltanto decorso un mese dal primo giorno della sua assenza , lo scolaro poteva inscriversi in un’altra scuola; ma il maestro che lo accoglieva restava obbligato all’altro di una metà del salario durante la malattia. Se un maestro moriva e per lezioni non fatte restava in debito verso gli scolari, a quella bisogna doveano sopperire gli altri del Collegio. Alle spese straordinarie che si fossero fatte o fare si dovessero a prò ed incremento del Collegio, dovevano contribuire tutti i maestri in esso ascritti. III. Fra le schede giacenti nelle filze dell’Archivio Civico di Genova si trovano gli elenchi delle scuole private, che sullo scorcio del sec. XV fiorivano in questa città, col nome e cognome, la paternità, il numero complessivo e Γ ono- Giorn. St. e Liti, della Liguria. 13 — * — iS6 - rario dei singoli discepoli, ed oltre il luogo nativo anche il domicilio dei rispettivi grammatici. La ragione di sì fatti elenchi è nel decreto emanato il 16 settembre 1497 sotto il dogato di Agostino Adorno : « Cum senatu relatum fuerit » , esso dice, « praeceptores grammatice seu magistros scole valde immoderatas mercedes a patribus extorquere pro docendis pueris, preter mores et consuetudinem priscorum atque contra formam decreti conditi anno 1494 die 27 Apr. scripti per Bart. de Senarega cancellarium mentionem facientem quonam modo magistri erga discipulos suos in petenda solutione sese habere debeant », ordinano ai sindicatori di provvedere. Ed essi il 25 di ottobre del-Γ anno stesso fanno bandire pubblicamente dal cintraco una grida del seguente tenore : Se notifica ad ogni persona de che grado e condizion sia chomo li maestri che tenesso schola de grammatica non posseno prendere da discepolo alcuno ni da padre 0 madre ni altri per quello, ultra li precii infrascritti : da li scolari chi non passano li neutri soldi cinque, ab aliis vero chi passano li neutri sia in che latino si voglia non pos-siano dicti maistri prendere ultrasoldi dexe in mese, cuin questo che a tali che havevano a pagare dicti soldi dexe dicti maistri sian obbligati de monstrare li sabati a li poidisnè, le vigilie chi sono de pre-cepto, et in hieme siano dicti meistri obbligati monstrar la sera, ni sub altra forma possiano dicti meistri prendere soi pagamenti, ni discipuli o altri per loro pagarli. Sub pena de ducati dexe per ogni volta se contrafarà applicata ex tunc. Ma forse a queste disposizioni, cagione chissà di quante querimonie, non si era ottemperato perchè addì i.° giugno del 1501 si ribadisce il chiodo con quest’altro proclama: Parte spectati Officii d.norutn patrum Coniunis Janue comissariorum ecc. mandatur infrascriptis preceptoribus gramatice quatenus ad penara florenorum JIII pro singulo debeant intra dies octo proximos secuturos a praecepto deposuisse in camera eiusdem officii penes scribam infra-scriptum cum Juramento nomina omnium eorum scolarium quos ipsi et quilibet ipsorum docet et precia distincta que ipsis persolvuntur pro unoquoque dictorum scolarium. Seguono quindi i nomi dei varii precettori (1): Ricardus de Aulula — Filippus de Comitibus — Johannes Mateiis (1) Venne fatto precetto anche a pret' Gottardo da Novi, tua egli * dicto — i8y — lunensis Simon Aradus — p. Jacobus Anselmus — p. Contardus de Novis p. Nicolaus de Cabella — p. Bastianus de Tabia — p. Antonius de Dertona — Cristofarus de Crovaria — Antonius de Ca-stiliono Baptista de Aquis — Maxellus Beneventanus - Iacobus Silanus Nicolaus de Arcula — Aloisius Parmensis — p. Dominicus de Sarzana p. Ambonus de Novis — Alexander de Ortingo — Martinus de Vercellis — Bapta de Lu vinario — Franciscus Cassanellus. Queste liste di allievi, coi rispettivi prezzi, che tutti i precettori docenti nella città furono quindi costretti a presentare , hanno un peculiare interesse dal punto di vista didattico. In capo ad una sta scritto latinantes, perchè la scuola allora era divisa in due grandi classi, quella dei latinantes, ossia scolari che studiavano appena i primi elementi della grammatichetta ed imparavano a leggere: l’altra dei non latinantes, composta invece di allievi che erano diggià padroni della lingua e si davano al commento degli autori, dei quali sono indicati specialmente Virgilio ed Ovidio. Il Donato distinto nelle varie sue parti, [in activis, in adverbiis, neutra, ecc.) ed il Salterio sono i due libri di testo; alcuni vi imparano a compitare: Donatum legentes ad syllabican-dum; altri legge alla tavoletta (tabellam legens) : v’ è pure chi compone i manoscritti; ma sono i meno, tre soltanto ne ho trovato addetti a questo esercizio, il quale ci lascia anche supporre che fosse od un insegnamento di calligrafia, od un avviamento all’arte dell’amanuense, od un modo economico di sopperire alle esigenze delle scuole, provvedendole di certi copioni, per quelli allievi che non potevano spendere per l’acquisto dei testi, che doveano costare non poco sia stampati che manoscritti, come pure la carta da scrivere, ragione per cui vigeva sempre l’uso della tavoletta ; se non si voglia dire che molti imparavano a leggere, e pochi a scrivere. Due appena sono i professori che impartono l’insegnamento di lingua greca. Di quelle scuole ve n’ha qualcuna con alunni di famiglie se non tenere amplius scollas, et solummodo docet in eius camera duos filios Vincentii et Petri Sauli parvae aetatis sine ulla pactione sed potius pro amicitia ». — i SS - patrizie, aleuti’altra è composta di artieri; 1 onorario degli allievi oscilla dai cinque ai quindici soldi mensili per ciascuno ; si trovano però ogni tanto di quelli che frequentano la scuola senza pagare, ed il maestro vi scrive di fronte, o inops o nihil oppure amore Dei (i). Ma con tanto sfoggio di proclami si sara poi ottenuto lo scopo che si erano prefissi i Padri del Comune? Bisogna un po’ dubitarne, dacché all’anno 1516 in data del 30 di agosto ne balza fuori un altro del seguente tenore: Audientes grammatice professores huius civitatis decreta et leges maturo examine conditas supra eo quod ipsi habere et exigere possunt et debent singulis mensibus pro quolibet puero edocendo , negligere et illas minime observare, et ab ipsis pueris sive ab his qui ipsorum curam habent omni mense et decem et quindecim solidos ct ultra pro eorum mercede ipsos petere et exigere contra formam dictorum ordinamentorum quae res perniciosissima est et toti civitati damnosa. Si elegge quindi nella persona del viceduce Ravascherio un magistrato perchè faccia osservare i regolamenti, e punisca i trasgressori. Così con un numero sufficiente di scolari che potessero assicurare un compenso adeguato all’ opera di chi si prestava ad istruirli, formavasi una scuola privata che prosperava in breve o veniva a cessare a seconda della capacita dei maestri che vi insegnavano. Di queste scuole ne troviamo già sedici con un totale complessivo di circa 500 allievi sull’ inizio del sec. XVI, epoca in cui la popolazione di Genova, stando alla testimonianza di Gio. Ridolfi t fiorentino, poteva sommare a circa 90.000 abitanti. Alcune e-rano governate e tenute da laici, altre da sacerdoti; dei maestri alcuni sono collegiati altri invece no; il Collegio e i Padri del Comune esercitano su di esse una diligente sorveglianza per mezzo del magistrato dei Sindicatori. __Angelo Massa. (1) Mi è sembrato opportuno di pubblicare i nomi di tanti allievi, pensando che potrebbero interessare. — Debbo rendere pubbliche giazie ed essere grato ai Signori Francesco Podestà, Marcello Staglieno, Achille Neri, Arturo Ferretto , Francesco Luigi Manucci, Ambrogio Pesce, Emilio Ma* renco che gentilmente mi hanno favorito schiarimenti e indicazioni per rintracciare notizie e documenti. DOCUMENTI. (R. Arch. di Genova, Divers. Registro 35-530, ann. 1443-45). Correctiones facte in capitulis artistarum Ianue ex tempore Ducatus 111.mi D.1 Raphaele Adurno. Die XVIII Febbruarii. an. 1444. Viri suprastantes Badasal de Vi valdis et Socii in sufficienti et legittimo numero congregati absente Damiano de Oliva infirmo, Reformatores capitulorum artium civitatis Ianue pro bono et utilitate reipublice Laudaverunt addi in Capitulis magistrorum grammatice capitula infrascripta. De scolaribus recedentibus a scolis alicuius magistri et de sacramento prestando. Item quod si aliquis scolaris recesserit ab aliquo magistro et venerit ad scolas alicuius alterius magistri et ille magister a cuius scolis recessisset dictus scolaris, dicat pro suo labore a dicto scolare aliquid habere debere, si scolaris hoc confiteatur, teneatur magister ad cuius scolas inerit, infra dies tres ad denunciationem rectoris seu rectorum, monere dictum talem scolarem quod dicto primo magistro satisfaciat infra dies tres, quod si non fecerit dictus scolaris infra dictum tempus ab inde in antea illum non doceat per se vel interpositam personam, vel in suis scolis doceri patiatur vel manere. Si vero controversia erit inter dictum scolarem et magistrum relictum, vel patrem suum de salario, magistratus qui inde fuerit requisitus ad requisitionem magistrum ad cuius scolas inerit noviter ipse scolaris , seu ad requisitionem ipsius scolaris vel parentis ipsius teneatur compellere illum magistrum relictum ad prestationem sacramenti si iuste petit salarium quod requirit a dicto scolare. Et si iu-raverit quod iuste petat, nullus magister debeat docere dictum scolarem , nisi prius fuerit satisfactum per dictum scolarem dicto primo magistro. Et hoc sub pena soldorum viginti Ianue pro quolibet et qualibet vice. Et hoc habeat locum nisi pater vel mater vel alia coniuncta. persona talis scolaris de cuius mercede tractatur vellet jurare , et juraret per se ipsos proprios solvisse dicto tali magistro salarium de quo esset questio. Item quod adveniente casu egrotationis alicuius magistri vel aliter semper et quacumque liceat cuicumque scolari per voluntates libito discedere a scolis magistri sui et alias petere scolas quas maluerit, ipso prius debito faciente magistro suo. Item quam quilibet civis Ianue possit tenere in domo sua suum magistrum gramatice qui edocere possit fratres, filiosque, nepotes dicti civis et ultra alios scolares usque in decem non computatis supra-dictis sine contradictione Rectorum aut aliorum quorumcumque magistrorum grammatice. Item quod quilibet dictorum magistrorum gramatice qui teneat in — IÇO — scolis suis scolares edocendos centum et abinde supra, teneatur et o-bligatus sit semper secum horum ripetitorem unum idoneum et sufficientem ad educendum dictos scolares, qui tamen non sit clericus, aut in sacris ordinibus constitutus, immo secularis. Sub pena florenorum decem toties quoties fuerit contrafactum, que pena applicetur accusatori et teneatur secretus et cetera, pro dimidia, et pro reliqua dimidia operi portus et moduli. (R. Archivio di Stato di Torino. — Raccolta Lagomarsino. Cart. Genovesato. Istruzione Pubblica. Fascicolo: Collegio dei Maestri di Grammatica). !467, J3 Febbraio. Spectabiles ac generosi viri Nicolaus de Grimaldis Ceba Prior, Silvester de Brugnali, Iacobus Iustinianus, Brancaleo de Auria quattuor pridie electi ac constituti ab Ill.m0 ac Magn. Dom. Ducali in Ianua Vicegubernatore et M. Consilio DD. Antianorum ad correctionem et emendationem Capitulorum Artificum Civitatis Ianue cum omnimoda Potestate, Arbitrio, et balia in eis addendi , cassandi et minuendi, e-mendandi et corrigendi , sicut constat in actis Cancellarie manu mei Cancellarii infrascripti anno superiore die XXV0 Septembris. v Revisis Capitulis magistrorum scolarum gramatice Civitatis Ianue, sibi presentatis per Egregium magistrum Girardum de Viqueria Rectorem tunc Collegii et Magistrum Antonium de Montebarutio tunc Procuratorem Collegii predicti et unoquoque eorum cum ipsis diligenter discusso, auditisque sepe numero magistris ipsis, ac aliis eiusdem Collegii simul, et seorsim ; et visis nonnullis Capitulis ab eis postulatis tam in addendo, quam in corrigendo, examineque super unoquoque eorum diligenter habito addendo, emendando ad corrigendo, statuerunt et decreverunt ut infra: Et primo. Quod nullus magister audeat docere aliquem scolarem , nisi prius facta fuerit solutio primo magistro a scolis cuius recesserit. Cupientes tollere inter magistros dicte artis contentionem statuerunt ac decreverunt quod nullus magister qui scolas regat in civitate Ianue aut suburbiis audeat vel présumât tenere aliquem scolarem in scolis suis nec docere eum aut doceri facere per se aut alium ultra tres dies proxime secuturos a die qua ei notificatum fuerit per rectorem Collegii , vel pro parte eius Rectoris, vel in absentia Rectoris pro parte Consiliatorum dicti Collegii , quod dictus talis scolaris sit debitor alicuius magistri pro suo salario sive mercede et hoc sub pena solid. 20 Ianuinorum pro qualibet die , qua retinuerit, et seti docuerit dictum talem scolarem debitorem alicuius ex magistris dicti Collegii post de: nuntiationem suprascriptam, quae poena applicetur pro dimidia operi Portus et Molis et alia dimidia ipsi Collegio. Et possit exigi per dictum Rectorem a quolibet contrafaciente , de quo quidem salario, et seu mercede stetur et stari debeat simplici iuraniento magistri petentis usque in quantitatem florenorum 2 in numero, et ab inde infra pro singulo scolare et singulo anno, nisi aliter probaretur pro scolare de — 191 — solutione, vel quod non obligatus esset tantae solutioni. Et si aliquis magister reperiatur falsum iurasse de salario , et seu mercede praedictis, intelligatur perjurus et incuruisse in poenam florenorum quattuor pro singulo floreno de quo falsum iuraret, et quae poena applicata sit ut supra, et exigi possit ut supra. Et ad ea omnia de quibus supradictum est teneatur parimodo Rector dicti Collegii sub tali poena duplicata, ad quam poenam cogi possit, et eius solutionem a Consiliariis dicti Collegii , non expectato tempore functi Officii ipsius Rectoris et hoc pro et occasione in presenti articulo contentorum. Item quod magistri rationum sive vulgariter abachistae non possint aliquem scolarem qui recesserit a scolis ipsorum magistrorum grammaticae non facta satisfactione magistro suo de mercede docere nec doceri facere scientiam suam de qua supra, postquam fuerit sibi denunciatimi pro parte Rectoris ut supra, vel Consiliariorum dicti Collegii in absentia Rectoris, sub dicta poena soldorum viginti pro qualibet die qua retinuerit talem scolarem, quae poena applicetur ut supra , et exigi possit per Rectorem vel illuni cui Rector vices suas commiserit. De jurisdictione et Balia Rectoj'is cum Consilio seu de voluntate ejus Consiliariorum. Item ne magistri dicti Collegii causam habeant discurrendi per curiam et domus Magistratuum Civitatis Ianuae, quod venit in maximum damnum reipublicae: Attento quod tunc dicti Magistri non possunt scolis suis interesse et scolares suos docere : statuerunt et ordinaverunt quod Rector dicti Collegii cum consilio seu de voluntate suorum consiliorum sit et esse possit et debeat judex competens omnium causarum et poenarum descriptarum in praesentibus capitulis dictae artis magistrorum, pertinentium scilicet dicto Collegio et inter eos vertentium vigore praesentium Capitulorum. In quibus et de quibus possit audire, cognoscere, sententiare, condemnare, et sententias executorias et deffinitivas ferre et exequtioni mandare et poenas exigere et licentias detinendi ac pignorandi concedere, dummodo non sit contra formam praesentium Capitulorum, nisi specialiter actum esset ex dictis capitulis per alium magistrum aliquas sententias vel condemnationes aut exequtiones facere vel licentias concedi posse, hoc etiam expresso et declarato quod si oriatur quaestio inter magistrum et scolarem aut alium obligatum pro eo occasione mercedis etiam si talis scolaris non esset amplius sub magistro grammatice. Rector Collegii sit et esse debeat magistratus inter partes usque in summam ducatorum duorum. Et nullus alius magistratus in causa seu causis praedictis se intromittere possit. Item quod Rector non possit facere aliquas condemnationes vel e-xequtiones aut licentias detinendi vel pignorandi concedere aliquem de dicto Collegio sine Consilio Consiliarorum dicti Collegii, et si a-liter fierent sint omnino irritae et nullius valoris et efficaciae. — IQ2 — Item quod Rector qui pro tempore fuerit non possit innovare alios usus et alias consuetudines contra formam praesentium Capitulorum sub poena librarum decem applicatarum pro dimidia operi portus et moduli et alia dimidia ipsi Collegio si contrafecerit et nihilominus quidquid contra formam praesentium Capitulorum innovasset sit irritum, et inane, quae poena exigatur per Consiliarios dicti Collegii cum consilio binae tertiae partis magistrorum dicti Collegii in fine officii dicti Rectoris et non ante. Item quod nullus civis Ianue vel Exterus mittere possit pueros suos ad scolas alicuius Presbiteri, Sacerdotis vel Clerici qui habeat ultra numerum puerorum decem sub poena'florenorum sex, auferenda de facto a quolibet contrafaciente , quorum dimidia applicata sit operi portus et moduli et alia dimidia ipsi Collegio pro suo interesse: et Rector Collegii possit procedere contra quoscumque contrafacientes et poenam exigere ac tocies quoties fuerit con tra ventum. Et ne per indirectum huic capitulo contrafieri possit teneatur talis Sacerdos, Pre-sbiter et seu Clericus ad omnem requisitionem Rectoris nominare specialiter illos decem pueros quos ad scolas suas tenere voluerit ut in-telligi possit qui sint super numerum eorum decem quos ei licet tenere. Quorum decem praedictorum aliquem debentem alicui magistro non possit tenere nisi prius satisfecerit primo magistro ad scolas cuius iverit postquam fuerit sibi denuntiatum ex parte Rectoris. Et si talis Sacerdos, Presbiter aut Clericus eos nominare noluerit, liceat ipsi Rectori prohibere quibuscumque civibus ac Exteris ut supra ne quempiam etiam infra numerum decem ut supra, mittant ad scolas talis Sacerdotis, Presbiteri aut Clerici sub dicta poena quam eo casu exigere possit a tali cive sicut supra dictum est de aliis sacerdotis numerum decem puerorum declarato, tamen quod pro eo tempore quo cives steterint in villis suis Capitulum hoc non se extendat ad pueros vel cives stantes in villis. Item quod si aliquis magister ex dicto Collegio esse debitor alterius magistri usque in quantitatem florenorum quattuor , Rector dicti Collegii usque in illam summam sit magistratus competens inter eos cum consilio Consiliariorum dicti Collegii. Et si Rector esset debitor ut supra, Consiliarii ipsius Collegii sint magistratus competens de praedictis usque in dictam summam ad...... Item quod Rector Collegii possit procedere et sit judex competens contra quoscumque Magistros , Repetitores , et Pedagogos laicoh qui regerent scolas contra formam Capitulorum dictorum magistrorum. Si Rector vel Consiliarius haberet litem cum alio magistro per quos debeat terminari. Item si contingat aliquem Rectorem Collegii habere aliquam litem controversiam, seu difierentiam cum uno ex Consiliariis dicti Collegii de et super aliquo casu vel re pertinente ad dictam artem non possit — 193 — ipse Rector cum alio Consiliario super dicta causa cognoscere vel iu-dicare, imo debeat dictus alius consiliarius cum duobus aliis magistris dicti Collegii electis per dictum Collegium sive per duas tercias partes dicti Collegii dictam causam cognoscere et terminare secundum formam baliae Rectori et Consiliariis concessae ut supra , et si unus ex Consiliariis haberet litem cum aliquo magistro dicti Collegii tunc et eo casu Rector cum Consilio alterius Consiliarii dictam causam possit terminare in omnibus et per omnia secundum baliam sibi concessam ut supra. Et si ambo consiliarii haberent litem vel controversiam ad invicem tunc Rector solus sit et esse debeat judex competens inter partes. Et si Rector haberet litem vel controversiam cum alio Magistro dicti Collegii, seu cum aliquo puero occasione salarii sui, Consiliarii dicti Collegii debeant dictam causam cognoscere et terminare in omnibus et per omnia secundum formam baliae Rectori et Consiliariis concessae ut supra. Et hoc usque in summam ducatorum duorum ut in Capitulo de balia Rectoris dictum est. De poena apposita contra illos magistros qui non interfuerint missae Collegii. Item statuerunt et ordinaverunt quod quilibet magister dicti Collegii qui de cetero non interfuerit missae dicti Collegii que celebrabitur in Capella Sancti Hieronymi in Ecclesia S. Mariae Carmelitarum semel in mense videlicet Dominica tercia cuiuslibet mensis , cadat in poenam soldorum duorum pro singula vice qua contrafecerint dummodo sibi facta fuerit notitia ex parte Rectoris, nisi legiptima causa intervenerit quae cognosci debeat per Rectorem cum Consilio Consiliariorum suorum, ex quibus pecuniis émi debeant cerei comburendi in dicta Capella ad honorem Dei ac gloriosissimae eius matris Virginis Mariae. Item quod nullus possit petere assessorem esse dandum Rectori aut Consiliariis in causis contentis in praesentibus Capitulis , aliquo alio capitulo non obstante. Item teneatur quilibet magistratus Comunis Ianuae dare et praebere auxilium et favorem ad observantiam praesentium Capitulorum dictorum magistrorum dicti Collegii. Et hoc sub poena sindicamenti. Item quod propter litigia et illorum sumptus evitandos, Rector Collegii in omnibus causis et differentiis coram eo vertentibus et ad eum pertinentibus vigore praesentium Capitulorum seu de voluntate suorum consiliariorum possit procedere et exeeutioni mandare summarie, simpliciter et de plano, sine strepitu et figura judicii sola facti veritate inspecta prout iustitiae et conscientiae ipsius Rectoris melius videbitur convenire: Et possit propter minorem disturbationem scolari um in dictis causis et differentiis procedere et illos terminare o-mnibus et singulis diebus in quibus jura redduntur, videlicet a prima hora diei usque ad vigesimam quartam horam inclusive et etiam in — 194 — illis Festis quae non celebrantur secundum praecepta Ecclesiae, non obstantibus aliquibus legibus sive Capitulis in contrarium disponentibus cuius Rectoris pronunciationes, absolutiones et licentiae sic factae valeant et validae sint et exequtioni mandentur per ipsum Rectorem vel Consiliarios et cujus Rectoris seu quorum Consiliariorum sententiis terminationibus, processibus et mandatis non possit appellari, supplicari, meliorari, peti vel nulla dici sed sint semper, et restent validae et firmae et exequantur et executioni mandentur per dictum Rectorem et Consiliarios ad nudam et simplicem requisitionem agentis usque in summam florenorum duorum Ianuae, contradictione vel oppositione rei in aliquo non admissa. Et ab inde supra si voluerit, possit appellari ad d.nos Sindicatores , dummodo appellans deposuerit apud Rectorem vel Notarium Curiae dicti Rectoris id de quo lata fuerit sententia a qua se appellaverit infra dies tres a die appellationis , aliter dicta appellatio non teneat nec valeat, et deinde dictam appellationem prosequi teneatur et illam definire et terminari facere teneatur et debeat per dictos D.nos Sindicatores infra mensem unum a die appellationis proxime futurum dummodo praesens Capitulum eidem denuntietur : Et casu quo infra dictum tempus illam deffiniri et terminari non fecisset per dictos D.nos Sindicatores, quod tunc et eo casu dictus Rector illam deffinire et terminare debeat, elapso dicto termino, capitulo seu oppositione vel iudicio aliquo non obstante. Quod Consiliarii debeant exercere officium suum. Item non obstantibus aliquibus capitulis in praesenti volumine contentis : Statuerunt quod Consiliarii dicti Rectoris sive Collegii debeant exercere officium suum videlicet se convenire cum dicto Rectore qui est, vel pro tempore fuerit, ad omnem requisitionem Rectoris, causa consulendi, si opus fuerit dicto Rectori in causis et differentiis coram eo vertentibus et ad eum pertinentibus, sub poena soldorum quattuor totiens quotiens contrafecerint. Nec non statuerunt quod dicti Consiliarii debeant ire ad missam dicti Collegii ut ceteri magistri prout tenentur ex forma Capituli de hoc loquentis, sub poena contenta in dicto Capitulo , et debeant ire ad dictum Collegium quotienscumque fuerint requisiti ex parte Rectoris sub poena contenta in Capitulis de hac materia disponentibus, quae poenae praedictae exiguuntur a dictis Consiliariis per dictum Rectorem et non per alium si contrafecerint et totiens quotiens contrafecerint. Versa vice Rector teneatur congregare Collegium ad requisitionem Consiliariorum pro aliqua causa pertinenti ad dictum Collegium sive ad aliquem magistrum dicti Collegii sub simili poena soldorum quatuor exigenda a Rectore per consiliarios dicti Collegii in fine officii dicti Rectoris. Et hoc pro executione in praesenti Capitulo contentorum. — 195 — De no?i utendo aliis usibus vel ordinibus quam in praesentibus capitulis annotatis. Item cupientes tollere cabillas et conspirationes, iuramenta, commi-stiones, uniones, et ligas quas ad invicem faciunt homines artistas Civitatis Ianuae et Burgorum pro eorum proprio commodo et ad damnum et lesionem et detrimentum tocius Reipublicae: statuerunt et ordinaverunt quod si homines seu magistri dicti Collegii de cetero fecerint aliquos ordines sive ipsis usi fuerint ordinibus qui essent contra bonum publicum, nisi tantum contentis in praesenti Volumine , quod Rectores dicti Collegii cadant in penam a libris decem usque in vigiliti quinque Ianuae pro singula et qualibet vice. Quilibet ex consiliariis a libris quinque usque in decem et quilibet alius dicti Collegii a libris tribus usque in sex Ianuinorum pro quilibet et qualibet vice et ultra secundum formam iuris er capitulorum Comunis Ianuae. De qua contra factione cognosci, sententiari , definiri et declarari debeat per Rectorem dicti Collegii cum Consilio eius consiliariorum si fuerit alius magister qui contrafecerit contra praedicta. Et si fuerit Rector qui contrafecerit de dicta contrafactione cognosci debeat ut supra per consiliarios dicti Collegii cum Concilio duarum terciarum partium magistrorum dicti Collegii. Ita tamen quod de contrafactione aliqua Rectoris cognosci non possit, nisi in fine officii sui. De modo eligendi Recloris. Item statutum et ordinatum est quod magistri Scolarum dicti Collegii habeant et haberi possunt unum Rectorem sive duos prout eis vel maiori parti eorum videbitur, qui eligatur, seu eligantur in modum infrascriptum , videlicet , quod Rector seu Rectores qui nunc est, vel sunt, vel pro tempore fuerit, vel fuerint, debeat vel debeant annuatim singulo mense Octubri ante Festum Beatorum Apostolorum Simonis et lude in aliquo loco idoneo congregare quoscumque magistros dicti Collegii et coram eis exponere sicut tempus est eligendi et faciendi Rectorem vel Rectores novum vel novos, et quod debeant eligere u-num vel duos ex illis collegii praedicti idoneum vel idoneos ad exercendum Officium Rectoriae Collegii praedicti, et ille vel illi in quem vel quos duae partes dictorum magistrorum se concordaverint sit et esse debeat vel debeant Rector vel Rectores pro uno anno tantum proxime venturo. Et sic successive quolibet anno in posterum observetur in electione duorum Consiliariorum dicti Coli. De subrogatione fienda in locum Rectoris absentantis. Item quotiens accideret aliquem Rectorem tempore sui Rectoratus mori vel absentare se per mensem sine licentia binae tertiae partes magistrorum tocius Collegii et ob id non posse dictum Rectoratum e- — îgô — xercere, fieri possit surrogatio de alio jdoneo iuxta modum et formam de quibus in precedenti capitulo fit mentio, et non expectato eo casu tempore Officii sui et idem observetur in surrogatione Consiliariorum dicti Collegii si uterque vel alter ipsorum se absentaret. De congregando insimul dictum Collegium. Item quod ter in anno videlicet in Nativitate Domini in festo Pa-schatis et in Festo Beatorum Apostolorum Simonis et Iudae omnes magistri dicti Collegii insimul conveniant ad requisitionem Rectoris seu Rectorum eorum pro visitando et honorando prefatum D. Gubernatorem et ejus Consilium et Curiam. Et qui non venerit solvat soldos quinque Ianuinorum nomine poene Rectori praedicto qualibet vice. De obediendo Rectori et se congregando. Item quod quisque magister dicti Collegii veniet ad Collegium quando ei de mandato Rectoris fuerit denuntiatum tam pro honorando D. Gubernatorem et Consilium et Curiam , quam pro aliis negotiis quae spectant ad officium dicti Collegii nisi in quantum remanserit de licentia ejusdem Rectoris sub poena soldorum duorum Ianuae pro quolibet et qualibet vice. Quod Magistri docere debeant Scolares suos vel doceri faciant. Item quod Magistri dicti Collegii et qui de cetero regent scholas in Civitate vel Suburbiis Ianuae teneantur et debeant docere scolares suos pro posse, vel doceri facere omnibus diebus exceptis his qui in-fradicti sunt sub poena a soldis quinque usque in decem applicanda Operi portus et molis pro quolibet et qualibet vice arbitrio Rectoris dicti Collegii. Festa in quibus non tenentur docere sunt haec : Festa Nativitatis Domini et Pascae Resurrectionis cum tribus diebus antecedentibus et totidem sequentibus ipsa Festa. Dies domenicales et sabatum post prandium. Festivitates Beatae Virginis Mariae cum earum vigiliis post prandium. Festivitates principales cum earum vigiliis post prandium. Festivitates omnium Apostolorum et Evangelistarum cum earum vigiliis. Festum S. Antonii Abbatis die XVII januarii. Festum Sanctorum Fabiani et Sebastiani die XX januarii. Festum carnis privii. Festum S. Gregorii die XII marcii. — S. Benedicti die XXI marcii. — S. Georgii cum ejus vigilia post prandium die XXIV aprilis. — S. Marci die XXV aprilis. — S. Bernardini XX maii. — S. Desiderii Ianuensis XXIII maii. — 197 — S. Iohannis Baptistae cum eius vigilia post prandium XXIIII iunii. — S. Margaritae cum ejus vig. post pr. V julii. — S. Dominici V augusti. — S. Sisti VI augusti — S. Donati VII augusti. — S. Laurentii cum eius vigilia post prandium X augusti. — S. Augustini XXIII augusti. — S. Teclae XXIII sept. — S. Michaelis XXVIIII. — S. Hieronymi XXX sept. — S. Romuli XIII Oct. — S. Leonardi VI nov. — S. Martini cum ejus vigilia post, prandium XI nov. S. Catherinae id. id. id. XXX nov. S. Nicolai id. id. id. VI dic. S. Ambrosii id. id. id. VII dic. De monendo scolares suos ul alios magistros honorent. Item quod quisque magister moneat, castiget suos scolares ut honorent omnes alios magistros de Collegio, nec contra ipsos turpia verba vel ignominiosa proferant per contratas sub pena soldorum quinque Ianuinorum pro quolibet et qualibet vice. De no7i docendo Scolares alicujus magistri egrotantis. Item quod nullus magister recipiat in scolis suis ad docendum aliquem scolarem alicuius magistri de Collegio egrotantis usque ad mensem unum et usque ad tempus illud cum contigeret egrotare. Ita quod non vadat ad docendum scolares suos. Sub pena soldorum vicinti Ianuinorum, nisi fuerit de licentia magistri egrotantis. Dummodo denuntiatum sit omnibus magistris per Rectorem de infirmitate ipsius et in absentia Rectoris per consiliarios dicti Collegii. Ultra vero illum terminum liceat cuilibet recipere si ad ejus scolas se transferre voluerit. Ita tamen quod medietatem precii seu mercedis quam a scolare receperit magistro egrotanti dare teneatur quousque convaluerit, eo modo quod scolas suas poterit visitare. Liceat tamen non obstantibus supra-dictis, cuilibet scolari ire ad quas scolas voluerit et magistrum ipsum scolarem recipere casu quo magister cum quo adisceret staret infirmus per dies quindecim ultra dictum mensem. Possit tamen dictus scolaris redire postea ad dictum suum primum magistrum, si voluerit. Teneatur tamen , non obstantibus praedictis , quicumque magister ut supra eg rotans , statini quod contingat eum egrotare providere scolis et scolaribus suis de aliquo jdoneo Repetitore vel surrogato in dictis ejus Scolis, quod si non fecerit liceat dictis Scolaribus accedere ad alios magistros et alias scolas, et dictis aliis magistris dictos tales scolares impune recipere. Dc promotione Grammaticorum ad Collegium Magistrorum. Si quis Grammaticus desideraverit ad Collegium magistrorum grammatice in Ianua promoveri : primo declaret ipsius voluntatem officio et coram officio Sindicatorum qui teneantur , talis grammatici requisitione suscepta, eligere duos scribas de numero Collegii Notariorum — 198 — Ianuae. Item duos de Collegio Magistrorum grammatice , qui jurati bene et legaliter se facturos quae dictum officium sibi commiserit, de vita et moribus dicti grammatici se informent, quem si circa eos invenerint bone fame , examinent in grammaticalibus subsequenter, et Sindicatoribus referant quidquid sibi de moribus et sufficientia in grammatica dicti grammatici invenerint. Inde relatione quorum audita sin-dicatorum sit officium praedictum admittere ad Collegium magistrorum grammatice vel excludere, repellere vel negare prout, pro utilitate comuni sibi videbitur faciendum. Qui ordo intrandi dictum Collegium locum habeat et servetur etiam in illis magistris grammatice qui dictum Collegium non intrassent secundum formam alicujus capituli de ipsorum introitu disponentis a creatione Rectorum artium citra (1). Ouomodo examen fieri debeat. Item quod examen praedictum fieri debeat et fiat per magistros Collegii grammaticae et dictos duos scribas de quibus in praecedenti capitulo fit mentio in praesentia alicuius ex Iudicibus Dom. Potestatis vel illius cui vices suas commisit et in praesentia unius Fratris Ordinis Minorum et unius Fratris Ordinum Praedicatorum, illorum videlicet qui per Priorem praedictorum et Custodem minorum fuerint ad haec deputati, qui Prior et Custos rogari debeant ex parte dicti Rectoris et Consiliariorum, quod mittere debeant ad ipsam examinationem faciendam duos ex melioribus grammaticis et Loycis suorum conventuum , unum videlicet de quolibet Conventu; qui Magistri et Notarii compellantur sacramento dicere veritatem, facta examinatione et dicti Fratres similiter compellantur a superioribus suis super approbatione vel reprobatione illius quem examinaverint. Quorum magistrorum Notariorum et Fratrum voces colligantur et Pallotolas , facto examine, antequam recedant de loco in quo dictum examer. factum fuerit et duae voces magistrorum sint illae quae processerint ex duabus terens partibus magistrorum qui tunc aderunt in illo examine et si duae partes hoc modo ipsorum magistrorum notariorum et Fratrum se concordaverint super approbatione et sufficientia ipsius , possit scolas regere et scolares docere in civitate Ianuae et Suburbiis, dummodo prius quam incipiat solvat et solvere debeat dicto Rectori nomine Collegii libras duodecim Ianuinorum , si fuerit extraneus, et ultra prestiterit notario et Statutario Comunis Ianuae stipulanti et recipienti nomine et vice dicti comunis jdoneam cautionem de faciendis et solvendis a-variis realibus et personalibus dicti Comunis sibi imponendis inde ad annos duos tunc proxime secuturos a die qua inceperit scolas regere et scolares docere. Et si fuerit Ianuensis vel de Civitate Ianuae et districtu oriundus libras decem et soldos decem Ianujnorum. (1) Questo capitolo è riportato in Leges Genurnscs in Moti. J/ist. Pai., T. XVIII, col. 653. - IQ9 — Quod si reprobatus in examine tamquam non sufficiens non possit amplius examinari. Item quod si aliquis magister examinetur et in tali examine reprobetur et insufficiens invenietur quod talis magister non possit vel debeat iterum examinari nisi prius studuerit duobus annis in studio Bononiae vel in alio studio bono et generali. De pecunia solvenda dicto Rectori nomine Collegii per examinatos. Item quod si aliquis magister examinetur et approbetur quod subito illo die quo receptus fuerit, debeat solvere dicto Rectori nomine Collegii quantitatem pecuniae superius per capitulum taxatam aut caverit jdonee de solvendo ipsam infra dies quindecim tunc proxime venturos. Et si non solverit aut caverit ut supra, habeatur et teneatur pro non examinato et tamquam non examinatus vel reprobatus a dicto Collegio dum tamen eidem per Rectorem presens Capitulum de-nuncietur. Item quod si aliquis magister de cetero ingrediatur dictum Collegium et solverit Rectori dicti Collegii nomine et vice dicti Collegii pro ingressu dicti Collegii aliquam pecuniae quantitatem, dictus Rector teneatur infra dies quindecim a die receptionis ipsarum pecuniarum ponere in locis Comperarum S. Georgii scribendis super nomen dicti Collegii quorum productus liceat Rectori cum Consilio eius consiliariorum capere et erogare in ipsis sumptibus Collegii quos ipse Rector cum Consilio Consiliarorum pro tempore deliberaverit pro utilitate Collegii. Sub pena librarum decem pro qualibet vice qua dictus Rector infra tempus praedictum id facere recusaverit vel non fecerit, applicata Collegio et ponenda in locis ut supra de aliis dictum est. De pena apposita contra Regentem Scolas contra formam presentium Capitulorum. Item quod si aliquis magister cuiuscumque conditionis existât, ceperit scolas in grammatica in Civitate Ianuae vel suburbiis contra formam presentium Capitulorum incidat in penam, pro quolibet die quo contrafecerit , soldorum vigiliti Ianuinorum postquam ei denunciatum fuerit ex parte Rectoris dicti Collegii ne scolas debeat regere contra formam dictorum Capitulorum. Liceat tamen nonobstante hoc Capitulo cuicumque civi tenere in Domo sua unum Peritum Grammaticum seu Repetitorem qui 11011 sit Presbiter vel Clericus cum numero usque in decem pueros, comprehensis suis duntaxat, quos tamen docere possit. Et quicumque magister vel Repetitor praedictus contrafecerit, incidat in dictam penam soldorum vigiliti Ianuinorum pro quolibet die quo contrafecerit postquam fuerit sibi denunciatum ut supra , quae pena applicata sit pro dimidia operi portus et molis et pro alia dimidia dicto Collegio pro suo interesse, De ratione reddenda per Rectores veteres Rectoribus novis. Item quod quicumque de cetero fuerit Rector, sive Rectores Collegii magistrorum grammaticae Ianuae teneatur ante exitum suae Re-ctoriae facere rationem Rectori vel suo substituto per Collegium praedictum ad voluntatem Collegii praedicti seu magistrorum dicti Collegii de omni eo et toto quod pervenerit ad manus suas et receperit quacumque occasione nomine dicti Collegii sub pena librarum viginti-quinque Ianue auferenda per Rectorem novum substitutum a Collegio cum Consilio Consiliariorum suorum. De non inferendo iniuriam alicui Magistro. Item quod si magister ausu themerario diceret vel inferret alicui alii magistro de Collegio aliquam iniuriam, Rector teneatur condemnare et extorquere ab inferente iniuriam soldos decem Ianuinorum qualibet vice. Et si Rector diceret vel inferret iniuriam alicui magistro de Collegio vel male egisset offitium Rectoris, Consiliarii dicti Collegii cum consilio binae tertiae partis magistrorum Collegii possint sindacare et condemnare Rectorem vel Rectores in solidis decem usque in viginti pro qualibet vice respectu iniuriae et respectu male gestorum ab uno floreno usque in viginti pro arbitrio binae tertiae partis dicti Collegii, qui tamen Rector ut jam dictum est sindicari pro aliqua causa non possit nisi in fine officii. De obediendo Rectoribus dicti Collegii. Item quod omnes et singuli dicti Coli, oboedire teneantur Rectori vel Rectoribus dicti Coll. qui nunc est et pro tempore fuerint in his quae spectant ad suum officium licitis et honestis. Sub pena a soldis decem usque ad viginti ad voluntatem dicti Rectoris pro quolibet et qualibet vice dummodo non sit contra formam praesentium Capitulorum. De contribuendo in expensu factis vel faciendis pro dicto Collegio. Item quod quando aliquae expensae fieri debeant vel factae fuerint pro utilitate Coli. , quilibet magister debeat solvere partem suam secundum provisionem Rectoris. Sub pena sold. decem Ianuinorum. pro qualibet vice, dummodo sint factae cum consilio Consiliariorum Coli, et non aliter. De cautione prestanda per magistros intrantes dictum Collegium. Item quia multi se absentaverunt cum libris scolarum et cum denariis bonorum virorum: statutum est quod quicumque deinceps voluerit ingredi dictum Coli, dictorum magistrorum immediate postea — 201 - quam fuerit approbatus debeat dare ydoneam securitatem de libris vigintiquinque Ianuinorum usque in centum arbitrio dominorum Sin-dicatorum, de fuga non arripiendo cum pecunia bonorum virorum nec cum libris scolarium , et insuper si casus accideret singularis quod a-liquis dictorum magistrorum debitum humanitatis exsolveret, et repe-riretur ipsum debere reficere Scolaribus suis pro salario ab ipsis recepto, teneatur quilibet de dicto Coli, docere dictos Scolares si voluerint ire ad suas Scolas usque ad restitutionem eius quod dictis Scolaribus reficere deberet dictus magister defunctus. De his quibus prohibitum est regere Scolam in Ianua et Suburbiis. Item quia compertum est per aliquos magistros commissa fuisse retroactis temporibus quedam nefanda et enormia facinora in pueros quos docebant quae Ianuensium genus potissime detestatur: Statutum et provisum est: Quod nullus de Marchia vel Ducatus de Tusia, Neapolitanus, vel Siculus, sive Romandiolus vel aliquis de toto Patrimonio deinceps possit intrare dictum collegium Magistrorum nec aliqualiter scolas regere vel pueros docere in Civitate Ianuae vel suburbiis vel in aliqua parte districtus Ianuae postquam fuerit sibi denuntiata copia presentis Capituli ad instantiam Rectoris vel Rectorum praedictorum de mandato Domin. Sindicatorum sub pena florenorum auri mille et ultra in arbitrio D.ni Gubernatoris , et casu quo contrafecerit et solvere non posset debeat pro civitate Ianuae fustigari, seu in locis in quibus contrafecerit, et ultra abscindatur ei una manus (i). Et quod dictum est supra de magistris idem jus servetur et locum habeat in Repetitorem nisi aliter foret in predictis per magnif. Consilium DD. Antianorum dispensatum. Quod nullus Repetitor vel Magister de probet aliquem Magistrum de Collegio. Item quod nullus Repetitor vel Magister qui non sit de Collegio deprobet seu vituperet in Rure nec in Civitate verbis, indiciis, sive factis in aliquo locorum patentium , vel occultorum aliquem de Collegio Socium vel Magistrum de se per se nec per alium interpositum vel adjunctum. Sub pena ipsi Repetitori vel Magistro a soldis decem usque in quadraginta qualibet vice arbitrio Rectoris et Consiliariorum habita prius fide de praedictis. Etsi ad instantiam alicuius magistri de Collegio fecerit, seu fieri fecerit praedicta. Sub pena ipsi magistro a libris duabus usque in decem Ianuinorum , quarum tertia pars sit accusatoris alia Operis Portus et molis et reliqua dicti Coll. Et quod dictum est supra de Repetitore contra Magistrum intelligatur et servetur de Magistro contra Repetitorem, vice versa. (i) Questo cap., sebbene abbreviato e in altra forma, si legge nelle Leges cit. col. 711. G ioni. Si. e Leti, della Liguria. 14 — 202 — De juramento Magistrorum dicti Collegii. Item quod quilibet dicti Coli, grammaticae teneantur jurare et jurasse infra dies quindecim mensis novembris singulo anno de obediendo eorum Rectoribus qui sunt et pro tempore fuerint in his quae spectant ad ipsos et artem suam licitis et honestis et de observando o-mnia et singula capitula et Statuta dicti Coli, quae sunt approbata sub pena fiorenorum duorum pro quolibet dictum juramentum facere récusante et qualibet vice, salvis semper mandatis, D.n* Gubernatoris et Consilii sui DD. Antianorum. De associajido corpora Defunctorum. Item quod quilibet magister de Coli, teneatur ire ad funus et sepulcrum cuiuslibet defuncti dicti Coli. Uxoris, filiorum et filiarum majorum annis decem quotiescumque ei denuntiatum fuerit per Rectorem et in reditu vero ab Eclesia sociare propinquos usque ad domum sub pena floreni qualibet vice. Quod qui Rector fuerit vacare debeat per certum tempus. Item qui fuerit Rector uno anno dicti Collegii non possit postea esse Rector ipsius Coli, usque ad annos tres ipso anno non computato, ita quod cessare debeat, per annos tres et si aliter electus fuerit dicta electio non valeat nec teneat aliquo alio Capitulo nonobstante. Et quod dictum est de Rectore intelligatur de Consiliariis et similiter observetur. De facienda disputatione per intrare dictum Coli, volentes Item quod quociescumque recipi debuerit aliquis Magister in dictum Coli, teneatur et debeat, priusquam ad examen perveniat seu in dictum Collegium recipiatur , facere aliquam disputationem , seu ali-quale principium , vel sermonem publice in aliqua Ecclesia Civitatis Ianuae, prius cedulis in ostiis Ecclesiarum Ianuae de dicta disputatione mencionem facientibus ut moris est. In quibus cedulis declarentur questiones preponendae vel arguende nec aliquo modo aliter aliquis recipi in dictum Coli, possit nec procedi ad examinationem vel receptionem ipsius talis ingredi volentis. Sub pena librarum quinquaginta Ianuinorum auferenda a quolibet Rectore dicti Collegii recipiente aliquem in dictum Coll. non factis praedictis et qualibet vice cjue pena in solidum operi Portus et molis applicetur. De faciendis collibetis. Item ad hoc ut Scolares ad Studium et ad addiscendum reddantur acutiores et habiliores ita tutum et ordinatum est, quod quilibet magister dicti Collegii precise teneatur et debeat quolibet anno saltem semel a Festo S. Lucae usque ad Festum Pascatis Resurrectionis Domini exclusive disputare in aliqua Ecclesia unam vel duas questiones — 203 — sive facere aliquod collibetum in arte sua prius cedulis positis per Civitatem Ianuae in ostiis Ecclesiarum Civitatis Ianuae ad hoc ut haec valeant pervenire ad notitiam singulorum potissime volentium huius disputationibus interesse quibus quidem disputationibus Rectores de Coll, interesse debeant precise nec non omnes et singuli alii magistri dicti Coli, cum ipsorum Scolaribus magis doctis. Sub pena librarum quinque Ianuinorum pro quolibet magistro disputationem facere nolente , vel non disputante secundum ordinem traditum a Rectoribus dicti Coll. de quo infra dicetur. Et pro quolibet Rectore seu magistro dicti Coll, ad dictam disputationem non veniente soldorum quinquaginta et qualibet vice. Et hoc nisi iuxta causa excusationis intervenerit pro die ordinata , quae per Rectores dicti Coli, cognosci debeat cum consilio Consiliariorum suorum vel majoris partis ipsorum magistrorum. Et ad hoc ut huiusmodi disputationes procedere valeant ordinatae et quod unusquisque dictorum magistrorum scire possit quo die disputaturus est sive ejus collibetum fieri debet: teneantur Rectores dicti Coli, omni anno ante Festum Beati Lucae per unum mensem dividere et assignare dictas disputationes inter magistros dicti Coi. qui etiam Rectores disputationem suam facere teneantur. Itaque unusquisque dictorum magistrorum ordinate sciat diem sui collibeti vel disputationis et in qua Ecclesia fieri debeat et providere possit ut circa dictum collibetum faciendum et ordinandum sint respondere debentes nec non et scolares sui acutiores quos secum ducere debebit, quas ordinationes dicti Rectores facere .debeant cum consilio suorum consiliariorum. Et hoc sub pena florenorum quattuor pro quolibet Rectore non observante predicta et qualibet vice operi Portus et molis Ianuae applicanda. De scolaribus recedentibus de scolis magistrorum. Item quod nulli Scolares et praesertim illi qui remanent sub custodia mulierum corrigi male possunt propter mutationes quas saepe faciunt de Scolis ad Scolas, quod tamen finaliter cedit in ipsorum Scolarium evidens detrimentum: Idcirco statutum et ordinatum est quod quicumque scolaris iverit ad scolas alicuius magistri et in ipsis scolis per dies quindecim ex dictis scolis recedere voluerit solvere magistro dictarum scolarum pro uno mense et si per unum mensem continuum eundo continuasset ad dictas scolas, si autem infra dictos dies quindecim a dictis scolis recedere voluerit nil propterea magistro ipsarum scolarum solvere teneatur. De condemnationibus exigendis et applicandis. Item teneantur Rectores et Consiliarii dicti Coli, exigere omnes condemnationes factas tempore eorum Rectoriae et officii et partem operis Portus et molis contingentem officio dicti operis consignare. Sub pena solvendi de eorum proprio. f — 204 — Item quod omnium penarum et tocius eius quod exigetur vigore presentium Capitulorum medietas sit operi Portus et molis et alia dicti Coli. Salvo si mentio aliqua fieret de accusatore quod tunc et eo casu tertia pars sit accusatoris tertia operi Portus et molis et reliqua dicti Coll. Et salvo ubi invenietur specialiter declaratum cui pena deberet aliqua applicari. Item ad tollendam dubitationem declaraverunt quod pecunia quae solvitur vel solvetur a quocumque ingrediente Coll. pro suo ingressu sit Coli, nec intelligatur applicata esse alteri quam ipsi Collegio quae pecunia debeat in locis Comperarum S. Georgii ut supra dictum est. Item quod frustra fuisset applicare dimidium penarum operi Portus et molis nisi earum executio fieret, teneantur quicumque Rector et consiliarii dicti Coll, ante finem officii sui denuntiare D. Patribus Comunis quoslibet, qui contrafecissent et quantum pene applicatum operi portus et molis fuisset et de eo quod de dicta pena exactum jam fuisset ab ipso Rectore seu a Consiliariis teneantur ante tempus sui officii illud assignare dictis D. Patribus Comunis sub pena solvendi de suo proprio si vel denuntiare neglexerint vel quod exactum fuisset non assignaverint ut supra. Item quod D. Patres Comunis teneantur et debeant dare brachium suum cuicumque Rectori et Consiliariis dicti Collegii tam cum eorum Cavalerio tam cum eorum servientibus ad exigendum omnes et singulas condemnationes factas a dicto Rectore seu consiliariis tempore eorum officii teneantur ipsi Rector et Consiliarii illas denunciare dictis D. Patribus Comunis ante finem officii sui ut supra dictum est. Quod capitula non firmata sint cassa. Item quod omnia et singula Capitula hinc retro facta per magistros scolarum et seu eis concessa quae non sint in his Capitulis expressa vel nisi de novo forent concessa sint cassa, irrita et nullius valoris et quod ipsi nec etiam aliquis ipsorum vel aliqua persona pro ipsis vel pro ipsorum occaxione dictis Capitulis uti possint sub pena librarum decem Ianuinorum pro quolibet et qualibet vice. Sed ista sint Capitula, quibus ipsi magistri Scolarum, Rectores et Consiliarii uti possint et debeant non obstantibus aliis Capitulis hactenus sibi concessis quod pro nullis et irritis habeantur. Quod Rectores teneantur rixantes concordare. Item quod Rectores dicti Coli, teneantur quoscumque de ipso Coli, rixantes infra triduum concordare sub pena solidorum viginti Ianuinorum pro quolibet Rectore si fuerit negligens in aliquo de praedictis quae pena exigatur a dicto Rectore contrafacientes per Consiliarios dicti Coli, cum consilio binae tertiae partis magistrorum dicti Coli, in fine officii dicti Rectoris. Et quilibet ex rixantibus ipsis Rectoribus debeat obedire et ejus mandatis licitis et honestis. Sub pena soldorum — 205 — quadraginta Ianuinorum pro quolibet inobediente quae pena exigatur a Rixantibus per Rectorem dicti Coll. de Consilio consiliariorum suorum. Quod magistri dicti Coll, ire debeant ad luminaria Beatorum Apostolorum Simonis et Iudae. Item quod quolibet anno teneantur magistri dicti Collegii ire ad luminaria B. Apostolorum Simonis et Iudae cum Rectoribus suis sub pena soldorum quinque Ianuinorum pro quolibet contrafaciente et qualibet vice. Die XI Iulii 1469. Spectabiles et prestantes Viri Babilanus Gentilis Pallavicinus, Gi-rardus Lomellinus, Francus Maruffus, Petrus de Facio, quattuor Capi tulatores Artificum Civitatis Ianuae. Habentes plenam et omnimodam Potestatem ad haec infrascripta prout constat in actis Cancelleriae manu mei Cancellarii infrascripti, praesibi Capitulis praesentibus pro magistro grammaticorum Civitatis Ianuae artis suae jamdudum concessis et demum revisis et correctis ac emendatis per Spect. Viros Nicolaum de Grimaldis Ceba , Silve-strum de Brugnali, Iacobum Iustinianum et Brancaleonem de Auria Capitulatores nuncque insuper de novo per ipsos Babilanum Gentilem et Socios revisis ac in aliquibus partibus correctis emendatis et declaratis. Demum maturo inter sese examine habito, illa omnia et singula quae in presenti volumine descripta sunt addendo , corrigendo et e-mendando approbaverunt, ratificaverunt et omologaverunt iliaque de cetero habere locum et servari debere per ipsos magistros et in ipsa arte magistrorum voluerunt et decreverunt in omnibus prout in eis continetur nonobstantibus obstantiis quibuscumque, annullantes et cassantes penitus ac irritantes omnia alia et singula Capitula quando-cumque ipsis magistris et sue arti magistrorum concessa et omnia refferantur ad haec Capitula duntaxat, de quibus in presenti volumine fit mentio. Die XXII Sept. 1469. Magnificus et 111.s D. Ducalis in Ianua locum tenens et Gubernator et Magn. Consilium D. Antianorum in sufficienti et legitimo numero congregati. Visis et auditis Capitulis artis magistrorum grammaticae ut supra concessis et emendatis correctioneque ipsorum approbaverunt et ratificaverunt ac suam auctoritatem interponentes pariter ac Decretum. Mandantes ea servari debere in omnibus prout in eis continetur non obstantibus obstantiis quibuscumque (1). (Continua). (1) Questi statuti sono in copia fatta probabilmente dal Lagoniarsino stesso. L’ originale che avrebbe dovuto trovarsi neH’Arch. di Stato in Genova, non esiste. - 20Ó — UN ASCETA DEL RINASCIMENTO (DELLA VITA e DELLE OPERE DI GIROLAMO BENIVIENl) AVVERTENZA. Il nome di Girolamo Benivieni, che traversò come una favilla luminosa, conosciuto ed ammirato , tutto il nostro Cinquecento, pur cosi ricco di luce e di gloria, andò infine a smarrirsi nel mare grande del secolo decimosettimo , e non s’è più ritolto, fino adesso, dall’oblio in cui, certo im-meritamente, era caduto. Dico immeritamente perché senza dubbio 1’ opera sua di letterato e la vita furono tali e cosi intimamente connesse l’una e l’altra con la vita letteraria e politica di Firenze, per non breve spazio d’anni, che la lor conoscenza gioverebbe non poco a rischiarare le tenebre che ancora s’ addensano su quel periodo pur tanto studiato e cosi faticosamente cercato e rifrugato del Rinascimento nostro, che v.a dal secondo mezzo del secolo decimoquinto al primo del decimosesto. Egli fu invero una curiosa figura d’uomo e di scrittore, degna, non foss’altro d’esser già di per sé sola conosciuta come prezioso documento d’ una singolare condizione psicologica che fu ai suoi tempi molto diffusa: una figura che sarebbe forse per noi incomprensibile affatto, o quasi, ove la memoria non ci tenesse presente quanto lunga distanza d’anni ormai interceda fra noi ed essa. Fonti per la storia della sua vita esistono a Firenze negli Archivi e nelle Biblioteche, non ancora compiutamente esplorate ; e sono documenti a lui contemporanei — sopra tutto lettere — e biografie di poco posteriori (i). Le sue opere poi sono quasi (i) Mi sono giovato, per intessere la storia del Benivieni, oltre che delle opere a stampa, sue e d’altri, specialmente di due biografie manoscritte a-nonime, esistenti nelle Biblioteche di Firenze. La prima è contenuta nel — 207 — tutte a stampa : poco e di poca importanza resta di inedito o di incertamente attribuitogli. Valendomi di tali sussidi, intreccerò il racconto della sua vita, non ricca di grandi casi, con l’esame degli scritti suoi, studiandomi, sopra ogni cosa, di riporlo nella sua vera luce, nelle condizioni naturali dei tempi, dei quali fu genuino prodotto. I. iDALLA FANCIULLEZZA ALLA VIRILITÀ: PRIMI STUDI, CULTURA, SPIRITI LETTERARI E FILOSOFICI. Girolamo Benivieni nacque in Firenze, di famiglia non volgare, nella quale anzi era — e poi si continuò — una buona tradizione di studi (i), nell’anno 1453. ‘Suo padre si chiamava Paolo, sua madre era de’ Bruni (2). Ebbe un fratello , Domenico, canonico e filosofo platonico , e scrittore di trattati e di epistole morali, e professore di dialettica nell’ Università di Pisa : uomo di non mediocre ingegno, seguace ardimentoso e difensore, anzi apologista, delle dot- noto cod. naz., II, I, 91 (Magi., cl. VIT, n. 746), già descritto dal Bartoli nei Manoscritti Hai. della Bibl. Naz. di Firenze, t. I, pp. 98 e sgg., e va dalla carta 231 alla 278 ; è attribuita dal Foliini, in una dissertazione inserita nello stesso codice (c. 449), al Mannelli. Certo è opera d’uno che conobbe di persona il Benivieni. La seconda è evidentemente una copia della prima , in molti punti esattissima , in altri aumentata di digressioni retoriche, in pochi di particolari e notizie nuove: sta nel cod. Marucelliano A, CXXXVII, un miscellaneo cartaceo, in f.°, dei secoli XV-XVI-XV1I, di carte numerate saltuariamente , perché in massima parte composto di frammenti , e contenente per lo più ricordi familiari e pubblici di vari. La vita del Benivieni è compresa in ventinove carte numerate, di nitida scrittura, con molte correzioni e cancellature, che appaiono di mano diversa e son tali da lasciar supporre che l’autore stesso le abbia fatte, su una copia procurata da altri. Cito il primo come cod. N.t il secondo come cod. M. (1) Ne lasciò memoria il contemporaneo Ugolino Verino, nel III libro del carine De Illustratione Urbis Florentiae: Illa vel illa potens domus extitit: unde sit orta Fama tacet, nostrasque nihil pervenit ad aures. Sed Benivena viris nunc est ornata peritis, Nobilis et claro memoranda aliquando Poeta. (2) Cod. N. — 208 — trine del Savonarola (i); un altro fratello, Antonio, medico e filosofo , dotto di greco e autore di vivaci e curiosi trattati sull’ arte sua — notevole fra gli altri quello intitolato De abditis nonnullis ac mirandis morborum et sanationum causis (2) ; — e, infine, anche discendenti, non diretti, ma per via fraterna, pur essi valorosi cultori delle lettere ; e vide, innanzi di morirà , un suo nipote, Lorenzo , divenir nel 1541 primo console deir Accademia Fiorentina (3). (1) Del Savonarola fu intimissimo, e lo accompagnò nella visita fatta a Lorenzo De’ Medici moribondo; lo difese in alcune epistole e specialmente in uno scritto che ebbe per titolo: Trattato di M.° Domenico Benivieni poeta fiorentino i?i difensione et probatione della doctrina et prophétie predicate da Frate Hieronymo da Ferrara nella città di Firenze. Impresso in Firenze per Ser Francesco Bonaccorsi a di XXVII[ di maggio MCCCCLXXXXVI. Marsilio Ficino gli scrisse una lettera chiamandolo complatonico suo (Appendice all’ediz. di tutte le opere, Basilea, 1561, p. 873. V. Il Savonarola e la critica tedesca, traduzioni di A. Giorgetti e C. Benetti, Firenze, Barbera, 1900, p. 212) e varie lettere gli scrisse Pico della Mirandola, il quale lo citò anche onorevolmente nel suo proemio De ente et unum ad Angelum Politianum (c. 241). 11 Fabrucci, nei Monum. Hist. Gymn. Pisani (t. XLIII, p. 241 della Raccolta Calogerana), riferisce d’aver trovata assegnata la morte di Domenico Benivieni al 3 dicembre del 1507, dal registro della Lau-renziana A, p. 60. E alla sua morte si riferisce un sonetto del fratello Girolamo, che si trova pubblicato insieme con le altre rime del Nostro, e che fu poi riportato dal Poccianti nel suo Calai. Script. Florent., a p. 49. (2) In quest’opera appunto Antonio Benivieni accenna all’ insegnamento di greco impartitogli da Francesco da Castiglione (c. LXII). A questo fratello del N. indirizzarono, il Ficino un’epistola {Opere di M. F., ediz. del 1495, L. V, c. 108), e il Poliziano un’elegia in versi latini, contenente le lodi della famiglia Benivieni. (3) Ecco la parte dell’albero genealogico della famiglia del N , che ne abbraccia i letterati: Paolo Domenico, can. di S. Lorenzo, Antonio, med., Girolamo, poeta, 111. 1542. ni. 1507. m. 1502. Micliele I Lorenzo, primo cons. dell’Accad. Fior., m. 1547. Antonio, canonico di S. Lorenzo, m. 1598. Per Lorenzo, si v. Salvini, Fasti consolari dell'Accademia Fiorentina, p. 201. Antonio compose una Vi la di — Piero Vettori — L'antico Gen-til’huomo — Fiorentino, stampata a Firenze per i tipi de' Giunti, nel 15*3, — 209 — Ebbe egli in dote da natura una certa qual gentilezza melanconica di temperamento , cui giovò ad aumentare la costituzione fìsica, debole e malaticcia, si da non lasciar presagire per lui un lungo corso di vita. Fin da giovinetto rifuggendo dai passatempi dell’età sua, si compiacque degli studi de’ classici e dei poeti italiani, e apprese anche ottimamente 1’ ebraico, tanto da poter tradurre da questa lingua direttamente nella nostra, alcuni salmi di David (i). La vita dove presentarglisi al suo primo apparirvi ben lieta e desiderabile , essendo Firenze all’ apogeo della sua prosperità per floridezza d’industrie e per dovizia di commercio, e tutta ridente di canti e di tripudi, fra 1’ artistica tirannide del Magnifico e la maggior gloria del Rinascimento. Poiché veramente allora l’Umanesimo accennava già a cedere il campo : esso aveva compiuto, o quasi, la sua missione di preparatore e d’iniziatore della Rinascenza. Da quel paziente e sottile lavorio di ricerche usciva già la vita nuova; il riposto senso della bellezza ch’era proprio dei pagani , a traverso tutto quel polverio di carte scosse e ricercate con cura amorosa da un capo all’altro d’Italia, lanciava come un raggio caldo e luminoso di sole, che eccitava le menti e ingentiliva gli animi. Il Benivieni, pur essendo seguace degli umanisti, in quanto amò i poeti della classica latinità , seppe apprezzare i grandi italiani del secolo precedente, e ne fece oggetto di studio assiduo e diligente , ed ebbe poi il merito insigne di essere fra quei primi che, elevando un argine contro alla preponderante e prepotente mania degli studi classici, vollero , insieme con Lorenzo dei Medici e Angelo da Montepulciano, restituito opera ricca di dottrina, scritta in uno stile concionatore, pieno di solenne maestà. A lui indirizzò il Varchi uno dei suoi epigrammi, che comincia: Antoni qui tot proavos, clarumque Parentem Non minus ingenio, quam bonitate refers..... e si trova in quella raccolta Carminum illusi?·. Poetar, Italor. (Florentiae, 1720, t. X, p. 236), nella quale si trovano pure (a p. 244) alcuni endecasillabi dello stesso Varchi al B., che cominciano : Anioni male sit mihi ac moleste..... (1) V. cod M. A titolo di curiosità sia qui riferito che vi fu chi, alla nascita di Girolamo, astrologasse « che egli farebbe la fine sua a guisa di cattivello, condennato nella persona ». (Cod. N.) « — 210 — nel debito onore il volgare nostro dispregiato. Come appunto con Lorenzo e con Angelo aveva comuni i gusti e le tendenze letterarie, non tardò a divenire amico loro intimo , e fu dei più cari al primo , di tutto quel circolo di letterati ond’ egli amò allietare gli scarsi ozi di Careggi e i brevi riposi dalle cure dello Stato, improvvisando poesie giocose e d’ amore. E non di rado avvenne che Girolamo, tolta la viola, ne unisse il suono al canto, come valentissimo ch’egli era di quello strumento. Ma 1 amicizia non lo indusse a partecipare agli stravizi del Poliziano e del Magnifico , e il suo nome , forse unico tra quelli dei favoriti medicei, passò senza una macchia turpe alla posterità. Di qual genere fossero le poesie ch’egli venne componendo in gioventù , fin verso i trenta anni, sebbene non tutte ci sieno conservate, è facile immaginare. Del culto eh’ egli ebbe per Dante e pel Petrarca risentono le sue rime, nelle quali si trovano sempre mescolati talora un po’ bizzarramente , non mai sconvenientemente gli influssi dell’ uno e dell’ altro : del primo , in prevalenza, nei carmi filosofici, del secondo in quelli erotici. Alla corte di Lorenzo dei Medici era difficile cantar d’altro che d amore, e molte poesie amorose ebbe a comporre in quegli anni Girolamo , le quali andarono poi quasi tutte smarrite. Si conserva però una sua riduzione in ottave della novella di (jhismonda e Tancredi del Boccaccio (i), che è veramente notevole per la fattura del verso e per la conduttura dell’azione, cosi maestrevole ed elegante, che lo Zam-brini , ripubblicandola nel 1863, non esitò a dirla un vero poemetto (2). La favola è nota: Tancredi, principe di Sa- (1) Decamcronc, giorn. IV, nov. 1. Fin dalla prima ottava il B. avverte di aver già composto molte altre rime d'argomento profano: Canterò io con quella cetra in mano. Per cui già tanti versi e rime ò sparse. (2) Tancredi principe di Salerno, novella in rima di Hieronimo Benivieni, Bologna, Romagnoli, 1863. Giova notare come il P. Blasi nella sua raccolta: Opuscoli di autori siciliani (vol. XX, pp. 228 e sgg.), parlasse per il primo d’un’antica stampa di questa novella, ch’egli descriveva cosi: « Il poemetto è tutto continuato senza divisione di canti, ed è racchiuso in due quaderni di 10 carte per cadauno, che hanno il loro registro a-b, ma non - 211 - lerno, sorpresi gli amori segreti della figlia Ghismonda con Guiscardo , giovine scudiere, fa uccidere questo , e strappargli il cuore ; che poi, riposto entro una coppa d’ oro, invia come dono — ed è dono di morte — alla figlia. Ed ella, .....volta all’aurea coppa, al freddo e morto Cor del suo amante, il cor troppo diletto Sguardando disse : oh dolce e fido porto ! Ah grato albergo, ah placido ricetto De’ mie" pensieri ! ah singoiar conforto D’ogni mio maggior mal ! che maledetto Sia ’l crudo cor di quel che mi conduce A veder te con queste inferme luce ! Assai m’era cogli occhi della mente, Dolce mio cor, vederti a ciascun’ora ! Tu ài di questo rapido torrente L’ultimo corso superato ! Fora D’ogni mal posto (i), la vita presente, Qual te la dessi il ciel, à termine ora! E se’ giunto a quel fin dove ogni cosa Mortai trapassa, senza aver mai posa; Lasciato ài le fatiche e ’l van dolore, Le miserie del mondo iniquo e stolto E ’n quel sepolcro or se’ che ’l tuo valore Meritò già, dal tuo nemico accolto ! Non mancava altro al tuo funèbre onore, Nè alla esequie tua, altro era or tolto, Che l’infelice e ’l doloroso pianto Di quella, che tu in vita amasti tanto! (2). v’è numerazione nè anno, nè luogo, nè nome di stampatore, ed è in forma di 4.0: fu stampato nel secolo XV, e dedicato al suo dilettissimo Giovan Pico della Mirandola ». A questa antica stampa della novella accennò pure il Brunet nel suo Manuel du libraire, dicendola rarissima e assegnandola a circa l’anno 1485. Lo Zambrini non riuscì, per quante ricerche ne facesse, a rinvenirla, e si dovè giovare, per la sua edizione, del solo codice manoscritto che a nostra conoscenza conservi il poemetto del Benivieni, il quale si trova nella Biblioteca Nazionale di Firenze con la segnatura Cl. VII, cod 726, già Strosciano n. 1004, e che — riporto le parole dello stesso Zambrini — « non è certo di molto corretta lezione ; sicché a ridurlo vi ho speso dietro non leggier fatica ». (1) Cosi mi sembra sia meglio correggere la lezione del codice: D’ogni mal posto alla vita presente che invece lo Zambrini restituisce : D'ogni mal posto è : la vita presente. (2) Ed ecco qui, per comodità di raffronto, la corrispondente prosa del - 212 — Cosi, bagnato di lagrime il cuore dell’amato, Ghismonda si uccide. Questa riduzione poetica fu pubblicata verso il 1485; già prima, fin dal 1481 , Girolamo aveva dato alle stampe le sue ecloghe , in una raccolta di bucoliche , insieme con poesie di Bernardo Pulci, Francesco Arsochi e Iacopo Fiorino de’ Buoninsegni. A ventinove anni egli aveva dunque compiuta quella parte che restò poi più notevole di tutta la sua produzione letteraria. Ma di questo m’intratterrò pili oltre ; per ora mi preme di notare che di quanto il Benivieni ebbe a scrivere in gioventù , sol quello ci resta che a lui, maturo d’ anni e di senno , piacque ci fosse conservato : il resto andò irreparabilmente distrutto (1). Tornando agli avvenimenti di sua vita , è da ricordare che non volle prender moglie , sebbene fosse di carattere socievole e tutt’ altro che misogino ; ma ne lo rattenne la costituzione infermicela e il pensiero di tutte le noie che trae seco le stato maritale (2): preferì meglio ritrarsi a convivere col nipote Michele, cui abbandono anche la cura di tutti i suoi beni di fortuna (3). Sottrattosi cosi ad ogni af- Boccaccio. Si veda con quanta fedeltà ed insieme con quanta eleganza il B. abbia saputo renderla in poesia: «.......rivolta sopra la coppa, la quale stretta teneva, il cuor riguardando, disse: ahi dolcissimo albergo di tutti i miei piaceri, maledetta sia la crudeltà di colui che con gli occhi della fronte or mi ti fa vedere. Assai m’ era con quegli della mente riguardarti a ciascuna ora. Tu hai il tuo corso fornito, e di tale, cliente la fortuna tei concedette, ti se’ spacciato. Venuto se’ alla fine alla qual ciascuno corre. Lasciate hai le miserie del mondo e le fatiche, e dal tuo nemico medesimo quella sepoltura hai, che il tuo valore ha meritata. Niuna cosa ti mancava ad aver compiute esequie, se non le lagrime di colei la qual tu vivendo cotanto amasti .. .. ». (1) «.......se la ombrosa Religione di Girolamo ci concedeva vedere il suo Canzoniere, nella maniera che esso da giovane composto lo ha-veva, forse più leggiadro, et più vago, se non cosi pio, si mostrerebbe ai leggenti ». (Cod. N.). Si vedano a questo medesimo proposito i due sonetti, l'uno di Girolamo, l’altro di Lodovico Martelli, che, traendoli dallo stesso codice, io riprodurrò in appendice (n. 1-2). (2) Cosi fece «.......pensando ai molti arredi, che dietro di necessità si tirano le femmine, e lo ritrasse principalmente, da questo la complessione sua non gagliarda, nè atta gran fatto ai servigi delle Donne, il che dalle comandamenta di S.la Chiesa, a cui egli fu sempre obbedientis-simo figlio, si persuase, che lo scusasse abastanza, ne per tutto ciò a divenire Cherico si dispose.....». Cad. M). (3) Cod. M. \ — 213 — fanno di vita materiale potè dedicarsi tutto agli studi prediletti ed apprese, oltre l’ebraico, benissimo il greco, come dimostra il fatto che tradusse in italiano tutto il Convivio di Platone (i). Ciò non ostante, non vorrei si credesse che egli fosse un santocchio baciapile o un pedantuzzo studioso, incurante di tutto che non fosse libro, noioso a sé ed agli altri. Certo , egli non visse in giovinezza come un anacoreta, lungi da ogni piacere e divertimento ; e, sebbene l’indole, seria e riflessiva fin dai primi anni, non dovesse trarlo a soverchie licenze , pure i tempi e i luoghi nei quali si trovava, erano tali da dovergli di necessità apprendere qualche benché minima particella di quella sfrenata smania di gioia e di piacere onde furono tutti ebbri durante e dopo l’epoca in cui si svolse l’adolescenza sua. Sappiamo che talora partecipò a feste ed invenzioni carnescialesche, e che un anno fra gli altri ebbe ad immaginare una mascherata assai piacevole: il rassembramento degli eroi, per la quale compose anche un vero canto carnescialesco (2). Alla Corte medicea e fra gl’intimi di Lorenzo, il Benivieni dovè fare ben presto la conoscenza di Marsilio Ficino : quale e quanta parte questo fatto abbia avuta nella sua vita , lo additano chiaramente le opere che ce ne restano: ma fu egli, insieme con Marsilio, un vero e proprio accademico platonico? Ecco una domanda per rispondere alla quale conviene prendere le mosse un poco addietro. Com’è noto, un’Accademia platonica vera e propria non esistè mai in Firenze; ma, come il periodo storico che succedette a quello in cui essa fiorì, fu proprio il periodo in cui le accademie si organizzarono con statuti e regolamenti e divennero vere corporazioni scientifiche e letterarie, accadde che a poco per volta chi parlava dell’Accademia senza una fondata cognizione dei documenti, ne venisse facendo una cosa ben diversa da quello eh’ essa non fosse (1) «........il medesimo troviamo per alcune lettere del MDX di F. Salvestro da Marradi, essere avvenuto del Convivio, di Platone, da Girolamo tradotto, e dal Pico poscia...... comentato ». (Cod. M.). (2) Riproduco in appendice (n. 3), la descrizione della mascherata e il canto, iraendoli dal Cod. Nt — 214 — in realtà. Di più : da prima, dell’Accademia non si ebbe nemmeno un concetto chiaro e distinto , e il nome di platonica si trova ad essa unito per la prima volta in un documento che porta la data del 1638. Si sapeva, più per tradizione che per certa scienza , della splendida fioritura letteraria avvenuta in Firenze ai tempi del Magnifico , e poiché nella prima meta del secolo XVI non v’ era umanista o poeta o filosofo che non appartenesse a qualche accademia, cosi di quanti umanisti, poeti e filosofi si sapeva a un dipresso ch’eran vissuti alla Corte di Lorenzo, e persino di chi non aveva soggiornato in essa che di passaggio, si fece una Achadeviia Laurentii, o Medicum. Avvenne poi d’ altra parte , che molti fra i moderni cadessero nell’ eccesso opposto , riducendò l’Accademia a qualche cosa di veramente vago e giungendo alcuni fino a negarne addirittura l’esistenza (1). E 1’una e l’altra affermazione sono eccessive ; in realtà l’Accademia platonica non fu altro che questo : una riunione di dotti amici, che s’intrattenevano a filosofare piacevolmente nell’ amena villa del Ficino a Ca-reggi, da lui stesso chiamata Accademia; ed è noto come l’Accademia di Platone altro non fosse che la sua villa posta sulle rive del Cefiso e ne’ giardini di Academo. Questa raccolta d’amici si proponeva, auspice e quasi maestro il Ficino, di far rivivere le forme e i riti dell’antica Accademia : quindi discussioni sopra oggetti filosofici od eruditi, fatte col metodo socratico ; conviti , o meglio simposi, nel preteso anniversario della nascita o della morte di Platone, e cosi via : perfino la sala delle riunioni dipinta secondo che la tradizione riferiva della scuola platonica (2). Ma neppure dell’Accademia cosi ridotta e intesa il Benivieni fece parte : egli fu — si rammenti bene — cristiano (1) Basti citare K. Sieveking, Die Geschichte der Plalonischen Akadc-mie zu Florenz, Gottinga, 1812. Chi fece l’ultimo passo in questo senso fu Gustavo Uzielli , La vita e i tempi di Paolo Dal Pozzo Toscane Ili, Roma, 1894. (2) Della sostanza di questi appunti Sull’Accademia platonica son debitore alla cortesia del prof. A. Della Torre, che, com’è noto, ne ha studiato amorosamente la storia. — 215 — nell’intimo della coscienza, per tutta la vita; l’umanesimo non lo paganizzò, come fece di tanti altri, ma gli apprese soltanto Γ amore d’ artista per le forme classiche. Marsilio Ficino, sebben platonico, nella gran disputa che agitò Platonici ed Aristotelici, se la natura operasse con cognizione o senza , non si decise risolutamente per la teoria platonica , che maggiormente accostandosi al cristianesimo riconosceva il discernimento in tutte le operazioni della natura; ma tentò di porre d’accordo platonici ed aristotelici, complicando le due teorie con un singolare miscuglio di ingenue credenze e di pregiudizi affatto medievali. Suo massimo ideale fu poi la conciliazione della filosofìa platonica con la religione cristiana, onde nacque un’ altra sconveniente mescidanza d’ elementi diversi e talora in stridente contrasto fra di loro. Ma tali contrasti erano propri del secolo, agitato e irresoluto fra le grandi voci del paganesimo classico e del rinnovantesi cristianesimo ; né lo stesso Ficino portava nei suoi tentativi di conciliazione un soverchio ardor di fede, platonico com’ egli era, convinto e irremovibile. Non cosi il Benivieni. Egli si fece in gioventù espositore, in una canzone, delle dottrine platoniche intorno all’amore, ma poi, pubblicando i suoi versi, pose lui stesso in guardia il lettore contro le dottrine in essi svolte, scon giurandolo di voler prestare maggior fede all’ autorità di Cristo , che a quella d’ un uomo gentile, e rammentando ch’egli esponeva soltanto, e senza approvarla menomamente, l’opinione d'altri, ancor che non vera (i). Il Benivieni, come studioso ch’egli era del classicismo, segui certo con interesse le attraenti teorie neoplatoniche e le ammirò anche talora, senza però mai dimenticare che esse erano d’ un’ altra religione : certo, di questo studio e di quest’ ammirazione restano tracce numerose e notevoli in tutte le opere sue posteriori. Ma la filosofica dimora di Careggi non lo ebbe fra i suoi ospiti consueti ; né il Ficino (i) Si v. l.i lettera premessa dal B. alla sua canzone, nella stampa giun-tina del 1519. intrattenne mai con lui corrispondenza epistolare, ove si eccettui una lettera che gli diresse — e non a lui solo , ma a lui insieme con Roberto Salviati — nel 1488 (1); né lo chiamò mai complatonico e confìlosofo, com’era solito di tare con coloro che conosceva suoi seguaci ed ammiratori, e come fece, per esempio, col canonico Domenico Benivieni, fratello del Nostro (2); né ebbe, finalmente, a menzionarlo in quella sua famosa lettera a Martino Pre-ninger, nella quale lasciò come la lista officiale dei suoi discepoli e familiari. Alla Corte di Lorenzo, Girolamo conobbe anche il Poliziano, e dell’amicizia che legò reciprocamente i tre grandi rinnovatori della poesia italiana nel Quattrocento, resta an cor testimone una tenzon poetica su Amore e Fortuna, che proposta da Lorenzo de’ Medici in un sonetto , ebbe risposta in altri tre sonetti, da Pandolfo Collenuccio , dal Poliziano e dal Benivieni (3). {Continua). Achille Pellizzari. VARIETÀ IL tentato assassinio DELLA PRINCIPESSA BRIGIDA SPINOLA CYBO. Giorgio Viani, messe che ebbe alla luce le Memorie della famiglia Cybo e delle monete di Massa di Lunigiana, incominciò a stampare l’Appendice dei diplomi e altri mo-nume?iti da lui citati in quell’opera; ma arrivato che fu al foglio sesto , venne colto dalla morte , e la pubblicazione restò in tronco. Il manoscritto fu comprato nel 1838 da Francesco IV, Duca di Modena, che lo fece depositare nel- (1) Marsili Ficini, Opera omnia, Basileae, 1561, t. I, c. 8yo. (2) M. F., Op. otn., t I, c. 873. V. A. Giorgetti e C. Benetti, Op. cit. p. 212 / (3) V. E. Pércopo, Una tenzone su Amore e Fortuna, in Rass. crii. d. lelt. il., Napoli, a I., n. 1-2, gennaio e marzo 1896; e I. Dbl Lungo, Florentia, Firenze, Barbera, 1897, pp. 446 e sgg. — 217 — ΓArchivio segreto di Massa. Il 35.» di que’ « monumenti » rimas o inedito è una « Narrazione dell’attentato commesso vj0QC-laV° contro la persona della principessa Bri-gi a pinola Cybo, il 23 giugno 1644 ». Il tentato assassinio venne consumato alle ore nove del mattino. a quanto apprendesi dalla relazione, emerge chiaro il tatto che il servo suddetto, chiamato dall’anonimo scrittore a? a?0, scelerato, furfante, demonio incarnato », teneva una condotta veramente riprovevole, mostrandosi disobbe-diente, rabbioso, perfido verso l’Ecc.0 Principe Carlo I Cybo, la buona e pia Principessa sua consorte Brigida Spinola, i dignitari ed i servi della Corte. La Spinola al contrario nutriva una speciale benevolenza verso Alì e pregava il manto affinchè lo inducesse a convertirsi al Cristianesimo, essendo maomettano. Trovandosi una volta il Principe, la Principessa e Donna Ricciarda a Genova in casa della Duchessa di I ursi, un gentiluomo di Corte ordinò allo schiavo Ali, che si era recato col servizio in quella Città coi suoi Padroni, di pulire una loggia del palazzo, ma esso non volle obbedire al comando del suo superiore, anzi oltremodo irritato, ferì con una zappetta un paggio, che gli aveva tirato alcune scorze d’ aranci. Questo fatto delittuoso venne a conoscenza del Principe" Carlo , il quale fece sapere ad Alì, che giunto a Massa, sarebbe stato castigato. Però in questo momento una buona novella letiziò la Casa Cybo, la liberazione cioè di D. Giannettino Doria. Lo scaltro servo fece buon uso di questo avvenimento e gettatosi ai piedi del Sig. Principe domandò perdono del fallo commesso , promettendo che per l’avvenire egli a-vrebbe tenuto lodevole condotta. Carlo accolse con benevolenza latto compiuto da lui e sorridendo disse: « Quando saremo a Alassa, ci aggiusteremo ». Giunto a questa città, il servo Alì cominciò a nutrire un odio fortissimo contro la buona Principessa Brigida, che riteneva come istigatrice a suo danno verso il Principe Carlo, ed invece di cambiare vita, come aveva promesso, e di cattivarsi la simpatia della Corte, peggiorò nella sua condotta. Intanto il malvagio decise di mettere in attuazione un suo ben triste disegno; di uccidere cioè la consorte del Principe Carlo e saziare così la brama di vendetta del tutto ingiustificata. Aspettato il momento nel Giorn. Si. c Leti, delia Liguria. 15 — 2 18 — quale la donna di servizio era uscita dalle stanze della Spinola per attingere acqua, accortosi poscia che era stata lasciata aperta la porta della scala, che andava _ alle camere superiori, ove abitavano le dame della principessa, ι servo Alì, volata la scala segreta, arrivò alla camera della Spinola , col proposito di trovarla addormentata e quindi di sgozzarla. Ma la Principessa era invece desta, perche a-veva deciso di alzarsi un po’ prima dell’ora solita per recarsi alla Chiesa di S. Francesco, essendo la vigilia di S. Giovanni Battista. Il servo iniquo si scaglio come una belva sulla buona Principessa, tirando con un coltello colpi all’impazzata. Essa venne ferita al petto, nel brac-ciò destro sotto il gomito, nella mano stessa, in un ito ^ e a mano sinistra ed in altre parti. Vistasi perduta, la Spinola cominciò a gridare disperatamente, invocando aiuto. A ι intanto, accortosi che sarebbe stata inutile la fuga, attento alla sua vita « ferendosi colla stessa arma », come si legge nella relazione , la quale fa poi capire che egli venne finito dai colpi dei soldati della guardia di Palazzo, accorsi a difendere la loro Sovrana. Donna Ricciarda, che aveva i suoi appartamenti vicini alla Principessa, il Principe consorte, le dame ed i con^ • ponenti il servizio di Corte accorsero nella camera della Spinola, che coperta di sangue, versava in gravissimo stato. Chiamati i medici, venne prontamente curata e dichiarata fuori di pericolo. Il popolo di Massa, che si era oltremodo commosso al triste avvenimento, imprecò alla memoria dello schiavo Alì e volle ad ogni costo impossessarsi del cadavere del servo infedele , che attaccato a coda di cavallo, fu trascinato per le vie , condotto ai Margini e bruciato. Fu lasciata però una parte del cadavere al pasto dei cani, affinchè essi potessero satollarsi « della carne di un altro cane ». La relazione non fa alcun commento a questo lugubre episodio, il quale mostra luminosamente quanto fosse vivo l’attaccamento del popolo massese ai Principi Cybo. L’atto brutale compiuto da Alì a danno della Principessa Brigida Spinola, che era oltremodo amata per le sue ottime virtù (come ci dicono tutti gli scrittori, di cose lunigianesi), fa vedere quale ripugnanza mostrassero generalmente gli schiavi di servire alle nostre Corti, essendo essi altezzosi, superbi e pigri, mentre i Principi ambivano di averli al oro servizio, rievocando così i tempi delle Corti imperiali e patrizie dell’alma Roma. Luigi Mussi. UN RESTAURO ALLA PORTA DELLE FONTANE MAROSE. Il documento che pubblico qui sotto riguarda una porta antica, già esistita in Genova, ora scomparsa, ma pur sempre viva nella memoria dei cittadini : voglio dire quella a f t> presso la Piazza delle Fontane Marose, detta anche e Portello. Questo nome di Fontane Marose. che sembra il più autentico, subì, com’è noto, diverse alterazioni (i): nel documento accennato è « Fontana Morosa ». Si tratta, come si vede, di una nota di spese fatte nel 1436, per la detta porta: pare che preposti ai lavori fossero Cosma Scalia e Demetrio Cattaneo, nominati in fondo alla medesima. La somma impiegata fu di L. 33, soldi 10, pari a lire italiane 373 circa (valore commerciale) (2); nel totale però sono notati s. 9 : vi è dunque 1’ errore d’ un soldo , commesso da chi fece la somma. Questa non è piccola e sembra dimostrare che non si tratta di una semplice riparazione, ma d un restauro, se non d’una aggiunta: noto che i mattoni occorsi furono 1750, e le giornate 18 di maestri muratori, 16 di altri lavoranti, oltre il porto dei materiali e 1 impastatura della calcina. Osserverò da ultimo che in calce alla nota figurano L. 7 e L. 6, pagate rispettivamente allo Scalia e al Cattaneo : le quali forse erano state anticipate da questi due e ne sarebbe quindi seguito il rimborso sulla somma innanzi citata. Ecco senz’altro il documento. Ambrogio Pesce. (Arch. di Slato in Genova, Offic. Monete, 733 B.). ►p MCCCCXXXVI die XXIIII Madij. — Expense facte super portam Fontane Moroxe. — Imprimo prò Modijs 11 calsine , L. mi s. x - Item pro minis lvi arene, L. 11 s. xvi. — Item pro matonis (1) Cfr. Bertolotto, « Genua r> Poemetto di G. M. Cattaneo, in Atti Soc. Lig. di Stor. Pat., vol. XXIV, pag. 795. (2) Cfr. Desimoni : Tavola delle Monete ecc., in appendice alla: Vita privata dei Genovesi, del Helgrano. — 220 — MDCCL, L. v s. v. - Item prò portatura de matoms, s. xv. - Item pro abayms lxxv, L. π s. xvi. - Item prò portatura de abaynis s. m. — Item pro latis xx, L. n. — Item pro tabulis , L. i. Item pro aguis, s. x. — Item pro jornatis m in magistro lansaroto, L. i s. x. — Item pro jornatis ni in magistro Antonio, L. i s. vu. tem pro jornata i in magistro petro, s. x. - Item pro jornatis vmi de labora-toribus , L. n s. xim. - Item pro jornatis ni m magistro lansaroto, L. i s. x. — Item pro jornatis ni in magistro petro , L. i s. vu. — Item pro jornatis mi in magistro Antonio , L. i s. XVI. — Item pro jornata i in magistro tomaxino, s. vim. Item pro jornatis vu e laboratoribus, L. n s. vi. - Item pro jmpastatura calsine L. s. VI. — In summa, L. xxxm s. vim. - Imprimo Expensa in d.no cosme scalia, L. vii. — Item Expensa in d.no dimitrio cataneo, L. vi. BOLLETTINO BIBLIOGRAFICO. E. A. Freeman. Storia d’Europa. Ed. ital. per cura del Prof. Dott. Andrea Galante. Manuale Hoepli di pa- gine 471. (Milano 1605). Fu, a proposito d’ un libro del Senatore Manfrin sulle conquiste dei Romani in Britannia, citato il discorso che, secondo il libro XI degli Annali di Tacito, Claudio avrebbe tenuto l’anno 801 di Roma e 48 di Cristo, perchè fosse il jus honorum concesso ai grandi della Gallici Cornata. Sarebbe troppo lungo qui riferirlo tutto ; perchè colgasi il concetto della romanizzazione del mondo antico, quale chiaramente traspare dalle parole imperiali, basterà trascriver la conclusione e lo faremo secondo la versione del Davan-zati : « La rovina dei Lacedemoni e degli Ateniesi, sì forti d’arme, che fu se non il cacciar via i vinti come strani? Ma il nostro padre Romolo ebbe tal sapienza che molti popoli vide suoi nemici e cittadini in un dì. Avemmo dei re forestieri ; si son dati magistrati a figliuoli di libertini ; non oggidì come molti s’ingannano, ma dal popolo antico*. Oh, i Senoni combatterono ; i Volsci e gli Equi non ci voltarono mai le punte? I Galli ci presero; demmo anche o-staggio a’ Toscani; patimmo il giogo dei Sanniti. Ma, se tutte le guerre riandi, quella coi Galli fu la più corta con pace continuata e fedele. Da che questi son mescolati con esso noi con usanze, arti e parentadi, portino anzi qua che tenersi là il loro oro e ricchezze. Tutte le cose , o Padri — 221 — Coscritti, che ora crediamo antichissime , furon già nuové. I ennero i magistrati prima i Padri ; poscia i plebei, indi i Latini; poi di ogni sorta Italiani; tenendoli ora i Galli, anche questo farassi antico : e dove noi gli aiutiamo con e-sempli, s’allegherà per esemplo ». Delle quali parole mi ricordavo leggendo nel Freeman che la conquista della Gallia per opera di Cesare egli considera come « uno degli avvenimenti più importanti nella storia del mondo » per aver recato « il mondo antico meridionale, di cui Roma era il centro, in contatto coi paesi e colle nazioni, che dovevano più tardi aver tanta parte nella storia, cioè la Gallia, la Germania e la Bretagna ». Il concetto fondamentale del celebre manuale di Storia Europea del Freeman è infatti che nessun altro centro essa storia può avere se non Roma. L’impero di Roma si fonda e poi si dissolve , ma è da questa dissoluzione che « sor-sero gradatamente quei regni e quelle nazioni dell’Europa moderna, che possiamo chiamare gli stati del nuovo mondo ». La Grecia però, come maestra di civiltà a Roma e al mondo, come paese europeo che ha avuto, anche avanti della conquista dei Quiriti, una più vasta e più nobile storia di Roma stessa, obbliga ΓΑ. a uno speciale capitolo , che è il secondo. Gli altri quindici poi trattano succintamente e magistralmente le vicende europee dalle origini di Roma alla unificazione dell’Italia e della Germania nella seconda metà del secolo passato. Così il celebre manuale fu molto opportunamente tradotto nella nostra lingua, come introduzione generale ai singoli manuali storici e può servire, per le vedute nuove e geniali di parecchi periodi importanti di storia dei popoli stranieri (i) ad incoraggiare gli studiosi italiani a dedicarsi più risolutamente che finora non abbiano fatto alle indagini su questi popoli, secondo che il Villari consigliava al Congresso Storico Internazionale di Roma, nel 1903. E il Galante ha fatto bene a riferirne l’autorevole consiglio. Bensì non vorremmo trovare nella versione italiana da lui presentata alcune forme poco accettabili come filoppo-vicnc (p. 50); Lascare (p. 215); Lignitz per Liegnitz (p. 221); (ι) V. p. e. a p. 334 quello che si nota sulla trasformazione dei giannizzeri come causa di decadenza dell’Impero Turco. Neuwfoundland per Terranova (p. 363) ; Solothurn per Soletta (p. 290) (1) ; alcune incongruenze, come Lotanngia scritta ora con Yh ora senza, alcune sviste come Svezia (p. 167) dove evidentemente deve leggersi Svevia ; Matteo Corvino (p. 259) dove ha da dirsi Mattia (2); 1251 in-vece che 1291 (p. 212) come data della definitiva conquista di Acri per opera dei Musulmani, che però e giustamente indicata nello specchio cronologico alla fine del volume. Qualcuna di queste inezie può dipendere da insufficiente correzione delle prove di stampa , ma è veramente errore (imputabile al F. o al G. ?) che D. Giovanni d Austria venga chiamato fratello uterino anziché naturale di Filippo II (p. 286). Anche le surricordate inezie abbiamo creduto di notare, trattandosi d’un libro lodatissimo al-Γ estero, e che ora per la prima volta viene tradotto in italiano. Senza atteggiarci ad emunctae nans critici, possiamo credere di contribuire cosi a render perfetta la seconda edizione che auguriamo non si faccia molto aspettare. Guido Bigoni. (1) Forma tedesca più stranamente usata presso le altre forme italiane: Friburgo, Basilea, Sciaffusa. (2) Mi sia qui permesso ricordare di nuovo, come altra volta ho fatto, (V. di questo Giorn. Anno II (1901) p. 456, nota 1), un argomento di quelli stranieri, ai quali si riferisce nella prefazione il Prof. Galante: cioè il regno di Mattia Corvino, che ha relazioni cosi varie e importanti colla storia italiana del quattrocento. Da consultarsi: Le Lettere e gli Atti del re pubblicati da Guglielmo Fraknoi nei Mon. Vatic. Hung. e lo studio biografico dello stesso autore nell’annata VII (1890) delle Biografie storiche ungheresi (in ungh.). Più accessibile la Storia di Boemia del Palacky che contiene si copiose ed utili notizie (in ted.) e l’interessante articolo di Alessandro Marki, il dotto professore deir Università di Kolozsvàr , scritto per il monumento eretto al gran re in quella capitale Mathias Corvinus und die Renaissance (Sonderabdr. aus der Oesterr. Ungar. Revue. Bd. XXV. Helft. 5-6) Wien 1900, con fotoincisione del monumento. Gli estratti degli umanisti i-taliani contemporanei del re, e che sono indispensabili per chi si accinga a tale studio, furono raccolti in volume da Jeno Abel (Budapest 1890). Detti umanisti sono Aurelio Brandolini, Ludovico Carbone, Galeotto Marzio, Naldo Naidi T. Alessandro Cortese, Ugolino Verino, Gianfrancesco Mariiani. — V. anche il Memoriale a Beatrice d’Aragona regina d'Ungheria di Diomede Carafa pubblicato con introduzione da Benedetto Croce (Napoli 1895); lo adorna la fototipia d’ un busto della regina moglie di Mattia Corvino. — 223 — ANNUNZI ANALITICI. Qualche notizia sulla famiglia Medici di Lunigiana. Documenti e alberi genealogici. Firenze, Soc. Tipografica Fiorentina, 1905; in 16.0 di pp. 104, con 4 tav. gen. — Il casato illustre farà subito supporre, anche per la vicinanza della regione con la Toscana , che si tratti di famiglie derivate da un ceppo a quella comune; ma l’autore, che è molto cauto e circospetto, affermando che i Medici si trovano in Lunigiana nel secolo XIV, secondo buoni documenti, confessa non essergli « stato possibile rintracciare » donde « provenissero que’ primi » che ne portarono il casato in Val di Magra. La tradizione però ritenne sempre che essi avessero comune origine con quelli di Milano e di Firenze. Della quale opinione si fa sostenitore il lunigianese Giuseppe Antonetti in tre lettere scritte nel 1772 a Don Agostino Medici di Sarzana, e qui riferite, le quali, se non porgono la prova assoluta di quanto asserisce, pur contengono osservazioni, rilievi e documenti per più ragioni notevoli. L’ipotesi che si potrebbe fare è questa: che Giovanni, stipite riconosciuto delle famiglie lunigianesi, fosse figlio di Bartolomeo (fratello a Silvestro) fuggito nel 1360 da Firenze , dove non fece più ritorno. L’A. poi si mostra persuaso che « la disputata parentela » dei Medici « di Milano con quei di Firenze esistesse realmente », a conforto della quale opinione ei reca alcuni documenti assai curiosi e rilevanti. E codesto intento di provare la parentela fra le due casate torna per indiretto a dar credito alla tradizione che da comune ceppo derivasse altresì la famiglia lunigianese, poiché uno dei più cospicui personaggi del ramo panicalese ottenne da Pio IV diploma di conte palatino e cavaliere dello Speron d’ oro , perchè , recatosi a Roma nel 1562, « presentò » al Pontefice « documenti tali che questi riconobbe di sua agnazione la famiglia lunigianese ». Riconosciuta sì fatta parentela coi Medici di Milano ne consegue quella con gli omonimi toscani. Tre sono le famiglie onde si divise il ramo trapiantato in Lunigiana, e cioè, quella di Sarzana, quella di Panicale, quella di Lucca proveniente da Moncigoli ; una quarta ancora di Panicale che pur assunse il casato Medici e lo stemma, derivò veramente dai Paganini , perchè un Francesco sposò una Medici e lasciato il primo cognome, forse per disposizione testamentaria, ritenne senz’altro il secondo. Di tutte queste discendenze l’a. porge notizie sicure e documentate per mezzo di una opportuna e ben condotta esposizione storica, che è insieme illustrazione delle esattissime tavole genealogiche le quali corredano il volume. Fra gli uomini di certo valore del ramo panicalese, va segnalato Iacopo (quegli che fu insignito del titolo di Conte Palatino e Cavaliere dello Speron d’ oro) dottore in ambe le leggi , e che fu Auditore della Ruota fiorentina. A proposito di lui avvenne un caso curioso. Sul cadere della vita egli sollecitò dalla Re- — Ì2\ - pubblica di Genova 1’ ufficio stesso ricoperto a Firenze ; fu eletto infatti nel 1595 Auditore per la Ruota esecutiva, e il Senato s’affrettò a comunicargli la nomina mandando la lettera per il recapito al Commissario di Sarzana. Questi fece chiamare il « Capo de’ Cavalli » per adempiere l’ordine; ma con sua grande sorpresa si sentì rispondere che il Medici era « passato all’ altra vita quattr’ anni sono », la qual cosa gli venne confermata « da molti cittadini » di Sarzana. Senonchè al Senato volle mandare prova più concreta della « pubblica voce e fama », e poiché per una fortunata occasione si trovavano a Sarzana alcuni panicalesi ne assunse ufficialmente le testimonianze. Federico Bancio di Licciana Pretore e notaro di Licciana e Panicale attesta che Iacopo morì « a casa sua 1’ anno 1591 del mese di luglio » ed egli stesso ne aveva ricevuto il testamento (che è del 13 luglio 1591 e si vede citato dall’Antonetti nelle ricordate lettere); ed è quel notaro che rogò 1’ atto 4 giugno 1589 col quale Iacopo nomina un notaro (doc. XXIII). Camillo del fu Giovanni della Braia notaro afferma la medesima cosa, ed aggiunge : « et io come della Casaccia de batuti 1’ accompagnai alla sepoltura et lo portai io medemo sopra le mie spalle nel cattaletto ». Finalmente Pietro de’ Pecini fisico, molto amico del defunto , ripete ciò che gli altri hanno detto , « et io », segue, « intesa la sua morte andai in d.° luogo a condolermi in casa sua con la moglie, alla quale ho visto fare il pianto et vistola portare le vesti viduali...... et so che la bona memoria di mio fratello ser Pecino mi disse che d.° dottore era stato posto nel bossolo per Auditore delle Ruote di Genova, e che egli si era perciò adoperato col S.or Giero-nimo Canevaro ». (Arch. di Stato, Genova, Lettere a/ Senato, fil. 16S). In questo modo il Commissario di Sarzana fece intendere al Senato che avevano nominato un morto da ben quattro anni. Aggiungeremo a titolo di curiosità che quell’Agostino di Giambattista , del ramo di Sarzana, nato il 1791 e morto nel 1851 (padre dell’unico superstite di sua famiglia, che è Francesco l’egregio autore del presente libro), il 28 agosto del 1804 domandava al Magistrato supremo della Repubblica Ligure, l’autorizzazione per ottenere la prima tonsura e i quattro ordini minori (Arch. cit., Rep. Ligure, fil. 414, n. 222). Gli venne concessa , ma poi non continuò la carriera ecclesiastica. Giambattista e Γ avv. Francesco Antonio suo fratello figurano poi fra i poeti che cantarono le lodi del Commissario di Sarzana, Giuseppe Pinello-Sal-vago, nella raccolta stampata a Lucca il 1782, rispettivamente con un epodo (pp. XL1II-XLIV) e due sonetti (pp. XV1II-XIX), e del secondo si legge anche un sonetto intitolato La verità nell’altra anteriore raccolta, pur stampata a Lucca nel 1773, per il governo dì Giambattista Serra (p. LVIII). — Due documenti (il XVIII e il XX), secondo nostro parere, esorbitano dal concetto onde si vede informato questo lavoro genealogico. Riguardano essi i legami di Don Giovanni de’ Medici e della Livia Vernazza genovese e le controversie che suscitarono, argomento che porse al Belgrano curiosa materia per una delle^sue spigliate e geniali — 225 — monografie. Ma il XVIII, sebbene mutilo, ha per noi un certo interesse, perchè, oltre al rilevare che di quei legami non un sol figlio rimase, ma altresì una figlia nominata Giovanna Maria Maddalena, cosa ignorata dal Litta , ci fa sapere che i curatori e tutori di quei pupilli nominano loro difensore nella causa sulla validità del matrimonio rimessa per definitivo giudizio al vescovo di Sarzana , il giureconsulto Girolamo Sanguinetti. L· quello stesso di cui abbiamo veduto citato un Compendio storico delle cose più memorabili di Sarzana , ms. , e ci è occorso di leggere una allegazione in materia di confini alla Par-mignola (Arch. Com. di Sarzana, fil. 2.a, n. 65). Fu priore degli Anziani nel 1630 , e sovente dovette avvocare alla Curia ecclesiastica, onde ebbe acri controversie col vescovo, come risulta da lettere sue e del Commissario di Sarzana del 1628 e 1639; più tardi (1648) fu sottoposto ad una perquisizione come detentore di libri proibiti , ed ordinatogli dì recarsi a Genova « alla porta dell’Audienza del Senato », (Arch. di Genova, Leti, al Senato, fil. 289, 338, 476). Gian Carlo Buraggi. Uno statuto ignoto di Amedeo IX duca di Savom. 1 orino, Bona, 1905, in 8.° di pp. 32. — Le diligenti ricerche dell’a. hanno posto in sodo che di questo documento nessuno aveva mai fatto cenno , di quanti raccolsero le disposizioni legislative emanate dai duchi di Savoia, o altrimenti delle stesse discorsero con maggiore o minore ampiezza. Viene esso ad accrescere il novero assai scarso degli atti attinenti alla legislazione che Amedeo IX promulgò durante il suo governo, e il B. ne rileva per questo lato la importanza e la singolarità. Il testo viene esemplato sopra la minuta dello Statuto, la quale spiccata da un registro, per ventura rimase nelPArchivio torinese, e fu collocata fra gli editti originali. Esso è preceduto da una illustrazione sobria e sostanziosa, nella quale le disposizioni statutarie vengono partitamente poste in rilievo, e con opportuni confronti indicate le relazioni che hanno assai manifeste con la precedente e la successiva legislazione ; donde si viene a riconoscere in qual parte possano dirsi indipendenti ed originali. E poiché nella loro forma sì fatti ordinamenti si presentano privi di ordine logico, così 1’ a. ad agevolarne 1 intelligenza e la retta interpretazione , raggruppa insieme nel suo discorso quelli che riguardano il rispetto dovuto alla religione, P amministrazione della giustizia, e il diritto penale. Di questa guisa egli riesce lucido e chiaro nell* aprire al lettore il suo pensiero con perspicuo criterio, e acuta disamina. Giustamente rileva che lo statuto presente, anziché un contenuto strettamente giuridico, sì come hanno le leggi posteriori, per la sua essenza e per il suo fine può dirsi piuttosto di carattere politico. Del pari opportuno si palesa lo accenno, come a peculiarità singolare, della menzione che quivi si fa delle congregazioni de’ tre Stati, le quali avevano sotto quel principe assunto uno sviluppo sì importante; nè è men da osservarsi che la compilazione di queste disposizioni legislative emanano da una triplice autorità, il duca, la duchessa e il luogotenente generale. A proposito del - 2 2 6 — diritto penale il B. si ferma sulle sanzioni contro i banditi, in ispecie perchè richiama un editto del duca Ludovico rimasto ignoto agli studiosi e che viene qui prodotto in appendice, mentre ei ne fa un breve, ma accurato esame con utili riscontri storico-comparativi. Il lavoro di cui facciamo cenno è condotto con buon metodo , pienezza d’ infor mazione e serietà d’intento, onde porge buona testimonianza di quanto potrà fare in seguito il giovane autore che si presenta ora per la prima volta nel pubblico arringo. Angelo Solerti. Gli albori del molodramma. Palermo, Sandron, 1904-5, voi. 3. — Quest’opera consta di tre volumi, ma ne aspetta un quarto; ossia la parte seconda del terzo. Il S. a furia di ricerche lunghe, insistenti, felicemente condotte ha raccolto un materiale prezioso per stabilire , come , quando , in che guisa , con quali inconditi principi, e varie modalità si venne a determinare quel genere letterario drammatico, al quale fu accoppiata la musica. Produzione poetica che ebbe valore in se stessa e per gli autori, e pel contenuto, fino a che la musica, da parte accessoria ed esornativa, non diventò principale attrattiva di componimenti sì fatti, allettando per ciò che era arte del suono e del canto; mentre perdeva importanza la poesia. Precede una larga introduzione (tutto il volume primo) dove il S. con ottima preparazione ha divisato il risultato dei suoi studi. Negli undici capitoli ond’ essa si partisce , ben nutriti di osservazioni, di riscontri , di prove, e ottimamente materiati di notizie molteplici, abbiamo in chiara esposizione rigorosamente metodica la storia dello iniziarsi di questo genere melodrammatico , che procedette per gradi , titubante e non ben definito per tutta la seconda metà del cinquecento , e fece suo prò de’ cori, delle pastorali, dei canti carnescialeschi, dei trionfi, delle mascherate, de’ balletti, delle veglie; si accomunò alla commedia del-1’ arte , la quale ebbe in un tempo recitanti improvvisi , e cantori di non scarso valore. Conferirono al lento procedere del nuovo indirizzo musicale le rappresentazioni veneziane nell’ ultimo trentennio del secolo, mentre a Firenze un’accolta di dotti valorosi studiava di proposito la scienza musicale e giungeva a risultati di notevole importanza, che saranno scala a quelle novità onde sorse il melodramma; il quale tuttavia ebbe ancora bisogno d’ un lasso di tempo notevole , affinchè tutti gli elementi ed i generi ricevessero disciplina e fruttificassero ; il che avvenne per opera di musici rimasti giustamente celebrati. E da queste prove felici ecco aH’aprirsi del nuovo secolo comparire ed occupare in breve il campo il vero e proprio melodramma. I nomi dei più insigni poeti contemporanei , e dei migliori maestri di musica ricorrono in questo sorgere del melodramma; a capo di tutti il Rinuccini a cui va meritamente accanto il Chiabrera; e ad essi fanno tenore nell’arte il Monteverde grandissimo, e il Peri, e.il Caccini per tacer di altri. Di qui il prepararsi e lo svolgersi delle rappresentazioni e delle feste fiorentine e mantovane eh’ ebbero tanto vanto , e menarono sì grande clamore. Feste e rappresentazioni sulle quali si ferma con ampi ——-———————— particolari e nuovi documenti il Solerti , come quelle che segnano il rinnovarsi dell’arte musicale sul teatro, e il fondersi con mirabile accordo de’ numeri e del sentimento poetico , con 1’ armonia del canto e del suono. Questi primi trionfi onde si compiacciono musici e poeti, principi e signori , in breve escono dalle mura di Mantova e di Firenze, per deliziare altre città, dove pur ebbe liete accoglienze la nuova maniera di rappresentare le favole sceniche col canto, onde trovò al · tronde cultori appassionati e fecondi , degni pur essi di ricordo sebbene que’ primi non eguagliassero. Così ebbe in sorte l’Italia di veder sorgere nel suo seno quella musica propria ed indigena invidiata , ricercata , desiderata e non contesa, dalle altre nazioni. Il secondo volume è interamente dedicato alla varia produzione melodrammatica del Rinuccini , tratta in molta parte dai monoscritti autografi che il Solerti ha diligentemente studiati nella biblioteca Trivulziana, dov’essi si conservano (un’ imperfetta notizia ne aveva dato il Porro in quel suo poco felice, ma pur sempre utile catalogo de’ manoscritti di quella insigne biblioteca patrizia), tenendo conto altresì degli altri autografi rinucciniani che giacciono nella Palatina di Firenze. E dalle stampe originali e migliori ha riprodotto quel tanto del poeta fiorentino che tornava a suo uopo. Di tutto ciò ci dà ragione nell' accurata bibliografia posta in capo alla raccolta. Buona parte del volume terzo ci pone sotto gli occhi quanto ha scritto nel genere melodrammatico il Chiabrera, con innanzi una notizia bibliografica opportuna. Nulla qui v'ha di inedito, ma alcune favolette sono esemplate da stampe di somma rarità, e che sfuggirono a precedenti ricerche. Con tre componimenti dello Striggio, autore del celebrato Orfeo, uno del Landi ed uno del Corsini si chiude per ora la importantissima raccolta, alla quale chiede l’editore buona accoglienza dal pubblico studioso per essere incoraggiato a compierla con i melodrammi , le favolette , gli intermedi e i balletti di vari autori che ci conducono al 1640, al quale anno chiude il S. il primo periodo della storia del melodramma. Da parte nostra auguriamo che il desiderio suo abbia pieno assentimento , e presto si vegga a stampa Γannunziata seconda parte di questo terzo ed ultimo volume. Giovanni Dolcetti. Le bische ed il giuoco d'azzardo a Venezia 1172-1807. Venezia, Callegari e Salvagno, 1903, in 8.0 di pp. 2S7. — Una raccolta copiosissima di documenti ricercati in archivi e in biblioteche con perseveranza e diligenza grande , ha dato origine a questo libro , che non ha la pretesa di una storia organica ed ordinata dei giuochi, ma si contenta di disciplinare in otto capitoli quanto all’a. è venuto alle mani intorno al soggetto. Ci mette quindi dinanzi prima di tutto i molti giuochi che si usavano in Venezia con le modalità peculiari d’alcuni di essi. Entriamo poi nelle bische: ce ne sono di tutte le qualità e d’ogni genere, cominciando da quelle governative del lotto pubblico e andando giù giù fino alla suburra; e quivi ci passano sotto gli occhi personaggi di tutte le specie, senatori e barcaiuoli, — 220 — mercadanti e sensali, preti e secolari, segretari e birri, uomini di toga e di spada: donne d’ogni qualità varie di ceto, di gusti, di costume; ma tutte o prese dalla passione del giuoco o desiderose di trar da questo illeciti guadagni ; o fatte zimbello per meglio attirare i merlotti. Una maniera speciale di bisca s’era introdotta nelle botteghe de barbieri, e bravamente rivaleggiava se non al tutto vinceva quelle altre più volgari ed abbiette. I nobili s’ accoglievano nei Casini ; e ce ne erano in vari luoghi della città per mangiare, bere, conversare, far all’amore, e poi per giuoco aperto, privato, generoso o per speciali trattenimenti; nè mancavano i casini da giuoco per meretrici. E fra i più famosi il Ridotto che vietato nel mezzo del cinquecento risorge e vigoreggia in barba alle leggi, e finisce con un’ordinanza governativa nel 1774 dopo essere stato messo in satira in tutti i modi , e aver dato luogo a una catasta di denunzie. E correvano tutti colà, persino il gottoso ambasciatore di Spagna che uscendo , urtato malamente dal-1’ andirivieni delle maschere in folla , andava « cospettando in lingua genovese sino al fondo della scala ». L’ entità del giuoco stava nelle poste , piccole e grandi, anzi strabocchevoli a dirittura quando 1 aire era preso, e dentro si pressavano gli sfruttatori addestrati, donde danni e rovine. Nè basta, chè i bari facevano lor prò di questa smania viziosa , e o soli o stretti in società , o di piccola gente o di signorile casata adoperavano loro arti; qualche volta puniti, spesso liberi e franchi fra magistrati corrotti. Lo spasimo del giuoco, l’ingordigia del guadagno, le pervicaci disdette davano stimolo e fuoco all’animo, ottenebrando la ragione; donde risse, vendette, assassini. 11 vigile magistrato s’industriava con leggi, con processi e condanne a por argine al male incancrenito: ma 1’ incertezza, e specie la disuguaglianza nel colpire a seconda del ceto cui apparteneva il delinquente, frustrava il rigore della legge. Ampia e minuta si presenta la legislazione sul giuoco raccolta nell’ appendice quinta , e porge casi degni di osservazioni e di rilievo, sì come si manifesta vana e molteplice a seconda de’ tempi. Insomma questo volume che deve essere costato tempo grande e fatica infinita al diligente autore, è una miniera di fatti e di documenti interessanti e prende posto notevole fra le opere che riguardano il costume. L’A. che esercita 1’ arte del barbiere e sopra quest’ arte appunto va facendo da tempo ricerche lunghe , insistenti, fruttuose , ha già dato qualche saggio dei suoi studi con I barbieri chirurghi e La profumeria dei Veneziani, onde è da augurare che presto veda la luce l’opera storica annunziata, della quale pur qualche tratto ci fa assaporare nel presente volume sul giuoco. Fortunato Rizzi. Le Commedie osservate di Giovati Maria Ceccìn e la commedia classica del secolo XVI. Rocca S. Casciano, 1904, in 16.°, pp. 260. — In questo lavoro, buono sotto ogni rapporto, il R. studia le commedie osservate del Cecchi. cioè quelle che seguono i modelli classici nell’ argomento e nella condotta. Nella prima parte egli esamina gli elementi imitati , derivati da originali delle commedie cec- — 22Ç - chiane, nella seconda invece ricerca quanto si trova di derivato o di imitato, e quanto di originale nei tipi comici. Nuovi sono i risultati, a cui egli arriva ; le commedie, dove Γ imitazione latina è più palese sono, secondo lui: La Moglie, La Sitava, La Maiani, I Dissimili, Il Martello, / Contrassegni. Il Cecchi osserva tutte le regole dell’ arte comica stabilite già da Plauto e Terenzio , da cui toglie la favola , i tipi e qualche volta le scene e i dialoghi, incastrandoli di peso , ma tradotti, nelle sue commedie. Però il comico fiorentino non è un pedissequo imitatore dei classici; s’è vero che la maggior parte delle commedie seguono nel disegno generale e nella struttura tecnica il modello latino, alcune se ne allontanano. L’uso fatto da lui della contaminatio accenna appunto eh’ egli manipolava con una certa libertà la materia comica, diversamente da altri comici del suo tempo, i quali si compiacevano di confondere in una, due o tre commedie classiche. In questo diverso uso della contaminatio, nel modo cioè come il Cecchi collega i varii episodii e prepara le scene , appare 1’ originalità sua. « Motivi, fatti, viluppi sono pur sempre imitati dai latini, ma la cura della naturalezza, che qua e là chiaramente trasparisce e il senso del verosimile sono note originali d’ artista moderno ». Egli' in vero dà un’ intonazione moderna alle favole imitate, le anima di spiriti nuovi, ne cura la psicologia dei personaggi , i quali hanno sentimenti e affetti che si addicono al sentire dei nostri tempi. Alcuni motivi comici il Cecchi desume dal Boccaccio, dal Bandello, dal Bibbiena e dall’A-riosto, altri infine dalla società in cui egli viveva. Alla seconda parte del lavoro seguono alcune note sulla commedia classica del sec. XVI. Sono osservazioni acute d’ indole generale , che il prof. Rizzi ha potuto fare durante il'suo studio sulle commedie cecchiane. Non formano però una trattazione compiuta sulla commedia classica del sec. XVI, e l’autore lo confessa in nota. Alcuni capitoli a me sembrano fatti proprio bene , come quello che riguarda la satira e la morale nelle commedie osservate , invece il capitolo sulla donna andava illustrato meglio. In realtà le ragioni addotte per spiegare l’assenza delle donne nelle commedie del sec. XVI non mi sembrano tutte convincenti. Il R., avrà certo modo di approfondire l’argomento nella seconda parte del suo lavoro sulle commedie morali e le farse che sta preparando. (Michele Lupo Gentile). La poesia popolare italiana. Studi di Alessandro D’Ancona. Seconda edizione accresciuta. Livorno, Giusti , 1906, in 8.° di pp. 571. - Le molte pubblicazioni di poesie popolari o ad esse relative , e le nuove ricerche dell’A. hanno consigliato questa ristampa, la cui prima edizione era ormai esaurita. Diciamo ristampa, e non rifusione o rifacimento, perchè il lavoro rimane qual era quando venne fuori la prima volta, nel disegno, nell’ossatura, nello svolgimento e nelle conclusioni, ciò dimostra la bontà e la solidità sua che tutti riconoscono. Le giunte sono molte e consistono nella massima parte in nuove osservazioni, esempi, raccostamentj e confronti, suggeriti all’A. dal largo movimento — 230 — critico e letterario che si è venuto accentuando nell’ultimo ventennio, di che porge testimonianza il ricco apparato bibliografico, che giunge fino al tempo presente. Utilissima dunque la ristampa di quest’opera, la quale pur studiando quasi solamente la parte lirica della poesia popolare, come quella eh è più originale e più genuina, resta nella nostra letteratura come fondamentale e classica. Cesare Musatti. Dal vocabolario veneziano di Carlo Goldoni. Venezia, Pellizzato , 1906 , in 18.°, pp. 8. — Questo breve e succoso e-stratto àa\V Ateneo Veneto ricorda al futuro rinnovatore del vecchio Boerio il Vocabulario o sia Spiegazioni de çerte parole veneziane che no fusse capìe in ogni logo: aggiunto da papà Goldoni al XIII tomo dell’edizione torinese delle sue commedie stampate da Marco Fantino e Agostino Olzati. Questo Vocabolario non fu compilato per esclusivo uso del teatro goldoniano, ma bensì della traduzione veneta del Bertoldo, e qui confesso che il Musatti, così dotto delle cose veneziane, avrebbe fatto bene a illuminarci un pò’ più intorno all’ occasione che suggerì al Goldoni questa felice idea. Avea ben ragione Augusto Franchetti che , appunto nel numero unico dal Musatti citato , chiamava il veneziano, col suo sale e le sue grazie , il vero dialetto della commedia! Boca da forno per grandissima; bevagni de trinca per bevitori emeriti ; critichi sartori per lingue malediche ; eser a casa co le scriture per esser informati d’una cosa per filo e per segno, son fra gli esempi caratteristici che il Musatti riferisce dal Vocabolario di cui si parla. E il Vocabolario comico che il Goldoni aveva in mente? N’ è forse rimasta traccia, rimasta reliquia alcuna in qualche archivio privato? Lo chiedeva il Fulin nel 1883, lo chiede adesso ancora il Musatti, ed io con lui. (Guido Bigoni). Amy A. Bernardy. Cesare Borgia e la Repubblica di S. Marino (1500-1504). Firenze, Lumachi, 1905; in 16." di pp. 95. — Una buona raccolta di notizie , messa insieme con cure diligenti ed esatto criterio storico , permette alla valente scrittrice di ristabilire i fatti del turbolento periodo in cui la gloriosa repubblica dovette subire la non lieta padronanza di Cesare Borgia. Essa riesce a lumeggiarlo sapiente-mente , di guisa che la verità storica balza fuori da queste pagine in tutta la sua interezza. L’ episodio si rannoda ai ben noti disegni del Valentino sulle Romagne, per formare quello stato eh’ egli e il padre suo vagheggiavano, e che doveva essergli scala a più alte fortune. E qui ci tornano dinanzi i modi onde ai propositi suoi cercava e voleva effetto e compimento; siccome il balenare delle armi, la tortuosa politica pontificia, e Γ accorto maneggiarsi di Venezia. Due volte a Cesare dovette piegare Sanmarino fra il 1502 e il 1503, e, ben s’intende, per forza; che se ne sottrasse fra l’uno e l’altro periodo quando il feltresco S. Leo risollevò le insegne dell’antico signore, esule e peregrino, sapendo bravamente resistere alle schiere borgiane mercè l’accordo felice « della fierezza romagnola dei cittadini » con la « tenacità genovese » dOttaviano Fregoso che ne comandava la difesa. La — 231 — morte di Alessandro VI, e il conseguente sgominarsi de’ suoi, in un co nuovi orientamenti politici sull’inizio del pontificato di Giulio II, fecero precipitare le momentanee fortune, così poco solide del Valentino, e Sanmarino s’ affrettò a riprendere la sua vecchia libertà , sebbene gli strascichi della dominazione infausta siano rimasti ne’ libri di spese, dove s’impara come alcuni debitucci che a quel periodo si riferiscono non vennero saldati che due anni più tardi. Interessanti documenti tratti dagli archivi di S. Marino e, i più, di Venezia, chiudono la narrazione resa geniale da una forma semplice e spigliata. SPIGOLATURE E NOTIZIE. φ\ Nicolò Puccini, nel fervore di arricchire la sua galleria di grandi quadri storici di soggetto patriottico , affidò nel 1838 al giovane scolaro del Bezzuoli, Emilio Busi , figlio di un proscritto rifugiato in Polonia, l’incarico di dipingere La cacciata dei Tedeschi da Genova per il moto di Balilla. « Il soggetto eh’ Ella si è compiaciuto darmi », scriveva, « è stato di tanta mia soddisfazione e con tanto furore mi accingerò a trattarlo, che già a quest’ ora sono tutto convulso solo pensandovi; ardo d’impazienza di por mano all’opera.... Mi sarà pur dolce sfogo di sciogliere col pennello un voto che ferocemente desidero sciogliere, ma con istrumenti ben più tremendi ». Il pittore ad attingere ispirazione, si rifece al racconto del Botta; ma con ottimo consiglio si recò nel luglio a Genova. Gli fu guida 1* avv. Michele Giuseppe Canale, e visitando le opere della vecchia scuola pittorica genovese ne recò giudizio assai giusto: «Luca Cambiaso, Bernardo Castello , i Piola, i Carloni sono pittori di un genio grandissimo ; il primo specialmente è a ragione chiamato il caposcuola ». Da Genova scriveva poi al Puccini : « Ho disegnato attentamente la strada famosa ove il gran fatto accadde, e fortemente mi commosse la vista di una lapide posta a eterna memoria nel punto dove il mortaro profondò, e guai a chi la tocca ; difatto non sono molti anni che il governo voleva togliere quella odiosa ricordanza, ma ben presto depose il pensiero, poiché una folla di popolo s’armò deciso di far sì che vi restasse. Ho fatto pure degli studj dipinti di teste del popolo genovese , le quali spero mi saranno di grande utilità nel quadro, poiché hanno assolutamente un carattere proprio , originalissimo ; accigliati sempre, melanconici, rozzi, ma capaci di grandi cose. In som ma ho avuto gran piacere di vedere Genova: la vista del teatro delazione mi ha suggerito nuove e migliori idee ». Nell’agosto ne a-veva già fatto il bozzetto senza dissimularsi le difficoltà della esecuzione ; diceva che quella era « una composizione indiavolata ». Tuttavia si mostrava sempre più contento di quel soggetto « tremendo e in un piacevolissimo », e tornato nell’ottobre da Milano dove erasi — 232 — recato per vedere P Esposizione scriveva : « Questa gita spero mi tornerà a grandissimo vantaggio, perchè ho avuto luogo di bene esaminare e attentamente il carattere dell’odiata genia che devo trattare; 10 sì li caccerò davvero , su di una tela però ». Ma nel maggio dell’anno appresso il Busi moriva senza aver compiuto il quadro, ch’ebbe l'ultima mano dall’Asioli di Modena. Nel 1847 lo stesso Puccini ne fece trarre una incisione. (Cfr. Zaccagnini, Niccolò Puccini e gli artisti del suo tempo in Bullettino storico pistoiese, A. VII, p. 141 sgg.). Ma il Puccini ebbe amichevoli rapporti con un pittore genovese assai stimato, Federico Peschiera. Il 27 giugno del 1839 questi gli scriveva: « Qui a Genova vi furono qualche leggieri disordini al Teatro Carlo Felice, dietro le ballerine che per ordine superiore vennero in scena colle brache. Furono arrestati parecchi individui i quali tutti anche in ciò mostrarono energia Genovese. Il giorno che venni a Genova era 11 terzo dacché aveva luogo una battaglia di ragazzi , i quali si radunavano a un’ora di notte in fondo d’una via aperta di nuovo. Essi e-rano divisi in due partiti uno con bandiera legittimista e l’altro bandiera liberale. Costoro si erano date busse da indemoniati ; erano armati di bastoni e di sassi ; e i ragazzi genovesi sono molto valorosi tiratori di pietre sai!..... La cosa però andò a finire che la polizia ne arrestò circa un’ottantina, e tra questi un tale Meigrano del partito liberale che si distinse a segno che gli vennero da’ suoi compagni conferite tre croci di piombo sul campo di battaglia. Ora sono in secreto. 11 numero dei combattenti era di circa trecento; ve n’erano dai sette anni fino ai quindici e sedici e anche diciasette ». E successivamente: « Relativamente agli affari teatrali, sai tu come andò a finire? tre furono messi in prigione , e condannati di vari mesi di detenzione , e questo perchè non vollero inchinarsi a domandare scusa a persone a cui dissero a buon diritto spia in quelle sere di trambusto, ed, a quanto dissero loro, i medesimi soffrirebbero di stare eternamente in prigione piuttosto che domandare scusa ». Si rileva poi da lettera del 1S40 che la Caduta di Lucifero , quadro che gli procurò il modo d’ andare a Roma, secondo narra l’Alizeri (.Notizie dei professori del disegno in Liguria dalla fondazione dell’Accademia, vol. Ili, pag. 184), fosse e-seguito per commissione del Puccini, particolare non rilevato dall’Ali-zeri. Il quale non accenna per nulla ad una Battaglia di Benevento alla quale stava allora lavorando. (Dalle carte Puccini; cortese com-municazione del professore Zaccagnini). La pudibonda Gazzetta di Genova delle accennate agitazioni non dice nulla. Il p. Luigi M. Manzini nella sua monografia / Vescovi dell'antica Lodi, giustamente combatte l’intrusione nel novero di que’ presuli di Venanzio. Egli prova che non si tratta di un vescovo Lau-dense, ma di un vescovo Lunense. È tuttavia inesatto 1’ asserire che « sino al 1133, in cui Genova divenne Arcivescovado, comprendendo anche Luni, le diocesi liguri dipesero da Milano ». (Archivio storico per la città e comuni del Circondario di Jj)di, A. XXIV, p. 182). Il — 233 — vescovo di Luni fu sempre indipendente e direttamente soggetto al Pontefice, e perciò non dipese mai da Milano prima del 1133 , e la diocesi non fu compresa in quest’anno nell’arcivescovato genovese. ·*** Remigio Sabbadini tornando a discorrere di Tomaso Moroni da Rieti dì cui s’è occupato il nostro Giornale rispetto alle sue relazioni con Genova (V, 22), nota che nel cod. Vatic. Barber., lat. 43, f. 154, si legge: « Tho. Rea. Luculentissimas ac splendidissimas, e in fine; Thome Reatini ad legatos Genuenses responsio, quo die 111. D. N. sese dediderunt eamque tanta vehementia protulit, ut ne sciretur ma-gisne esset admirandum Genuensium donum an eiusce viri eloquentia et virtus magis extollenda ». Rileva poi da alcune note scritte nei cartoni e nelle guardie del Sallustio Ambrosiano (L. 98, sup. memb. sec. XV) che il codice appartenne a Pietro e Niccolò Noceto. Due volte ricorre nei cartoni la scritta : « Hic liber est mei Nicolai No-xeti », e nella guardia i4 padre di lui pose questo ricordo: « Iesus. Ego Petrus Noxetus emendavi Salustium Crispum in quibusdam locis et edidici in ipso opere multa ». Le sue correzioni però e gli scolli marginali 11011 olirepassano i primi capitoli. Sul cartone in fine è questa nota di Niccolò: « Nicolaus Noxetus. Die quintodecimo decembris MCCCCLXVII illustrissimus Calabrie dux sacratissime maiestatis regis Ferdinandi primogenitus cum in Tuscia exercitum ductaret sua sponte me aurati equitis dignitate decoravit, pro quo immortali deo ac intemeratae eius genitrici quas possum habeo gratias. Nicolaus Noxetus eques ». (Cfr. Giornale storico d. lett. i tal., XLVII, 27, 29 sg.). Abbiamo altra volta accennato alla dimora in Genova di madama di Stael nel 1815 (cfr. Giornale , IV, 91)); ora ci è duopo tornare sullo stesso argomento segnalando alcune lettere scritte da questa città dalla celebre donna. Il 4 novembre di casa De la Rue scriveva al Monti : « A la Bocchetta on aurait pu avoir peur si les anglois ne nous avaient constitutionnellement protégés. Depuis deux jours j’ai deja décidé que Gènes est bien inférieur à Milan comme esprit et comme instruction. Votre Mad. Antonietta me plait et un M. Corvetti qui vous aime et avec qui je 111e suis trouvée liée à cause de cela ». L’Antonietta è la Costa a cui il Monti indirizzò il noto sermone , e nel Corvetto si riconosce lo statista ed economista Luigi già natura-lizzato francese. La Stati si proponeva « passer a Lerici par chaise » e prometteva al Monti una sua « lettre sur Gènes » prima di partirne. 11 19 mandava i «compliments» di Gaetano Marrè, il difensore d’Al-fieri, e aggiungeva: « Ici je 11e me suis bien trouvée que de ceux qui me viennent de vous. J’excepte pourtant en bien Mad. Brignole et Mad. Durazzo qui sont brillamant aimables ». Accennava aU’Artemisia Brignole moglie d’Antonio illustre diplomatico. Quanto alle sue impressioni diceva: « c’est là aussi [a Pisa] que j’écrirai ce que je vous ai promis pour Gènes car je n’ai pas un moment à moi dans cette ville »; avvertiva anche il Saurau che avrebbe mandato al Monti il G io ni. St. c IMI. dcUa Liguria. r6 — 234 - suo « article sur Gènes » lasciandolo libero « d en oter ce qui lui paraîtroit trop hardi ». La figlia Albertina poi affermava. « je quitte Gènes sans regrette » desiderosa sempre di Milano a cui eran volte le sue simpatie. « J’ai entendu », soggiunge , « ici un fameux décla-mateur Génois mais rien ne peut être comparé avec vous ». Questo famoso dicitore di versi era certo il marchese Gian Carlo Di Negro. Peccato che non ci sia pervenuto quanto la Staël disegnava di scrivere o forse aveva scritto sopra Genova; certo nel marzo successivo (1816) offriva all’Acerbi per la Biblioteca Italiana « quelques réflexions sur Gènes » ; ma il chiasso suscitato dall’ articolo di lei pubblicato dalla Biblioteca nel gennaio del 1S16 deve aver persuaso il direttore a non accogliere l’offerta. (Cfr. Morosini, Lettres inedites de Mad. de Staël à V. Monti in Giornale stor. d. lett. ital., XL VI, 1 sgg.). *** Ecco una relazione stampata a Siviglia , che si riferisce alla guerra del 1625 : « Famosa relacion en que se avisa de como en vna refriega que uvo entre la cavalleria de Milan , y Ginoveses , mataron al contrario cientq, y cinquanta ombres de a cavallo y otros muchos soldados, entre los quales mataron el Principe Tomas, hijo del de Sa-boya y otros avisos. Aiio de 1625. Impresso en Sevilla por Iuan de Cabrera, ano de 1625 ; 2 c. fol. ». È nella Biblioteca Nazionale di Madrid fondo De Gayangos. Fra i documenti che corredano la monografia di Maria Fanny Sacchi , Cosimo de* Medici e Firenze nell’ acquisto di Milano allo Sforza, troviamo alcune lettere che Nicodemo Tranchedino pontremo-lese scriveva da Firenze a Francesco Sforza (Rivista di scienze storiche, A. II, p. 395 sgg.)» *** Il prof. Cesare De Lollis giustamente deplora (cfr. Giornale d’Italia e Supplemento alla Rivista delle biblioteche e degli archivi, A. II , n. 10-12) che il governo spagnuolo sia venuto nella deliberazione di sopprimere il modesto sussidio che dava alla biblioteca Colombina di Siviglia, proprietà del Capitolo di quella Cattedrale. In conseguenza di ciò la biblioteca dovrà esser chiusa. È noto che essa venne fondata da Fernando Colombo , e, sebbene abbia attraversato disastrose vicende, onde fu alquanto depauperata , pure contiene ancora libri e manoscritti preziosi, sì come ne fa fede il catalogo accurato pubblicato dal prof. Simon de la Rosa y Lopez. Vi si conservano autografi preziosissimi di Cristoforo Colombo , i quali furono illustrati dal De Lollis stesso e splendidamente riprodotti a facsimile nella Raccolta Colombiana. Uniamo all’ autorevole voce dell’ erudito scrittore il nostro modesto augurio di studiosi, affinchè il governo della Spagna receda dalla sua deliberazione. Il P. Roberto Razioli Provinciale de* Frati Minori residente a Firenze in Ognissanti, è nativo di Villafranca in Lunigiana. Scrittore geniale ed elegante oratore ; uomo di soda cultura nelle scienze sacre, nelle lettere e nelle arti , con acute investigazioni di documenti francescani ha portato un notevole contributo alla storia del suo Ordine. — 235 — A lui si deve il rinvenimento di uno stupendo affresco del Ghirlandaio, rimasto fino a pochi anni fa nascosto da una tela d’altare nella Chiesa d’Ognissanti, e che egli, con la scorta d’antichi documenti, divinò si dovesse trovare nel luogo presupposto, come di fatti avvenne. Ora egli è stato eletto Custode di Terrasanta. *** E uscito a Sarzana col nuovo anno un giornale mensile : Foglie sparse, periodico religìoso-storico-leiterario-artistico (Sarzana, tip. Lunense), che si propone, fra l’altro, di raccogliere notizie, documenti, aneddoti riguardanti la città e in generale la diocesi Lunense. Ne è direttore il canonico Ferdinando Podestà, che dirige quel Seminario Vescovile. Noi ci proponiamo, com’è debito nostro, di dare man mano nella bibliografia lo spoglio di quanto concerne gli studi regionali ; intanto auguriamo vita prospera e fortunata al nuovo periodico. A Piacenza sotto la direzione del dott. Stefano Fermi è incominciata la pubblicazione del Bollettino Storico Piacentino di stona, lettere e arte, nel quale « oltre la storia propriamente detta troveranno posto e la letteratura e le altre scienze attinenti, come l’archeologia, la numismatica, l’araldica, la paleografia, la bibliografia ecc.; tutto ciò insomma che possa in qualche modo recar luce a quel complesso di memorie che forma la storia vera e multiforme di una regione antica e progredita nella civiltà » come la regione piacentina. Buoni i propositi, buona 1’ attuazione , giudicando da questo primo fascicolo, adorno anche di ben riuscite tavole. Ond’è a salutare, con vivi auguri, questa nuova rivista, la quale renderà certo utili servigi agli studiosi. Lectura Dantis. L’Associazione letteraria e scientifica « Cristo-foro Colombo » ha riaperto le sue sale alla esposizione della Divina Commedia. Compiuto 1’ Inferno negli anni precedenti, sono ora incominciate le conferenze sul Purgatorio. Il prof. Francesco Torraca ha fatto la prolusione, nella quale ha discorso in generale di tutta la contenenza della seconda cantica; e lo ha poi seguito il prof. Francesco Fofiano che ha letto ed interpretato il primo canto. Il terzo venne e-sposto dal sac. Luigi Rocca , il quarto dal prof. Alfonso Bertoldi, il quinto dall’avv. prof. Paolo Emilio Bensa, il sesto dall’avv. prof. Luigi Rossi, il settimo dal prof. Vittorio Ferrari, l’ottavo dal dott. Guido Biagi, il ncno dal prof. Francesco Flamini. — Pei tipi dei Successori Lemonnier è uscito il secondo volume di queste letture dantesche con il seguente titolo : Lectura Dantis Genovese. I canti Χίί-XXII! del-/’Inferno, interpretali da F. Pellegrini, A. Monti, I. Del Lungo, E. G. Parodi, G. Biconi, D. Mantovani, F. T. Gallarati Scotti, L. Pietrobono, L. Staffbtti, G. F. Gobbi, O. Gori , G. Semeria. — 236 — NECROLOGIA. Alessandro Magni Grilli. — Il 22 decembre si spense serena- . mente nella sua nativa Sarzana; vecchio d’anni, vigoroso ancora di spiriti ; lasciando di sè desiderio mesto, concorde, vivissimo. A nome della città e degli amici gli dette l’ultimo saluto — commosso e commovendo - 1’ avv. Luigi Delle Pere con parole calde e sentite , che trovarono eco nel cuore di tutti, perchè rispecchiavano pienamente e nel vero il pensiero e il dolore di tutti, vicini e lontani. Nato il 16 giugno del 1824 dal marchese Agostino e da Teodora Lari, studiò belle lettere nel Collegio di Pontremoli, allora fiorentissimo, giurispru denza nell’ Università di Pisa, dove fu laureato a ventun’ anni il 4 a-gosto del 1845. Il padre voleva che attendesse alle leggi , e gli convenne addottorarsi di nuovo , non riconoscendosi nel Regno di Sar degna i diplomi conseguiti negli altri Stati. Tornò dunque a laurearsi in Genova il 14 luglio del ’47 ; peraltro senza che mai ne cavasse vantaggio, tanta era 1’ avversione e la repugnanza in lui a maneggiare il codice e a tenzonare ne7 tribunali. La storia lo attraeva in modo irresistibile, quella principalmente della regione nativa ; alla quale serbò un culto d’ amore per tutta la vita , e fu sempre la sua occupazione prediletta , il suo conforto , il suo svago. Per lui la storia della Lunigiana non ebbe segreti. Di tenacissima memoria, ogni più minuto particolare gli restava scolpito nella mente; e non c’era bicocca in rovina, rudere, sasso, gruppo di case, borgo, villaggio, che non avesse veduto con gli occhi propri e di cui non sapesse qualcosa : miniera sempre ricca , inesauribile sempre. Guidato da cosi solida erudizione aveva messo insieme una raccolta di libri, opuscoli, fogli volanti, manoscritti di cose relative alla Lunigiana, assai ricca per numero , ma notevolissima per rarità bibliografiche ; rovistando per gli archivi patrii era andato trascrivendo in ben disposti volumi quanti documenti offrivano curiosità o interesse. E di tutto questo prezioso materiale fu sempre larghissimo con gli amici , a’ quali comunicava volentieri , e senza darsene vanto, quelle molteplici notizie attinte dai suoi viaggi e dalle sue ricerche, godendo che altri liberamente se ne giovasse. Negli studi dell’ erudizione e della storia ebbe il Magni a spronatore e guida il cugino Ilario Lari; bello e forte ingegno, rapito immaturamente all’ amore de’ suoi e alla sua città. Nel Lari il culto della storia della regione nativa era una tradizione domestica. A me giovinetto, che facevo allora le prime armi in quel campo, Carlo Promis ricordava con memore affetto il vecchio canonico Lari, zio appunto d’Ilario , che con larghezza di dottrina gli fu aiuto efficace a raccogliere e tessere le memorie di Luni. Ilario, il nepote, difese a viso aperto e con bravura gli interessi della propria città, quando con un frego di penna si voleva dal Ministro della Giustizia e de’ Culti - 237 — distruggere la diocesi di Sarzana, una tra le più antiche e gloriose di Italia; poi divisò stampare le Storie manoscritte del Landinelli, e mi scelse compagno nell’ impresa, pur troppo troncata a mezzo dalla morte. Fu presso Ilario che conobbi Alessandro nel '67 e si strinse quell’amicizia che divenne per tutti e due un bisogno del cuore e una consuetudine della vita. Il vederla spezzata dopo trentotto anni di comunanza di pensieri, di studi e di affetti addirittura è crudele. L’ebbi al fianco nella R. Deputazione modenese di storia patria per la Sottosezione di Massa, della quale fu nominato socio corrispondente l’u maggio del 1884 e promosso effettivo il 2 marzo del 1899. Insieme rappresentammo quella Sottosezione a’ Congressi storici di Torino [1S85] , di Firenze [1889] e di Genova [1892]: insieme assistemmo in Modena alle feste con le quali la Deputazione commemorò il centenario del suo primo presidente Celestino Cavedoni, l’insigne archeologo. E per i Monumenta della Deputazione si stava preparando insieme la stampa dello Statuto di Sarzana del 1331 , che egli, esperto paleografo, aveva diligentemente trascritto. Nè qui si restrinse l’opera sua. Mentre io raccolsi negli Archivi di Pisa ogni memoria riguardante il dominio della potente Repubblica su Sarzana, egli mi venne in aiuto raccogliendo e trascrivendo ogni memoria che di quel dominio si trova negli Archivi Sarzanesi ; lavoro che, pur troppo, ora resto solo a condurre a line e curare. Socio corrispondente fin dall’8 agosto del 1S9S della Commissione municipale di storia e belle arti di Carpi, anche la R. Deputazione di storia patria per le provincie di Parma e Piacenza lo volle tra’ propri corrispondenti il 26 maggio 1900 E quando sorse a Sarzana, per deliberazione del Comune, la Commissione municipale di storia patria, che ha il Sindaco a suo presidente onorario, con voto concorde fu scelto a esserne il presidente effettivo. Come amministratore era d’una bravura che usciva dall’ ordinario , e ben ne dette la prova ne’ ventitré anni che tenne la presidenza della Cassa di Risparmio. Pur troppo quel fiorentissimo istituto, che era il vanto della città e una tra le fonti della sua floridezza, come succede delle cose buone nel mondo, fu travolto nella polvere; dolore de’ più grandi che Alessandro provasse mai nella vita. Nel ricordarlo, gli dardeggiavano gli occhi e la lingua gli si faceva più affilata che una lama di Toledo. Era la coscienza degli onesti che parlava con la sua bocca ! Si occupò d’agronomia; anzi v’ebbe mano esperta e sicura. Enologo appassionato, a furia di prove, di tentativi, di sperimenti riuscì a fare un tipo di vino nero , nel quale il gusto italiano s’intreccia coll’ arte francese. Modestissimo, com’era, e d’una modestia ruvida e quasi scontrosa , che lo forzava a nascondere il proprio valore fino a sè stesso, quando si trattava del suo vino prediletto non solo consentiva la lode, ma quasi ci teneva. Era poi amabilissimo e piacevole nella conversazione e aveva degli scatti così finamente arguti , che a un tempo colpivano e scolpivano. Scelse a compagna della vita la marchesa Aurelia Pareto , vedova del suo prediletto cugino Ilario Lari, riguar- dando sempre con tenerezza paterna il figliuoletto di lui., che, orfano fin nell* infanzia, non si accorse mai che gli mancava il padre e ora soltanto lo sente e lo sa. Una gioia gli consolò la vecchiezza: il matrimonio della figlia Teodora con Pietro Sartori, buono e bravo, glie-l'allietarono le carezze festose e giulive de’ nepotini ; que cari toiletti che avevano la potenza irresistibile di scacciare dal viso del nonno ogni segno di malinconia. La rettitudine era impersonata in Alessandro Magni : marito , padre , amico non ebbe chi lo pareggiasse in bontà. Con la sua morte Sarzana perdette uno de’ figli migliori. Giovanni Sforza. APPUNTI DI BIBLIOGRAFIA LIGURE. Ajmelli A. Una definizione della Bibbia secondo il P. Cereseto (in Rivista storico-critica deUe scienze teologiche , Roma, 1905, A. I, PP- 73-79)· Cfr. nel fase. Vili della stessa Rivista Ja Risposta del P. Cereseto. Assereto Ugo. Ponte Carrega o Ponte delle Carraie? Genova, Carlini, 1906, in 8.° di pp. 11 (Estratto dalla Rivista Ligure, 1905, fase. VI). Astegiano G. Giuseppe Mazzini prigioniero a bordo di una nave italiana, con scritti inediti. Padova, I9°5* Badia (La) Benedettina e il Santuario Mariano di Finalpia (in La Madonna della Guardia, 1906, n. 10, 11). Baratta Fausto. Sulle condizioni idrauliche della Val di Magra e delle altre valli d’Enza. Parma, Battei, 1905, η 4.0 di pp. S3, con tavole. Barzaghi Cesare. Ved. Sauli* Bensa Paolo Emilio — Bigliati Paolo. Comparsa conclusionale nella causa formale promossa dal Municipio di Savona contro i Ministeri della Guerra del Tesoro e delle Finanze dello Stato [per la fortezza di Savona]. S. n. tip.; in 4.0 di pp. 18. ~ Aggiunte all’ atto conclusionale del Municipio in risposta al Memoriale defensionale dei convenuti. S. n. tip ; in 4.0 di pp. 24. Bigliati Paolo. Ved. Bensa Paolo Emilio. Boffito Giuseppe. Ved. Sauli. Boscassi Angelo. Scoperte archeologiche, (in Arte e Storia, XXV, p. 45)- Buglia Lu. I sonetti del 7'avarone. Pontremoli, tip. Rossetti, 1905, ili pp. 17· Capasso Gaetano. Andrea Doria alla Prévesa (in Rendiconti del R. Istituto LombSer. Ili, vol. XXXVIII, pag. 893-910). - 239 — Carosbni Niccolò. Ved. Foglie Sparse. Caselli Carlo. I primi abitatori del Golfo della Spezia. Spezia, Zappa, 1905, in 8.° di pp. 24, (Estr. dalla Libera Parola). Capellini Giovanni. La rovina delle rocche di S. Pietro a Porto-venere (in Rend. d. R Acc. d. Lincei, Class, di Scienze fis. mat. e nat. vol. 15, 1906, fase. ι.°). Cecchini Pietro. Ved. Foglie Sparse. Cenobio (II) e il Santuario di Finalpia. — Feste cinquantenarie (in Il sacro Speco di S. Benedetto di Subiaco, 1905, n. 8 e 9). Cereseto P. Ved. Amelli A. Cervetto L. A. Il Palazzo S. Giorgio (in L’Amico delle Famiglie, 1905, n. 45). Codice diplomatico dei Santuari della Liguria (A. Ili , Ser. Ili, il. 10, in contin.). Ducarpo. Memorie storiche genovesi. Recco e S. Giovanni Bono (in Settimana Religiosa, 1906, n. 2). Finalpia. V. Cenobio (II), Badia (La). Foghe Sparse, periodico mensile religioso-storico-lettetario-artistico, Sarzana, tip. Lunense. Anno I, n. 1 : La Lunigiana nella Divina Commedia (F. Podestà). — Appunti storici : Papa Pio VII a Sarzana. — Da Sestri Levante a Spezia (F. Podestà). — Spigolature storiche [dai Commentaria del Senarega]. = N. 2 : Appunti storici : La pestilenza e la faine del 1816 e 1S17 a Montemarcello [Lettere del Proposto Pietro Cecchini], — Oggetti rinvenuti in una scatola trovata alla base della Croce che sostiene l’Angelo sul Campanile della Cattedrale di Sarzana [oggetti sacri postivi il 24 aprile 1740 da uno degli Operai , Francesco Magni Griffi]. — La Lunigiana nella Divina Commedia (F. Podestà). — Dante al Monastero del Corvo [si riproducono i versi del Colombo di Lorenzo Costa dove accenna alla nota leggenda]. — Spigolature storiche [dagli Annali del Cafiaro]. = N. 3 : Appunti storici: Crocifisso miracoloso che si conserva nel Santuario della Cattedrale di Sarzana. — « La Spezia illustrata » di G. B. Monti e i fratelli Casoni della Spezia [lettera del 23 aprile 1826 di fra Niccolò Carosini]. — La Lunigiana nella Divina Commedia (F. Podestà). G. La Cappella di S. Gio. Battista in Genova (in L’Amico delle Famiglie, 1905, n. 26). Manzini LuiGr. Ved. Sauli, Marchese Dtsma. I solenni funerali di Mons. G. B. De Bemardis canonico primicerio celebrati nella metropolitana di Genova , addì 5 ottobre Γ905. Genova, tip. Arcivescovile, 1905, in 8.° con rit. Masi Ernesto. Lettere intime di Giuseppe Mazzini (in Saggi di Storia e di critica, Bologna, Zanichelli, 1906, cap. XV). - 240 — Mazzini Ubaldo. Documenti d’arte toscana in Liguria (in Bullet-tino storico pistoiese, A. VII). [Medici Francesco]. Qualche notizia sulle famiglie Medici di Lu nigiana. Documenti e alberi genealogici. Firenze, Soc. tip. oren ma, 1905; in 16.0 di pp. 104, con 4 tav. gen. Mina Lorenzo. Idee, considerazioni e note (da Genova), (in ^rte e Storia , XXV, 47 sggj. — Si tocca dell’Associazione Ligure degli artisti, de La Chiesa di S. Agostino in Genova, delle Porte liguri antiche e moderne, del Museo Chiossone. Molfino P. Francesco Zaverio. 11 convento de’ Cappuccini di Varazze. Genova, Tip. della Gioventù, 1906; in 8.° di pp. 93» fiS· Neri Achille. La patria d’ origine di Urbano VII (in Bollettino storico della Svizzera italiana, XXXVII, pp. 130_I34)· Palazzo (II) San Giorgio (in L'Amico delle Famiglie, 1905, n· 44). Pandiani Emilio. Un anno di storia genovese (giugno i5°6 con Diario e documenti inediti (in Atti d. Soc. Ligure di Stoi. a ., vol. XXXVII). Perando. In memoria di L. M. D’Albertis: discorso. Genova, ti pografia Unione Genovese, 1905; in 8.°, pp. 12. Persoglio P. L. Le Figlie di Casa (in Settimana Religiosa, 1905, n. 51, 1906, n. 2, 3, 4, 5, 6). — Le vie di Genova (ivi, i9°5> n* 52> 1906, n. 3, 4, 5, 6). Pica Vittorio. L’ arte dell’ Estremo Oriente al Museo Chiossone (in Emporium, vol. XXIII, pp. 131-144, con fig. e tav.). Podestà Ferdinando. V. Foglie Sparse. Poggi Vittorio. Relazione circa alla pertinenza dell’ area su^ cui fu costrutta la fortezza di Savona. Savona, Ricci, 1906; in 4.0 di pagine 32. Portovenere. Ved Capellini G. Premoli Orazio. Ved. Sauli. Recco. Ved. Ducarpo. Richardson E. C. Voragine as a Preacher (in The Princeton Theo-logicai Review, T. II. (1904), pp. 442-64). • Roggero Egisto. La nuova Genova (in Ars et Labor (Musica e Musicisti), A. LXI, n. 2, 1906, pp. 125-127, con fot.). Rossi Girolamo. Documenti inediti riguardanti la Chiesa di Ven-timiglia. Torino, Paravia, 1906; in 8.° di pp. 55. Salvarezza Cesare. Fazioni navali inglesi a Noli (1808 e 1812). Vita politica di Noli al tempo dei Francesi, su documenti inediti. Roma, tip. Cecchini, 1905; in 8.° di pp. 46, con tav. _ Il millenario acquedotto della città di Noli. Savona, Bertolotto, 1903; in 8.° di pp. 22. Giovanni Da Pozzo amministratore responsabile. PUBBLICAZIONI RICEVUTE Andrea D'Oria alla Prevésa. Nota di Gaetano Capasso, Milano, 1905, Re-beschini. Ugo Assereto. Ponte Carrega o Ponte delle Carraie? Genova, Carlini, 1906. Francesco Petrarca canonico di Pisa nel 1342. Nota di Carlo Cipolla. Torino, Clausen, 1906. Migliore Cresci. Storia italiana commentata dal prof. Ugo Giuseppe Oxilia. Torino, Paravia, 1905. La poesia popolare italiana. Studi di Alessandro D’Ancona. Seconda edi-zioìie accresciuta. Livorno, Giusti, 1906. E. Maddalena. Il Metastasio « dramatis persona ». Roma, Cooperativa, 1905. — Scene e figure molieresche imitate dal Goldoni. Napoli, Melfi e Joele, 1905. Antonio Pilot. L' alchimista Marco Bragadin a Venezia. Capodistria, Priora, 1905. *S\ Alessandro Sauli. Note e documenti. Milano, Cogliati, 1905. Maria Ortiz. Commedie esòtiche del Goldoni. Napoli, Melfi e Joele, 1905. Qualche notizia sulle famiglie Medici di Lunigiana. Firenze , tip. Fiorentina, 1905. Giovanni Setti. La Grecia letteraria nei « Pensieri » di Giacomo Leopardi. Livorno, Giusti, 1906. E. G. Parodi. La data della composizione e le teorie politiche dell’ Inferno e del Purgatorio di Dante. Perugia, tip. Cooperativa, 1905. Ugo Scoti-Bertinelli. Giorgio Vasari scrittore. Pisa, Nistri, 1905. Camillo Manfroni. Il reame di Napoli dal 1806 al 1821 a proposito di una recente pubblicazione. Padova, Randi, 1905. Ferdinando Rondolino. Per la storia di un libro. Memorie e documenti. Torino, Paravia; 1904. Girolamo Rossi. Documenti inediti riguardanti la chiesa di Ventimiglia. Torino, Paravia, 1906. Vittorio Poggi. Relazione circa alla pertinenza dell’area su cui fu costrutta la Fortezza di Savona. Savona, Ricci, 1906. P. Francesco Zaverio Molfino. Il Convento dei Cappuccini di Varazze. Genova, tip. della Gioventù, 1906. AVVERTENZE 1) Il giornale si pubblica di regola in fascicoli trimestrali di 120 pagine ciascuno. 2) Per ciò che riguarda la Direzione rivolgersi in Genova al Prof. Achille Neri - Corso Mentana, 43-I2· 3) Per quanto concerne l’Amministrazione, esclusivamente all Am- ministrazione del periodico - Spezia. 4) Il prezzo d’associazione per lo Stato è di L. 10 annue. Per 1’ estero franchi 11. AI SIGNORI COLLABORATORI La Direzione concede ai propri collaboratori 25 copie di estratti dei loro scritti originali. Coloro che ne desiderassero un maggiore numero di copie, potranno rivolgersi alla Tipografia della Gioventù - Via Corsica N. 2 (Genova) che ha fissato i prezzi seguenti : Da i a 8 pagine Da 1 a 16 pagine Copie 50.....L. 6 Copie 50.....L· 10 » 100.....» IO » IOO » 100 successive 6 » 100 successive . » 8 In questi prezzi si comprendono le spese della copertina colorata e della legatura, nonché di porto a domicilio degli Autori. Prezzo del presente fascicolo L. j ------ GIORNALE storico 3 E LETTERARIO DELLA K LIGURIA diretto da ACHILLE NERI * * * e da UBALDO MAZZINI * * + pubblicato sotto gli auspici della Società Ligure di Storia Patria ANNO VII 1906 Fascicolo 7-8-9 Luglio-Agosto Settembre SOMMARIO. G. Sforza : Contributo alla vita di Giovanni Fantoni, pag. 241. — A. Pelliz-zari : Un asceta del rinascimento, pag. 277. — A. Massa : Documenti e notizie per la storia dell’ istruzione a Genova, pag. 311. — VARIETÀ: F. L. Mannucci: Giunte al lessico dell’ antico dialetto ligure, pag. 328. — A. N. : La stampa originale dell’ode a Luigia Pallavicini, pag. 333. — BOLLETTINO BIBLIOGRAFICO: Vi si parla di: Pandiani (C. Manfroni), pag. 342. — ANNUNZI ANALITICI: Vi si parla di: Setti (N. Vianello), Rossi, A. Pellegrini (C. M.), pag. 343. — SPIGOLATURE E NOTIZIE, pag. 349. — NECROLOGIO, pag. 351. - APPUNTI DI BIBLIOGRAFIA LIGURE, pag. 3— SOCIETÀ LIGURE DI STORIA PATRIA, pag. 356. DIREZIONE Genova - Corso Mentana 43-12 LA SPEZIA Società d’Incoraggiamento editrice Tip. della Gioventù AMMINISTRAZIONE La Spezia - Amministrazione del Giornale — 24I — CONTRIBUTO ALLA VITA DI GIOVANNI FANTONI (LABINDO) III. LABINDO E LA RIVOLUZIONE DI REGGIO. « Nel 1796 adottò le massime di libertà e di rivoluzione che correvano allora per l’Italia, recatevi dagli stranieri; e queste furono il principale motivo de’ suoi viaggi, giacché egli, come accenna uno storico recente (1), accorreva all’alito delle rivoluzioni, come a quello dei cadaveri i corvi. Ciò nonostante, si mostrò fortemente avverso a certi modi di governo che si vollero allora introdurre in Italia; giacché egli diceva di voler l’Italia libera, forte, indipendente, ma non soggetta agli stranieri, che se n’erano falsamente gridati liberatori ». Così a Torino era giudicato il patriottismo di Labindo nel 1833; anno per il Piemonte di ricordo nefasto. Achille Mauri, non senza stenti e fatica, lottando coraggioso contro le forbici della censura austriaca, di lì a poco stampava a Milano: « Non patì di veder profanato l’idolo della sua fantasia, di vederlo gettato nel fango per opera di quegli stessi che ostentavano di rendergli culto; non potè reggere tranquillo nel cospetto del-1’ iniquità che voleva farsi benedire delle sue stesse opere malvagie, e sorse animoso a smascherarla, paventando ch’ella non avesse a gettargli sul capo l’ignominia d’una codarda complicità ; nè il timore della persecuzione lo rimosse dal proclamare apertamente il vero. Il suo coraggio sempre gli fe’ conservare la stima de’ buoni e di sè stesso » (2). Nell’ode 11 Fanatismo, scritta il ’çi , e indirizzata al-1’Alfieri, canta: ... da lungi odo il fragor di guerra, Veggo le genti vittime Dello sdegno dei re morder la terra. G ioni. St. c Leti, della Liguria. ry — 242 — Destino acerbo domina D’ Europa i figli. Dall’ avito soglio Mira i monarchi scendere, E della plebe satollar l’orgoglio ! In questo stesso anno così rampogna l’Italia : . . . druda e serva di straniere genti, Raccorcio il crin, breve la gonna, il femore Su le piume adagiato, i di languenti Passi oziosa e di tua gloria immemore. Però la scuote, l’anima, l’incita con un consiglio coraggioso : Squarcia le vesti dell’obbrobrio; al crine L’ elmo riponi, al sen l’usbergo, destati Dal lungo sonno, e sulle vette alpine Alla difesa ed ai trionfi apprestati. Nel ’ç2 s’accuora perchè L’ avara stirpe imbelle degli « spurii » figli d’Ausonia Non più robusta suda Fra le illustri di pace arti e di guerra ; e perchè Non più dolce e glorioso Le è morir per la patria, inutil nome ! Apre, peraltro, l’anima alla speranza : Già il procelloso turbo Freme inquieto sull’Alpi e s’avvicina, Già desta la tacente Fra le ruine libertà latina. Mentre la testa di Luigi XVI cade sotto la mannaia, e 1’ Europa « si scote attonita », e con lei i Re, fremendo Dall’ esempio tremendo ; Labindo, « amico della pubblica felicità », rivolge « a quei monarchi, che ne abbisognano », questi « disinteressati » consigli, e li manda alle stampe. Ignoti ai suoi biografi, li tolgo finalmente dall’ oblìo : L’ Europa sospira la libertà dopo che la filosofia le fe’ conoscere diritti dell’uomo le lusinghe dell’Autorità la solleticano, 1’ esempio — 243 — della Francia la invita; ma ancor non è giunta la pienezza dei tempi. Il potere dell’Opinione e la ricchezza del Clero , la non abbastanza avvilita prepotenza della Nobiltà non permettono al Popolo , per anche ineducato , che di risvegliare una dannosa anarchia e di versare del sangue. Sovrani, finché siete a tempo , allontanate il turbine che vi minaccia, correggete il dispotico sistema dei vostri Governi e profittate dell’utile sincerità de’ miei disinteressati consigli. Difendo la vostra causa e quella delle Nazioni ; non abbiate Γ indiscretezza di condannarmi; correggetevi, se mancate; consolatevi, se adempiste i propri doveri. Uditemi dunque , e contribuite meco alla possibile felicità della presente generazione. Rispettate la Religione per sentimento e per politica. Amate la giustizia. Fate che la legge sia rigorosa, il Principe clemente. Non interpretate le leggi. Se buone, sareste tiranni; se cattive, debbono cessar d’esser leggi. Sia il vostro esempio la più utile e la prima fra queste. Non ascoltate chi vi parla male dei sudditi, ma chi li aiuta e li compatisce. Non vi lasciate sedurre dalle ragioni, benché plausibili, di una parte sola. La verità si conosce nella contraddizione. Punite irremissibilmente le offese fatte alla società , e perdonate facilmente quelle che vi appartengono. Sarete ricchi se lo saranno i vostri sudditi. Il loro amore dev’ essere il vostro erario, e non vi mancherà nei bisogni denaro. Trattate i vostri popoli da figli e vi tratteranno da padri. La vostra tenera affabilità non sia priva di quel maestoso contegno eh’è uno dei più potenti custodi del trono. La soverchia famigliarità dei monarchi li avvilisce agli occhi dei sudditi. La buona educazione è la prima ricchezza di uno Stato ; sia dunque la vostra prima premura. Proteggete gli uomini dotti, lo diverrete voi stessi colla loro conversazione, e sarete conosciuti dalla posterità. Beneficate chi ha dei talenti ; ma non impiegate che chi gode la stima del pubblico. Migliorate i costumi, raffrenate la licenza ; ma non permettete ad una classe dello Stato una soverchia influenza su le riforme. Astenetevi dall’ innovare senza necessità ; e quando siate costretti a farlo, consultate prima con un saggio manifesto la Nazione , scegliendo l’occasione favorevole d’eseguire il vostro progetto. Rendete il teatro una scuola di morale, ed i pulpiti di carità, non di dispute teologiche e di vana eloquenza. Non cercate d’esser temuti, nè comperate la vostra sicurezza pagando dei mercenari : amando i vostri sudditi, non vi mancheranno dei difensori. Non avvilite la nobilità, nè il popolo; rispettate le classi tutte dello — 244 — Stato, e non accordate distinzioni che al merito. Per conoscerlo, bisogna averne; coltivate dunque lo spirito, ma non a spese del cuore. Scegliete bene i vostri ministri, ed allora potrete riposare sulla loro onestà ed abilità, nè sarete costretti a faticare quai subalterni , mentre siete sovrani. Non negate mai bruscamente una grazia; nè la concedete senza e-saminare se può pregiudicare ad alcuno. Proteggete l’agricoltura col non aggravare nè i terreni, nè i generi di prima necessità d’ intollerabili imposizioni ; e favorite 1’ industria, diminuendo i veri casi della prepotenza e del monopolio, e non mercanteggiando voi stessi. Animate le manifatture, ma non fomentate il lusso per arricchire i manifattori. Non bisogna, per promuovere le arti, corrompere i costumi e rovinar le famiglie. Non lasciate senza premio un uomo che si è reso utile; gli altri cesserebbero allora di divenirlo. Rendete nell’opinione pubblica di maggior peso le ricompense o-norifìche che le lucrative. Così potrete premiare più facilmente, e farete che la ricchezza resti al di sotto della virtù. Non togliete al popolo i divertimenti e le feste. Gli fanno dimenticare i disgusti, proteggono l’interno commercio, promuovono la circolazione del denaro, e riuniscono i sudditi col monarca, ed a questo dimostrano se possiede il loro affetto, o se i ministri lo ingannano. Visitate sovente i vostri Stati, e ascendete le scale del povero, se volete sapere la verità , conoscere la miseria ed apprendere a provvederci. Non piangete che di consolazione di aver fatto del bene. Possano questi sentimenti scolpirsi profondamente nel vostro cuore e farvi corrispondere ai voti dell’umanità ed alle lusinghiere speranze del più sincero dei nostri consiglieri L. [abindo]. Mentre la Francia, col prestigio delle dottrine delle quali s’era fatta banditrice, esercita un fascino irresistibile nel mondo, e la mente del Fantoni n’è presa e soggiogata, e dalla rivoluzione aspetta il trionfo della libertà e della giustizia, e spera il risorgimento d’Italia; i più volgono gli occhi, pieni di paura, ai « tremendi e fieri » nepoti de’ Druidi, che, accinti all’ impresa nefanda di Scuotere i regni e sgomentar le genti Con l’armi e co’ pensieri, . . . anco del cielo Assalgono le torri ; — *45 — e contro di loro invocano la vendetta punitrice di lassù ; la immaginano già montata Su 1’ irate ali del vento ; già veggono guizzare il lampo, già sentono lo scroscio della saetta (3). Labindo è forzato a spezzare per sempre l’amicizia più cara : quella col marchese Carlo Emanuele -Maiaspina. A Fivizzano (lo attesta il nepote) viene in uggia a tutti : bisogna che « a propria sicurezza » s’allontani dal paese na tivo e pigli a vagare « nella vicina Garfagnana e nella Lombardia di qua dal Po, presso i suoi amici e conoscenti »; tra’ quali si segnalarono per la schiettezza e cordialità dell’ affetto, Giuseppe Bertacchi di Castelnuovo di Garfagnana , Pietro Not'ari di Montemiscoso (4) e Antonio Lei di Sassuolo, tre futuri giacobini essi pure. Di politica car-teggiava con 1’ ab. Luigi Cagnoli, allora sui ventiquattro anni,- ingegno pronto, parlatore facondo, natura bollente. Teneva in Reggio la cattedra di giure canonico, ma per lasciarla di lì a poco e deporre anche Γ abito ecclesiastico, non fatto al suo taglio. Delle lettere che gli scrisse Labindo , questa del 4 luglio ’gó svela il pensiero del pa-triotta, le sue ansie, le sue speranze. Carissimo Cagnoli , Castelnuovo di Garfagnana, 16 Messidor Anno 4.0 della Rep.a Francese una ed indivisile. Libertà Eguaglianza. Ti mando, come ti ho promesso, una copia dell’ Ode stampata a Parigi (5) e della traduzione di Chenier (6). Non le mostrare che ai buoni, giacché Noscis heu noscis nostrae perfidia Romae. Si hanno buone speranze ; scrivimi per la Posta di giovedì quali sono quelle su di cui vi lusingate costì. Non sono contento delle ultime misure prese a Milano, né di molti altri passi, che possono influire sul futuro destino dell’Italia. Buonaparte con una lettera all’astronomo Oriani invita tutti a venire nel Milanese, o se più lor piace a passare in Francia. Quest’ ultima ofterta mi fa temere della felicità della nostra penisola, poiché sarebbe ben irragionevole chiamare in altro paese coloro che potessero sperare di essere felici nel proprio. Pare , da quanto succede, che i Francesi non siano peranco degni della Democrazia , e che ne — 246 — stimino gl’ Italiani meno degni di loro. Vogliono che 1’ Aristocrazia dia loro le prime lezioni di Repubblicanismo , e sperano che 1’ istruzione possa ricondurre ed in Francia e fra noi tempi migliori. Le mire del Direttorio sembrano per ora limitate a tre oggetti: primo, di disporre con l’istruzione il Popolo ad una sicura rigenerazione; secondo, a procurarsi la pace con ridurre ad uno stato d’impotenza politica l’Inghilterra e la Casa d’Austria; terzo, a pagare il debito Nazioiiale con le contribuzioni pagabili dai Popoli vinti. Se riuscirà al Papa, col mezzo attualmente potente della Spagna, di far la pace, sacrificando le tre legazioni, con molto denaro e vari capi d’ opera dell’ arte , si vedrà ancora per 506 anni mantenersi un certo equilibrio, sul quale, invece di influire la Casa di Borbone e e la Casa d’Austria, influiranno la prima e la Francia ; ma tale equilibrio non può reggere lungo tempo, e variando in Francia le circostanze dovranno variare necessariamente in Italia, non senza però molti guai, che si sarebbero potuti risparmiare , se lo scacciare gl’ Inglesi dal Mediterraneo, non avesse resa necessaria ai Francesi Γ amicizia e 1’ alleanza Spagnuola. Livorno è pacificamente in mani dei Francesi, ed è da essi fortificato in modo da proteggere quelle squadre che potessero venirci a tener lontana l’inglese. Quel Governatore, forse per aver permesso ai negozianti della suddetta Nazione di ritirarsi sulla squadra con i loro migliori effetti, è stato condotto a Firenze dalle truppe repubblicane, che già si sono impossessate di Massa e Carrara , del piccolo porto di Viareggio , e si vuole che abbiano dichiarata Lucca loro piazza d’ armi (7). Dopo 1’ armistizio conchiuso con Napoli, pare che vi sia più da credere che il piano degli affari d’ Italia sia concentrato in guisa da rendere alla Spagna 1’ antica influenza sul regno di Napoli, facendola contribuire con le sue forze navali all’ allontamento degli Inglesi dal Mediterraneo, dei quali, per impedirvi il ritorno, vuol render padrona la Spagna di Gibilterra e farle con i suoi legni da guerra signoreggiare quello stretto. Noi ci contenteremo, per questa volta , col sacrificio di molti denari, statue, quadri e viveri, di comprare la diminuzione dei Principi nella nostra Penisola, di acquistare il diritto di parlare e di scrivere, e di odorare la libertà. Se sapremo profittare di ciò, e particolarmente della facoltà di parlare e di scrivere, potremo sperare di risorgere fra non molto. La progressione delle cose , se non avremo la manìa e la viltà di arrestarla, è favorevole al desiderio dei buoni. Salutate tutti gli amici che sono costì, e che possono meritare di contribuire al bene della nostra nazione. Geppe Bertacchi, a cui con sopraccarta potete dirigere la vostra risposta, vi saluta caramente, e vi dà meco un amplesso fraterno. Addio. State sano e tenace nel vostro proposito. Salute e fraternità. Gio. Fantoni (8). — 247 — Le sue prime armi come tribuno della patria le fece appunto a Reggio, la città che « con esempio magnanimo » scosse « l’Italia già sonnacchiosa » (9); Reggio donde primiero Di nostra libertà sorse il baleno (10). Di quello che il Fantoni vi operò , e de’ contrasti che dovette sostenere nel propugnare i propri ideali, diede conto egli stesso, il 17 ottobre di quel medesimo anno 1796, con questa dichiarazione a stampa: LIBERTÀ EGUAGLIANZA AL POPOLO SOVRANO DI REGGIO IL CITTADINO GIOVANNI FANTONI. 26 vendemmiatore anno 5.0 della Repubblica Francese una ed indivisibile, aurora della Libertà Italiana. Il vero repubblicano, forte del testimonio della sua coscienza, non teme le insidie della calunnia, ma non permette che il Popolo, di cui ambisce la stima e desidera la felicità, resti un solo momento incerto sulla rettitudine del suo civismo. Profittando degl’ inalienabili diritti dell’uomo e del cittadino , cerca nella libertà della stampa il mezzo sicuro d’ istruire della verità i suoi compatriotti e d’ arrestare i maneggi dell’ aristocrazia e dell’ invidia. Sono alcuni giorni che la loro voce, sorprendendo anche la buona fede di qualche credulo patriotto, tenta, se fosse possibile, d’insultarmi , e procura con un’ ingiustizia, degna della tirannia, di rivolgere in male tutto ciò che ho fatto per il bene e la gloria di questo paese. Dimenticando la premura con cui mesi fa venni a sempre più scuotere le vostre anime energiche , del che vi potino rendere buon conto Lamberti e Fantuzzi e particolarmente Cassoli, Paradisi e Cugini (11), di alcuno dei quali conservo le lettere che provano il mio impegno di riunire altre provincie a questo Stato, mi dichiara temerario perchè progettai l’impresa di Monte Chiarugolo ed esposi la mia vita per voi, rendendovi l’oggetto della venerazione e della tenerezza patriottica degli ottimi Milanesi; mi accusa di perturbatore della pubblica tranquillità, perchè predico a tutti i cittadini l’unione, l’istruzione e l’organizzazione di un Governo provvisorio, che possa conservare a Reggio la primogenitura della libertà italiana e quella stima che si era meritata presso i Commissari della Repubblica Francese e l’invincibile Armata d’Italia; mi teme ambizioso, perchè somministro a’ patriotti, che me li chieggono , quei lumi che sono necessari per organizzare il loro governo, e perchè offro al Senato medesimo quelle misure che possono farlo scendere fra le benedizioni e la riconoscenza del popolo dall’ altezza pericolosa in cui le circostanze lo aveano collocato. Parli liberamente il sincero ed intelli- — 248 — gente patriotta Lamberti, produca quegli scritti che gli ho dati da far prendere in considerazione al Senato e de’ quali esiste copia in mano di ottimi repubblicani, e Reggio conoscerà apertamente s’ io sono o no l’amico del popolo. Lo credereste, cittadini ? V’è chi, temendo l’energica sincerità del mio patriottismo, ha perfino P ingratitudine di dire che dovevo esser mandato via comé forestiere, e si è tentato qualche sotterfugio legale perchè io mi disgustassi e partissi; ma non sapevano costoro th’ io posseggo nella montagna Reggiana, che l’uomo libero ed utile è cittadino rivoluzionario d’ ogni regione, eh’ io sono devoluto ad ogni paese d’Italia che vuole la libertà, che la mia voce, la mia penna , il mio sangue sono sacri alla rigenerazione della nostra specie , e che saprò morire piuttosto che vedere calpestare dal dispotismo e dall’ a-ristocrazia i sacri diritti dell’ uomo e del cittadino. Popolo Reggiano, io mi appello, con la confidenza della virtù, al giusto tribunale della tua opinione. Tu che mi hai veduto agire, tu che mi senti parlare nei circoli, che mi vedi fraternizzare continua-mente con tutti, rendimi quella giustizia, che credo di meritare, e punisci col tuo affetto verso di me l’aristocrazia e 1’ invidia, che vorrebbero avvilirmi innanzi di te. Se non è vanità in me il chiederti una grazia, fa che prima che io parta per Milano possa vederti veramente libero sanzionare un Governo provvisorio democratico , organizzare la tua forza armata e la legione richiestati da Buonaparte , dare stabili provvedimenti per la pubblica istruzione, e dimostrare all’ Italia e alla Francia che non sei l’ ultimo ed il meno capace di formarti fra i popoli liberi. Partirò allora abbracciandoti, e le lacrime di tenerezza che verserò fra le braccia de’ tuoi cittadini saranno per me un premio soave e la sola vendetta che chieggo contro i tuoi e miei nemici, che correranno allora a celare la loro vergogna nel più intimo di quelle case ove, chi sa, forse piangono gli stemmi cadenti ed i vani onori perduti. Salute e fratellanza. Giovanni Fantoni. S’udì rispondere : Un cittadino di Reggio ad un cittadino di Fivizzano. L’uomo veramente onesto, veramente filosofo, veramente amico dell’umanità, fa il bene senza vantarsene , promuove soprattutto con 1’ istruzione e l’esempio il buon costume , base di ogni governo ; rispetta le qualunque autorità costituite nel luogo ove trovasi ; ed ha riguardo ai pregiudizi medesimi, cercando di sradicarli gradatamente sull’esempio della natura, che nulla opera con violenza. Egli è sempre energico senza essere fanatico, sempre prudente al pari che coraggioso, nè mai con tuono d’ imperio , o con mezzi di seduzione, tenta di propagare le proprie massime, nè mai propone alla moltitudine, sovente cieca sopra i veri interessi del popolo, cose inutili o pe- — 249 — ricolose. Cittadino di Fivizzano, imprimete profondamente nel vostro cuore queste verità, e vivete felice, se il vostro spirito troppo effervescente vi permette di esserlo. « Il cittadino di Reggio » che faceva questa lavata di capo al « cittadino di Fivizzano » era un poeta egli pure: il conte Francesco Cassoli, autore de’ Quattro discorsi d’un pappagallo e d’ una gazza, e di versi lirici, a giudizio del Carducci, « non molti, nè buoni tutti e in tutto, che anzi peccano di certa durezza e frigidità » (12). Con rabbia feroce gli si avventò contro anche Luigi Cerretti, uno tra’ lirici in voga nel secolo XVIII, ma peraltro emulo di Pietro Aretino nello scrivere le più sozze immondezze e nel menare la lingua con maldicenza impudente. Nella sua novella 11 Giacobino finge che un ribaldo di Bologna, bollato in Francia dal boia, capiti a Reggio e s’imbatta in Labindo : .....passando per Reggio Al Circolo recossi. Il primo seggio, Come moderator dell’assemblea, In quel giorno tenea Un poetaccio detto Fur-Fantone, Che di truffe vivendo e modi indegni, Corse avea più città, visti più regni. Labindo, al suo apparire, dà sulle furie : Appena l’occhio ei pone Sullo.stranier, che morte amici, esclama, Morte a costui; gli è un Nobile, il ravviso. — Non denigrar mia fama — Imperturbato in viso Dice Giocondo — i’ non son l’uom che credi : Son giacobino; son plebeo. — La veste Spoglia quindi e soggiunge : — Amico, vedi Se in civil terga stan le forche impresse E se di nobiltà marche sian queste : Io son superbo d’esse Poiché coll’opre mie ne fei guadagno. — Al riverito segno Fur-Fanton per compagno Conobbel tosto, e giudicollo degno Dell’accollata. Indi all’eroe novello Tutto il coro gridò : — Viva il fratello. — — 250 — Il Cerretti scrisse questa novella tra il 1799 e il 1800 ne’ tredici mesi che le vittorie degli Austro-russi lo tennero in esilio. Dichiara però in una delle note: « Sentii narrare, mentre io era in Francia, il caso curioso di un certo fìnto giacobino , avvenuto in un club di Marsiglia poco dopo scoppiata la rivoluzione. Ne scrissi una novella , trasportandone l’azione a Reggio, ma nulla alterando il fatto, che è verissimo » (13). Labindo non fu dunque mescolato per nulla in questa avventura, seguita in Francia e tra’ francesi ; si tratta di una calunnia, a confessione dello stesso calunniatore. Per « odorare » più da vicino la libertà, lasciato Ca-stelnuovo, il Fantoni fece una corsa a Bologna (14) ; passò poi a Sassuolo, a Carpi, a Reggio , dove , col mezzo del Cagnoli, conobbe l’ab. Gaetano Fantuzzi, uno de’ reggiani rammentati nella lettera a stampa e eh’ era in voce d’ a-mante de’ tempi nuovi; voce, peraltro, in grandissima parte esagerata, anzi quasi falsa, come dichiarò egli stesso. « Se io fui geniale francese » (così scrive) , « noi fui che come novellista, curioso indagator de’ fatti veri, non approvator degli stessi. Talora, è vero , sostenitor dei successi, eh’ io credeva veri, non fanatico encomiator degli stessi ». Nato nel 1744, nel ’68 celebrò la prima messa, assistito da’Gesuiti, i quali, nella speranza di tirarlo nella Compagnia, gli affidarono la scuola di grammatica ; e forse avrebbe finito con vestir l’abito di S. Ignazio, se non veniva soppressa. Tolte a’ Gesuiti le scuole nel '73, ebbe dal Comune quella di belle lettere. Buon latinista e insegnante valente, la tenne con lode e profitto grandissimo della gioventù ; la perdette nel ’gg , quando Reggio fece ritorno al vecchio regime. Fu messo in prigione a Rubiera, e vi rimase dal 19 maggio al 13 di giugno. Il Vescovo gli vietò l’esercizio d’ ogni sacro ministero. L’ accusa era, in apparenza, di « fomentator di partiti » ; in sostanza, si puniva il giansenista ardente che si era « impegnato alla protezione del Sinodo famoso di Pistoia, già condannato da Roma ». Nelle « Proteste » a propria difesa, « scritte nel mese di giugno 1799 », il Fantuzzi tocca, tra le altre cose, delle rela- — 251 — zioni avute con Labindo ; e lo pennelleggia con colori foschissimi. Ecco le sue parole : Protesto quanto segue relativamente a Fantoni. Quest’ uomo sconosciuto, fu a me condotto come letterato. Il primo giorno discorse di letteratura. La seconda volta lasciossi sfuggire alcuni sentimenti che mi posero in sospetto. Come m’aveva pregato eh’ io l’introducessi da Paradisi, a questo corsi tosto, e,il prevenni che stesse in guardia con quest’ uomo , perchè mi dava sospetto di essere un emissario de’ Francesi. Precisa verba. Frattanto seco per istrada io e gli altri il conobbimo per un pazzo fanatico ed entusiasta all’ eccesso. Mi posi a schivarlo. Un dì appunto, ch’io per non trovarlo declinai dalla Fiera, incontratolo in piazza con mio dispiacere, pieno di rabbia il trassi fuor di città a passeggio, e mi posi ad inveire contro lui con tanto impeto ed energia, che quel veemente parlatore ridussi a silenzio. Non contento di questo, per purgare di tal germe il paese , gli misi in cuore spavento del governo con sì buon effetto, che mi promise di partire la mattina dopo per Carpi. Partì infatti, ed io ebbi la consolazione, e potrei dire anche il merito, d’averlo fatto fuggire da Reggio. Di tutto questo ne sono testimoni vari , a cui tosto raccontai il fatto. Oltre la prima volta, solo un’altra fu egli in casa mia, in tempo che vi fu sempre presente 1’ onesto Arciprete di Bibbiano , che può attestare l’innocenza del colloquio. Più noi vidi che quando dopo 1 i-niqua spedizione di Montechiarugolo colla truppa passò presso al mio casino del Quaresimo, dove 1’ unica parola fu un freddo addio. Protesto che io non ebbi sue lettere, non vidi, non che ebbi suoi scritti; non mai a lui scrissi, non seppi , non cercai più di lui, nè avrei potuto io aver relazione giammai con lui, che io abborriva. Nè ho, nè ebbi mai presso di me, nè seppi ch’altri avesse alcuna sua produzione; nè ebbi altra notizia ch’egli facesse qui, fuorché vomitare qualche massima immorale ed irreligiosa, che mi facea nausea. La lettera sua stampata mi ferì all’eccesso. Con quanti me ne parlarono protestai in contrario. Non risposi, per queste due ragioni: i.° pel timore, che in me molto poteva, d’ irritare contro me il feroce partito ch'egli aveva infiammato a suo favore; 2.° pel naturai mio costume che ho sempre tenuto di non rispondere, nè parlare contro le accuse ingiuste che mi sono state date ; persuaso io che la miglior confutazione siano il silenzio e la savia condotta. Ho conservato sempre questo tenore; ed allora pure m’acchetai dicendo: La condotta di Fantoni e la mia faranno palese la calunnia (15). Del breve soggiorno fatto da Labindo a Reggio nel maggio del 1796, in occasione della « Fiera », si trova un accenno anche in una lettera di Pompeo Baldasseroni, del 3 decembre di quell’ anno , indirizzata al conte Giovanni — 252 — Munarini. Parlando de’ « capi del giacobinismo » in Gar-fagnana, scrive : Uno era il cavalier di Santo Stefano Bertacchi, di cui si è detto che all’arrivo primo dei Francesi in Castelnuovo gettasse via la croce in pubblica piazza, per provare il suo attaccamento all’uguaglianza. Il secondo è il primogenito del governatore Mulazzani. Il primo, sciocco e ridicolo", è stato sedotto e instruito nelle nuove massime da certo conte Fantoni di Fivizzano, conosciuto sotto il nome arcadico di Labindo per le belle sue liriche poesie; giovine mattfe, libertino e perciò giacobino della prima sfera. Io seppi fino dal maggio che Fantoni e Bertacchi erano in tempo della Fiera a Reggio in casa di Bolognini (16); intercettai una lettera diretta ad altro Bertacchi , che stava in casa mia, e comunicai alla Reggenza, di cui allora non era membro, i miei sospetti e la copia della lettera; ma non si diede alcuna provvidenza, perchè la massima di chi guidava quel corpo (17) era di fare orecchie di mercante in sì delicata materia. Mulazzani poi fu da me scoperto un libero pensatore nel corso del passato inverno in cui veniva a studiare nella mia libreria. Ebbi seco alcune conferenze, in cui non mancai di procurare d’illuminarlo, e ne avvertii il conte Fabrizi, che me lo aveva raccomandato in nome di suo padre. Era questo giovine un allievo della contaminata Università di Pavia (18). Per conoscere la parte presa da Labindo al sollevamento di Reggio e giudicarla alla stregua del vero è necessario studiare quel sollevamento ne’ suoi più minuti particolari. I Francesi, « a cui bastava un fil di paglia per gonfiar le vesciche », come dice Marcantonio Parenti (19), gli dettero un’ importanza che non si sognò d’avere e non ebbe; nè fu opera de’ partigiani della democrazia, nè frutto ed effetto dell’ amore alla libertà. L’ opera de’ patriotti vi portò indubbiamente e largamente il suo contributo ; ma delle tante e diverse cause dalle quali trasse l’origine non è la maggiore, nè la più efficace. Reggio datosi agli Estensi fin dal 30 giugno del 1409, facendosi largamente pagare da loro « il sacrifizio della libertà, di cui non v’ha prezzo corrispondente », e facendoselo pagare con una quantità di patti, di convenzioni e di franchigie, « espressamente volute da un popolo libero » e « al medesimo senza alcuna riserva accordate » ; patti, convenzioni e franchigie dagli Estensi « sempre e inviolabilmente osservate » ; Reggio fremeva di dolore e di rabbia nel vederle allora tenute in — 253 — nessunissimo conto. Rimpiangeva i suoi quadri migliori, trasportati a Modena per abbellire la pinacoteca ducale ; rimpiangeva « applicati a Modena » i beni da’ testatori reggiani lasciati « unicamente a favor della patria »; rimpiangeva essergli stato tolto « il maneggio de’ pubblici luoghi ed aziende della città » ; tolta « la libera amministrazione » delle acque dell’Enza; alterata « la quantità e natura dei dazi e gabelle » ; soppressa la facoltà di conferire la laurea in legge ed in medicina e forzata la gioventù a pigliarla in Modena (20). Mentre Reggio è in mezzo a tutte queste recriminazioni e lamenti di diritti manomessi, di franchigie violate, di danni sofferti, Bonaparte piglia il comando dell’ esercito conquistatore. Vinto il Piemonte, sconfìtti in più battaglie gli Austriaci, entra vittorioso a Milano ; e da Milano , il 20 maggio del '96 , rivolge agli italiani queste parole : « siamo amici di tutti i popoli, e principalmente dei discendenti dei Bruti, degli Scipioni, dei grandi uomini che abbiamo preso a modello. Rialzare il Campidoglio, collocarvi onorevolmente le statue degli eroi che si fecero famosi, svegliare il popolo romano, reso torpido da molti secoli di schiavitù , questo sarà il frutto delle nostre vittorie ». Occupata Peschiera e Verona, messo l’assedio a Mantova, fatta una tregua col Re di Napoli, nel giugno decise d’impadronirsi di Livorno, di piombare su Ferrara e Bologna e d’invadere le Romagne. Della facile impresa di Livorno ebbe l’incarico il Vaubois , che il 19 arrivò a Reggio con la sua divisione, per valicar poi l’Appennino e calare nella Toscana. Vi rimase parecchi giorni, accampando le sue truppe, parte « ne’ prati vicini, sullo Stradone fuori di porta Castello » , e parte « sulla tagliata a S. Stefano ». Giunse a Reggio « anche Bonaparte in carrozza, che alloggiò in casa Guicciardi » (21). Carlo Zucchi, testimone dell’ arrivo e del soggiorno de’ Francesi nella sua Reggio, lasciò scritto: « Le subitanee vittorie di Buonaparte, figlio della rivoluzione , uscito dal popolo, quotidianamente fecondavano nelle giovani menti sconfinati desideri di gloria. I soldati francesi, prodi, vivaci, gentili, che con tanto brio narravano le romanzesche -- 254 — vicende della guerra, facevano battere i cuori d’insolito ardore guerresco » (22). Mentre a Reggio tre partiti affatto distinti e con propositi diversi tenevano il campo, in una cosa si trovavano tutti concordi : nello scuotere e liberarsi dalla supremazia modenese. I voti dello stesso partito conservatore, formante la grandissima maggioranza, e che s’incarnava nel Senato, « erano per una pace che gli conservasse la sovranità degli Estensi e le condizioni stipulate dalla città nel dedicarsele » (23). V’era il partito degli indecisi, che si destreggiava fra il vecchio e il nuovo ; il partito de’ giacobini puri, che, entusiasti della rivoluzione di Francia, riguardavano i francesi come fratelli e liberatori, e ne sospiravano la venuta e si struggevano per il loro trionfo ; quello de’ giacobini temperati, fiduciosi anch’essi nell’aiuto della Francia, ma che però volevan far da loro , muovere un passo dietro 1’ altro , andare a gradi, formare una repubblichetta per conto proprio, senza che quelli di fuori se ne ingerissero. Questi due ultimi partiti, dopo scoppiato il sollevamento, si trovarono a fronte l'uno dell’altro, ma prima andavano di conserva, e si raccoglievano insieme nei clubs. Il cronista Luigi Viani afferma « che queste unioni erano ciascheduna composta di dodici individui. La prima, composta pure di dodici persone, delle più illuminate, faceva i piani ; ciascun individuo di questi era capo d’ altre dodici persone, formanti un’altra unione; e ciascuno di questi della seconda unione era pure capo d’altrettante unioni, così che si diramavano in moltissime unioni, che alla francese si chiamavano clubs, e con questo metodo tutti sapevano ciò che si deliberava, e ciascheduno diceva il suo sentimento, e tranne quei dodici di cui uno era membro, niuno conosceva i membri delle altre assemblee ; e questo metodo durò fino all’aperta rivolta ». Filippo Re (il valente agronomo) asserisce egli pure che vi erano dei clubs e ricorda quello che si teneva « nel caffè di S. Prospero », poi detto « caffè dei Patriotti »; dà anche il nome de’ frequentatori, nè scorda fra questi Giovanni Fantoni (24). Di pia , rammenta le riunioni che tenevano fra loro « alcuni de’ senatori — 255 — più influenti »; riunioni nelle quali, « senza che si sapesse niente dagli altri», si pigliavano dei partiti, che erano portati « belli e fatti in Senato » (25). Uno di questi appunto fu quello che affidò l’incarico al conte Giovanni Paradisi e al conte Antonio Re (26) di recarsi a difendere le violate franchigie e i manomessi diritti di Reggio presso i generali e i rappresentanti della Francia e anche presso lo stesso Direttorio « se lo crederanno necessario ». Il Paradisi e il Re, chiamati con loro come segretari Giacomo Lamberti e Ignazio Trivelli, il i.° di luglio partirono « da Reggio in traccia del Buona-parte », recando con sè un « promemoria », dove, tra le altre cose, era scritto : non aver Modena « altra prerogativa che di essere la capitale del di lei Ducato, come è Reggio del suo ». La Reggenza, che teneva il comando a nome del Duca Ercole III, fuggito a Venezia fin dal 7 di maggio , n’ ebbe sentore, ma senza sapere in che consistesse la commissione; corse perfino la voce avesse Reggio « l’idea di erigersi in repubblica con Bologna », a-vendo gl’inviati presa la strada di Bologna, « perchè seppero che Buonaparte era colà ». Ai reggiani non riuscì abboccarsi con lui; e la Reggenza tanto seppe maneggiarsi col generale francese Shauguet, allora in Modena (27), che lo indusse a partire « per Ferrara, onde concertare col Buonaparte la maniera di sventare le idee cattive che potessero avere i deputati reggiani » (28). Di più, scrisse al generale in capo ella stessa, lusingandosi « che non verrrà dall’ E. S. dato ascolto ai sedicenti deputati, e che anzi verranno redarguiti, potendo S. E. conoscere l’impossibilità di soddisfare al compimento della somma convenuta fra la Repubblica Francese e l’intero Stato se potesse aver luogo l’esclusione di una principal parte del medesimo » (29). La spuntò; e, fatta ardita dal trionfo, « per mettere in quiete » la città di Reggio , « elettrizzata al al primo arrivo dei francesi » (30), cogliendo anche occasione da’ tumulti seguiti nelle sere del 5, 6 e 7 luglio, vi mandò un buon nerbo di truppa, « forte di tre cannoni » (31). Lo stesso generale Shauguèt (come racconta il Lombardi) 1 — 256 — andò a Reggio, pranzò con il Governatore e si mostrò al popolo in compagnia sua, per far vedere che « la Repubblica Francese andava di concerto col Governo di Modena ». Il Senato non mancò di protestare contro l’invio della truppa, tanto più che ad alcuni di que’ soldati usci di bocca, che « l’oggetto della loro missione » era di restituire a’ reggiani « li domandati diritti colla bocca de’ cannoni » (32). Ogni sera seguivano subbugli e trambusti , accompagnati da fischi e sassate, da insulti, da arresti , da colpi di bastone e di sciabola. Quella soldatesca, inviperita e sfrenata, restò a Reggio, con gran tormento e dolore della cittadinanza, fino alla mattina del 22 agosto; e con la truppa tanto odiata, preso dalla paura, parti anche il Governatore, don Mario Fici della Giumerella de’ duchi d Amalfi ; un palermitano, che non lasciò desiderio di se , nè rimpianto. La sera seguente poco mancò non seguisse un nuovo tumulto, essendosi sparsa la voce che si tentava « di affamar Reggio dai Modanesi » ; la sera del 24 riuscì « tranquil-sima », benché « i terroristi » (come Filippo Re chiama i giacobini) facessero « il diavolo per tenere elettrizzato il popolo »; e dell’ essere stata tranquillissima fu merito de « molti » che si maneggiarono « per tener quieta la gente ». In quella successiva, sebbene piovesse a dirotto, tra i tuoni ed i lampi, proprio nell’atto che scrosciava una saetta, venne piantato 1’ albero della liberta. A confessione della stessa Gazzetta di Francia, « furent les directeurs de la cérémonie » sessanta marinai corsi, che andavano all assedio di Mantova per servire sulle barche cannoniere, e che arrivati da Modena la mattina erano stati accolti dal popolo « avec toutes le démonstrations de la fraternité » (33). L’albero consisteva in un piccolo gelso, strappato da’ bastioni; nè essendo riusciti a piantarlo, per essere troppo saldo il selciato della piazza, lo appoggiarono a un muro , tra lo schiamazzo e le grida (34). Il giorno dopo, di buon mattino , Filippo Re scriveva alla cognata : « L’ albero è guardato da quaranta cittadini armati, che hanno girato in pattuglia.... Vi sono, dicono, dei preti armati ». E più tardi; « Il Pubblico » (cioè il — 257 — Senato) « pare imbrogliato. I più disapprovano un tal passo come irregolare e prematuro. Ma il fermento non isminui-sce ». Afferma il Paradisi, che appena si sparse la voce dell accaduto, fu generale la « disapprovazione dovuta ad una sconsideratezza di tanto rischio ». Aggiunge di più , che forse « quel ceppo » non « metteva per quella volta radice, se un altro corso, di rango più ragguardevole, non accorreva ad infonderli vigore »; allusione delle più manifeste, non al Saliceti, come ritiene il Fiorini (35), ma al Galeazzini, venuto in Reggio fin dall’ 11 agosto come a-gente militare della Repubblica Francese (36) ; il quale « aveva ispirato dell’ importanza del proprio officio così gran sentimento, che ogni suo detto aveasi per un responso del Direttorio ». Richiesto di consiglio, (è sempre il Paradisi che scrive) inculcò « convenirsi che un segno più nobile, ed eretto solennemente, succedesse all’arboscello collocato la notte a reggere le insegne della democrazia ». Non furono parole al vento : « una moltitudine di francesi, a tamburo battente», (lo racconta il Re), andata nello Stradone del mercato, tagliò « una pioppa altissima » e la condusse in piazza, «per surrogarla al moro che vi era »; mettendovi « due bandiere tricolori, una scure e un affisso che dice : 0 morte 0 libertà »; al quale affisso fu poi sostituito l’altro : Tremate 0 tiranni, tremate 0 perfidi alla vista della sacra immagine della Libertà. Nota il cronista Antonio Lombardi: « La Comunità di Reggio non ebbe alcuna parte nell’ impianto dell’albero... Quando però ella vide che il popolo era riscaldato, procurò alla prima di quietarlo , ed il conte Paradisi perorò un’ora intera, per persuadere che non dovevasi arrivare al gran passo di scuotere il giogo della sovranità, perchè sarebbesi cambiato governo sì, ma sempre in peggio, perchè non era possibile che Reggio potesse reggersi da sè a repubblica e perchè se fosse risorto il partito tedesco in Italia, Reggio era rovinato. Questa perorazione aveva confuso e quasi convertito la moltitudine. Radunatosi perciò il Gran Consiglio , si propose di disarmare il popolo ; ma pochi furono quelli che approvassero questo partito, e per- Giorn. Si. c Leti, della Liguria. iS ciò, spinto come dalla necessità, fu steso il fatai decreto, in cui la Comunità esponeva che la presente crisi degli affari l’aveva condotta ad avocare a sè il sovrano diritto e ad istituire la guardia civica ». Racconta il Paradisi che i consiglieri vi accorsero « a mal cuore » e « sospinti dalle sollecitazioni della moltitudine ». Aggiunge: « il consesso era pieno, nè si dava principio alle deliberazioni, perchè a chi doveva presedere non suggeriva nulla da proporre che non urtasse o colla Reggenza di Modena, o co’ Francesi, o col popolo ». Importando, « prima di tutto, porre in chiaro, se quella rivoluzione fosse d’origine domestica o straniera, perchè nell’ ultimo caso sarebbe stato disastroso consiglio d’interromperla, se pur bastassero le forze per alcuni momenti, onde s’avesse a riaccendere subito dopo colla violenza del risentimento », fu spedito un messo all’ agente francese. Il Galeazzini rispose : « l’albero della libertà, posto una volta in qualunque luogo , più non può svellersi senza estremi pericoli ». Gran « tumulto » (lo attesta Filippo Re) « era nella sala del Pubblico , ove tutti andavano innanzi e indietro ». Dette il tratto alla bilancia Giacomo Lamberti, che non faceva parte del Senato e che vi si recò a proporre e caldeggiare « il fatale decreto », vinto con voti unanimi. In forza di questo decreto il Senato pigliò « in-terinalmente » il governo della « città e ducato », lasciando « nell’ attuale loro esercizio » e anche confermando , per quanto poteva da lui dipendere, « le Autorità già costituite ». Peraltro, nel proclama « a’ suoi cittadini», che fu messo a stampa e affisso lo stesso giorno sulle cantonate, dichiarò « di avocare a sè in tutta l'estensione il governo », senza far parola di confermare le Autorità, lasciate soltanto « nel loro esercizio ». Nel pomeriggio il Re tornava a scrivere alla cognata : Libertà durerà? Eguaglianza sarà vera? .....Abbiamo avuto la prima festa civica. Una numerosa orchestra, situata in un lungo e gran palco, cantando un'aria che cominciava: Tutti i tiranni tremino, e termina: viva la libertà, e suonando varie armonie, ha rallegrato la piazza. V’ era qualche bella e molta gente. Quattro sanculotti circondavano l’albero con quattro torce, e — 259 — due altri erano innanzi la porta del Publico, che ha ricevuti immensi applausi. È stato fermato dalla pattuglia un birbone che disturbava. Giravano molti entusiasti. Parecchi però in segreto deplorano non l’ideata libertà, ma le conseguenze. Pure è vero che dopo quasi quattro secoli Reggio è divenuta repubblica. Oh fatto di cui non si prevedono forse le tristi conseguenze ! A qual prezzo noi otterremo la libertà ? Tant’ è; il sasso è tratto, nè possiamo più ritirarci. Il cittadino Filippo [iallude a è stato quasi forzato a mettere la coccarda. Il cittadino Gagnoni la porta prudentemente in tasca, come vuol fare il cittadino Negroni. In questa lettera il Re non solo rispecchia il proprio pensiero, ma quello della gran maggioranza de’ suoi concittadini, lieti di essersi svincolati da Modena e di aver conquistata l’indipendenza, incerti peraltro e poco fiduciosi del presente, trepidanti per l’avvenire. « È innegabile » (osserva giustamente il Bassi) « che la rivalità con Modena e il desiderio di far da sè, più ancora che la speranza di una libertà, della quale per poco non avevasi idea, guidarono la condotta di Reggio nella sua rivoluzione e nel breve periodo della sua autonomia » (37). La sera del 30 settembre si sparse a un tratto la voce che più migliaia di austriaci, con buon nerbo di cavalleria, avevano invaso il vicino territorio di Correggio, senza conoscersi dove intendessero andare. All’ inaspettata notizia, tutta Reggio fu presa dallo spavento. Il Senato si adunò sull’ istantç, ma in numero scarso ; molti cittadini si precipitarono nella sala, spinti dal desiderio di assistere a quanto veniva deliberato. « I più timidi de’ senatori » (lo racconta il Viani) « proponevano doversi ricevere i tedeschi con ufficiose maniere, giacché era impossibile la resistenza. Si opponevano i più arditi a sì basse e pericolose misure, dimostrando che i tedeschi, resi padroni della città, ne a-vrebbero potuto fare scempio, e che avendo ovunque i Francesi, e ritrovata qualche resistenza, avrebbero dovuto abbandonare l’impresa ». Vinsero i più arditi; il capitano Carlo Ferrarini chiamò sotto le armi la guardia civica, composta di possidenti e istituita il giorno stesso della rivoluzione; il conte Della Palude, che comandava la guardia forense, fece sonare a stormo per le ville vicine onde accorresse in città. - 2 6o — Nessuno mancò all’ appello. La civica, schierata sulle mura, in mezzo a una quantità di torce a vento, sembrava, in quel contrasto di ombra e di luce, un esercito numeroso. La forense accampò fuori delle porte ; le quali, meno una, vennero barricate ; pattuglie a cavallo perlustrarono la campagna quanto fu lunga la notte. All albeggiare, sempre con la paura che il nemico fosse lì presso , si raffor-zaron le mura; la campana della cattedrale, prese a sonare a martello ; la piazza si riempì d’armati. La verità finalmente si fece strada ; non si trattava di cinquemila tedeschi, ma d’un drappello di centocinquanta. Uscito da Mantova per foraggiare, era rimasto tagliato fuori; e voleva trovare uno scampo, valicando 1’ Appennino, per rifugiarsi in Toscana. Nacque allora il pensiero di piombare addosso a que’ fuggiaschi e farli prigionieri. Baleno alla mente di Labindo , uno de’ caldeggiatori della resistenza ne’ momenti del creduto pericolo; animoso adesso nel propugnare quello slancio di coraggio. A farne persuaso il timido Senato, che, per quanto ribattezzato in Municipalita, 1 alito de’ tempi nuovi non aveva per niente trasformato ne rinvigorito, ci volle del buono; tanto più che il drappello s era incaminato verso il Parmigiano ; fuori, per conseguenza, de’ confini reggiani. Bisogno che il Galeazzini, al solito, spendesse l’autorità propria e si facesse iniziatore dell impresa egli stesso. Infatti ordino al sargente maggiore Laroche , che in quel tempo faceva le veci di commissario a Reggio per la Repubblica Francese, di pigliare il comando d’un distaccamento di quaranta granatieri, giunto poco prima da Livorno , e alla loro testa inseguire i fuggiaschi e tagliar loro la ritirata; menando con sè que’ bravi reggiani che anelavano « de s’unir aux françois pour combattre les ennemis de la liberté comune». La Municipalità, messa alle strette da lui, contro voglia e non senza paura (38), consentì di porre « a disposizione del detto Agente tutti que'' cittadini che volontariamente se gli presenteranno per tale spedizione ; rimettendo però al medesimo di lasciare addietro quel di più di essi che sembrasse eccedente » ; e pregandolo di giustificare il Governo Reggiano « con la — ?.6ι —* Corte di Parma, in caso che si passasse pel suo territorio », e « a non prendere tanti cittadini, che ne avesse a mancare per la guardia che mantiene il buon ordine nella città ». Incaricò poi il capitano Carlo Ferrarini « della condotta de’ cittadini aggiunti a’ francesi », con queste istruzioni : 1.° Di far mantenere alle truppe reggiane Γ ordine, il rispetto alle persone ed alle proprietà de’ paesi sì alleati che no a questa Re-publica. 2.° Gli sarà confidata la somma di zecchini cinquanta. Egli con questa provvederà al bisogno della sua truppa. 3 ° Procurerà che la spedizione, rispetto a’ Reggiani, duri non più di tre giorni, e se non è possibile di ottenerlo , procurerà almeno di abbreviarla quanto potrà, riflettendo al bisogno di cittadini che si ha pel servizio interno della patria. In quello stesso giorno (era il 3 d’ottobre) la colonna franco-reggiana, della quale faceva parte il Fantoni, si pose in marcia e passò la notte a Bedogno. Gli austriaci, che erano nel vicino villaggio di Rossena, inteso l’avvicinarsi del nemico, la mattina appresso, sull’ albeggiare, si avviarono in tutta fretta verso Montechiarugolo in quel di Parma. Il Laroche prese a inseguirli, ma senza poterli raggiungere; fece però alcuni prigionieri e s’impadronì di tre cariaggi, da loro abbandonati. Giunto finalmente co’ suoi sotto le mura di Montechiarugolo, incominciò l’assedio ; e gli assalitori si dettero a bersagliarlo di fucilate con tale ardore, che ben presto vennero a mancare le munizioni. Il Laroche scrisse al Galeazzini per averne, e chiese anche un rinforzo, giacché lungo la marcia nessuno s’era unito a loro. Ma la lettera, consegnata a due della colonna perchè la portassero , arrivò a Reggio con ritardo (39), essendo « stati disarmati e percossi nelle berleti d’ Enza da varie persone, fra le quali ve n’ erano tre di Montecchio » (40). Il Laroche, che non tardò a esserne informato, scrisse alla Comunità di Montecchio che mandasse « subito » una deputazione « sotto le mura di Montechiarugolo per affari di servigio ». Frattanto giunse a Reggio il generale di brigata Carlo Sandos, spedito da Bonaparte a inseguire e far prigioniero — 2Ó2 - il fuggente drappello (41). Nè il suo arrivo fu inatteso. Lo stesso Laroche, nella lettera al Galeazzini, Γ affretta col desiderio e ci confida : « si le général Sandos est arrivé, dirigés (sic) sa marche aussitôt du côté où nous sommes: maintenant l’ennemi est bloqué jusqu’à nouvel ordre ». La mattina del 5, prima che il Sandos giungesse a Montechiarugolo, era accorso in aiuto del Laroche il capitano Martelli con una schiera d’ uomini di Bibbiano. Gli austriaci, sopraffatti dal numero e vista inutile ogni resistenza, deliberarono la resa;'e si stava appunto trattando, quando arrivarono i deputati di Montecchio. « Giunti al campo sotto le mura di Montechiarugolo » (così riferirono alla propria Comunità) « dimandammo d’ essere introdotti dal signor Laroche, ed inteso l’arrivo del generale, motivo per cui era cessato il comando del primo, e che entrambi trovavansi in castello a stendere la capitolazione con quell’ufficiale comandante austriaco rifugiatovisi con un centinaio d’ussari, d’ulani e fanteria, fummo costretti ad attendere 1’ ultimazione della spedizione ». I patti della resa furon questi : Art. i.° Gli austriaci sortiranno quest’oggi cogli onori della guerra alle ore 6 della mattina e saranno prigionieri di guerra. Art. 2.0 Gli officiali saranno rilasciati sulla parola dopo il giuramento di più portar le armi contro i francesi. Il Laroche, che, per testimonianza del generale Sandos, aveva guidato quella spedizione « avec le zèle et le courage d’un vrai républicain », si affrettò a partecipare alla Municipalità la conseguita « vittoria » , alla quale i reggiani avevano contribuito col braccio e çol sangue: « Deux des vos concitoyens de la montagne ont scellé avec leur sang (42) la liberté de Reggio ; enviez leur sort, ils sont morts pour la patrie, ils, ne méritent pas de larmes de do-leur, mais de reconnaissance ». Il generale Sandos , compiuta l’impresa di Alontechia-rugolo, « preceduto da un distaccamento di cavalleria d’ussari e dragoni, in circa centocinquanta uomini, da un corpo di fanteria francese, di sessanta in settanta uomini, a tamburo battente, da altro corpo di patrioti reggiani e da un — 263 — numero grandissimo di milizie forensi, parte delle quali scortavano i prigionieri tedeschi», andò a Montecchio; e smontato al pretorio, intimò l’immediata convocazione del consiglio comunale, fece arrestare il luogotenente, il sindaco e il cancelliere, impose agli abitanti « una contribuzione di mille zecchini », da pagarsi dentro un’ora, sotto pena dell’incendio e del sacco. Era il castigo « di avere ufficiati, trattati e ap-provigionati nel loro passaggio i tedeschi, e di non averli anzi inseguiti » ; nel medesimo tempo era la vendetta per l’affronto fatto a’ due patriotti reggiani. La Comunità, per quanto seppe e potè, cercò schermirsi e difendersi ; e in verità le ragioni non le mancavano ; essendo stato fatto 1’ approvigionamento de’ tedeschi « dall’ oste di Montechiarugolo » alle botteghe di Montecchio « per suo conto » e « a danari contanti » ; e avvenuto 1’ affronto « sul Parmigiano, ove la Comunità non ha mezzi nè forza nè diritto per impedire i bricconi da criminose intraprese ». Il generale, che « aveva posato 1’ orologio sul tavolino », fece mettere in arresto il Priore de’ PP. Serviti , a’ quali impose una taglia di dugento zecchini ; subito pagati. Si contentò di pigliarne soli ottocento dalla disgraziata e atterrita popolazione. I patriotti reggiani, prima di lasciare Montecchio, vi piantarono 1’ albero della libertà; e col Sandos tornarono a Reggio trionfanti, menando con sè i prigionieri, tutti « vestiti d’ un sacco di tela berettina, con bisaccia di tela al collo, cappello rotondo , il tutto lacero, e quasi senza scarpe e niune calze », tramandando « un puzzo che rifiutava 1’ avvicinamento » (43). Augusto Franchetti giudica « veramente meschina in sè » l’impresa di Montechiarugolo (44) ; « degna però di nota per l’importanza che le fu data dai Francesi » (45). È degna invece di nota perchè fu la prima volta che un pugno d’ italiani si cimentò in campo aperto contro gli Austriaci (46) ; preludio alle battaglie future dell’ indi-pendenza nazionale. Torna a lode di Labindo l’esserne stato l’ideatore e il caldeggiatore ; è bello n’ abbia fatto parte. — 204 — Afferma il Botta che i Reggiani, « desiderando di rendere partecipi i vicini di quanto avevano fatto, mandavano uomini a posta nel contado, in Lunigiana e in Garfagnana acciocché parlando e predicando muovessero a novità » 47), Il Paradisi lo nega recisamente, e per quello che riguarda la Lunigiana e la Garfagnana ha ragione. Pietro Notari — l’amico di Labindo — venne spedito dal Senato ad « invitare li popoli della montagna ad unirsi alla città di Reggio » (48); altre annessioni di paesi del contado furon tentate e in parte conseguite. Il pensiero di sollevare anche la Garfagnana e la Lunigiana e aggregarle alla nascente Repubblica balenò alla mente del Fantoni, e senza frutto ne scrisse al Paradisi, al Lamberti e al Cugini. 11 timido Senato, dopo che Reggio ebbe « riacquistato il diritto prezioso di governarsi da sè e di operare la propria felicità », non osò mai spingere lo sguardo al di là de’ confini del vecchio « Ducato » reggiano ; que’ confini furono le sue colonne d’Èrcole. Composto, com’era, di « uomini usciti da lunghissima pace ed oscuri di ogni arte di governo » , a’ quali (lo nota il Paradisi) « nella scena che inaspettatamente s’apriva tutto era nuovo ed incongruente colle prime intenzioni » , dette prova di tale e tanta incapacità e di spilorceria così taccagna da muovere a sdegno anche la gente più temperata. Perfino il pacifico Filippo Re, che il 3 di settembre aveva scritto : « Pochi terroristi secolari, parecchi ignoranti terroristi ecclesiastici vanno spargendo, per quanto possono, l’allarme. Si fa temere al popolo una assoluta aristocrazia. Con questa massima si fa il possibile, e piaccia al cielo non vi si riesca, per deporre tutto il Senato e formare una nuova municipalità »; Filippo Re, che pensava e scriveva così, vinto dall’evidenza de’ fatti, cinque giorni dopo è costretto a confessare: « L’autorità del Senato vacilla, la milizia che guarda la città non è ancora vincolata per veruna legge di subordinazione. Si dice che è milizia d onore. Una tal parola non ha ancora veruna forza presso la maggior parte. I capitani hanno ordine di vegliare sulla quiete; ma un tal ordine è inutile, mancando i coattivi. Si vuole levato il Senato a riserva di pochi — 26 5 — membri. Ciò anderebbe bene; ma come fare su due piedi? E ben vero che in quel corpo regna un’ inerzia immensa, e v’ha taluno dei senatori che va dicendo non esservi nulla da fare. Ciò che è certo si è, che in un tempo in cui il Senato dovrebbe essere quasi permanente, que’ padri si radunano alle dieci e mezzo della mattina e partono a mezzodì. Gli intriganti profittano di questo , e non só come potrà finire ». Uno de’ « terroristi » , uno degli « intriganti », anzi il più formidabile di tutti, a suo giudizio, era Labindo. Che voleva egli mai? Voleva « 1’organizzazione di un Governo Provvisorio che possa conservare a Reggio la primogenitura della libertà italiana »; e al Senato dava consigli in iscritto , col mezzo di Giacomo Lamberti, offrendogli « quelle misure che possono farlo scendere, fra le benedizioni e la riconoscenza del popolo dall’altezza pericolosa in cui le circostanze lo aveano collocato ». I consigli dati, le « misure » offerte non producevano altro effetto che di farlo riguardare come un « pazzo agitatore delirante ». Il Senato finì col dimettersi, e lo fece il 26 di settembre, restando peraltro in carica ; lo fece con una strana deliberazione: quella di ridurre a soli quaranta il numero de’ consiglieri, che erano sessantotto, e imporre che la scelta de’ nuovi quaranta si facesse tra’ sessantotto dimissionari. Venne però lasciata poi libera con successivo decreto del giorno 30 ; ma il modo stabilito per far le nuove elezioni, che aveva il solo scopo d’impedire che il potere andasse nelle mani nel popolo, sollevò tale disapprovazione e tanti contrasti, che finì con l’andare in aria. « Il celebre piano per 1’ elezioni « (così il Re), « digerito per molto tempo, nell’ atto di sortire alla luce è stato onninamente rigettato e nulle per conseguenza le sessioni e le istruzioni e le scuole segrete per insegnarne la esecuzione. La lunghezza del tempo perduto a tale effetto ha invogliato alcuni di vederlo, e le cose erano così ben disposte, che, ad onta del segreto comandato , parecchi lo hanno veduto. Si è trovato aristocrato, che ledeva i diritti de’ poveri cittadini. Si è chiamato a consulta Galeazzini. Egli lo ha disapprovato. Ciò basta : Fantoni, Scaruffi, Be- '— 206 — nizzi, Montanari ed altri si erano maneggiati per implorare un governo militare, a meno che il piano non andasse a terra. Dunque i bravi legislatori hanno fiascheg-giato. Ecco il primo passo ». Intanto gravi avvenimenti si andavano incalzando. Bonaparte, temendo che l’Austria, non più minacciata dal Reno,‘gli piombasse addosso con tutte le sue forze, penso di valersi dell’aiuto de’ popoli d’Italia sottraiti alle vecchie signorie; e prese a ordinarli ed armarli, accendendone gli entusiasmi e solleticandone le speranze col far travedere un avvenire pieno di grandezza e di gloria. In una breve sosta che fece a Reggio — lo attestano i cronisti del tempo — « parlò al popolo adunato in folla sulla Ghiara , incoraggiando la gioventù ad armarsi per difendere la propria libertà ». Era quello appunto che più stava a cuore a Labindo, il quale altro non sog'nava e voleva che un Italia forte e padrona di sè e de’ propri destini. E con 1 ardore suo, con la fede viva e ardente dalla quale era animato incita e incuora a dar di piglio alle armi, con rabbia e dispetto de’ timidi e de’ neghittosi. « Arriva a Reggio il generale Rusca, reso zoppo da una ferita. Dicono resterà qui e sarà degno capo de’ nostri furibondi republicani ». Sono parole del Re , già si capisce. Prosegue : « Fantoni lo avvicina, gli dipinge con colori vivi, sebbene un po alterati, lo stato delle cose nostre, e soprattutto Γ inerzia della nostra Municipalità. Il generale crede , e soprattutto si mostra stupito che il Publico non armi a prò’ dei Francesi un battaglione. Ciò basta. Fantoni fa una petizione alla Municipalità onde essa armi, e la fa sottoscrivere da molti, fra quali preti, che non vogliono già andare alla guerra, ma chiedono , anzi vogliono che quel Publico che non ha bezzi per pagare giornalmente le milizie disponga un battaglione per andare contro i Tedeschi. La petizione è presentata. Il Publico vacilla, perchè Rusca vuole e Lamberti comanda con Paradisi a tutti ». Era il 16 d’ottobre, e in questo stesso giorno a Modena, non più soggetta agli Estensi, si stringeva la Confederazione Cispadana. Bonaparte , che v’ era arrivato fin — 20 7 — dal giorno 14, scriveva al Direttorio: « Bologne, Modéne, Reggio et Ferrara se sont réunis en congrès, en envoyant à Modéne une centaine de députés. L’enthousiasme le plus vif et le patriotisme le plus pur les animent; déjà ils voient revivre l’ancienne Italie : leur imagination s’enflamme, leur patriotisme se remue, et les citoyens de toutes les classes se serrent » (49). In mezzo a quegli entusiasmi il Garrau chiama a sè i rappresentanti di Reggio « e dopo aver letto un ordirle di Buonaparte, dichiara e comanda l’unione di Reggio a Modena, e presenta un piano che i deputati devono portare a Reggio, perchè vegga se convienle l’accettarlo, ma intanto aggiunge che egli lo fa stampare ». Il dolore de’ Reggiani passò ogni segno. Scrive il Re : « l’idea di ricadere sotto Modena è orribile a tutti. Sen-tesi mormorare che il popolo vuole presentare una memoria ai Commissari [Garrau e Saliceti] per far loro sapere che piuttosto servire a Modena ama di ritornare sotto la tirannia. Cala lo spirito guerriero. Si è spedito agli otto nostri deputati protestando che non si riconosce Modena per nulla .... Tutti i momenti vanno ora ad essere fatali per noi .... Questa notte ventiquattro popolani, sollecitati dicesi da Fantoni, hanno tentato di disarmare la guardia in Piazza. Il capitano ha usato somma prudenza. Tutto andrà impunito. Viva la libertà ed i matti». Il giorno dopo— 17 ottobre — ripiglia la penna: « Furore. Disperazione. Tutto è perduto. Son queste le parole della giornata.....Il piano [deU’unione\ porta: i.° Vi sarà un’amministrazione centrale a Modena, composta di nove modenesi ed otto reggiani per regolare l’economico e formare le leggi; 2.0 un anno resterà in Modena, un altro in Reggio, e dove sarà si troverà ancora la cassa nazionale , che sarà una sola. 3.0 A Reggio vi sarà un tribunale di cassazione. 4.0 Si formerà una deputazione di nove soggetti, levati tra Modena e Reggio, per formare la costituzione. 5.0 Resteranno fermi i confini [tra il territorio di Reggio e quello di Modena] segnati nel trattato {stipulato in que’ giorni e sanzionato dal Garrau e dal Saliceti]. 6.° Le Municipalità tutte avranno la libertà di amministrare il patrimonio com- — 208 — imitativo delle loro comunità e terre. Tale è il piano, buono e vantaggioso in sè, ma riduce Reggio da primogenito ad ultimo cadetto. Appena si sparse la nuova di tutto ciò in Reggio, che universale fu il lamento e Γ esecrazione contro i Francesi, e adesso sono i fanatici o spariti o ridotti a ben pochi. Si aperse il Senato, e Fantoni, il pazzo agitatore delirante del nostro popolo , chiese di entrarvi. Paradisi gli negò l’entrata. Ma alcuni vili satelliti suoi, timorosi non si sa bene di che, lo ammisero, onde pubblica si rese la sessione. Egli voleva che i nuovi soggetti da spedirsi a Modena in virtù del piano di Garrau fossero eletti dal popolo. Lamberti rispose che Garrau aveva espressa-mente vietato le adunanze popolari, anzi qualunque ombra di rappresentanti del popolo. Tale risposta fu un nuovo fulmine per coloro che credevano potere almeno avere il piacere di scegliere a loro modo (50). Fantoni replico, annoiò; ma i buonissimi nostri dichiararono lui ed altri suoi due compagni cittadini reggiani » (51). In un poscritto aggiunge : « La desolazione e la rabbia per vedersi as-soggettati a Modena è eccessiva. Non si minaccia meno che di atterrare l’albero. Questa notte è stata armata la piazza e due che minacciavano un sì bel fatto sono stati carcerati.....Dio la mandi buona. Ottantanove sono gli arrolati per la nuova coorte. Molti dopo le nuove di ieri vorrebbero cancellarsi, ma non è possibile. La cavalleria dei volontari è svanita ». E in un altro poscritto: «Rusca è fatto comandante di Reggio, Modena e Bologna; Fan-toni è il suo organo. Ieri sera tumulti in piazza. Il governo sempre più si indebolisce .... Tutti sono storditi e maledicono i Francesi, mentre pochi pazzi gli esaltano, e sollevano il popolo ». Al Botta, che nel raccontare la rivoluzione di Reggio caricò le tinte, scriveva Giovanni Paradisi : « posso fidatamente assicurarvi che se lo stato della città non avesse potuto crollare per altra forza che l’impeto spontaneo de’ cittadini, desso avrebbe perseverato ancora qualche mese, sintantoché i Francesi, occupata la terra, venissero ad affidar la baldanza degli innovatori. Conciossiacbè 1’ ardore — 2Ôg — democratico che scaldava, non saprei contenderlo , molti petti, durava ancora assai gradi al di sotto dell’ effervescenza necessaria a prorompere in aperto incendio ». Confessa che in mezzo alle illuminazioni, alle musiche, ai balli, alle feste, « che per tre sere solennizzarono quella muta zione, gli stessi più caldi della novità interrompevano sovente la non sincera esultazione per domandarsi Γ un l’altro che fine avrebbe poi quell’ ardimento ». Vuole il Botta che si accostassero « ai primi motori uomini riputati per ricchezza e per dottrina, sì per dar norma a quell’ impeto disordinato e sì per isperare che egli se non era libertà poteva col tempo divenire ». Il Paradisi, testimone de’ fatti, lo nega. « Io mai non li conobbi » questi « uomini riputati per ricchezza e per dottrina»; la rivoluzione « germogliò senza che gli scienziati e gli opulenti accorressero d’ogni parte ad allevarla ». Il desiderio di scuotere la supremazia de’ Modenesi e rivendicare l’indipendenza alla propria città, spinse i Reggiani alla lotta ; e fin che la lotta ebbe questo fine si trovarono tutti concordi. « In prezzo della sua rivoluzione dal 26 agosto 1796 restarono infrante tutte le disposizioni dell’ex Duca di Modena e la città di Reggio rientrò al possesso di tutti i beni che le erano stati indebitamente usurpati e tolti ». Lo dichiarò la stessa Municipalità il 4 marzo del 1797; e si fece eco fedele del pensiero dei più. Quando i meno vollero invece che il « prezzo » della rivoluzione fosse la libertà, scoppiò la discordia e incominciò la lotta. In quella lotta non fu scarsa, nè senza efficacia l’opera di Labindo, divenuto consigliere e guida dell’ esile schiera de’ giacobini; « feroce partito » agli occhi del Fantuzzi e di tanti e tanti altri con lui. L’esile schiera andò, peraltro, intiepidendosi e assottigliandosi quando il ritorno della città sotto la supremazia aborrita di Modena sollevò la generale esecrazione de’ reggiani contro i Francesi. Le rive del Crostolo non potevan essere più stanza per l’ideatore e caldeggiatore della spedizione « iniqua » di Monte-chiarugolo, per l’ardente tribuno della libertà e del risorgimento d’Italia ; e Labindo, pur conservando memore af- — 270 — fetto al « popolo sovrano » di Reggio, che l’aveva fatto suo cittadino , corse a Milano; la capitale della nascente Repubblica Lombarda, l’asilo ospitale e sicuro de’ profughi per la libertà. (Continua). (1) Cfr. Botta C. Storia d'Italia dal 17S9 al 1S14, Parigi, Didot, 1824; III, 210. (2) Cfr. la nota 32 del capitolo I. (3) Monti V. Poesie liriche, Firenze, Barbèra, 1862; p 293. (4) Sotto il nome di Dameta rammenta l’amico Pietro Notari nella ode XXIII del libro I. Gli intitolò le odi III e XII del libro III, scritte nel 1790, nel qual anno si trovarono insieme a Fivizzano e vissero in grande intimità. Pensava d’intitolargli anche un’epistola su gli avvocati ed i procuratori, che poi non scrisse. Giuseppe, figlio del cav. Sigismondo de conti Bertacchi e di Cassandra del cav. Pompeo Maria da Paule, fatte le provanze di nobiltà nel 1795, vesti l’abito di cavaliere dell’ Ordine di S. Stefano il i.0 luglio di quell’anno (il padre allora era morto) come successore nella commenda Bertacchi di suo patronato, fondata il 25 aprile del 1679. R· Archivio di Stato in Pisa. Ordine di S. Stefano, Provanze di nobiltà, filza 158, n. 18. (5) È 1’ ode XXI del libro IV, indirizzata a Bartolommeo Boccardi. Cfr. la Bibliografia. (6) La Parafrasi dell’inno All’Essere Supremo di Giuseppe Maria Che-nier la compose 1’ anno dopo e la stampò a Genova. Cfr. la Bibliografia. Questa è la traduzione; e non vide la luce. (7) Massa e Carrara vennero invase dal Lan n es il 3° di giugno. Cfr. Sforza G. Sull’occupazione di Massa di Lunigiana fatta da' Francesi nel 1796, lettere di un giacobino, Lucca, Canovetti, 1879, p. 33. È falso però che s’impossessassero anche del piccolo scalo di Viareggio. Per allora non fu toccata nè Lucca, nè il suo territorio. (8) È inedita. L’originale si trova nell’Autografoteca Campori, conservata nella Biblioteca Estense. (9) Cosi il « liber’uomo Niccolò Ugo Foscolo » nel dedicare « alla città di Reggio » la sua ode: Bonaparte liberatore; la quale fu stampata a Bologna per cura ed a spese della Giunta di difesa generale della Repubblica Cispadana, che il 16 maggio del 1797 ne inviò in dono « bon numero d’esemplari » alla Municipalità di Reggio. (10) Monti'V. Mascheroniana, canto II, vv. 209-210. (11) Giacomo Lamberti, fratello di Luigi (il noto ellenista e poeta) nacque il 25 ottobre del 1762; professore di diritto canonico, prima a Reggio, poi a .Modena, prese larga parte alla rivoluzione della nativa città, sedè nel Corpo legislativo e nel Direttorio della Repubblica Cisalpina, intervenne a’ Comizi di Lione, fu prefetto del dipartimento del Crostolo e senatore del Regno Italico. Caduto Napoleone , rimpatriò , perdendo ogni impiego. A-vendo nel '31 fatto parte del Governo Provvisorio di Reggio , venne condannato a due anni di carcere, e per carcere gli fu assegnata la casa, dove restò prigioniero per tutta la vita Morì il 24 marzo del '38. Di Gaetano — 271 — Fantuzzi, che visse dall’8 aprile 1744 al 26 febbraio 1815, e del conte Francesco Cassoli, nato il 15 settembre 1749, morto il 19 febbraio 1812, sarà altrove discorso. Il Paradisi, ricordato da Labindo, è il conte Giovannni, gentile poeta e uomo di stato. A Bonaparte che lo chiamò a sedere nel Direttorio della Repubblica Cisalpina, scriveva il 24 giugno del 179 7: «je n’ai ni les talents ni l'expérience, ni l’âge à propos pour soutenir le pesant fardeau que vous me destinez......... Ayant taché toujours de réprimer de toutes mes forces l’esprit d’anarchie, qu’on Substituait à la place du patriottisme, je me suis aliéné beaucoup de personnes, qui ne pouvant m’apposer des faits , m’ont apposé des opinions peu républicaines, qu’il m’est impossible d’avoir jamais eues, ayant exposé des premiers ma sûreté et ma fortune pour la régénération de ma patrie, je ne saurais sans folie renoncer tout d’un coup aux maximes que j’ai toujours suivies même avant la révolution française ». Mori di sessantacinque anni il 25 agosto del 1826. Giuseppe Cugini fece parte della Municipalità di Reggio durante la rivoluzione , della quale fu partigiano. (12) Carducci G. La lirica classica nella seconda vieta del sec. XVIII ; in Lirici del sec. XVIII, Firenze, Barbèra, 1871 ; p. LXVIII. ([3) Cfr. Novelle di Luigi Cerretti ora per la prima volta pubblicate, con note dell’autore, Yverdun, 1839, PP· 26-28. (14) Tra le carte del R. Archivio di Stato in Bologna non si trova traccia del soggiorno di Labindo in quella città; ma è però attestato dal nepote: « Discesi nel 1796 i Francesi in Italia, ed acceso in diverse parti della Lombardia il fuoco della rivoluzione, non si riguardò dall’immischiarsi nei primi moti di Reggio, Modena e Bologna ». (15) Biblioteca comunale di Reggio. Documenti per la vita del prof. ab. Gaetano Fantuzzi, ms. segnato CXIV, C. 40. (16) Lodovico Bolognini, nato a Bologna il 24 aprile del 1739 , morì 1’ 8 giugno del 1816 a Reggio, dove fin dal 1760 aveva preso stabile dimora. Ingegnere ed idraulico, tra gli altri lavori, ebbe la direzione della nuova strada de’ monti, che doveva passare per Castelnuovo di sotto, la quale prese il suo nome e rimase interrotta a cagione delle vicende politiche del 1796. Destò la maraviglia per 1’ arditezza il ponte da lui costruito sul Panaro, ad un sol arco, di metri 48 e 36 di corda, miseramente rovinato nella piena del 1789. Cfr. Manzini E. Memorie storiche dei Reggiani più illustri, Reggio, Degani e Gasparini, 1870, pp. 60-64. (17) Il Duca Ercole III, il 7 maggio del 1796, all’avvicinarsi de’ Francesi riparò a Venezia, affidando gli Stati, durante la sua assenza, ad un Consiglio di Governo, composto del marchese Gherardo Rangoni Terzi, del conte Camillo Bianchi Munarini, del conte Bartolommeo Scapinelli, del commendatore Federico Benedetto d’Este Conte di S. Romano , di Giuseppe Antonio De Micheli, di Luigi Prandini, di Giuseppe Sandrini, di Francesco Ansaioni, di due Priori della Comunità di Modena, e del Priore e di un Anziano della Comunità di Reggio. (18) R. Archivio di Stato in Modena. Cancelleria Ducale. Carteggio di Ercole III dal 1796 al 1803. (19) Cfr. Osservazioni e giudizi sulla Sto?-ia d’Italia di Carlo Botta, Modena, per G. Vincenzi e compagni, 1825, pp. 258-260. (20) Cfr. Promemoria, col quale « il Publico, i cittadini e tutto il Popolo di Reggio reclamano i loro-antichi diritti e privilegi»; in Bassi U. — 2η 2 — Reggio nell*Emilia alla fine del secolo XVIII (I79^-I799)> Reggio, Stabilimento tipo-litografico degli Artigianelli, 1895, pp. 417-418. (21) Vi ani L. Memorie storico-crìtiche dì Reggio dat 1783 al 1831; ms. nella Biblioteca comunale di Reggio. (22) Zucchi C. Memorie, Milano, Guigoni, 1861 ; pp. 1-2. Un altro contemporaneo ne fa questa pittura: « Lo spettacolo dell’armata era sorprendente....... Accampavano i Francesi senza tende , marciavano senza alcuna compassata forma , erano vestiti di colori diversi e stracciati, alcuni non avevano armi; pochissima artiglieria; cavalli smunti e cattivi, stavano in sentinella seduti; avevano, anziché l’aspetto d’ un’ armata, quello d’una popolazione arditamente uscita dal suo paese per invadere le vicine contrade ». Cfr. Verri P. Storia dell’invasione dei Francesi repubblicani nel Milanese nel 1796; in Rivista contemporanea, di Torino, ann. Ili, voi. VII, fase. 35, 25 luglio 1856, p. 183. (23) Paradisi G. Lettera al sig. Carlo Botta, Modena, Vincenzi, 1826, P· 5· (24) Oltre il Fantoni, ricorda tra’ frequentatori de’ clubs reggiani il conte Giovanni Paradisi, Pier Giacinto Terrachini, Francesco Bovi, Giacomo Lamberti, Giuseppe Cugini , 1’ orefice Giambattista Giaferri , il fornaio Da-voli, un Motta, un Maioli, un Benizi, il dott. Giovanni Orlandini, Barto-lommeo Marchini , « lo zoppo » Artoni, Lazzaro Besenzi, Benedetto Fossa uno degli Anziani , i sacerdoti Don Bizocchi, Don Rivi, Don Barchi, Don Serpini e Don Paolo Bizzarri, Luigi Cagnoli , Stefano Viani ed Alessandro Lanzi , marito della Manganelli, famosa giacobina, celebrata nel 1800 con poesie a stampa per la sua « costanza nel patriottismo ». Tia giacobini reggiani non vanno dimenticati gli orefici Antonio Landini e Giovanni Mar-telli detti i Soci, nè il Moscatelli designato dal cronista Viani come « capo de’ sanculotti ». (25) Cfr. Lettere di Filippo Re alla contessa Caterina Busetti-Re, sua cognata, dal 10 agosto 1796 al 6 marzo 1800; in Bassi U. Opera citata, pp- 303-379· (26) Fratello di Filippo., nacque a Reggio nel 1751. Nel 1794 chiese e ottenne dal Duca Ercole Rinaldo HI per sè la chiave di ciamberlano, per la moglie, Clementina Busetti, il titolo di Dama di Scaletta. Giacobino nel '96, divenne un partigiano della restaurazione nel 1814. Mori Governatore di Reggio nel 1821. (27) Il Sahuguet si trovava a Modena per vegliare l’esatta e piena osservanza de’ patti dell’armistizio, che erano durissimi. Pagamento di 7 milioni e 500,000 lire in moneta di Francia; 3 milioni da sborsarsi subito, 2 tra quindici giorni, il resto tra un mese. Il Duca doveva inoltre somministrare a’ Francesi 2 milioni e 500,000 in derrate e munizioni da guerra e dar venti de’ quadri migliori della sua pinacoteca. Cfr. N[amias] A[ngelo], Storia di Modena e dei paesi circostanti dall’origine sino al 1860, Modena, 1894, p· 584· (28) Lombardi A. Cronaca di Modena dal 6 maggio 1796 al 29 agosto 1802; ms. nella Biblioteca Estense, codd. VIII, E, 22-24 (29) Il Duca stesso, con dispaccio in data di Venezia 6 luglio 1796, ordinò al conte Bartolommeo Scapinelli, che nella Reggenza era incaricato del « carteggio coll’estero », di scrivere questa lettera e gliene mandò la minuta. La riporta Antonio Rovatti nella sua Cronaca di Modena dal — 273 — 1796 al iSiSj che si conserva manoscritta nell’Archivio storico municipale di Modena. (3°) Rocca G. Continuazione delle storie di Reggio [1741-1815], ms. nella Biblioteca cpmunale di Reggio, pp. 115-116. (31) Dell’ambasceria mandatagli dalla città di Reggio, che « se soulève contre le Duc de Modène », Bonaparte non mancò d’informarne il Direttorio ; dichiarando che aveva esortato i reggiani « à la tranquillité » per ragione dell’armistizio concluso con Ercole III. Il Direttorio gli rispose ì\ 14 termidoro [1.0 agosto] : 4 Nous avons reçu, citoyen général, la lettre que vous nous avez écrite de Castiglione, le 4 thermidor, et dans laquelle vous nous parlez du soulèvement de la ville de Reggio et des dispositions des habitans soumis aux ducs de Modène et de Parme. Les circonstances et 1 amitié qui existe entre la république française et la cour d’Espagne pour-1 aient demander qu’il fût accordé, à la paix générale, quelques concessions au duc de Parme, dont l’agrandissement en Italie serait avantageux pour la France sous plusieurs rapports politiques ». Cfr. Correspoîidance inédite de Napoléon Bonaparte [Paris, Panckoucke, 1819], Italie, vol. I, p. 404. (32) Così il Senato nel suo partito del 12 luglio. Il agosto tornò a chiedere alla Reggenza che la richiamasse « per togliere affatto il corso agli ulteriori insulti di detta truppa, li quali, attesa la loro frequenza, non si ponno più tollerare da questa popolazione ». (33) Gazette national ou le Moniteur universel, η. ΐ2, 3 ottobre 1796. (34) Ai popolani che aiutarono i còrsi a piantare questo albero, il Senato fece distribuire 4500 lire di Reggio, che fanno circa T125 lire delle nostre. Non furon contenti, e nel 1797 ben quattro volte chiesero « un assegno loro vita durante........ avendo azzardata la vita ». Cfr. Bassi U. Op. cit., p. 81. (35) Fiorini V. Catalogo illustrato dei libri , documenti ed oggetti e-sposli dalle Provincie dell’Emilia e delle Romagne nel Tempio del Risorgimento italiano, Bologna, Zamorani e Albertazzi, 1897, vol. II, part. I, p. 622. (36) Si trova ricordato in una lettera del Bonaparte al Berthier del 6 ottobre di quell’anno: « Vous donnerez ordre au général Cervoni et à l’adjudant général Galeazzini, s’ils ne sont pas encore partis pour la Corse, de se rendre sur-le-champ à Modène, où ils recevront de nouveaux ordres ». Cfr. Correspondance de Napoléon; II, 29. Era sempre a Reggio e corse subito a Modena. (37) Bassi U. Op. cit., p. 168. (38) La paura fu tanta che il partito venne cancellato con alcune linee trasversali, scrivendovi in margine: « si è cassato perchè non sia registrato cogli altri, ma con intelligenza di tenerne autentica copia a parte ». Cfr. Bassi U. Op. cit., p. 444. (39) Arrivò peraltro lo stesso giorno 4 ottobre, infatti in quel giorno medesimo il Galeazzini scriveva alla Municipalità: « Il comandante del di · staccamento domanda di nuovo delle munizioni, avendo tirato alcuni colpi di fucile sotto Montechiarugolo, ove si sono di nuovo rifugiati gli Austriaci. Hanno preso tre carri con alcune munizioni ed alcuni prigionieri, i quali hanno diretto in viaggio per Reggio. Li prego dunque a far partire le munizioni, e se altri cittadini di buona volontà volessero partire, non vi sarebbe male che andassero a raccogliere coi loro concittadini delli allori sul Giorn. St. e Lctt. della Liguria. — 274 — comune nemico ». Dal rapporto del Laroche al Galeazzini risulta che 1 prigionieri furono otto e che nei tre cariaggi « il n’y avoit outre que quelque peu de munitions, quelques bayonettes et quelques fusils »· (40) Qui comincio a valermi degli interessantissimi documenti pubblicati da Vittorio Fiorini [Tempio cit. pp. 732-74] su questo episodio. Con l’aiuto di essi è finalmente possibile raccontare in ogni sua particolarita più minuta .l’impresa di Montechiarugolo. (41) Il Bassi (Op. cit., pp. 123-134) scrive: « Tra gli atti che si riferiscono al fatto di Monte Chiarugolo c’è in data del 1796 la copia , autenticata dal segretario della Municipalità, di queste parole: « Fui informato i> che un corpo austriaco d'infanteria e di cavalleria, di circa 400 uomini, » era sortito dalla Piazza di Mantova per foraggiare, mentre l’armata fran-» cese non occupava ancora il Serraglio. Intesi dopo che si trovava errante » nel ducato di Parma. Gli sono però tolti tutti i mezzi di litirata, e ho » dati gli ordini opportuni acciò venga distrutto, o fatto prigioniero ». Tali parole sarebbero in una lettera di Napoleone Bonaparte al Direttorio esecutivo, in data del 1.0 ottobre, stampata, si asserisce, nella Gazzetta universale di Firenze, n. 84. Certo è molto lecito dubitare di questa lettera (che nelle raccolte non esiste) , non ostante 1’ autenticazione del segretario reggiano ». Queste parole, sebbene non siano state riprodotte nella Correspondance de Napoléon /, son proprio uscite dalla sua penna, e furono pubblicate dall’Amministrazione generale della Lombardia il 12 vendemmiale. Cfr. Estratto di lettera del Generale in capo Bonaparte al Direttorio esecutivo in data 10 vendemmiale anno 5.0 / in Raccolta degli ordini , avvisi, proclami, ecc. pubblicati in Milano nell’ anno V Repubblicano Francese, Milano, Veladini, 1796, tom. II, pp. 29-30. (42) Il Botta ai tanti errori affastellati nella sua Storia d’Italia dal 1789 al 1814, pubblicata a Parigi nel 1824, aggiunse anche quello d’affermare che il conte Giovanni Paradisi era « malveduto dagli Austriaci per essere state» co’ reggiani nel fatto di Montechiarugolo ». Il Paradisi nel 1824 viveva ritiratissimo a Reggio, senza godere per niente le grazie del nuovo Duca Frapcesco IV, anzi essendogli in dispetto. Poteva nuocergli quell accenno e naturalmente gli riuscì amaro; come gli rincrebbero tante altre cose dette dal Botta sul conto suo; in parte vere, in parte travisate, o esagerate. Quando seguì il fatto di Montechiarugolo, si trovava in villa, né vi prese parte, e fu « sempre dell' avviso di coloro che disapprovarono quella guerra ». Del resto, il gentile poeta non era devoto a Marte, e lo confessa: « fui soldato anch’io della guardia urbana e salii in quella milizia al pari col Vescovo al grado di caporale ». Nella Lettera scritta al Botta per rimettere al posto la verità, toccando dell’impresa di Montechiarugolo asserisce che la vittoria fu guadagnata « agevolmente e senza carneficina e un solo vi perì, che venuto spettatore si pose sventuratamente bersaglio ad una delle fucilate che scoppiarono dalle feritoie della fortezza >. Marcantonio Parenti nell’esame dell’opera del Botta [Memorie di religione, di morale e di letteratura, vol. Vili, (1825), pp. 370-371] scrive: « Sul particolare de’ Reggiani........ l’A. dà certa importanza ad un fattarello di cui si parla ancora sollazzevolmente nella stessa Reggio e ne’ luoghi circonvicini....... Un solo reggiano vi perdette la vita, per essersi troppo accostato a quella bicocca; nè, del resto, si durò molta fatica in un blocco di poche ore intorno ad un corpicciuolo sprovvisto di viveri e di munizioni, il quale non ad altro pensava che arrendersi regolarmente, come fece». Il Bassi [Op. cit , p. 141] — 275 — ha scoperto che uno degli uccisi si chiamava Andrea Ri vasi. La Municipalità accoidò alla sua vedova la pensione di L. 22,10 reggiane, che fanno 5, 5 delle nostre, « fino a che avessero quattordici anni ambedue i bambini rimasti orfani », uno dei quali veniva accolto nelPAlbergo dei poveri. Sarebbe addirittura da chiarire se i morti realmente furono due, come il Laroche scrisse alla Municipalità di Reggio. Sembra incredibile e non possibile che mentisse in una cosa a tutti nota. Anche Bonaparte nella relazione fatta al Direttorio ripete: « Dans la fusillade qui a eu lieu, les gardes nationales de Reggio ont eu deux hommes tués. Ce son les premiers qui aient versé leur sang pour la liberté de leur pays ». Del resto, dopo tanti anni, il Paradisi potè esser tradito dalla memoria. Di nessun peso è l’autorità del Parenti. (43) La descrizione è del cronista contemporaneo Luigi Viani. (44) Franchetti A. Storici d’Italia dal 1789 al ijçç (seconda edizione): pp. 287 e 323. (45) Bonaparte che fino dall’ 11 vendemmiale (2 ottobre) aveva scritto al Direttorio: « Reggio a fait sa révolution et a secoué le joug du Duc de Modène. C’est peut-être le pays d’Italie qui est le plus prononcé pour la liberté », cinque giorni dopo indirizzò « aux habitans de Reggio » la lettera rimasta famosa per la frase soprattutto: « Il est temps enfin que l’Italie aussi soit comptée parmi les nations libres et puissantes ». Cfr. Correspondance de Napoléon I; II, 29 e 40. Il capitano Carlo Ferrarmi, alla testa di un drappello della guardia civica, accompagnò a Milano i prigionieri. La Municipalità 1’annunziò alla cittadinanza con queste parole: « arrivano i bravi reggiani, quelli che hanno combattuto e vinto i nostri nemici, quegli austriaci che dovevano saccheggiare le nostre case e che ci minacciano ancora la schiavitù e la morte...... noi applaudiremo al loro coraggio, noi festeggeremo questi bravi amici e sostenitori della libertà, noi li tratteremo da fratelli ». Cfr. Raccolta degli ordini, avvisi, proclami, ecc, pubblicati in Milano ndl’anno V repubblicano francese1 Milano, presso Luigi Veladini, 1796; II, 48-49. « Nel giorno 20 vendemifero [11 ottobre]....... fra le marce militari, i canti patriottici e gli applausi del pubblico entrano in Milano gli acclamati reggiani, additati da tutti come primi eroi dell’ Italia » (così in una descrizione del tempo). « Consegnati i prigionieri, furono subito accolti dal generale in capo Bonaparte co’ pubblici attestati di fratellanza e di stima. Esso li trattiene presso di sè e gl’ invita a ristorarsi in una tavola imbandita a questo fine, entrando 111 famigliari discorsi or coll’uno, ora coll’altro. Terminato il pranzo, alcuni sono menati dal generale medesimo e e gli altri dalla Deputazione della Municipalità al gran teatro della Scala, ove era preparata una straordinaria illuminazione. I capi assistettero nella stessa loggia del generale, e gli altri in compagnia de’ patriotti. Terminato il primo atto dell’opera, si replicò il ballo della Lucrezia, come il solo a-dattato alla circostanza ed agli spettatori, e giunti al termine in cui il popolo romano sbandisce dalla patria liberata i Tarquinii, Bruto offre due corone di alloro al popolo di Reggio, che si è mostrato degno imitatore dell’antica Roma. Due matrone romane, mentre un coro di esse cantava le glorie del vincitore, portarono le corone nella loggia del generale Bonaparte, che le presentò di propria mano agli ufficiali reggiani fra le più strepitose evviva di tutto il pubblico spettatore. Si sparsero per tutto il teatro diverse canzonette analoghe, fra le quali si distinsero: O della madre Italia — Italia! Italia! ah svegliati - e Vieni, o popolo reggiano, che fu quella — 276 — che si cantava sulle scene sul tenore della francese: Allons ènfans de la patrie, ecc. ». Quest’ultima canzonetta è forse quella che si trova alle stampe col titolo: La fratellanza dei Reggiani e dei Milanesi, Milano , anno V della Rep. Frane.; la quale incomincia : Vieni in seno ai tuoi fratelli, Bravo popolo reggiano ; la quale fu in parte riprodotta da G. De Castro, Milano e la Repubblica Cisalpina giusta le poesie, le caricature e altre testimonianze de tempi, Milano, Dumolard, 1879, PP· 112-113. — Il giorno dopo fu dato a’ Reggiani « un pranzo repubblicano ne’ Giardini pubblici ». Il generale Baraguey d’Hilliers offri loro una bandiera * in nome dell’armata francese d’Italia » e lesse un discorso in francese , che fu poi tradotto in italiano da Matteo Galdi, fuoruscito napoletano. Cfr. Cusani F. Stona di Milano, V, 19. Eccone un saggio : « Onore, salute e gloria al popolo generoso e bravo, vincitore de’ tiranni a Montechiarugolo. Onore ai generosi cittadini che nel combattimento son caduti vittime del loro coraggio per mezzo del ferro austriaco....... Questo sublime slancio, al quale vi siete dati in preda per far causa comune coi repubblicani francesi e per annientare i soldati dell’ ambiziosa casa d’Austria , ha fatto impallidire il mezzogiorno d’Italia ed ha rimbombato fin dentro l’infame Gabinetto di Londra » ! La sera al teatro della Canobiana fu rappresentato il Bruto di Voltaire. « Terminata la tragedia, si riapre la scena e fra due plotoni di truppa francese si vide su di un piedistallo una donzella, sotto figura della Libertà, che teneva un intreccio d’alloro con una mano. Indi lo porge a Bruto, che lo invia al duce del popolo di Reggio » (il Ferrarmi), « che stava nella loggia del generale Baraguey d’Hilliers. Nel terzo giorno si unirono la sera i patriotti intorno l’albero sacro della Libertà nella piazza del Duomo, ove fraternizzò co’ Reggiani la gioventù Pavese, che aveva preceduto la loro nascente coorte e che era venuta in Milano per ascriversi nella prima legione lombarda. Tutti u- niti danzando e cantando, assistettero ad un fuoco d’artifizio e....... quindi allo spettacolo nel gran Teatro. La mattina del giorno seguente i Reggiani partirono per la propria patria, testimoni della pubblica riconoscenza ed e-mulazione de’ Milanesi, indizi forieri della rinascente Repubblica Italiana. Di fatti concorrono liberamente da tutta la Lombardia i più bravi cittadini per offrirsi alla patria e per imitare l’esempio dell’armata francese, che li riconosce come fratelli d’ armi, degni della sua gloria e della sua libertà », " Cfr. Fiorini V. Tempio cit., pp. 742-745. È ignoto se il Fantoni andasse anche lui a Milano co’ suoi compagni d’ armi di Montechiarugolo. Aveva ben diritto di dire, come disse, a’ Reggiani : « progettai l’impresa di Montechiarugolo ed esposi la mia vita per voi, rendendovi l’oggetto della venerazione e della tenerezza patriottica degli ottimi Milanesi ». (46) La Gazzetta enciclopedica di Milano nel supplemento al suo n. 40 [17 ottobre *96] scriveva : « I Reggiani hanno riportata una vittoria sopra gli Austriaci e 1’ hanno riportata nelle regole militari, trattando da popoli liberi. I Tedeschi hanno abbassato le armi, hanno capitolato, sono prigionieri di un popolo libero. Ecco il primo lampo dell’ Italia guerriera , che deve quanto prima far sentire il tuono della sua forza sopra i suoi oppressori. L’esempio della brava Nazione Francese incomincia a scuotere efficacemente i popoli italiani: se le sue falangi vittoriose ci hanno recata la li- — 277 —■ berta, spezzandoci le antiche catene, c’ ispirano anche il coraggio di sapercela conservare noi stessi contro i nostri nemici ». (47) Botta C. Storia d'Italia dal 1789 al 1814, II, 11-12. (48) Bassi U. Op. cit., pp. 99-100 e 434. (49) Correspondance de Napoléon, II, 58. (5°) Tra gli otto rappresentanti di Reggio, che dovevano sedere nell’amministrazione centrale a Modena , venne scelto « per la montagna » Pietro Notari, l’amico di Labindo. (51) L’adunanza ebbe luogo il 21 d’ ottobre. Ecco la parte della delibe-1 azione che riguarda Labindo: « Congregati nella sala grande del civico palazzo i cittadini rappresentanti la Municipalità di questa città di Reggio, furono proposti ed ottenuti li seguenti partiti:............Dietro il congresso tenutosi da questa Municipalità, coll’intervento di una rappresentanza del popolo, sul punto dei riscontri portati dai tre deputati Lamberti , Or-landini e D. Montanari da Modena, è stata approvata la nomina delli 8 deputati da spedire a Modena nella divisata Amministrazione delle due Provincie di Reggio e Modena; ed infine sono stati acclamati per concittadini reggiani Giovanni Fantoni, Giuseppe Bertacchi e Vincenzo Ponticelli in segno di aggradimento ». R. Archivio di Stato in Reggio dell’ Emilia. Archivio del Comune di Reggio. Protocollo 0 Partiti della Municipalità, anno 1796, fogli 334-336. UN ASCETA DEL RINASCIMENTO (DELLA VITA e DELLE OPERE DI GIROLAMO BENIVIENl) II. DAL 1484 AL 1498: LA VIRILITÀ OPEROSA E PUGNACE, L’AMICIZIA PER. PICO DELLA MIRANDOLA, LA DEVOZIONE PEL SAVONAROLA. Ma l’amicizia più dolce che mai stringesse in vita sua Girolamo, la più intima, la più fida, fu quella con Giovanni Pico della Mirandola. Tanto intima che si può quasi dire i due convivessero, insieme per alcuni anni, e il conte, per fuggire l’inverno non sempre mite di Firenze, acquistò nel contado un luogo leggiadro, a’ piè di Settignano e non lunge da Maiano Fiesolano, dov’ era la villa di Girolamo. A loro si uni talvolta anche Domenico Benivieni e facile è pensare in quali ameni e dotti conversari trascorressero il tempo (1). (1) Queste notizie sono tratte dal cod. M. — 27S — Il giovane Pico era venuto a Firenze per la prima volta nell’anno 1484, e, come tutti i forestieri illustri per censo o per nobiltà di stirpe o d'intelletto, che passassero da quella citta, era stato ospite del Magnifico. E in casa del Magnifico appunto, fra il Mirandolano e il Benivieni, ancora poco noti l’uno all’altro, sorse una discussione donde doveva poi scaturire la loro fraterna amicizia. Pico negava lo studio e la gloria delle armi ad una citta tutta intenta alle industrie e al commercio, com’era Firenze; Girolamo, da quell’orgoglio di patria eh’ ebbe sempre inestinguibile nell’animo, trasse una nuova eloquenza, e col volto acceso e con lo sguardo sfavillante sostenne la disputa finché non ebbe convinto 1’ avversario che , ogni qualvolta necessita di patria lo avesse richiesto , e tintori e mercanti e nobili e lanaiuoli, abbandonati gli opifici, le botteghe , i palazzi, eran corsi all’armi, e che a Firenze non era mancato mai, nei cittadini suoi, un valido presidio contro le offese straniere (1). Se fosse l’ingenuo calore del Benivieni e il sincero entusiasmo che l’animava, 0 già scambievole simpatia, prodotta dalla nobiltà del sembiante e dalla grazia che distinguevano 1’ uno e 1’ altro dei due giovani, nessuno saprebbe dire : certo è che fin da quei tempi un’ affetto indissolubile li legò : e durò oltre morte , e ancor oggi li tiene sepolti insieme , sotto lo stesso marmo , nella chiesa di San Marco, a Firenze (2). Dell’amore che il Nostro nutrì sempre fortissimo per la patria, ed insieme d’una singoiar previggenza ed acutezza di giudizio, che permettevagli di divinare in un giovinetto un uomo di genio, sacro alla gloria, è anche testimonianza notevole un altro aneddoto che non ho ragione di ritener falso. Quando Innocenzo Vili maritò Franceschetto Cybo con una figlia di Lorenzo de’ Medici, il nuovo sposo venne a Firenze accompagnato da un ricco e numeroso corteggio di nobili signori romani. Con questi, durante il loro non (1) Cod. N. (2) Una medesima iscrizione, posta fra il secondo ed il terzo altare a sinistra di chi entra, ricorda i due amici. La riferirò in appendice (n. 6). - 279 — breve soggiorno alla Corte medicea, ebbe spesso a intrattenersi Girolamo, e la sua compagnia ne fu desiderata e ricercata. Avvenne che in una discussione i Romani sostenessero a loro spettare ogni gloria artistica, si della scultura, si della pittura; ed insistendo in tal concetto specialmente Pag.0 Capranica, insorse arditamente, a difesa di Firenze, il Benivieni, affermando che in essa eran risuscitate le quattro più nobili specie della imitazione : pittura, scoltura, architettura e poesia; e ricordando a prova i nomi di Cimabue, Giotto, Masaccio, Donatello, Leonardo, Andrea del Sarto, Alberti, Brunelleschi. Indi conchiuse: « E io vi accerto che Firenze ha generato un tale, ancor giovinetto, che presto sarà atto a vincere molti di maestria e di fama, in tutte queste arti : e un giorno Roma stessa il confermerà! ». Quel giovinetto si chiamava Michelangelo Buonarroti (i). Si rammenti : il matrimonio di Franceschetto Cybo avvenne nel 1487; Michelangelo era nato nel 1474 ; era allora nei tredici per i quattordici anni. Già fin dal 1482, prima di conoscere il Benivieni, Pico della Mirandola aveva concepito simpatia grandissima, che venne poi mutandosi in fervida ammirazione , per fra Girolamo Savonarola , quando in un capitolo di domenicani tenutosi a Reggio d’Emilia lo udì tuonare con commossa eloquenza contro i vizi del clero e la corrutela della Chiesa (2). E Pico fu probabilmente il filo che uni tra loro e strinse in relazione i due Girolami. Da quel momento per il Benivieni comincia una nuova epoca dell’esistenza. Già egli aveva sempre posseduto, come abbiam visto, una coscienza tranquilla e timorata ; si fa a poco a poco schiavo degli scrupoli più severi ; si indurrà, fra non molto, a condannare come immorale e colpevole tutta la vita trascorsa e come empi e dannosi tutti 0 quasi i frutti giovanili del suo ingegno Addio ai dolci ritrovi e alle cortesi tenzoni e al lieto poetare ! Il Frate di Ferrara lo trae a sé e di sé (1) Cod. N. (2) Villari, La storia di Gir. Savonarola e dei suoi tempi, Firenze, Succ. Le Monnier, 1887-88, vol. I, pp. 78 e SS- — 28ο — riempie tutta la vita di lui. L’amicizia del Benivieri pel Savonarola assume il carattere di umile e quasi fanatica ammirazione (i). Né pensa adesso, né penserà poi, qualunque pericolo sia per minacciarlo, a farne mistero. A tal proposito, un altro aneddoto mi soccorre, del quale non voglio privare chi mi legge. Si trovava egli alla tavola del Cardinale De Medici, che divenne poi papa col nome di Clemente VII, quando da alcuni invidiosi fu tratto il discorso sul Savonarola, si che a un certo punto lo stesso Cardinale si rivolse a lui, e — lascio che parli il biografo — « assai cortesemente gli disse, Girolamo , voi fate professione di credere al frate, come v’acconciate voi, essendo amico, et affezzionato nostro ? a cui il Benivieni allegramente rispose, secondo l’antico detto di Garmaliel, alli scribi e dottori, della giudaica reggia, Mons.re mio, se 1’ opera del frate, è humana, la si risolverà presto per sè stessa, se l’è di Dio, checché gli uomini se ne facciano , andrà per certo innanzi, ma v. s. Ill.ma non tema già mai delli amici e devoti del frate, essi, aspettando il miracolo, et che Dio operi, quieti se ne stanno, senza macchinare cosa alcuna, e così se ne staranno per costante — guardisi bene ella da alcuni di questi mormoratori, che, si ha da torno, i quali sempre insatiabili, non restano, o resteranno già mai, di travagliare, e nuove cose desiderando d’altrui sollevare per empimento, e sfogo di loro smoderati appetiti e concetti, parole che et il Card.le et gli altri, non guari doppo si potettero accorgere, essere state verissime , et da prudente huomo proferite,.... il card, che savio et intendente sig. era, intese il motto troppo bene, e poco di poi, con suo grande dispiacere e travaglio della casa sua lo provò vero,.... impose accortamente cortese silenzio a quel ragionamento » (2). (1) Furono si lui che Pico della loro amicizia contraccambiati. Ed « ·. accadde tal’hora, che il Savonarola, per ischifare quelle procelle, cheli spingevano addosso, le sue libere predicationi, con questi suoi devotissimi a-mici, si ristrinse in questi, più solitarii luoghi [le ville del Benivieni e di Pico] sequestratosi alquanto dalla città *. {Cod. M.). (2) Cosi il cod M., dal quale tolgo tutto il passo; il cod. N. specifica meglio che il Cardinale « comprese il motto troppo bene et poco appresso, l’anno 1527 con travaglio della Casa sua lo provò vero et acerbo ». — 281 — A modo suo , anche Marsilio Ficino ammirò ed esaltò il Savonarola finché a questo volsero prosperi gli eventi, ma lo abbandonò codardamente — e non fu solo de’ letterati e poeti di quel tempo — quando giunse il momento del pericolo. Non cosi Girolamo Benivieni; se può stupire che un’ anima tranquilla ed aliena dalle passioni e dalle lotte del mondo, come la sua, si legasse cosi strettamente con quel Frate la cui vita fu tutta una battaglia nobilissima ma ardentissima, non è per questo men vero che , una volta scelto il suo cammino, egli lo segui, costante e irremovibile, accettandone fin le ultime conseguenze, senza un crollo, senza un atto solo d’esitazione o di timore (i). Singolare mistero di natura, onde avviene talora che le a-nime più timide si facciano a un tratto maestre di risolutezza e di tenacia ! Girolamo e Domenico Benivieni e Pico della Mirandola furono assidui frequentatori delle prediche del Savonarola, da prima nella picciola chiesa di San Marco , di poi, cresciuti e fatti moltitudine gli ascoltanti, sotto le volte profonde di Santa Maria del Fiore. Si narra che un giorno il Nostro dicesse al Frate : « Padre , non si può negare che la vostra dottrina sia vera, utile e necessaria: ma il vostro modo di porgere manca di grazia, specialmente essendovi ogni giorno il paragone di Fra Mariano ». Al che egli rispose, quasi sdegnato : « Questa eleganza e ornato di parole dovran cedere innanzi alla semplicità del predicare sana dottrina » (2). Il Savonarola cominciava infatti quella predicazione che doveva procurargli la corona del martirio (1) Amico degli uomini e non della ventura, non al solo Savonarola, ma anche ad altri restò fedele pure nelle avversità, si che fu talora in que’ tempi di civili dissensioni accusato da alcuni fanatici d’aver poco in odio certi cittadini. (V. cod. M). Un solo elevò sospetti sulla sua costanza, Ca-tarino, vescovo minorense, il quale asseri eh’ egli, dubitando a certo punto della verità predicata dal Savonarola, se ne separasse. In difesa di lui'sorse però — testimone più d’ogni altro attendibile — Giovan Francesco Pico della Mirandola, dimostrando false le asserzioni di Catarino. (J. Franc. Pico, Vita Hieronimi Savonaroìac, Parisiis, Biliaine, MDCLXXIV, vol. II, pp. 465 e sgg.). (2) Villari, Op. cit., vol. I, pp. 80 e sg. — 282 — e il premio dell’ immortalità : la sua voce suonava trepida ed angosciosa, o profeticamente minacciosa su la gran folla degli ascoltatori : « Una grande, una oscura ruina sovrasta all’ Italia per le sue colpe : per le brutture di Roma e la corruzione del clero, per le turpitudini dei principi, per le lascivie delle plebi ; Dio vuole un rinnovamento e perciò vi punirà : e, badate bene , non vi lusinghi la speranza d’una dilazione : ciò sarà presto, ciò sarà presto ! ». E la grande sventura calò veramente sull'Italia. Il politico abilissimo, il raffinato poeta, il protettore generoso di tutte le arti, ma il tiranno di Firenze, moriva nel 1492, e, tosto dopo, Innocenzo Vili; e Carlo di Francia, cedendo alle vive istanze del Moro e forse anche a un destino che lo incalzava, scendeva in Italia. Se non che, dove tutta la penisola subì onta e dispregio, Firenze seppe, mercé il Savonarola, ricostituirsi a dignità di libero stato. Il giorno medesimo in cui Carlo Vili faceva il suo ingresso in Firenze, vi moriva improvvisamente «.....in sul più bello fiorire degli anni, che a XXXII non arrivavano ancora... », Pico della Mirandola (1). Fu questo forse il dolore più acerbo che amareggiasse la vita del Benivieni; attese a che la salma del dolce amico fosse degnamente composta nella tomba, e procurò per essa un epitaffio più che onorevole, tale da tradire nell’ eccesso di lode la premura amorosa, l’affetto vivissimo di chi lo aveva dettato (2). Ma dopo rinchiuse nell’ animo la pena e il rimpianto , e , pensoso più d’altri che di sé stesso, tornò al fianco del Savonarola, pronto a sostenerlo nella gran lotta che s’iniziava. Il Frate, tra il 1494 e il 1495 dotava la Repubblica fiorentina della miglior forma di governo eh’ ella possedesse mai in tutta la sua libera esistenza, e di savissime leggi politiche ed e-conomiche. Ma egli aveva più che a tutto alla riforma morale rivolto ed intento l’animo; e di questa riforma fu poeta, quasi direi officiale, il Benivieni. Nel 1496 questi traduceva (1) Cod. M. (2) V. più oltre, app. 6. — 283 — e dava alle stampe il trattato Della semplicità della vita cristiana, che il Savonarola aveva scritto in latino , e-sponendo in forma piana e serrata , accessibile a tutti, i principali dogmi del cristianesimo e dimostrando false le accuse mossegli, di eresia (1); nello stesso anno, quando il grande Ferrarese s’ accinse alla riforma dei fanciulli, per cambiare i loro pericolosi e pazzi trastulli carnevaleschi in religiosi passatempi, fu incaricato di comporre alcune laudi da insegnare ai, piccoli convertiti (2). Cosi, quando con solenne processione, nella Domenica delle palme di quel- 1 anno si inauguro, per la prima volta in Firenze, un Monte di pietà, i fanciulli, visitate le chiese, si fermarono in piazza a cantare una canzone di Gerolamo Benivieni, sulla futura felicita di Firenze (3). Ed anche al Nostro, nel 1497, venne affidato l’incarico di comporre la canzone da eseguire nel bruciamento delle vanità (4); e la stessa commissione ebbe egli per la consimile cerimonia che avrebbe dovuto aver luogo nel successivo anno 1498, e compose infatti la canzone, ma questa non fu cantata, né il bruciamento avvenne, per le dissensioni gravissime che ormai laceravano la Repubblica. Nell’ anno precedente Piero de’ Medici aveva per la seconda volta cercato d’entrare a forza in Firenze. Nel primo subitaneo sbigottimento, nella confusione ed irresolutezza destate dal suo audace tentativo, uno dei Signori, e precisamente Filippo Arrigucci, inviò Girolamo Benivieni (1) Né fu questa la sola volta che il Nostro collaborò in certo qual modo col suo grande Maestro. È degna di memoria la prefazione eh’ egli scrisse per il Compendium revelationum del Savonarola : I liber intrepide ad ludibria, ad sibila et ad vipereos te praeparans morsus. Sed quibus a?·· mis pugnaturus? Ius tiliae... «Va, o libro, va senza timore, preparandoti agli scherni, agli schiamazzi, ai morsi viperini dei tristi. Ma con quali armi combatterai tu? Con quelle della giustizia... » E cosi seguitava, vigorosamente e nobilmente, con un entusiasmo ardentissimo. (Vedila tutta riprodotta nella già citata Vita Hieron. Savon, di J. Fr. Pico, I, 215 e sgg.). (2) Cfr. Villari, Op. cit., 1, 415. (3) Cfr. Villari, Op. cit., I, 438. La canzone comincia: Viva ne' nostri cor, viva, o Fiorenza, e trovasi stampata nel Commento dì Η. B., Firenze, Tubini, MCCCCC, c. CXI v. (Cfr. più oltre l’appendice bibliografica). (4) Cfr. Villari, Op. cit., I, $09. — 284 — al Savonarola, commettendogli di chiedere al Frate che pensasse dell’ attuale condizione della citta, e che prevedesse pel futuro. Lo stesso Poeta nostro ci ha lasciato relazione del fatto. Quando fu giunto al cospetto del Savonarola che studiava nella sua cella, questi si rivolse e misuratamente sorridendo cosi gli disse: — « O uomo di piccola fede, perché dubitasti? Non sapete voi che Iddio è con voi? Dite a que’ signori che noi pregheremo Iddio per la citta, e che non dubitino di Pier dei Medici,- che verrà insino alla porta e sen tornerà indietro senza far novità alcuna » (1). La predizione s’avverò : Pier dei Medici, dopo aver atteso invano, fuori le porte della citta, chiusegli sulla faccia, che in Firenze si levasse romore a favor suo, sebbene fosse scortato da un nerbo d’uomini — circa mille e cinquecento — bene armati e con a capo Bartolomeo d’Al viano, si ritirò ignominiosamente. E Firenze fu ancora salva, ma sul capo del Savonarola piombò 1’ anatema pontifìcio. Allora trecentosessantatre cittadini, delle più illustri case della citta inviarono ad Alessandro VI papa una dignitosa lettera in favore del grande scomunicato : fra i nomi di quegli uomini valenti non mancò quello di Girolamo di ser Paolo Benivieni (2). (1) Lettera di G. B. a Clemente VII. Cfr. più oltre. (2) Cfr. Villa ri , Op. Cit., vol. II, pp. 39 e xlij ; e Villari e Casanova, Scelta di prediche e scritti di Fra Girolamo Savonarola, Firenze, Sansoni, 1898. La lettera al papa Alessandro VI è riprodotta nella cronaca di Simone di Mariano Filipepi, fratello di Sandro Botticelli, recentemente scoperta negli Archivi Vaticani e pubblicata in parte da P. Villari ed E. Casanova nel volume citato (pp. 513 e sg.). Essa suona cosi: « B.me Pater. Noi, cittadini infrascripti, a corroboratione delle sopradette cose, a Vostra Santità per gli detti religiosi et venerandi Padri esposte et narrate, atte- · .stiamo essere la sincera et indubitata verità che dalla dottrina del detto P. f. Girolamo, nella nostra città predicata, non la destrutione ma la vera salute et pace è sempre proceduta. Per la qual cosa , con ogni debita hu-miltà preghiamo Vostra Santità si degni il detto Padre dalle dette censure liberare, come li soprascritti religiosi et venerandi Padri piamente a quella hanno supplicato. Il che per la sua solita clemenza facendo, siamo certissimi, non solo la gloria et honore di Dio doverne risultare , ma la salute et spirituale et corporale, con la universal pace et vera unione, di tutta la nostra et vostra città. I nomi de1 quali cittadini , che tal cosa attestano et confermano di propria mano ciascuno di loro, in presenza di noi sottoscritti, sono questi: — 285 — Ma gli eventi precipitano: l’addio del Savonarola al popolo di Pirenze , l’esperimento del fuoco, l’assalto e la difesa del convento di San Marco e l’imprigionamento del lHrate, la sua condanna e il supplizio finale sono altrettanti atti d un grande dramma, che non è lecito ignorare. Con quali sentimenti il Benivieni assistesse a tanto strazio d’o-gni giustizia, e più facile pensare che dire, quando si rammentino 1 indole e la condotta sua fino allora, e la generosa pervicacia con la quale sino alla morte egli serbò ricordo caro e gentile del martire ferrarese , e ne seppe difendere la memoria vituperata (i). Aveva già veduto spegnersi per volere di cielo l’amico dell’anima; ora, per furia cieca di popolo, dimentico d’ogni dignità, chi era stato per lunghi anni da parte sua oggetto di fedele devozione e di sincera ammirazione. Smarrita forse la fede terrena nella bontà degli uomini, ancor più avvalorato in quella celeste, nella misericordia di Dio, si appartò per sempre dalle cure mondane. L’ esaltazione perenne che nell’animo suo aveva cioè.......». La lettera dei Padri, a cui si accenna , fu scritta immediatamente prima di questa , dai frati di San Marco allo stesso papa Alessandro VI. Si protestava in essa contro le calunniose denunzie degli invidi e de’ cattivi; si affermava la santità delle dottrine del Savonarola, affatto conformi alla religione di Cristo, e, in prova, si inviava la lettera firmata dai trecentosessantatre cittadini di Firenze. Si concludeva, infine, invocando dal Pontefice la revoca delle censure pronunziate contro il Savonarola. (i) Si rammenti la lettera piena d’entusiasmo da lui scritta a proposito della prova del fuoco, il 29 di marzo del 1498, e che fu pubblicata dal Ghe-rardi. Il Benivieni serbò anche come una sacra memoria alcuni manoscritti del Frate. Quel codice, oggi conservato nel museo di San Marco, contenente un sunto latino dei venticinque sermoni che furono pubblicati intorno al salmo Oliavi bo?ius, e tracce e sommari d’un intero quaresimale inedito — il tutto di mano di Savonarola — porta scritto, in una carta incollata a tergo della coperta anteriore, le seguenti parole: « A di XVI di luglio Gir.° Benivieni mi dette detto libro a me Girolamo Gondi con un altro picholino. Iddio gliene meriti e li S. [aliti] sua. Et chi lo riceve in presto , si ricordi di rendermeli ». Probabilmente — se, come credo, è esatta la congettura del Villari — il libro picholino è un altro codice autografo, che trovasi nella Biblioteca Nazionale di Firenze, senza indicazione, tra i rari, ed è conosciuto col nome di Memoriale del Savonarola, e contiene i sermoni sulla Cantica come furono poi stampati, appunti di quattordici Lectio?ies fatte probabilmente ai novizi di San Marco, ed altre coserelle. (V. Villari, Op. cit., vol. I, p. 154)· - 206 — suscitata e tenuta desta la forte voce del Savonarola non accennò mai a sminuire, nemmeno dopo la morte dell’ A-postolo: che anzi egli venne subito — forse distrazione ai dolori, forse soddisfazione d’ un intimo dovere — procurando un’edizione delle sue rime. III. RIME D’AMORE E DI PIETÀ. IL COMMENTO N E O P L AT O N IC 0. Le quali uscirono alla luce in Firenze, l’otto di settembre del 1500, per i tipi del Tubini, in volume di grosso formato, col titolo : Commento di Hieronymo Benivieni sopra a più sue canzone et sonetti dello Amore e della Bellezza divina. Il libro era offerto con una lettera dedicatoria a Giovan Francesco Pico della Mirandola, nipote del grande Pico, per le cui esortazioni precisamente il Benivieni s’ era indotto a pubblicarlo; seguiva alla lettera un proemio in cui il Poeta, ricordata affettuosamente la tenera amicizia che lo aveva congiunto al Mirandolano , narrava come , riavutosi in parte dal dolore provato per la morte di lui, avesse pensato di trarre alcun utile dai propri versi amorosi, commentandoli per togliere anche cosi che quelle composizioni giovanili, producendosi in pubblico senza alcuna esposizione che le accompagnasse, non fossero malamente interpretate. Non che in esse — affermava Girolamo — «... sia cosa la quale si possa ad alcuno pravo intelletto senza manifesta violentia distoreere , ma solo per cagione d’ alcuni uomini animali.....» che poiché altro amore non conoscono da quello dei sensi, facilmente si potrebbero ingannare, crédendo che il fine di que’ versi sia tale, quale forse « . . . . ne haveano già potuto per alcuni miei precedenti versi raccorre. ... » i quali furono, certo per diabolica suggestione, raccolti, e, peggio, in varie pubbliche copie disseminati (1). (1) Non saprei dire con precisione a quali delle sue composizioni voglia qui alludere il B. Forse alla Novella di Tancredi, ch’era già stampata molti — 287 — Il volume contiene una silloge di sonetti, canzoni e stanze, per lo più amorose, composte dal Benivieni per la massima parte in gioventù : alcune anche negli ultimi anni prima della pubblicazione, fino al 1498: tutte accompagnate da un prolisso commento, unico scopo del quale è di toglier loro ogni carattere profano, per sostituirvene sempre uno profondamente morale e religioso. Ma se, da una parte, queste poesie, pure scritte in gioventù, serbano tanto candore nei concetti, tanta mistica indeterminatezza nelle forme, da non prestarsi affatto — non ostanti le paure del Poeta ad alcuna interpretazione malevole; dall’altra, il commento costretto ad esercitarsi sopra composizioni di ben altro carattere che non si voglia fare apparire, deve bene spesso o quasi sempre perdersi in astruse ricercatezze ed in sottigliezze scolastiche, tutte fiorite di concetti neoplatonici. Per quanto eterei e indeterminati nei concetti, sono pur sempre versi amorosi e d’amore profano, che si tenta di piegare all’espressione di sentimenti non che religiosi, ma profondamente ascetici: lo sforzo appare troppo spesso evidente e stridente. Nel proemio è degna di nota l’asserzione esplicita del Benivieni che lo studio della poesia nuoce all’ anima se è di cose lascive; poco giova, anche se di cose sagge e gravi. Girolamo Savonarola aveva già detto che un poeta , pur se volesse non altro cantare che lodi della religione , potrebbe certamente riuscire a questa di decoro : di utile vero non mai (i). Si chiederà: se tali erano le sue convinzioni, non poteva il Benivieni distruggere, com’ è noto che fece di altre composizioni giovanili, anche queste poesie amorose, invece che costruirvi sopra un commento di quella fatta? E ovvia la risposta affermativa : se non che certo avvenne nell’ intimo del Poeta una certa lotta : di qua , 1’ a-nima sua eccessivamente timorata aombrava anche di quello anni prima e che, sebbene castigatissima, egli non riprodusse mai fra le sue opere, dacché non fosse per l’argomento suo stesso piegabile ad interpretazioni morali e religiose : forse — ma mi sembra meno credibile — ad altri versi suoi, oggi smarriti. (i) Villari, Op. cil, vol. I, p. 526. — 288 — che non esisteva, nella persuasione di aver compiuto opera non rispondente ai più severi dettami della morale e della decenza, la dove pure l’una e l’altra erano come poste in altare e adorate a ogni piè sospinto : quindi il dovere di distruggere quell’ opera ; di la, la coscienza dell artista, quella che ama sempre come carne e sangue suo ciò che creò, e non vorrebbe sacrarlo alle fiamme e dannarlo all’oblio, gridava alto e protestava i suoi diritti. Girolamo si trovò dunque nel bivio doloroso di sagrificare ο 1 opera d’arte o i sentimenti religiosi: non seppe appigliarsi risolutamente all’uno o all’ altro partito ; cercò, come era talvolta dell’ indole sua, il mezzo termine : snaturò 1 opera d’arte, ma non seppe farlo in modo eh’ ella non restasse per sempre simile a sé stessa. L’assenza in tal caso d una risoluzione vigorosa, può forse destarci rammarico : per l’interezza del suo carattere, per la purezza della sua figura morale, preferiremmo veder trionfare in lui, recisamente, o la coscienza artistica o la religiosa. Rammentiamo però che non è giusto né lecito chiedere agli uomini e ai tempi più di quello ch’essi per carattere e per eventi non possano dare. L’intonazione generale alle rime contenute nella raccolta di che c’intratteniamo, deriva, com’è solito del Benivieni, dalla imitazione di Dante e del Petrarca — di quest’ultimo specialmente —. Con tale influsso di schietta poesia italica si uniscono spesso e si fondono immagini e concetti tolti dalla filosofia neoplatonica ; pure , fra quel non poco che v’è di noioso, sorgono talora fiori di poesia gentile che confortano il lettore. Eccone un esempio : La donna mia non è cosa mortale Che si possa veder sensibilmente, Nè immaginar, che nostra inferma mente, Nostro concetto uman tanto non sale. Le sue parole, il suo bel volto han tale Virtù, che chi l’un vede e l’altro sente, Subito il cor quasi oro in fiamma ardente Purga: e da gire al ciel gli son date ale Questo mi dice amor che in terra fede, Giurando all’alma fa de’ ben di quella, Çhe come il sol le stelle, ogni altra eccede. — 289 — L' anima semplicetta che gli crede, Un non so che divin» mentre favella Di lei, sente, ode, intende, gusta e vede (1). Questo sonetto a me sembra nel suo complesso bello di certa, soave semplicità onde va adorno e di certa purezza d architettura e convenienza di parti veramente notevoli. Ma più si prosegue nella lettura di questi versi, più si rimane stupiti al pensiero che il Benivieni li stimasse tali da prestarsi ad equivoche spiegazioni. Fra mezzo le espressioni d’amore s’affaccia in essi il pensiero religioso : non di rado vi si esalta Iddio, lo si loda in sé e nelle sue creature. Talvolta questo sentimento insistente, continuo, della divinità, diviene persino monotono e noioso ; ma allora balza fuori di fra ’l caratterino minuto del commento una quartina armoniosa, che pare voglia mettere le ali, per volare via, lontano da tutto quel tedio! Udite: Dal core agli occhi, e sì dagli occhi al core Al cor che amor novellamente accende, Come a suo proprio e grato albergo, scende Dolce e soave spirito d’amore (2). Non ostante l’imitazione petrarchesca e le mescidanze neoplatoniche, la natura a lungo oppressa riprende talora il sopravvento e c imbattiamo in sonetti pieni di ardenti invocazioni, di invettive che rivelano ferite profonde dell’anima. Ma il commento è sempre li, pronto a reprimere 0 a giustificare in modo^ nuovo e inatteso i voli troppo arditi del verso. Non di ràdo il Bene cantato dal poeta diventa pel commentatore Iddio, o, se la poesia è più esplicita e vi si parla di donna, la divina provvidenza e bontà. Cosi in un sonetto si piange la morte dell’amata : Sparito, occhi miei lassi, è il nostro sole, Che già gran tempo ci fe’ lume in terra, Ma ben lasciato ha il cor, che in pianto e in guerra, Di sè, dell’alma e del suo vel si duole (3). (1) Son. I della parte II, c. Vili z'., IX r. (2) Son. XIV della parte I, c. XXVIII r. (3) Son. V della parte II, c. XLVI v. Giorn. St. c Leti, della Liguria. 20 — 2 go — Questo sole sparito, nel commento diviene Iddio , e il cuore che esso ha lasciato nella più amara desolazione è viceversa 1’ intelletto ! Alle invocazioni amorose si unisce ed alterna non di rado un insistente pensiero e desiderio della morte. Già dal biografo del Benivieni sappiamo che egli « .... usava dire, dai XXXV anni in là della sua età, non si essere mai promesso sei mesi di vita, talché quasi del continovo, pensava potere essere presta, per lui, 1’ ora di abbandonarla ...» (i). Cosi nei suoi versi : Di pensiero in pensier son già trascorso Infino al fin di questa inferma vita: E sì dolce è il desio che m’invita, Che il tempo accuso, e il troppo lento corso. E se lecito fosse, in parte scorso Son, che per liberar l’alma smarrita, Romperei al duro fren onde è impedita , Con le mie proprie man Γ ingrato morso. Ma il giudizio di Dio sì mi spaventa, Che tanto il miser cor restringe e serra, Quanto il mondo fallace il fren gli allenta. 0 felice quel dì che in poca terra Chiuso, il mio flebil cor che or si lamenta, Darà pur fine a così lunga guerra ! (2). E poi altrove : Io son già d’ogni uman piacer sì privo, Che morte mi saria tranquilla vita : Dolce è il morir, quando a morir ne invita Amor............(3)· Le poesie accolte insieme dal Benivieni sono divise in tre parti: nella prima — cito le stesse parole del suo commento — « .... si tratta come l’anima amante possa mediante le creature sensibili in qualche modo conoscere e, conosciuto, amare il suo creatore »; nella seconda, «... della ruina dell’anima e della perturbazione conseguente a quella »; nella terza, « della relevazione dell’anima, e dell’unione di (1) Cod. M. (2) Son. XIII della parte II, c. LXV v. (3) Son. XX della parte II, e. LXX v. — 291 — quella col suo vero fine, che è Dio ». Gli esempi che son venuto citando fin qui appartengono alle prime due parti; nell ultima sono per lo più poesie veramente ascetiche e che riterrei composte nell’ultimo decennio del secolo de-cimoquinto: contemplazione, desiderio e attesa di morte per ricongiungersi finalmente al Sommo Bene , a Dio : eccone in brevi parole il contenuto. Né mancano fra di esse alcune poesie veramente inspirate e piene di dolcezza: eccone un esempio: Spirto del ciel, che sì pietosamente A riveder le mie piaghe ritorni A rallegrar le notti oscure e i giorni, A riparar la viva fiamma ardente, Dolce amore e pietoso, che sovente Meco, scendendo infin dal ciel, soggiorni, Luce immortai, che de’ tuoi raggi adorni L’afflitta, stanca e tenebrosa mente ; Per te convien che così mo'rto viva Ch’ io non so donde io speri altro soccorso, Mentre se stesso il cor del suo ben priva. Per te ancor tarda il nostro orribil corso Che mi porta a veder quell’altra riva ; Ma prego non fra via si rompa il morso (1). E il commento spiega: « Spirito.... o angelo benedetto, in custodia e protezione del quale Dio m’ha per sua grazia benignamente posto e commendato____». In questa parte terza specialmente avviene che talora Γ imitazione petrarchesca trascenda, per assumere tutte le forme d’un curioso esempio di quel gonfio e artifizioso genere di poetare, eh’ ebbe certa voga in sul finire del secolo decimoquinto , e che un critico illustre battezzò col nome di secentismo nel quattrocento (2). Bastino a dimostrarlo questi pochi versi: Io piango e rido in un punto, ardo e tremo, E cangio con amor mente e pensiero, Vivo senza speranza e sempre spero; Fuggo ognor, seguo, amo, odio, ardisco e temo; (1) Son. XXII della parte III, c. LXXXVII r. (2) D’Ancona, Del secentismo nella poesìa cortigiano del sec. XV, in Studi sulla letteratura italiana dei primi secoli, Milano, 1891. — 2Ç2 — Cresco il ben sempre, il mal perturbo e scemo, Questo desìo, quel fuggo, intendo il vero, Muoio e rinasco, e pur son quel eh’ io m ero ...............w· A queste poesie tengon dietro le altre composte per le processioni e solennità savonaroliane (2), poi una deploratoria al conte Giovanni Pico della Mirandola (3), quindi le stanze intitolate Amore, precedute da una lettera dedicatoria al conte Niccolò Visconti da Correggio, e dal seguente Argumento : Pascea amor l’alma in el divin suo obiecto Amor, quel ch’ogni ben cerca e disia : L’altro co’ suoi veneni l'humano mio aspecto In brutal volto a sè mi tira e svia : Septe et septe anni el servo: el mio defecto Reconosciuto et la demonstra via Seguendo, poi, che al divin fonte assurgo Di fera huom torno : el cor d’ogni mal purgo (4)· Queste stanze formano come un poemetto allegorico di concetto dantesco , condotto, a quel modo che ben notò Vittorio Rossi, ad imitazione delle Selve del Magnifico, e nel quale, con frequenti reminiscenze della Divina Commedia, si narra « come l’amore ispiratogli dalla bellezza terrena trasformasse il poeta in una lonza leggiera e presta molto, e la bellezza divina, raffigurata in una donna leggiadra cantante tra 1’ erba e i fiori — torna a mente la Simonetta — lo restituisse poi a forma umana » (5). L ottava e (1) Son. XXVIII della parte III, c. CIIII r. (2) Parte III, c. CXI v. e sgg. (3) C. CXXX1X r — CXXXXII v. (4) Sono in tutto centotrentatre ottave, oltre YArgume?ito, ed occupano nella raccolta le carte CXXXXIV v. e sgg. Il poemetto è contenuto nel codice Nazionale II, II, 75 (Magi. cl. VII, 11.0 342), alle c. 151 e sgg. col seguente titolo: Amore di Hieronimo Benivieni fiorentino a lo illustrissimo signore Nicolò Visconti da Coregio conte di Castellacelo. (5) V. Rossi, Il Quattrocento, p. 281. Si noti, a proposito del contenuto · di queste stanze, la curiosa osservazione del Salfi (Ristretto della storia della letteratura italiana, Lugano, Ruggia, 1831, vol. I, pp. 140 e sg.), c e ci vedeva « un’imitazione in piccolo àz\VAsino d'oro di Apulejo, che era un’immagine degli antichi misteri, ciò che mostra ancora in questo poeta uno dei più zelanti discepoli di Platone ». — 293 - in esse cosi piena ed armoniosa da prenunziar vicino l’A-riosto ; il sentimentp della natura, squisitissimo , da spesso luogo a descrizioni tutte fresche ed attraenti. Innegabilmente questo poemetto, per la sincera spontaneità onde va adorno e per non esservi la poesia soffocata dalle astruserie filosofiche, è fra i componimenti migliori del Benivieni (i). IV. RIMORSI E CONTRIZIONE — GLI SCRITTI DANTESCHI. Curata e compiuta tal pubblicazione, Girolamo si ridusse nuovamente nel genere di vita modestissimo che s’era foggiato. Viveva cosi, compiacendosi specialmente della compagnia dei giovani, impiegando il suo tempo e le sostanze sue tutte nelle opere di carità: e non le sue solamente , dacché avvenne spesso gli fossero affidate per tale scopo, anche contro sua voglia, somme rilevanti di denaro da persone generose (2); visitava e curava malati, insomma s’ andava apparecchiando ogni giorno meglio a quella morte che sembrava sempre, per la costituzione sua prossima, ma che l’assoluta assenza d’ogni trista passione, il riserbo da ogni eccesso, valsero a tenergli per lunga serie d’anni lontana. Un pensiero solo lo angosciava: quello dei peccati, dei trascorsi di gioventù, delle rime lascive e (1) Al De Sanctis la forma ne pareva lussureggiante e vezzosa, e più simile a sirena che a casta donna. (Storia della letteratura italiana, Napoli, Morano, 1870, vol. I, p. 378.) (2) Cod. M. Tra coloro che gli affidarono tali incarichi, fu pure il suo Pico della Mirandola, il quale « Diebus singulis preces ad Deum suis horis » effundebat, pauperibus semper si qui occurrerant pecunias tribuebat, nec > eo contentus, Hieronymo Benivenio civi Florentino, literato homini, quem » pro magna in ipsum charitate, proque morum integritate dilexit plurimum, » demandaverat, uti propriis pecuniis, semper subveniret aegenis, nuptum » quoque virgines traderet, eique statim ut erogatos nummos, quam pri-» mum restituere posset, renunciaret. Id enim muneris ei delegaverat, quo » facilius, veluti fido internuncio, pauperum civium calamitates et miserias, j> quae ipsum latuissent, relevare quiret.... ». Cosi Gianfrancesco Pico della Mirandola, in Joannis Pici Mir. Concord. Com. opera omnia, Basi leae, MDLXXII, vol. I (Joannis Pici Mirandulae et Concordiae vita). — 2Q4 — licenziose composte in altro tempo (i). Ho già detto come tali rimorsi fossero in massima parte un prodotto dello spirito suo esaltato ; tutti gli scrittori a lui contemporanei o di poco posteriori non fecero che lodarne la santità della vita, la purezza dei costumi fino dai primi anni dell’adolescenza, il candore che contrassegnava le sue poesie anche nelle più ardenti invettive amorose (2). Ciò non ostante egli senti la necessità di proclamarsi colpevole, empio , degno della punizione divina : tutto ciò che scrisse da una certa epoca in poi fu informato da questo pensiero angoscioso : la sua produzione letteraria divenne un vero confiteor, ed egli volle che tutti, tutti lo sapessero, forse perché l’umiltà e il fervore della penitenza giungessero finalmente a conciliargli quel divino perdono eh’ egli desiderava con ogni forza dell’animo, ma di cui pur talvolta disperava. Eppure egli fu — si può ben ripeterlo senza tema d’er- (1) Cosi nella lettera preposta alle sue ecloghe nell’ edizione giuntina del 1519, il Benivieni conclude avvertendo che, se il lettore non apprenderà dalle sue poesie il bene che si debba nella vita felicemente ricercare, almeno, per gli inganni e per gli errori onde fu travagliata la gioventù del Poeta in esse descritta, conoscerà quello che s’abbia sapientemente da evitare. Né è questo il solo accenno del Nostro ai suoi errori di gioventù; nella stessa lettera ha già parlato di ammonizioni degli errori della sua adolescenza, ed anche rammentato che a Dio piacque di illustrare in qualche modo col lume della sua grazia le tenebre della cecità di lui. Qualche anno più tardi, in una lettera privata a Francesco Fortunati, piovano di Cascina residente temporaneamente in Roma, dira che la propria mala vita lo spaventa, ma finirà trovando conforto nel pensiero della bontà divina, {Arch. Med. av. il Princ., filza 69, n.° 358). (2) Cosi scriveva il biografo del N.: « Molti, ancora vivi... piena fede,,,, fanno » della schietta e semplice vita di lui, aliena da ogni cosa empia 0 men che onesta. (Cod. M) Della bontà e santità di essa parlò ampiamente pure Domenico Mellini, nella sua Descrizione della entrata della Serenissima Regina Giovanna d’Austria, ecc., Firenze, Giunti, MDLXVI, c. II, pp. 16 e sgg. Orrevolissimo cittadino, e parimenti da tutti gli uomini riputato uno specchio di costumi santissimi, lo disse il Salviati (Dialogo d’amicizia, in Opere, Milano, Tip. dei Class. It., 1809, vol. I, p. 14), e con le medesime parole circa si espresse a suo riguardo il Poccianti (Catalogus Script. Florentin., Florentiae, apud. Ph. Iunctam, MDLXXXIX, p. 80); sicché e per queste e per altre molto ovvie cagioni, appaiono puramente fantastici i sospetti dello Zilioli (Istoria dei poeti italiani), a proposito dell’amicizia del Benivieni per Pico della Mirandola. (Cfr. Mazzuchelli, Gli scrittori d’Italia). — 295 — rare — uno degli uomini più onesti, una delle coscienze più intemerate dei suoi tempi: un uomo nel quale si fuse, insieme con la vivacità dell’ ingegno, una purezza talor quasi ingenua di sentimenti. I moderni psichiatri lo qualificherebbero per un malato dello spirito e lo rilegherebbero forse tra coloro che con una parola vecchia di nuovo conio soglionsi dire nevrastenici; lo studioso della storia, ripensando i tempi e gli uomini fra i quali visse, non può non trovarlo scusabile, se non sempre ammirevole, e, sopra tutto, umano. Negli anni successivi al 1500 egli vide crescere a mano a mano la fama sua di letterato. La vita specchiata, Γ integrità dei costumi gli procuravano amore e rispetto da parte di quanti il conoscessero: gli furono spesso offerte alte cariche nel governo della Repubblica, ch’egli tutte rifiutò; e non di rado avvenne che illustri cittadini, e una volta anche la famiglia dei Medici (1), ricorressero a lui, come ad arbitro, affidandogli la risoluzione di contese che involgevano interessi di non lieve momento; ed ebbe anche da amministrare l’eredita di Giovanni di Pierfrancesco dei Medici, o — per essere meglio inteso — di Giovanni dalle bande nere, per il pupillo di lui, pur detto Giovanni (2). Né lo studio delle lettere era del tutto inframesso, ché anzi nel 1506 usciva in luce, insieme con la Divina Commedia, ed anche in edizione separata di pochi esemplari, (1) «... siami lecito, per honorare la memoria, di questo buono vecchio, arrecare uno esempio, come fosse Girolamo, essendo nata differenza come spesso accade fra congiunti, intra Pierfranc.0 de Medici e m.a Caterina Sforza, già Sig.ra D’Imola, stata consorte del Mag.co Giovanni de Medici, et hauendo il prefato Pierfranc.0 eletto per arbitrio Girolamo, toccava a mad.na soprad.a di eleggerne uno per la sua parte, come si costuma nei sommari giuditii et amicabili compositioni, et domandando ella quale fosse questo Girolamo, eletto dal cognato, gli fu risposto che era così grand’huomo dabbene, onde ella, come generosa donna, disse, se Girolamo è così intero, e buono, come voi mi fate fede, io non voglio adunque eleggere per me altro arbitro che lui stesso et così di comune consenso ambe le parte si rimasero nella lealtà, et equità di sì fatto huomo dabene.... ». (Cod. M.). (2) «... Et come appare per le sue private scritture, custodì più anni et amministrò fedelmente gran parte di quelle facoltà.... ». (Cod. M). Accenni ad altri incarichi di tal genere si rinvengono pure in alcune lettere del Benivieni, esistenti a Firenze, nell’Arch. Med. avanti il Princ. - 2ÇÔ — Uno scritto di Girolamo, intitolato: Dialogo d'Antonio Manetti circa il sito , la forvia, e la misura dell’ Inferno dì Dante. Si trattava realmente non di uno , ma di due dialoghi, nei quali il Benivieni, ponendo sé stesso fra gli interlocutori, si faceva espositore dei risultati a cui, dopo lunghi studi, era giunto Antonio Manetti, letterato dantofilo e matematico del secolo decimoquinto, amico suo carissimo (i), intorno a quel grande problema ch’era la costruzione dell’ Inferno nella Divina Commedia. Il Manetti morì nel 1497, senza che gli fosse dato di porre in scritto , ove se ne eccettuino pochi e scarsi appunti, quelle idee che pure in mente aveva, chiare e precise, intorno, alla costruzione dantesca. Di questi suoi studi aveva già dato notizia, fin dal 1481 , Cristoforo Landino nella dissertazione Del sito forma e misura dell’ Inferno , posta innanzi al suo commento alla Commedia (2). Ma la notizia del Landino sembrò insufficiente e poco fedele al Benivieni, il quale dichiarò di volere con i suoi dialoghi esporre esattamente le teorie dell’amico estinto, giovandosi in parte del ricordo serbato delle conversazioni avute con lui, e in parte degli scarsi abbozzi da esso stesso lasciati. In realtà, però, non è noto quanta parte delle dottrine contenute nei due trattati ridotti alla forma didascalica di dialoghi, spetti al Manetti, quanta al Benivieni : io penso — e potrei confortare di probabili argomenti il mio credere — che quest’ultimo non si debba essere appagato della sola parte di espositore : che abbia anzi introdotto nella concezione manettiana qualche cosa di tutto suo per- ii) Al Manetti il-N. avea dedicato la 511a traduzione del Libro della Semplicità della Vita Cristiana del Savonarola; e, forse per ricambiarlo, il Manetti gli dedicò « la biografia di Filippo Brunelleschi , che come è scritto di suo pugno in un cod. Magi. II, II, 325, pare che sia proprio 0-pera sua ». (Cfr. H. Benivieni, Dialogo di A. Manetti per cura di Nicola Zingarelli, Città di Castello, Lapi, 1897, p. 13). (2) COMENTO DI CRISTOFORO LANDINO Fiorenti NO SOPRA LA COMEDIA DI DaNTIIE ALI GHIERI POETA FIORENTINO. .....impresso in Firenze I! per Nicholo di Lorenzo || Della Magna a di XXX da II Gosto MCCCCLXXXI. — 297 — sonale ; ne il fatto sembrerà impossibile a chi rammenti come pure Girolamo fosse ricercatore diligente ed appassionato lettore delle opere dantesche (i). Ecco, brevemente esposta, la costruzione manettiana dell'inferno, quale risulta dai due dialoghi del Benivieni , secondo il lucido riassunto che ne fece il Michelangeli: .« L entrata dell Inferno e sulla cima d’un monte (cammino alto e silv estro) presso Miseno. Gli sciaurati stanno dentro una concavita o caverna della terra che è quasi ccme un vestibolo molto pendente (erta) onde si discende all’ Acheronte, il quale circunda tutto l’inferno. Questo è profondo un semidiametro, cioè quanto il raggio della Terra. Le prime sei distanze (sette cerchi, perchè il quinto e il sesto sono in un sol grado) misurano ciascuna miglia 405 e quindici ventiduesimi (ottava parte del semidiametro). Quelle degli ultimi due cerchi occupano gli altri due ottavi, ma in parti diverse, cioè formando un forte burraio fra il settimo e l’ottavo e una minor parete dall’ottavo al nono. Il pozzo dei giganti fino a Lucifero è però profondo miglia 81 e tre ventiduesimi. Come le distanze dei cerchi, sono stabilite arbitrariamente anche le larghezze, tranne quelle del nono e del decimo fosso di Malebolge (2) ». L’esposizione non ha in questo lavoro molto pregio di chiarezza, e pecca per prolissità eccessiva, nelle continue ripetizioni dei medesimi concetti: la costruzione poi dell’In-ferno è affetta da errori fondamentali di matematica e d’interpretazione del Poema (3). È errata, a mo’ d’esempio, « e per la porta su la vetta d’un monte, e per la caverna degli (1) V. Cod. M., nel quale si rammenta la canzone del B. in lode di Dante, e si espone ampiamente un ragionamento difensivo e laudativo, composto dal N. in onore del divino Poeta. (2) L. A. Michelangeli, Sul disegno dell’Inferno, dantesco, Bologna, Zanichelli, 1886. (3) Son tali e tanti questi errori, che PAgnelli nella sua Topo-cronografia del viaggio dantesco '(Milano, Hoepli, 1891), potè dimostrarli e rivelare insieme l’impossibilita meccanica e matematica del sistema manet-tiano, pur giudicandone indirettamente, per relazione altrui e sulle imitazioni posteriori, non avendo egli potuto leggere i dialoghi del Benivieni, (Cfr. p. 22). sciaurati, e per quell’erta che dalla porta scende all Acheronte, e per quel pozzo finale di ottantun miglia, dove non si sa come facciano i giganti a posare nel fondo i due poeti; ma sopratutto per aver posta la profondità dell Inferno uguale al raggio terrestre, e per avere, matematica-mente finché volete, ma capricciosamente compartite le distanze e le larghezze » (i). Pure, al Manetti e , insieme con lui, al Benivieni, non si può negare il merito sommo d avere per i primi sollevato una quistione di molta importanza per gli studiosi di Dante (2); e, se nei dialoghi del Nostro c era un viluppo d’errori, nei quali si trovo involta per quasi quattro secoli una lunga schiera di commentatori e di letterati (3), pure già da essi scaturivano alcune verità di non lieve momento , e vi si applicavano alcune leggi indispensabili al retto intendimento dell’edifizio dantesco (4). Nel 1544 Alessandro Vellutello, pubblicando il suo Commento alla Commedia, in un discorso introduttivo circa la forma e misura dell’ Inferno, rimbeccava acerbamente il Manetti e il Benivieni, accusando quest’ultimo di avere nei suoi dialoghi esposto non già il concetto di Dante, ma una cervellotica impressione sua e dei suoi accademici. Contro gli attacchi del Vellutello, pure in certa parte ragionevoli, molti anni più tardi, certo avanti il dicembre del 1592, insorgeva con due lezioni a difesa dell Accademia fiorentina e del Benivieni, Galileo Galilei, per incarico avutone da Baccio Valori, console dell’Accademia stessa (5). Ma la di- ti) Michelangeli, Op. cit., cfr. le pp. 37 e sgg. (2) V. Agnelli, Op. cit., p. 19 ; e Zingarelli , Op. cit., p. 26. Quest’ultimo biasima la forma letteraria usata dal Benivieni, perché rimangono troppo nell’ombra due personaggi del dialogo: Antonio Migliorotti e Francesco da Meleto , i quali non apron bocca «... e però non solo viene a mancare al dialogo un qualsiasi movimento drammatico, ma la presenza di quelle figure mute gli toglie anche qualche grado di verisimiglianza ». (3) Basti citare il Giambullari, il Landino, Talice di Ricaldone, il Fraticelli, il Portirelli, il Volpi, il Venturi, il Filalete, il Bonanni, il Ponta, il Caetani. (4) Importantissima, fra tutte, la norma del perpendicolo applicata ad alcune discese. (Michelangeli, Op. cit., loc. cit.). (5) Le due lezioni furono rinvenute nella Biblioteca Magliabechiana fra — 2 99 — fesa del giovane scienziato rivelava chiaramente una scarsa conoscenza del poema dantesco e un ingiusto preconcetto di difendere tutto, anche gli errori, con pregiudizio dell’esattezza e della verita. In ogni modo, se io volessi fare di proposito la storia e la critica di tal questione, uscirei dai limiti che mi sono imposto nel presente studio: il quale non vuole e non può essere una monografia compiuta ed esauriente sul Benivieni : vuole riuscire piuttosto un rapido profilo della sua vita, del suo carattere, dell’opera sua civile e letteraria. V. LA CANZONE D’AMORE E LE ECLOGHE. Dopo lunghe insistenze da parte degli amici , il Benivieni s indusse finalmente nel 1519 a pubblicare pe’ tipi dei Giunti, a Firenze, una compiuta raccolta di quelle rime che gli piacque salvare dalla distruzione. Precede , nella stampa, un indice delle materie, segue quindi una lettera di Biasio Buonaccorsi, che, figurando quasi d’ essere Γ editore del libro, espone come per le preghiere degli impressori e degli amici e per la considerazione dell’utile che ne sarebbe potuto derivare, egli siasi indotto a dare alle stampe quei manoscritti, specie il Commento del Mirandolano alla Canzone d’amore del Benivieni, nonostante sapesse la cosa le carte di Vincenzo Borghini e pubblicate da O. Gigli nel 1855 (Studi sulla Divina Commedia, di G. Galilei, V. Borghini ed altri, per cura di O. G., Firenze, Le Monnier). Alle obbiezioni sollevate contro la loro autenticità rispose, a mio credere esaurientemente, fin d’allora, il Gigli stesso; pure continuava a dubitarne ancora pochi anni or sono l’Agnelli (Op. cit., pp. 19 e segg.). Adesso non mi sembra che si possa più discuterne., dopo la pubblicazione delle due lettere, una di Luigi Alamanni iuniore a Giovan Battista Strozzi, in data del 7 agosto 1594, l’altra di Filippo Valori a Francesco Ottonaio, posteriore di pochi anni alla prima, che aggiungono valore di certezza alle argomentazioni del Gigli. (V. Galilei, Opere, Edizione nazionale, Firenze, Barbera, vol. IX, pp. 1 e sgg., e X, p. 66). Le due lezioni erano indubbiamente accompagnate da alcuni disegni che sono andati per sventura smarriti, e furono senza dubbio tenute prima che il giovane Galileo si recasse a leggere nello Studio di Padova : che è a dire prima del dicembre del 1592. (V. Galilei, Opere, ed cit., vol. IX, pp. 8 e sgg). — 300 — non in tutto grata allo stesso Girolamo. Segue a questa una lettera di G. Benivieni cittadino fiorentino al lettore. L’autore vi narra come egli si sentisse invogliato a riassumere in una canzone quello che ornatamente, ma più a lungo aveva detto il Ficino nei suoi Commentari sopra il Convito di Platone, e come poi Pico della Mirandola s’inducesse a scriverne il commento (i). Avvenne in séguito che sorgesse il dubbio nell’animo si del poeta si del commentatore se fosse lecito a cristiani come loro il trattare nel senso platonico di Amore celeste e divino, onde — e prezzo dell’ opera riferire le testuali parole del Nostro — «... pensammo che fosse bene sospendere la pubblicazione di tale opera, almeno fino a tanto che noi vedessimo se lei per qualche riformazione potesse di platonica diventare Cristiana ». Ma, venuto a morte il Mirandolano e giunti in mano d’altri la canzone e il commento, non poteva il Benivieni opporsi onestamente alla loro pubblicazione: si contentava quindi di pregare il lettore « che in tutti quelli luoghi dove essa canzone ovvero commento , seguendo la dottrina di Platone si partisse in qualunque modo dalla verità cristiana, potesse più in lui l’autorità di Cristo e dei suoi santi oltre alle ragioni irrefragabili de nostri teologi, massime dell’angelico dottore S. Tomaso d’A-quino in contrario addotte , che la opinione di un uomo gentile escusando l’errore suo e di Pico se errore però chiamare si può, il recitare semplicemente e senza alcuna approvazione l'opinione d’altri ancora che non vera, escusan-dolo..... con la iscrizione o vero titolo preposto a essa canzone e commento , per il quale apertamente si dice essi voler trattare di Amore non secondo la verità cattolica ma secondo la mente e opinione de’ Platonici ». Alla lettera del Benivieni tien dietro nell’edizione giuntina il Com-me?ito del Mirandolano, diviso in tre libri, dei quali i primi due risguardanti in genere le teorie platoniche intorno al- (i) « Mosso non tanto — dice modestamente il B. — come io credo, dai meriti della cosa, quanto da una tenera e singolare affezione che lui sopra ogni credulità, ebbe sempre a me e alle cose mie ». — 301 — 1 amore, l’ultimo in ispecie la Canzone direttamente prepostagli. Sembra però che il Commento non sia stampato integralmente come Pico ebbe a comporlo, se dobbiam credere al Giraldi (i). Furono ripresi tanto i versi quanto la prosa dei due amici di oscurità soverchia ; a me sembra in vero che, tenuto conto dell’argomento di per sé stesso astruso e difficile e poco adatto ad una poetica trattazione, la Canzone debba sinceramente giudicarsi mirabile per armonia e convenienza di parti, non disgiunte da una scientifica precisione di linguaggio ; e che il Commento del Mirandolano sia tale da rendere facilmente intelligibile ad ogni men che rozzo e del tutto inculto lettore i versi del Benivieni. Alla Canzone (Γ amore succedono le otto ecloghe componenti la Bucolica, alla quale già accennai dicendo che fu per la prima volta pubblicata nel 1481. Il Poeta le premette in questa edizione una lettera a Luca della Robbia, nella quale avverte di pubblicarla nuovamente, oltre che per cedere al desiderio degli amici, anche per poter meglio chiarire alcuni luoghi di essa, che sebbene alieni nella intenzione dello scrittore da ogni licenziosità, potevano per la forma talor troppo tenera e licenziosa essere male intesi e dare occasione a qualche scandalo. Si tratta dunque del solito artifizio riprovevole già usato per le rime amorose : al proemio che nelle precedenti edizioni accompagnava ogni ecloga, si unisce in questa un prolisso argomento, che ha per iscopo — ribatte il Benivieni — di togliere le sue poesie al sospetto immeritato in cui avean potuto cadere agli occhi d’alcuno, quasi casta matro?ia in veste ed abito meretricio. L’ argomento di posteriore aggiunta espone il significato letterale e l’allegorico d’ ogni ecloga. vSi ripete ciò che già avvenne per le rime: il commentatore è molto spesso costretto a ricorrere a sotterfugi (1) « Anchora, che esso Pico in molte cose all’openione del Ficino fusse contrario; come sarebbe manifesto, se si leggesse il comento di essa Canzone, come egli lo scrisse, et i communi amici non havessero soppresse dopo la morte del Pico le contradittioni, le quali si sono vedute da coloro, c’hanno letto il comento, c’havea scritto il Pico di propria mano ». {Discorsi, Venezia, Giolito, MDLIIII, p. 81). — 3°- — originali, ad interpretazioni iperboliche , a sottigliezze curiosissime , per riparare alle scappate del poeta: opera tanto più ardua in quanto proprio in queste ecloghe si manifestano con maggiore evidenza l’ingegno vivace del Benivieni e l’importanza artistica delle sue rime. La Bucolica è dedicata a quel Giulio Cesare da Varano, signor di Camerino, che fu nel 1501 condannato da papa Alessandro VI come reo di spergiuro, di sacrilegio, di ribellione, e privato anche della signoria per non aver corrisposto alla Chiesa romana il censo dovutole; che tornato al potere fu di nuovo imputato di proteggere i pubblici assassini, di avere ucciso il fratello per usurparne il governo, e d’altre simili nefandezze; che mori, in fine, tragicamente, poco dopo, avendolo il Valentino fatto strangolare nel 1502, nella rocca di Pergola, insieme coi suoi tre figli Venanzio, Annibaie e Pirro. Nella prima ecloga, che dal nome del signor di Camerino prende il titolo di Varo, interloquiscono i due pastori Fileno e Melibeo. Quegli s’ è risolto, per 1’ aridità della terra, che gli distrugge lentamente il gregge , a mutar di sede, in cerca di floridi prati, d’acque correnti, di miti ombrie; questi tenta distoglierlo dal suo proposito, ponendolo in guardia contro le amare delusioni che sogliono tener dietro alle vane speranze, ed affermandogli che non sempre il cielo sarà con 'lui tanto crudele : ............variar le stelle Vedrai, e farsi ancor liete e gioconde, E l’erbe più che mai risorger belle, Coronate di fiori, e per gli ombrosi Colli liete vagar le pecorelle (1). Ma invano egli si studia di dipingergli un lieto avvenire; Fileno è ben fermo nel suo proposito e vien descrivendo al compagno le delizie del rifugio che s’è scelto : A pie’ dell’alto monte Sibillino Che Norcia adombra..... Giace nel sen di più sonanti valli Un umil colle, circondato intohio D’aspre montagne e inaccessibil calli; (1) C. 76 v. — 303 — D’erbe e di varj fior vestito, adorno D’eccelse piante che le fiamme estive Tolgono all’erba e il gran calor del giorno. L’aura, gli uccelli e le fontane vive, Che mormorando le intrecciate chiome Bagnan del vago colle, ambo le rive Risonar fanno e il ciel, là dove esprome Natura un fiume, che d’alpestre vena Potente sorge, ond’egli ha preso il nome. Nella più vaga parte e più amena Del dilettevol colle, un prato siede Bel sì che immaginar non puossi appena (i). La ogni dolcezza, la ogni beatitudine di vita: A così riposato, a così lento Stato m’inchina il ciel, Varo m’invita; Varo, salute al mio languido armento (2). Dinanzi alla ferma risoluzione di Fileno debbon cedere le istanze di Melibeo , il quale termina invidiando i pastori fortunati, che potranno ancora godere la voce del caro a- mico, e stupire all’armonia de’ suoi canti. Per tutta 1’ecloga l’onda del verso fluisce facile ed armoniosa : niente di scontorto o di stiracchiato ; v’é anzi, se mai, qualche cosa di troppo, un che ridondante, lussureggiante, dannoso forse all’insieme del componimento, ma facilmente spiegabile e scusabile , chi ripensi in quanto giovane età il Benivieni componesse questa poesia. Alla quale 1’ unico senso allegorico che l’autore intendesse attribuire da prima, è questo, ch’egli medesimo espone nel suo argomento: Melibeo è lui il poeta; Fileno la sua opera, la Buccolica, che vuole con le sue greggi, significanti le ecloghe, condursi a Giulio da Varano signore di Camerino, presso cui spera di trovare asilo conveniente e decoroso campo da conseguire la gloria desiderata. Melibeo, incerto e combattuto, da una parte dal timore che l’ opera sua debba sembrare men che perfetta, dall’altra dall’ardente brama di gloria , finisce per consentire che Fileno con le greggi si trasferisca la dove l’animo lo piega. Si tratta dunque di una artificiosa ripetizione della dedica delle ecloghe già fatta in prosa al da Varano. Ma qual’è (1) C. 77 r. - (2) C. 77 V. — 304 — il significato allegorico o senso mistico che il Benivieni da più tardi alla sua poesia? Esso merita in vero d’essere conosciuto: Fileno è la parte superiore, razionale, dell’anima, cupida del bene supremo cui tutte le cose aspirano : Dio. Melibeo è per contrario la parte bruta, sensitiva, tutta dedita ai piaceri del senso , mancipia delle cose terrene. Fileno desidera di rivolgere sé e le sue greggi, cioè le facoltà e le potenze dell’ animo, agli amenissimi paschi di vita eterna, distogliendosi dall’amore delle cose sensibili e delle loro pestifere voluttà, che son poi significate dall’erbe, dai fiori e dalle acque correnti. E dove vuol egli rifuggirsi? Ai piè del monte Sibillino, ove si pascono gli eletti di Gesù. Ma allora chi è Varo ? Egli è Cristo, Cristo stesso « conciosia che questa dizione Varo possa secondo la sua radice significare in quella lingua , con la quale lui cioè esso Cristo mentre che conversò in terra con gli uomini parlò, creazione e purgazione, i quali due termini quanto a Cristo, che secondo la sua divinità è atto purissimo e Creatore dell’universo, convenghino, sarebbe superfluo parlare ». (Ed. Cit., c. 75). E Melibeo ripugna alla determinazione di Fileno per la naturale ignavia dei sensi, finché, vinto dalla grazia divina, cede alla ragione, e permette all’amico di recarsi dove Dio l’attende e una perpetua beatitudine. Nel suo complesso non è certo mal trovata: se non che la fantastica interpretazione del Benivieni presenta non pochi punti deboli ad un esame accurato. Cosi, per additarne uno solo, il commento spiega la risoluzione di Fileno col desiderio di questo di «trasferire sè e le sue gregge, cioè le sue potenze, operazioni e pensieri dall’ amore di queste cose sensibili e delle loro pestifere voluttà, per le erbe, per i fiori e per il corso delle fuggitive acque significate, in quelli sempre verdi e amenissimi pasqui di vita eterna ». Non si direbbe che qui il commentatore sia in contraddizione col poeta ? Ben lungi dal fuggire i fiori e le erbe e le acque correnti, pestifere voluttà, Fileno ne va anzi in cerca, abbandonando i campi che ne sono privi; dacché, dice egli: L’erbe già secche son, tutte le vene, Gli ombrosi rivi, le fontane e i fiumi D’aspidi velenosi e serpi piene. — 305 — E già i floridi prati alpestri dumi Son fatti, onde pasciuta infra le spine, Par che ogni gregge a morte si consumi (i). Che poi i ftcìsqm da lui cercati sieno quegli amenissimi di vita eterna, i quali non saprei invero perché debbano trovarsi A piè dell’alto monte Sibillino Che Norcia adombra...... non appare certo dai versi del poeta. In verità, il Signore di Camerino non aveva tante benemerenze verso i Superi da meritar l’onore di ospitare nei suoi domini anche il Paradiso ! Nell ecloga seconda, con accenti d’amore, di passione senza confini, che sa quasi di pagano , il Benivieni, sotto il nome di Tirsi, piange la partenza di Dafni, che è poi Pico della Mirandola, or fieramente rimproverandolo d’ a-verlo abbandonato or dolcemente pregandolo che torni. In tutta questa poesia e veramente un sapor virgiliano, un profumo agreste, un’ eco lontana di sampogne e di flauti villerecci. Tirsi promette doni all’amico: Io ho notato in su d’un alto faggio Che le radici sue bagna nell’onde Del vago fiume, in loco aspro e selvaggio, Nella più alta cima, dalle fronde Cinto, e da’ rami chiuso e ricoperto, Un nido che due tortore nasconde: Io te le serbo, e vo che tu sia certo Che Cynzia me ne sforza, e per averle M’ha già più volte il cor, pregando, offerto. E tutto finisce in un mite sogno di vita beata da venire : Noi ci starem fra l’erbe, al suon cantando Dell'acque che dagli alti sassi piombano, Poi corron dolcemente mormorando Giù per Tombrose valli, onde rimbombano L’acque percosse, e gli amorosi versi Degli augelletti, che per Taire rombano, Cogliendo bianchi fior, vermigli e persi All’ombre che dagli alti faggi scendono, Sopra limpidi rivi, chiari e tersi. (r) C. 76 r. Giorn, St. c Lctt. della Liguria. 21 — 3°6 — Vedrem come negli erti colli ascendono Gli armenti vaghi, e come errando paschino Le gregge, allor che per le cime pendono, (i) Uguali pregi son da rilevare nelle ecloghe seguenti, tutte accompagnate dalle solite deformazioni del commento: né vi mancano, a renderle più interessanti per noi, numerose allusioni ad uomini e fatti contemporanei; sia che si esaltino le virtù del Magnifico e si pianga la tragica morte di Giuliano suo fratello, sia che, come nella settima, si introducano Giovanni Pico della Mirandola e Lorenzo dei Medici a cantar ciascuno in gentile tenzone i propri amori. Ecco alcune leggiadre terzine di quest’ultima : Lorenzo — Lasso che amor dall’ indurato collo Crndel d’un paventoso tauro disciolse Lo attrito giogo, e intorno al mio legollo. Pico — Amor da’ biondi crin benigno sciolse Di Pleona gentil un aureo laccio Con le sue mani, e intorno al mio lo avvolse. Lorenzo — La cera al foco, al sole il vitreo ghiaccio Ed io agli occhi tuoi, Fioria mia bella, Mi struggo ardendo, e talor freddo agghiaccio. Pico — L’erbetta per le piagge tenerella Cogli altri fiori al sol si nutre e cresce, Ed io ai raggi di mia viva stella. Lorenzo — Cede il pallido giunco al verde ulivo, Cede agli eccelsi pin Pumil viburno, Cede ogni altra a costei eh’ io canto e scrivo (2). Nell’ecloga ottava, il pastore Tirreno si duole della rovina del suo gregge , che lentamente si consuma per le malattie : Tornan lieti i pastor dai chiari fiumi Cantando a casa, e già piena rifulge Quasi ogni valle di notturni lumi. (1) C. 80 v. - 81 r. Tornano a mente i versi del Poliziano: Quanto giova a mirar pender da un’ erta Le capre, e pascer questo e quel virgulto; (Stanze, I, 18), e qui ed altrove spesso il Benivieni mostra chiaramente di risentire l’influenza dell’ amico Ambrogini. (2) C. 100 v. - 101 r. — 307 — L’un cura il dolce ovil, quell’altro mulge Sue pecorelle, e poi ali' inculta mensa, Cerere e Bacco ministrando indulge. Ma a lui queste gioie son negate : egli è ormai condannato alla tristezza e al dolore; e la poesia termina con un pensiero di scoramento amaro, che stupisce in un giovane poeta del Rinascimento: Cosi va il mondo, e così fugge e vola Ogni suo ben, così fortuna solve Nostre speranze, e così miete e invola Morte tutto, e riduce in poca polve (i). Anche la Bucolica rivela gl’ influssi della poesia dantesca e della petrarchesca : più di questa che di quella; ma vi e tale magistero di forma e tanta vaghezza di pensiero ch’essa appare veramente opera degna dei grandi maestri che il Benivieni tolse ad esempi. Il sentimento della natura, che pervade il Poeta e ne è mirabilmente inteso, la informa tutta di una freschezza singolare e d’una soave ingenuità: torna a mente il Poliziano, e il Benivieni non ne teme il paragone. Alle ecloghe tengon dietro, nella raccolta giuntina, poesie di vario argomento : un capitolo in lode di Dante Alighieri, composto quasi tutto di versi della Divina Commedia, e poi deploratorie e consolatorie in morte di amici e parenti — notevole fra le altre quella in memoria di Feo Beicari poeta Cristiano (2) — che risentono talora della poesia d’occasione, ma che dimostrano spesso delicatezza d’affetto ed efficacia d’espressione. Si legga, per esempio questo sonetto in morte della Falchetta del Rinuccini: Dimmi, ove sono, ove sono or, Falchetta, L’altne bellezze tue celesti e nuove ? Dove son gli occhi, i tuoi begli occhi dove Amore avea sua prima sede eletta ? Dove l’eburneo collo, ove l’eretta Cervice or giace, e chi 1’ inchina e move ? Dove il candido sen, onde ancor piove Nel tuo sposo a ogni or qualche saetta ? (1) C. 102 v. e 105 v. (2) Fu ristampata in Lettere di Feo Beicari per cura di Domenico Moreni, Firenze, per il Magheri, 1825, alle pagine 71 e sgg. — 3°S — — L’alme bellezze mie che in questa inferma Carne, per far delle sue eterne fede, Avea qui il Ciel mirabilmente accolto, Polvere ed ombra son, dove or si vede Chiaro quanto quel cor sia cieco e stolto, Che in lor coni’ in suo fin si posa e ferma (i). Insieme con queste sono poesie per malattia di Lorenzo de Medici, o in sua lode , e in morte della Simonetta da lui amata, e molte indirizzate amichevolmente a Gio vanni Pico Mirandolano : saggi di traduzione dall’ebraico e dal latino., tutti in terza rima : vari salmi e una Invettiva d O-vidio e l’Amor fuggitivo di Mòsco , di sopra la versione latina fattane dal Poliziano. Quest’ultima anzi, come bene osserva il Del Lungo, « per certa candidezza di greco colore meritava essere conosciuta e lodata dal Leopardi >>, che pure in un suo studio su Mosco ne citò una, assai povera, dell’Alamanni (2). E poi, laudi e canzoni morali, nelle quali però, forse per eccesso d’ ardore religioso, manca soventi quella compostezza artistica abituale nel Benivieni. Non sono poesia sfilate di versi come questi, che tolgo da una Laude dell’amor di Gesù : Non fu mai il più bel sollazzo, Più giocondo nè maggiore, Che per zelo e per amore Di Gesù diventar pazzo. La pazzia di Gesù sprezza Quel che il savio cerca e brama, Stati, onor, pompe e ricchezza, Piacer, feste, gloria e fama, Sempre cerca, onora ed ama Quel che il savio ha in odio tanto, Povertà, dolori e pianto, Il cristian, perchè egli è pazzo O Gesù per cortesia, (1) C. 116, r-v. (2) Poliziano, Prose volgari ined. a poesie latine e greche ed. e ined., raccolte e illustrale da I. Del Lungo, Barbèra, 1867, p. 527. Il D. L. ristampò nella sua raccolta, la versione del Benivieni com’ era accanto alla polizianesca, nel cod. laurenz. XC, 37, col quale e col magliab. XXXIV, 1, emendò la prima stampa. ··- 309 — Se mi resta sale in zucca, Tolo, priego, e la pazzia Tua mi dà, ch’ogni uom pilucca. Chè m’ha l’alma in modo stucca Con la sua tanta prudenza Questa umana sapienza, Che ancor io voglio esser pazzo (i). Sul medesimo tenore in un’ altra poesia si dimostra Come la pazzia di Gesù possa essere e sia veramente savia : Io vo’ dirti, anima mia, Da che tu saper lo vuoi, Ma rimangasi fra noi, Come savia è la pazzia (2). E in un’ altra che ha per titolo : Della pazzia dei cristiani e dei suoi effetti, si pone in rima la ricetta d’un unguento cosi fatto, che Impazzar fa tutti i savj E fa savio ogni uom che è matto. Eccola, per edificazione del Lettore : Io vo’ darti, anima mia, Un rimedio,, sol, che vale Quanto ogni altro a ciascun male, Che si chiama la pazzia. To’ tre oncie almen di speme, Tre di fede e sei d’amore, Due di pianto e poni insieme Tutto al fuoco del timore, Fa da poi bollir tre ore, Premi, e infìn v’aggiungi tanto D’umiltà e dolor, quanto Basta a far questa pazzia (3). Dei quali versi non è severo giudizio , questo che ne diede il Villari: « Quando Girolamo Benivieni, poeta al suo tempo famoso, volle tentare lo stesso genere [delle laudi], egli balestrò assai spesso , non solamente fuori del- (1) C. 137 r e sgg. Torna a mente l’Udite nova pazzìa di Jacopone. (2) C. 139 r. (3) C. 146 r e sgg. * — 310 — l’arte, ma anche del senso comune » (i). Pure , di questi peccati d’arte non faremo una colpa troppo grave al Nostro, se vorremo tener conto dello scopo unicamente religioso che glieli suggerì, e del molto di bello e di buono che egli seppe produrre. Il volume delle sue rime si chiude con alcune frottole: mescolati a detti sentenziosi, a proverbi, a brevi favolette, sono motti faceti e cose prive d’ogni senso, gittati li alla rinfusa, come un mucchio di robe vecchie da un rigattiere, tutto con un procedere cosi spigliato e veloce nella brevità del verso settenario, che piace e trae a forza il sorriso sulle labbra. Ma sotto quell’apparente sconnessione, un legame c’è : quello della satira, per lo più sociale e di costumi , tutta ripiena d’ arguzia, ma talora assai pungente sotto la veste innocente dello scherzo. Eccone qualche passo per saggio : . . . io ti voglio or dire Quel che l’altrier m’avvenne: Io vidi un senza penne Tentar la via del cielo, E sopra gli occhi un velo Avea, che non è talpe O pipistrello in alpe Che me’ di lui non veggia; Io sto aspettar che chieggia Almeno un che li porga La mano e che gli scorga La via che al ciel conduce, Ed ecco un senza luce Che s’accompagna seco, E, mentre che l’un cieco Guida l’altro, ambedue Dopo sei passi al piue Caddono in una fossa. Io ho ancor gonfiata e grossa Per le risa la milza, Or va e a filza a filza Borbotta Paternostri, Edifica bei chiostri, E fa bei paramenti, Pur che il povero stenti E muoiasi di fame. Che se ben nudo giacque Fra l’asinelio e ’l bue Tu «intendi ? E’ non è piue Tempo di povertate. Chi non è da governo Lascisi governare. Cascò già per cantare Di bocca il cacio al corbo. La formica del sorbo Non esce al primo picchio. E’ bisogna eh’ io crepi, 11 mondo è pien di matti. Dimmi, tu che ti gratti, Pizzicati la rogna ? Più ingrassa il cimitero Che la spada, la gola. Frettolosa cagnuola (i) Op. cit., vol. I, p. 528. 3” — Fa i suoi catellin ciechi, A quel che gli occhi à biechi. Ogni cosa par torta. Pecca assai m en chi tace Che quel che sempre ciarla. {Continua). La freccia che una volta Scossa ha da sè la corda, Ad ogni voce è sorda, Finché non trova intoppo Achille Pellizzari. DOCUMENTI E NOTIZIE PER LA STORIA DELL’ ISTRUZIONE IN GENOVA (Continuazione e fine v. pag. 205) Diversi maestri eleggono un loro procuratore. V\ U3I5» 5 io.bre in Notaro Ant. de Gregorio, fil. 2, car. 9). In nomine domini Amen. Nos infras. magistri scolarum facimus, constituimus et ordinamus nostrum certum nuncium et procuratorem et loco nostro nostris nominibus propriis et totius collegi magistrorum Petrum de Sancto Ambroxio presentem et recipientem ecc. — Actum Ianue in ecclesia B. Laurentii Ianuensis. — Testes magistri Iohannes de Borgondia habitator Ianue ecc. — Magister Iohannes ferragonus consul et rector; magister franciscus de Sarzana; magister Zinus de papia ; magister Martinus de Ispania ; magister Paganus de Calexa ; magister Petrus de sancto matheo; magister Salvus de pontremulo ; magister Nicolinus de Saluciis; Magister Nicolaus de Pistorio; magister Rollandus de rapallo; magister Precival de zoalio ; magister Bel-lengerius. Lodisio Calvo di Voghera , Giacomo di S. Salvatore e Verono casa-lense stabiliscono i patti per mantenre una scuola a Cornigliano ponendovi a reggerla il ni. Ant. Guasti di Ponte curorto collo stipendio non superiore a 3 fiorini e mezzo alla scadenza di S. Martino : si obbligano inoltre di non accettare d'inverno scolari provenienti da quella scuola. (Not. Cristoforo Revellino, fil. 10, c. 192). 1396, 24 maggio. — In nomine Domini Amen. Dominus magister Veronus de Casali magister scolarum gramatice ex una parte dominus magister Lodisius Calvus de Vicheria mag. scol. gram. ex una alia parte, simul invicem et vicissim pro bono utilitatis et ipsorum et cuiuslibet eorum et scholariorum ipsorum et cuiuslibet eorum pervenerunt et pervenisse confessi fuerunt ad infrascripta pacta , transacionem et composicionem. Videlicet quia dicti domini magistri Veronus , mag. Lodisius et mag. Iacobus sibi invicem et vicissim promiserunt et con- — 31 - — Venerunt unus aliis et alii uni comunifer et vicissim ponere et tenere in villa Corniliani magistrum Antonium de Guastis de Pontocurono mag. scolarum qui reget scolas gramatice scholaribus de dicta villa Corniliani videlicet ab hodierna die in antea usque ad festum S. Martini : cui magistro dicte partes solvere debent et sic sibi invicem et vicissim promiserunt salarium et expensas comuniter et pro rata scholariorum quos unusquisque dictorum magistrorum habet in villa Corneliani modo infrascripto : videlicet quia dictus magister quem in dicta villa tenere debent est obligatus ipsi domino magistro Verono ipsi magister lodisius mag. Iacobas promiserunt eidem dom. magistro Verono presenti acceptanti eidem dare et solvere illam partem salarii et expensarum quae eisdem spectat ad solvendum pro rata constitutis scholariorum quos unusquisque dictorum dominorum magistr. Lodisii et Ia-cobi habent in dicta villa corniliani. Ita tamen quod salarium et expense fiende pro dicto mag. Antonio non ascendant summam fiore-norum trium cum dimidio in mensem et e· controverso dictus dom. magister veronus acceptans omnia et singula in suprascripto — teneatur et obligatus est et sit promisit — facere et iurare. Ita et taliter quod dictus magister Antonius regatur in dicta villa schollas usque ad dictum S. Martini proxime venturi Iusto Dei et gencium impedimento cessante — quorum quidem scholarium utile unusquisque dictorum magistrorum contrahensium ut supra percipere debet pro suis scholaribus tantum promittentes sibi invicem et vicissim non impedire unum alios nec alios alium in receptione dicte eorum pensionis. Item quod tempore yemali proximo venturo aliquis ipsorum dict. magi. Veroni magistri Lodisii et mag. Iacobi non receptabitur nec aliquo modo vel aliquo quovis colore quesito retinebit in scollis ipsius aliquos ex schol-laribus aliorum ex ipsis magistris contrahentibus ut supra videlicet de dicta villa Corniliani seu in dicta villa villantibus usque ad kallendas aprilis proximi venturi de 1397. — Sub pena librarum quinquaginta Ianuinorum. Actum Ianue in palacio Comunis videlicet ad bancum meum. Simone da Fissirengo inabilitato all’insegnamento perchè colpito da paralisi, domanda di essere esentato dal pagamento di lire 3 annue per cui è convenzionato, (Diversorum, Reg. 18, 513). 1428, io febbraio. — Rev.dus in Christo pater et Dominus dom. I. Sancti. Eustachii Cardinalis ducalis Ianuensium gubernator et spectabile consilium Dominorum Antianorum in legittimo numero congregatum. Audito magistro Simone de Fisserengo professore grammatice exponente se conventionatum esse cum comuni ad annuam solutionem librarum trium cuius conventionis suae terminum pretenditur adhuc per annum unum. Et quod post contractam conventionem cum ipso comuni parvo intervallo temporis morbo paralipsis laborare cepit, qui adeo crevit ut nunc vitiato organo vocis et trementibus membris nulli jam ministerio aptus sit, petente ideo humane sibi provideri ut exem- — 3i3 — ptus fiat eum vigore statutorum ab onere capitis eximi debeat, et cum ni ii possideat nec sit iam aptus acquirere sibi sumptum necessarium eximendus sit tamquam non habens ab omni alio onere publico. Commisserunt et presentium auctorictate committunt Egregiis Revisonbus rationum Comunis ut audito ipso magnifico Simone et sumptis informationibus de eo ac visis statutis ad propositum facientibus referant quomodo eis videatur providendum requisitioni eius. Il ni. Ant. de Gogis domanda di essere ammesso a te?ier scuola in Genova e di stabilirvisi con la moglie e la famiglia disposto a subire Vesame ma non a pagare la somma voluta dallo Statuto. (Diversorum, n. 38-533). 1444, XIIII Ianuari. - Illustris et excelsus dominus dux Ianuen-sium et Magnificum Consilium dom. Antlanorum Comunis Ianue in legitimo numero congregatum. Audita petitione magistri Antonii de Gogis professoris grammatice narrantis constituisse animo scolas regere in hac urbe et se in eam cum uxore et familia recepisse paratumqne esse se examini subicere quemadmodum constitutiones huius artis iubent : sed impresentiarum non esse sibi facultates unde possit eam summulam persolvere quam solvi statutum est ab his qui aggregari Collegio volunt et ob id supplicantis promitti sibi ex speciali gratia ut possit scolas regere per annum unum proximum et in fine eius id solvere quod in anni initio fuisset depromendum. Moti miseratione paupertatis sue decreverunt et eidem Magistro Antonio concesserunt pro ipso subeunte examine ut moris est: liceat sibi impune scolas tenere per annum unum ut ab eo petitur : ipso idonee cavente erga collegium seu rectorem eius quod anno finito mox solvet quicquid pro eiusmodi aggregatione ad collegium solvendum fuerit. Supplica del maestro Gio, Masone lombardo. CDiv. Fil. 27, n. 353). 1463, 6 giugno. — Vobis Rev.“° d.<> d.° Archiepiscopo ac duci et m.° cons.i0 d.™ An.™* Comunis Ianue exponitur parte magistri Iohannis Musoni professoris artis gramatice quod ex conventionibus vigentibus inter Ill.um dom. Ducem Mediolani ac inclitum Comunem Ianue lombardi qui veniunt ad habitandum in civitate Ianue ac contrahunt matrimonium cum uxore Ianuensi sunt immunes ac exempti ab avariis et honeribus comunis Ianue usque ad annos decem proxime secuturos a termine contracti matrimonii, post autem ipsos annos decem elapsos eciam et ita semper observatum est ut ipsi lombardi con-ventionentur prout solent conventionari illi qui veniunt ad habitandum in civitate Ianue. Idcirco cum ipse mag. Iohannes sit lombardus ac contraxerit matrimonium cum uxore Ianuensi nec pretendat annos decem esse adhuc elapsos a tempore dicti matrimonii, supplicatur quatenus dignetur prefata Dominatio vestra committere et mandare spect. — 314 — off. monete vel cui placuerit ut observari faciant ipsi mag. Iohanni dictas immunitates ac exemptiones concessas Lombardis et si reperi-retur dictos annos decem dicte immunitatis esse elapsos ipsi mag. Iohanni conventionem solitam concedi venientibus ad habitandum in civitate Ianue faciant pro tempore ac in omnibus et per omnia prout ceteris concedi solitum est. Alioquin ipse mag. Iohannes necesse habeat relinquere hanc inclitam civitatem et scolas in quibus dèo adjuvante jam per plures annos eam quam potuit doctrinam tradidit liberis civium vestrorum. Condanna e inulta a sci maestri per aver mancato all’osservanza dello Statuto. (Arch. civ., Filz. 1432 al 1468, n. 194). ^ 1466, 22 ag. — Magister Iacobus de Viglevano rector collegii magistrorum et magister Baldasar de Vartio Sindicus er procurator dicti collegii, — Omni modo ecc....... Revocaverunt et annullaverunt Io- hannem de Vercellis a collegio dicte artis eo quia non implevit neque executus est sibi incombentia vigore capitulorum diete artis. Et dictus M. Iacobus rector ut supra condepnavit dictos magistros Bartho-lomeum de parma, franciscum de turri laurentium de Scenis, Petrum de Bergamo, Galleatium de'Cella et Antonium Crista de Montebarutio in libras sex Ianuinorum pro quolibet ipsorum vigore capituli positi sub rubrica : de non utendo aliis suis usibus vel ordinibus. Testes Iacobus de Insula notarius. — Franciscus de monacho. Il maestro Ant. Crista di Mombaruzzo si schermisce dalla sentenza proffertagli contro dal Rettore surrogato del Collegio; e ritorce co7itro di lui tre capi d’accusa. . (Arch. Civico, filza anni 1432-1468, n. 177). 1466, 26 ag. — Antonius Crista de capella de Monbarutio suo proprio nomine et tamquam procurator et procuratorio nomine sociorum. Constitutis in iure et in presentia Spectati officii dominorum patrum comunis causa et occasione cuiusdam talis qualis precepti eisdem facti continentis in summa quatenus debeant intra dies quatuor quilibet eorum solvisse libras sex in quot asseruntur condemnati per magistrum Iacobo de Vigenio assertum Rectorem professorem grammatice , cui et contentis in eo se refert, sed non consentit nisi in quantum teneatur faciatque pro eo et non ultra. Respondendo dicit quod dictum preceptum fieri non potuit nec factum sine cause cognitione , et non constat de aliqua condemnatione saltim legiptima. Non etenim potest quis condemnari nisi citatus, quae citatio est de iure nature et toli non potest sic Deus citavit Adam......Sed sic est quod asserta condemnatio fuit facta absque citatione , et ab eo qui non habet potestatem condemnandi quia inter artifices Magistratus est competens dominus Vi-cegubernator , ergo est nulla ipso iure. Est etiam nulla alia ratione quia lata absque instantia et ratione propter quam dicta lata non mi- — 315 — litat in eos quia non convenerunt forme capituli. Ideo petit dictum talem preceptum eatenus de Jure revocari quatenus de facto processit et dictum M. Iacobum puniri ea pena et sententia qua dictos magistros puniri vellet, ac si de Jure puniri possent quam petit et requirit oficium vestrum exigi ab eo si de Jure exigi potest. Verum quia dictus M. Iacobus contravenit forme capitulorum quia in tempore recto-ratus sui non servavit capitula que iuravit servare et servari facere ac debere et presertim capitulum positum rubrica de associando corpora defunctorum ex quo incidit in penam floreni unius auri operi portus et molis applicanda pro dimidia , dein accusat et denuntiat eum et petit exigi ab illo dictam penam. Item quia non servavit nec servari fecit cap. positum sub rubrica de associando corpora defunctorum ex quo incidit in penam floreni unius auri operi portus et molis applicandam pro dimidia dein accusat et denuntiat eum et petit exigi ab illo dictam penam. — Item quia non servavit nec servari fecit capitulum positum sub rubrica : de congregando insimul dictum Collegium pro honorando S. Ducem et eius consilium, ex quo pro bina vice cecidit in penam sold. decem dicto operi portus et molis...... — Item quia non observavit nec observari fecit Cap. positum sub rubrica : « de faciendo societatem domino duci » ex quo incidit in penam sold. quinque totiens quotiens per ipsum fuit contrafactum a die creationis Rectoratus sui usque in presentem diem dicto operi.....— mcccclxvi die xxxi Augusti. Deposita in curia spectati officii dom. patrum Comunis a suprano-minato Ant. Crista nomine quo supra: quae scriptura admissa est si et in quantum admitti debeat et non aliter. Il Rettore ed i consiglieri del Collegio condannano a 30 lire geno- vine di multa Bartolomeo di Valenza per aver trasgredito lo Statuto. (Arch. Civ,, fil. 1432-1468, n. 194). 1467, 17 Giugno. — Ad bancum notarii infrasc. in prima sala vocata fraschea. — Egregius d. Ant. de Capella surrogatus rector ven.di collegii magistrorum gramatice civit. Ianue pro tribunali sedens ad dictum bancum quem locum ad hanc sententiam ferendam pro Juridico ydoneo et competenti ellegit et deputavit in presentia auctoritate voluntate et consensu ac consilio dominorum magistrorum Bartholomei de Parma et Laurentii de Senis magistrorum gramatice consiliariorum dicti collegii visis preceptis factis Bartolomeo de Valentia de quibus in actis notarii infrascripti fit mentio et precipue precepto eidem facto quatenus desistere deberet a regimine scolarum quas tenebat et tenet contra formam capitulorum dicti collegii. Ac audita et intellecta confessio ne hodie in presenti die et hora verbo facta coram prefato D. Antonio surrogato rectore pro tribunali sedente ut supra et coram dictis d. consiliariis ac me notario infrascripto per dictum Bart. de Va-, lentia sponte confitentem et dicentem se docuisse gramaticam pueros — 316 — numero triginta quatuor, in circa et non plures silicei a die primi pre-cepti sibi facti de quo in dictis actis mei notarii infrasc. fit mentio contra vigorem cuius mandatum fuit eidem Bart. quatenus a regimine scolarum desisteret sub pena in eodem precepto adiecta et prout in eo continetur : visoque precepto eidem Bart. facto presenti die et hora. — Omni modo...... Christi nomine prius invocato..... condemnavit et condemnatum fore pronunciavit sententiavit et declaravit dictum Bart. tamquam contrafacientem statutis premissi. Collegii in libras triginta Ianuae quamvis ipsum posset condemnari in plus Jure, forma capituli positi sub rubrica et pena apposita contra regentem scolas contra pre-dicta. — Baptista Parrisola notarius: et premissi collegii magistrorum gramatice scriba specialiter deputatus (i). Multa per aver contravvenuto alle disposizioni dello Statuto. (Archivio Civ., Filza 1469, 76. Atti, n, 31). An. 1470 die mercurii X Ianuarii. — In nomine Dom., Amen. E-gregii d. magistri Iohannes Campisii vercellensis, Petrus de Pergamo et Antonius de Iporedia rector et consiliarii venerandi Coll, magistro-rnm gram. civit. Ian. existentis in prima sala palacii comunis Ianue vocata fraschea ad banchum mei notari, infrascr., quem locum pro in-frascriptis specialiter peragendis pro iurisdictione idoneo et competenti delegerunt. — Cum accepissent per ipsorum precessores rectorem et consiliarios premissi Collegii denuntiatum fuisse dominis presbyteris Benedicto de Albingana et Guiliermo de Albinis rectori S. Agatae quatenus in observatione capitulorum premissi Collegii non deberent plus quam decem scolares in eorum scolis retinere: illosque quos retinerent volebant denunciasse eisdem dom. tunc rectori et consiliariis fuit mandatum diversis civibus et artistis quatenus de cetero eorum pueros et filios non mitterent ad scolas prenominatorum.......... sub pena florenorum sex pro singulo eorum contrafaciente in capitulo eiusdem Coli, prout latius ex actis notarii infrascr. apparet, et quod tamen eos ad dictas scolas mittere non desisterent neque desinerent quod sequitur in grave dampnum et prejudicium magistrorum prem. Coli, demum fuit mandatum infrasc. parte ipsorum nunc dom. rectoris et consiliariorum inscriptis inferius nominatis quatenus comparèrent pro presenti die, hora et loco ad videndos et audiendos sese multari in pena florenorum sex pro singulo ipsorum contenta in capitulis dicti coli, positis sub rubrica de materia disponentibus, et viso quod nullus eorum aliquam infrascriptis oppositionem fecit : Idcirco visa et attenta forma dicti capituli via iure modo.......... Christi prius nomine invocato animo quieto condemnaverunt et condemnatos esse pronunciaverunt infrascriptos inferius nominatos in florenis sex Ianuinorum pro singulo (1) Il condannato si appella ai Sindacatori. — 317 — ipsorum prout ex forma dicti capituli clare disponentis : quorum dimidiam assignaverunt officio d. patrum comunis , dimidiam pro opere portus et molis et reliquam dimidiam ipsi collegio pro suo interesse prout in capitulis. — Quorum condempnatorum nomina sunt haec : — Bernardus de Albingana — Gottardus de Claroscho — Nicolaus de Bracellis — Vincendus de valle sturla — Bertonus de Casanova sartor — Andreas de Montesoro — Dexerenus de Monte bancalarius — Petra uxor quondam Peregrini Prati. — Baptista Parrisola notarius et pre-missi Coli, magistrorum gramatice scriba. Atto di ammissione al Collegio. Nel 1483 addi 6 dicembre i maestri di grammatica ad istanza del-l’Arcivescovo, regolarmente convocati e presieduti da un canonico di S. Lorenzo in qualità di suo delegato, nella camera dell’Ufficio di Misericordia in Claustro superiori ecclesie S. Laurentii, ammettono nel collegio dei maestri il sacerdote Marco di Riomaggiore. Sono presenti il rettore: « venerabilis dom. Iacobus Ansermus de Sancto Romulo»: i consiglieri : « magister Iohannes de Levanto » e « Magister Antonius de Iporegia » ; il sindaco « mag. Simon Aradus de Clavaro ». Seguono indi gli aggregati : « M. Dominicus Motus de Levanto, m. Franciscus Gorritius, m. Bart. de Levanto, m. Petrus de Millo , m. Alex, de Manthua, m. Bernardus de Castiliono, m. Gotardus de Pellegrinis de Novis, m. Simon de Scribia ». — « Considerantes prius praefatus Rev. Dom. Vicarius et locumtenens et rector et ceteri magistri dictum presbyterum Marcum esse sufficienter litteris imbutum. Confisi quoque de eius scientia, moribus et vita ac virtutibus ac honestate, habitoque prius singillatim maturo examine et interrogationibus supra grammaticalibus et litteris factis dicto magistro presbitero Marco per ipsos magistros de collegio. Absolventes prius sese ad calculos albos et nigros, recollectis cartulis per ipsum Simonem Aradum sindicum dicti collegii, repertisque ipsis cartulis omnibus albis; admittunt, aggregant et recipiunt dictum presbiterum Marcum in collegium magistrorum grammatice civitatis Ianue cum omnibus et singulis privilegiis , honoribus dignitatibus, beneficiis commodis et utilitatibus concessis et attributis ceteris magistris dicti collegii virtute capitulorum dicti collegiis ». Notizie di maestri che insegnavano in Genova nei secoli XIV e XV ricavate da atti notarili. 1375, 12 febbr. M. Tommasinus de Pisis qui docet abachum seu racionem in civitate Ianuae. (Not. Ambr. Fasciolo, Reg. 2.a, 1376 in 1406, pag. 5). — 1377» T5 ag. D. Ant. de Ceva magister scolarum, habitator Ianue ad portam S. Andree. (Not. Crist. de Revellino, filza prima, n. 109). — 1379, 1 ag. Testamento del maestro Matteo de Be-zutio coi seguenti libri: « liber Virgilii novus scriptus propria manu dicti testatoris qui nondum est ligatus: Liber Terentii ligatus in ta- — 3ìS — bulis coopertus corio albo : Liber trajedarum Senecae non ligatus. Liber Platonis qui non est completus: Liber Saiusti completus: Liber Iuvenalis completus : Liber loyce Alberti scriptus in carta : Liber to-picarum Aristotilis super octo voi. Actum Ianue in contrata S. Pancratii in domo dicti magistri ». (Not. sudd. , id. , n. 35). 1389» 14 marzo. Mag. Antonelus de Calcina. (Not. id., filz. 3.% n. 83). I394> 15 genn. « Veronus de Casali m. scol. gr. » e maestro Pietro de Laborantibus di Castelnovo fanno un compromesso. (Not. id. id., p. 34). — 1397, 12 gen. « Veronus de Resascho de Casati mag. scol. Ianue » nomina un suo procuratore. (Not. id., F. 11, p. 48). i397> 20 marzo. « Mag. Oddonus de Mellanis de Pochapaglia » nomina un suo procuratore (Not. id., id., p. 135). — 1397) *3 ott. « M. Frane, de Trivi-xio ». (Not. id., p. 333). — 1398, 26 giugno. Andrea de Petrarubea e Ant. de Ceva fanno società. Nella casa di esso Ant presso porta S. Andrea. (Not. id. , filza 11 , n. 228). — 1398 , 1 ott. Francesco di Trevisio e Cristofaro di Sales. (Not. c. s.). — i39^> 27 9-bre. M maestro Francesco de Trevixio abitante in Soxilia querela il collega Raf-faelo Burnengo (di Levanto?) per risarcimento della metà di 3 fiorini d’oro, che devono pagare insieme per mantenere un ripetitore comune di nome Leonardo di Tortona, nella villa di S. P. d’Arena. (Not. Cristofaro Revellino, Filza 14, n. 51 recto). — i39^> 12 &en· Per mandato del rettore Antonio di Ceva i maestri del collegio : Giovanni di Parma Guglielmo de Goasti, Francesco da Trevisio, Verono di Casale, Antonio di Valenza, Ludovico Goasti, Giacomo di S. Salvatore radunati promettono ad Oddone Malone lire 250 genovine pel corso da cinque anni purché durante questo tempo non eserciti l’arte magistrale nè si faccia sostituire da altri a suo nome per tutto il territorio delle tre podesterie e rinunzi ai diritti e agli onori del capitolo. (Not. Giov. Revellino , Reg. 2.0, pag. 193). — 1406, 10 febbraio. « Franciscus de Trevixio magister scolarum » promette ad Antonio de Bambellis di Milano di tenerlo nella sua abitazione in borgo S. Stefano dove è solito di fare scuola ed ivi mantenergli quanti scolari vi potranno capire, Antonio accetta promettendo di insegnarvi grammatica a quanti scolari potrà e di rilasciare la metà delle pensioni dei singoli alunni più lire dodici per la sua pensione. (Not. Lombardo di S. Stefano, fil. i.a, pag. in). — Del 1407, (8 8.bre) il detto da Trevixio va collega e coadiutore nelle scuole che Giacomo da Mansura ha in contrata Malcantoni (Not. id., 1. cit.). — 1415, 30 7.bre. « Franciscus de Trevixio, Iacobus de Sancto Salvatore et Obertus de Serafinis de Castronovo magistri scolarum gramaticae in civitate Ianue », si convengono con prete Francesco de Venturinis de Gragnola della diocesi lunense, che dal 1.0 ottobre p. v. e per un mese e mezzo starà a reggere la loro scuola a Cornigliano. (Not. Simone di Compagnono , fil. unica, c. 134). — 1407, 5 febbraio. Frane, de Tusculanis de Trevigio e Bal-dassare Rubeo de Portu maestri di scuola vengono a patti e fanno società per cinque anni. Il primo si obbliga a non tenere scuola « a ca- — 319 — tena bancorum (i) citra bancos eundo per scutariam usque ad palacium et versus portam S. Andreae usque in Sarzanum » ; il secondo di non ricevere nelle sue scuole di S. Giorgio scolaro alcuno che sia del suo collega; e di mettere un ripetitore a spese comuni nelle scuole loro dove si contassero più di 200 scolari. (Not. Lombardi di S. Stefano, fil. i.a n. 242). — 1415, 17 7.bre. Il maestro Ludovico de Pencio di Milano si obbliga a cedere e condurre i suoi alunni alle scuole dei maestri Frane, da Treviso di S. Salvatore e Serafino de Castronovo. (Not. Gregorio Labaino, fil. i.a, c. 151). — 1433 , 25 aprile. Il maestro Ant. de Bona si conviene di associarsi al maestro Giovanni Parmense per coadiuvarlo dividendosi a parti uguali i guadagni. (Ivi, fil. 2 a). — 1439, 28 8.bre. Il maestro Oberto de Serafinis di Castel-novo rettore delle scuole in Genova, essendo cognato del fu Baldassarre de Rubeis già docente nelle scuole di Bartolomeo da Parma maestro e a sua volta parimente rettore, promette a quest’ultimo dietro sua richiesta, perchè temeva gli fossero tolti gli scolari a causa della parentela, che da sei mesi in avanti non chiamerà nè accetterà più scolaro alcuno del defunto Baldassare , nè aprirà scuola in alcuna delle strade nelle vicinanze di Banchi. (Not. Paolo Recco, fil. 2.a). — 1452, 22 7.bre. Bartolomeo da Parma dovendo portarsi a Pavia incarica Gio. Massone parimenti rettore di supplirlo e gli pattuisce per compenso la metà del lucro che avrebbe percepito dagli scolari durante il periodo della sua assenza. (Ivi, fil. 5.a). — 1458, 25 gennaio. Vertenza fra il maestro Oberto Serafini di Castelnovo e il rev. padre francescano Ant. di S. Nazzaro parimente maestro. Entrambi avendo fatto scuola l’anno prima e sorte essendo questioni, vennero così composte. Antonio cede ad Oberto le scuole stesse cogli scolari, promettendogli che per tutto Γ anno non riaprirà scuole in Genova a conto suo, salvo a poter tornare in società come prima. L’Oberto poi avendo facoltà di esigere i crediti comuni per dette scuole , promette di pagarne la metà ad Antonio per 1’ anno in corso. (Not. Nicolò Garum-berio, fil. 15, c. 225). — 1471, 14 ag. « Petrus de Pergamo qm. guar-rischi gramatice professor » loca al maestro Pietro di Castelnovo le scuole cogli scolari « quas tenet et solitus est tenere apud S. Sirum in domo Ieronimi de Portu » per un anno , col patto che gli sia pagata la metà degli emolumenti. (Not. Battista Parissola, fil. 7.a. c. 379). — 1474, i marzo. « Franciscus de Dallo rector scolarum in Ianua » abita in Sosiglia. (Not. Lorenzo Costa, c. 84). — 1474, 3 giugno. « Simon Aradus q. Iacobi » promette insegnare grammatica e reggere la scuola di Pietro Torniello di Mellodio figlio di Guirardo fino a no- ti) La « catena bancorum » proteggeva dai carri e dai somieri i mercatanti che si radunavano in uno spiazzo laddove press’ a poco oggi ancora è la Loggia di Banchi. Si può anche argomentare che la gestione delle scuole fosse partita in due, da una parte le scuole della zona più orientale, dall’ altra quella della zona più occidentale. — 320 — vembre per poi rilasciargliela. (Not. Niccolò Raggi, fil. 5.a). — 1483, 12 ç.bre. I preti Nicolò de Varisio e Gerolamo de Camera avendo gli scorsi giorni retto le scuole pubbliche nella contrada di S. Ambrogio ed essendo ciò loro stato vietato dal rettore e dagli altri maestri reggenti le scuole in Genova « et maxime scholaribus latinantibus », per ubbidire al precetto fatto loro dal Vicario Arcivescovile , ad istanza dei maestri di grammatica rimettono detta scuola con gli scolari al delegato di detto Rettore meno 15 scolari « legenti a primo latino infra ». (Not. Pietro de Ripalta, fil. 3.a, c. 220). Elenchi di alcune scolaresche. I49S, !5 nov. — Infranotati sunt scholastici mei: videlicet: — Iohannes Franc, domini Baptistae Boragini. Legens Virgilium Ovidium etc. pro puero primo recepi solidos 20 et denarios 2 pro mensibus duobus : sed postea ita solvere non perrexit. — Santinus filius d. Georgii Boragini et Bartholomelinus filius d.ni Baptistae de Ricardis de Anciza artiumque medicinae doctoris : ambo pueri eodem modo legentes: pro quibus solid. 10 non recepi nisi sex. — Hieronimus Bernardi de Anciza aurificis. — Baptinus filius petri revenditoris holerum. — Baptinus filius Iuliani canevaterii. — Iohannes Augustinus et hieronimus filii Benedicti pellacii phrygionis. — Ioannes Franciscus filius murri porci. — Baptinus Simonis de Zoalia. — Ioannes Augustinus nepos Laurentii de passano aurificis : in activis omnes fere. — Fran-cischettus filius predicti M. Baptistae. — Thomas filius Gregorii Fi-nocchii. — Benedictus filius Lazarii Betterii cuncti tres in Donato. — Augustinus filius praedicti Baptistae in psalterio et Benedictus in tabella. — Ioannes Baptista murri porci in tabella. — Bartholomelinus petri Iohannis in psalterio. — Bernardinus Catherinae et perinis. — Thomas Francischettus in tabella; potius trocho apti quam litteris hi sunt. La lista termina con una specie di perorazione e col seguente poscritto : « Infantes predicti tabellam legentes ad scolam venire quandoque cessant »: segue indi la firma: « Riccardus de Riccardis de Ancisa in urbe Genue scolam publice regens gramatice ». Pro presbytero Stefano de la canava. — Iohannes de Egra nihil certi promisit pro doctrina fratris sui Carlini et Petri Pauli ejus filii qui componunt neutra. — D. presbyt. Ciprianus Basigalupus promisit sponte pro laurentino filio Stefani rattoni qui componit MS. (manu-scripta), s. VI. — Marchion de Vultabio promisit pro filio suo qui componit activa, s. V. — Magister Augustinus de Novis pro filio suo qui componit MS. promisit s. V. — Pantaleon Liminatus pro nepote suo qui componit MS. nondum promisit certam mercedem. — D. frater Iulianus de mari pro duobus nepotibus suis promisit s. V, qui legunt donatum. — Iohannes de Camulio pro filio suo qui legit psalterium — 321 — non pactum fecit. — Dominicus de monella non loquutus est mecum pro filio suo qui legit donatum. 1500. 4 Giugno. — Infra a me notati sunt Scholastici mei Ricardi de Ricardis de Auula. — Bartholomelinus et Francischettus filii eximii viri magistri Baptistae de Ricardis de Auula medici latinantes — quorum mercedis incertus sum: quia nepotes mei sunt. — Item Baptinus filius Simonis de Zoalio in activis — ejus merces non est solidorum IIIIor pro mense, quia pauper est. — Item Francischettus filius Ughiotti aurificis latinans in activis. - Item Augustinettus nepos dom. Laurentii aurificis de passano inops in activis. — Item Octavianus nepos dominae Mariolae uxoris magistri cultelarii donatum legens: inops. — Item Andrettus filius dom. Bartholomei Ritii in donato activa legens incipiens. — Item Hiero-niminus filius Bartholomei Pellacii phrygionis borderii : latinans in a-ctivis. — Item Catharinetta et Petrinus filii magistri Ioannis tonsoris de bernardis donatum legens syllabicandum. — Item Leonardinus filius Lazari berietterii : psalterium legens. — Item Laurentinus filius prosperi pelliparii de Camullio donatum legens syllabicando : quandoque. — Item Baptinus filius Pantalinis de Bruges tabellam legens. — Item Ieromettus filius Nicolinae uxoris qm. Iacobi Spinulae reven-ditoris vestium : tabellam legens. — Item Sebastianinus filius Bartholomei de Castelleto donatum legens: ex causa. — Item Togninus frater Baptini qm. Serafini de Sigestro orientali littore : in donato. — Haec est summa miseriae meae cui mihi Spect. et Insignes Domini patres Comunis Civitatis Genuae quantum adjuta fortuna sit satis animadvertere facile potestis ut adeo ad nihilum redactus sim : quum vix discipulorum merces meorum domus pensionem mihi suppeditare queat. Quocirca humanitati ingenti vestrae humiliter, suppliciterve me commendo. — Idem Ricardus de Ricardis de Auula grammaticae professor. d. v. servitor. Infrascripti sunt scolares magistri Martini de Vercellis. — Filii qm. Augustini Aurie, duo. — Filii qm. Ieronimi Aurie, duo. — Filii d.ni vescontis Aurie , duo. — Filius d.ni Augustini Aurie de Bruges. — Filii D.ni Lazari de Grimaldis Cebe, duo. — Filius d.ni federici Imperialis. — Nepos d.ni Baptiste Spinuli qm. Thome. — Nepos d. pauli Lercarii. — Filii M. Iacobi Sbarroie. — A quibus habet seu recepit soldos vigiliti in mense: excepto a filiis duobus Lazari de Grimaldis a quo habet ducatos decem in anno. Magr. Alexius et presbiter Lazarus Socii in edocendis pueris grece et latine. — Nomina sunt haec: Carlinus filius Angeli Cattanei, sol. X. — Hieronymus frater eius, sol. X. — Zanetinus Luchini de Marinis, sol. X. — Maximus frater eius, sol. X. — Ambroxius Io: Francisci palavicini, sol. X. — Cattaninus Bernardi Flisci, sol. X. — Io: franciscus frater, sol. X. — Franciscus Simonis Lercarii, sol. X. — Hieronymus petri de grimaldis nihil adhuc quia nuper venit : et cupit pro- Giorn. St. c Lelt. della Liguria. 22 — 322 — fiteri grece. — Io: Antonius Raphaelis Zini, sol. X· — Augustinus Hieronimi Merelli, sol. X. — Nicholoxinus Alexandri Sauli , sol. X. — Berthomelinus Simonis Caseli, sol. VI. — Domenichinus frater, sol. VI. — Antonius Io: Frane. Catanei, sol. VI. — Nicolinus frater, sol. VI. — Manellinus de Sancta Margar., sol. V. — Vineentius Bart. sol. V. — Benedictus Bernardi, sol. V. — Io: Iacobus pelegi de tur-riglia, sol. VI. — Io: Baptinus Martini Grimaldi, sol. VI. Discipuli Magistri Antonii Syllani. — Duo filii d.ni Luisii de Breverio pro graeco et latino, sol. 20. — Unus filius d.ni francisci sophiae sol. 10 , qui non solvit. — Unus filius d.ni bernardi de Castilgiono, sol. 10. — Tres filii d.ni daniellis Spinulae , sol. 25. — Unus filius d.ni mainerii notarii de recho, sol. 10. — Unus filius d.ni gregorii do-riae , sol. 10. — Unus filius d.ni Iacobi de maiolo , sol. 20. — Unus filius d.ni pauli dodoni , sol. 10. — Unus filius d.ni valentini furlani militis, nihil — Duo filii d.ni Marci Antonii Malvezii bononiensis militis, sol. 30. — Unus filius d.ni marci Spinule, sol. 10. — Unus filius d.ni baptistae doriae , sòl. 20. — Unus filius d.ni iacobi centurionis, sol. 10. — Unus filius d.ni baptistae notarii Semini, sol. 20. — Unus nepos d.ni hieronimi argenteorum vasorum artifex , sol. 10. — Unus nepos d.ni bernardi de Castigliono, sol. 10. — Unus nepos d.ni iacobi anxae , nihil. — Unus frater d.ni iohannis decrixio , sol. 15. — Unus filius d.ni pantaleoni grisoli, sol. 10. — Unus filius d.ni baptistae nostri vicini aromatarii, nihil. — Unus filius d.ni Andreae aromatarii, nihil. — Unus filius d.ni galeazii paschalis, sold. 10 — Unus filius d.ni hieronymi de negronis, sol. 15. — Duo filii magistri bartholomei arithmetici, nihil. — Tres fratres servorum amore dei, nihil. — Quidam pauperculus cuius presens nomen ignoro , nihil. — Duo filii d. ni-cholai preconis, amicitia, nihil. Pro presb. Stephanus de la canava. — Ioannes Andreas de Egra nihil certi promisit pro doctrina fratris sui Carlini et Petri pauli ejus filii qui componunt neutra. — D. presb. ciprianus basigalupus promisit sponte pro laurentino filio stephani rattoni qui componit ms., s. VI. — Marchion de Vultabio promisit pro filio suo qui componit activa, sol. V. — Magister Augustinus de novis pro filio suo qui componit ms., promisit, sol. V. — Pantaleon liminatus pro nepote suo qui componit Ms., nondum promisit certam mercedem. — D. frater Iu-lianus de mari pro duobus nepotibus suis qui legunt donatum , promisit sol. V. — Ioannes de camulio pro filio sui qui legit psalterium non pactum fecit. — Dominicus de monelia non loquutus est mecum pro filio suo qui legit donatum. Pro Magistro Alexandro de Ortingo Latinantes. — Matheus Dexi-derii de Mortario. — Iohannes Terami Baziani, sol. 10. — Gregorius Lodovici Spinulae. — Benedictus domini Constantini Aurie. — Ioannes condam Prosperi Lomelini et Bernardus fr. - Baatista Ciprianus — 323 — Gaspar magistri Pauli Gentilis , nihil. — Bertulumeus condam Lazari ^ome ini, sol. io. Andreas condam Baptistae de Levanto, sol. io. — Franciscus Iohannis Castilioni, nihil. — Pantaleus Benedicti de Rapallo, sol. io. - Gregorius Michaelis Pasque. - Baptista Gregorii de baco et frater, sol. 13, pro ambobus. - Hieronimus Desiderii ban-chern. - Frater Pantaleus Bartolomei Prezende et Ludovicus frater, sol. 10 pro singulo. — Baptista condam Francisci Spinule de Cabella. Iacobus et Martinus et Bertolomaeus de Nigro. — Antonius Berto-lomeus Semini, sol. 10. — Baptista et Petrus Luci Barsi cum fratre, so . XV pro ambobus. — Baptista Simonis Mastruzii, sol. X. — Pa-squalis q. Ioannis Molasanae. — Baptista Nicolai de Fuxena, nihil — Bertolomeus et Franpiscus Raphaellis Bozomi. — Iacobus Benedicti Senaregae. — Federicus d.ni Francisci Spinule — Iacobus Ioannis Antonii Cavatie. Magister Antonius Castilionus. — D.nus Stephanus Iustinianus pro duobus filiis. — D.nus Stephanus de Monelia pro duobus filiis — D.nus Lucas Iustinianus pro uno filio. — D.nus Francus Iustinianus pro uno filio , s. X. — D.nus Iacobus Iustininus pro uno filio , s. X. — D.nus Caesar Cataneus pro uno filio. — D.nus Sistus Lomelinus pro uno filio. — D.nus Thomas Iudex pro tribus filiis. — D.nus Nicolaus Pallavicinus pro duobus filiis, s. XVI. — D.nus francus de Levanto pro duobus filiis. — D.nus Stephanus Zanotus pro uno fratre. — D.nus Petrus de Promontorio, s. X. — Magister Gabriel de Ver-natia pro uno fratre, s. X. — D.nus Benedictus de Donodei pro uno filio, s. X. — D.nus Barthoiomeus de Sênarega pro uno filio. — Dominus Antonius Parmarinus pro duobus filiis, s. XV. — D.nus Andreas de Serra pro uno filio , s. X. — D.nus Matheus de Montenigro pro uno filio. — D.nus Iacobus Castilioneus pro uno filio. — D.nus Bapta de Opizalo pro uno filio. — D.nus Nicolaus Boccaleco pro tribus filiis. — D.na Marietina de Montesoro pro uno filio, s. V. — D.na Pometa de Castanea, s. V. Pro M. Nie.0 de Tivenia sive de Arcula. — Nicolaus Marinus q. Thome, s, 10. — Petrus Ivaldus q. Pauli, s. 10. Raphael de Maris d. Iuliani, s. 6. — Ilarius de Franchis d. Simonis, s. 10. — Ieronimus Curius d. Damiani. — Io. marie Ioncardus m. Barthol., s. 8. — Nicolaus Negronus d. Baldasaris, s. 20. — Bernardinus Lercarius q. Carli, s. 6. — Baptista Capharotus m. Bernardi, s. 7. — Iohanes Ferrarius q. Iacobi, s. 8. — Nicolaus Marinus d. Gaspari, s. 10. — Io. Franciscu^ Calvus q. Baptiste, s. 6. — Lucianus Lercarius q. Bartholomei, s. 8. — Baptista Corexole q. Melchionis. s. 6. — Ieronimus de S.° Blaxio m. Gasparis, s. 4. — Baptista Castilionis m. Placentini, s. 7. — Iacobus de Valdetario m. Antonii, s. 7. — Bertinus Castilionus m. Placentini, s. 7. — Franciscus Castilionus m. Placentini, s. 6. — Car-linus Grilus d. David. — Io. Augustinus Rebrochus m. Baptiste, s. 5. — Lazarus de Çlavaro m. Sentini, s. 7. — Thomas Nigronus q. Con- — 324 — · stantini, s. 7. — Augnstinus de Clavaro m. Martini, s. 5. Baptista Prato m. Antonii , s. 5. — Ieronimus de Diano m. Blaxn , s. 5. — Gregorius Pavarano m. Andree. — Ambroxinus Casaregius m. Benedicti. — Petrus Casaregius frater eius. — Gregorius de Recho m. Francisci, s. 5. — Antonius Cingolo q. Melchionis , s. 5. Raphael Castilionus m. Pauntini, s. 5. — Frane, de Levanto m. Baptiste, s. 5. _ Io. Franciscus Maine m. maneri, s. 5. — Chezinus de Ponte m. Barth., s. 5. — Andreas de Ceva m. Pauli , s. 5. — Bernardinus de Castro novo m. Antonii, s. 5. — Ieronimus de Fornovo m. raphaelis, s. 5. — Simon de Novis m. Petri, s. 5. — Antonius de Blaxio m. Ie-ronimi, s. 5. — Io. Marie Rato m. Dominici, s.5. — Paulus de Palmo m. Iohannis, s. 5. — Io. Maria de Castronovo m. Antonii , s. 5. — Iohannes de Valdetaro m. Antonii, s. 5. Gotardus Piuma m. Bar-tholomei. s. 5, — Iohanes Baptista Lercarius d. Aluixi , s. 5. — Antonius Montaldus d. Raphaelis, s. 5. — Franciscus Lercarius d. Iero-nimi, s. 5 — Antonius Palmarius d. Ieronimi, s. 5. Laurentius Ga-votus m. Sentini, s. 5. — Ieronimus Canevarus m. Raphaelis, s. 5. — Petrus de Rapalo M. Antonii, s. 5. Magister christophorus de corvaria qui manet in domo d.ni Francisci Musce a quo habet tamen mansionem habet infrascriptos disci-dulos dantes singulis mensibus infrascriptam mercedem. — Et primo: — Iohannes filius d.ni Francisci Mosce. — Dominicus , Maxinus et Lucas fratres et filii d. Nicolai ritii singulis mensibus, s. XII, den. VII. — Genesius filius Baptiste de Clavaro, s. VII. — Antonius filius Bernardi de Castiliono, s. VII. — Franciscus filius Raphaellis Gazi. s. VII. Pantalinus filius Iohannis Facii, s. VII. — Gregorius et baptinus fratres et filii domini Angeli de corvaria , s. XV. —'· Iohannes Baptista filius Christophori de Torrilia. s. VI. - Franciscus filius Augustini Capharoti, s. V. — Iohannes Baptista Bartolomei de Valt, s. V. — Franciscus filius....... de Casa. s. V. — Lucianus filius Lazari Ritii, s. VII. — Franciscus filius Lazari Ritii, s. VII. — David filius Iohannis de Corvaria, s. V. — Nardinus et augustinus fratres et filii domini Franchi de Godano, lib. 1. Baptista filius Antonii de Clavaro, s. VI. — Franciscus filius Baptiste filaterii, s. VII. — Andreas filius Bernardi de Costa, s. VII. - Benedictus filius Nicolai Tabonie, s. V. _ Antonius filius Baptiste de Segestro, s. IIII. Franciscus filius Dominici Musti, s. V. — Nicolosinus filius Bartolomei, s. V. — Hiero-nimus filius Antonii de Taro, s. V. Pantalinus filius Iohannis Canova, s# vn# — Antonius eius filius, s. V. — Gregorius qm. Nicolai Rabie, s. V. — Bartholomeus filius Angeli de Levanto, s. V. — Andreas filius Mathie Framure , s. VI. — Viantius filius Baptiste de Vergono, s. V. — Laurentius filius Blasii Benedicti , s. VI. — Matthias filius d.ni Bernardi Casele , s. VI. — Nardinus filius Gabriellis de Sangui-neto, s. V. - Baptinus filius Iacobi de Rapalo, s. V. — Petrus Maria filius Stephani , s. V. — Franciscus filius Donati Marci, s. VI. — — 325 — Bartholomeus filius augustini Boneventure. — Bartolomeus filius Mat-thei Rocatagliata, s. V. Rescriptum pro d.no Baptista de Luinario. — Franciscus et Iacobus filii d. Pauli Sauli solvunt singuli in singulos menses solidos viginti sine ulla pactione sive, 1. i. — Hieronjmus filius d. Nicolai Lomelini solvit in singulos menses solidos viginti sive, 1. i. — Hieronjmus filius d. Petri Boeti solvit, sol. sex. — Baptista filius d. Gulielmi de Monacho solvit, s. io. — Io : Franciscus et Augustinus filii d. Philippi Spinole solvunt ambo in singulos menses, 1. i. — Franciscus filius d. Dominici de Marinis solvit, 1. i. — Petrus Iohannes filius qm. Petri Iohannis de Ceva, 1. i. — Berthomelinus filius d. Leonardi carizani, solvit, .. i. — Marcus filius d. Benedicti de Usumari solvit, s. io. — Hieronymus f. d. Nicolai Brignolis solvit, s. io. — Christophaninus cum fratre filii d. Raphaelis de Frascarolis solvunt, 1. i s. 5. — Iohannes filiUs d. Raphaelis de Odono solvit s. 12. — Paulinus filius d. Stephani Cigalle solvit s. 10. — Stephanus filius d. Laurentii de For-nariis solvit s. 15. — Barthomelinus filius d. Andreae de Pastine solvit s. 10. — Iohannes filius d. Lazari Coste. — Octavianus f. d. Mar-chionis Imperialis solvit s. 10. — Simon et Stephanus filii d.ni Augustini Mortarii solvit. — Io. Augustinus et Mathelinus filii d. Raphaelis de ferrariis solvunt ambo 1. 1. — Tres filii d. Iacobi de Nigro 1. 1 s. 7. - Dominicus filius d. Hieronymi Fornarii solvit s. 15. — Geor-gius filius d. Io. Petri de Piro, s. 5 — Gregorius filius Augustini Ca-rege. — Thomas filius vel nepos d. Iofredi de Rosecho , s. 10. — Bapta filius d. Baldassaris Catanei, s. 15. — Melrasinus filius d. Nicolai Merlasini solvit s. 10. — Io : Baptinus filius d. Hieronymi de Costa solvit s. 15. — Io: filiùs d. Bapte Senaregae solvit s. 5. — Ba-stianus filius d. Pelegrine de Oliva solvit s. 10. — Io : Franciscus filius d. Nicolai de Monte Aguo solvit s. 10. — Hieronymus filius d. Bernardi Venerosi solvit s. 10. — Ioannes filius d. Iacobi de Folle. — Lazarinus filius d. Nicolai Carabili, s. 6. — Ioannes filius d. Bernardi de Montano , s. 8. — Antonius de Io: Cadere, s. 8. — Hieronymus filius d. Bartholomei de Caze s. 8. — Bernardolus et Batinus filii d. Io; Mariae de Pegli ambo, s. 16. — Augustinus filius d. Manine de Veneroso, s. 8. — Bapta filius d........Bolgani. — Laurentius filius d. qm. Antonii Foche, s. 8. — Obertinus filius qm. Cosmi Scoar-zafici, s. 7. — Petrus Iohannes filius d. Cosmi de Abatibus, s. 10. Magistri Simonis Arada de Clavaro. — Ieronymus Richeme d. Raphaelis lanerii. — Iacobus Vanotus Petri coralerii. — Io. Baptista de Roboreto Antonii lanerii. — Baptinus de Sigestro Antonii lanerii — Panthaleo calegarius qm. Marchini — Nicolaus Bossius qm. Gregorii lanerii- — August. speciarius olim Baptiste. — Nicolaus de la bona coralerius Baptiste. - Barth. de Octono Baptini mulaterii. — Nicolaus Cicadis Bart. carzatoris. — Aug. de Mediolano Martini acimatoris. — Rainaldus de Campodezasco Nicolai textoris velutorum. — Simonetus — 32Ò — de Levagio Ambrosii textoris. — Ant. de Pralio Baptiste textoris ve-lutorum. — Petrus Finarius qm. Bernardi de burgo bisannis. — Bar-tholomeus de Alio Iohannis tabernarii. — Ioannes Maria lupus blancus qm. Pauleti. — Iacobus de Palio Bernardi textoris cinctorum. — Bar-thol. Sicius Iuliani furnarii. — Io: Antonius de Arada Stephani furnarii. Lazarius sutor Nicolini de Recho. — Bertolus sutor Dominici de Fronti. Franciscus barberius Petri Bergazane. — Pasqualinus Fontana Marchi textoris. — Philippus de Plazia Bernardi textoris veluto-rum. — Ieronimus de Zoalio Antonii filatoris serici. — Michael Botus nunc infirmus Antonii. — Leonardus bancararius Bernardi de Cucurno. — Baptinus de Burgonovo Bartholomei tabellarii. — Ampelius Vitre-rius Baptini nepos. — Minetus Bochardus Benedicti molinarii. — Baptinus de Plazia nepos Bernardi calciolarii. — Baptinus Columbinus Dominici textoris velutorum. — Bartholomeus Felupacii Ieronimi lem-bularii. — Augustinus de Brignolis Lazarini acimatoris. — Pauletus maxacanus Angeleti — Costantinus de Cazasco Iuliani barberii solus solvit soldos quinque pro singulo mense. — De psalterio scolares decem in circa. — De tabula circa totidem. Notati scholares presbyteri Dominici Alberici. — Tres filii d.ni Benedicti de Grimaldis D.ni Iohannis Bapte. — Unus filius d.ni Georgii de Grimaldis. — Unus filius d.ni philippi Spinulae. — Duo filli d.ni Bernardi Centurionis. — Duo filli Francisci de Plebe. — Unus filius Iohannis de Bobio. Haec sunt nomina scolasticorum p. Dominici de Sarzane. — Hie-ronimus, Sistus de Monella fratres, sol. 20. — Stephanus Cattaneus. — David , Antonius, Christophorus , Gregorius fratres et filii Martini Pasalii sol. 30. — Andreas de Mari, Iacobus eius frater filii Cipriani de Mari sol. 16. — Raphael Pernix. — Franciscus, Hieroni-mus, Io: Maria alii Stephani Turbini sol. 15. — Ludovicus, Raphael filii Damiani de Riparolio. — Baptista de Vitalis, sol. 7 — Bernardini. — Christophorus Merelus, sol.’ 6. — Thomas de Pasolio. — Stephanus frater. - Hieronymus, Baptista, Augustinus filii Benedicti de Grimaldis. — Stephanus, Io : Bapta filii Georgii de Grimaldis s. 15. — Antonius, Gregorius filii Bart. de Nahono. — Hieronymus de me-zano. - Dominicus Dominici de Ponte. — Antonius Vincentius filii. — Bapta Iacobi de Sigestro, sol. VII. - Ant. de Micono. — Io: franciscus Magistri Martini Gatti. — Bartholomeus Spinula , s. VIII. — Iacobus Marchexius, s. V. — Iacobus Pelicianus, s. VI. — Iacobus filius Gregorii de Rosano. Discipuli Ioannis Mattei lunensis. — Benedictus Iustinianus , s. X. — Fabianus Iustinianus, s. X. — Franciscus Chiarellus, s. X. — Philippus Canus, s. X. - Ioannes Andreas Gropallus, s. X. — Ioannes Augustinus Facius, s. X. — Vincentius Canus, s. X. — Lucas Canus s. X. — Franciscus Mechotus, s. XV. — Ioannes Gerardus, s. XV.* — 327 — — Ioannes Baptista Cataneus, s. XV. — Paulus Delphinus, s. XV. — Vincentius Bulgarus, s. XV. — Ioannes Rechus, s. XX. — Ioannes Bancus, s. XX. — Gregorius Podius. — Petrus de Coronato. — Ioannes baptista garibaldus minore precio hoc est amore dei. ...........(i). — Ieronimus q. Bertolomei Bargalii, s. io. — Antonius q. D.ni Iohannis Spinulorum de Insula. — Bartolomeus D.ni christofori spinule. — Franciscus Dominici de Sigestro, s. io. -Ambroxius Leonardi Roze cum fratre, s. 16 pro ambobus. — Baptista Petri de Camulio cum fratre, s. 15 pro amb. — Franciscus Stephani Frascarie. — Thomas Petri Antonii Moroti, s. 10. — Ioannes Franciscus Marci Porei, s. 8. — Baptista Pel veri Piliaschi cum fratre, s. 15 pro amb. P Mateus Iacobi Molini cum fratre. — Baptista Bartolomei bancherii. — Augustinus Bertol. Veneti. — Thomas Iuliani de Cuneo. — Paulus Ieronimi de Loco. — Franciscus Domini Iacobi de Faro, s. 7. — Cristoferus Iohannis de Terile, s. 8. — Baptista Antonii de Franchis cum fratre. — Vincentius Filipi Lavanie. — Bertolomeus Simonis Fontane Rubre, s. 7. — Simon q. Antonii de Puteo. — Baptista Simono de Novis. — Paganinus Iohannes baptista de ferrariis, nihil. — Ieronimus Augustini Cavatie, s. 8. — Cristoforus Zenexii de Rapalo. — Bernardus Gregorii de Camulio, s. 5. — Antonius Nicolai de Levanto, s. 5. — Benedictus Iohannis Linteto, s. 5. — Ieronimus q. Leonardi de Manerio cum fratre. — Petrus Iohannis Baptiste de Clavaro. — Ieronimus Iacobi de Firinta, s. 5. — Iohannes Augustinus Batiste de Gavio, s. 5. — Baptista Iacobi de Porta. — Batista Francisci de Gavio, s. 5. — Antonius Filipi de Castelaro , s. 5. — Lucas Bertolomei de Insula. — Augustinus Baptista Boraxini cum fratre s. 5 singuli. — Benedictus Iacobi de Castelo, s. 5. — Iohanne Martini de Roca, amore dei. — Paulus Angelete de Clavaro,· amore dei. — Ber-tinus de Canavisio, nihil. — Simon de Franchis, s. 5. Domicilio i?i Genova di vari maestri sul principio del sec. XVI. Sacerdotes collegiati: p. Iacobus Ansermus prepositus in Sancto Georgio. — p. Antonius Zerbus apud S. Matheum. — p. Gotardus de Novis in claustro S. Laurentii. — p. Sebastianus de Tabia apud Vineas. — p. Nicolaus de Cabella apud S. Paulum. — p. Antonius de Dertona in Sancto Marcelino. — Magistri non collegiati : Maxellus Beneventanus apud Rosam Suxilie. — Iacobus Silanus in domo Baptista de marchese. — Nicolaus de Arcula in platea fatinanti. — Alexander Parmensis apud S. Genexium. — p. Dominicus de Pastina a-pud pontem Spinulorum. — p. Iacobus Lunensis apud pontem cote-lariorum. — p. Lazarius de fornovo apud Saulos. p. Bapta Superbus in eodem circulo. — p. Bernardus massocus in Valloria. — p. pe- (1) Mutilo in principio. La lista è intitolata per repetitorem. — 328 — trus de Rimazorio in cacumine plani. — Altri maestri : Ricardus de Auula in Campeto. — Simon Aradus de Clavaro in vico ripe alte. — Alexander Mantuanus in plateola ultra Suxiliam. — Baptista Lavinarius in platea Cicadarum. — Martinus de Arquata apud Augustinum de Auria. — Franciscus de Clavario in vico Marufforum. — Lodixius de Arquata in domo D.ni Potestatis. — Iohannes Matheus de Villa in porticu qm. Petri cte Ripalta. — Cristophorus de Crovaria a tergo d.ni Oberti foliete. — Antonius de Castiliono apud plateam Iustiniani. — Bapta de Aquis a tergo Francisci et Dominici Centurionum. — p. Bart.meus de Camulio in Sancta Cruxe. — p. Laurentius Durante in S.cta Maria gratiarum antiqua. — p. Laurentius de Borzengio apud logiam pica petre. — p. Augustus de pasano in porta nova. Angelo Massa. VARIETÀ GIUNTE AL LESSICO DELL’ANTICO DIALETTO LIGURE (DAL « LIBRO DE LA MISERA HUMANA CONDICIONE ») (i). acegar 134, accecare; Giamb., p. 28, abbagliare, aconcordeuer 138, concorde: a zo che l’ incomenzcimento chi e povero e Ila firn pouera seam aconcordeuer a lo mezo. adrizzar 173, indirizzare; v. , con significato evoluto, adrizare, racconciare (adrizare vias), in G M L, p. 14. (1) Come ho dimostrato negli Studj di Filologia Romanza (vol. IX, fase. 26), questo libro, conservato nel cod. 31-3-23 della Biblioteca della Missione Urbana di Genova (sec. XIV), è, per la maggior parte, una traduzione letterale della Miseria dell’Uomo di Bono Giamboni. Riguardo alla compilazione del mio breve lessico — dove ho raccolto solo i vocaboli che non occorrono nel lessico del Flechia (Archivio Glottologico II., vol. VIII, p 317 e sgg.) e nel lessico del Parodi (ib., vol. XV, p. 42 e sgg.), e quelli che, pur trovandovisi notati, presentavano notevoli differenze di forma o di significato — avverto che, per renderlo più metodico e utile, mi son valso della corrispondenza del libro con l’originale in volgare toscano e, per quanto era possibile, con il De Contemptu Mundi di Innocenzo III, fonte prima e mediata dell’ opera, mettendo cosi in evidenza anche quei pochissimi casi nei quali si può agevolmente sospettare che il traduttore, anziché attingere al proprio patrimonio dialettale, abbia soltanto atteggiato i vocaboli toscani secondo le norme del dialetto ligure. — Il numero accanto rimanda alle pagine del codice. Ho usato del Giamboni, citando, l’edizione Silvestri. Le sigle G M L, L P, L F, S D P, si riferiscono rispettivamente al Glossario Medievale Ligure di Girolamo Rossi, Torino, 1896 ; al lessico Parodi, al lessico Flechia, e al lessico dell’antico dialetto pavese ed. dal Salvioni nel Bollettino della Soc. Pav. di St. P., anno II , 1902 , p. 218 e sgg. — 329 — afrezarse 145, Giamb., p. 48, affrettarsi; cfr. afrezasse in Arch. Glott., Ili, p. 276, e afreçar, ib. X, p. 252. agno 170, anno, come tyragno da tyrannus, in libro 176. agogia 141, Giamb., p. 40, ago; cfr. lomb. aogia in Arch. Glott., XIV, p. 205; genov. odierno agoggia (Diz. CASACCI A). Per l’etimologia, v. il Lateinisch. roman. Wôrt. di G. KòR-ting, n. 125. alogar 135, collocare; Giamb., p. 31, alluogare; gen. od. allûgâ. alygar 120, legare; Giamb., p. 31, allegare; Innocenzo III, D. Cont. Mundi., cap. IIII, lib. I, alligare. amanystrar 146, Giamb., p. 50, amministrare, amassar 135, Giamb., p. 32, radunare; cfr. lomb. in Arch. Glott., XIV, p. 205. angustiar 137, radunare, raccogliere in luogo angusto: angustiar aitey, radunare ricchezze, araysarse 174, radicarsi, aseruir 139, obbligare: eli e aseruio a far. asignar 157, Giamb., p. 64, assegnare, asminuir 116, diminuire, Giamb., p. 5, schencire. assinar 117, assassinare, più volte; ma, nelle Rime pubbl. dal Parodi in Arch. Glott., X, 109 e sgg., sempre asa-xinar, asaxim. asto 152, astio; Giamb., p. 58, malanimo; dal lat. astus. auillir 145, Giamb., p. 37, avvilire, auisteça 148, avvedutezza; cfr. uisteça in L F, p. 403, e auisto in L P, p. 49. babio 137, Giamb., p. 35, talpa; scomparso forse nell’od. gen., si trova, con significato diverso, nell’od. piem., babi, rospo, intorno al quale v. Flechia, Arch. Glott., II, p. 34. Il gen. od. ha però bagio, rospo ; e nulla vieta di credere che il trad. designasse la talpa col voc. babio per certe a-nalogie fra i due animali. bresca 150, favo; Giamb., p. 55, fiale. E probabile qui un fraintendimento del traduttore. In GML, p. 28, è notato bresca per favo, dal lat. bnsca. Cfr. Kòrting-, n. 1578 e le osserv. di' Wagner in Arch. Stor. Sardo, I, 143. brutezo 130, bruttura, putridume; cfr. brutecium in G M L, p. 29. caualaria 168, milizia; Giamb., p. 77 , cavalleria; De Cont. Mundi, cap. XX, lib. I, militia. chioder 152, Giamb., p. 58, chiudere. — 330 — chioenda 146, chiudenda, Giamb. , p. 50, siepe; cfr. çoendam in Lessico lat. del Parodi, Arch. Glott., XIV, p. 21. circumdare 143, andare attorno: corno li fanti chi uam circumdando; cfr. circondo, d’attorno, in L P, 54, circun-damento in Arch. Glott., X, p. 581; e circundare in S D P, P· 35· cobia 179, Giamb., p. 60, coppia; cfr. cobia in G M L, p. 38, ma con altro significato. compreyso 134, offuscato; compreyso de luxuna; Giamb., p. 28, compreso. commonie 136, Giamb., p. 32, comunanze, comunali 160, membri di un comune ; cfr. comunaha in G M L, p. 40. conzunzimento 146, Giamb., p. 50, congiungimento ; cfr. zunçe in L F, p. 406. cosha 122, Giamb., p. 15, coscia, culto 156, corto: la uita culta. dangier 166, danno, pericolo?: d’esser agraué... per le soe inimistae e de lo so dangier. delicarsse 162, Giamb., p. 73, lisciarsi, desangualitae 139, disuguaglianza ; cfr. enguar in L F, p· 350. desaventura 141, disgrazia. deschiarar 119, chiarire, far luce: deschiarar soura la miseria. descorrer 116, Giamb., p. 5, scorrere, desdegnamento 134, disprezzo; Giamb., p. 29, disdegna-mento. desgerir 155, Giamb., p. 62, digerire, deslià [r] 165, sleale; cfr. delear e deslegai in L P, p. 57· destemperao 124, Giamb., p. 17, stemperato: logo destem-perao a Vayre de questo mondo; cfr. destemperanza , inclemenza del tempo, in L P, p. 58. destergar 178, purificare, dal lat. detergere (cfr., per il prefìsso, descrescenza dal lat. decrescere in L F, p. 346) con lo scambio della coniugazione. desuegnir 126, venir meno, svenire. diputao 146, ascritto assegnato ; la soa famigia, la qual si e diputaa a lo so seruixio; Giamb., p. 49, diputato. dobio 151, Giamb., p. 56, doppio; cfr. indietro cobia. — 331 — dona 156, padrona; de dona deuem sema. eninuidia 153, invidia; per il prefisso en, cfr, encernue in L F, p. 350. escha 119, Giamb., p. 10, esca. estrepir 125, indebolire: la negieza.... Il’ odora estrepisse e Ilo thocar asì ; GlAMB., p. 20, scipidire. temente 131, adirato , furioso , f eruenti contra le cosse temporale. fiacoxa 125, fiacca, debole: uoxe fiacoxa. fiaroxa 155, con fiato putente; Giamb., p. 63, fìatosa. figura 127, Giamb., p. 22, similitudine letteraria, floo 135, Giamb., p. 31, frode. frachè 163 , fiaccate, fragili; cfr. fraso e frazo in L F, P· 354· b frandigi 125, fradici (cariati?): dentifrandigi; Giamb., p. 20, fracidi; cfr. intropicho, più innanzi, frau 151, frode. frauego 127, Giamb., p. 22, fabbro; cfr. frauego, orafo, in G M L, p. 115. fro 179, frode. furtà 158, rubare; v. /urtare in De Bartholomaeis, La Leggenda dei Dieci Comandamenti, in Studj di Fil. Rom., vol. Vili, p. 39, v. 127. fredor 127, Giamb., p. 22, freddo. gota 162, goccia dal lat. gutta, v. invece gota, guancia, in L P, p. 62. graseza, 121, Giamb., p. 13, grassezza; invecegraxura, in L F, p. 357. guastar 148, dissipare; guastaor, 148, dissipatore, scialacquatore; Giamb., p. 52, guastatore. impachiar 151, Giamb., p. 56, impacciare; cfr. impailià in L F, p. 36; impachiar (lomb.) in Arch. Glott., XIV, p. 289; e impazato in S D P, p. 39. incontro 127, intoppo; Giamb., p. 22 , rintoppo ; v. incontrar, andar contro, in libro 173. indura 177, persistere; cfr. ese indurao, in L F, p. 350. infenzerse 128, fingere; Giamb., p. 25, infingere, inrucinir 142, arrugginire; cfr. ruzenento in L F, p. 385. insirir 178, innestare: la feria (ramo) de che elio insirì I' erboro. intropicho 137, 130, Giamb., p. 35, idropico. — 332 — inuegir 161, invecchiare. inurio 156, ubbriaco; Giamb., p. 64, ebbro; cfr. enuno in L P, p. 60; v. pure il Kòrting-, op. cit., n. 2751. inzegno 155, artifìcio: inzegni de mandaoy; Giamb., p. 62, ingegno; v. inzegno, intelletto, in L P, p. 65. lagnoso 126, lamentoso; Giamb., p. 20, lamentevole; cfr. lagno in L F, p. 362. largeza 152, larghezza; Giamb., p. 58, liberalità, laudo 148, Giamb., p. 55, liuto; v. laudus, con il significato di nave, in G M L, p. 69 , dove per liuto si ha invece leutus; da corregg. probabilmente in leudo. leame 162, letame. lendene 123, Giamb., p. 15, lendini, dal lat. lendes ; v. anche De Cont. M., cap. IX, lib. I. leytere 162, lettiere, giacigli (di animali). limoso 121, Giamb., p. 12, limoso. liotae 179, lealtà, vincolo?: lei liotae donda elli se som aligay. lombrigom 123, insetti; Giamb., p. 15, lombrichi; v. lombricos in De C. M., cap. IX, lib. I. maluaxe 141, Giamb., p. 42, malagevole: à lo rìcho mal-uaxe uia a intrar in lo regno de cel. mangia 146: li conuì e li mangia; Giamb., p. 62, ban-chetti. marina 128, guastare; Giamb., p. 24, menovare, c r. mairinna in L P, p. 66. marcè 164, mercedi: se tu te troueray wipnxonao e uenzuo in man de I’ inimigo, conuerate star cun elio a e soe marce. mescià 155, mescolato: cosse mesciae; Giamb., p. 62, miscugli; gen. od. mescla. nabicadenasor 162, Giamb., p. 72, Nabucodonosor. nauiri 165, navigli. negligentar 152, Giamb., p. 58, neghettire. ^ niure 162 , Giamb. , p. 72, nuvole; cfr. niuola in L P, p. 69. nogença 146, conoscenza: ben nogença, riconoscenza, odia 150, udito, sost.; Giamb., p. 10, udire, ogio 133, Giamb., p. 27, occhio; cfr. oio in LF, p. 374· olitoxo 123, aulente: cosse olitoxe; nel Giamb., p. 15» corrispondentemente : soavissimi odori. — 333 — orar 117, Giamb., p. 7, pregare; v. S D P, p. 43· ordenar 130, obligare: unde le cosse brute som ordenà a star. otragio 125, oltraggio. ouerar 130, adoperare: ouerondo li remedy. paom 4, Giamb., p. 7, pavone, parentao 146, parentado, pareyse 145, Giamb.. p. 48, palese, passar 116, sopportare, dal lat. pati, passus: lo sauio no se dole per morte de caro amigo, ma zo passa secondo che se conuem; Giamb., p. 5, sofferire, pecunia 142, Giamb., p. 42, pecunia, perfecto 153, perfezione: cfr. perffeto in L P, p. 71, che il Parodi pensò di sviluppare in stao perffeto\ però abbiamo anche tranquillo, 171, tranquillità. pertem 175, appartiene, conviene, dal lat. pertinet: a ti perteni far inver lor la satisfaciom che ti g* e tegnuo. pesso, pisso 130, pesce ; plur. pis si, pisor, pisoy , 155, pisci, 121, pessi, 138; v. Arch. Glott., vol. IX, p. 251. pigogi 123, Giamb., p. 15, pidocchi, prexom 130, Giamb., p. 13, carcere, prigere 161, istanze ; v. prigera, istanza, in G M L, p. 79. profecto 145, 151, profitto; Giamb., p. 49, prò’; cfr. proffeto in L P, p. 71. recorrere 133, riandare : recorrere quello eli el a impresso (appreso); GlAMB., p. 28, rincorrere. recuuerare 131, ricuperare; recuuerare la grada de deo; cfr. recovrare in Arch. Glott., vol. Ili, p. 282. requesta 147, domanda; cfr. require in L F, p. 384, reuerso 122, capovolto; Giamb., p. 5, travolto, reyname 119, regno: reyname de cel. rumegar 146, ruminare, volgere in mente, ma in senso cattivo; da nimicare, cfr. Arch. Glott., vol. II, p. 7. sagolò 155, Giamb., p. 62, satollo; cfr. saollar in L P, p. 74. saluago 178, selvaggio: a descazar lo saluago fritto. saluosa 172, salvabile, suscettibile di salvezza: pero che la personna sea saluosa per uia de uirtude. sceyue 157. fievole; Giamb., p. 66, debole; cfr. xeiuer e seiuer con ugual significato in L F, pgg. 4°3 e 3^8· — 334 — schenge 157, Giamb., p. 66, scherni, scusare 125, evitare; Giamb., p. 20, schifare, segurarse 167, addolorarsi: e bem e zego (cieco) cinse se- gura per ecc...... sezamenti 157, ciecamente; ved. cego in L P, p. 53. sexe 151, Giamb., p. 56, sei, che conferma la correzione Parodi in Giorn. Lig., XIII, p. 24, al L F, p. 389. smaxì 155, Giamb., p. 62, smaltito, smeuegnui 134, Giamb., p. 28, venir meno; la fonte prima, il D. C. M.f cap. XIII, lib. I, ha minus inveniet. soperchio 155, Giamb., p. 54, superfluo; cfr. soperzhoso in L F, p. 390, e soperzho in L P, p. 77. SOtàm nò, sotterraneo; Giamb., p. 5, sottano. soureprixio 134, sorpreso; Giamb., p. 28 , sovrappreso; cfr. sourepreyso in libro, 164, e soureprexi in L l·, p. 391. sourestar 136, soffermarsi; Giamb., p. 33, soprastare; vivo, con identico significato, nell’od. gen. ; cfr. sourestar in S D P, p. 48. spachiamento 164, liberazione; cfr. od. gen. spacciamento, identico per il significato, spongia 127, spugna. stocho 142, stocco; Giamb., 42, coltello aguzzo; cfr. sto-chutn in G M L, p. 133. strayneyo 148, straniero; ma anche stranyno, e stranyo, passim; cfr. stranio in S D P, p. 49. strepedisse 155, Giamb., p. 62, istipidisce; strepedisse la soa uatura. temperamenti 142, Giamb., p. 42, temperatamente, temporalmenti 147, opportunamente: lo sauio temporahnenti si n aviaystra; cfr. temporii in L F, p. 397; e temporia in Studj di Fil. Rovi., voi. VII, p. 131. terminar 130, confin .re, obligare a star dentro certi limiti : unda Γanima si e termina a star. tigora 116, correggerei in tignora ; Giamb., p. 4, ti-gnuola. too 122, Giamb., p. 15, fusolo del pedale della pianta; v. truncus nel D C M, cap. IX, lib. I. tranquillo 171, Giamb., p. 6, tranquillità: no am reposso ni tranquillo. trauagi 135, tormenti; Giamb., p. 30, travagli; cfr. tra-uaiamento in L P, p. 79; e travaglia in S D P, p. 50. — 335 — tromentar nò; Giamb ., p. 5, tormentare, ugua 119; Giamb., p. 11 uva; od. gen. uga. uaga 133, gradita?: auegna che ella sea grande fayga, ma ella si e monto uaga e naturai a V 07U0. uayrese 125, valersi: e quando ella uorea uayrese, no po... ecc. uer 151, da corregg. forse in ueer, vedere : cfr. uedeir in L P, p. 80; e ueser ib. uengianza 174, vendetta; cfr. it. vengiare; v. il KòRTlNG, n. 8736. uiola 148; Giamb., p. 55, viola. Francesco Luigi Mannucci. LA STAMPA ORIGINALE DELL’ODE A LUIGIA PALLA VICINI. La prima edizione di questo componimento venne ritenuta fino a qui quella pubblicata nel Nuovo Giornale dei Letterati di Pisa l’anno 1802 (1); senonchè il Carrer nella vita del Foscolo notò che « riavutasi » la Pallavicini « si volle cantarne la guarigione, e parecchie poesie vennero in gara. Primeggiò quella del Foscolo » (2). Le quali parole possono appunto accennare a varie poesie sul medesimo argomento, pubblicate con l’ode foscoliana. Tuttavia le ricerche per trovare questa stampa originale erano rimaste senza effetto ; gli stessi giornali contemporanei, i quali s’erano affrettati man mano ad annunziare V Ode a Bonaparte e il Discorso del Foscolo, le Poesie leggere del Petracchi, e il Papagalletto del Ceroni, opuscoli usciti a Genova dal novembre 1799 al marzo 1800, non avevano fatto alcun cenno delle poesie scritte per la caduta della Pallavicini. Questi risultati negativi ci fecero porre in dubbio l’attendibilità delle informazioni fornite dal Carrer, poiché nè il tocco intorno alla Pallavicini fatto dal Ceroni nel Pappa-galletto, nè il ritratto di lei inserito dal Petracchi nelle so- (1) Pisa, dalla tip. della Società letteraria, vol. IV, pp. 116 sgg. (2) In Prose e Poesie di U. F., Venezia, 1842, p. xxxi. — 336 — pra ricordate Poesie, ci presentavano elementi propri a costituire i termini di una gara di poeti sulla fatale caduta (i).. Ora invece dobbiamo ricrederci e dare piena ragione al biografo del Foscolo. Infatti ci è venuto a mano un opuscolo, il cui titolo è il seguente: Omaggio | a Luigia Pallavicini I — Genova, Anno 8. | Stamperia Frugoni. E un piccolo 8.° in carta azzurrognola di pp. 32; e contiene sei componimenti, i quali, salvo il primo , si riferiscono alla caduta: gli autori sono indicati alla fine di ciascuno dalle sole iniziali (2). Un F. G., che apparisce il raccoglitore del manipolo poetico, si volge con quattro strofette alla Pallavicini così : Questi cui vita diedero Spirti alle muse cari Ingenui versi teneri Dal nome tuo più chiari In dono io t’offro; e vorrebbe che le dicessero tutto ciò che il suo labbro non sa esprimere dinanzi alla bellezza di lei. A qual nome rispondano le sigle non sapremmo rilevare ; ci è venuto subito alla mente quello di Francesco Gianni, ma ci è sembrato doverlo escludere , perche egli certo non avrebbe scritto : ... a me d’estro pindarico Chiuse natura il fonte, Nè fatidico lauro Mi circonda la fronte. Nel divisato argomento si entra con gli Sciolti di Γ. C., il quale invita Elisa a sorgere « dalle ingrate piume », rifatta bella, per opera delle Grazie : Più leggiadra di Venere ti mostra In tua diva beltà; ti guardi e frema La mal repressa femminile invidia; Nè sulla guancia dall’amor tornita Nè sulle labbra voluttà spiranti, Trovi la sanguinosa orma crudele. Impreca al luogo dove avvenne tanta disdetta: Nefande rupi, che al gentil sembiante Oltraggio feste, a voi lenti ed obliqui (1) Cfr. La caduta di L. P. in Giornale stor. e lelt. d. Liguria, a. V, p. 129. (2) Si conserva nella Biblioteca Brignole-Sale di Genova, Mise. C. 6. — 337 — Mandi il sole i suoi raggi; orror di morte ι fasci intorno, e paludosa nebbia Segga nei vostri abbandonati massi ; " ........ loco infame, A rimembranza dell’acerbo caso Eternamente sia Deserto; volga Il buon nocchiero il temerario abete, E, spaventato, all’operosa ciurma Mostri le punte inaugurate, e fugga; e impreca al cavallo che ne fu cagione: Oh ! fatale destrier, dal sen d’Averno Chi ti spinse alla luce? i molti vezzi, Per te, a lutto vestir, per te gli Amori L’arco gittaro, e ΓAcidalio mirto Di pallido color tinse la fronte. Tu al dì scoppiasti tra le ircane belve, O dai cavalli barbari scendesti, Che d’uman sangue abbeverava il truce Lestrigonio monarca; oh ! almen la sorte Avessi tu de’ Fetontei corsieri! O in te la lancia tridentata, il fero Dio dell’onde scagliasse, o fra le balze Piombassi infranto e lacero, onde invidia Alla coppia d’Ippolito infelice Nella morte portassi, empio, che tanto Osasti contro le divine forme Della Ligure bella. Ma ecco la guarigione invocata, e ........tu dal sanguigno letto Alzasti, Elisa, d’amorosi rai Tutta cospersa, e di candor celeste Sfavillando, a rallegrar lo spirto De’ solleciti amici; in tal modo la palma abbattuta dalla grandine violenta Nel novo Aprile, al lusingar dell’aura S’abbella; veste le risorte chiome Di sue vivide fronde, e più superba All’altre piante in sua vaghezza insulta. Altri vegga se questi versi possano attribuirsi a Timone Cimbro, ossia a Giuseppe Ceroni. Segue l’ode di un filosofo avvezzo a scorrere animoso G torti. Si. c Lctt. della Liguria. 23 — 33^ — » le vie dell’etere » per indagare il vero; ei tenta il pletro « sacro all’amica Venere » spinto dal cuore che « a ra gione impera », poiché quando amore lo ha voluto Spesso a bel sen la rigida Filosofia sorrise; nè lo « stoa » nè il « portico » diedero Contro bellezza schermo, anzi il cedere a lei l’armi impotenti Opra è vera da saggio. E se v’ha chi vanti ferrea ed indomabile virtù contro il potere della bellezza, venga a veder questa donna che non ha pari. Miri novella Amazzone Con la temuta voce, Luigia il freno reggere A corridor veloce, E con nobil fierezza Sfidar l’aure e i pericoli, Alle vittorie avvezza. Adatta il molle, ed agile Fianco ad anglica sella, Il manco piede argentea Staffa accoglie, e appuntella, L’altro in guisa si stende Che, al desir involandosi, Mille desiri accende. La chioma leggiadrissima Che in lievi guizzi ondeggia, Il liscio collo e l’omero Dolce lambe e vezzeggia. Candido lino indocile Spietatamente casto Fa del suo petto ai palpiti Baldanzosi contrasto. Ella passa veloce ed involasi all’ammirazione degli innamorati; i quali temono qualche pericolo in quella corsa vertiginosa : Al suol cader precipite Potria Luigia, e fero Miserando spettacolo Offrir al passeggero. — 33 9 — E ciò sarebbe in un tempo causa di lagrime ai devoti a-matori e .....di sogghigni acerbi Subbietto ne’ femminei Cor gelosi e superbi. Ahimè! la triste previsione s’avvera: Sì, paghe siete, o Liguri Dive, offuscato è il volto, Che in se avea delle grazie Il paradiso accolto; Langue muta la Bella E accerchiato di tenebre Langue il mondo con Ella. Ma non temete, o tenere Alme d’Amor seguaci, Berrete ancor dolcissime Da’ begli occhi vivaci Le delizie, e le spemi, I cari inviti taciti Ai piaceri supremi. Così talora pallido Raggio di sol trapela Dal sen di nube insolita Che mesta il copre, e vela; E così più ridente Vince la nube, e fulgido Esce a bear la gente. Chi si nasconda poi sotto le iniziali G-. A. è ignoto e non abbiamo alcun lume neanche per qualche plausibile congettura; si vede bensì ch’egli doveva essere pia filosofo che poeta. Dopo l’ode del Foscolo inserita a questo punto, si hanno le quattro strofette seguenti: Invan del tuo periglio Con tacito sogghigno Rise in suo cor maligno L’ invidia femminil. E invan con moti acerbi Diceva or questa or quella : Sarà costei men bella Men candida e gentil. Al ciglio, al labbro, al volto Fece beltà ritorno; — 340 — Esci1, a beare il giorno A rallegrar il Ciel. Amor t’è guida, Amore, Che a questa dice, e a quella O inchinati alla bella, O copriti col vel. Sono contrassegnate da A. G. iniziali che potrebbero rispondere al nome di Antonio Gasparinetti. Viene ultimo un inno polimetro, dove il poeta tempra la sua lira « in suon di pianto » vedendo che « spessa lacrima » « infosca il mesto ciglio » ad Amore, mentre sta inerte Γ « arco temuto ». Onde gli dice : Fa suonar la chiostra idalia Di dolcissimo lamento, Ed all’Eco solitaria Lo rapisca amico il vento, Che dal ligure soggiorno Lo propaghi intorno intorno. Oimè che scalpita Con ugna ardente, Oimè che palpita Impaziente Il crine ondivago Quassando altier Del freno indocile Il superbo indomabile corsier. Col lieve incarco nitrisce, avvampa, Sbrigliato stampa — Torme fugaci, L’aure seguaci — vince nel corso Infranto il morso — sbuffa ed infuria, Che iniqua furia — l’urta e flagella. Pave la bella, — nè la sua voce Frena il feroce; — tale il baleno Dei nembi in seno, — o tuon che mugge Rapido fugge. — Ahi ! tra gli alpestri Scogli di Sestri — su dura cote Strazia e percote — il bel sembiante, Che amore amante — facea; già esangue Tra un rio di sangue — pallida cade, E gel di morte i vaghi membri invade. Trema il corpo rinverso in sulla sabbia, Sul seno il capo lauguido s’ inchina; Sono sangue i capei, sangue le labbia, Sangue la tonda guancia alabastrina. Geme querulo il zefiro e par n’abbia Dolor la impietosita onda marina, Le Grazie desolate al piè le stanno Mostrando agli atti angoscioso affanno. Ed ora la bellissima donna varcherà le meste Nebbie della palude Acherontea? No; gli spiriti sono avvivati da un' aura dolcissima che le richiama l’anima nel seno. Ma P inamarii orma resterà Sul viso pria sì armonico e gentil ? E del basso trionfo riderà La satollata invidia femminil ? Su quel volto vegliano i teneri vezzi e le veneri leggiadre, quindi risorgerà, come dopo il nembo appare la luna più candida e più bella. Quest’ inno reca infine la sola iniziale C. il che ci rende anche più difficile l’indagine sull’autore, il quale, lasciando da parte il Foscolo , vince a nostro parere , tutti gli altri scrittori di questa raccolta : dove, secondo ben disse il Carrer, ch’ebbe certo sotto gli occhi l’opuscolo, primeggia l’ode foscoliana. Il testo che qui ne è dato reca alcune varianti in confronto della stampa di Pisa sopra citata, e noi le indicheremo in servigio degli studiosi. Str. I.a V. I. balsami odorati » 3- lini beati Str. 2.a V. 3- Quel dì che i monti y> 2. Di forsennati » 6. Del Ciprio Str. 3-a V. 2. 0 fra » 5- E sacrificio Str. 4*a V. 3· Molle scendea Str. 5·“ V. 6. i baci (senza e) Str. 6.a V. I. Deh ! perch’ ài > 3· ai studi Str. 8.a V. 6. mal regge Str. 9a V. I. Piove il sudore, i crini Str. II.® V. I. onde » 3- profonde » 5· Ed atterrì Str. 12.a V. I. dal flutto » 4· Cade Tarcion; tu..... — 342 — » 5· Su la » 6. Rotolavi Str. 13.a v. 3. A indomito Str. 14.a v. i. Ch’or Str. i5.a v. 4. insanirono. L’opuscolo ha la data dell’ anno ottavo , e può quindi essere uscito tanto negli ultimi mesi del 1799 come nel successivo 1800, poiché, secondo il calendario francese, l’anno ottavo spazia fra il 22 settembre 1799 e il 21 settembre 1800. Non porge dunque alcun sussidio sulla più esatta determinazione del tempo in cui avvenne il triste caso, e per conseguenza intorno alla composizione delle poesie; ma noi, fino a che non si distrugga con qualche altra prova di fatto il racconto del Thiebault (1), stiamo fermi al tempo da esso abbastanza chiaramente indicato. Il non trovarsi finalmente menzione alcuna del libretto ne’ giornali, mentre e la Gazzetta e il Monitore solevano sempre annunziare le nuove pubblicazioni, ci fa credere che si tratti d’una stampa non venale, tirata a poche copie, e destinata ad un ristretto numero d’amici. A. N. BOLLETTINO BIBLIOGRAFICO. Emilio Pandiani. Un anno di storia genovese (giugno 1506-1507). Atti della Soc. lig. di St. Patr., vol. XXXVII. Genova, Sambolino, 1906; in 8.° pp. 716. La dominazione francese a Genova è argomento , che non è mai stato trattato nel suo complesso dagli storici moderni; ma viene illustrato, nelle sue singole parti da monografie , di diverso valore ed importanza che tenteranno un giorno o l’altro qualche coraggioso cultore di studi storici a darci la desiderata opera riassuntiva. Alle notizie abbondanti, se non esatte, del De la ville Le Roulx sulla dominazione francese agli inizi del secolo XV , all’ opera pregevolissima dello Jarry sul decennio 1492-1502 , al volume di L. G. Pelissier, si aggiunge ora questo notevole (1) La caduta cit., 1. c., p. 121. — 343 — lavoro del P. intorno ai fatti che si riferiscono agli avvenimenti che prepararono ed accompagnarono la rivoluzione del 1507, il breve dogato di Paolo da Novi e la feroce repressione di Luigi XII. I fatti erano noti nelle loro linee generali; ma la narrazione, compilata sulla fede del'Senarega, testimonio oculare, che di proposito tace molte cose, e degli altri cronisti, che o sono male informati o parziali, presentava lacune, incongruenze, inesattezze numerose. E la figura dell’ultimo doge popolare, intorno alla cui genealogia si erano già occupati lo Sbertoli e lo Staglieno, appariva ancora, a malgrado dei recenti studi, circonfusa come da una nebbia, che impediva di comprendere le cagioni della sua repentina esaltazione e l’indole vera della sua politica. E’ merito principale del P. d’ aver lumeggiato gli avvenimenti e colmato le lacune, giovandosi principalmente d’un diario anonimo, inedito, già noto, ma non sufficientemente sfruttato, corroborandone, discutendone o infirmandone le affermazioni per mezzo di numerosi documenti deir Archivio di Stato. Grazie alle pazienti e minute ricerche di lui, conosciamo oggi nei più minuti particolari quel moto, originato dalle discordie tra il partito popolare e la nobiltà, e che, date le disposizioni ostili della corte di Francia, l’inettitudine dei governatori francesi e le intemperanze dei democratici saliti al potere, degenerò in aperta ribellione. Non direi il vero se affermassi che la diffusa narrazione, preposta dal Pandiani alla pubblicazione del diario, soddisfa a tutte le curiosità; poiché per citare un esempio , è probabile assai che nel moto genovese avessero parte indiretta, i nemici della Francia, e specialmente Ferdinando il Cattolico, ai cui fini l’insurrezione tornava vantaggiosa. Ora di questa segreta, ma pur manifesta influenza, alla quale non pare estraneo il viaggio del re cattolico e la sua dimora a Portofino, si trova nel lavoro appena un vago accenno. Nè io censuro il Pandiani ; non certo nel diario e forse neppure nelle carte dell’archivio genovese si potrebbero trovare le prove; ma se mai, a Napoli o in Ispagna, e perciò fuori del campo, nel quale l’A. ha limitato le sue indagini: dico tuttavia che, pur riconoscendo giuste e convincenti le prove che ΓΑ. adduce intorno alle — 344 — origini ed allo svolgimento dell’ azione , resta pur sempre qualche cosa di indeterminato, o di non ben chiarito. E così pure l’elezione di Paolo da Novi ci è presentata come una naturale reazione del partito della resistenza ad oltranza ai Francesi, senza toccare affatto all’ esistenza d’un partito, che voleva 1’ indipendenza dal governo francese, mentre tutti gli atti della rivoluzione, e specialmente l’occupazione delle due riviere sembrano accennare ad un proposito, se non già intieramente prestabilito , certo manifestatosi già da qualche tempo in città, fra l’elemento popolare. Ma, accennato per debito di coscienza all’ impressione che si riceve leggendo la diffusa narrazione degli avvenimenti e studiando la ampia serie dei documenti pubblicati, è necessario riconoscere che il giovane professore genovese ha saputo abilmente valersi dell’ampio materiale fornitogli dalle ricerche d’archivio, e con una esposizione efficace, se pur talvolta troppo minuta, sa guidarci con mano sicura attraverso i complicati ed aggrovigliati avvenimenti, correggendo numerose inesattezze dei cronisti e degli storici, che sui cronisti si fondarono, e mostrandoci il vero stato della infelicissima Genova straziata dalle discordie interne, in balia d’una plebaglia, assetata di vendette e di sangue. Due noterelle però vorrei fare al suo racconto : la prima che intorno all’opera del Pregent di Bidoux, capitano delle galee francesi, avrebbe trovato numerosi documenti nel lavoro dello Spont, Les galères royales dans la Meditereanée de 1496 a 1518, pubblicato fin dal 1895 nella Revue des quest. histor.: l’altra che quantunque nel diario da lui pubblicato, si parli di una squadra franco-napoletana all’assedio di Genova, non consta da tutti i documenti del tempo che il re cattolico unisse la sua alla squadra francese; nè, date le discordie recentissime del Pregent cogli Spagnuoli nel reame di Napoli, è probabile che la cosa avvenisse realmente. Infine, poiché il P. ha parlato degli Svizzeri, non sarebbe stato fuori di luogo l’accennare alle complesse questioni alle quali l’assoldamento di quella fanteria diede luogo e ricordare il bel capitolo del Kohler, Les Suisses dans les guerres d’Italie, (Paris, Picard, 1897). Sarebbe desiderabile che questo punto venisse chiarito con qualche nuova ricerca. — 345 — Molto lodevole è la scelta dei documenti pubblici in appendice, e molto utili le note che qua e là, specialmente nel riprodurre il diario, vi sono state apposte. E da augurarsi che il P., il quale ora attende ad un’edizione degli Annali del Senarega nella nuova raccolta muratoriana, non abbandoni l’argomento della dominazione francese , ma si accinga a darci un lavoro completo ed esauriente sui Francesi a Genova, risalendo alla prima signoria di Carlo VI per venire fino agli ultimi avvenimenti dei tempi di Andrea DOria. Il tema sarebbe molto attraente , e il giovane autore ha mostrato con questo suo nuovo lavoro di potere e di sapere accingersi a più ardue imprese. Camillo Manfroni. ANNUNZI ANALITICI. Giovanni Setti. La Grecia letteraria nei Pensieri di G. Leopardi. Livorno, Giusti, 1906, in 16.0, pp. x-302. — Rileggiamo in questo volume raccolte con devota mano e lumeggiate colla scorta della critica filologica moderna le opinioni del Leopardi sugli antichi scrittori greci. Da Omero , poeta sovrano , fino a Luciano e Longino ed ai Padri della Chiesa , quasi tutti gli scrittori principali trovano il loro posto più o meno onorifico nei sette volumi dello Zibaldone. Spesso trattasi di appunti presi durante le assidue e faticose letture , di fugaci impressioni o di commenti ad un' antica sentenza che trovava un’eco nel cuore del giovane; talvolta sono giudizi espressi con giovanile spavalderia , o mirabili intuizioni d’ un vero riconosciuto più tardi dopo lunga e paziente indagine ; talvolta (e questo non fu sempre indagato) sono giudizi altrui che il poeta accoglieva e faceva suoi. Ma tanto le idee sbocciate, come fiori campestri, da quell’anima vergine d’ogni dottrinaria istruzione e fermate in queste pagine dolorose a segnare Γattimo fuggente di sconforto o di gioia, quanto i ponderati giudizi, spandono nuova luce sulla vita e sull’ opera del Leopardi. Ora ci è dato conoscere di qual cibo intellettuale egli si nutriva giorno per giorno non sotto la guida d’un amorevole maestro, ma abbandonandosi in balia di quelle ombre del passato , eh’ egli evocava nei silenzi del paterno ostello e che gli furono pure compagne nelle peregrinazioni da una ad un’altra città d’Italia. Ora possiamo seguire il grande infelice per le innumerevoli stazioni della sua via cruzis, poiché la strada ci è stata rischiarata da una schiera di valorosi, che animosamente ed amorosamente frugarono dentro a quel caos di sconfinata materia e varietà per studiare lo svolgersi del pensiero del Leo- — 346 — pardi nel campo della filosofia e in quello dell’arte. In ordine di tempo ultimo viene il Setti, che in un prezioso volume raccolse ed illustrò da maestro i pensieri del Leopardi sulla Grecia letteraria. Ma a veder dentro nel disordinato e meraviglioso lavoro dello studioso e del poeta faceva mestieri non soltanto Γ occhio esercitato del critico e del filologo, ma anche un profondo sentimento dell’arte; era necessario coordinare la materia confusamente ammassata dall’ erudito , perchè un nuovo sprazzo di luce illuminasse 1’ opera del poeta. Questo seppe fare egregiamente il Setti , a cui la ricerca critica ha reso più acuto lo sguardo, e la quotidiana famigliarità degli scrittori greci ha reso più fine il gusto artistico e più agile ed efficace lo stile. Peccato anzi che talvolta il critico abbia temuto di offendere 1’ artista , specialmente nel tener conto dei dati cronologici, che sarebbero riusciti di grande interesse nella storia della nostra coltura classica. Generalmente si ammettono due periodi nella storia degli studi del Leopardi, l’uno prima del 1815, quando l’adolescente si diè tutto alla letteratura francese, trionfante colla Rivoluzione e coll’impero, e publico i primi scritti sugli autori cristiani e il « Saggio sugli errori popolari»; l’altro dal 1815 in poi, che segna un salutare ritorno agli scrittori antichi ed al culto della madre lingua. Ben osserva il Setti che uno studio sull’opera del Leopardi ellenista non può trascurare 1’ indirizzo generale della coltura alla fine del secolo XVIII ed. al principio del XIX. Il culto di Omero si spiega col rinato amore per l’Iliade: il Bodoni aveva dato la sua splendida edizione, il Monti la sua meravigliosa traduzione, e le dispute iniziate dal Vico, s’erano riaccese per la pubblicazione degli scolli veneti del Villoison, per i Prolegomeni del Wolf e per la traduzione del Cesarotti. Possiamo in tal modo comprendere come anche il Leopardi affrontasse la sfinge della questione omerica, come ondeggiasse tra 1’ ammirazione per la semplicità e lo stupore per la grandezza di Omero, tra la inveterata ere-· denza nell’unità del poema e la vaga intuizione del vero. Il Leopardi conosce poco i tragici, ma poco eran conosciuti anche dagli altri Italiani, nè la musa dell’Alfieri era riuscita a scuotere subitamente gli inerti dal lungo letargo. Se invece il poeta è vinto dall’apparente semplicità del Pseudo-Anacreonte (neppur oggi messo al bando dalle scuole), non è forse accaduto questo per la esuberante fioritura di anacreontiche dalle strofette agili e profumate di cipria, che facevano vivo contrasto colla rude poesia dell’Alfieri e con quella plastica e forte del Foscolo? Così, mentre la letteratura francese lo aveva ammaliato nei primi anni, e 1’ italiana lo aveva attratto a sè dopo il tramonto dell’ astro napoleonico, neppure una lontana eco del gigantesco lavoro di critica iniziato dalla Germania giungeva a lui nel solitario borgo di Recanati. Il Leopardi si affanna sopra edizioni scorrette, si guasta il sangue e la salute su libri mal stampati e poco maneggevoli, perde il suo tempo su opere che la critica ha ripudiato, tormentandosi con vani enigmi letterari, quando in altre parti d’ Europa uno spirito nuovo ha vivifi- — 347 — cato la filologia, affidandole il compito di rivedere tutto il patrimonio intellettuale classico. Tardi viene il Nostro a partecipare a questo lavoro ; e quando egli consegna al De-Sinner gli Excerpta ex schedis criticis, perchè li pubblichi nel « Rheinisches Museum, » consolandosi di questo avvenimento che avrebbe dovuto dar vita a lavori di molti anni trascurati (Epist. II, pag. 402), la sua fibra è già logorata ed incapace di sostenere il peso di severi studi. Fortunatamente però anche le sublimi strofe delle canzoni avevano già preso il volo dalla sua grande anima ed il monumento aere perennius eia già innalzato sopra incrollabile base. 11 poeta non era più in grado di tornare addietro; già da lungo tempo s’era impadronito di lui il travaglio fisico e morale che gli offuscava la chiara visione del passato. Ed ora, per effetto di ottica, come accade ai più, quel lontano mondo eroico gli apparirà forte, grande, bello ed egli esclamerà con Orazio: — hos uti-nam inter — heroas natum tellus me prima tulisset! e confrontando la sua presente miseria darà sfogo all'angoscia con note immortali di pianto; ora accorgendosi che le cose non andavano perii passato meglio di quello che vadano oggi e che il dolore è compagno inseparabile dell’ uomo , uscirà in accenti disperati, maledicendo alla vita. Scrive il Setti : « Con che trepida ed accorata ansia il povero Leopardi avrà spiato nelle antiche opere greche , fievoli echi di quella gran voce antica, i frammenti di quelle antiche anime, consunte dalla febbre della passione, e che pur nell’ ebbrezza della gioia, tra i cori ed i simposii, in fondo alla coppa del piacere avevano trovato l’amara stilla del dolore ! Ah ! un popolo così genialmente felice , nella spensierata ingenuità di quella vita veramente giovane ed esuberante, nella ebbrezza molle e voluttuosa di una giocondità libera ed accesa, temperata a malinconia da una precoce visione pessimistica dei destini delPuomo; un popolo così sensibile e fantastico, abile a fermare nel verso o nel ritmo o nel marmo i mobili fantasmi del mondo esteriore, come a scrutare limpidamente le patetiche profondità dell’ a-nima; che cosa mai non doveva aver effuso di sè , della sua interna dovizia spirituale in quella forma agile, alata, quasi eterea, che dopo la musica è la più pura e delicata delle manifestazioni psichiche ! ». E mi verrebbe voglia di trascrivere ancora, se non sperassi che queste poche righe varranno a destare il desiderio di leggere Γ intero volume (Natale Vianello). Girolamo Rossi. Sopra un poemetto sul preteso diritto cosciatico. Lettera al barone D. A. Manno. Torino, Paravia, 1905 , in S.° gr. di pp. it. — L’a. ha scovato un poemetto scritto da un prete Andrea Panizzi di Badalucco, e messo fuori nel 1713 forse a Roma (il che non si rileva mancando le indicazioni tipografiche), nel quale si narra come il conte Oberto di Ventimiglia, reclamando Y jus primae noctis da una sposa di fresca data, venne assalito ed assediato nel suo castello, di guisa che ridotto a mal partito fu costretto a discendere a patti cogli uomini del paese, rinunziando all’esoso diritto. Va qui no- — 348 — tato che il patrizzi ha preceduto di ben sessantadue anni il p. Cordara nel far argomento di poema quella pretesa prestazione , sebbene sia rimasto da questi assai più lontano nel. fatto dell’ arte. Ma il R. ricerca donde abbia egli potuto trarre la leggenda che mette in cattivi versi, e la trova nelle cronache del Verrando dettate sulla metà del secolo XVI. E poiché in generale tutte codeste leggende muovono da qualche fatto veramente accaduto , scrutando i documenti Γ a. ririleva che nel secolo XIII Oberto fu assediato nel suo castello di Badalucco dagli uomini di Carpasio, perchè aveva imposto « fodrum » senza alcun senso d’ equità, con aggravio « hominum rusticorum » a petto « nobilium vassallorum », e per liberarsene dovette promettere di rinunziare al pagamento di quella imposizione da parte dei contadini. D’altra parte dalle indagini da lui praticate si viene a stabilire che i conti di Ventimiglia, avevano diritto ad una tassa sui matrimoni. Ed ecco il fodrum, che, com’è noto , ebbe altro significato , volto a rappresentare lo strano diritto di cosciatico , e 1’ assedio , di che s’ è toccato innanzi, con le contaminazioni della fantasia innalzato a vindice dell’offeso onore di que’ terrazzani. Non occorre aggiungere che il R. così ad illustrare il fatto speciale , come a spiegare la estensione del dominio de’ conti di Ventimiglia ha dato prova della consueta erudizione. Amedeo Pellegrini. Per la giierra dei Sette Anni. Lettere dal campo, 775<5-/7<5^. Lucca , Pellicci, 1905 , in 16.0, pp. 62. Il prof. Pellegrini pubblica alcune lettere di un ufficiale di cavalleria toscano, il conte Lelio Baldassare Cerretani, inviato con molti altri a combattere in Germania contro il re di Prussia , e più tardi salito ad alti gradi militari durante il governo di Pietro Leopoldo. Le lettere da lui scritte alla famiglia durante la guerra dei Sette Anni fino al momento della sua prigionia, avvenuta alla battaglia di Torgau descrivono prevalentemente gli avvenimenti militari e danno informazioni sulla vita del campo e sulle voci che correvano fra i soldati; le altre, meno numerose, contengono notizie domestiche, e pochi accenni politici, quali poteva avere, specialmente a quei tempi, un ufficiale austriaco prigioniero del re di Prussia. In complesso queste lettere , se non ci apprendono nulla di nuovo intorno alla guerra, forniscono alcune notizie curiose e interessanti, che si cercherebbero invano altrove: cito a caso: la lettera 26 luglio 1760 in cui si parla delle triste condizioni degli ufficiali che non avevano denari per comprare le compagnie; la descrizione del fatto d’armi di Landshut (lett. 25 giugno); la descrizione di Kónigsberg, dove il Cerretani passò gli ultimi giorni della sua prigionia, etc. Perciò la pubblicazione di queste lettere non è senza vantaggio, e se pure io non sono d’accordo col Pellegrini nel ritenere che alcune di esse siano importantissime, tuttavia trovo lodevole 1’ idea di pubblicarne e commentarne un certo numero. Nel pubblicare le lettere il Pellegrini ha aggiunto una breve prefazione illustrativa e qualche nota per correggere i numerosi errori di scrit- — 349 - tura, specialmente dei nomi di persone e di luoghi, per lo più storpiati dal giovane senese. Non capisco però perchè a pag. 32 il P. abbia corretto il nome del Laudon in Loudon. Ho dinnanzi a me la grande pubblicazione dello Stato Maggiore Prussiano (Die Kriege Frie-dricks der Grosse) e trovo sempre scritto Laudon e non Loudon. Trovo poi non corretti i nomi di Schevaidnitz per Schweidnitz , Nai-stater per Neustiitter e via dicendo. Infine mi sia lecito di osservare che non è vero che il cornetta fosse 1’ ufficiale di ordinanza , come il P. afferma, male interpretando una frase della lettera 29 marzo 1758 da Reichenau (non Reichenan): ma, come ognuno sa, il cornetta era il sottotenente di cavalleria, che in Italia si chiamava alfiere o insegna, e questo dice appunto il Cerretani, ricordando , che alla battaglia di Breslau e dopo .egli, che era stato di fresco promosso da cornetta a tenente, continuò tuttavia a prestar servizio come ufficiale di ordinanza del generale Daun (C. M.). SPIGOLATURE E NOTIZIE. *** Il p. Placido Lugano, continuando i suoi ottimi ed importanti studi sulle belle arti coltivate dagli Olivetani, neLrecente lavoro, Di Fra Giovanni da Verona maestro d’intaglio e di tarsia e della sua scuola (in Bullet tino sette se di Storia Patria , a. XII, p. 135 e segg.) ricorda nuovamente frà Paolo da Recco scolaro di fra Sebastiano da Rovigno (p. 161 e 231 sgg.), del quale aveva raccolte le notizie fino dal 1902 in una nota all’altra sua monografia: Il « Sodoma » e i suoi affreschi a Camprena (in Bullett. cit., a. IX, p. 240). Crediamo utile riferirla per intero, notando che una breve notizia di questo artefice tratta dall’opera del Thomas, aveva inserito I’Olcese nella Storia civile e religiosa della città di Recco (Genova, 1S96, p. 285). « Frà Paolo da Recco », scrive il Lugano, « olivetano, è uno dei molti artisti, che insieme a frà Giovanni da Verona, tennero alta la rinomanza de’ monaci olivetani, nell’arte (cf. Grégoire M. Thomas , L’Abbaye de Mont-Olivet Majeur, Sienne, 1898, p. 73). Egli si trovava a San-t’Anna in Camprena nel 1501-1502 (Familiar. Tabula , ad annuiti), e vi lavorò i magnifici dorsali che ne circondavano il refettorio. Nel Liber Professorum et mortuorum è detto : faber operis segmentati clarus (p. xciin), e nel Necrologium Olivelannm (ad an. 1521), si legge di lui quest’elogio: fr. Paulus de Reco, sive Genua, conversus: hic operibus arte fabri lignaminis , multa eleganter manibus suis perfecit. Inter alia refectorium S. Anne (Camprenatis), S. Hieronymi de Quarto (ad ora ligustica orientalia, ibique armaria ecclesie : chorus et tegile in monasterio nostro Portus Veneris: hic fuit sancte vite: obiit in senectute bona, Getiue. Io ho memoria di questo frà Paolo da Recco dal 1471 al 1521, anno in cui morì. Dimorò nel monastero di S. Gi- — 350 — rolamo a Quarto, presso Genova (ann. 1461-74 ; 1478-79 ; 1484-89 ; 1502-08; 1515-18; 1521), a Monte Oliveto Maggiore (i475’> r494-96)> a S. Miniato di Firenze (1476), a Porto Venere [N. S. delle Grazie] nel Golfo di Spezia (1477; 1482-83; 1491-92; 1466-1500; 1509-1514; I4I9-20)> a Bedagio (Baggio) nel Milanese (14S0; 1490), a S. Anna in Cam-prena (1501), a S. Giorgio di Ferrara (1481) e a San Ponziano di Lucca (1501). Fece i disegni degli eleganti capitelli sovrapposti alle colonne del chiostro nel convento di S. Anna in Camprena, dove però non esistono più « i magnifici dorsali, o spalliere, che circondavano il piccolo, ma elegante refettorio »; nè altro di lui forse si conserva, al-P infuori del coro e del leggio della chiesa delle Grazie « in mediocre stato di conservazione ».. *** Nel cod. 92 della Biblioteca Alessandrina di Roma, che è una raccolta degli Acta sanctorum de’ mesi di marzo e aprile, messa insieme da Costantino Gaetani, si legge (c. 615-622, sec. XV) il Martyrium B. Antonii de Pedemonte dei Predicatori composto da frate Costanzo, il quale fu presente al martirio avvenuto a Tunisi il 10 a-prile 1460. Fra le attestazioni testimoniali poste in fine alla narrazione si trova: Nos Iohannes Baptista de Grimaldis consul lanuensium in Tunizi inlerfui et fidem facio praedictis — Ego Clemens Cicer civis Ianuensis ad praesens in Tunizi interfui supradtctis, etc. (Cfr. Pon-celet, Catal. Cod. hagiographicorum lat. biblioth. Romanarum in Appendice ad Analecta Bolland. p. 147). *** Emilio Teza con la ormai nota e consueta acuta dottrina, torna a ragionare del celebre e rarissimo lunario genovese intitolato: La ra-zone de la Pasca e de la luna e le feste, specialmente a proposito de la Oratione cantava Dante oni hora. E si giova, con lode, della monografia che su questo libretto, di cui si ha il facsimile, inserì Niccolò Giuliani nel nostro Giornale Ligustico, a. VII-VIII , pag. 81. (Cfr. Note di erudizione piccina in Atti e memorie della R. Accademia di scienze, lettere ed arti in Padova, N. S. vol. XXI, p. 80 sgg.). Alla fine di marzo del 1777 venne armato a Napoli per ordine del Re un nuovo Pinco , con 150 uomini e 18 cannoni, posto al comando del capitano genovese Berlingeri, a fine di dar la caccia ai corsari barbareschi che infestavano i mari. Uscito dal porto, incontrò all’altura di Capo Passero un sciabecco algerino forte di ben 200 uomini e 21 pezzi di cannone; vista la sua inferiorità cercò sfuggirlo, ma venne raggiunto e quando il capitano si difendeva fu vilmente abbandonato dall’equipaggio, onde malconcio dalle ferite, fatto schiavo, condotto a Tunisi e poi ad Algeri quivi cessò di vivere. (Cfr. Arch. Storico Napoli XXXI, p. 43). Nel lavoro di Remigio Sabbadini: Le scoperte dei codici latini e greci nel secolo XIV e XV (Firenze, Sansoni, 1905), dove, con la ben nota competenza e sicura erudizione, ha raccolto in una esposizione metodica tutto quanto si riferisce all’ importante argomento , trova luogo altresì la menzione di umanisti liguri, come a dire Già- — 351 — como Curio, Eliano Spinola, Niccolò Ceva (Ceba), Niccolò Noceto; e fra i raccoglitori i due Della Rovere, Domenico e Giuliano , e Tommaso Fregoso. Più d’ogni altro illustre Tommaso Parentucelli , poi Niccolò V, ricercatore sapiente ed indefesso, bibliofilo illuminato, mecenate largo e valoroso. Notizie tutte queste sparse qua e colà, e che torna utile veder opportunamente disposte e disciplinate nel presente volume con illustrazioni convenienti. *** Dall’Archivio di Casa Frescobaldi, che il march. Ferdinando gli concesse di visitare, Mario Bovi ha tratte alcune notizie sul Donatello. Esse si contengono in un libro cartaceo « già di Stoldo e Lamberti di Lionardo, segnato A di dare e avere ». Siccome fra il 1421 e il 1426 il Donatello era pigionale dei Frescobaldi in Fondaccio (oggi via di S. Spirito), in detto libro sono conti di queste pigioni, e anche di riscossioni che Stoldo faceva per lo scultore da varie persone, e , fra altri, da quel « Tommaso Frescobaldi che morì eroicamente all’assalto di Genova nel 1427 , essendo commissario di guerra per i fiorentini in Liguria ». (Cfr. Marzocco, 1906, n. 14). *** L’importante comunicazione fatta da Mons. Luigi Duschesne al Congresso internazionale di Scienze storiche del 1903: Les evêschès d'Italie et Γinvasioni lombarde, ci fornisce alcuni rilievi sopra i vescovati di Luni e di Genova. (Atti del Congresso internaz. dì Se. Stor., Roma, Salviucci 1906, vol. Ili, p. 79). NECROLOGIO. Atlcle PIcrottet. — Nata nel 1860 si addisse agli studj per conseguire il diploma di maestra elementare, ed entrò nelle scuole civiche di Genova. Subì in seguito con fortuna gli esami d’abilitazione all’insegnamento della pedagogia, e non tralasciò mai per tutta la vita di accrescere la sua cultura alternando le cure della scuola, con la sollecitudine della beneficenza. Si spense per malattia sottile il 26 gennaio 1906. — Abbiamo di lei alle stampe : La musica nell’educazione, coìiferenza , Milano , Ricordi , 1889 , in 8.°, pp. 24 — Per Je scuole miste, Genova, tip. della Gioventù, 1S93, in 8.°, pp. 24 — Dall’Epistolario di Eldea, Milano, Ricordi, 1895, in i£.°, pp. 23 — Camillo Sivori, biografia , Milano, Ricordi, 1896, in 16.0, pp. 95 — Il padre maestro Alessandro Borroni, appunti biografici. Pesaro, Nobili, 1898, in 16.0, pp. 37 — Per la negra, per la triste, per la dolorosa vecchiaia, note e documenti sull'istituto Martinez, Genova, tip. della Gioventù, 1899; in 16.0 pp. 32 — Porta Pila in Genova e la sua Madonna, Genova, tip. della Gioventù, 1902, in 8.°, pp. 18 — In Assisi ne\\a Rassegna Nazionale, 1900, vol. CXIV, pp. 417-423. — 35^ — Achille liombardini.— Il 12 marzo 1906 si spegneva in Carrara dove era nato nel 1857. Si addottorò in medicina a Modena nel 1881, e fatta la pratica a Firenze, si ritrasse in patria nell’ anno appresso, dando opera all* esercizio della professione. Ma alla scienza della salute volle e seppe congiungere cultura varia e molteplice d’ arte e di lettere, di filosofia e di economia, di che dette prova con la viva parola, e con gli scritti ne’ giornali cittadini. Sostenne parecchie cariche onorifiche, e giovanissimo venne chiamato alPinsegnamento dell’ anatomia pittorica nella Accademia di Carrara, dove per ben ventun’anno espose le sue pregiate lezioni. Fu altresì socio corrispondente della R. Deputazione di Storia Patria, per le provincie modenesi. Oltre ad alcune monografie di medicina, abbiamo di lui il Manuale di anatomia pittorica (Milano, Hoepli), del, quale si hanno due edizioni, ed è l’opera sua più reputata. P. Marcellino da Cfvezza. — Nato il 29 maggio 1822 a Civezza (Porto Maurizio) da Vincenzo Ranise e Maria Frontero, il 5 febbraio 1838 vestì l’abito di S. Francesco, e professò l’anno successivo. Compì gli studi in Lucca nel Convento dei Minori, dove fu ordinato sacerdote il 17 maggio 1845. Insegnò nelle scuole pubbliche di Ferentino la rettorica, quindi teologia a Viterbo, e nel 1850 fu nominato Arcade in Roma. L’anno appresso tenne la catedra d’eloquenza in Aracoeli; venne nominato socio dell’Accademia Tiberina, e poi nel 1853 di quella dei Quiriti. Più tardi entrò a far parte dell’Accademia di religione, e salito in grido per le sue opere storiche venne chiamato da Leone XIII nella Commissione di studi storici. Nell’ Ordine coprì gli uffici di Lettore e di Definitore generale. Morì a Livorno il 28 marzo 1906. Assai numerose sono le scritture da lui date alle stampe. Ricorderemo a nostro uopo il Saggio di Bibliografia geografica, storica, etnografica Sanfrancescana , Prato , 1879 ; Il romano pontificato nella storia d’Italia, Prato, 1888, e la Storia universale delle missioni Francescane, Roma, 1866-1895 in undici volumi, che è l’opera sua più poderosa e per ogni rispetto più importante. Tradusse varie opere altrui fra le quali notiamo la vita di Colombo del Rosselly de Lorgues, (Prato, Guasti, 1876), e L'arte in Italia; Dante e la Div. Commedia di Drouilhet de Sigalâs, (Genova, 1853). Curò la pubblicazione di parecchi testi, come La Divina Commedia col commento di Giovanni da Serravalle, (Prato, 1891), La Leggenda di S. Francesco, (Roma, 1899), ed altri non pochi de’ quali, come degli scritti suoi, può vedersi l’elenco nel Catalogo generale della Libreria Italiana dall' anno 1847 al 1899 compilato da Attilio Pagliaini, Milano, 1901-05. — 353 — APPUNTI DI BIBLIOGRAFIA LIGURE. Anselmo (P.) da Vezzano. Ricordo del primo cinquantenario dalla proclamazione del dogma della Immacolata Concezione nella provincia minoritica di Genova. Genova, tip. d^l « Serafino d’Assisi », 1905, in 8.°, pp. 183 con tav. Baccelli Alfredo. Marina ligure [versi], (in Santo Mare, a cura della Sezione di Roma della Lega Navale. Roma , Casa Edit. Naz., 1906, pp. 85 e sgg.). Bernardini N. Gli ultimi dieci anni di Giuseppe Libertini (in Rivista storica s aient ina , II, 9 10). Con lettere di Giuseppe Mazzini. Boghen-Conigliani Emma. Per Giuseppe Mazzini (in La nuova parola, 1906, maggio). Brizzolara Giovanni. Memorie storiche genovesi. Il Polittico di S. Bartolomeo del Fossato di Promontorio (in Settimana Religiosa, 1906, n. 13). Buonocore O. Nel IV centenario della morte di Cristoforo Colombo (in Alessandro Manzoni, 1906, n. 5). Catalogo delle opere componenti la Raccolta Colombiana esistente nella Civiva Biblioteca Berio di Genova. Genova, Pagano, 1906, in 8.°, PP. 123. Cervetto Luigi Augusto. Portofino Kulm e i suoi dintorni: la Svizzera in mezzo al mare. Genova, tip. Armanino, 1906, in 24.0, obi. pp. 49, con fig. e tav. Cimbali Giuseppe. Giuseppe Mazzini e la filosofia del dovere (in Rivista Popolare, 1906, 28 febbraio). Codice diplomatico dei Santuari della Liguria , A. Ili , Ser. III, n. 9. Compendiosa noticia historica do hospicio dos religiosos Capuchi nhos na cidade do Rio de Janeiro (1659-1S14) [edito per cura e con prefazione del P. Francesco Saverio Molfino]. Genova, Tip. della Gioventù, 1906, in 8.°, pp. 62. Sono ricordati parecchi liguri. Corradino F. M. Il Palazzo Municipale di Genova (in Pro Familia, Bergamo, 1906, A. VII, pag. 1S0 e segg. con incis.). Crescini Vincenzo. [Recensione a] Giulio Bertoni. I trovatori minori di Genova. Dresden 1903 (in Giornale storico d. lett. ital., voi. XLVII, pag. 331 e sgg.). De Faria Antonio. Notas para a genealogia de familla Persollo (de origem genovesa). Leorne, Giusti, 1906, in 8.°, pp. VIIII-120, con rit. e tav. Delle Pere Luigi. Parole dette sulla tomba del nobil uomo Ales- Giorn. St. e Leti, delia Liguria. 24 — 354 — sandro dei marchesi Magni-Griffi il giorno del suo seppellimento nel cimitero di Sarzana, 26 dicembre 1905. Sarzana, Costa, 1906, in S.<> di pp. 10. Dellepiane Giovanni. Guida per le escursioni nelle Alpi ed Appennini Liguri con note di G. Issel, G. Rovereto , O. Penzig , R. Gestro e G. C. Raffaelli. Terza edizione. Genova, Bacigalupi, 1906, in 16.°, pp. XXXI-334, con tav. e carte. Domenichelli T. In memoria del P. Marcellino da Civezza. Firenze, Barbera, 1906, in 8.°. pp. 26. Felice (Fra). Il P. Bernardo da Fivizzano, ex-provinciale dei cappuccini di Toscana: Note biografiche. Firenze, tip S. Giuseppe, 1906, in 8.° pp. 31. Ferretto Arturo. Liber Magistri Salmonis Sacri Palatii Notarii. 1222-1226 (in Atti della Società Ligure di Storia Patria, Roma, tip. Artigianelli, 1906, vol. XXXVI). Foglie sparse, 1906, I, n. 4. Oggetti riposti in una scatola saldata ejitro alla palla che serve di base alla Croce del Campanile della Cattedrale di Sarzana. — Noterelle intorno alla lettera di fra Niccolò Carosini (A. Neri). — Le cinque terre — Spigolature Storiche (Calle-gari e Putti). = N. 5. Le Alpi Apuane (Bertoloni , trad. di C. Mon-tefiori). — La Lunigiana nella Divina Commedia (F. Podestà). — Dante Alighieri al Castello de’ Malaspina (Versi del Monti illustr.). — Nostra Signora dell'Olmo ; memorie storiche (G. Pellistri). = N. 6. I nostri Illustri. Domenico Viviani (Podestà). — Regolamento per la Processione del Prez. Sangue in Sarzana. — Cristoforo Colombo. Ritratto (dal Colombo di L. Costa). — Spigolature storiche (Callegari e Putti). Fontanella Fr. Annuaire Fontanella : guide complet de la còte bleu (riviera italienne), administratif, commercial, illustrée de S. Remo et ses environs, 1906 (V année). San Remo, tip. Ligure, 1906, in 16.°, pp. 480, con ritr. e tav. From H. G. Le cardinal Spinola (in La Vérité française, 1906, 2i gennaio). · Gerini G. B. L* educazione fisica e morale secondo Niccolò Olivari (in Car onda Rivista di pedagogia e scienze ausiliarie, Acireale, 1902, n. 1-2). Golinelli A. Glorie Liguri. Cenni biografici intorno ai titolari delle scuole di Genova. Biagio Assereto, Genova, Libreria scolastica, 1906, in 18.pp. 8. — Gabriello Chiabrera, Ivi , pp. 7. — Brignole-Sale, Ivi, pp. 8. Issel Arturo. Excursion géologique dans les environs de Genes (in Atti d. soc. lig. di scienze 7iaturali e geogr. , A. XVI, fascicoli 3-4, 1905). — 355 — Toi riglia e il suo territorio: cenni geologici. Roma, tip. della Pace, 1906, in 8.°, pp. 58. Lanata G. Storia della taumaturga immagine del SS. Crocifisso in Chiavari. Genova, tip. del « Serafino d’Assisi », 1906, in 8.°, di pp. 262. Lastri Alfredo. Genova dal 1797 al 1800. Appunti storici (in Ars et salus, Genova, 1906, n. 7 in continuazione). Lugano P. Placido^ L’ abate Fabrizio Malaspina e l’istoria della sua famiglia (in Bollettino della Società per gli studi di storia d'economia e d'arte nel Tortonese, 1906, p. 23-31). Luzio Alessandro. Goffredo Mameli — Nino Bixio (in Profili biogiafici e bozzetti storici, Milano, Cogliati, 1906, pag. 171 e segg. \ 303 e segg.). Ma sci Filippo. Il pensiero filosofico di Giuseppe Mazzini. Memoria (in Atti della R. Accademia di scienze morali e politiche, vol. XXXVI, pag. 167 e sgg.). M. D. Mazzini (in Le Petit Temps, 1906, 18 gennaio). Mazzini Giuseppe. Una lettera inedita (in La Vita internazionale} A. IX, pag. 245). Melegari Dora. La Giovine Italia e la Giovine Europa dal carteggio inedito di Giuseppe Mazzini a Luigi Amedeo Melegari. Milano, Treves, 1906, in 16.°, pp, 345. Luigi Amedeo Melegari e Giuseppe Mazzini (in Nuova Antologia, vol CXXIII, pag. 237 e segg.). Menandro Greco M. Tra gli inni: breve discorso su Giuseppe Mazzini, detto nel R. istituto nautico di Procida pel primo centenario della sua nascita. Roma, B. Lux (s. tip.), 1905, in 8.0, pp. 22. Parodi Giuseppe. Memorie storiche genovesi. Importantissimo documento antico intorno alla donazione dell’insigne reliquia della Santa Croce fatta ai Confratelli dell’ Oratorio di S. Giovanni Battista (Sestri Ponente) (in Settimana Religiosa, 1906, 11. 10, 12). Pedevilla G. Dante in Lunigiana ospite dei Malaspina (in La Verna, rivista illustrala san francescana , A. II, 1906, pag. 731 e seguenti). Pelissier Leone G. Sur quelques documents utiles pour l’histoire des rapports entre la France et l’Italie (in Alti del Congresso internazionale di scienze storiche. Roma, Salviucci, 1906, vol. III). Pubblica un viaggio in Italia dell’ olandese Sommelsdyek fatto nel 1654 , dove ha larga parte la Liguria (pp. 244-256). Penzìg O. Commemorazione di Federico Delpino (in Atti d. soc. lig. di scienze nat. c geogr., A. XVI, fase. 3-4, 1905). Persoglio P. L. Le vie di Genova (in Settimana Religiosa, 1906, n. 14, 18, 19). — Le Figlie di Casa (ivi, 11. 14, 16, 18, 19). — 356 — Poggi Gaetano. La Liguria nella storia (in Dellepiàne , Guida ecc. (vedi) pp. VII-XXXI). Puppo Antonio. Dallo scoglio di Quarto. Canzone. Genova , tip. Marittima, 1906, fol. voi. Rossi Luigi. Niccolò V e le Potenze d’Italia dal maggio del 1447 al dicembre del 1451 (in Rivista di scienze storiche, III, 241). Sauli S. Alessandro. Note e documenti. Milano, Cogliati, 1905, in 8.° di pp. 143. — Contiene: O. Premoli, Introduzione. — Lo stesso, I primi anni di S. Alessandro. — Lo stesso , Genealogia Sauli. — L. Manzini. S. Alessandro in Pavia dal 1557 al 1567· G. Barzaghi, S. Alessandro e S. Carlo. — Pastorale di S. Alessandro alla città e diocesi di Pavia. — Morte di S. Alessandro. — Deposizione giurata della Contessa Carlotta Roero di Costanze. — G. Boffito, Saggio di bibliografia Sauliana. SiEVEKiNG Heinrich. Studio sulle finanze genovesi nel medio evo e in particolare sulla Casa di S. Giorgio. Traduzione dal tedesco di Onorio Soardi riveduta dall’autore (in Atti d. Soc. Lig. di Stor. pat., vol. XXXV, Parte i.a). Sommariva-Tesi Vittoria. Studio su Goffredo Mameli: conferenza. Pistoia, G. Flori e C., 1905, in 8.°, pp. 86. Tiberio D. Idelfonso. La Badia e il Santuario di Maria SS. di Finalpia. Genova, tip. della Gioventù, 1906, in 16.0 di pp. 32, con illustrazioni. TOLOMEI Ugo. Dante in Lunigiana e le famiglie Maiaspina. Pistoia, tip. Grotta Giusti, 1905, in 16.0 di pp. 24. Uzielli Gustavo. Genova e Livorno porti europei La direttissima Firenze-Bologna. Con due carte geografiche. Firenze , Seeber, 1906 (tip. Pellas), in 8.°, pp. 54. Viale Agostino. Salvatore Revelli [scultore di Taggia] (in La Madonna della Guardia, A. XI, 1906, n. 1, pag. 19 e sgg., con ritr.). SOCIETÀ LIGURE DI STORIA PATRIA CRONACA DELLA SOCIETÀ. Nell’Assemblea Generale Ordinaria che ebbe luogo il 14 gennaio 1906, sotto la presidenza del Marchese Cesare Imperiale di S. Angelo, è stato approvato all’ unanimità e senza discussione il bilancio preventivo pel 1906. Il Presidente ha quindi presentato all’Assemblea il volume XXXVII degli Atti della Società (Prof. Emilio Pandiani. Un anno di storia genovese. Giugno 1506-1507, con Diario e documenti inediti) e la prima parte (Le finanze genovesi dal XII al XIVsecolo) del Volume XXXV — 357 — (Dott. Prof. Heinrich Sieve<ì:king. Studio sulle finanze genovesi nel Medio Evo e in particolare sulla Casa di S, Giorgio. Traduzione dal tedesco di Onorio Soardi). Ha riferito inoltre sulla pubblicazione della Monografia stoi'ica dei Porti dell’antichità nella Penìsola italiana, che il Ministero della Marina offriva ai Membri del X Congresso Internazionale di Navigazione convenuti in Milano nel settembre del 1905 , dicendo come S. E. il Ministro Mirabello fosse assai grato alla Società della sua valida cooperazione. Si procedette quindi alla parziale votazione , a scrutinio segreto, delle cariche sociali a sensi delPart. 35 dello Statuto. Il risultato della votazione confermò nelle cariche consigliari i Signori Cav. Luigi Augusto Cervetto, Comm. Francesco D. Costa, Avvocato Prof. Mattia Moresco , Mons. Ab. Prof. Prospero Peragallo, March. Comm. Alerame Spinola e ad essi aggiunse il March. Avv. Antonio Carrega fu Angelo. Furono inoltre eletti a Revisori dei conti pel 1905 i soci March. Vittorio Centurione, Isidoro Ivani, Sac. Prof. Dott. Silvio Monaci. * * * L’Assemblea Generale Ordinaria per 1’ approvazione del Bilancio consuntivo del 1905 , a sensi dell’ art. 40 dello Statuto sociale , ebbe luogo il 3 giugno e fu aneli’ essa presieduta dal March. Cesare Imperiale di S. Angelo. Il Presidente annunziò che S. E. il’Ministro della Marina, assai soddisfatto della cooperazione scientifica prestatagli dalla Società Ligure di Storia Patria lo scorso anno, in occasione della pubblicazione promossa da quel Ministero sui Porti dell’antichità nella Penisola italiana, con sua lettera urgente del 18 febbraio 1906, si rivolse nuovamente alla Società pregandola di cooperare ad un nuovo volume sui Porti deU’Antichità nell’Italia insulare, inteso a completare la Monografia surricordata, affermando che « la trattazione storica dei porti della Corsica, per aver quest’isola tratto le sue prime origini da popoli liguri che l’abitarono, e per essere poi stata lungamente soggetta alla Repubblica di Genova, avrebbe potuto con vera competenza essere svolta dalla nostra Società ». La Presidenza della Società accettò di buon grado l’invito e diede al Consigliere Arturo Ferretto , del R. Archivio di Stato di Genova, l’incarico della nuova compilazione. Il Consigliere Ferretto si recò in Corsica a spese, del Ministero, e, specialmente aiutato colà dall’Ab. Prof. Letteron , Bibliotecario della Comunale di Bastia, condusse a termine il lavoro nel tempo stabilito, consegnando il manoscritto al Ministero della Marina , che provvede ora alla sua stampa. Il Presidente propose un voto di plauso all’A-bate Letteron, e la proposta fu approvata per acclamazione. 11 March. Imperiale partecipò quindi che rappresentò ufficialmente — 35§ — la Società in unione al March. Marcello Staglieno, Vice-Presidente, e all’Ab. Prospero Peragallo, Consigliere della Società, alla commemorazione bicentenaria dell’Assedio di Torino , promossa dalla R. Deputazione di Storia Patria per le Antiche Provincie e la Lombardia. Aggiunse che in seno alla R. Deputazione fu accolta la sua proposta, presentata in unione al Prof. Camillo Manfroni , di far copiare e pubblicare i volumi del Liber Jurium, che si trovano attualmente a Parigi, presso quel Ministero degli Affari Esteri. L’Assemblea approvò quindi alP unanimità e senza osservazioni il bilancio consuntivo del 1905 e la relazione presentata dal socio Isidoro Ivani, altro dei Revisori dei conti. Furono poscia acclamati Soci Corrispondenti, dietro proposta del-l’Ufficio di Presidenza, i Signori: Cushing Richardson Ernest, Bibliotecario della Università di Princeton, New-Jersey, Stati Uniti d’America; Letteron (Abate Professor), Bibliotecario della Comunale di Bastia (Corsica) ; Sieveking Dott. Enrico , Professore di Economia politica nell’Università di Marburgo (Germania). * % La Società Ligure di Storia Patria deplora vivamente la perdita del March. Vittorio Centurione , da vari anni solerte e coscienzioso Revisore dei conti della Società, avvenuta il 15 giugno. E, purtroppo, anche nelle file dei Soci Corrispondenti, bisogna rilevare un decesso: quello del Nobil Uomo Comm. Nicolò Barozzi, che lascia un durevole ricordo di sè colle sue operose ricerche sulla Storia di Venezia. Ai parenti dei due Estinti, giunga l’espressione sincera di cordoglio della famiglia sociale. * * * Sono stati iscritti tra i Soci Effettivi, i Signori : Cresta Don Carlo, Direttore dell’istituto Negrone Durazzo Brignole Sale. — Cudia Salvatore. — D’Oria Lamba March. Lodovico. — Ferraris Ettore. — Foà Raffaele — Levi Priamo — Marsano Don Alfredo, Arciprete di Riva-rolo — Oxilia Dottor Giuseppe Ugo , Professore di Storia nel Liceo pareggiato di Chiavari — Pace Don Paolo, Rettore di S. Torpete — Pavesi Dottor Camillo — Rollino Don Francesco, Arciprete di S. Margherita Ligure — Rossi Avv. Pietro — Soardi Onorio — Tomasinelli Mario — Vassallo Cav. Luigi Arnaldo — Virgilio Avv. Agostino. * * *: La Biblioteca sociale ha ricevuto in dono le seguenti pubblicazioni : La Biblioteca Marciana netta sua nuova sede. XXI III Aprite MDCCCCV. Venezia, Biblioteca Marciana, XXVII aprile MDCCCCVJ. — Ciardi ni Marino. Un « Consilium » per il Monte di Pietà (1473). Firenze , Bertini., 1905. — Colombo Cristoforo. Tre lettere autografe conservate nel Palazzo Municipale di Genova. Ricordo ojjei'to dal JMunicipio di Genova ai Membri del X Congresso Internazionale — 359 — di Navigazione il jQ Settembre 1905. Genova, Armanino, 1905. — Fauché G. B. Una pagina di storia sulla spedizione dei Mille. Lettera preceduta da un preambolo di Francesco Guardione. Roma, 1906. Grasselli Vincenzo. Nella Divina Commedia un passo dai commentatori dichiarato incomprensibile, dallo stesso Dante chiaramente illustralo. Padova, Prosperili!, 1905 - Istituto Idrografico della R. Manna. Le segnalazioni marittime. Omaggio ai Membri del X Congresso Internazionale di Navigazione convenuti in Milano. Settembre MCMV. Genova, tip. del R. Istituto Idrografico, 1905. — Mol-fino I. I rancesco Saverio. Il Convento dei Cappuccini di Varazze. Genova, tip. Gioventù, 1906. - Compendiosa noticia historica do Ho-spicio dos Religiosos Capuchinhos na cidade do Rio Janeiro 1659-1814 [per cura e con prefazione del P. Saverio Molfino]. Genova , tipografia Gioventù , 1906. — Moresco Mattia. La separazione della Chiesa dallo Stato in Francia. Torino, Streglio, 1906. — Oxilia Giuseppe Ugo. Una lettera inedita di Pietro Giordani. Genova, tip. Succursale del « Secolo XIX », 1906. — Pecorini Manzoni Emilio. Una pagina di stona. In omaggio alla memoria dei prodi militi di Garibaldi moili nella battaglia del Volturno il. I ottobre 1860. Santa Maria C. V., 1905. Podestà Prancesco. Cristoforo Colombo nacque in Genova. Genova, tip. della Gioventù, 1905. — Poggi Gaetano. Genova. XX VI secoli di storia. Genova, 1905. — Profumo Attilio. Le Jouli ed i tempi dello Incendio Neroniano. Roma, Forzani e C., 1905. Profumo Attilio. Le fonti ed i tempi del!'Incendio Neroniano. Parte l . ( n po di epilogo generale. Roma , Forzani e C. , 1905. — Rossi Girolamo. Documenti inediti riguardanti la Chiesa di Venti-miglia. — Torino, Paravia, 1906. — Sclavo Francesco. Sulla medaglietta che vuoisi J'atta coniare da Carlo Alberto nel 1S21 come segno di riconoscimento ai suoi compagni di cospirazione. Torino , Pozzo, 1906. — Sella Pietro. Piano di pubblicazione di un « Corpus Statutorum Italicorum ». Roma, Forzani, 1906. — Sforza Giovanni. Alessandro Mag n i- G r iffì. Necrologia. Genova , tip. Gioventù , 1906. — Tortarolo P., Luiggi L., Reggio G. Intorno ad alcuni progetti di ingrandimento edilizio ad oriente di Genova. Esame e studi della Commissione nominata il 9 agosto 1905 dalla Onorevole Giunta Municipale. Genova, Pagano, 1906. — Tortora Eugenio. Il Banco di Napoli. Parte I: Raccolta di documenti storici e statistici con dieci tavole grafiche. Parte II: Regolamento illustrato coll'altre leggi, decreti, ordinanze, massima e con note storiche e dichiarative. Napoli, Giannini, 1883. — Tortora Eugenio. Nuovi documenti per la storia del Banco di Napoli Napoli, Bellisario, 1890. Il Marchese Pompeo Sertorio ha offerto un’altra collezione di libri ed opuscoli di storia genovese e del Risorgimento. I nuovi acquisti della Biblioteca sono i seguenti : Arias Gino. Il sistema della costituzione economica e sociale italiana nelPelà dei Comuni. Torino-Roma , Roux e Viarengo , 1905. — — 360 — Baracconi Giuseppe. I rioni di Roma.. Terza edizione interamente rifatta. Roma, Casa Editrice Nazionale, 1905. — Bianchi Nicomede. Carlo Malteucci e VItalia del suo tempo. Narrazione corredata di do-cumenti inediti. Torino, Bocca, 1874. — Cappelletti Licurgo. Storia della città e stato di Piombino dalle origini fino all’anno 1814, scritta coir aiuto di documenti inediti 0 rari. Livorno, Giusti, 1897. Cioc-CHiNi Antonio. I Pisani all’assedio e conquista di Gerusalemme. Studio storico-cj'itico. Pisa , Mariotti, 1901. — Cipolla Carlo. Per la Storia d’Italia e de’ suoi conquistatori nel Medio Evo più antico. Ricerche varie. Bologna , Zanichelli, 1895. — Claretta Gaudenzio. Dell’ Ordine Mauriziano nel primo secolo della sua ricostituzione e del suo Grand’Ammiraglio Andrea Provana di Leinì. Notizie storiche con documenti. Torino, Bocca (Pinerolo, tip. Sociale), 1890. Curti Giovanni. Carlo - Emanue!e I secondo i più recenti studi. Milano , Rebe-schini, 1904. — Errera Carlo. L’epoca delle grandi scoperte Geografiche. Milano, Hoepli, 1902. — Gabotto Ferdinando. Gli ultimi principi d’Acaia e la politica subalpina dal 1383 al 1407. Torino, Bocca, (Pinerolo, tip. Sociale), 1898. — Hugues Luigi. Le esplorazioni polari nel secolo XIX. Milano, Hoepli, 1901. — Linaicer Arturo. La vita e i tempi di Enrico Mayer. Con documenti inediti della storia della educazione e del risorgimento italiano (/802-1877). Firenze, Barbèra, 1898, 2 voli. — Marmora (La) Alfonso. I segreti di stato nel Governo costituzionale. Firenze, Barbèra, 1877. — Massarani Tullo. Carlo Tenca e il pensiero civile del suo tempo. Milano, Hoepli, 1888. — Molmenti P. G. La Dogaressa di Venezia. Torino, Roux, 1887. — Passerini Giuseppe Landò, Mazzi Curzio. Un decennio dì bibliografia dantesca (1891-içoo). Milano, Hoepli, 1905. — Revel (Di) Genova. Il 183g e l’Italia centrale. Miei ricordi. Milano, Dumolard, 1891. — Revel (Di) Genova. Da Ancona a Napoli. Miei ricordi. Milano, Dumolard, 1892. — Revel (Di) Genova. Umbria ed Aspromonte. Ricordi diplomatici. Milano, Dumolard, 1894. — Revel (Di) Genova. Sette mesi al Ministero. Ricordi ministeriali. Con una <4p pendice contenente i cenni biografici del conte Ottavio Thaon Di Revel. Milano , Dumolard , 1905. — Schmidt Rodolphe. Les armes à feu portatives, leur origine et leur développement historique et technique jusqu’à ?ios jours. Genève , Georg , 1877. — Servion Jehan. 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Documents Ì7iédits relatifs à madame Duchesse de Berry publiés par Henry Prior. Milano, Allegretti, 1906. ή 4 p«to4k)» ti ** * i» A ftf Wt tte ftymé» te ©fcssfe»» Hh>Êâ S» Cilii» al iW. A/y.rfV- Meri &*#* i-rii- ^ ff& Ÿhit,::, -tWnrf/ΧΑ 4K&JIIÌJJ***·*&ΓΑβ- teif&to/fr/M d*l y ì'MU/, -,yœœ~ i, fa ÿfê/m êÎmtjén’àtm per V, itat» ^Lis a*K. — Per f&lerb kmM n> M SI0N0R1 COLLABORATORI '/ " /v.v; v/ri',< Ί'; ai propri co.!abonc2ti 2; copie >— aratri -/V/ vr.'■'·. originali Coloro che ne desiderassero 31 mag-^ - · */4*0 di copie, potranno rivolgersi alla Tiprssnma della Vte Corsica N. 2 (Genova) che ha fissato 1 prezzi (/a 1 '4 '4 pagine Da 1 a 16 pagine fc/jffe $0.....L. 6 Copie 50.....L· 10 // #00.....* 10 » ........> *5 // <00 #UCCè#iWV0 » 6 » 100 successive . » 8 ίτ; ί|υ<:>Λί prezzi μ comprendono le spese della copertina co-1/yffti.ft * ed è da lui soltanto conferito alla legge adottata ». Traccia quindi un disegno dell 'atto costituzionale da darsi alla nuova Repubblica Lombarda (23); la quale riteneva dovesse esistere « più che nel suo territorio, nel cuore e nelle braccia de’ suoi cittadini ». Femmine e maschi, « compiti i venti anni » , son tutti e-lettori ; però soltanto chi sa leggere e scrivere è eligibile « alle funzioni pubbliche » (24). In ogni Distretto, formato di due Municipalità e « composto di diecimila cittadini attivi », annualmente si tiene adunanza « il primo pratile » per eleggere il proprio deputato all’Assemblea nazionale, « o per deliberare sulla proposizione , accettazione , o ri-gettazione di nuove leggi ». Essendo il popolo « il sovrano, ed in conseguenza non potendo essere eh’ egli solo il legislatore », l’Assemblea nazionale, che si rinnova ogni anno, « non propone nè fa leggi, ma rende decreti per provvedere alla salvezza della Repubblica e fare osservare le leggi sanzionate dal popolo »; si riunisce « il primo di fruttifero, e si stabilisce per un anno in ciascuna delle città che è capo del Dipartimento » ; compito « il giro di tutti i Dipartimenti, riprincipia le sue sedute dove ha cominciato ». Il Potere esecutivo è formato « del sesto dei membri dell’ Assemblea ed invigilato dagli altri cinque » ; si spartisce in otto Comitati : delle Finanze, de’ Domini nazionali, d’ Educazione , Militare, dell’ Acque , de’ Lavori e soccorsi pubblici, di Commercio, e di Salute pubblica. Al Comitato de’ Lavori e soccorsi pubblici « spetta somministrare lavoro a tutti quei cittadini che ne mancassero »; ha la « direzione delle opere pubbliche »; provvede « alla sussistenza de’ cittadini inabili a procacciarsela, o per fanciullezza, o per vecchiaia , o per malattie ». Al Comitato di Salute pubblica, « 0 Direttorio esecutivo » , appartiene « tutto ciò che riguarda l’esecuzione suprema delle leggi, la condotta dei magistrati, i complotti contro la Repubblica e l’apertura dei trattati coll’altre nazioni ». Mentre « il numero dei membri di ciascun Comitato è fissato a — 371 — proporzione del numero dei membri che formano il sesto dell’Assemblea nazionale , il solo Comitato di Salute pubblica, o Direttorio, è stabilmente di dodici membri ; cinque annuali e sette trimestrali. Ogni Comitato elegge uno di questi sette e lo invia a risiedere per tre mesi nel Direttorio. Questo, ogni mese, elegge un Presidente, che ha la firma, e la custodia del sigillo ». Le Municipalità, i Distretti e i Dipartimenti hanno un’ amministrazione propria, che si rinnova ogni anno. I cinque amministratori delle Municipalità « sono eletti dall’assemblea dei cinquemila cittadini attivi di ciascuna Municipalità »; i quattro amministratori del Distretto « sono nominati dalla respettiva assemblea del distretto »; i dieci amministratori del Dipartimento, dai voti delle dieci assemblee distrettuali che lo formano. La giustizia civile e criminale la vuole così regolata: Non può esser fatta alcuna violazione al diritto che hanno i cittadini di far pronunziare su le loro dispute da arbitri di loro scelta. La decisione di questi arbitri è definitiva, sei cittadini non si sono riservati il diritto di reclamare. Vi sono Giudici di pace eletti dai cittadini dei circondarli determinati dalla legge, conciliano e giudicano senza spesa; i) loro numero e la loro competenza sono regolate dalPAssemblea generale. Vi sono Arbitri pubblici eletti dalle assemblee di distretto; il loro numero ed i loro circondari sono fissati dall’Assemblea nazionale; riconoscono le contestazioni che non sono state determinate definitivamente dagli arbitri privati, o dai giudici di pace ; deliberano in pubblico, opinano ad alta voce , stabiliscono in ultimo appello le difese verbali, o su la semplice memoria senza processo e senza spesa; motivano le loro decisioai. I Giudici di pace e gli Arbitri pubblici sono eletti ogni anno. In materia criminale alcun cittadino non può esser giudicato che su d’un’accusa ricevuta dai giurati, o dichiarata dall’ Assemblea nazionale. Gli accusati hanno consiglieri scelti da essi, o nominati d’uffizio. L’ istruzione è pubblica , il fatto e Γ intenzione sono dichiarati da un giurato di Giudizio; la pena è applicata da un Tribunale criminale. Tutte le pene sono compensative del danno recato alla società dal colpevole; e a proporzione del maggiore o minor danno, recano seco l’obbrobrio. La pena di morte esiste soltanto per i parricidi ed i traditori della patria. La patria è in lutto ed i cittadini si chiudono nelle proprie case quando si sentenzia a morte un colpevole. — 372 — Vuole che anche i componenti il Tribunale di cassazione, unico per tutta la Repubblica, che « non tratta gli affari da principio, ma pronunzia la violazione delle forme e su le contravvenzioni fatte espressamente alla legge » , siano nominati ogni anno dalle assemblee dei Distretti. Curioso è l’articolo che tratta delle contribuzioni pubbliche : Non potendo alcun cittadino avere più di mille zecchini d’entrata, e dovendo depositare ogni quattro anni il superfluo della sua industria nell’erario nazionale, la Repubblica, godendo dei frutti di questo superfluo, avrà come provvedere alle spese a lei necessarie; ma quando l’Assemblea nazionale fosse necessitata ad imporre qualche contribuzione, verun cittadino è dispensato dall’onorevole obbligo di contribuire ai pesi pubblici. La Tesoreria nazionale « è amministrata da Agenti responsabili, nominati dal Potere esecutivo »; e vengono invigilati « da commissari eletti dall’ Assemblea nazionale, presi fuori del di lei seno, e responsabili degli abusi che non denunziano ». Gli ultimi quattro articoli della Costituzione immaginata da Labindo trattano della censura, della milizia, de’ rapporti della Repubblica con le nazioni straniere, e della garanzia dei diritti. Trascrivo il primo , per più conti notevole. Il popolo è censore naturale di se medesimo e dei suoi magistrati; ha perciò diritto di poter formare in ogni Municipalità due Società popolari, una nel luogo dove risiede l’Amministrazione municipale, l’altra nel più centrale per gli abitanti della campagna soggetta alla stessa Municipalità; diritto inalienabile, quando non si usurpi in dette Società alcuna di quelle facoltà che appartengono al Governo. Le So- 1 cietà popolari sono le sentinelle della libertà, la salvaguardia dei costumi, il tempio civile dell’istruzione e della concordia, e ad esse appartiene Γ invigilare sul superfluo della fortuna dei cittadini. Ciascuno in essa ha diritto di accusare un altro cittadino; ma deve fare la sua deposizione in iscritto e deve esser questa affissa nella Società popolare. Dopo tre giorni è recata al più vicino Tribunale criminale. Se l’accusa è da questo riconosciuta falsa, l’accusatore è privato dal Tribunale per quattro anni del diritto di cittadino e marcato sulla mano destra colla lettera C. Se poi l’accusato è riconosciuto reo, 1’ accusatore è ringraziato dalla Società popolare, e il Tribunale criminale pronunzia a nome dell’Assemblea nazionale ch’egli ha ben meritato della patria. — 373 — Partigiano della nazione armata, scrive: La forza generale della Repubblica è composta del popolo intero, diviso in 5 requisizioni , cioè di quella dei giovani dai 20 ai 40 anni; dei virili dai 40 ai 60; degli adolescenti dai 16 ai 20; delle donne dai 20 ai 60; dei vecchi dai 60 ai 75. Ogni repubblicano è soldato. Tutti egualmente nei giuochi e nelle feste nazionali sono esercitati nel maneggio delle armi. La Repubblica mantiene al suo soldo , anche in tempo di pace , una forza armata alle frontiere. Non può avere un generalissimo; nè alcun generale può ritenere il comando dell’armata più di un anno; può bensì essere confermato per il secondo dall’ Assemblea nazionale, quando evidentemente lo richiegga la salute della Repubblica. Non può sussistere fra le truppe differenze di gradi e segni distintivi che relativamente al servizio. La forza pubblica, impiegata per mantenere P ordine e la pace nel-P interno, non agisce che per una richiesta in iscritto delle Autorità costituite. Queste sono responsabili degli ordini che danno al Potere esecutivo. La forza pubblica contro i nemici esterni agisce sotto gli ordini del Comitato di Salute pubblica e sotto la vigilanza dell’ Assemblea nazionale. Alcun corpo armato, benché deponga le armi, se non si discioglie e rende i suoi membri alle rispettive assemblee di Distretto, non può deliberare. Vuol così regolate le relazioni della Repubblica con le nazioni straniere: Il Popolo Lombardo è l’amico di tutti i popoli liberi e compiange gli schiavi. Non si mescola nel governo delle altre nazioni, e non soffre che le altre nazioni si mescolino nel suo. Non manda ambascia-tori; riceve ai confini quelli delle . altre nazioni , i quali non possono avere altro seguito che di quattro persone. Dà ogni ventennio a quei popoli liberi che ne abbisognano il superfluo della sua virtuosa popolazione, o lo manda a popolar quelle terre che non hanno coltivatori. Non riceve ne’ suoi porti altre flotte che quelle della Francia; le altre nazioni non vi possono entrare che con tre soli legni da guerra. Protegge quei legni mercantili che recano nei suoi porti commestibili, o generi greggi, e quelli stranieri che vengono fraternamente per tre giorni alle città di confine per la stessa cagione. Non conosce altro dritto di guerra che la propria difesa. Accetta per cittadini tutti quelli uomini che utili e con le loro azioni e con i loro scritti hanno sofferto e soffrono per la causa imperibile della libertà. Non dà asilo nè ai tiranni, nè agli schiavi, e non fa mai pace con un nemico che occupa il suo territorio. Immagina anche un trattato di alleanza, che alla nuova — 374 — Repubblica assicuri la sua esistenza e alla Francia i propri vantaggi. E questo: I. La Repubblica Francese dichiara il Trentino e Brissanonese una Repubblica alleata delle due Repubbliche Francese e Lombarda. II. Si obbliga fornire ventimila soldati alla Repubblica Lombarda, che dovrà mantenerli a sue spese. Ottomila staranno nella Repubblica Trentina, quattromila sulle coste e nei porti, e gli altri saranno ripartiti nelle città di confine. III. La Repubblica Lombarda, per dimostrare la propria riconoscenza alla sua liberatrice, si proibisce di creare una marina mercantile e da guerra. Sicura della fertilità del suo territorio e della sobrietà ed industria de’ suoi cittadini, protette dalla sua pubblica educazione, vuole riconoscere la sua esistenza politica dall’ agricoltura e dalle arti che non sono di lusso IV. La Repubblica Francese , in cambio di quanto la Repubblica Lombarda le accorda, si obbliga di proteggere e scortare con le sue squadre quei bastimenti che recheranno merci non lavorate ai porti della Repubblica Lombarda. V. Le mercanzie francesi di transito non saranno soggette a gabella sul territorio lombardo. VI. La Repubblica Francese si obbliga di non vendere sul territorio lombardo che commestibili e generi greggi e di smerciare altrove i suoi generi lavorati. VII. Ogni qual volta i nemici invaderanno il territorio dell’ una o dell’altra delle due Repubbliche, quella di loro che non sarà invasa, sarà obbligata a somministrare all’altra un corpo armato di ventimila uomini. Se fossero richiamati dalla Repubblica Francese i ventimila uomini che si è obbligata di tenere in Italia, non potrà pretendere dalla Repubblica Lombarda altra truppa, ma il solo mantenimento dei ventimila uomini. La Repubblica Francese si obbliga sei mesi prima di richiamarli di darne avviso al Governo. Vili. Questo corpo non può essere comandato che da un generale della respettiva nazione, che sarà subordinato al generale della nazione del territorio invaso. IX. Se la Repubblica Francese, o Lombarda, farà la guerra fuori del suo territorio , quella Repubblica che non è in guerra non sarà obbligata che a somministrare un corpo di diecimila uomini, quando ne sia richiesta. X. Quando nel medesimo tempo i territori delle due Repubbliche fossero invasi, tutte le truppe d’ ambedue saranno in requisizione ed ambi i Governi concerteranno il piano di difesa comune. XI. Non si farà trattato da alcuna delle due Repubbliche nel quale l’altra non sia compresa. XII. La Repubblica Francese si obbliga di tenere aperte due strade per comunicare con la Repubblica Lombarda: quella del monte Ce-nisio e quella delle Alpi marittime, — 375 — La Costituzione si aveva « da rivedere e migliorare di qui ad un secolo » ; essere « scolpita in bronzo o in marmo nella sifla dell’Assemblea nazionale e in tutte le pubbliche piazze della Repubblica ». Garantiva « ad ogni cittadino la libertà, l’eguaglianza, la proprietà, la sicurezza, il libero esercizio domestico dei culti, un’educazione comune, gratuita e ministra di sussistenza, i soccorsi pubblici, la libertà della stampa, il diritto di petizione, il diritto di riunirsi in società popolari, il godimento in fine di tutti i diritti del-l’uomo ». Il poeta più d’ una volta , anzi troppe volte , piglia la mano al legislatore; ma di quando in quando qualche lampo di pensiero c’è. Giovanni Sforza. (1) Raccolta degli ordini, avvisi, proclami, ecc. pubblicati in Milano nell’anno V Repnbblicano Francese, Milano, presso Luigi Veladini, 3796, tom. II, pp. 16-17. (2) Le memorie dovevano essere spedite all’Amministrazione generale della Lombardia con « un bullettino suggellato, sull’esteriore parte del quale sarà scritta l’epigrafe, che verrà posta anche alla testa della memoria, e nell’interno il nome e la patria dell’autore ». L’Amministrazione, per giudicarle, nominò « una commissione di persone letterate, presieduta da uno 0 più membri », assegnandole quindici giorni di tempo a decidere. Si obbligò poi di far pubblicare « col mezzo della stampa » la memoria premiata, e di usare « tale distinzione » anche a quelle che « la commissione giudicherà degne ». Nel R. Archivio di Stato in Milano si conservano manoscritte ventidue di queste memorie; alcune sono segnate con un numero; altre non hanno numerazione. Le numerate son queste: 2. Memoria del-l’avv. Gio. Nepumoceno Alessi di Montecalvo nell’ Oltrepò Sardo (presentata il i.° annebbiatore dell’anno V). — 5. Id. brevissima, firmata C. (22 brumale). — 8. Id. col motto : Concordia sonant (28 brumale). — 10. Id. di Giambattista Pacchiarotti di Cadovilla, presso Voghera (14 glaciale). — 11. Id. dell’ avv. Francesco Bergancino di Livorno Piemontese (4 glaciale). _ 12. Piano di costituzione repubblicana per l’Italia di Teodoro Accio di Borgo d’Ale presso Vercelli, prof, di retorica (28 brumale). — 13 Memoria, in francese, del Rouher, segretario in Bozzolo della Commissione amministrativa del Mantovano (6 glaciale). — 24. Id. in francese, di Carlo Theremin , capo ufficio al ministero degli affari esteri a Parigi (14 glaciale). — 25. Id., in francese, di Giambattista Maurice di Parigi (12 glaciale). — 27. Id., in italiano, con l’epigrafe: O quisquis volet impias (10 glaciale). — 28. Id., in francese, di Giuseppe Antonio Florens di Parigi (1.0 nevoso). — 29. Id. di Francesco Fabre, impiegato del genio a Pavia (28 glaciale). — 48. Id., in francese, del Boillet, medico nel dipartimento del Cher (15 nevoso). — 51. Id. in italiano, con l’epigrafe: Il solo governo democratico è legilhwio (17 glaciale). 53. Polo costituzionale — 376 — pc-r la Repubblica Lombarda, di Giuseppe Faroni di Cremona (2 piovoso). — 54. Id., in italiano, di due autori, l’avv. Pe....... (strappo nel ballettino) e il cittadino Gio. Maria Bosisio abate (9 glaciale). — Le memorie senza numerazione sono le seguenti : a) Memoria del medico condotto di Angera (28 nevoso). — b) Id., di Pietro Antonio Bindi, parroco di Pietrella Guidi (9 germinale anno VI). — c) Id., in francese, con l’epigrafe: La Liberté est le premier droit (senza data). — d) Id., di Eustachio Dolfini, carmelitano torinese, di anni 62 (4 glaciale). — e) Piano di Giuseppe Pozzi per il benessere della Repubblica Cisalpina (Milano, 20 fruttidoro anno V). Da una lettera del Ministro degli Interni Ragazzi, del 15 ventoso anno VI, risulta che trenta di queste memorie erano presso il dott. Antonio Crespi presidente della Municipalità di Milano. Varie lettere riguardanti il concorso, si trovano nella filza. Sono di Publicola Tiberino (Giuseppe Lattanzi), 4 glaciale; dell’avv. Giuseppe Poggi di Piazzano (Piacenza), 22 vendemmiale; di Ferdinando Marescalchi di Bologna, 6 ottobre, 1796; di Gaetano Rossi, esule napolitano , 22 frimale. Alle memorie inedite sono poi da aggiungere quelle stampate del Gioia, del Botta, del Fantuzzi, del Ranza, di Labindo e le seguenti : Risposta al quesito dell’Amministrazione generale della Lombardia : « Quale dei Governi liberi convenga meglio alla felicità dell’ I-talia? s> d'Un Patriot ta Bolognese, Milano, Tanno V della Repubblica Francese (1796), in 8.° di pp. Vili. [È firmata C. G.]. — Quale sia il Governo migliore. Dissertazione ; s. n. t. in 8.° di pp. 12. [È di G. Tirelli, modenese]. — Sbozzo sul quesito proposto dall’Amministrazione generale della Lombardia : Quale de’ governi liberi meglio convenga alla felicità dell’ I-talia; nel Giornale de’ Patrioti d’Italia, n.° 3, 5 piovoso, anno I della libertà italiana (24 gennaio 1797). È accompagnato dalla seguente dichiarazione: « Le vicende di una vita da lungo tempo consacrata alla libertà hanno impedito all’ autore di quest’ articolo di mandare nel termine prefisso la memoria, di cui avea fatto il piano e fissato le idee principali: sono queste che crede dovere sviluppare nelle, circostanze attuali con quella rapidità che esige un foglio periodico, premuroso più del titolo di buon cittadino che d’ eloquente scrittore ». È firmato B. e porta scritto, in fine, « sarà continuato »; promessa non mantenuta. (3) Cavalli F. La scienza politica in Italia, Venezia, Antonelli, 1881 ; tom. IV, pp. 275-280, 282-291 e 291-295. — Momigliano F. Un pubblicista, economista e filosofo del periodo napoleonico (Melchiorre Gioia); nella Rivista di filosofia e scienze affini, ann. V, vol. I, n. 2, febbraio 1903, pp. 135-153. Cfr. anche Fiorini, V. Il tempio del Risorgimento Italiano, vol. II, part. I, pp. 700-702. — Mazzoni G. L’Ottocento (edizione Vallardi), pp. 123-125. (4) Mazzini G. Scritti editi e inediti; I, 182. (5) Intorno alle prime aspirazioni degl’ italiani all’ unità nazionale molto e da molti fu scritto, e molto resta ancora da scrivere. Qui cito i lavori che hanno importanza maggiore : D'Ancona A. Il concetto dell’unità politica nei poeti italiani; in Studi di critica e storia letteraria, Bologna, Zanichelli, 1880, pp. 1-103. — Neri A. Un giornalista della rivoluzione genovese [Gaspero Sauli]; nell’Illustrazione Italiana, anno XIV [1887], n.° 8 e 9, PP· I53 e I73· — Franchetti A. Della unità italiana nel 1799; nella Nuova Antologia, fascicolo del i.0 aprile 1890; pp. 401-437. — Croce D.Relazioni dei patrioti napoletani col Direttorio e col Consolato e I’ idea dell’ unità italiana (1799-1801); Archivio storico per le Provincie Napoletane, — 377 — ann. XXVII [1902], fase. 1 e 2, pp. 94-168 e 235-281. — D’Ancona A. U-nità e federazione ; in Ricordi ed affetti, Milano, Treves, 1902, pp. 287-349. Cfr. pure: Tivàroni C. L’Italia durante il dominio francese, Torino, Roux, 1889; II, 450-466. — Franchetti A. Storia moderna d’Italia (1789-1799), Milano, Vallardi, 1900 e segg., pp. 281-283. (6) Discorso storico politico sul quesito progettato dall’Amministrazione Generale della Lombardia : « Quale dei Governi liberi meglio convenga alla felicità dell’Italia », di Publicola Tiberino, Milano, presso Gaetano Motta, s. a. ; in 8.0 di pp. 50. (7) Il Botta si proponeva di parlare del governo federativo « in un altro scritto », che poi non fece; e « dai suoi atti successivi si ha la prova che mirasse all’unità d’Italia, non ad una confederazione delle diverse sue parti » Cfr. Dionisotti C. Vita di Carlo Botta, Torino, Favai e, 1867; p. 43· (8) Proposizione ai lomba?'di di una maniera di libero governo, In Milano MDCCXVII, della Rep. Frane, anno V; in 8.° Venne ristampato a Capolago, ma perchè potesse correre liberamente per la penisola, vi fu cambiato il titolo, incollandovi il frontespizio: Pensieri politici di Carlo Botta, Italia, 1840, in 8.° di pp. 296. (9) Tra le carte che la Repubblica di Genova sequestrò a Gaspero Sauli c’è una lettera anonima, scritta da Nizza l’8 aprile 1793, che dice: « Mi sono incontrato col cittadino L’Aurora, una delle prime famiglie romane, il quale ha servito l’imperatore ed ha girato l’Europa per l’esecuzione di un progetto che anderò a dirvi. Ha progettato costui alla Convenzione nazionale di volergli accordare soccorsi per levare legioni che all’Aquila romana conquistassero tutta l’Italia. Queste legioni saranno composte di soli italiani, ed egli ha dei partiti considerabili a Cadice, Madrid, Londra, Parigi, dove i mercanti l’aiutano col danaro e la gioventù colla forza. Sta negoziando con Biron e si lusinga dell’esito. Sarebbe buono che voi scriveste a Serra che si degnasse di dar orecchio a quanto gli scriverà L’Aurora. Egli stamperà un manifesto, che avrò la cura d’inviarvi. Il progetto di liberare l’Italia da noi stessi sarebbe grande in se stesso, ma l’esecuzione mi par difficile ». Cfr. Neri A. Un giornalista della rivoluzione genovese cit. (10) Il 30 fruttidoro dell’anno IV (16 settembre del 1796) scriveva al Comitato di Polizia di Milano: « i nostri tiranni sono avviliti: la magnanima determinazione di Reggio li ha fulminati » ; « quella città che in diciannove secoli di oppressione fu 1’ unica dell’ Italia che spezzò le sue catene e ricuperò i suoi naturali diritti », Reggio « dev’ essere il centro e la sorgente della nostra rigenerazione e l’epoca memorabile della libertà d’Italia». Proponeva pertanto che il popolo di Reggio, « come una particella della sovranità universale d’Italia », deliberasse di convocare « una Convenzione nazionale, formata di tutti gli Stati d’Italia », da adunarsi il 25 del futuro vendemmiale (16 ottobre) « a Reggio, Milano, o Bologna ». Spartiva « momentaneamente » l’Italia in dieci dipartimenti: là Lombardia, con Mantova, doveva eleggere 24 deputati; 14 Reggio, con Modena, Parma e Piacenza; 10 il Piemonte; 8 Genova, con Lucca e Massa; 8 Venezia; 8 la Toscana; 24 Roma; 10 Napoli; 6 la Sicilia: 8 la Sardegna: 120 in tutto. Gli ecclesiastici non potevano venire eletti; la scelta doveva cadere sopra « uomini di cognizioni e di probità, conosciuti per repubblicani determinati ». Se nel tratto d’ Italia che « giace nell’oppressione », non fosse possibile con- Giorn. St. e Leti, della Liguria. 26 - 378 - vocare i comizi, que’ dipartimenti « invieranno tre repubblicani a Reggio per prendere il modo di elezione e poi in segreto sceglieranno i membri che saranno inviati alla Convenzione ». Le Municipalità di Milano e di Reggio invieranno una deputazione al Bonaparte per dargliene 1’ annunzio. Se non l’approvasse, « si risponderà con energia, che arrivando in Italia ha promesso libertà a’ popoli, che la sua promessa dev’ esser sacrata e che perciò la Convenzione nazionale sarà convocata ». Dovrà essa mandare una deputazione « solenne » a Parigi, « chiedendo protezione ed alleanza con la Repubblica madre ». Conchiudeva questi suoi sogni con dire: « La convocazione della Convenzione nazionale è assolutamente indispensabile : mediante essa si sveglierà tutta l’Italia: il popolo vorrà eleggere: i tiranni vorranno opporsi : la sollevazione è immancabile e con essa la rivoluzione generale dell’Italia ». Cfr. Bassi V. Op. cit. pp. 430-432. (11) Lo stampò a Milano col titolo: All Italia nelle tenebre L’Aurora porta la luce. Così lo giudicava UOsservatore Piemontese, vol. I (i797)> η. IV, p. 64: « L’autore di questo libro è avvolto in tenebre troppo dense onde lusingarci che un 'aurora fortunata possa portargli una volta la luce». Scrisse anche : Educazione democratica al popolo italiano. (12) Era nativo di Coperchia e fu tra gli esuli del 1794· Rifugiatosi in Francia, entrò co’ Francesi à Milano e il Baraguay d’ Hilliers lo scelse a traduttore de’ suoi proclami e della sua corrispondenza. « Accusato di trafficare a denaro il favore dei comandanti, perdette il titolo di cittadino francese, e rinchiuso nelle carceri dell’Arcivescovado, venne processato. Uscito, non consta se innocente, o per valide protezioni, nel gennaio del 1797 istituì il Giornale dei patrioti italiani, coll’epigrafe: Omnes in unum ». Così il Cusani, Op cit.. V, 19. Nel programma scrisse: « Lungi dall’adottare quello spirito intollerante di una sedicente filosofia che urta senza misura le opinioni rispettabili che servono di base alla probità della moltitudine, noi, da veri filosofi, facciamo protesta che attaccando con forza la superstizione, rispetteremo la vera religione, conforto degli sventurati e fondamento d’ogni virtù sociale ». Si pubblicava ogni due giorni; durò dal 20 gennaio al 23 'settembre 1797. (13) De la riécessité d’établir une république en Italie, A Milan, de l’imprimerie de Louis Veladini, l’an VI de la République Française, 1796; in 16.0 di pp. 94. — Ha per motto: « Partem aliquam venti Divum referatis ad aures » e si spartisce in sette paragrafi: « I. De l’état actuel de l’Italie; II. Des dispositions des Italiens; III. Obstacles à l’établissement d’une république en Italie; IV. Tableau abrégé de la situation physico-politique de l’Italie; V. Projet d’une république Lombarde; VI. Des maux qi^e produi-roit un système fédératif en Italie; VII. Conclusion ». È composto tra il 26 agosto e il 6 ottobre del 1797; infatti scrive: « On sait que la révolution est en pleine force à Reggio, quelle celle de Modène se prépare ». Fu stampato anche in italiano, infatti in fronte alla seconda edizione è un avviso ai lettori, ripetuto nella terza (Vicenza, MDCCXCVII. Dal cittadino Giambattista Vendramini-Mosca), dove è detto che la prima edizione « si è venduta con una rapidità incredibile»; il «nuovo Congresso di Stato» ne domandò 300 esemplari, «che non si poterono dare perchè esauriti; allora si fece la seconda, con giunte, incoraggiato l’autore dall’invito del Congresso stesso. Annunzia poi che « il cittadino Villetard, segretario della legazione di Genova », deve dare « una elegantissima traduzione francese » e un’altra ne è eseguita « per le cure dei rifugiati italiani » a Parigi. — 379 — (m) Rappo? ίο sullo stato attuale dei paesi liberi d'Italia e sulla necessita eh’essi sieno fusi in una sola repubblica, presentati al Generale in capo dell armata francese, Italia, 1797, anno primo della libertà italiana. Ku pubblicato a Venezia il 27 settembre. Cfr. Papa Ulisse, Vittorio Barboni e ι tempi Napoleonici in Italia ; nella Nuova Antologia, serie II, volume XV (1879), pp. 59°"323 ; il quale però, ma a torto, lo ritiene una « a-perta e mordace ironia ». (15) Cfr. Perrero D. Le prime pazzie del prof. Gio. Antonio Ranza in Vercelli; in II Filotecnico, di Torino, ann. I [1886], pp. 315-325 e 382-396. Roberti G. Il Cittadino Ranza ricerche documentate; nella Miscellanea di storia italiana, tom. XXIX, pp, 1-185. (16) E il più raro de’ tanti opuscoli rivoluzionari del Ranza. Ne possiede un esemplare la Biblioteca del R. Archivio di Stato di Torino. Ha questo titolo. Libertà, Egualità. Ai Rappresentanti del Popolo presso l’Armata d Italia Robespier?-e, Ricord e Saliceti denunzia contro V esecutore criminale di Nizza; in-8.0 di pp. 8, senza luogo, nome di stampatore e anno. Il Progetto di correzione alla guillottina si trova a p. 7; la Denunzia, che lo precede, porta la data: « Nizza, 9 germinale dell’anno 2 della Rep. una, indivisibile, immortale », cioè 29 marzo 1793 È indubbiamente stampato a Nizza. (17) Della Vtra, idea del federalismo italiano del Ranza se ne fecero quattro edizioni, tanto ebbe spaccio. LJ ultima « decisiva » è del giugno del 1797. (18) Un romano, che non prese parte al concorso e s’ignora come si chiamasse, mandò alle stampe : Essai sur la forme de gouvernement que la nation italienne doit préfer er, par un des plus zélés républicains italiens. Composto nel giugno del 1797, uscì alla luce nel settembre dell’anno dopo. Vuole spartita l’Italia, con la Sardegna e la Sicilia, in tredici dipartimenti 0 provincie confederate ; e che adotti « la plus simple démocratie », formando « une république respectable et importante ». Cfr. D’Ancona, Unità e federazione cit., pp. 301-302. — Il conte Gio. Francesco Galeani Napione di Cocconato era anche lui per la federazione, non di repubbliche, ma « degli attuali principi naturali e popoli italiani ». Cfr. Del nuovo stabilimento delle Repubbliche Lombarde, osservazioni; in Bianchi N. Storia della Monarchia Piemontese; III, 570-611. Le scrisse nel maggio del 1797. (19) Nacque nel borgo di Piave presso Belluno il 10 ottobre del 1762; combattè per l’indipendenza della Polonia nel '94, poi offerse la spada a Bonaparte e si coprì di gloria ad Arcole; prese parte alle battaglie di Magnano, della Trebbia e di Novi; trovò la morte sui colli di Genova all’assalto della Coronata. Giacomo Graberg nel suo Diario del blocco di Genova, edito negli Atti della Società Ligure di Storia patria, XXIII, 433-434, scrive: « Il 2 maggio il generale Massena aveva stabilito di attaccare i luoghi del Boschetto, di Rivarolo e di Coronata: in quest’ ultimo avevano gli Imperiali posti in batteria alcuni cannoni; al principio i Francesi riuscirono, sotto la protezione del fuoco delle Tenaglie, ad impadronirsi di vari cannoni ; ma una colonna di truppe in avanguardia ed una batteria mascherata li obbligarono a ritirarsi, con una perdita di 300 a 350 tra morti e feriti. Tra i primi si trovò il generale di brigata Fantuzzi, cisalpino, al servizio francese, che generalmente fu compianto, tanto per le sue cognizioni ed il contegno coraggioso tenuto due giorni prima nell’ attacco dei Due fratelli, quanto anche perchè tutti gli italiani lo consideravano come un appoggio — 380 — potente presso i generali francesi. Come particolarità curiosa, si può ricordare, che egli aveva per aiutanti tre poeti italiani, i quali furono pure feriti in questo combattimento », Ugo Foscolo , Antonio Gasparinetti e Giuseppe Ceroni. (20) È Γ ode XIII del libro IV, In morte d’ un ufficiale italiano ucciso in una battaglia contro gli Austriaci. Nella stampa del nepote si legge invece: contro i Francesi, errore ripetuto dopo di lui dagli altri editori. (21) Discorso politico sopra il quesito proposto quale dei governi liberi meglio convenga alla felicità d’Italia, di Giuseppe Fantuzzi italiano, Milano, Veladini, anno I della Libertà italiana. (22) Ne stampò un saggio nel giornale genovese II Difensore della Libertà, n. 34, 29 settembre 1797, col titolo: Massime elementari di pubblica educazione estratte da un’opera inedita sulla Felicità delle Nazioni, che fu poi ripubblicato dal Neri. Cfr. la Bibliografia. Dal suddetto libro sulla Felicità delle Nazioni Labindo attinse Γ ultimo brano della sua Risposta [pp. 37-54]. Ne trascrivo alcuni tratti. « Su quali assiomi di pubblica felicità dovrebbe stabilirsi questa nuova Repubblica ? Sopra i seguenti: L’uomo nasce ovunque con gli stessi naturali bisogni e con ristesse disposizioni per educarsi. — L’aggregato di tutte quelle cose che si chiamano clima, quando sia corretto dalla sobrietà e da una proporzionata fatica, qualunque temperamento formi dopo la nascita negli uomini non impedisce che possa darsi loro un’ eguale pubblica educazione. La varietà dei climi è una prova dell’unione che naturalmente esiste fra i popoli, della fratellanza che deve regnare fra gli uomini e della necessita di fondare l’istruzione su i principj inconcussi della felicità universale. La donna ha diritto di essere educata come 1’ uomo, dovendo essere cittadina, Un’ uguale educazione non può renderla dannosa alla società. La natura medesima la colloca a livello delle funzioni che le competono. Non può esistere società senza religione, e non vi è che una sola religione sociale, consiste questa nella morale, cioè nei doveri d’amore verso la specie, verso la patria, verso noi stessi. Non permette di definire la Divinità, ma tollera che ciascheduno le renda privatamente quel culto che più gli piace. Non v’è reale e stabile proprietà che quella delle proprie mani. — La miseria e la ricchezza rendono gli uomini 0 vili, 0 prepotenti ; fanno loro odiare la fatica, mancare la sussistenza o ad essi, o alla società e regnarvi l’ingiustizia e il malcontento. — La povertà rende l’uomo libero, giusto e coraggioso, gli fa amare la fatica , fa che necessariamente procuri la sussistenza a se stesso ed alla società, e vi mantiene l’ordine, l’amore e la tranquillita. — Non si mantiene la povertà fra gli uomini che facendo loro depositare il superfluo nel pubblico erario. Questo superfluo forma la ricchezza del corpo sociale e la più giusta delle contribuzioni, provvede ai pubblici bisogni ed a quelli di ciascun cittadino e di ciascuna famiglia e saggiamente distribuito produce l’amor della patria. — Ogni ventennio deve farsi il bilancio della popolazione di una Repubblica, del suo superfluo formarne delle colonie da offrirsi a quei paesi che mancano di popolazione o da mandarsi in paesi disabitati. — Non possono esistere in uno spazio di terreno più uomini di quelli che possa questo mantenere con i suoi prodotti. — L’industria degli uomini, ben diretta dall’ educazione nazionale , aggiugne due terzi di valore alle produzioni del territorio e mantiene in esso due terzi di più di popolazione. — Ogni popolo, che prende generi greggi dagli altri — 3δι — e li rida lavorati , acquista nuovi mezzi di sussistenza; chi gli dà greggi e gli prende lavorati si toglie una parte di sussistenza. — Le arti necessarie fanno sussistere le nazioni, l’agricoltura è la prima fra esse — Il commercio interno dev’essere illimitato; l’esterno non può esser tale , sinché non siasi formata una federazione democratica di tutti i popoli della terra. — L’ e-ducazione è il nutrimento fisico e morale dell’uomo. Gli somministra questa il primo con le arti, con le scienze il secondo. Non può esser che uguale e gratuita, e fondata sul principio sociale che chi giova agli altri giova a se stesso. La pratica deve precedere la teoria. Senza istituzione l’istruzione è inutile. — L’istituzione forma l’uomo fisico e gli porge i mezzi di sussistenza e rende capace 1’ uomo morale di ricevere utilmente qualunque genere d’istruzione — L’istruzione perfeziona l'uomo e forma il cittadino ed è circoscritta in tutto ciò che si può dimostrare. — Il saper cose inutili è ignoranza, cose utili è dottrina. — L’uomo in società non può formarsi u-tile che con le leggi , per osservar le quali dev’ esser persuaso che siano buone. La prova di questa persuasione sta nel farle, o nell'accettarle scientemente. — La società non ha che due qualità di leggi : le istitutive e le coercitive. Le prime formano l’uomo ed il cittadino con le abitudini ; le seconde impediscono che 1’ uomo ed il cittadino possano violare le prime. — Le istitutive ripongono nell’opinione l’onore e l’infamia delle azioni. Le coercitive fondano la loro potenza nella forza della società impegnata a difendere la vita, la libertà e gli averi dei cittadini che le osservano, ed a punire quelli che le violano. Se proteggono, si chiamano utili ; se puniscono si chiamano criminali. — Non possono esistere buone e poche leggi civili ove i figli non sono naturalmente ed egualmente eredi dei beni dei genitori, ed ove non sono aboliti i fedecommessi, le doti, le donazioni ed i testamenti. — Le leggi criminali non sono mai nè giuste, nè rispettate che quando le pene sono proporzionate ai delitti ; 1’ obbrobrio è la pena più sensibile di un cittadino, e il dì della punizione di un colpevole è un dì di lutto per la Repubblica. — Le leggi coercitive emanano dall’ istitutive onde non possono da loro distinguersi, nè contradirle ; la violazione del-l’une rende indispensabilmente necessario il rigore dell’ altre. — Quel potere che fa eseguire queste leggi si chiama governo. Risiede naturalmente nell’universalità dei cittadini: questi talvolta, o per difficoltà di riunirsi, o per meglio accudire ai loro particolari interessi, o per goder del riposo, lo affidano ad alcuni creduti i più probi ed i più capaci fra loro, o ad un solo, a cui danno le facoltà di eleggere i magistrati ; questi governi, detti Aristocratico e Monarchico non sono legittimi, perchè fondati sull’ ingiustizia e figli di un’ ignorante pigrizia, e non del volere ragionato del popolo. — Ogni cittadino non può, nè deve mai perdere il diritto d’invigilare sulla condotta degli amministratori della legge. Essendo una frazione del Sovrano, e avendo creata la legge per la propria sicurezza, ha diritto di vegliare sull’inviolabilità di ciò che conserva la sua felicità e quella del corpo sociale — Senza Società popolari non v’è democrazia; sono le sentinelle della libertà e la fucina dell’istruzione. — La libertà della stampa è un diritto inalienabile dell’uomo libero. Il nome dell'autore è in faccia alla legge la cauzione dell’ opera. — Il Governo democratico dev’ essere il Governo d’ogni nazione, com’è il Governo della natura. Può adattarsi su qualunque estensione di territorio quando questo sia diviso in popolazioni che possano facilmente congregarsi e sia regolato dalle medesime leggi. — Il Governo democratico richiedendo che i cittadini sappiano nello stesso tempo — 3δ2 — comandare ed ubbidire, ha bisogno di somma purità di costumi. Le sole nuove abitudini possono formarli puri alla quarta generazione, distruggendo quelle di cui siamo schiavi. — Non è permesso che a pochi uomini dell’attuale generazione di essere assolutamente liberi. — Per fare che diven-ghino tutti i nostri bisnipoti, conviene adottare un Governo in cui mentre le leggi formano quei che nascono, i pochi buoni viventi possano frenare i molti viziosi, senza che i primi abbiano mai forza sufficie .te di rendersi tiranni dei più. — Questo dev’esser fondato sui principj della democrazia universale, cioè i diritti inalienabili dell’uomo e del cittadino. — Deve costituire una patria senza nuocere ai diritti degli altri popoli. — E deve finalmente promuovere Tassociazione di tutti gli uomini e di tutte le nazioni della terra formandone con una federazione d’amore una sola famiglia ». Gli altri due paragrafi tratti dall’opera sulla Felicità delle Nazioni, con i quali si chiude la Risposta, son quelli stessi che stampò nel Difensore e che poi riprodusse il Neri. Uno ha per titolo: Quali dovrebbero essere le massime elementari della sua pubblica educazione (pp. 42-52) ; l’altro: Quali leggi coercitive sarebbero necessarie perchè i padri e le madri dell’attuale corrotta generazione non potessero colle loro abitudini paralizzare questa pubblica educazione (pp. 52-54). (23) In fronte ha questo preambolo: « Il Popolo Lombardo, convinto che la dimenticanza e il disprezzo de’ diritti naturali dell’uomo sociale sono le sole cagioni dell’infelicità della specie, si è perciò risoluto di esporre in una dichiarazione solenne questi diritti sacri ed inalienabili, affinchè tutt’ i cittadini potendo paragonare gli atti del Governo col fine di ogni istituzione sociale, non si lascino giammai opprimere od avvilire dalla tirannia, ed affinchè il Popolo legislatore abbia sempre dinanzi agli occhi le basi della sua libertà e felicità, ed i magistrati la regola de’ loro doveri; in conseguenza proclama, in presenza dell’ Essere Supremo, che non pretende di conoscere e definire, ma che sente nel fondo del cuore, la seguente dichiarazione de’ Dritti dell’uomo e del cittadino. I. Il fine della società è la possibile felicità comune. II. Il Governo è istituito per guarentire il godimento de’ suoi diritti naturali e sociali. Questi sono la Libertà, 1’ Eguaglianza, la Proprietà, la Sicurezza. III. Tutti gli uomini sono eguali per natura ed innanzi alla legge. IV. La legge à l’espressione libera e solenne della volontà generale: è eguale per tutti, o sia che protegga, 0 sia che punisca. Non può ordinare che ciò ch’è giusto ed utile alla società; non può proibire che ciò che le nuoce. V. Tutti i cittadini sono egualmente ammissibili agl’ impieghi pubblici, terminata la loro educazione. I popoli liberi non conoscano altro motivo di preferenza nelle loro elezioni che le virtù ed i talenti utili. VI. La libertà è il potere che ha l’uomo di fare tuttociò che 11011 nuoce ai diritti altrui: ha per principio la natura, per regola la giustizia, per salvaguardia la legge. Il suo confine morale è in questa massima: non fare altrui quello che non vorrai che sia fatto a te, quando questo evidente-mente ?i07i serva a salvare la patria. VII. Il diritto di manifestare la propria opinione, o per la stampa, 0 in qualunque altro modo, il diritto di riunirsi tranquillamente cogli altri , il libero esercizio domestico de’ culti non possono essere interdetti. Vili. La sicurezza consiste nella protezione accordata dalla società a eia- — 383 — scheduno de’ suoi membri per la conservazione della sua persona, dei suoi diritti e de* suoi averi. IX. La legge deve proteggere la libertà pubblica ed individuale contro l’oppressione, contro quelli che governano. X. Alcuno non dev’ essere accusato, arrestato , nè detenuto che ne’ casi determinati dalla legge e secondo le forme da lei prescritte. Ogni cittadino chiamato o arrestato dall’autorità della legge deve obbedire nell’istante. La resistenza lo rende colpevole. XI. Ogni atto esercitato contro un uomo fuori del caso e senza le forme determinate dalla legge è arbitrario e tirannico. Quello contro di cui si vorrà eseguire colla violenza ha il diritto della difesa. XII. Quelli che solleciteranno, spediranno, sottoscriveranno atti arbitrari sono colpevoli e debbono esser puniti. XIII. Ogni uomo è presunto innocente finché non sia stato dichiarato colpevole; s’è giudicato indispensabile l'arrestarlo, ogni rigore che non è necessario per assicurarsi di lui dev’essere severamente represso dall’ umanità della legge. XIV. Alcuno non puoi’essere giudicato o punito, che dopo essere stato sentito e legalmente chiamato, e che in virtù di una legge promulgata anteriormente al delitto. Una legge che punisce i delitti commessi avanti la sua esistenza sarebbe tirannica. L’ effetto retroattivo dato alla legge sarebbe un delitto. XV. La legge non deve stabilire che pene strettamente ed evidentemente necessarie : le pene debbono essere proporzionate ai delitti ed utili alla società. XVI. Il diritto di proprietà è quello che ha ogni cittadino di godere e disporre a suo piacimento de’ suoi beni, delle sue entrate, del frutto delle sue fatiche e della sua industria. Alcuno non può essere privato della benché minima porzione della sua proprietà, senza il proprio consenso, cioè in vigore di una legge, e quando la necessità pubblica, legalmente riconosciuta, l’esige. XVII. Alcun genere di lavoro utile, di cultura, di commercio può essere interdetto nel territorio della Repubblica all’industria de’ cittadini. XVIII. Ogni uomo può impegnare la sua opera e il suo tempo, ma non può vendersi, nè esser venduto ; la sua persona non è una proprietà inalienabile. La legge non riconosce servitù; non vi può essere che un impegno di premure e di gratitudine fra 1’ uomo che fatica e colui che lo impiega. XIX. Non può essere stabilita contribuzione che sul superfluo de’ cittadini, e ad utilità generale. Tutti i cittadini hanno diritto di concorrere allo stabilimento delle contribuzioni e di vegliare sull’impiego che si fa di esse e di farsene render conto. XX. I soccorsi pubblici sono un debito sacro. La società è debitrice di sussistenza ai cittadini deboli , o sfortunati , o procurando loro il lavoro, o assicurando mezzi di esistere a quelli che 11011 sono in caso di lavorare. XXI. L’educazione è un bisogno di tutti gli uomini in società e senza questa ogni Governo è uno scheletro ed ogni Popolo una massa di fantocci fatti giocare dai furbi. Dev’essere uguale, gratuita, ministra ad ogni individuo di sussistenza e di verità e di forza al corpo sociale. Dev’essere fondata su questa massima: Chi giova agli altri. giova a se stesso. — 384 — XXII. La religione è parimente un bisogno della società, poiché su di essa si fonda la pubblica educazione. Non vi è che una sola religione sociale: consiste questa nella morale, cioè ne’ doveri d’amore verso la specie, verso la patria, verso noi stessi. Non permette al cittadino di definire la Divinità, ma tollera che le renda privatamente quel culto che più gli piace. XXIII. La garanzia sociale consiste nell’azione di tutti onde assicurare a ciascuno il godimento e la conservazione de’ suoi diritti. Questa garanzia riposa sulla sovranità nazionale. Ella non può esistere se i limiti delle funzioni pubbliche non sono chiaramente determinati dalla legge, e se la responsabilità di tutti i funzionari non è assicurata. XXIV. La sovranità risiede nel popolo; è una, indivisibile, imprescrittibile, inalienabile. XXV. Alcuna porzione del popolo non può esercitare il potere del popolo intero; ma ciascuna sezione del sovrano riunita deve godere del diritto di esprimere la sua volontà con piena libertà. XXVI. Ogni individuo che usurpasse la sovranità è reo di morte e fuori della legge. XXVII. Un popolo ha sempre diritto di rivedere, riformare e cambiare la sua Costituzione, ed è censore naturale de’ suoi commissari e de’ suoi agenti. XXIX. Le funzioni pubbliche è essenziale che siano temporanee e non durino più d’un anno. Non possono essere considerate come distinzioni, nè ricompense, ma come doveri. XXX. I delitti de’ commissari del popolo e de’ suoi agenti non debbono mai restare impuniti. Non v’è alcun cittadino che possa pretendere d’essere più inviolabile degli altri. XXXI. Il diritto di presentare individualmente petizioni ai depositari dell’autorità pubblica non puoi’ esseie interdetto in caso alcuno, sospeso, 0 limitato. XXXII. Vi è oppressione contro il corpo sociale quando è oppresso un solo de’ suoi membri, contro ciascun membro quando è oppresso il corpo sociale: la difesa allora è il primo d’ogni diritto. XXXIII. Quando il Governo viola i diritti del popolo è necessario che il popolo si dichiari contro il Governo. Se tale dichiarazione è fatta dalla minorità è ribellione, perchè disobbedienza al volere del sovrano, che e formato dai più. Bisogna distinguere la volontà di un popolo dai clamori di una fazione ». (24) Il cittadino « legalmente convinto d’ aver comprato o venduto un suffragio » era « escluso per dieci anni da ogni pubblica funzione , ed in caso di recidiva per venti ». I deputati non potevano « esercitare alcun altro pubblico impiego durante la loro missione » : e avevano di « appannaggio » dugento zecchini a testa. — 385 — UN ASCETA DEL RINASCIMENTO (della VITA E DELLE OPERE DI GIROLAMO BENIVIENl) (Continuazione e fine v. pag. 311) VI. GLI ANNI DELLA SERENA VECCHIEZZA LA MORTE. Dall anno 1519 in poi il Benivieni poco o nulla compose di nuovo, attendendo soltanto a curare le varie edizioni^ dei suoi scritti, succedentisi con mirabile rapidità. Cominciavano ad assalirlo i primi malanni della vecchiaia (1): li sopportava con cristiana rassegnazione, tutto intento alle sue pratiche di pietà. Le cose mondane, scriveva ad un a-mico , nel 1524 , « mi si mostrano hogi con altra faccia eh elle non facevano quando ero più giovane. In his enim preter vanitatem et afflictionem spiritus , nihil boni invenio » (2). Appunto per le disagiate condizioni .fisiche rifiutava in quel medesimo anno l’offerta onorevole, fattagli dal Pontefice Clemente VII e dal cardinale Jacopo Salviati, di istruire ed educare quel Cosimino, figlio di Giovanni de Medici, che divenne poi nel 1537 duca di Firenze (3). Visse tranquillo, senza più muoversi di Firenze, nemmeno per isfuggire la peste che v’infierì nel 1524 (4) e più an- (1) E del 1524 la lettera già citata, al Fortunati , nella quale informa l’amico di avere avuto « qualche accidente nel corpo suo di quelli che accagiono a’ vecchi, che è stato tale che anchora lo ritiene in casa, benché gratia di Dio senza dolori ». (Arch. Med. av. il Princ., f.a 69, n.° 358). (2) Arch. Med. av. il Princ., f.a 69, n.° 301. (3) Fu intermediario per le trattative il rev. Francesco Fortunati pievano di Cascina, che allora stava in Roma, amicissimo del Nostro. Riproduco in appendice (11. 4) la lettera con la quale il Benivieni declinava l’incarico. Alcuni mesi dopo, nel novembre dello stesso anno 1524, scriveva al Fortunati: « Harò caro di intendere come si porti il maestro .di Cosimino mandatovi et quello sia di ser Fruosino etc. ». (Arch. Med. av. il Princ., f.a 69, n.° 344). (4) Cosi comincia una sua lettera indirizzata al Fortunati in Roma, da Firenze il 28 maggio 1524 : « Secondo che io intendo voi siate costì nel morbo insino a cintola et noi qui insino a ginocchio ». (Arch. Med. av. il Princ., f.a 69, n.° 301). - 386 - cora nel 1527: invano amici e parenti lo pregarono che si sottraesse al pericolo del contagio , ricoverandosi in campagna, e gli offrirono a gara ospitalità. Volle rimanere in patria, e si diè tutto alla cura dei malati, senza per altro ritrarne alcun danno, ma vedendo accrescersi per l’opera sua pietosa la riputazione che già godeva d’uomo virtuoso e santo (1). Tristi giorni si preparavano intanto per Firenze alla quale soprastavano un terribile assedio e quella resa che nemmeno la sapienza e gli eroismi di Michelangelo e del Ferrucci valsero ad impedire. Il Benivieni — duole il ripeterlo — fu sempre amico della famiglia dei Medici; ma fu pure il solo in patria sua. che nel novembre del 1530, già vecchio di settantotto anni, osasse scrivere a papa Clemente VII una lunga lettera, nella quale, di mezzo a un’ardita, quasi fiera difesa delle dottrine del Savonarola e della verità da lui predicata , spuntava l’ammonizione di voler profittare delle circostanze per dotare Firenze d’una forma stabile e pacifica di governo (2). Con questa veramente bella (1) Cod. M. (2) Mette conto riferire le parole del Varchi a questo proposito : « Io non truovo che altri raccomandasse la città al papa 0 a parole o con iscrit-ture, come pare verisimile; solo Girolamo Benivieni, confidatosi o nella vecchiezza, alla quale si possono ben fare di gran mali , ma non lunghi , o nella bontà sua, alla quale si può ben far danno , ma non paura, o nella familiarità ch’ebbe con lui assai domestica quand’era cardinale, scrisse a sua santità una lunghissima lettera nella quale s’ingegnava molto familiarmente e alla libera persuaderle due cose: una conveniente all’ amorevolezza d’ un buon cittadino verso la patria sua, e questa era che sua beatitudine, allora che ne aveva il potere, volesse dare alla città una forma di reggimento laudabile, secondochè gli aveva già ragionato in Firenze, e della sapienza e clemenza di lei degna; l’altra conveniente alla credulità d’ un semplicissimo cristiano, e questa era ch’ella tenesse per fermo il frate essere stato uomo santissimo, e veracissimo profeta, conciofossechè tutte le cose da lu-predette s’erano di già in gran parte adempite, e l’altre s’andrebbono verificando tosto di mano in mano. La prima delle quali cose, come hanno scritto e pubblicato de’ suoi frati medesimi, era manifestamente falsa, e la seconda non solo per ancora non è avvenuta, ma è avvenuto tutto il contrario ». (Storia fiorentina, 1. XII, Torino , 1852, vol. II, pp. 463 e sg). L’epistola a Clemente VII fu stampata dal Milanesi, in appendice alla sua edizione della Storia del Varchi (Firenze, Le Monnier, 1857-58). Ne furono anche tirate delle copie in opuscolo separato, con prefazione attribuita a — 3δ7 - e dignitosa epistola si compie e suggella degnamente Γο-perositâ letteraria del Benivieni (i). IHu egli verso il 1530 creato dei Duecento , magistratura nuovamente introdotta dopo la restituzione dello stato sotto Alessandro duca; ma Γ indole sua, schiva d’ onori, e 1 età avanzata gli tolsero di più partecipare alla vita pubblica. Fino alla più tarda età serbò la consueta sobrietà di vita, e di questo si compiaceva spesso di parlare con i conoscenti; usava, per esempio, dopo essere stato quarantanni senza assaggiare mai sale, avendolo trovato nocivo alla sua salute, di dire motteggiando non essersi mai accorto di venire ad alcuno in men che buono odore, né di sembrare ad altri 0 a sé medesimo punto scipito. Ugual semplicità ebbe nell’abito e nel portamento: fu degli ultimi che si lasciassero vedere per le vie col cappuccio sul capo, a quella guisa che avevano usato gli antichi cittadini di Jacopo Nardi. Manoscritta si conserva nei codici della Biblioteca Nazionale, Strozz. II, IV, 312, II, IV, 347 e II, II, 437, della Riccardiana, n. 2022 e 2710, della Laurenziana, LXXXIX, XC1V, della Vaticana di Roma, Barb. lat. 5135 (LVI-49), della collezione Fontanini nella Bibl. Comunale di S. Daniele del Friuli, n. LXXX1II. Questa nota, che non è certo compiuta, basti a mostrare l’importanza e la diffusione ch’essa ebbe. (1) Il suo biografo lo dice: « copioso nelle terze rime, dotto , dolce et morale nei Sonetti, amoroso et profondo nelle Canzoni, affettuoso, et grave nelle Tragedie, piacevole, et casto, quanto però la materia comporta, nelle commedie »; e aggiunge più oltre che gli scrupoli sopravvenutigli negli anni più maturi lo indussero ad « . . . affogare alcune Commedie, et quelle poche, le quali di suo camparono, gli furono dai suoi familiari, contro a’ sua voglia, quasi che involate.... ». (Cod. N.). Egli attese dunque in gioventù — se dobbiam credere al biografo, e non c’ è motivo di non credergli — anche a lavori drammatici. Ora lo stesso cod. N., che ci conserva copia della sua vita, contiene anche quattro tragedie, Tanodisse, Galla Placida, Teodora, Amalasunta, e due commedie, l’Errore, in prosa con intermezzi in versi, e il Cocchio, tutto in versi; e il Foliini v’aggiunse una sua Dissertazione, per dimostrare che le due commedie erano opera del Benivieni. Ma l’ipotesi del dotto bibliotecario, urtava contro ragioni, specialmente di ordine cronologico, tali da indurre senz’altro a rifiutarla. Essa non parve, del resto, accettabile nemmeno al Bartoli. (V. I manoscritti italiani della Bibl. Naz. di Firenze, Firenze, Carnesecchi, 1879, t. I, p. 101); senza contare che recentissimamente la Dott. Caterina Re ha provato che autore delle tragedie fu Antonio Benivieni il giovane (1533-1598), al quale ho accennato sul principio di questo lavoro, quando ancora non conoscevo lo studio della sig.l,a Re. (Un poeta tragico fiorentino della seconda metà del — 338 - Firenze (i). Giunto che fu all’estrema vecchiezza, le sue infermità si agg'ravarono in modo che non potè più muoversi di casa (2): ma di questi travagli fìsici non si dolse tanto, quanto della morte d’un nipotino, che portava il suo nome. Ond’ egli, sgomento, non volle più che ad alcuno dei suoi discendenti s’imponesse il nome di Girolamo, sebbene non gli mancasse la gioia di vedere anche i figli di Lorenzo suo bisnipote. Usava dire che solo incomodo della vecchiezza era il vedersi a poco a poco mancare intorno gli amici, che se ne vanno per sempre ; pure , come non ebbe mai dissapori né litigi con essi, se li vide sempre aumentare da torno. La sua casa, dice l’antico biografo, era sempre « frequentata e calpestata a guisa che quelle dei più solenni giudici veggiamo » (3), dacché tutti, anche i migliori della citta ricorrevano a lui per consiglio; e la sua conversazione diveniva tanto più ricercata e gradita, quanto più le aggiungeva di senno e d’ esperienza la tarda età. Trascorreva il tempo facendosi leggere dai suoi di casa per lo più libri sacri e morali; ma non perciò era sminuito in lui l’amore della poesia; ché anzi voleva conoscere tutte le opere poetiche che via via si pubblicavano in Italia, dicendosi, con notabile esempio di sincerità e di modestia, tanto più lieto quanto più si vedesse dai nuovi poeti lasciare addietro. Merita d’ esser riferito il giudizio che a-veva dato parecchi anni prima, del poema dell’Ariosto , appena venuto in luce : gli sembrava che messer Lodovico avesse spiriti veramente poetici, e verso e stile atti a cantare prodezze di semidei, e che fosse felice ed alto nelle similitudini, affettuoso nei lamenti dei miseri amanti, e degno di lode per aver seguito il Bojardo nel filo della fa- sec. XVI: Antonio Benivieni il giovane, in Ateneo Veneto, sett.-dic. 1905, genn.-febbr. 1906, in continuaz.). Le tragedie e le commedie del Nostro non ci sono pervenute, o, per lo meno, non se ne ha ancora conoscenza; la loro ricerca e il loro studio, ove si giunga a rinvenirle, saranno importantissimi per il futuro, compiuto illustratore del Benivieni. (1) Cod. M. (2) Si veda in appendice (n. 5), la lettera da lui scritta al duca Cosimo nel 1538. (3) Cod. M. — 3^9 — vola; ma non gli finivan di piacere le troppo frequenti interruzioni del racconto, e, se prevedeva che il poema a-vrebbe incontrato il favore universale, si augurava d’altra parte che non contribuisse a rendere la gioventù più incurante della ragione ed arrogante che già non fosse, ed affermava che Platone non ne avrebbe mai concesso la lettura ai guardiani della sua repubblica. Finalmente, giunto all’età di ottantanove anni e sei mesi, nel mese d’agosto del 1542, dopo pochi giorni di malattia, se ne mori. E la sua morte fu cristiana, come conveniva alla vita trascorsa, ma non fu tranquilla né serena. Egli che dai trentacinque anni in poi s’ era quasi macerato nel pensiero della morte, che aveva invocato ardentemente la fine, come la liberazione da ogni pena, come 1’ attesa ora del supremo ricongiungimento con Dio , e che volgendosi indietro poteva rammentare un’ esistenza intemerata, non ebbe in premio della sua pietà la calma raccolta e pensosa dell’ultimo di. Il pensiero della morte gli divenne doloroso e pauroso : il sentimento della conservazione si ridestò in lui con tanto maggior forza, con quanta più violenza era stato perennemente compresso e soffocato. Egli si aggrappò alla vita disperatamente ; visioni deliranti popolarono i suoi sogni e travagliarono il corpo debole e consunto, nelle convulsioni della paura. Nei brevi istanti di lucidità, a chi di ciò il ripigliava, incuorandolo a maggior fortezza d’animo, rispondeva: « Le cose del mondo ci si mostrano con volto amico, ed un amico, quanto più lo hai praticato e ti sei con lui intrinsecato, tanto più ti duole il lasciarlo; però non vi meravigliate se, quanto più io son vissuto in terra, con tanto più tristezza ne sopporto la necessaria dipartita » (1). Egli fu alto di statura e ben proporzionato di membra, sebbene un po’ gracile e sottile , di aspetto piacevole e non scompagnato da certa maestà, specie in vecchiaia (2). (1) Cod. M. ed N. (2) Cosi lo descrive il biografo, che lo conobbe personalmente. (V. cod. M. ed N.). — 390 — Alla sepoltura del suo corpo aveva già provveduto, fin da quando aveva curato quella di Pico suo; e dal 1542 i due amici riposano insieme, nella faccia sinistra della chiesa di San Marco in Firenze, fra il secondo e il terzo altare: riposano insieme, ché più non valsero gli eventi a separarli, nel silenzio e nell’ umil raccoglimento di quel tempio, che risuonò un giorno della gran voce di fra Girolamo Savonarola apostolo e martire (1). VII. CONCLUSIONE. Ho tenuto presenti, nell’attendere a questo studio sul Benivieni, alcune parole del suo biografo, che, protestando esservi differenza grande fra chi scrive storie e chi biografie, osservava: «... quelle vanno dietro alle più illustri, e chiare azioni, e sono tenute a noverarle tutte, ma questa nostra è una dimostrazione delle virtù o vizj dell’ animo di colui di cui prendiamo a scrivere, et uno piccolo e minuto fatto , bene spesso un sol motto o qualche familiar discorso, ha più forza di scoprire il costume di quel tale, che le maggiori e più scelte operazioni.... ». Se da queste poche pagine riuscirà bastevolmente dimostrato quanto singoiar figura e di quanto studio degna sia questa del Benivieni, mi sembrerà di avere compiutamente raggiunto il mio scopo. Tutta la sua vita fu piena pur nelle contraddizioni di mitezza e d’onesta; ma la nostra riconoscenza è dovuta specialmente a lui poeta e letterato. Ché se possono sembrare, e sono veramente soverchi, per eccesso d’amicizia, gli elogi che gli faceva Pico della Mirandola, quando in una elegia latina indirizzata a Firenze esclamava: (1) Il Benivieni compose anche l’epitaffio per la tomba comune, sua e dell’amico; lo riproduco in appendice (n. 6), com’io lo copiai di sulla tomba. Ed anche mi sembra pregio dell’opera riferire un passo del cod. N. dov’ è descritto lo scoperchiamento del duplice sepolcro, fatto nell’anno 1590. (App. n. 7). (2) Cod. M. 391 — Gaude gaude iterum tanto insignita decore, Et vati applaudas, terra beata, tuo. Cinge choronatos vernanti flore capillos Conveniunt titulo florida serta tuo (r) ; non ingiustificati ci sembreranno quelli del Varchi, giudice severo e attendibile di cose letterarie, il quale affermò nel suo Ercolano che il Benivieni e il Poliziano e Lorenzo dei Medici furono i primi che cominciassero nel comporre a ritirarsi e discostarsi dai volgo, e risollevassero Γ imitazione di Dante o del Petrarca, lasciando quella vianiera di poetare del tutto vile e plebea che era in gran voga in quel secolo a Firenze e della quale furono esempi il Morgante Maggiore di Luigi Pulci e il Giriffo Calvaneo di suo fratello Luca. E da aggiungere, a maggiorsua lode, che questo elevamento della poesia a più dignità il Benivieni lo promosse, insieme col Magnifico e coll’Ambrogini, iniziando la rinascita dell’arte classica nelle forme toscane e preparando cosi la via ai sommi poeti ed ai capolavori del cinquecento. Certo, i suoi contemporanei lo amarono e ne cercarono con avidità le opere : Lodovico Ariosto , per citare il più onorevole esempio, le pose nel canto ultimo del suo Furioso, tra i poeti più grandi d’Italia. Nei secoli seguenti, ad una poco misurata esaltazione segui un ingiusto oblio, e, anche fra i moderni, una trascuranza immeritata. Noi, lungi da smanie apologiste e da appassionate detrazioni, dovremo riconoscere che, se il Benivieni non fu di quegli uomini che segnano larga impronta di sé nella vita d’ un’ epoca — e forse gli mancò l’animo, non Γ ingegno — pur quel tanto della sua opera letteraria che ancor ci resta è degno di molta considerazione e di studio, e già di per sé stesso (i) E diceva anche: « Il verso di Girolamo scorre giù fluente , come la sacra piova quando cade dal cielo, nella quiete de’ venti; e’ ben saprebbe far sostare nel rapido e tumultuoso corso il Po, il grande Po, e, a mezzo il suo cammino per l’etere, fermare il carro di Febo ; e porterebbe con la dolcezza del verso la pace fra le armi cruenti di Marte, e farebbe ciò che mai non seppe nemmeno Orfeo, cigno di Tracia ». L’elegia latina, con la traduzione in volgare si trova nell’edizione giuntina delle Opere del Nostro. — 392 — tale da farci supporre che , in altri tempi o in condizioni più favorevoli, egli avrebbe potuto, nella piena maturità del suo ingegno , lasciare una produzione poetica ben diversa e più nobile, e fonte di gloria maggiore al suo nome e alla storia delle nostre lettere. Achille Pellizzari. APPENDICI Ι-ΙΙ. So7ietto di Girolamo Benivieni a Lodovico Martelli. Le dolci rime, et gl’ amorosi versi L’ornato, et grave stil, l’arte et P ingegno Che ti fan sopra a’ qualunq’ altro degno Per cui sue acque hor Helicona versi Forman’ du’ affetti, entro 1’ mio cor diversi Che l’un’ muove a’ pietà, quell’altro a’ sdegno, Del tuo amor’ cieco, et del subietto indegno D’un’ sì leggiadro stil, di giorni persi. Giovine ancor’ io fui, et quei tesori Che mi diei’ Cielo benigno, et la natura Nei miei primi anni in fumo, et vento spesi. Tu chel’ venen di stolti, et van sudori Ch’ io piando or, vedi, i lacci ove fur presi Fuggi, preco, el cor volgi a’ miglior’ cura. Risposta del Martelli al Benivieni. Quand’ io le luci della mente spersi Per veder chiaro il prezioso segno Che tu poni ai tuoi strali, ond’ io divegno Schivo dei lacci, a’ cui me stesso offersi, Vidil’ Celeste amor lieto sedersi Nel tuo bel sen’, com’ in suo proprio Regno Siche novo ineffabil sostegno Al mio poco valor tue rime fersi. Ma’ tu sai ben che da caduci fiori Si spera il frutto, et che vinta è la dura Tempestosa stagion dai dolci Mesi. Volar non puossi in cima delli honori Per haver d’alto ardir li spM accesi, Che la gloria s’acquista e non si fura. {Cod. N.). - 393 — III. Il « Rassembramento degli eroi ». << Fu di bisogno talvolta che egli [Benivieni] si impiegasse in concetti et invenzioni allegre per dare spasso il Carnovale alla Città, volendosi ciò fare onestamente. A noi è dato fra mano il rassembra-mento delli eroi, di che egli fu inventore nei tempi del Duca Lor.z0 secondo di q.° tit.o nella Ser.ma Casa dei Medici, nei quali si festeggiò assai piacevolmente. Et tale quale egli è , qui lo proporremo. Fingeva Vulcano con altri a’ guisa di Ciclopi mezzi ignudi sopra un cario fuliginoso, et affocato, dove fosse ferma una ancudine, et intorno sospese martella, sopra armi abbozzate, parecchie coppie di Guerrieri innanzi, divisati variamente et bene corredati, con insegne, et ci-miere all’antica, cantando quelli del Carro queste parole: Alla fucina nostra Si tempron’armi tali Che lance, spade, o’ strali Non hanno'forza di passarle in giostra. Questi ciclopi miei Affumicati, et cotti Sterope, et Bronte, dotti Fabbricar' arme agli altri Semidei Quali Ettori, et Atrei Martellan’ giorno, et notte Per renderli sicuri alle aspre botte. Vedeteli qua innanzi I nobili campioni A’ paro a’ paro, et quelle Nodrite fra i baroni L’una delle mammelle Si taglion’ crude, et snelle Vincendo il sesso, orribili Amazoni. Chi dunque sotto osbergo Marziale campar* vuole Venga a’ noi, ch’armiam braccia, petto, et tergo. Sole voi donne, sole Folgorate dai rai Saette tali, et cosi acuti dardi Che non ci rincorian’ di tempra mai Che vaglia ai lampeggianti vostri sguardi. {Cod. IV.). IV. Lettera di G. Benivieni a Francesco Fortunati. Gaudium sit tibi semper et pax. Per l’ultime vostre de’ dì 30 di Luglio intendo quale sarebbe il desiderio della S.,a di nostro S.,e del S.re Giovanni di Iac.° Salviati et Giorn. St. e Leti, della Liguria. 27 — 394 — vostro. Et veramente se al disegno vostro rispondessino i colori si farebe una figura perfecta et io ne harei singularissimo piacere , perchè non desidero manco di voi il bene di cotesto figluolo , ma voi havete a intendere che qui non è ordine nè verso alcuno a fare quello che voi disegnate per molte cagioni che sarebe. lungo a scriverle , et voi, se un troppo amore non vi ingannassi, vi ricorderesti di parte, ma bastivi per hora la fede mia che le sono tali, che bastano a scusare la mia altrimenti buona volontà. Ricordatevi che io non sono nè padre che possa comandare nè padrone e signore delle cose d’altri, nè etiam di me medesimo rispecto a la età accompagnata da più croci, che mi fanno grave ogni legieri cosa, che se voi sapessi quanto dopo la partita vostra io sia cascato , credo amandomi come voi fate , che voi mi consiglieresti a raccorre, et ordenare le some ante quam e vita discederem, sendo come io sono diventato uno instrumento disutile per me et per altri. Pertanto vi priego facciate mia scusa con la SM di nostro S.re et col S.re Giovanni, i quali se dubitassino che io fu-gissi la tela che non sarebbe in me poco peccato , dite loro che io non harei tanto dispiacere che basterebe a farne una debita peniten-tia. Non respondo altrimenti al breve della S.ta di nostro S.re per non la infastidire in tante sue occupationi, p. et private. Farete lo officio mio et raccomandatemi a sua B.ne, la quale so che acceptera la excusatione mia, come quella che credo si renda certa che io l’amo quanto gli occhi miei, et ch’io non potrei volendo fugire qualunche carico ella mi ponessi in sulle spalle quando portare lo potessi. A Sua S.tà non mancherà et al S.re Giovanni modi a provedere Cosi-mino di molto miglore guida et governo che quello che voi havate pensata. Oro ut valeas. Florentie iiij iulij MD.xxiiij. ' ' G. B.ni A tergo: Al mio R.d0 Mes. Francesco Fortunati dig.m0 piovano di Cascina in Roma. (Arch. Mcd. av. il Princ., f.a 69, n. 310). V. Lettera di G. Benivieni al duca Cosimo dei Medici (1). Ill.m0 S. Duca Sono à octanta sei anni relegato in casa da la lunga età, et dagli incommodi eh ella porta seco, et pero faro per lett.a quello eh io de-siderrei po‘ere fare a voce viva. Li aportatori della presente saranno (1) Questa lettera fu da me copiata or sono cinque anni, dall’autografo del Benivieni, che allora stava nella Biblioteca Nazionale di Firenze, nel Fondo Palatino, fra le lettere autografe, con la segnatura E. 7. 8. 2, vol. //, n. 83 bis. Era scritta d’un bello stampatello, molto regolare : solo un lieve tremolio del carattere poteva rivelare la mano d’un uomo di ottantasei anni. — 395 — Lorenzo benivenj mio pronipote, et Agostino Capicanj huomo molto dabene et di casa honorata insino al gonfalone della iustitia, da loro intenderà la ill.ma s. V. il desiderio suo, et mio, il quale quando la ex.lia V. iudichi esser degno di gratia haro singulare piacere che sia compiaciuto, certificando epsa V. ex.tia che ferà opera bene allogata, io ne haro obbligo colla ili.™ S. V. a la quale mi offero et raccomando; In Casa adi VI di giugno MDXXVIII (i). E. v. ili. D. S. Girolamo benivienj. A lergo: a lo ill.mo S. duca Cosimo de medici duca della R. P. fior.na. (Bibl. Naz. di Firenze, Fondo Palatino, lett. aut., E. 7, 8, 2, voi. Il, n. 83 bis). VI. Iscrizione composta dal Benivieni per la tomba sua e di Pico. (2) D - M - S IOANNES IACET HIC MIRÂDVLA, CAETERA NORVT ET TAGVS ET GANGES FORSAN ET ANTIPODES OB · AN · SAL * MCCCCLXXXXIIII · VIX · AN · XXXII HÏERONYMVS BENIVENIVS, NE DISIVCTVS POST MORTEM LOCVS OSSA SEPARET QVOR. ANIMOS IN VITA CONIVNXIT AMOR, HAC HVMO SVPPOSITA PONI CVRAVIT OB · AN · MDXXXXII · VIX · AN · LXXXIX · MENS · VI * Tornai, quest’anno, a cercare il vecchio autografo per rivedere la mia copia prima di pubblicarla; ma con mio sommo stupore sentii dirmi che di esso non si trovava più traccia, sebbene ne fossero state fatte lunghe e minute ricerche per desiderio d’ altri studiosi. Stampo quindi la lettera come la trascrissi cinque anni fa, augurando che l’opera solerte e intelligente di S. Morpurgo, valga a prevenire e impedire il ripetersi di simili smarrimenti. Compiere l’inventario della nostra maggiore e più preziosa raccolta di manoscritti, e provvedere alla sua conservazione, è oggi un dovere nazionale. (1) Cosi l’autografo e cosi la copia che se ne conserva in un cod. mise, della Marucelliana, segnato A. XVI. 28. Ma la data è certo errata, per involontaria omissione di un X. Deve leggersi quindi MDXXXVIII. (2) Il Negri nella sua storia degli scrittori fiorentini, (Ferrara, MDCCXXII, a p. 299) riferisce che nella chiesa di S. Marco, nella parete opposta a quella dov’è l’iscrizione latina, se ne trova una volgare, che dice : Io prego Iddio, Hieroniino, che in pace Così in Ciel col Pico tuo congiunto sia ; Coinè in Terra eri, e come il tuo defunto Corp’hor colle sagr’ Osse sue è qui congiunto. Ci sarà stata: adesso non c’è più, 0 per lo meno, io ne ho fatto vanamente ricerca. — 39Ó — VII. Scoperchìamento della tomba del Benivieni e di Pico. «... essendo . . . venuta occasione 1’ anno 1590 di luglio , manco un mese di 48 anni dopo la sua morte per l’erezione d'una cappella fatta di nuovo nella chiesa di S. Marco di Firenze, dove esso ... fu sepolto, in compagnia dell’Ill.mo S.r Conte Giovanni Pico, che si ebbe a tramutare alquanto il suo deposito, et mettere in terra, et così venne scoperchiata la cassa dove erano questi due corpi, onde si trovò il corpo di Girolamo ancora tutto intero , et per chi haveva avuto cognizione di lui, si sarebbe quasi che riconosciuto , sì come avvenne fra gli altri a me, et ad alcuni dei suoi consorti, che avvisati del caso, l’andamo a visitare et ci trasse buona parte delli antichi Cittadini di questa città , vedendosi tal corpo secco, et tendere al nero, per esser’ egli in vita stato molto asciutto, et privo quasi d’ogni omore, et essendo anco delli 111.mi pronepoti del Conte Giovanni , per buona sorte, in questo tempo allignati et accasati à Firenze , et alcuni dei loro vassalli della Mirandola, visitarono affettuosamente essi altresì quel deposito, honorando, et riconoscendo con reverentia, et pietà le ossa che apparivano molto giuste, et grandi, le quali sole erono rimase del corpo tutto résoluto dell’Ill.mo S.r Conte, il quale accidente rinnovò dolcemente la memoria di questi duoi così solenni, et famosi amici ... ». (Cod. N.) VIII. Bibliografia (1). 1481. Le otto ecloghe, insieme con le bucoliche di Francesco Ar-sochi e di Iacopo Fiorino de’ Buoninsegni , stanno in fine della Bucolica di Virgilio, tradotta da Bernardo Pulci, Firenze, Miscomini, 1481. 1485 (?). La novella di Tancredi prìncipe di Salerno. Senza luogo, nè anno, nè nome di stampatore (2). 1494. Le otto ecloghe, in Firenze per Antonio e Bartolomeo Miscomini, 1494. (Si tratta di una seconda stampa, su quella del 1481). 1496. Della semplicità della vita cristiana di Frate Ieronimo da Ferrara, Libri V tradotti in Volgare da Girolamo Benivieni, in Firenze per Lorenzo Morgiani, 1496 (3). (1) A dimostrare la varia fortuna degli scritti del Benivieni, valga questa nota — che non ha la pretesa d'essere compiuta — delle varie stampe che se ne fecero. (2) V. indietro, cap. I. (3) Il Villari conosce un’altra edizione di questo scritto , senza luogo né anno, ma puro, del sec. XV. (V. Savonarola, I. 496 e sgg.). — 397 — 1496. Della semplicità della Vita Cristiana, ecc. , presso ser Piero Pacini, l’ultimo d’ottobre del 1496. 1500. Commento di Hierony. B. Sopra \ A Più Sue Canzone Et So I Netti Dello Amore \ Et Della Belleza | Divina | In fine : I Impresso in Firenze per S. Antonio Tu | bini & Lorezo di Francesco Venetiano | & Adrea Ghyr. Da Pistoia Adi. viii. di | Septembre MCCCCC. — (Contiene il commento, diviso in tre libri, e alcune poesie senza commento, otto capitoli, e le stanze intitolate A-more). 1505. Psalmi Penitentiali Di David \ Tradocti In Lingua Fio-ren \ Tina Et Commentati Per Hie | Ronymo Benivieni \ In fine: I Impresso in Fiorenza p. ser Antonio Tubini fio l retino et Andrea ghyrlandi da Pistoia a di xxix | di Maggio M.D. V. — Son dedicati alle devote suore delle Murate di Firenze). 1506. Commedia Di Dante Insieme | Con Uno Dialogo Cir | Ca El Sito Forma \ Et Misura Del \ Lo Infer | No | In fine : I Impresso in Firenze per opera et spesa di | Philippo di Giunta Fiorentino gli anni \ della salutifera incarnatione | MDVI. a di | xx. d A I gosto. — (In fronte a questa edizione della Commedia, si trova stampato il cantico di G. Benivieni, in lode di D. Alighieri). 1506. Del Dialogo esistono alcune copie, separate dalla Divina Commedia, che il Batines (Bibl., 1, 487), stima sieno un’ edizione separata « Firenze per Philippum de Giunta, 1505 », ma che sono , invece , semplicemente degli estratti, fatti forse per conto dello stesso Benivieni, daH’impressione suddetta della D. C. 150... (?) Dialogo Di Antonio Ma | Netti, Cittadino Fio | retino circa al sito, forma & misure del | lo inferno di Dante Alighieri I poeta excellentis | simo (1). 1518. Opere di Hieronymo Benivieni <| In fine: | Impresso in Firenze per li heredi di Philippo di \ giunta nel tanno del Signore M.D.XIX. — del mese di Marzo. — • Ecco l’indice che trovasi al principio del volume: Opere di Hie-rony. Benivie I Ni Comprese Nel | Presente Vo | Lume. Una canzona de lo amore celeste, & diuino col Commento de lo 111. S. Conte Iohan Pico Mirandulano distincto in libri....... Egloghe con loro argumenti........... Cantici, o uero Capitoli. ........... Canzone et sonetti di diuerse materie......... Amore fugitiuo di Mosco Poeta greco tradocto . (1) Mancano il luogo, la data e il nome dello stampatore. Si tratta però d’un'edizione giuntina, che il Rajna stima giustamente posteriore a quella del 1506. (V. Il trattato « De Vulgati Eloquentia », Firenze, Le Monnier, 1896, pag. XLIX, n. 3). È stampa rarissima. Una copia ne è posseduta tuttora* dal la R. Scuola Normale Superiore Universitaria di Pisa, proveniente dalla collezione di A. Torri, e con note autografe del medesimo III VIII III XXX I — 398 — Psalmi di David tradocti...............Ili Sequentia de morti tradocta.....,...···* Laude & canzone morali...............XXI . . V Stanze in passione Domini............Λ Come si conoscili, & ami Dio per le sue creature stanze.....XXX Altre stanze di diuerse materie......... . . LV Frottole . . ,...............Vili 1522. Opere di Girolamo \ Benivieni Fiorenti \ No. Novissima I Mente Rivedu \ Te Et Da Mol \ li Errori | Espurga | Te Coìi I Una Canzona dello Amor celeste \ et diuino. col Commento dello Iil. | Conte Giouani Pico Mirado \ lano distinto in Libbri III. I Et altre Frottole de di | nersi A littori. | In fine : | Stampato in Venetia per Nicolo Zopirio e \ Vicentio compagno nel M.CCCCC I xxii. A di. xii. de Aprile Regnan | te lo ìnclito Principe Mes-ser I A?itonio Grimani. — (È una seconda edizione di tutti gli scritti compresi nella giuntina del 1519. Cassiodoro Ticinese che ne curò e corresse la stampa per incarico dello Zoppino, la dedicò « disertissimo utriusque linguae moderatori, ornatissimoque musarum cultori, Domino Bernardino Patavino »). 1523. Gli amori dilettevoli, Venezia, Zoppino , 1523. — (Sono le stanze Amore stampate sotto nuovo nome con una Caccia d'amore del cardinal Egidio, coi cinque Capitoli sopra il timore , gelosia, bellezza, speranza, amore, ed un Trionfo del mondo, composti dal conte Matteo Maria Bojardo. Non sono riuscito a vedere quest’edizione; si v. più sotto il frontispizio di quella, identica, del 1537)· 1524. Opere di Hieronymo Benivieni, Venezia, Gregorio, 1524· — (Terza edizione di tutte le opere pubblicate per la prima volta dai Giunta nel 1519). 1526. Gli amori dilettevoli, Venezia Zoppino, 1526. — (Seconda e-dizione su quella del 1523). 1527. Gli amori dilettevoli, 1527. — (Senza luogo, né nome dello stampatore. Mancano i capitoli del Bojardo), 1533. Libro del Reuerendo Padre | Fra Hieronymo Sauona I ROLA DA Ferrara: de la | Semplicità de la vi ! ta Christiana: I Tradotto in | volgare. | In fine: | Stampato in Venetia per Bernardino de Via | no de Lexona Vercellese. Ne li anni de la Na \ tinita del Signore. M.D.XXXIII. \ Adi. X. Fe-braro. 1533· Gli amori dilettevoli, Venezia, per Vettor q. Pietro Ravano della Serena e Compagni, 1535. — (Terza edizione su quella del 1523). 1537. CACCIA BELLIS 1 sima del reve- | rendissimo Egidio co i dilet- I teuoli amori di Messer Gì- \ rolamo Beniuieni, et cin-I que Capituli del S. \ Cote Matteoma | ria Boiardo: \ sopra el Ti I more \ Zelo sia, Bellezza, Speranza, Amore, | et un Trionfo del mondo. Opera 1 nouamente ristampata, et \ con ogni diligentia re- I uista, et castigata. | MDXXXVII. j In fine: | Impressa — 399 — in Vinegia per Nicolo d’Ari- | stotile di Ferrara detto Zoppino | MDXXXVII. 1537. Lettera sopra il Savonarola. (Trovasi impressa con le prediche XIX del Savonarola sopra l'epistola di S. Giovanni Grisostomo ed altri luoghi della Sacra Scrittura, in Venezia per Bernardino Stagnino, 1537). 1550. Salmi dì Davide tradotti; laudi e canzoni morali; stanze in pastone domini. — (Sono ristampate nei libri secondo e terzo della raccolta di Rime spirituali di diversi, in Venezia, al segno della Speranza, 1550). 1557· Canzone dell'amore celeste e divino. (Trovasi in Pici opera omnia, Basileae, 1557, insieme col commento di Pico). 1568. Sequenza dei morti tradotta. (Trovasi nella Raccolta de’ salmi penitenziali tradotti da diversi, fatta da Francesco Turchi, 1568). 1569. Già lieta al nuovo del la bella Aurora. Stanze. (Sono in Stanze di diversi illustri poeti raccolte da M. Lodovico Dolce, Venezia, Giolito, MDLXIX). 1540. Canzone dell'amor celeste e divino. (In Pici opera omnia, Basilea e, 1570, insieme col commento di Pico). 1578. Laudi e canzoni morali, in numero di quattordici, si trovano fra le Rime spirituali, stampate in Firenze, dai Giunta, il 1578. 1589. Alcune rime trovansi nel Catalogus Scriptorum Florentinorum omnis generis, di M. Poccianti, Florentiae, apud Philippum Iunctam, MDLXXXIX (1), 1601. Canzone d'amore. (In Pici opera, 1601, insieme col commento di Pico). 1674. Prefazione latina di G. Benivieni al Compendium revelationum di G. Savonarola. (Trovasi riportata, insieme con lo stesso Compendium\, nella Vita di G. Savonarola di Giovan Francesco Pico della Mirandola, Parisiis, Biliaine, MDCLXXIV, edizione curata dal Quetif). 1731. Canzone d'amore col commento di G. Pico, Lucca , per Salvatore e Giandomenico Marescandoli, a spese della Società. 1749. Sequenza dei morti tradotta in terza rima, Verona, per Dionigi Ramanzini, 1749. 1785. La prima, la settima e la ottava ecloga, in Egloghe bosche-reccie del Secolo XV, XVI (tomo XVI della Raccolta dei classici italiani), Venezia, Zatta, MDCCLXXXV. 1801. Un sonetto filosofico, la sequenza dei morti tradotta, e la de- (1) Altre rime sparse, poi - si notano qui, una volta per tutte — trovansi nel tomo 3.0 delle Opere burlesche dì diversi, Roma. 1726; nella Perfetta poesia, del Muratori; nella Storia della volgarpoesia, del Crescim-beni (vol. II, c. 331); nella Raccolta del Gobbi (vol. I, c. 194); nella Storia e ragion d’ogni poesia, del Quadrio (vol. II, p. 273). — 4°ò —- pìoratoria per la morte di Feo Beicari poeta cristiano, nel tomo I, e due laudi dell’amor di Gesù, nel tomo II, delle Rime oneste, raccolte da A. Mazzoleni, Bassano, Remondini, MDCCCI. 1S07. L’ecloga settima, in Poesie pastorali e rustie ali y raccolte da G. Ferrario, (Vol. CXXXVIII della edizione delle Opere classiche italianey Milano, Tipografia dei classici italiani, 1807). 1825. Deploratoria per la morte di Feo Beicari, Poeta cristiano. (In Lettere di Feo Beicari, per cura di Domenico Moreni, Firenze, per il Magheri, 1825). 1847. Viva ne* nostri cor, viva, 0 Fiorenza. Canzone. (Trovasi stampata per errore fra le Poesie del Savonarola, nell’edizione di Firenze, 1847 (1)). 1855. Dialogo di A. Manetti circa il sito, forma e misura dell*Inferno Dantesco. (In Studj sulla Divina Commedia di Galileo Galilei, Vincenzo Borghini ed altri, pubblicati per cura di Ottavio Gigli, Firenze, Le Monnier 1855). i857-58. Epistola a Clemente VII. (Fu pubblicata da G. Milanesi, in fine delle Storie del Varchi, Firenze, Le Monnier, 1857-58). 1858. Epistola a Clemente VII. (In opuscolo separato con prefazione attribuita a Iacopo Nardi, Firenze, Le Monnier,. 1858). 1863. Tancredi principe di Salerno , novella in rima di Hieronimo Benivieni, con introduzione di Francesco Zambrini, Bologna, Romagnoli, 1863. 1864. Descrizione del Bruciamento delle vanità nel Carnevale del 1498. (Trovasi in Canzone d’un Piagnone pel bruciamento delle vanità nel Carnevale del 1498, pubblicata per cura di I. Del Lungo, Firenze, eredi Grazzini, 1863). 1893. Cantico in laude di Dante Alighieri poeta fiorentino, et della sua oltre ogni humano concetto divinamente composta Commedia. In Poesie di mille autori intorno a Dante Alighieri, raccolte da C. Del Balzo (2), Roma, Forzani, 1893, vol. IV, pp. 341 e sgg. 1897. Dialogo d'Antonio Manetti circa il sito, forma, misura del-ΓInferno dantesco, ristampato di su la prima edizione , col riscontro del manoscritto Riccardiano e con aggiuntavi una nuova tavola e una introduzione di Nicola Zingarelli, Città di Castello, Lapi, 1897. (1) Cfr. Palermo, I manoscritti palatini di Firenze, 1853, vol. I, pagina 362. (2) Il Del Balzo s’ esprime in modo da far credere, che alcune delle sue poesie il Benivieni le pubblicasse per la prima volta nell’ edizione zoppi-niana del 1522, dedicandole con una lettera a Francesco Zeffi. È un fatto che l’edizione zoppiniana fu dedicata dal Nostro allo Zeffi, ma non è men vero che tutte le poesie compresevi, eran già comparse nell’ edizione giun-tina del 1519, insieme con la lettera allo Zeffi. — 401 — SU LA COMPOSIZIONE DEL CARME LXIV DI CATULLO [EPITALAMIO DI PÈLEO E TÈTIDE] I. Su Γ esposizione e su la storia della questione credo inutile fermarmi ; e rimando senz’ altro ai commentari generali del Riese (1884) del Baehrens (1885-93) dell’Ellis (1889) del Benoist-Thomas (1890), e alle trattazioni particolari che verrò citando via via. Dal Vossio, che trattò per il primo con intendimenti critici del carme LXIV verso la fine del seicento, a Carlo Pascal (1) che ne ha scritto recentissimamente, le più diverse e contrarie ipotesi si sono succedute e scambiate a questo proposito, senza che nessuna abbia raggiunto finora un limite di probabilità accettabile. Di tutte la più seducente è certo quella di Carlo Pascal. Il quale, spingendo fino alle ultime conseguenze la già notata dualità del carme (2), considera appunto il carme come un esempio tipico di contaminazione : e gli originali greci sarebbero stati, per l’epitalamio di Pèleo e Tètide vero e proprio, un antico epitalamio di Pèleo e Tètide attribuito a Esiodo ; per Γ episodio di Arianna, un poemetto ignoto di cui il Pascal non dice nulla, ma che tuttavia po-trebb’ essere anche questo attribuito a Esiodo se si volesse dare importanza a un verso riferitocene da Plutarco (Vita di Theo, XX). Questa ipotesi affronta direttamente il nodo della questione. In fatti ciò che sùbito colpisce e (1) Nel volume Graecia capta, Firenze, Le Monnier, 1905, pag. 31 e seguenti. (2) Cfr. Ellis, A Commentary on Catullus, Oxford, 1889, p. 280; Le-mercier, Étude sur les sources du poème LXIV d'e Catulle, Caen , 1893, p. 26; e sopra tutto A. B. Drachmann, Catull’s Dichtwig beleuchtet ivi Verhaltnis zu der friiheren griechischen und romischen Litteratur, Ko-penaghen, 1887, che primo, credo, avanzò nettamente l’ipotesi della co?ila- « minatio. Avverto che quest’opera, che del resto è scritta in danese, io non la conosco se non attraverso la recensione del Magnus in lahresber. z\ Burs., 1898 (voi. 97), P- 202-7. — 402 — sùbito induce in sospetto , è un vizio evidente di proporzione tra il vero epitalamio di versi 192 (1-49, 265-408) e l’episodio di Arianna di versi 215 (50-264) (1). Né certo questo vizio è troppo bene giustificato da coloro che sostengono essere Vepyllion di Catullo imitazione o traduzione da un unico esemplare alessandrino. Se non che anche 1 i-potesi del Pascal urta in assai gravi difficolta; le quali sono in parte quelle medesime che già indussero il Riese, uno dei più temibili argomentatori contro la originalità del carme, se non a recedere totalmente dal suo proposito , a smussare almeno la rigidezza delle sue conclusioni (2). Di codeste difficoltà la meno solubile è quella dataci dall’ osservazione che il carme LXIV presenta imitazioni e rifacimenti da poeti di ogni genere e di ogni età: da Omero a Ennio (3). Il Pascal ha preveduto il pericolo che minacciava sostanzialmente la sua tesi, e ha tentato di sviarlo notando che « a ogni modo tutti questi rapporti e riscontri non possono altrimenti qualificarsi che come reminiscenze naturali in un poeta dotto qual’è Catullo». Così che Catullo avrebbe sì costruito il suo epyllion contaminando due poemetti mitologici greci, ma si sarebbe comportato tanto liberamente da non togliere a se stesso la facoltà di imitare d’onde gli paresse e piacesse, secondo il suo gusto e il suo capriccio. Ora le imitazioni e le reminiscenze, da Omero da Esiodo da Pindaro da Eschilo da Euripide da Apollonio da Accio da Ennio, sono tali e tante che, se anche escludiamo sol queste e né pur teniamo conto di luoghi dove si potrebbe ragionevolmente vedere qualche segno caratteristico e personale dell’ arte di Catullo , non so proprio che cosa potrebbe restare per i due poemetti che Catullo a-vrebbe tradotti e contaminati. Bisognerebbe ammettere che (1) Mi valgo ordinariamente della edizione del Mueller, Lipsia, Teub-ner, 1891. (2) A. Riese, Catull’s 64 Gedicht aus Kallimachos ùbersetzl (Rhein. Mus., XXI, 1866, p. 498-509) ; e , dello stesso , Die Gedichte des Catullus, Leipzig, 1884, p. 154, in nota. (3) Non dico « a Lucrezio » perchè la questione è dubbia assai. Si veda più avanti. — 403 — i due poemetti contenessero essi gran parte di coteste imitazioni le quali Catullo avrebbe rielaborate di seconda mano. Ma questa è ipotesi troppo comoda e intricata di troppe difficoltà e inverosimiglianze perché valga la pena di insisterci. Inoltre fu già osservato da altri (i), e sembra ammetterlo anche il Pascal, che i rapporti di Catullo con autori greci — di quelli con autori latini è inutile parlare — sembrano immediati, non dipendenti da un imitatore intermedio. Quanto poi all’ osservazione che nel carme LXIV sono alcune parole e frasi, come nutrix al v. 18 nel senso di « mammella » rispondente a un ζιτυΎ], come flexerunt artus al v. 303 rispondente a un ε7*αμψαν γούνατα ο κώλα? come uìiigena al v. 300, duro e raro , rispondente a un ομογνιος, eccetera, le quali rivelano un certo sforzo di e-spressione e che per tanto farebbero sospettare e intravedere un originale testo greco cui Catullo traducesse o riducesse, non si nega eh’ ella sia giustissima di per sé, ma sono azzardate e ìmpari le conclusioni che se ne vogliono trarre; tanto più che in tutta più 0 meno la poesia catulliana e dei νεώτερο:· in genere, sì per il fervore dell’ ellenismo fiorente e sì perché proprio in quegli anni la lingua latina si veniva costituendo e fissando , codeste durezze e incertezze e grecità di espressioni erano un vizio comune (2). E del resto, per ciò che si riferisce in particolare al nostro carme, credo che altro se ne possa e debba derivare. Ma andiamo oltre. Il Pascal anche osserva che se l’episodio di Arianna avesse fatto parte della concezione primitiva a-vrebbe dovuto « procedere in modo tutt’affatto diverso: il poeta avrebbe continuamente rammentato che gli accorsi alle nozze ammiravano in una parte del drappo una scena e in altra parte un’ altra scena ; la esposizione insomma delle varie fasi della leggenda sarebbe stata fatta come (1) Cfr. il buon lavoro di G. Cupaiolo , Saggio di crìtica catulliana, Lecce, 1899, p. 31 sqq.; Lemercier, 0. c., passim. (2) Sui grecismi catulliani cfr., oltre la nota monografia dello Schulze, De Catullo Graecorum imitatore, Ienae, 1871, V. Vaccaro, Catullo e la poesia latina, Palermo, 1885, p. 88 sqq.; A. Couat, Étude sur Catulle, Paris, 1875, P· 2S5 sqq- — 404 — descrizione del drappo... Ma in Catullo... Arianna piange, geme , impreca... : tutte cose che non han che fare con una rappresentazione figurata. Quel drappo sembra dunque un ripiego, un artifizio escogitato dopo , per congiungere due componimenti già belli e formati e indipendenti l’uno dall’altro ». Bellissime ragioni, ma che peccano di eccessiva razionalità. E Catullo s’ è dimostrato in questo poema stesso poeta cosi irrazionale e così poco curante della logica successione dei fatti che p. e. incomincia col raccontarci che la nave Argo fu la prima a solcare le acque del mare e pochi versi dopo ci dice che sul drappo c’ era figurata la nave di Tèseo veleggiante alla volta di Atene ; e si noti che se questo e altro (i) poteva evitarsi, era assai più facile in un’opera di riflesso di rielaborazione di riduzione di contaminazione; e si noti anche che l’osservazione del Pascal può aver valore se mai contro Γ ipotesi di un unico modello alessandrino, poiché in quello se mai l’introduzione digressiva dell’episodio di Arianna avrebbe avuto forse un carattere più propriamente e più razionalmente descrittivo (2). Ammettiamo pure frattanto che Catullo avesse avuto veramente dinanzi due poemetti mitologici greci. Confesso che io non arrivo a capire il perché della contaminazione. E a ogni modo il problema estetico del malo coordinamento delle due parti rimane identico. Se poi consideriamo l’episodio di Arianna a sé, come derivante da un epyllion mitologico greco, non contiene esso una digressione proporzionatamente assai lunga, benché più intimamente innestata, nel mito della morte di Egeo? E questa seconda digressione, immessa nel mezzo della digressione prima, non ci rivela ella piuttosto in questo carme una maniera singolare di concepire e di comporre, come se Catullo avesse concepito e composto per gradi successivi, e successivi nello spazio più che nel tempo; come se Catullo insomma avesse (1) P. e. al v. 178, Idomeneosne etc.; perché Idomèneo, osservano i dotti, era figlio di Deucalione, perciò nipote di Arianna, ecc. (2) Sul razionalismo degli alessandrini e particolarmente di Callimaco, v. il recente studio di Pl. Cesareo, Un decadente nell* antichità, in Riv, di fil. e d’istr. cl., 1903-1904. — 405 ~ descritto, pur con quella animazione impetuosa che era nella sua natura, non solo gli episodi di Arianna e di Egeo, ma anche 1 occasione dell’innamoramento, la casa dello sposo, la processione epitalamica nelle nozze di Pèleo e Tètide? II. Il modo o il pretesto onde Catullo introduce nell’ epitalamio l’episodio di Arianna è dato dalla descrizione del drappo che ricopriva il talamo nuziale. Che ciò, come motivo puramente letterario, si possa far dipendere da una consuetudine invalsa nell’ arte alessandrina, e che il caso nostro particolare possa avere un riferimento più diretto nella decrizione del mantello donato da Pallade a Giàsone in Apollonio (I, 721-767), sta bene; ma questo, se giusti-fica letterariamente il modo d’introduzione dell’ episodio, non è sufficiente a spiegare tanta minuzia di particolari de- · scrittivi che troviamo non pur nell’episodio di Arianna ma anche nel rimanente del carme. E osservabile infatti come tutto il carme presenti particolari descrittivi minutissimi i quali corrispondono perfettamente a rappresentazioni vascolari e parietali, a bassorilievi piccoli e grandi in gemme cammei monete sarcofagi, a statue statuette eccetera. Tutto che induce nel sospetto che non tanto una 0 più fonti letterarie siano da ricercare alYepyllion quanto una o più fonti artistiche. Né si opponga la considerazione che , ove riuscissimo a provare che in questo 0 in quel passo Catullo descrisse un quadro una statua un bassorilievo o altro, ne verrebbe di conseguenza che Catullo tradusse o imitò da poeti alessandrini. La conseguenza sarebbe troppo arrischiata e del resto non necessaria affatto (1). Subito a principio del carme ecco un motivo comune e frequente nella plastica e nell’ arte figurativa antica : la costruzione della nave Argo. Essa è, molto probabilmente (2), (1) Cfr. Lemercier, 0. c., p. 28-9; G. Boissier, Promenades archéologiques, Rome el Pompei, Paris, 1887, p. 372 e passim. (2) Il Seeliger (in Roscher Lexìkon, all’articolo Argo) osserva che — 4° 6 — il soggetto di un famosissimo bassorilievo in terracotta della Villa Albani, oggi al Museo britannico, il quale sembra essere stato assai di frequente riprodotto come fregio ornamentale nell’epoca romana (i);; la stessa scena infatti è in una pittura murale di Ercolano. Si vede Argo o Giàsone che lavora alla prora della nave; liphys il pilota attacca le vele ; e Atena, seduta d’ avanti a lui, pare 10 aiuti e dirìga tutto il lavoro. Ipsa levi fecit volitantem flamine currum, Pinea coniungens inflexae texta carinae. In un frammento in terra cotta e sul rovescio di monete imperiali di Magnesia di Ionia si vede il naviglio in mare e gli eroi che remano. Una vera e propria rappresentazione della nave in mare, con d’intorno le Nereidi e-mergenti stupite dai flutti cerulei, non pare ci sia ; ma la descrizione catulliana (12-18) è di tale evidenza pittorica, e 11 poeta c’ insiste e la riprende e rileva nei particolari, e le si aggira da torno e la conduce con tale e tanta preoccupazione e compiacenza di effetti plastici, che senza nessun dubbio, come già osservò il Thomas, noi abbiamo qui uno di quei soggetti de’ quali massimamente si dilettavano gli autori di pitture a fresco e i decoratori antichi: « noi potremmo appunto, egli aggiunge, avere qui un’ allusione a qualche opera celebre dell’antichità, cui nessuna menzione diretta ci ha fatto conoscere ». Anche il Weizsacker nel lessico del Roscher (articolo Nereidi) cita questi versi di Catullo, e Apollonio Rodio, IV, 842 e sqq., come uno dei motivi ispiratori della poesia e delle arti figurative (2). Ugualmente si può dire della descrizione della morte di Egeo (v. 241-5), argomento assai comune anche questo potrebbe anche trattarsi della costruzione della nave di Danao o in genere della costruzione della prima nave. Il motivo a ogni modo è identico. (1) Cfr. il lessico del Saglio all’articolo Argo: e avverto ora per sempre che attingo queste notizie dagli articoli rispettivi nei lessici del Roscher del Saglio del Pauly-Wissowa del Baumeister ; e ad essi anche rimando per notizie più particolari e diffuse di bibliografia e di altro. (2) Cfr. anche Apollodoro, I, 136 (ed. Wagner, Lipsia, 1894). — 407 — della poesia e delle arti figurative. E perfino in accenni mitici di secondarissima importanza non è difficile , credo, riconoscere qualche ispirazione da rappresentazioni in bassorilievo o pittoriche: così, per esempio, la descrizione della lotta e della morte del Minotauro (v. iio-i), rappresentato ordinariamente come scagliante invano le corna ai venti sotto la forza indomita di Tèseo che lo tiene fermo e sta per trapassarlo con la spada ; così la morte di Polissena su la tomba di Achille, di cui Pausania (I, 22, 6) ci descrive una pittura nel tempio di Gea e di Demètra : του δέ Άχίλλεως τάφου πλησίον μέλλουσά έστι σφάζεσθαι Πολυξένη (ι). Ma veniamo ai particolari descrittivi dell’ episodio di Arianna e della processione epitalamica. Sul ciclo mitico di Arianna abbiamo rappresentazioni innumerevoli e di ogni specie. Le quali hanno per argomento 0 l’impresa di Tèseo in Creta con l'innamoramento di Arianna e l’offerta del suo aiuto all’eroe ateniese ; o l’abbandono di Arianna ; 0 Arianna addormentata a cui si viene avvicinando Dioniso col suo corteggio; 0 le nozze di A-rianna e Dioniso. L’abbandono di Arianna a Nasso, il suo svegliarsi nell’isola deserta, la sua disperazione quando vede già lontana sul mare la nave di Tèseo fuggente , fu uno degli argomenti preferiti, per il suo carattere romanzesco e sentimentale, dall’arte posteriore ; e se ne trovano tracce frequenti massime nelle pitture murali di Ercolano e di Pompei (2). E a questo proposito, nota lo Stoll nel lessico del Roscher, sono da ricordare parecchie statue rappresentanti Arianna seduta sopra una rupe, poggiato il capo su la destra, assorta in dolorosi pensieri ; delle quali la più celebre è quella che è a Dresda, già conosciuta col nome di Agrippina. Non si può fare a meno di pensare al saxea ut effigies bacchantis di Catullo (v. 61). Altro argomento (1) 0. Iahn, Archa.ologisc.hc Beitrage, Berlin, 1847, p. 141, p. 257 e sqq. (21 Benché la disperazione d’Arianna si trovi già anche nella tradizione mitografica antica. Ferecide di Scyro del VI secolo a. C. già la conosceva: cfr. schol. Odyss., XI, 322. — 4°8 — preferito dall’arte posteriore, e che pare anzi non debba risalire oltre il periodo alessandrino (t), è 1’ arrivo di Dioniso nell’isola accompagnato dal suo corteggio, e il ritrovamento di Arianna che giace addormentata dinanzi a lui. li questo uno degli argomenti che si trovano più abbondantemente svolti nelle pitture murali di Pompei (Cfr. Overbeck, citato in Roscher) ; e tra gli esemplari più perfetti di simile composizione è una pittura del museo di Napoli : si vede Bacco che arriva seguito dal suo tiaso di satiri e di sileni in svariatissimi atteggiamenti, appunto come leggiamo in Catullo (v. 251-64); e dinanzi a lui Arianna che giace addormentata. Questo motivo di Arianna addormentata divenne cosi comune che lo troviamo anche in figure isolate e indipendenti ; per esempio , la celebre Arianna addormentata del museo Vaticano, già conosciuta col nome di Cleopatra, e che sembra non esser altro che una derivazione e un dettaglio della pittura del museo napoletano. E il più delle volte , massime in scrittori posteriori (2), il ricordo di A-rianna è in rapporto a questo particolare atteggiamento. Sul quale ho voluto insistere perchè noi lo troviamo lievemente modificato in Catullo dov’egli dice che Arianna, subito prima dell’arrivo di Dioniso, ........aspectans cedentem maesta carinam Multiplices animo volvebat saucia curas. Con che egli ritorna al motivo iniziale dell’episodio. Ora noi non possiamo stabilire certo se proprio due rappresentazioni siffatte Catullo abbia avuto dinanzi ; ma la loro abbondanza rende l’ipotesi assai probabile ; ed è lecito appunto supporre che Catullo, avendo presenti due rappresentazioni successive rappresentanti una il risveglio di Arianna abbandonata e l’altra Arianna addormentata e sorpresa da Dioniso, abbia modificato il secondo motivo perché altrimenti nella relativa contemporaneità e immediatezza della espo- (1) Cfr. Iahn, o. c., p. 281 e sqq. (2) Vedi p. e. Caritone, in Scr. Eroi. Gr., (ed. Hercher, Lipsia, 1858-9) II, 13, 136; Longo, ibid., I, 306, Anche Pausania, I, XX, 3. — 409 — sizione letteraria sarebbe apparso una inutile e ridicola ripetizione del primo. E questa una ingenua spia onde noi riusciamo a sor-pren ere il poeta nella sua opera di adattamento e coor-. inamento letterario di diverse rappresentanze artistiche. La cui presenza agli occhi o alla memoria di lui traspare non pur dall insieme, non pur dal pretesto descrittivo onde 1 episodio è introdotto, ma anche dai più minuti particolari. Per esempio il corpus al v. 81 sembra avere una speciale forza in rapporto alla bellezza di Tèseo (i); si direbbe che Catullo avesse in mente qualche statua celebre dell’ eroe cui già Esiodo (Se. Her., 182) disse επιείκελον άθανάτοισιν, e cui lo stesso Fidia scolpì (Paus. X, 10, 1). Vedemmo dianzi, a proposito della statua di Arianna del museo Vaticano e di quella del museo di Dresda, come gli stessi motivi si scambiassero tra le varie arti figurative non meno facilmente che in letteratura. Si notino ancora i due momenti rappresentativi della disperazione di Arianna. A principio, a pena risvegliatasi, ella ci appare diritta su la riva del mare, simile alla statua marmorea di una baccante ; ché, tutta perduta con gli occhi e con l’anima dietro al naviglio di lèseo fuggente, le vesti le sono scivolate giù dal corpo fino ai piedi, ludibrio delle onde (v. 60-8). Più innanzi (v. 126-131) ella si slancia dalla riva su per montagne dirupate, e da queste di nuovo alla riva; e allora noi la vediamo, con un gesto elegante e istintivo, mollia nudatae tollentem tegmina surae. Catullo si ricorda di un movimento grazioso che i poeti e gli artisti greci del miglior tempo attribuivano a giovani e agili dee quando le rappresentavano nell’attimo di una rapida corsa. Ma poco prima Arianna era nuda. Se di questo Catullo si sia dimenticato 0 no, poco importa ; a ogni modo egli non ha creduto di dover frapporre una inutile dichiarazione logica fra i due momenti rappresentativi. « Le (1) L’osservazione è dell’ Ellis. Giorn. Si. e Leti, della Liguria. 2S — 410 — poète, ici, n’a d’autre ambition que de rivaliser avec les arts plastiques, en faisant passer sous nos yeux une serie d’images indépendantes les unes des autres; après l’Ariane nue et immobile, il évoque devant nous l’Ariane drapée et bondissante » (i). Simili osservazioni, e assai più importanti e significative in quanto che ora al poeta torna a mancare il pretesto descrittivo , si devono fare a proposito della processione epitalamica. Non mi indugio su la famosa descrizione delle Parche. Per le numerose rappresentazioni greche e romane rimando all’ articolo Moire del Weizsàcker nel lessico del Roscher. La più antica rappresentazione sembra essere quella della zona centrale del vaso François ; e su questa ritorneremo. Il Thomas osservò che una coppa della necropoli di Orvieto rappresenta una donna che fila proprio nell’attitudine che è descritta in Catullo. Che della descrizione catulliana siano anche fonti letterarie si capisce facilmente; e si citano d ordinario un epigramma attribuito ad Antipatro di Sidone in Anth. P., VI, 160, e il noto passo di Platone, De Refi., X, 617: ma è molto probabile che Catullo abbia avuto presente anche qui, per la singolare minuzia descrittiva, per il rilievo dei movimenti, e massime per una voluta combinazione antitetica di colori, qualche rappresentazione figurata. Il Lafaye (2) si pone la questione perché Catullo abbia relegato nell’ ombra le Muse e abbia invece messo avanti le Parche; e risponde che troppo ormai v’era di figure giovanili nel quadro , che Catullo aveva già esaurito tutti i tratti propri a rendere la bellezza degli dèi, che perciò tre donne al declinare dell’età, ma belle tuttavia di loro eterna vecchiezza, dovevano produrre col resto della composizione un vivo contrasto. Ognuno vede come 1’ osservazione sarebbe assai più propria se riferita a una vera rappresentazione pittorica. Ella però, da sola, non ha valore come risposta alla questione dell’ assenza d’Apollo e delle Muse. (1) Georges Lafaye, Catulle el ses modèles, Paris, 1894, pag. 184. (2) O. c., p. 169. - 411 — Dove noi pertanto non possiamo del carme di Catullo citare altra corrispondenza mitica o, diciamo pure , altra fonte se non una rappresentanza artistica, è in rapporto alla processione epitalamica di Pèleo e Tètide; in rapporto cioè, si noti bene, all’argomento fondamentale di tutto il carme. Questa fonte è la zona centrale del vaso François. E anche qui, si noti, la processione epitalamica di Pèleo e fètide è il nucleo fondamentale che unisce e coordina tra loro più o meno direttamente e intimamente le altre rappresentanze del vaso. Questa coincidenza è di per sé sola d importanza cosi decisiva eh’ io trascuro altre figurazioni dello stesso genere e per esse rimando all’ articolo Peleo del Bloch in Roscher e alle pagine che precedono il commentario al carme LXIV nell’Ellis (279 80). Dunque la zona centrale del vaso François rappresenta con una decorazione a soggetto continuo che avvolge tutto il vaso, la processione epitalamica per le nozze di Pèleo e Tètide. Anche qui, come in Catullo (v. 278 e sqq.), Chirone apre il corteo nuziale; anche qui, come in Catullo le Parche (v. 305 sqq.), le tre Moire (1) fanno parte del corteo ; anche qui, come in Catullo , mancano Apollo e Artemide. Non si può stabilire con esattezza se nel vaso gli dèi portino doni ; a ogni modo è notabile che e il pittore Clizia e Catullo si discostano dalla tradizione omerica (2). L’assenza di Apollo e di Artemide, quanto a Catullo, è stata interpretata in più modi ; e 1’ opinione che sembra prevaler tuttavia e che è stata accolta recentemente anche dal Pascal, è una interpretazione naturalistica : che cioè, svolgendosi la pompa nuziale durante la notte, al lume delle fiaccole, dovevano mancare le due divinità della luce, il Sole e la Luna. Io credo invece che si tratti proprio, se non di una corre - (1) Veramente il gruppo di donne su cui è inscritto ΜοΓραιsono quattro, non tre ; né esse si distinguono troppo bene fra loro non avendo alcun attributo. Se qui siano effettivamente indicate le Moire in numero di quattro 0 se la quarta sia da interpretarsi come Themis 0 Eileithyia, non è facile a decidere. A ogni modo noi dobbiamo figurarcele qui in qualità di predicenti l’avvenire come in Catullo. Cosi il Weizsaecker in Roscher. (2) Cfr. II. XVJ, 380-2; XVII, 443-4; XVIII, 82-5. — 412 — zione letteraria, di un elemento razionalistico del mito. Nella prima zona inferiore del vaso François è rappresentato l’episodio della morte di Troilo. Se quella figura che ha per iscrizione Apollon deve interpretarsi per Apollo dio — come sembra assai probabile per la corrispondenza antitetica con le altre divinità tutrici dei Greci e di Achille rappresentate dall’altro lato della fontana —, poteva parere strano che proprio quel dio che più tardi sarebbe stato cagione della morte di Achille, partecipasse alle feste nuziali di Pèleo e Tètide e anzi ne cantasse egli stesso l’epitalamio e celebrasse 1’ eroe nascituro. La contraddizione del resto era stata già rilevata assai chiaramente da Omero (II. XXIV, 63 sqq.) e anche più chiaramente e recisamente da Eschilo (frag. 281 Dindorf, 350 Wecklein). Non 'e niente di strano pertanto che i poeti e massime gli artisti, presso i quali la contraddizione, come in questo caso del vaso François, sarebbe stata più manifesta, ne abbiano tenuto conto. Né ha gran valore l’osservazione che se pur con ciò giustifichiamo 1’ assenza di Apollo, resta tuttavia ingiustificata e indimostrata l’assenza di Artemide : Apollo e A.r-temide sono concepiti ordinariamente come partecipi di un’unica volontà. E così è che in Catullo, all inno nuziale di Apollo e delle Muse — nè mancano del resto altri e-sempi antichi di ciò — (1), è sostituito il canto fatidico delle Parche. Il quale, poiché, come vedemmo, presenta anch’esso alcuni elementi rappresentativi, potrebbe non essere altro che la espressione letteraria di brevi rappresentanze artistiche della vita di Achille. Ma su questo non insisto. La estrema zona superiore del vaso François contiene da un lato la caccia al cinghiale Caledonio, dall’ altro il trionfo di Tèseo. Si usa chiamare genericamente così questa seconda rappresentanza, perché sul suo significato non c’è molta certezza. A destra, Tèseo, in cliiton istoriato e con la lira, si presenta ad Arianna ; la quale , preceduta (1) Cfr. Aristoph. Av. 1731 e sqq., dove si dice che le Moire avevano cantato alle nozze di Zeus e di Hera - 413 “ dalla nutrice, lo accoglie porgendogli un fiore o più tosto, pare, una corona. Segue un coro di giovani e di donzelle condotto da Tèseo; quindi, poco lungi dalla riva, una nave ferma dove alcuni della ciurma sembrano fare atti di allegrezza ; e in mare, un uomo barbuto che vien nuotando dalla nave verso la riva. Non è il caso ch’io mi fermi qui su le varie interpretazioni della scena (i). Pare si tratti della γερανός che si celebrava ogni anno in onore di Apollo nell’ isola di Deio; o meglio, della γερανός che si sarebbe celebrata la prima volta nell’ isola di Creta dopo la vittoria di lèseo sul Minotauro; gli ultimi due giovani a sinistra non ancora riuniti per mano in catena con gli altri, e l’uomo che s’affretta nuotando verso la riva, indicherebbero che la γερανός non è ancora cominciata e sta per cominciare. Richiamo più tosto l’attenzione sul fatto che in un’anfora la quale dovè servire probabilmente come dono di nozze, e la cui decorazione ha per argomento fondamentale la processione epitalamica alle nozze di Pèleo e Tètide , sia rappresentato anche il trionfo di Tèseo e il suo incontro con Arianna. Anche nell’ arca di Cìpselo sono raffigurati da un lato Pèleo e Tètide (Paus. V, 18, 5) (2) e da un altro Tèseo con la lira e Arianna che offre una corona, come nel vaso François: θ^οευς δε εχων λύραν καί παρ’ αυτόν ’Αριάδνη κατέχουσά έστ: στέφανον (Paus. V, 19, 1). Ora, dopo quanto s’è detto, sembrerà eccessivamente arrischiata l’ipotesi che Catullo sia stato ispirato e indótto (1) Rimando alle trattazioni particolari e generali ricordate nel Roscher (articolo Arianna dello Stoll); alle tavole del Braun in Mon. dell’ Inst. di corr. arch. 1848, vol. IV, tav. 54-8, e al testo relativo in Armali ecc., 1848, p. 299 e sgg.; e sopra tutto alla famosa opera Griechische Vasenmalerei curata da Furtwaengler e Reichhold, Monaco, 1900-1901. (2) Qui per altro secondo la tradizione che Tetide fosse ripugnante alle nozze. A proposito di questo anzi osservo che Catullo non partecipa nettamente nè alla tradizione antica, né alla sua trasformazione posteriore. Il non despcxìl del v. 20 è tanto lontano dall’s^v... . ούκ εθελουσα di Omero (II., XVIII, 453-4) quanto è lontano da un pieno assentimento. Il romanzetto d’amore che alcuni critici voglion vedere anche qui, qui non esiste proprio, nonostante i v. 328 e sgg. C’è piuttosto e sopra tutto la tradizione pindarica eschilea (Pind. Isthm. VII, 27 sgg.; Aesch. Prom., 941). Onde si spiega anche l’intervento di Prometeo come parte di codesta tradizione. — 414 — alla composizione del carme LXIV da qualche opera d’arte, e più probabilmente da qualche vaso che come il vaso François fosse stato destinato come dono di nozze e la cui decorazione pertanto si aggirasse sostanzialmente intorno ad argomenti di nozze e d’ amore? Anche i precetti retorici confortavano il poeta a ciò. E la insistenza medesima onde i retori citano insieme gli episodi di Tèseo e di Arianna, di Dioniso e di Arianna, di Pèleo e di Tètide, come e-sempi da introdurre in Epitalami, dimostra che cotesto era un motivo comune il quale non poteva non derivare da opere d’arte e da opere di poesia, e non riflettersi al tempo stesso scambievolmente su ciascuna di esse. III. Se però siamo giunti, attraverso una via nuova, a concludere più probabile l’unità del carme , resta pur sempre da spiegare se non da giustificare la disproporzione evidente fra Γ episodio e 1’ argomento principale ; nonché la disproporzione, più piccola materialmente ma esteticamente più sensibile, fra l’episodio di Arianna e quello di Egeo. Sui rapporti fra l’episodio di Arianna e quello di Egeo scrisse assai bene il Lafaye (o. c., pag. 175). In vero la nostra brama di conoscere e di voler vedere dentro a tutte le cose · ci spinge troppo sovente al dubbio ogni volta che ci troviamo dinanzi a un atteggiamento fantastico nuovo o a un nuovo coordinamento mitico; i quali posson pur essere invenzione originale del poeta. Così qui la dipendenza fra la maledizione di Arianna e la morte di Egeo può esser benissimo invenzione di Catullo : tanto più se accettiamo l’ipotesi di due rappresentanze pittoriche indipendenti ma successive sopra un medesimo oggetto. Alla relazione ideale complessiva si possono aggiungere anche rapporti parziali di forma: per esempio cogor (216-197), languida lumina (219-20-188), querellas (223-195) eccetera; anche, Egeo è rappresentato come Arianna con gli occhi ansiosamente fissi sul mare lontano dov’ è una nave che s’ avanza con vele nere: contrasto pensatamente voluto, e accentuato dalla ripresa immediata al v. 149. — 415 — Su la connessione tra le nozze di Pèleo e Tètide e l’episodio di Arianna scrissero, fra i sostenitori della unità del carme, Shadworth Hodgson (Theory of Practice, II, P· 535) (1) e sopra tutti e più diffusamente e con quel gusto elegante ond’egli sa rielaborare il suo materiale di ricerca e di studio, Giorgio Lafaye (0. c., p. 172 e sgg.). Se non che, come già osservò l’Ellis a proposito dell’Hodgson, tutte queste osservazioni, pur giustissime di per se stesse, non penetrano fino alle radici della ragion poetica del carme, ma ne sfiorano appena la superfìcie e non spiegano affatto « thè want of poetical finish in thè junctures ». Si possono aggiungere anche qui alcuni rapporti antitetici formali che se non altro ci rivelano lo sforzo onde Catullo cercò di congiungere fra loro le parti dell’ epyllion : per esempio i ledi iuvenes della nave Argo (v. 4) che vanno alla conquista del vello d’oro, fra i quali Pèleo che incontrerà nozze felici, e gli electi iuvenes della nave di Tèseo (v. 78), che stanno per esser preda al Minotauro, fra i quali Tèseo che incontrerà un amore infelice ;* anche la rispondenza ritmica tra robora pubis (v. 4) e robore Theseus (v. 73) non è forse senza intenzione; e Giove consente (v. 21, 26-7), anzi ne è autore egli stesso, alle nozze di Pèleo e Tètide; e lo stesso Giove ascolta ed eseguisce la maledizione e la vendetta di Arianna (e. 204 sqq.); e intorno ad Arianna è il pelago e l’isola deserta (v. 186-7), e intorno a Pèleo e a Tètide frequenza d’uomini e di dèi (v. 267 sqq.). Sta tutto bene ; ma sentiamo che non basta. Special-mente poi si è parlato e si parla di Alessandrini e di A-lessandrinismo. Si ricorda la composizione degli inni di Teocrito e di Callimaco (2) ; e si dà 1’ episodio di Medea negli Argonautica di Apollonio come uno degli esempi più tipici e caratteristici di simili digressioni sproporzionate. Io credo che voler spiegare con l’alessandrinismo ogni atteggiamento della poesia latina che possa parere non spontaneo, e tutto 0 quasi di codesta poesia voler mettere (1) Citato in Ellis, 0. c, p. 280, nota 4. (2) Cfr. Lafaye, 0. c., p. 147 sqq.; A. Couat, 0 c., p. 150. 416 — in relazione più o meno diretta e immediata coi poeti alessandrini, sia falso, o almeno esagerato e inesatto. Per quanto nelle scuole i poeti alessandrini si leggessero , se non altro come materiale di cultura e sopra tutto di preziosità mitologiche, tuttavia lo studio fonda-mentale si svolgeva principalmente intorno agli scrittori antichi, gli αρχαίοι del vecchio cànone di Aristarco e di Aristofane di Bisanzio (1). Ora questo studio si capisce come poteva essere: analitico e formale. Il cànone stabiliva quali erano gli scrittori da imitare; il professore volta a volta ne trasceglieva i brani. Ad Alessandria, a Pergamo, ad Antiochia fu certo press’a poco lo stesso. E finché e dovunque esisteranno scuole dove si creda di poter insegnare a parlare e a scrivere prima d’insegnare a pensare , sarà sempre lo stesso. Vizio poi, naturalmente, tanto maggiore quanto più sviluppata e perfetta è la tradizione letteraria e quanto più grande è il travaglio della perfettibilità propria in comparazione di quella ; e perciò, vizio comune ai Greci della decadenza e a Roma sùbito che la Grecia le divenne soggetta con tutta la sua civiltà. Scuola o no, lo studio analitico e formale degli scrittori, 1’ esame retorico dei brani staccati, l’ammirazione dell’ episodio del quadro della similitudine, inducevano necessariamente aU'amore del piccolo; e chi avesse tentato un disegno di più larga linea con più libera mano, se non soccorreva l’impeto della ispi razione creatrice, finiva col perdersi tra mille andirivieni di particolari sconnessi. Ecco perché io dico che certe innegabili simiglianze fra la letteratura degli Alessandrini e la letteratura latina massime del tempo di Cesare mal si fanno dipendere esclusivamente da influenza di quella su questa; ché derivano più tosto ambedue da càuse e difetti comuni. Quando il poeta è preoccupato dalla finitezza del-l’imagine per se medesima, significa ch’egli non è agitato da qualche cosa che gli prema dentro e lo urga e che (1) Si veda in proposito il limpido studio del Lafaye , Les Grecs prò-fesseurs de poesie chez les Romains, in Rev. Interri, de l'enseign15 ag. e 15 sett. 1894; e G. Boissier, o. c., p. 37. ~~417 ““ non è investito dal suo soggetto. E allora si intende corn egli concepisca tutto per gradi successivi e come perciò i suoi procedimenti di stile, quantunque abili, lascino intravedere le giunture mal connesse. Gli manca « uno sguardo sicuro che abbraccia tutti gli aspetti di un argomento; una idea generale che sempre presente allo spirito dello scrittore coordina intorno a se stessa e fra loro le idee secondarie che ella contiene e le dispone nel modo migliore; un movimento continuo e sempre più rapido che spinge ogni parte dell opera verso la conclusione attesa ; una stessa passione che ne anima l’insieme e i dettagli e si fa sentire da un punto all’altro del poema» (1); gli manca insomma quella potenza di concentrazione al cui fuoco si fondono le diverse impressioni ed espressioni per trasmutarsi in una impressione ed espressione unica, organicamente e solidamente costituita. Tutto questo è ciò appunto che mancò a Catullo nella composizione deirEpitalamio di Pèleo e Tètide. E gli mancò parte per la sua natura prevalentemente lirica che fu inadatta a concepimenti di lunga estensione e non paziente certo, come quella del suo amico Cinna, di troppo lunghe fatiche; parte — e sono due ragioni che si fondono poi in una sola — per una influenza diretta continua visibilissima di precetti retorici, di motivi scolastici e di luoghi comuni. La donna che tradisce la famiglia sua e la patria per soccorrere Γ ospite 0 il nemico di cui siasi innamorata improvvisamente, pare fosse divenuto un argomento di moda nella poesia. Si vedano, per esempio, in quella raccolta di leggende d’amore che Partenio inviava e dedicava al suo amico Gallo come soggetti per epilli e per elegie, il racconto XXII, περί Νανίδος, e il XXI, περί Πεισιδίκης. E appunto il tradimento, la fraterna caedes, eccetera , sono lo sfondo romanzesco comune su cui insistono con varia disposizione e colorazione i poeti di Arianna e di Medea (2), (1) Parole del Couat, 0. c., p. 148. (2) Cfr. Cat. LXIV, 150; Eurip., Med. 164 (della Medea non ho che la — 41S — i E forse questi di Arianna e di Medea furono i due miti tipici del genere , da cui gli altri derivarono. Ora alcuno s’ è domandato perché Catullo, volendo presentare un caso d’amore funesto in opposizione all’amore fortunato di Pèleo e Tètide, non scelse il caso di Medea benché avesse e ammirasse nella tradizione letteraria la Medea di Apollonio, la Medea di Euripide , la Medea di Ennio. La domanda può parere oziosa; e sarebbe infatti se si dovesse rispondere col Lafaye (i) che Catullo volle probabilmente evitare il pericolo o 1’ accusa di mettersi in gara con Ennio. Ma non è più oziosa se pensiamo che l’amore di Arianna e di Dioniso è , insieme con quello di Pèleo e Tètide, dato dai retori come esempio caratteristico da introdurre in composizioni epitalamiche. Già notammo questo anche a proposito di rappresentazioni vascolari. Menandro, un retore del III secolo d. Cr., discorrendo dell’epitalamio scrive: εστι δέ ποτε..... καί από διηγήματος αρξασθαι...... οίον εί λέγοις, νέος ών οτι γαμούντος Διονύσου τήν Άριάδνψ παρήν δ 'Απόλλων καί τήν λύραν επληττεν * ή οτι ΙΙηλέως γα-μοΰντος παρήσαν μέν απαντες οι θεοί, προσήσαν δε Μοΰσαι, και..... δ μέν εδίδου δώρα, δ δε επληττε λύραν, αι δε ηυλουν, αι δε Τβδον, Έρμης δε εκήρυττε τον υμέναιον. Ε più avanti: βρεις τι και περί Διονύσου, οτι καλός πρός γάμους δ θεός, κτλ. ουτω καί Αιακός Αίγιναν.... κατενύμ-φευσεν, ουτω καί ΙΙηλευς τήν θέτιν, κτλ. (2). Oltre questi passi sono anche notabili parecchi consigli che Menandro dà περί επιθαλαμίου e περί κατευναστικου e che sarebbe troppo lungo riferire tutti : p. e. che 1’ epitalamio χαίρει δε διηγήμασιν επαφροδίτοις τε καί εροπικοΐς* ταΰτα γαρ οικεία ττ] υποθεσει : che bisogna far l’elogio del dio delle edizione dell’ Elmsley, Oxonii, 1818); Apoll. R., Arg., IV, 450 (e d’Apol-lonio non ho che la edizione del Brunck, Argentorati, 1780) ; Ovid., Her., X, 115. (1) O. c., p. 180. (2) Ho l’edizione dello Spengel, Rh. Gr., III, 400, 409 e passim gli altri brani. Anche Caritone (Scr. Er. Gr., ed. Hercher, II, p. $1), ricorda insieme i due miti rilevandone anzi un rapporto antitetico. - 419 — nozze in quanto generò anche semidei, persuadendo gli dèi a mescolarsi in amore con donne mortali e con ninfe ; che quindi τέταρτος τόπος εστίν άπο του περί τον θάλαμον καί πασταδας Θεούς γαμελίους έρειν , ώς οταν λέγωμεν, συνε-ληλυθε μεν ουν ή πόλις, συνεορτάζει δε άπας, πεπήγασι δε παστάδες οίαι ουχ ετέρφ ποτέ, θάλαμος δε πεποίκιλται ανθεσι και γραφαις παντοίαις χτλ. Sono evidenti i richiami all’epitalamio di Catullo e in particolare ai v. 22 e sqq., 31 e sqq., 265 e sqq. E insiste più volte sul momento propizio delle nozze che è il vespero, (cfr. LXIV, 328, e il motivo fondamentale di LXII); e insiste su la descrizione del talamo cui le Grazie adornarono, e su descrizioni d’ altro genere, e di cori di vergini e di giovanetti danzanti, ola παρ Ομηρω εν τη ασπίδι. È singolarissimo questo richiamo a una delle più lunghe e caratteristiche digressioni omeriche; massime per il movimento esclusivamente plastico della descrizione, comune a Omero e a Catullo. Tanto più poi esso parrà singolare e importante ove si pensi che accenna alla descrizione di una danza « simile a quella che Dedalo compose nell’ ampia Knosso per Ariadne dalla bella chioma » (II. XVIII, 590-2). Questo passo troviamo anche citato direttamente da Erodiano due volte (Rh. Gr. III, 104, 86); e così da lui e da altri retori troviamo citati spessissimo, come esempi diversi, moltissimi luoghi della οπλο-ποιία ; il che significa eh’ essa era, come digressione e come digressione descrittiva, uno dei luoghi più abitualmente studiati e ammirati. E del resto si noti che in genere i consigli del retore Menandro si riferiscono appunto a digressioni descrittive quali e come si possono trarre con mille pretesti da ogni circostanza. Io non sono troppo tenero e credulo di rispondenze strofiche; ma i v. 50-131 ne presentano di tali e così certe che non è possibile non rilevare (1). I v. 124-131 (1) Di questa questione si sono occupati fra gli altri Γ Ellis, De acqua-bili parlinone carminum Catulli, in fine alla sua edizione di Catullo, Oxo-nii, 1878, p. 255 e sqq., e il Franke , De artificiosa carminum Calullia-norum compositione} Gryphiswaldiae, 1866. - 420 — (versi 8) introducono il lamento di Arianna e riprendono il motivo plastico descrittivo dei v. 52-67 (versi 16, divisi chiaramente a mezzo in due strofe eguali) che introducono il racconto. Ma prima della διήγησις vera e propria, che incomincia regolarmente con un Nam perhibent al v. 76, è un piccolo προοίμίον di 8 versi (68-75) il quale corrisponde evidentemente a un επίλογος, anche questo di 8 versi (116-123). Ora, del genere pragmatico è la esposizione , del patetico il proemio e Γ epilogo. Dell’ epilogo fa parte il più delle volte 1’ άνακεφαλαίο)σις, che nel caso nostro, con intensità maggiore, si fonde con la παραλειψις o praeteritio (1). Sopra tutto, il lamento di Arianna offre non pochi movimenti tipici di pensiero e di frase che troviamo notati nei retori. Già lo Statius (in Ellis) osservò, a proposito dei v. 143 e sqq. dove Arianna accusa della colpa di Teseo tutta la specie degli uomini, che Catullo aveva forse in mente esempi di generalizzazione e amplificazione retorica: καθόλου δέ μή οντος καθόλου ειπεΐν μάλιστα άρμοττει εν σχετλιασμω καί δεινώσει (Arist., Rh. II, 21). Un altro e-sempio di amplificazione retorica è ai v. 171 e sqq. e precisamente di κλίμαξ, di cui Ermogene: ετι των επιφανώς καλλωπιζόντων εστί μετά εναργείας καί το κλιμακωτον κα-λούμενον σχ^μα κτλ. (Rh. Gr. II, 337) (2)· Ε cosi si Ρ°~ trebbe continuare con altri esempi di diverso genere. Ma seguiamo un poco in vece il retore Apsine di Gadara, ove discorre del modo di eccitare la compassione, περι ελέου, e il pathos, περί πάθους (Rh. Gr. I, 391 e sqq.). Egli avverte in principio che non bisogna tutto a un tratto mettersi a suscitare la pietà senza aver prima disposto a (1) Si veda negli indici anche a παλιλλογία: e particolarmente Apsine, περί επιλόγου, Rh. Gr. (Spengel), I, 384 e sqq. (2) Ê inutile avvertire che della cronologia rispetto ai retori io non mi preoccupo molto. Anche un osservatore superficiale vede subito che non solo gli esempi erano quasi sempre gli stessi, ma anche le idee le regole i precetti venivano tramandati da l’uno all’altro per tradizione letteraria e scolastica. Cfr. l’opera del Volkmann, die Rhetorik der Griechen und Ruiner ecc., Lipsia, 1885. — 421 — ciò convenientemente l’animo degli spettatori (I, 391); e noi pensiamo alla introduzione catulliana del lamento di Arianna (v. 124-131). Segue poi a dire dei modi per destare pietà, e fra questi : ή άντιπαράθεσις τοίς άγαθοΐς των κακών τον ελεον κεκίνηκεν ελεεινοί μεν γάρ είσι καί οι οπωσουν δυστυχουντες, ελεεινότεροι δε είναι δοκουσιν οι εκ λαμπρας ευδαιμονίας συμφοραΐς μεγάλαις χρώμενοι (I, 394); e pensiamo alle parole di Arianna, v. 139 e sqq. Discorre delle varie pene dell’ anima e lungamente dei patimenti d’ amore e de’ modi onde si manifestano esternamente, o con l’abbattimento disperato 0 col furore pazzesco, eccetera (I, 395). Anche: ετι ελεον κινήσομεν τήν ερημιάν οδυ-ρόμενοι τήν εαυτών, οίον επί γης άλλοτρίας τις κρίνεται * άπο τής ερημιάς ούν οίκτον κινήσει κτλ. (I, 404). Cfr. Catullo LXIV, 184 e sqq. Nel περί πάθους sono ripetuti alcuni di questi stessi precetti, come anche precedentemente (I. 358) a proposito delle παθητικαί διηγήσεις. Ma su alcuni altri giova richiamar Γ attenzione. Per esempio : πάθος ποιουσι καί αι δεινώσεις. Cfr. Cat., ibid., 152 e sqq. — πάθος ποιουσι καί οι σχετλιασμοί, φευ καί οΐμοι. Cfr. Cat., ibid., 135» 178· — πάθος ποιεί καί τα άνακλητικά. Cfr. Cat., ibid., 171. — πάθος ποιουσι καί οι διπλασιασμοί (I, 406). E questi nel nostro carme sono innumerevoli. Ancora: εν τοις πάΟεσιν ου πολυν δει είναι τον κόσμον, ούδ’ επεμ-βάλλεσθαι τάς έννοιας, άλλα κομματικά τά πλείω * εάν μεν ^ουληΟτβς συνέχειαν ποιήσαι εν τψ πάθει, κατά το άσυνδετον είσάξεις (c. s.). E anche qui dal nostro carme è inutile citare. Ancora : εν τοις παθεσι και αι οιαπορησεις χρήσιμοι εύθυς εν άρχή (c. s.). Si confrontino sopra tutto i v. 177 e sqq. Anzi, fermiamoci qui. A proposito di questi versi si cita un passo della Medea di Euripide , v. 489 , νυν ποΐ τράπωμαι; πότερα προς πατρος δόμους; κτλ., un altro della Medea exul di Ennio, frag. X (Ribbeck), un altro della Elettra di Sofocle, v. 812. A questi posso aggiungerne un altro di Euripide, Oreste, v. 249: οΐμοι, κτανεΐ με * ποΐ φύγω ; Ebbene, fuorché quello di Ennio, tutti questi — 422 — passi, o direttamente ο indirettamente, sono nei Retori. L’ ultimo, in Longino, περί υψους (Rh. Gr., I, 264); quello di Sofocle è ricordato dall’Anonimo in questo modo: κινεί δέ ελεον καί το τοΐς μηκέτ’ ουσι διαλέγεσθαι, ώς Ευρι πεποίηκε λέγειν τήν'Εκάβην καί ο Σοφοκλής την Ηλεκ-τραν (I, 457). Quello della Medea non è ricordato espressamente, ma, che più conta, è imitato m un esempio di ηθοποιία παθητική. Afthonio sofista (Rh. Gr. II, 45), per dare un esempio di etopèa, scrive quel che direbbe Niobe con davanti a lei giacenti i cadaveri dei suoi figlioli : (Καν ανθ οϊας άλλάσσομαι τύχην απαις ή πρίν ευπαις δοκουσα ; Si noti la interrogazione iniziale e il colorito antitetico. E più innanzi: ποί τράποψαι; τίνων άνθέξομαι; motivo evidentemente comunissimo; come pure la ripresa, αλλα τι ταυτα οου-ρομαι; κτλ. Cfr. nel nostro: Sed quid ego nequiquam conqueror, eccetera (v. 164). Anche Nicolao sofista, parlando dell’ eto pèa, accenna a quello che si potrebbe far dire a Pèleo quando avesse udita la morte di Achille : che non subito rammenterà la felicità antica, ma dopo aver prima lamentato la sventura presente ; poi, sì, ripenserà alla fortuna di un tempo, alle sue nozze con la dea, al favore degli dèi, eccetera eccetera (III, 490). A proposito delle Parche già ricordai un epigramma attribuito ad Antipatro di Sidone in A. P., VI, 160. Ora, si sa, o almeno si ammette come molto probabile, che Antipatro intorno alla metà del seicento fu a Roma. Cicerone e Quintiliano parlano di lui come di un improvvisatore sorprendente. Ma era anche lui un virtuoso della poesia, un varieggiatore di motivi su lo stesso tèma. Ebbene, anche questa descrizione di Catullo (v. 305 e sqq.) non sembra essere una delle tante variazioni dell’Antologia sopra un tèma fissato? E una mia impressione, ma non priva di fondamento. E poi, a Roma, quando ci venne Catullo, non c’ era e non vi esercitava la sua professione di letterato Archia, rielaboratore dei versi di Antipatro (1)? Per i (1) Cfr. Lafaye, Les Grecs etc., già citato; e A. IIillscher, Ilominum — 423 — v. 397 e sqq* si cita ordinariamente Esiodo, Op.etD., 172 e sqq. Ma queste invettive sui mali dell’età presente in contrapposizione ai beni dell’ età aurea o dell’ età eroica non erano un motivo poetico dei più comuni (1)? Il modo e l’occasione dell innamoramento di Pèleo e Tètide sembrano al tutto invenzione catulliana. Apollonio racconta (IV , 930 sqq.) che quando la nave degli Argonauti si trovò nel ritorno presso le rupi erranti tra Scilla e Cariddi venne su dal mare con le Nereidi Tètide e guidò e trasse in salvo ella la nave. Così anche Apollodoro (I, 136, Wagner). Catullo ebbe presente certo questo particolare mitico. Ma egli aveva anche presente un tèma scolastico retorico : la meraviglia di chi per la prima volta vede una nave. Tra i vari argomenti che Ermogene (Rh. Gr. II, 15) suggerisce di ηθοποιία: ήθικαί c’ò appunto questo: τίνας αν εΐποι λόγους γεωργός πρώτον ίδών ναυν. Non si può non ripensare alla corrispondenza evidentissima col discorso dei pastor nella Medea di Accio. Ed ecco come Catullo fuse in un tèma retorico elementi mitici tradizionali diversi. Non pochi altri passi che Catullo sembrerebbe avesse imitato immediatamente dagli antichi, non erano se non luoghi comuni cui egli conosceva principalmente attraverso la tradizione scolastica e retorica. Vediamone qualche e-sempio. I v. 160 1 richiamano oltre che Omero, II., Ili, 409, Euripide, fr. 133 (Nauck): Αγου οε μ’, ώ ξεν', εΤτε προσ-πολον θέλεις, | είτ’ άλοχον, είτε δμωΐδα. Questo frammento è in Erodiano come esempio di επιτροπή (Rh. Gr., Ili, 98). I v. 152-3 contengono un motivo comunissimo: cfr. II. I, 4-5; Aesch. Prom., 605 sqq.; Eurip. Troad. 450; Soph. Ant. 29; e cfr. Rh. Gr. II, 409. Lo stesso dicasi del movimento di pensiero nei v. 155 e sqq.: un passo della de- litleralorum Gracc. ecc , in Jahrb. f. class. Phil. v. Fleck , 1892, Supp. B. 18, p. 401, 402. Reminiscenze di Archia in Catullo sembrano essere al v. 248, A. P. IX, 339, 5; al v. 300. A. P. VI, 181, 1. (1) Le quali età sono ben distinte, benché taluno le confonda. Qui si tratta evidentemente dell'età eroica. Lo dimostra anche l'intervento di Prometeo, elemento forse eschileo, non certo catulliano. Mi permetto di rimandare alla mia Trilogia di Prometeo, Bologna, 1904, p. 282. \ — 424 — scrizione omerica di Scilla, Od. XII, 85 sqq. è in Erodiano Rh. Gr. Ili, 102. Il v. 229 è un’eco del passo omerico, II. II, 546 sqq., che troviamo in Teone, Rh. Gr. II, 82. Il v. 13, tortaque remigio spumis incanduit unda, risponde all’omerico Od. XII, 171-2, oi δ’επ’ ερετμά | εζομενοι λεύκαινον ύδωρ ξεστής ελάτησιν, che trovo citato quattro volte nei retori come esempio di una delle tante forme di sineddoche (III, 196, 210, 219» 237). La comparazione al v. 269 e sqq. è di tipo schiettamente omerico e in Omero comunissima (cfr. II. IV, 422 sqq.; VII, 73 sqq.; II, 144 sqq., 394 sqq.) e citata dai retori come esempio di παραβολή (cfr. Rh. Gr. Ili, 201). Catullo ha còlto il motivo comune del moversi e romoreggiare della gente comparato al moversi e romoreggiare delle onde del mare (1); nella disposizione dell’ insieme e nella invenzione di qualche particolare si è mosso liberamente (2). Anche la comparazione al v· 353 è di tipo schiettamente omerico (cfr. II., XI, 67 ; XVIII, 550) e anche questa è data dai retori come e-sempio di παραβολή (cfr. Rh. Gr. Ili, 201 , 240). E altro si potrebbe trovare tuttavia, allargando e sottilizzando l’indagine. Nei retori il numero delle figure è straordinariamente grande e vario e tra mille divisioni e suddivisioni e distinzioni intricatissimo ; minore è la varietà degli esempi, de’ quali molti sono considerati come tipici, e vengono ripetuti e rimandati per tradizione scolastica da un retore all’altro, anche a distanza lunga di tempo. La gran miniera è Omero ; e, dopo Omero, si capisce , gli oratori, e sopra tutti Demostene. Ora, nella composizione dell’Epitalamio, fu notato dallo stesso Riese che certi procedimenti sono tutt’ altro che alessandrini, ma omerici : 1’ abbiamo visto più sopra. E anche fu notato che in nessun altro carme (1) Anche in Catullo, che increspa le onde è il solito Zefiro. Certi elementi letterari tradizionali (questa mia osservazione si estende naturalmente a tutta la poesia in genere) vengono accolti senza discussione. Su le rive delTEurota (v. 89) C. parla di mirti; dicono invece che qui non crescessero se non lauri e rose. Io penso al « mazzolin di rose e di viole » di Giacomo Leopardi, di cui discorse, non ricordo dove, il Pascoli. (2) Cfr. Lemercjer, 0. c., p. 52 e sqq. — 425 — come in questo alcuni periodi, per certi giri di frase , per certo uso e abuso di participi, per certa connessione e posizione di pronomi relativi e di altre particelle , risentono più della costruzione di un periodo prosastico che poetico (i). Dopo di che spero e credo mi possa essere risparmiata la fatica aspra di inselvarmi nella selva di figure di ogni genere che dal primo verso all’ultimo s’inseguono e s aggruppano senza remissione. Né si dica che d’ogni poeta e d ogni poesia si potrebbe tentare lo stesso. Dall’ esaltamento voluto e fittizio perché rispondente a una regola e a un modello , all’ esaltamento derivante dalla padronanza piena del soggetto e dall’èmpito della ispirazione creatrice ci corre assai. E una differenza, capisco , percepibile solo intuitivamente e sentimentalmente ; ma non perciò deve essere giudicata di meno valore. Quando per esempio dopo i primi diciotto versi che sono invero di una mirabile icastica potenza rappresentativa ci troviamo dinanzi il Tum Thetidis...... tum Tlietis...... tum Thetidi dei v. 19-21, e subito dopo un’apostrofe generale agli eroi che poi si circoscrive in un’apostrofe a Pèleo con in mezzo un epanalepsis e subito dopo un’ altra anafora e una serie di interrogazioni , eccetera, noi sentiamo che nulla aveva predisposto il nostro animo a simile movimento e siamo indótti a pensare che qui c’ è solo predominio di cultura , e di cultura scolastica sopra tutto , non schietta ispirazione. Di anafore c’è abbondanza eccessiva in questo carme : noto scorrendo 19-21, 289, 37, 39-41, 63-5, 6970, 96, 141, 143-4, 146, i48» 166, 215-6, 255, 257-9, 328-9, 336, 387-90-94. E così di e-panalepsis: 26-7, 61-2, 69-70, 132-3, 259-60, 285-6, 321-2, 327, 403-4. Erano care, dicono (cfr. Ellis e Thomas ai v. 19-21), agli alessandrini. Sta bene; ma furono care agli alessandrini per la stessa ragione onde furono care a Catullo; non è necessario al solito far dipendere questo da quelli: è un’influenza uguale su ambedue del metodo a- (1) Elus nota molto opportunamente in alcuni versi una rispondenza con passi di Demostene e di Isocrate; p. e., al v. 260, con Isocr. Paneg. 28: e questo passo è nel retore Menandro, περί μυθικών [ύμνων], (R. G., ΠΙ, 339)· Giorn. SI. c Leti. (fella Ligurià. 29 - 42Ó — nalitico e retorico onde si studiavano i poeti. La forma dell’epanafora (i) che sembrò preferire Catullo, di cominciare tre versi consecutivi con la stessa parola, e esemplificata costantemente nei retori con esempi omerici; e l’esempio tipico era II. II, 671-3. L’anastrofe delle parti-celle navi, sed, at ecc. (v. 43, 58, 210, 301, 379» 3§4)> si trova, osservò il Thomas (al v. 301), per la prima volta in Catullo ira i poeti latini. Ma c’ è proprio bisogno di pensare all’ anastrofe di αλλά nei poeti alessandrini? I retori sono ricchi anche qui di esempi omerici. Ugualmente dicasi dei molti δμοιοτέλευτα (39, 49, 59, 150, 255, 259, 263), massime dove sono assonanti le finali dei due emistichi dell’esametro ; delle numerose e varie forme di allitterazione (28, 29, 70, 262 in t; 92, 259 in c; 261 in p; 108-9, 281-2, 405); degli asindeti (35 e sqq., 197, 274, 405), dai quali, diceva il retore Tiberio (ITI, 77) πλήθους εμφασις γίνεται; dell’από κοινού σχήμα (70, 336), del κατ’άρσιν καί θεσιν σχήμα (39-41» 63-7» 146-7» con più. membri in arsi; 141, con due membri in tesi ; 339), per i quali si vedano i retori coi soliti esempi omerici e in ispecie Ermogene (I, 328). E osservabile la forma epifonematica della fine del carme, 405-6; dov’è un’eco dell’epifonema omerico πανηβ οε κακον κακω εστήρικτο (II. XVI, in), che troviamo appunto nei retori citato come esempio (Rh. Gr. II, 253; III, 117). E potrei continuare, ma smetto, per pietà di me e di chi mi legge. Ora io non voglio entrare nella questione dell’ età del carme, che troppo lontano mi condurrebbe, massime per le osservazioni del Munro (a Lucrezio , III, 57 e altrove , e Critic., p. Ì50) (2) e per la necessità quindi di un esame metrico comparativo. Ma dubito forte se, dopo quanto s’e detto , sia ancora sostenibile l’ipotesi che esso appartenga agli ultimi anni della vita di Catullo (Riese, Schwabe, Baeh- (1) I Retori confondono tra epanafora o anafora e epanalepsi ; e non tra queste soltanto. Io seguo, per intenderci, la distinzione del retore Alessandro (III, 19 e sqq). (2) Già combattute del resto assai validamente da IULIUS Iessen, Ucbcr Lucrez und sein Verhdltniss zn Cattili und Sp&lercn, Kiel, 1872. * — 427 — rens, Westphal, Munro, Couat, Lemercier), o se più tosto non si debba ritornare alla opinione del Teuffel il quale attribui il carme al primo periodo dell’ attività poetica di Catullo, insieme con la versione callimachea (LXVI) , con la dedica a Ortensio (LXV), col dialogo con una porta (LXVII), con 1’ epitalamio saffico (LXII), con 1’ elegia a Manlio (LXVII1). In vero con quest’ultima specialmente il carme LXIV presenta parecchi punti di somiglianza nel-1 insieme della composizione e nei particolari. Assai strana c 1 argomentazione che si usa trarre dal v. 24: Vos ego saepe meo, vos carmine compellabo. Il quale sembra annunziare, dicono (1), altre opere che la morte sola potè impedire, e quindi indicare che Catullo scrisse 1’ Epitalamio di 1 èleo e Tetide poco prima di morire. Oh, se si dovesse nella vita compiere tutto quello che ci si prefigge nella giovinezza ! No. Quando Catullo compose l’Epitalamio non aveva ancora trovato la sua strada. Fresco tuttavia di studi, ricco di cultura straordinaria, pieno d’ardore per un rinnovamento della poesia latina che egli voleva tentare con una combinazione savia e opportuna dell’arte ellenica alla tradizione letteraria romana, tutti codesti elementi molteplici non s erano anche fusi nel suo spirito e naturalmente di codesta non anche compiuta elaborazione interna la sua produzione non poteva non risentire. Oltre che Catullo non aveva tempra di poeta epico. In questo epitalamio noi dovremmo poter fare astrazione dall’ insieme e considerarlo nei particolari. Arianna diritta su la spiaggia del mare, con l’anima protesa verso l’orizzonte, e le vesti che le discendono ai piedi in balia delle onde, e i capelli aurei che le si disciolgono dalle bende, e tutto intorno un infinito deserto , e nel mare una vela nera che s’ allontana ; ecco un’imagine che resterà dinanzi ai nostri occhi incancellabilmente presente. Ma l’insieme manca. La vita errabonda e romanzesca, l’amore e il dolore che sperimenteranno e acuiranno presto la sensibilità fine del poeta, compiranno essi (t Lkmkrcikr , o. c., p. 9 Oltre che si noti che questo verso corrisponde a un movimento comunissimo nella finale degli inni omerici. — 428 — la rivelazione. E allora Catullo trovò se stesso. Trovo quel suo sorriso caratteristico fatto di soavità e di scherno, dove la grazia più squisitamente malinconica si rompe in una ingiuria da lupanare ; un sorriso strano, indimenticabile, quale ebbero talora, assai più tardi di lui, due suoi fratelli spirituali: Enrico Heine e Alfredo de Musset. Manara Valgimigli. PIETRO PAGANETTI E LA « STORIA ECCLESIASTICA DELLA LIGURIA » RIMASTA IN TRONCO Nel secolo XVIII la mente filosofica prendeva un novello indirizzo: allo studio dell’uomo interiore, si preferì quello dei fatti esterni: le idee, diceva il filosofo Jouffroi , sono invisibili per la storia; gli effetti soltanto di esse cadono sotto 'il dominio della storia , e questi effetti sono i fatti d’ogni natura e d’ ogni specie. Con sì fatto indirizzo pigliaronsi a gittare le fondamenta della storia, conferendosi così a rendere più solido quel positivismo, per cui allora si prese a muover guerra in Francia al cattolicismo e alla Chiesa in nome della filosofìa , e per cui cominciò simile lotta in Germania, in nome della scienza. Questo sistema largamente professato dagli scrittori dell’Enciclopedia francese, sebbene le idee facessero allora penoso cammino a traverso grandi ostacoli, non tardò a trovare qualche aderente nella ligure capitale; ed un ricco patrizio, che doveva fra non molto essere decorato del berretto ducale, attese a farsi traduttore dell’ ardita introduzione, che a quella memoranda opera avea preposto il D’A-lembert: voglio accennare alla traduzione italiana, dovuta alla penna di Agostino Lomellini, colla quale tentò farsi strumento efficacissimo a propagare le opinioni d'oltremonti, traduzione salutata con parole di lode dal Padre Zaccaria e dal Diodati. Ho ragione di credere però che le novelle idee non trovassero numerosi adepti nella classe dei pa- — 42Ç — trizi, perche a tacere di Stefano Lomellini, che eletto Doge nel 1752, rifiutò la dignità per rendersi prete; non può essere dimenticato il razzente motto del Baretti, che chiama i Genovesi molto mfratescati, e poco meno il severo giudizio dell abate Ferdinando Galiani, il quale scrivendo (1 maggio 1759) al ministro Tanucci del Doge Matteo Franzoni, dice: mi e parso estremamente gesuita : io Γ ho sempre lasciato dire, ed egli vii ha trovato molto ig?iorante. Una filosofia per altro, che predicava di gettare le basi di un nuovo ordinamento sociale, da cui l’umano consorzio doveva ripromettersi un avvenire di civiltà e di giustizia , non poteva tardare a trovar numerosi aderenti anche nel clero istesso; e mentre una porzione di esso, tra cui ricorderemo i nomi del Ricci e del Tamburini, credendo all’opera di una lenta evoluzione , lavorava inconsciamente a preparare il terribile rivolgimento , da cui doveva essere colto e turbinosamente trascinato , altra parte invece più cauta, ne meno operosa, si studiava a tutto potere, di metter argine allo allagare della temuta dottrina , con disciplinare il clero e con rinvigorire nei seminari gli studi. Merita fra questi ultimi un notevole posto l’arcivescovo di Genova, Giuseppe Maria Saporiti, prelato non meno dotto che prudente, il quale elevato alla sede metropolitana ligure, volle inaugurare 1’ alto ufficio declinando dalla pretesa, accampata dai suoi predecessori, circa il fastoso cerimoniale del solenne ingresso. « Erano passati », scrive il Se-meria, « quei secoli, nei quali il Doge e i senatori facevansi un pregio d’ accompagnare per le pubbliche vie 1’ arcivescovo, allorquando recavasi la prima volta a prendere possesso della sua chiesa, nè temeano perciò d’ abbassare la suprema grandezza ». Il Saporiti infatti fiutando il vento infido, passavasi leggermente di cotali lustre d’ossequio, ed ebbene lode di modesto, ed attese in quella vece a veder modo di rendere più morigerato e più istruito il numerosissimo clero. Nè tardò per verità a trovare negletti gli studi persino da coloro, che per istituto erano tenuti a trattarli, laonde fondava del proprio nel seminario una novella cattedra di discipline teologiche; e vedendo, colle più — 43ό — colte persone d’ogni ordine cittadino, preso il giovine clero alle ciance canore e alle frivole letture delle numerose Accademie d’Arcadia, volle aperto in una sala del suo episcopio una novella palestra a studi storico-critici, allora tanto tenuti in conto, coll’ istituzione di un 'Accademici, che si disse di filologia sacra (1746). Quanti sacerdoti venissero chiamati a far parte del novello sodalizio. non ho potuto scoprire ; solo ho trovato nelle memorie di quei tempi, che nel giugno dell’anno 1750 vi interveniva il sacerdote Bernardo Poch , erudito narratore degli Annali di San Remo e che in quella adunanza egli recitava una Dissertazione sul trasporto del corpo di San Romolo (1). Un giovane fraticello pure, obbediente senz’altro all’ invito che gliene faceva il dotto moderatore di quel consesso, siccome esperto nell’arte di frugar codici e di decifrare pergamene , pigliava a scrivere un’ erudita memoria col titolo: Della commenda gerosolimitana detta volgarmente di S. Giovanni di Pre e degli atti di S. Ugo ne (1) Di Bernardo Poch e de’ suoi mss. ha dato alcune buone notizie il Belgrano {Atti d. Soc. Lig. di Stor. Patr. , vol. II , par. I, pag. 3 e sgg.) alle quali giova aggiungere com’ei morisse in Roma dal 4 al 5 marzo 1782 {Diario Ordinario, Roma, Cracas , 1782, n. 750 pag. 14) lasciando tutto quanto possedeva alla Sacra Congregazione di Propaganda Fide, con 1’ obbligo di «mantenere due alunni Galilei » e ciò con testamento rogato dal no-taro Pacione il i.° marzo 1782. Con esso egli faceva inoltre questo legato: « vuole ordina e comanda che tutti e libri mss. che sono in un baullo ed altri che si troveranno altrove, e risguardanti alle cose di Genova, questi interamente dalla sua erede si debbano mandare all’Archivio del Senato di Genova assieme con tutti gli altri Libri stampati che riguardano le cose medesime ». Stampati e mss. vennero di fatto consegnati all’ agente genovese a Roma Figari, il quale ne fece regolare invio a Genova (Cfr. Arch. di Stato, Lett. Ministri, Roma, mazzo 11. 63, e Iurisdictionatium, 1782, fil. 2.a dov’è anche l’inventario dei libri). Quando i mss. fossero asportati dall’Archivio non ci è noto; sappiamo dal Belgrano che nella prima metà del secolo passato erano nelle mani di Carlo Cuneo, passarono poi all’avv. Ageno, il quale ne fece dono alla Biblioteca Civica dove ora si conservano. Della stessa famiglia Poch sarzanese troviamo un Vincenzo che ha lasciato ms. una operetta sul Prezioso Sangue; Alberto canonico, del quale si legge una lettera al Lami intorno ad alcuni scavi fatti a Luni (Novelle Letterarie, Firenze, 1765, n. 13 e Sforza, Gli studi archeologici sulla Lunigiana dal 1442 al 1800, pagg 118 sgg.), Marcantonio ed Alberico che hanno poesie latine ed italiane in raccolte della prima metà del secolo XVIII. Cfr. anche Giornale Ligustico, II (1875), 372. — 431 — · ed era quella una delle prime letterarie fatiche, di chi doveva fra poco accingersi a scrivere la Storia ecclesiastica della Liguria; memoria che in questa poi incluse. Erane autore Pietro Paganetti, nato il 21 febbraio dell’anno 1729 in Bonassola (riviera di levante), ascritto ancora in giovane età nell ordine dei Chierici regolari minori, detti semper orantes nel convento di Santa Fede di Pre in Genova (1). Nulla si sa del frutto delle primitive scuole, aspreggiate a quei giorni dallo staffile di pedanti maestri ; ma il vederlo appena quadrilustre pigliar parte alle adunanze accademiche indette dall’arcivescovo Saporiti, attesta del suo amore pei buoni studi e delle speranze che doveva levare di sè nel-1 istituto, cui aveva dato il nome. Menava rumore a quei giorni l’Histoire ecclesiastique di Claudio Fleury, cominciata a venire in luce verso il volgere del secolo XVII e nella quale l’autore si era proposto de separer tout ce qui Vignorance et la superstition y ont voulu mêler e in cui liberamente avea preso ad esaminare e a giudicare i vizi dei principali ministri della chiesa e gli abusi da loro introdotti nella disciplina ecclesiastica. Il Paganetti preso a quella ardita libertà del prelato francese, dopo di aver fatto spogli, che, a far capo dal Caffaro e continuatori, proseguito da Iacopo da Varaggine e in parti-colar modo dall’olivetano Agostino Schiaffino autore degli Annali ecclesiastici di Genova (1649) e dall’arcidiacono della metropolitana Agostino Caleagnini estensore, fra i molti scritti storici, di una Storia ecclesiastica della Liguria (1655), si.estendevano sino al contemporaneo prete dell’Oratorio Giacomo Giscardi, benché indubbiamente gli fallissero le dovizie dei più riposti archivi, si accinse a raccogliere in una bene intesa sintesi i fatti studiati e dichiarati con tanta (0 Ecco l'estratto di nascita cavato dall’Archivio parrocchiale di Bonas-sola: /729 die 21 Jcbbruarii. Petrus Baptista filius D. Ignatii Paganetti et D. Mariae Antoniae coniugum natus ex legittimo matrimonio, baptizzatus Juit a me /nanne Francisco Farina, patrini Juere D. Ioseph Serra q. Hieronymi et lì, Anna Paganetti, filia D. Ignatii. So grado alla memoria del compianto Luigi Tommaso Belgrano, di avermi procurato questo documento. — 43^ — Cura e a distribuire i documenti con indefesse ricerche rintracciati. Ma il giovine scrittore che viveva in un’ atmosfera pregna di razionalismo e che vedeva la critica intenta col suo scalpello ad analizzare gli agiografi e a ridurli pressoché in brandelli, procedeva colla più scrupolosa cautela nel far pro delle fatiche di tanti cultori, che se po-teano essere pregiati per la loro buona fede, non brillavano per acume critico nello sceverar il vero dal falso. E fermo più che mai a non romperla colla tradizione e a prestare ossequio alla suprema autorità della Chiesa e a procedere ad un tempo sempre assistito dai canoni di una sana critica, dopo non poche esitazioni fu in grado di pubblicare colle stampe il primo volume Dell’ istoria ecclesiastica della Liguria, l’anno 1765 (1). Nel leggere la prefazione è impossibile non vedere, sebbene modificate, le espressioni del Fleury: circa i miracoli, visioni e simili grazie, ne tutti debbono ammettersi, ne tuta possono rigettarsi; siccome molte furono un tempo senza la debita critica adottate, così altre sono innegabili a chi non voglia contraddir la stessa evidenza. E evidente , che con tali premesse il nostro storico non dovesse o tosto o tardi rompere negli scogli; poiché dichiarando egli di procedere armato di forbici per recidere e di bilance per pesare, nasce naturale la domanda, dove attingesse 1’ autorità di falcidiare o di approvare le narrazioni delle pie leggende , e se da tal libero procedere non restasse vulnerato il principio del sovrannaturale contro l’invadente razionalismo. Ciò non pertanto potè venire in luce, munito della sagramentale licenza dei superiori questo volume, che racchiude colla storia dei primi cinque secoli del cristianesimo , tre dissertazioni una sull’arte critica (2), 1’ altra sulla religione in Liguria e la terza sui martiri, avvalorando la narrazione colla silloge delle iscrizioni sacre e profane delle diocesi (1) Della istoria ecclesiastica della Liguria descritta e con dissertazioni illustrata dal P. Pietro Paganetti dei chierici regolari minori. Tomo primo. In Genova MDCCLXV, presso Bernardo Tarigo: in 4.0 pag. XVI, 436. (2) Lo Spotorno sentenzia, che il Paganetti « scrisse noiosamente della critica ». — 433 — di Sarzana e Brugnato. Non è a dire con quanto favore venisse accolto il libro dagli studiosi, che dispettando quanto aveva piaciuto ai maggiori, miravano avidamente a cose nuove; sebbene lasci non poco a desiderare la forma, pur nondimeno piacque quel modo nuovo di riguardare e di giudicare i fatti, quella sincerità nel farsene espositore e il taglio coraggioso di molti miracolosi racconti. 1 ali novità gli suscitarono però uno sciame di detrattori, i quali lo posero in voce di giansenista, specie per la grande liberta, onde l’autore biasima i vizi di alcuni papi e vescovi e compiange deplorevoli abusi; ma venne sopratutto segnalato l’ardire con cui egli, spingendosi alla prima origine del Cristianesimo, si lasciò andare a conclusioni non sorrette da quella analisi, che il rigore della scienza esige , quale si fu appunto l’asserire, che nei loro incominciamenti le diocesi fossero rette da collegi sacerdotali e che la Chiesa si governasse a repubblica. Gli invidiosi che mai non fanno difetto contro chi si leva in alto , si diedero allora a far contro di lui sinistri uffici e forse gli nimicarono chi dovea proseguire nella stampa dell’opera, per il che cogliendo la congiuntura che un tipografo di Roma gli faceva migliori condizioni, colà si recava e poteva, poco dopo, essere ammesso al bacio del piede del sommo pontefice Clemente XIII, il quale oltre di confortarlo a proseguire nella intrapresa o-pera, lo esonerava dal pagamento della gabella della carta per tutta l’edizione. Questo atto di suprema benevolenza valse a ristorare il Paganetti dei ripetuti assalti, onde l’avversa fortuna aveva cominciato ad assalirlo; e pare lo consolasse pienamente il consenso ottenuto daH’eminentissimo Cardinale Domenico Orsini di Aragona, di poter intitolare del suo nome il secondo volume, che comprendeva la storia ecclesiastica sino all’anno 900 e la Dissertazione IV sui vescovi di Genova, non che 237 iscrizioni riferentisi a questa chiesa (1). Ma doveva durar poco questa dolce illusione ! Già del (0 forila istoria eccles. delia Liguria eie. Tomo II, Roma MDCCLXVI, «ella Stamperia di Russi, nella strada del Seminario romano; pag. X‘334 — 434 — nuovo volume avevano licenziata la stampa i rettori del-l’Ordine, cui era ascritto 1’ autore , i Consultori del S. Ufficio di Genova, i Revisori governativi e lo stesso Maestro del sacro palazzo in Roma ; già avevane il Paganetti di stribuite alcune copie ad eminenti personaggi ed intrinseci amici, già faceva ritorno in patria, dopo di aver commesso al P. Sambuceto il carico di farne recapitare àgli associati gli esemplari e di metterne in vendita i rimanenti, quando improvvisamente la sera del 27 febbraio 1767 , venivano questi sequestrati d’ordine del Luogotenente del Governatore di Roma, in numero di 912, commettendosi l’enorme arbitrio verso l’editore di forzarlo a farne la consegna (i). Qual fine dessi sortissero è ignoto ; pare per altro , venissero distrutti, non potendo altrimenti spiegarsi l’alto prezzo, che tiene questo volume nel commercio librario. Non è possibile descrivere l’abbattimento d’animo, in cui cadde all’apprendere tale notizia il Paganetti; invano fece istanze vivissime ad autorevoli amici, perchè interponessero ìa loro voce in tale frangente; tra i gravi appunti che gli erano stati fatti gli si rimproverava la poca fede che egli mostra di prestare ai miracoli, onde è ricolma la vita di S. Siro ; la grande disinvoltura con cui egli si attenta di spiegare soprannaturali portenti e la prontezza e la facilità, onde rie- (1) L’agente genovese Serafino Figari scriveva a questo proposito il 4 marzo : « Essendosi portato venerdì sera un Luogotenente criminale del Governo con esecutori alla Religiosa Casa di S. Lorenzo in Lucina de’ Chierici Regolari Minori, si sospettq di qualche esecuzione contro il Marchese Quarantotti, che ivi da molto tempo gode 1’ asilo. Avendo però io cercato di sapere il positivo di tal fatto, ho rinvenuto che Monsignor Governatore, per ordine Pontificio, avea economicamente fatte levare dalla detta Casa Religiosa, e trasportare alla sua Curia, sopra quattro carrette, tutte le stampe del secondo tomo dell’istoria Ecclesiastica Ligure, già colle solite approvazioni stampata dal Padre Paganetti. A così forte risoluzione si è proceduto per alcune espressioni dispiacenti a questa Corte, distintamente nella dissertazione quarta, ove parlasi dell’elezione de’ Vescovi. Dicesi che il revi-, sore del libro non andrà esente da qualche mortificazione, e che il libro medesimo sarà proibito donec corrigatur ». Un mese dopo tornava a scrivere: « Calmato già il soverchio ardore contro il secondo Tomo del Padre Paganetti, ho inteso che ritornerà quello alla pubblica luce colla mutazione di qualche foglio, acciò resti così mitigata qualche espressione mal intesa ». (R. Arch. cit., Lettere Ministri, Roma, M. 60). Ma non fu così, che l’opera venne messa all’indice. — 435 — sce a porre in contraddizione fra In™ 1 bitante poi il giudizio che egli porta sui™·agl°grafi; esor~ Pietro Riario, nipote di papa Sisto IV, non aver avuto nella corta sua vih · · asseriva esser quello l’uso che deve irsi d fh^ * ^ ’ nè Si accorse allora lo storico ecclesiastico^ 6SSa^0mmessi· , i,. . . CL^esiabtico, quanto fosse stata ardua 1 impresa cui si era accinto, quella di conciliare il at tolicismo colla liberta e la fede colla critica A portare però diritta sentenza della lealtà del Paga, netti , tanto lo fiancheggiarono i snoi retti intendimenti bastera la ben pronta sommissione che egli fece al cardi’ naie segretario di Stato colla quale dichiarò di ritrattare quanto fosse rimasto nell’opera « che oifenda o premudi chi in qualunque modo la S. Sede » (,). Nè questo spontaneo piegare della fronte di uno scrittore, al quale dopo il lungo e minuto investigare , potendosi condonare anche uno erroneo dubitare, valse a disarmare le punture di stilo degli avversari; che più tardi l’ab. Accinelli scriveva: «fra i libri di cattiva dottrina condannati e proscritti dalla S. Congregazione, avvi la storia ecclesiastica del P. Paganetti »; espressione che scema la stima d’imparzialità in chi la seri-veva (2). Riusciti vani i tentativi ch’egli deve aver fatto in Roma per ottenere che il volume venisse pubblicato con le correzioni che gli fossero suggerite, di che ci dà indizio quanto ne scriveva al governo genovese il Figari, egli a Genova, si adoperò per dar fuori il terzo volume della sua opera, già preparato per la stampa e munito in Roma delle debite autorizzazioni ecclesiastiche fino dal io settembre e i.° novembre 1765. In fatti abbiamo un decreto di questo te-nore (3) : , (11 Cfr. Pietro Paganetti, nel Giornale degli studiosi, Genova, A. I, 1869, p. Seni., pag. 118 e sgg;. (2) Lo Spotorno nel Tom. V, pag 46, della sua Storia letterari a scrive: « Il Paganetti ad ora ad ora nel tomo 2.0 si lasciò cadere dalla penna tratti audaci, clic dimostrano anzi un animo irritato, che la mente placida d’uno storico sacro; così che non è meraviglia che il suo nome si vegga nell’ Indice romano ». (3) Archivio di Genova, Collegi, fil. 314. — 436 — 1772, 13 gennaio. Sopra quanto è stato ricordato nel Circolo del Ser.mo Senato nella sostanza che qualche anni sono era stata fatta instanza dal R. P. Paganetti di S.ta Fede all’Ecc.1"0 Agostino Lomellino presidente alle stampe per conseguire la permissione d’imprimere il Terzo Tomo dell’istoria Sacra della Liguria: che Sua Ecc.za ne aveva fatto rivedere ed esaminare il manuscritto ed aveavi ritrovati molti punti assai gravi e pregiudiciali alla sovranità della Repub.ca e lesivi ancora della sua Giurisd.ne temporale: che avendone resoconto a Ser.mi Coll.i ne era stata proibita la stampa ed ingionto al p. Paganetti ed a’ suoi superiori di astenersi onninamente da questo pensiere, mentre troppo si renderebbe responsabile a lor Sig.rie Ser.me se contro le loro intenzioni venisse impresso il Tomo sudd.u fuori del ser.mo Dominio : che il P. Paganetti aveva in oggi rinnovata l’instanza sudd.a all’Ecc.ma e M.ca Deputaz.ne nuovamente eretta per le stampe , e quindi essere troppo necessario che i soggetti della med.1™ fossero intesi delle precedenti deliberazioni di lor Sig.rie Ser.me jn questa pratica: Si faccia intendere alla Ecc.ma e M.ca Deputaz.ne nuovamente eretta per le stampe, et introduzione de Libri di non permettere Γ impressione di sudd.0 Terzo Tomo del P. Paganetti inconsulto il Ser.mo Senato, e faccia prontamente pervenire all’Ecc.ma Giunta di Giurisd.e il manoscritto come sopra presentato dal P. Paganetti, la quale dovrà farlo custodire in Archivio Secreto a disposizione di lor Sig.rie Ser.nie. Per Ser. Sen. ad cal. La deputazione alle stampe sentì vivamente il biasimo implicito nella sostanza e nella forma del decreto, e presentò incontanente questa breve relazione : Si faccia presente al Ser.mo Senato per parte dell’ Ecc.,11u e M.CA Deputazione alla stampa, in seguito del decreto di Lor SS. Ser.Iile de 13 corrente relativo alla permissione della stampa del Terzo Tomo dell’istoria Sacra della Liguria composta dal R.do P. Paganetti di SJa Fede, dovere la stessa rappresentare non aver essa mancato della dovuta vigilanza nell’ adempimento dei proprj incarichi , senza che nè i suoi Deputati abbiano dato luogo ad alcuna osservazione: Avere in riguardo di detto Tomo l’Ill.e Diputato fatto di esso il più diligente esame, con averne altresì rimessa la revisione e correzione al R.‘l0 Abb. Dottore Camuzzi, il di cui talento e cognizione di Gius Publico è assai nota: e rimanere ora mediante le correzioni e variazioni succedute e-sente da ogni benché lontana interpretazione di pregiudicio; e perciò apprende la p.*a Ecc.'"a e Deputazione che sia luogo a permettersene l’impressione colle solite formalità. In seguito a sì fatte precise dichiarazioni fu così deliberato : 1772, 27 gennaio. Fatta presente al Ser.mo Sen.lo si delibera in tutto e per tutto coerentemente al sentimento di sudd.hi relazione. Per Ser. Sen. ad calculos. — 437 — Ma questo volume non fu stampato , e ci è avviso le opposizioni venissero dall’autorità ecclesiastica, la quale doveva ben sapere come i due primi volumi si trovassero già da assai tempo sotto l’esame della Congregazione dell’ Indice, alla quale forse la notizia delle pratiche fatte dall’autore per dar fuori il seguito dell’ opera , furono sprone a compierne' lo scrutinio e a proporne il divieto, che venne indi promulgato col decreto 26 agosto 1774· Il che tuttavia sembra non togliesse la speranza al Paganetti di mandare in luce il suo ponderoso lavoro, se due anni appresso egli aveva preparato la dedica per lo stesso terzo tomo a monsignor Michelangelo Cambiaso, dal quale certo si riprometteva protezione ed aiuto. Ben è da avvertire che dopo il sequestro del secondo tomo egli aveva continuato il lavoro, con qualche modificazione al primo disegno, poiché preludendo al tomo quarto avverte che quanto alla esposizione storica l’opera sua potrebbe dirsi compiuta, giungendo fino all’anno in cui scrive, e cioè al 1771; se non che mancano alcune dissertazioni e la seconda e terza parte del supplemento. «L’opera », egli scrive, « fu da principio ideata in sei tomi, ed in sei tomi v’avea luogo per tutto; le troppo note vicende del mio secondo tomo, le successive critiche circostanze, e le incessanti premure, di molti per avere almeno l’Istoria intera, mi hanno indotto a darne cinque secoli e finire in questo tomo ». Si propone tuttavia di dare « in due altri, in dì più sereni, le restanti dissertazioni e tutti i documenti ». Ma pur troppo i dì più sereni non vennero. Alla lunga serie di dolorose sofferenze morali, succeduta alle diuturne e mal comprese fatiche di adunare, ordinare, vagliare, compendiare e giudicare un così sterminato materiale, doveva darsi vinta la costituzione fisica del nostro storico, il quale nella ancor verde età di cinquant anni , venne colpito da uno insulto apopletico. Sperando egli allora di trovar ristoro ai dispiaceri della vita nella dolce quiete dei campi, ritiravasi a vivere nella borgata di Pietra Lavezzara, presso Isoverde in Polcevera, ma quivi cinque anni dopo trapassava il 9 novembre dell’anno 1784, facendo ritorno — 438 — in Genova cadavere, tumulato nella chiesa dell’ ordine di S. Fede. Lasciava così inedita la metà dell’opera, che nel primitivo disegno aveva distribuito in sei volumi, ma che dovette restringere in seguito , non perchè a lui venisse meno la materia, ma perchè si sentiva stanco. Il tomo terzo, che si trova diviso in due parti, veniva dedicato e presentato (7 aprile 1776) a Monsignor Michelangelo Cambiaso , già legato apostolico in Romagna, e alcune parole, colle quali esso accenna alle traversie patite, anziché effetto di ritorno all’assalto dopo la sommissione, si devono considerare come gemiti di un cuore esulcerato. La parte prima racchiude l’addentellato del racconto storico a partire dal 901 all’anno 1300; sono riservate alla seconda pregevoli monografìe delle diocesi di Albenga, di Noli, di Luni e Sarzana, di Savona, di Ventimiglia e di Nizza , · corredate ciascuna di tavole cronologiche indicanti la elezione , la residenza, la durata, la morte e la sepoltura dei vescovi e la vacanza delle singole sedi, venendosi a chiudere il notabile volume con supplemento, destinato a riferire le lapidi dell’Arcive-scovato di Genova. Si hanno nel tomo quarto la dissertazione V che tratta dei santi, beati e venerabili della Liguria, e la VI sulla Commenda di S. Giovanni di Pre e S. Ugone ed un ricco complemento delle iscrizioni delle diocesi su ricordate, suddivise tutte nei rispettivi vicariati, oltre un’accolta di Iscrizioni, straniere, di titoli però rife-rentisi a personaggi e località liguri (1). Questo conciso (1) La copia ào\V Istoria da me esaminata e alla quale qui mi riferisco è quella già posseduta dal canonico Domenico Navone di Albenga. Nella Biblioteca Civica di Genova ne esiste un altro esemplare manoscritto mancante del i.° volume, diviso cosi: Tomo II che comprende due parti con numerazione propria; nella prima da c. 1 a 219 sta tutta la materia del secondo volume a stampa; e da c. 1 a 205 la restante parte inedita della dissertazione IV annunziata a pag. 303 dello stesso vol. 2.0 dove resta in tronco : Tomo III, che in tre carte liminari non numerate ha una prefazione critica riguardante la materia del secondo voi. stampato , a cui segue una c. con le approvazioni per la stampa; e poi in pagg. 251 la esposizione storica dal 901 al 1300: Tomo IV, di car. 314 con la storia del 1301 al 1771, preceduta da 1 c. dove si legge l’avvertenza al lettore: Supplementi della Parte prima, voi. che contiene in 197 car. le iscrizioni dell’Areivesco- — 439 — sommario dell’opera inedita, lasciata dal Paganetti se basta a rivelarne l’importanza, non varrà mai a creder nostro a far conoscere l’improbo lavoro , cui dovette sottostare per condurlo a compimento e il raro coraggio usato in esporlo, secondo, come egli credeva, i canoni di una sana critica. Si trattava di surrogare in parte alle poetiche leggende dei primi secoli del Cristianesimo, l’imparziale narrazione storica di epoche, pressoché chiuse allo sguardo degli studiosi; di completare e correggere 1’ opera troppo estesamente e affrettatamente compiuta dall’Ughelli ; e in questa parte e giusto riconoscere le coscienziose ricerche del nostro Ligure; si voleva finalmente fatto ricordo di quanti per eccelse virtù, erano stati dalla Chiesa elevati all’onore degli altari. Noi non osiamo asserire che egli riuscisse felice-mente nell’ intento , come pure non possiamo non convenire, che ripetute volte non fallisse nello scernere il grano dal loglio ; certo crediamo di non andare errati scrivendo, aver egli non che seguite, trapassate le tracce di quanti lo avevano preceduto in questo campo. Peccato, che non punto dissimile dalla più parte degli scrittori contemporanei, badando più alla sostanza che alla forma, non abbia sentito il debito di curare maggiormente la lingua e lo stile. Conchiudendo diremo, non occorrere attendere a purgare la memoria del Paganetti dalla grave accusa di volerne alla Chiesa, ornai le invidie degli emuli e le insinuazioni dei malevoli devono tenersi disarmate alla pronta docilità del sacerdote, che si sottomette alla suprema di Lei autorità e riconoscere nello scrittore una mente scientifica, che scaldata da un’ anima religiosa, aveva tentato di trovare l’anello di concordia fra la scienza e la Fede. Girolamo Rossi. vat° di Genova incominciando dal n. 238 (seguito delle stampate nel voi. 2,° da pag. 342); alle quali seguono in car. 91 quelle della diocesi di Savona, di Noli, rii Albenga, di Ventimiglia, di Nizza,, e in cart. 25 le straniere riguardanti la Liguria: Parte seconda dei supplementi, contenente gli Atti dei Santi, Beati, Venerabili ed altri Servi di Dio; le prime 473 pagg. contengono i capp. I e II con le diocesi di Luni-Sarzana e Genova ; segue (cap IH) Savona in car. 25; Albenga (cap. IV) in car. 63; \ enti migli a (cap. V) in car. 20; Nizza (cap. VI) in car. 96. — 440 — UN NUOVO TROVATORE DELLA CORTE ANGIOINA È già stato avvertito quanto riesca importante per la conoscenza della letteratura provenzale fiorita in Italia, aumentare, sia pur di una sola unità, il numero dei trovatori vissuti alla corte di Carlo d’Angiò, massime dopo che questo principe, grazie alle fruttuose indagini negli archivi e ai diligenti studj dei canzonieri, non più apparirebbe come il tetro spettro fugator delle gaie costumanze occitaniche , ma ben come quel baldo signore che volle accompagnarsi nell’ impresa italiana illustri cavalieri alternanti Γ esercizio della spada con gli svaghi della lira, che non isdegnò di mantenere al suo fianco « dilecti chansonerii » e che amò infine precipitarsi contro il biondo e bello e gentile Manfredi fra il tripudio de’ canti e il frastuono giocondo degli stromenti (i). Onde mi lusingo di far cosa utile raccogliendo qui alcune notizie riguardo a Peire Imbert, un trovatore da collocarsi appunto nella schiera dei cantori aulici presso il potente campione della Chiesa, anche se per lo scarsissimo patrimonio poetico — costituito di una sola poesia — sembri egli piuttosto nascondersi che emergere ne’ codici di tra i più fecondi e gloriosi membri della canora famiglia. Questo poeta trasse probabilmente origine dalla vicina Provenza, ma non fu un ardimentoso capitano, nè un brioso « chansonerio ». Nella seconda metà del sec. XIII, Γ arte trovadorica, fatta quasi schiva del fragor d’ arme che pur tanto avea prediletto per l’addietro, e mal consentendo d’esser più trascinata vagabonda sulle labbra dei giullari di villa in villa, passava ormai in retaggio a uomini d’affari e di legge, e offriva grato rifugio alle menti travagliate in ardue contese politiche. Come il Cicala, il Grillo, (i) C. De Lollis, Di Bertrando del Poggello trovatore dell' età angioina. in Miscellanea di studj critici edita in onore di A. Graf, Bergamo, 1903, p. 700. — 441 — il Gattilusi di Genova (i), e come altri suoi cultori d’altre regioni della penisola, Peire Imbert esercitò professione di giudice. Sali dapprima, se argomentiam giusto dall’ appellativo di magister datogli nelle carte, la cattedra di diritto nello Studio napoletano; certo, divenuto famigliare e consigliere del re, presiedette poi al tribunale degli appelli di quella Gran Corte, ove si portavano in supremo esame , oltreché le cause civili e criminali, anche le feudali, delle baronie, dei contadi e dei feudi quaternari. Fu, in sostanza, un personaggio dei più ragguardevoli nel mondo burocratico e forense di quel tempo, che dal re stesso riscuoteva larga fiducia nel maneggio dei più delicati atti diplomatici e legislativi, e dal tesoriere reale, mensilmente, la cospicua retribuzione di cinque once d’oro (2). Della sua attività non mancano documenti notevoli. Il 4 aprile 1270, Carlo I d’Angiò, cui ancora premeva 1’ a-micizia o la soggezione delle città dell’alta Italia, lo delegava in una lettera, insieme con 1’ arcivescovo di Santa Severina e il cavaliere Bertrando del Poggetto — un altro trovatore, che verrà poi insignito dell’ ufficio di siniscalco - a stipulare patti e convenzioni con i capitani, consigli e comitati di Bologna, Parma, Modena e Reggio; e, il 10 dello stesso mese, nominava tutti e tre suoi procuratori per riceverne il giuramento di fedeltà (3). L’impresa, in conseguenza della saggia scelta dei delegati, non poteva che sortire cosi buon esito : 1’ autorità religiosa era infatti impersonata nel venerando arcivescovo , la militare in Bertrando del Poggetto, la giudiziaria nell’Imbert. L’irrequieto re per allora posava. (0 Ved. il mio recente lavoro Di L. Cicala e della scuola trovado?’ica genovese, nel Giani. Stor. e UH. d. Liguria, anno VII, 1906, p. 11 e sgg. (2) Minieri-Riccjo, Il regno di Carlo I d’Angiò dal 2 gennaio 1273 al dicembre /2X3, in Arch. St. II. ser. IV, to. IV, disp. V, p. 179; Per maggiori notizie su questo tribunale, ved. le pagine che ne trattano, in Cadier, Essai sur l'administration du rouyaume de Sicile sous Charles I e Chares Il d'Anjou, fase. LIX della Bibl. des écoles françaises d’Athènes et Rome, (3) Mimeri-Riccio, Alcuni falli riguardanti Carlo d’Angiò dal 6 ago-sto r253 al 21 dicembre 1270. Napoli, 1274, PP- 109-111; De Lollis, op. cit., P. 696. Giorn. St. e Leti, della Liguria. 3© — 44^ — Tuttavia, se mostravansi tanto facili alcuni comuni del settentrione a subire il giogo angioino , vera riluttanza, e resa più pericolosa assai dalla consueta astuzia , opponeva la repubblica di Genova , mentre sarebbe stato necessario tenerla in franca alleanza. Pur dichiarandovisi guelfa la maggior parte della cittadinanza, il ghibellinismo, per ragioni speciali di politica interna, lavorava soppiattamente; nè, d’altro lato, i capi del governo miravano più a far prevalere questa o quella fazione che a cogliere, come i loro predecessori, Γ interesse del momento. Non recherà quindi meraviglia il vedere che, sebbene la Chiesa avesse amichevolmente chiesto e probabilmente ottenuto, nel 1265, il transito delle milizie francesi per la repubblica (1) e il re intendesse escluderne ad ogni costo i cittadini dal novero dei suoi nemici (2), nel frequente carteggio del pontefice, anche dopo la battaglia di Benevento, s’accenna sempre ad essa come ad una continua minaccia. I Fiorentini e i Senesi tornavano all’obbedienza; i Pisani s’inducevano a patteggiare più o meno sinceramente; « in fondo sacci », scriveva sconfortato e stizzoso Clemente IV al cardinale Ot-tobono Fieschi, il 25 marzo 1266, « remanent Januenses periculosius ceteris , prout credimus , si diligentius advertatur quanto possunt subiacere discrimini inter Provinciam et Apuliam constituti » (3). Il Comune spediva intanto parecchie ambascerie, in una delle quali figura anche il noto trovatore Luchetto Gatti-lusio, ma sempre col mandato di spiare le intenzioni della corte romana e angioina, senza venire a soluzioni ^categoriche (4); sicché il papa non si lasciava sfuggire ogni me- (1) Potthast, Regesta pontificum romanorum, Berolini, 1875, vol. II, n. 19301. (2) G. Del Giudice , Cod. diplom. del regno di Carlo I e II d’Angiò, vol. I, Napoli, 1869, p. 39 e 47; e C. Merkel, L’ opinione dei contemporanei sull'impresa italiana di C. I d’Angiò, in Rendic. della R. Acc. dei Lincei, 1888, p. 377 e sgg. (3) Potthast, op. cit., n. 19593. (4) L’ambasceria alla quale prese parte il Gattilusi, fu inviata nell’aprile del 1266 {Annales, in Pertz, M. G. H., to. XVIII, p. 256). Narrano gli annalisti che altri legati, verso la fine del luglio 1267 , « reliqua fece- — 443 — noma occasione per colpire la città d’interdetto (i), e Carlo, con più arte, presentendo Γ avvicinarsi del tempo in cui avrebbe dovuto misurarsi con Tarmi, studiava d’amicarsi la parte schiettamente guelfa, in modo speciale i Grimaldi che decorava del cingolo militare e favoriva di privilegi commerciali e onorava di lettere affettuose (2). E gli attriti si acuivano di giorno in giorno, non ostante un accordo conchiuso in Genova il 12 agosto 1269 tra due regi consiglieri e un cancelliere del Comune , e approvato in Napoli, con proroga di un quinquennio, il 4 gennaio dell’anno seguente (3). Il giorno istesso che Peire Imbert veniva destinato all’ ambasceria già ricordata, il re firmava u-n altra lettera, commettendo a Roberto di Laveno , « magister juris civilis » ancor questi, suo famigliare, di compor pace in ogni modo con i ghibellini di Alessandria, Pavia, Asti, e col podestà, allora Rolando Putagio da Parma , e i sindaci di Genova (4). Pare che la città rispondesse edificando in Aiaccio di Corsica un « Castrum Lombardum », per prevenire ogni possibile attacco del vicario generale della Chiesa in Toscana (5). Questi aspettò e, quando potè, ricorse ancora all’opera del nostro trovatore, il quale avea fatto recentemente buona prova. L’incarico che affidò a lui e a frate Stefano d’Ursengo dell’ordine cisterciense , il 5 giu£no 1272, non consisteva già nel dover trattare una pace che sarebbe'stato ben difficile conseguire con una legazione di tal sorta, bensì compromettere, ottenendo un prodromo di salda amicizia, nel pontefice e nell’arcivescovo di Aix, Vicedomino de’ Vicedomini da Piacenza, tutte le runt...., 1 icet non compleverint ea pro quibus specialiter missi fuerant » (ib., p. 260): c· che, in altra occasione ancora, prima che l’anno finisse, s’ottenne lo stesso effetto (ib., p. 262). (1) Annales citt., p. 260. (2) Del Giudice, op. cit, vol. II, P, I, p. 202. (]) K. Archivio di Stato in Genova, Materie politiche, mazzo V. (4) Del Giudice, op. cit., vol. II, P. I, p. 114 in η. (5) Ferretto, Codice dipioni, delle relazioni fra la Lig., la Toscana e la Lunigiana ai tempi di Dante, P. I, vol. XXXI degli Atti della Soc. Lig. di St. I\, p. 256; ved., per più larghe notizie in proposito, il mio studio Delle Società genovesi d’ arti e mestieri durante il sec. XIII, nel Giorn. S/or. e Leti. d. Liguria, anno VI, 1905, p. 266. — 444 — controversie vertenti fra il re, i suoi amici e i Genovesi, e nel prestare e ricevere la debita cauzione (i). Nemmeno allora s’ ebbero risultati definitivi. I due capitani, Oberto DOria e Oberto Spinola, che già erano in carica dal 1270 e non esitavano certo a riaprire le ostilità, inviarono per ben due volte ambasciatori abilissimi, fra cui il nobile Oberto Cicala, fratello del trovatore Lanfranco, col pretesto di regolare particolarmente le questioni della Repubblica con Venezia e col solito mandato di scoprire invece i più riposti consigli dell’angioino (2). Il giuoco venne scoperto alla fine (3) e si cominciarono dall’una e dall’altra parte i preparativi per combattere a viso aperto. Il 24 agosto dell’anno 1273 e il 1 giugno del 1278 tro viamo ancora menzione dell’ Imbert in due nuove ambascerie, ma di minore importanza. La prima volta egli è nominato procuratore, insieme con il milite Palmiero dal·ano, per trattare e conchiudere i patti e le convenzioni già stipulate con alcuni marchesi, conti, baroni, nobili, contadi, università, città, castelli e luoghi d’Italia (4); l’altra inviato con due colleghi , giudici come lui d’ appello , Taddeo di Firenze e Guglielmo Martino , a Genova e in Provenza , per affari privati (5). Ma forse col travolgere della fortuna di Carlo I, decadde il suo prestigio: fors’anche l’opera sua politica e legale non era più così necessaria. Il nome di (1) R. Archivio c. s.: « Karolus dei gracia rex Siciliae...., de fide et pru-dencia religiosi viri fratris Stephani de Ursengo ordinis cisterciensium et petri Imberti magne Curie nostre Appellacionum Judicis plenam fiduciam obtinentes, fecimus et constituimus eos procuratores nostros ad compromittendum pro nobis in dominum Summum pontificem et ven. patrem V... de omnibus discordiis et querimoniis ». Nello stesso mazzo si conserva un atto col quale Oberto D’Oria il 1 ottobre di quell’anno ordina di ricopiare questa lettera nel cartolaro del Comune. (2) L’ambasceria fu stabilita il 13 ottobre 1272 (R. Arch. di St.. c. s.); al principio dell’anno seguente, Oberto Cicala e gli altri si trovavano ancora alla corte di C. d’Angiò (Amialcs, p. 274). (3) Ciò risulta da una lettera dello stesso re: Minieri-Riccio, II regno ecc., in Arch. cit., serie III, vol. XXIII, p. 235. (4) Minieri-Riccio, Il regno ecc., in Arch. cit , serie III , vol XXII, p. 250. (5) Minieri-Riccio, Il regno ecc., in Arch. cit., serie IV, to. I, p. 243. - 445 — peire Imbert non compare nei documenti che si riferiscono alla reggenza di Carlo Martello nè in quelli posteriori al 1288, da quando Carlo II, cauto per natura e ammaestrato dagli errori paterni, pur cercando di ricuperare una parte del regno che pensava spettargli per volere divino, abbandonò ogni pretesa sulle città deir alta Italia forzatamente ridotte al dominio della sua casa e intese a ristorare lo Stato affranto dalla guerra del Vespro e dalle prepotenze baronali. Dieci anni prima del trattato di Caltabellotta, allorché in Sicilia succedeva ad Alfonso d’Aragona quel Giacomo, per viltà del quale parve sorridere alla Chiesa una facile rivendicazione, Peire Imbert era nella Provenza, forse già carico d’anni, ma pronto, questa volta, a prestare i propri servigi alla patria, contro le violenze della Santa Sede, e a far valere quei diritti onde s’ erano ormai rese tradizionali le rivolte di quella terra all’angioino. Nicolò IV aveva imposto che tutte le città fossero ivi obbligate a sborsare una certa somma nelle mani di speciali commissari pontifici : Marsiglia, come capitale, era tenuta ad un obbligo annuale di cento massamutini. Radunatosi il consiglio generale, fu votato ad unanimità Γ invio del poeta, qualificato anche in tal circostanza con il titolo di dottore nel diritto civile, insieme con Goffredo Ricaud, innanzi ai commissari, per protestare energicamente contro Γ arbitraria imposizione (1). Ho già detto che un solo componimento ci è di lui rimasto. Non tralascerò tuttavia di ricordare che i compilatori dell’ Histoire lettcraire de la France lo vorrebbero riconoscere in quell’ Imbert che tenzonò con Guglielmo de la Tor, contemporaneo di Sordello (2). Lo Chabaneau, nel suo indice, ha ritenuto inesatta tale identificazione (3) ; e ch’egli abbia colto nel segno, lo provano in gran parte i dati cronologici suesposti. Del resto, anche senza di questi, sarebbe stato assai difficile potergli assegnare alcune coble della tenzone, se si fosse considerato che i trovatori, nelle (1) Ruppi, Histoire de Marseille, Marsiglia, 1642, p. 138. (2) Vol. XVIII, p. 632. (3) Biographies des Troubadours, Toulose, 1885, p. *53· — 44-6 — poesie a botta e risposta, s’apostrofano per lo più, come ho avuto occasione di notare in altro luogo (i), chiamandosi col nome e non col cognome , mentre Imbert è , rispetto al nostro, il cognome e compare anzi italianizzato, pur nei documenti latini, in Imberti. Piuttosto gli si potrebbe attribuire, ma solo in via di congettura, la partecipazione ad un altro componimento dello stesso genere: ad una tenzone pubblicata dal Meyer e combattuta fra un Pietro e un Guglielmo, i quali finora non riuscirono, ch’io sappia, identificabili con alcuno dei trovatori conosciuti (2). Verte essa sulle discordie intestine di Montpellier e va riferita al 1276. La cronologia non escluderebbe che nell’ « en Peire » si potesse ravvisare il nostro dottore: tanto meno l’argomento da lui sostenuto e che, data la sua elevatezza, non sarebbe stato certo opportuno per un incolto cantore. Nell’ ultima cobla poi son chiamati a giudicare tali Iohan Imbert e Olivieri, consoli di Montpellier in quell’anno stesso. Si potrebbe facilmente pensare che il console e 1’ ambasciatore del re angioino fossero parenti : parrebbe anche cosa normalissima per que’ tempi che intorno al momento politico s’imbastisse un componimento in contradditorio , ove tutti costoro, personaggi autorevolissimi e interessati fino al vivo della quistione, facessero la loro comparsa. Ma su ciò non voglio maggiormente insistere; altri, potendo, decida. Francesco Luigi Mannucci. TESTO. MSS.: C., 856, Bibl. Naz. di Parigi, f. fr. (pubbl. in Mahn, Ged., 11. 750) R., La Vallière 14, Bibl. Naz. di Parigi (pubbl. in Mahn, ib., n. 751). Dato parzialmente in Millot, Hist. litlér. des Troubadours (ed. 1774), III, 428; e in Raynouard, Choix d. poésies orig. des troubadours, Paris, 1844, to V, p. 417. MS. di base: C. N.B. Sono trascurate le varianti di carattere semplicemente grafico. i Aras pus vey que m’aonda mos sens, vuelh de midons retraire sas valors e ’l veray pretz qu’ es passatz sobrels sors e sas beutatz els fis ensenhamens (1) Di Lanfranco Cicala ecc., p, 16, in n. (2) Les derniers troubadours de la Provence, in Bibl. d. l’Éc. d. Chartes, to. XXX, p. 294. — 447 — 5 e los sieus^digz plazens de gran plazensa : Per qu’ieu prec dieu, selh d’amor , que la vensa, quar mos cors m’es miralhs de sas faissos ; e non dezir, pros domna, res mas vos. 9 Domna que es de totas pus plazens e valetz mais de totas las melhors, plassaus qu’ieu sia vostr’entendedors e ia nul temps non seray recrezens; 13 ans suy tan ferms en vostra bevolensa que ia nulh temps non partray m’entendensa e sius plagues quem volcsetz far ioyos, pograz o far e for’ ueymay sazos. 17 Mais que a dieu vos suy obediens e dirai corn; que no sembre follors: ves mi sui fais messongiers e trachors e ves vos fis si que res non es mens 21 e sius plagues qu’en vostra mantenensa m’aculhissetz, feiratz grau conoyssensa, quar nulh’altra nom pot faire ioyos; me ree, sius platz, faitz ben vostre somos. 25 Quan pens de vos, tein lauzengeiras gens, que fan amans temens e duptadors, e quan remir vos qu’es del mon la flors, es me semblan qu’eu sia conoyssens: 29 tot lo pus pec per que feray falhensa; totz fis amans, com plus sidons l’agensa, pus deu estar com si anc res no fos. quar no ama qui no es temeros. 33 Nom puesc pensar per degus pensamens per que midons merma tan sas valors, quar mi, que ’l suy franex humils servidors, sol aculhìr ab sos dous digz plazens 37 e gen sonar e far bela parvensa : aras par mi qu’ad autra part bistensa; ieu la salut e ges non ai repos, 110 say s’o fay per lauzengiers gelos. 41 Dieus, que farai si donex non truep valensa ab la bela qu’entre las gensor gensa? Recreyraymi? Non ia, pe ’l Gloriosi Ans atendray tro quem fassa ioyos. Verso i. C: qucti. — V. 3. R: gues puiatz; sors, sortz= sorti, elevati, esaltati. — V. 4. C ed R: cl fis. - V. 5. C ed R : li siey dig piazen. — V. 6. R: que lam. — V. 11. C ed R: plassaus demi ; il verso non tornerebbe. — V. 17. C: dieus. — V. 18. R: que tnom; trad.: e dirò come, perchè non sembri ch’io dica follia ecc. - V. 19. R : fols. — V. 21. R: quen volgues. — 448 — V. 24- C: faitz be a vostre/ R: faitz ben a vostre. Trad.: mercè! di grazia, mantenete bene il vostro avvertimento (promessa?). Secondo i mss. vi sarebbe una sillaba in più. — V. 26. C: tremens. — V. 29. C ed R: per que fay fallimeli. — V. 33. C ed R : per negun pensameli ; ho corr. in degus , non bastandomi l’animo di supporre un insolito negus plur. — V. 35. C ed R : hum.il, — V. 36, R: ab yos dos. — V. 38. C; quaz. — V. 40. R: gilos. — V. 41. R: que farai sap licis non truep guirensa. VARIETÀ UN MOTO VANDEANO DURANTE IL GOVERNO DELLA REPUBBLICA LIGURE IN SESTRI PONENTE. Sui primi di luglio del 1797, allorché veniva dal Commissario del governo provvisorio della Repubblica Ligure, Filippo Figari, medico eloquente e di spiriti repubblicani, installata — adopero il termine allora di moda — la Municipalità di Sestri Ponente, ivi era scoppiato un tumulto, capitanato, pare, da certo prete Gherardi. Questo moto preludiava agli altri più seri avvenuti nelle valli del Bisagno e della Polcevera nel settembre successivo, ma il pretesto non era la opposizione alla nuove idee importate dalla Francia e confezionate da principio in Genova tra i barattoli delle farmacie Morando , di Negro e Oderò ; bensì il fatto della nomina a giudice civile e a scrittore della centralità di Sestri di G. B. Barone , il quale con sua lettera 17 luglio 1797 onestamente rassegnava entrambi i mandati avuti « per non essere mezzo di continuazione ai torbidi stessi » (1). Come funzionava Γ amministrazione, imposta dal Bonaparte, della Repubblica Ligure durante il governo provvisorio , è noto. A capo eranvi vari comitati equivalenti ai nostri ministeri : di corrispondenza interna, estera, di guerra, di finanze, di polizia e dei pubblici soccorsi. Il territorio della Repubblica poi era diviso in centralità o distretti, t (1) Questa lettera trovasi insieme a molte altre del Governo provvisorio d’allora nell’Archivio Municipale di Sèstri che vado riordinando. Sia detto qui una volta tanto che i documenti che trovansi in detto Archivio saranno citati cosi: Archiv, Sestri P. — 449 — con a capo di ciascuno un’ amministrazione detta centrale; ed ogni distretto dividevasi in varie municipalità, specie di giunte comunali con più estesi poteri. Ogni municipalità poi a sua volta dividevasi in vari comitati , ad esempio, quella di Sestri era composta di tre comitati e cioè comitato di beneficenza pubblica, degli edili, di polizia e pubblici stabilimenti. Sui primi del luglio 1797 dunque, e precisamente il 12, Sestri Ponente ebbe la nuova Municipalità. Ne fecero parte G. B. Celle, Francesco Erminio, G. B. Parodi, Bartolomeo Ghigliotto, Luigi Gherardi, Angelo Traverso e Luigi Maccario. Ecco la lettera che i nuovi municipali scrissero · all’amministrazione centrale di Sestri nel dare avviso dell’assunzione al loro nuovo ufficio (1): Cittadini, La Municipalità di Sestri successa appena la sua installazione si alìretta a notificare ufficialmente la notizia all’Amministrazione Centrale di questo distretto con cui deve corrispondere ed a cui dovrà sempre dirigersi come ad organo intermediario verso il Comitato delle Corrispondenze interne. Tutti i membri che la compongono sono disposti e risoluti di occuparsi seriamente della pubblica cosa, e se non altro vi emuleranno almeno nella fatica. Questa protesta vi serva Cittadini per caparra del loro zelo ed affetto verso la Patria. 11 cittadino Figari commissario con un discorso patriottico ed e-nergico ci ha animati all’ Impresa. Noi andiamo a battere la Carriera e saremo contenti se i nostri travagli riusciranno utili alla Patria e e grati al popolo. A questa lettera cosi rispondeva l’Amministrazione Centrale : I sentimenti energici dei quali è ripiena la Vostra lettera a Noi diretta dandoci avviso della Installazione V.a alla Municipalità di questo luogo ci hanno ricolmato di gioia, scorgendo il primo frutto di quel democratico piano che condur deve il popolo libero alla sua felicità. Gradisce intanto questa Amministrazicne Centrale P unione e fratellanza che vedesi espressa in sud.8 V.ft Lettera e crede che mai sarà per cancellarsi dal V.° Cuore, egualmente che noi procureremo i mezzi tutti per conservarla. Salute e fraternità. Girolamo Marcenaro Pte-sitUnlc. Rossi Segretario, Avvertiamo subito che la carriera fu battuta — e tra poco lo vedremo — dalla Municipalita di Sestri tutt altro (1) Archiv. Sestri ✓ — 450 — che in modo energico, come del resto non era energico il g'overno superiore, mancipio degli uomini di Francia, senza fiducia nelle sue forze. Parole forti sì, tutti erano pieni di rettorica e noi ne udremo molta. Dimessosi il Barone da giudice civile e da scrittore della centralità di Sestri Ponente, non cessarono i tumulti; tutt’altro, sicché il Comitato di Corrispondenza Interna da Genova avvertiva i cittadini dell’Amministrazione Centrale, che il Governo della Repubblica Ligure inviava alcuni commissari sui diversi punti del nuovo Stato « per conservarvi la necessaria tranquillità, dissipare le calunnie che i malevoli spargono sull’ atto della costituzione ed illuminare su di esso i poco istrutti cittadini » (i). A Sestri e Pegli difatti fu inviato in qualità di Commissario di Polizia il cittadino G. B. d’Albertis , e per maggiormente assicurare la pubblica tranquillità il Governo mandava un distaccamento di truppa di linea comandato dal capo battaglione Siri. Aggiunse ancora un proclama da pubblicarsi « acciocché alcuni scellerati, sotto mendicati e vani pretesti, non insultino alla pubblica sicurezza ed alle inviolabili leggi della Libertà e dell’Eguaglianza che il Governo provvisorio con tutta la Nazione ha giurato di mantenere » (2). Il proclama fra Γ altro diceva : « Alcuni perfidi nemici del buon ordine e della pubblica felicità sono stati arditi a spargere non poche calunnie contro di detta costituzione; hanno eccitati dei dubbii sopra alcuni capitoli di essa ; hanno preteso che questi siano distruttivi di quella religione che si voleva conservare ; sono giunti con tal mezzo a sorprendere l’opinione di molti, hanno acceso una face di discordia che porta il favore alle loro viste micidiali e liberticide, viste che il Governo conosce e che vuole e saprà punire ». E in un altro si comminava niente meno che l’estremo supplizio a chi avesse abbattuto l’albero della libertà, e a chi avesse invitato il popolo a mancare di rispetto e di subordinazione alle autorità costituite. Non solo , ma con uno spirito tutt’ altro che di libertà, si soggiungeva : « che i parochi saranno responsali dei tumulti, e attruppamenti se- (1) Archiv. Sestri P. (2) Lettera 4 settembre 1797 del Comitato di Corrispondenza interna, in Arch. Sestri P. — 451 — diziosi che succederanno nelle rispettive parochie, a meno che non ne denunzino gli autori, in Genova al Comitato di polizia, fuori Genova alle rispettive Amministrazioni Centrali. Che chi suonerà campana martello sarà punito di morte , e suonandosi, i parochi ne saranno considerati gli autori, a meno che non vengano da loro manifestati » (i). Con tutto che si comminasse la pena di morte il giorno dopo , 5 settembre, altro che suonate di campane a martello ! si stracciarono persino i proclami stessi. È in tal giorno che succede a Sestri il tumulto più grave. Come si svolse lo deduco dalla copia di un verbale esistente nel-l’Archivio di Sestri Ponente, così intitolato: LAmministrazione Centrale di Sestri a ponente inteso il rapporto in voce dai Giand’ armi, che tutta la Polcevera possa essere in surrezione e che questa possa comunicarsi in questo distretto ha deliberato un Processo Verbale particolare a questo o-getto (sic) da basarsi sopra i rapporti Testimoni ed esami da farsi, affine possa (sic) essere puniti a norma delle leggi tutti i complici de disordini, e tramandare il tutto al Governo Provvisorio (2). Si udirono dal 6 settembre al 5 ottobre settanta deposizioni tra scritte ed orali. Ecco l’itinerario degli insorti. Di buon mattino una turba di contadini armati dell’ alta Polcevera — erano circa 200 — si avvicinava da Rivarolo, ove si erano suonate le cam pane a martello, a Fegino. Il parroco del luogo, Emanuele Deferrari, che dalla finestra della Canonica avea visto quella turba, chiamò a raccolta i massari e gli anziani del popolo e fece chiudere tutte le porte della chiesa e del campanile. Giunti i sollevati a Fegino mandarono al parroco un certo Pietretto ad ingiungere di sonare a martello, in caso contrario sarebbero messe a ferro e fuoco la chiesa e le case del paese. (Rapporto scritto dal parroco Deferrari). Avuta risposta negativa forzarono le porte del campanile , si misero a sonare a martello , atterrarono gli alberi di libertà, e pretesero che il parroco li seguisse. Fu sua ventura potersi nascondere in una villa vicina. Da Fegino si portarono a Borzoli. Anche qui il parroco, che avea sentito suonare a martello a Coronata prima e a Fegino dopo, prese (1) [Ci.a varino]. Annali della Repubblica Ligure, I, 138. (2) Archiv. Sestri P. • — 452 — la misura precauzionale, ma inutile, di chiudere la porta e di tirar su le corde delle campane. Non mancò di radunare uua ventina di buoni villici, cui lesse due decreti — erano i famosi e terribili proclami del Governo Provvisorio — in quel momento mandati dalla centralità di Sestri a Borzoli ; ma sopraggiunti gli insorti, capeggiati da certo Gaetano Michelangelo della Zecca, stracciarono i proclami, ruppero la porta della chiesa, suonarono a martello, atterrarono l’albero della libertà e obbligarono molti a seguirli, col pretesto di difendere la religione. Come Dio volle, dopo aver bevuto non poco, si allontanarono verso Virgo Potens, dove giunti ruppero le tre porte della chiesa e commisero gli stessi atti vandalici che a Fegino e a Borzoli , siccome fecero poi a S. Giovanni Battista. Di lì si avviarono a Sestri, dove giunsero verso le quattro pomeridiane. Qui pure ruppero le porte della chiesa , suonarono a martello , atterrarono gli alberi di libertà, di più violarono diversi domicili per avere schioppi, disarmarono i pochi soldati, stracciarono i proclami e sforzarono quanti poterono a seguirli al forte delle Tenaglie vicino a Genova , il giorno innanzi preso dagli insorti, insieme al forte Sperone e dove eranvi già altri da altre parti convenuti. Quivi poi per mancanza di capi furono dalle truppe condotte dal generale Duphot e dal comandante Va debellati dopo non poco spargimento di sangue. Il moto fu ricco di episodi. Quando i sollevati furono presso la parrocchia di Sestri imposero al curato Giacomo Caviglione di dar loro le chiavi del campanile sotto pretesto che « tutto quello che facevano intendevano essere fatto a vantaggio della Santa Fede » (rapporto scritto del curato Caviglione). Il buon uomo cerco calmarli cosi arringando: « Carissimi, siete ingannati, calmate ogni inquietudine , la religione dei vostri padri vi sarà mantenuta in tutta la sua purità. Il Governo provvisorio tutti noi lo professiamo poiché sappiamo che la sua democrazia ha sul Vangelo un fondamento insuperabile » (rapporto cit.). L’eloquenza del curato ottenne che i tumultuanti gridassero Viva Gesù! ma fruttò all’oratore insulti e minaccie. Come a nulla approdò Γ eloquenza del Caviglione , tanto meno valse quella dei preti Agostino Razzore e Tommaso Mar-cenaro. Nel loro rapporto collettivo essi affermano così aver — 453 — parlato agli insorti: « Fratelli carissimi, chi vi ha in questa guisa qui trasportati? E come vi siete mossi colle armi alla mano a portarvi in Sestri? Quale, se è lecito doman-darvelo, sarebbe il vostro disegno ? risposero : vogliamo la nostra Religione, salva la nostra Fede: ma diteci per grazia che altro volete fare? Vogliamo atterrare l’albero. Allora: ma non volete dunque Γ attuale nostro governo democratico? Si lo vogliamo , evviva il nostro governo. Ed allora perchè volete atterrare l’albero che indica il vostro governo? ». Povera rettorica! e pure tutte le sue figure i buoni preti le avevano adoperate, e nelle loro domande e-rano stati logici e suggestivi. Ma altro che rettorica sarebbe occorso in quel momento! Quattro soldati con una ventina di armati al rullo del tamburro entrarono a viva forza nel convento di S. Francesco, obbligando il conventuale Giuseppe Canepa, che per la paura era in convulsioni, (rapporto scritto dal conveit-tualc G. Canepa), a prendere il crocifisso e a seguirli. Arrestarono i soldati che trovavansi sulla piazza della Chiesa e 1’ ufficiale che comandava Sestri (deposto di Andrea Lii-soro) e a Virgo Potens « slanciatisi come cani arrabbiati all’albero in meno di venti minuti lo atterrarono ». Avean detto bene i preti Razzore e Marcenaro che l’albero simboleggiava il governo; ma come il governo era fiacco e inetto, così il simbolo loro dovea cadere pochi mesi dopo eh’ era stato innalzato al canto del noto inno : « E da innalzarsi l’albero ». Questo moto fu fatto in nome della religione al grido di Viva Gesù; ed è notevole il fatto che lo stesso giorno in cui accadde, la Centralità di Sestri, per ordine del Governo , avea diffuso la Pastorale del Cittadino Arcivescovo di (ìenova, Giov. Lercari, affinchè venisse, come il governo si esprimeva (lettera del j settembre 179*7), « ricondotta quella tranquillità che comincia qui (cioè in Genova) a ristabilirsi! » (1). Esso per la parte a ponente della nuova Repubblica fu il più grave , poiché la Municipalità di Sampierdarena comunicava il 7 dello stesso mese a quella di Sestri che (1) Lettera 5 settembre 1797 in Arcliiv. Sestri P. — La Pastorale dell’Ar-civescovo Lercari trovasi riportata nei cit. Annali della Repubbl. Ligure. — 454 — colà e in tutta la Polcevera era tanquillità e calma, e l’amministrazione centrale di Voltri il giorno prima aveva avvertito come anche in Voltri tutto era calmo e tranquillo, che del resto essa era pronta a tutto pur di conservare la quiete, persuasa « all’ultima evidenza particolarmente dopo gli ultimi decreti (erano i proclami stracciati a Sestri) e la Pastorale del zelante nostro Citt.0 Arcivescovo che nulla vi è a temere per la Santa Nostra Religione Cattolica A-postolica Romana, che ci è stata trasmessa dai nostri Padri » (ι). E veramente già la convenzione stipulata tra Bonaparte e gli inviati del governo genovese all’ art. IV disponeva « che sarà cura della Commissione legislativa nello compilare le leggi di niente stabilire che sia contrario alla legge cattolica ». Ma è noto come Bonaparte tenne conto della religione o meglio de’ suoi rappresentanti, e noi ab-biam già accennato come in realtà il governo provvisorio nelle cose della religione fosse per lo meno giacobino parecchio. Se il moto avvenne non fu certo colpa deH’amministra-zione di Sestri, piuttosto esso deve attribuirsi al Governo provvisorio, perchè non ostante l’invio, come abbiam visto, di missionari della fede e di commissari di Polizia, di proclami terribili e della Pastorale dell’Arcivescovo — tutte cose buone — e di un reparto di truppa — cosa migliore — che il governo diceva armata·— non inviò poi le armi richieste dalla Centralità di Sestri. Invece che armi il giorno dopo il sollevamento descritto, il Governo, dopo aver confessato che armi non poteva inviare per il semplice motivo che non ne aveva, si limitava a consigliare « essere un’ ottima misura di difesa di invitare tutti gli individui dagli anni 18 ai 60 a radunarsi sotto la direzione dei loro capi militari ■» (2). Ottimo consiglio per vero, ma come poteva seguirsi se molti degli individui dai 18 ai 60 anni, appartenenti a paesi religiosissimi e spinti da una parte del clero, non vedevano di buon occhio le novità venute di Francia , e se alcuni di questi individui erano soldati ed altri amministratori ? Dopo i fatti accennati, con decreto del Governo venne (1) Archiv. Sestri P. (2) Archiv. Sestri P. — 455 - nominata una commissione militare di cinque membri per « giudicare militarmente tutti quelli che saranno stati partecipi dei fatti controrivoluzionari dei giorni 4, 5 e 6 » (1). Ne fecero parte i cittadini Giacinto Ruffini in qualità di Presidente, e Giuseppe Bollo, Giuseppe Musso , Tommaso de Langlade, Luigi Rivara. Il giorno 7 il Comitato di Polizia ordinava alla Centralità di Sestri di arrestare « colla maggior quiete e circospezione li cittadini Giuseppe Cam-biaso, Pasquale Ghiara, Andrea Ghiara, Giuseppe Chiappori, il rango Marcenaro, i figli della Bisinsina, il figlio di Paolo della, Fossa e certo Bacchelli (2). La lettera non pervenne, probabilmente perchè caduta nelle mani di qualche nemico della cosa pubblica, sicché il 9 il Governo scriveva e ordinava nuovamente l’arresto degli individui sopra indicati, ad eccezione del Cambiaso, perchè malato. Non mancava tuttavia di ordinare che la malattia fosse attestata con fede giurata dal medico del distretto, e che fossero posti a guardia della casa ben 14 individui armati. Che il Cambiaso si trovasse realmente malato starebbe a provarlo la attestazione giurata del medico del distretto Luigi Maccario, membro della Municipalità di Sestri (3). Ciò che sorprende si è che la Centralità di Sestri fece orecchie da mercante ai ripetuti ordini d’ arresto da parte del Governo provvisorio. Alla lettera di rimprovero di questo in data 13 settembre che comincia così: « Riceviamo con sorpresa la vostra lettera la quale nuli’ altro ci annuncia che la non esecuzione degli ordini nostri » e avverte la Centralità, caso mai se ne fosse dimenticata, che « Γ autorità del Comitato di Polizia si estende su tutti i punti dello Stato, nè è lecito ad alcuna autorità subalterna con veri o supposti motivi paralizzarla » (4), risponde adducendo a scusa che se non avea proceduto all’arresto di quelli individui ciò avea fatto perchè erano reperibili c necessari. Scusa magra, perchè se fossero stati irreperibili è difficile immaginare come si sarebbero potuti arrestare; piuttosto io credo non si fosse obbedito perchè tra coloro che dovevano essere arrestati vi erano cittadini im- (1) Annali cit., I, 145. (2) Archiv. Sestri P. (3) Archiv. Sestri P. (4) Archiv. Sestri P. — 456 — portanti ed influenti come i Ghiara e i Chiappori. Il Governo non si limitò al rimprovero , ma spedì da Genova 25 uomini con un ufficiale per procedere all’ arresto. Non mi risulta se questi arrestati sian stati condannati e a qual pena ; certo è che la commissione militare , aumentata di altri membri pronunciò molte sentenze di morte , e molte di deportazioni alla Capraia. Fra i deportati il Clavarino mette anche il parroco di Sestri Podestà e il Monitore Ligure l’economo Rasore (1). Però ben presto tornò la calma, i poveri alberi di libertà risorsero sulle piazze, e questo fatto celebrato a Sestri con orazioni dal prete Semino dava occasione al Comitato di Corrispondenza Interna di scrivere alla Centralità « che il rialzamento dell’albero della libertà era una ben giusta operazione diretta a ripristinare ciò che i faziosi avevano avuto l’ardire di abbattere ». Il male era che non si rialzava nè accennava a rialzarsi non l'albero della libertà, ma la libertà stessa. Siamo ancora distanti dal quarantotto. Allora sì che accennò la libertà a rialzarsi , ma non era Bonaparte che fingeva di porgercela, erano gli italiani che volevano averla. Antonio Bozzo. SU D’UN CONTRIBUTO DI E. SIMONSFELD ALLA STORIA GENOVESE DEL DODICESIMO SECOLO. Enrico Simonsfeld, comunicando nel luglio del decorso anno 1905 (2) alla R. Accademia di Monaco una serie di nuovi documenti italiani intorno a Federico Barbarossa, ne indicò due per Genova (Arch. di Stato) 30 giugno 1183 e 29 luglio 1185, l’estratto dei quali trovasi nel Ms. 65 del Roccatagliata: f. 184. In un’appendice intitolata Zur Gesch. Genua’s ivi 12 Jalirhundert dà trascritta la seguente lettera di Oberto Embriaco , da lui trovata all’Ambrosiana (3) di Milano. (1) Monitore Ligure, 9 gennaio 1799; Annali cit., I, 173. (2) Sitzungsberichte der philosophisch-philologischen und dcr historischen Klasse der Κ. B. Ak. der JViss. zu Milnchen (1895, Heft. V) München 1906, p. 711 e segg. (3) F. S. IV, Diplomatica Mediolanensis del Sormani ; Vol. III. f. S9· — 457 — Obei lì Ebtiaci epìstola ad, J. nobilissimum Catanium et nobilem Comi-tissam uxorem cunctosque filios. Nobilissimo Catanio amabilique prudentissimo militi J. nec non et nobili Comitissae uxori suae cunctisque filiis suis Obertus Ebriaco fidel... di..., salutem et dilectionem non fictam. Sicut vestrum honorem vestrarumque rerum augmentum diligo et cupio et de adversis, quae....... longe sint a vobis dolerem , ita praesen..... vestra nobilitas volo ut cognoscat. Scire vos volo , quod archiepiscopus noster Rolandum, omnesque complices suos publice in nostra majore ecclesia cum clericis suis excommunicavit et maledixit, quod mihi meisque omnibus et multis aliis nobilibus nostrae civitatis non displicere sciatis. Unde per dilectionem, quam in vobis habeo, et per consilium multorum nobilium Januensium vestrae prudentiae rogando mando, quatenus nec cum Rolando neque cum suis nunciis pactum neque conventum ullum faciatis, quia credo quod per vestram prudentiam et per legalem justitiam ad vestrum beneplacitum negotium finietur. Sed valde miror et doleo, quod tam tepide vos habetis super tantum negocium. Si enim dure et viriliter vestram justitiam pro posse velletis manutenere, ego quidem et plures Januensium , in quibus oporteret, vobis subveniremus. De me vero estote securus, quia cupio in vestro honore et amore semper esse et de meis rebus libentissime cum personae labore pro vobis expendere opto. Sciaguratamente la lettera non reca data; e non è facile supplire con congetture. Il Simonsfeld, guidato dal nostro Ferretto , ha però rintracciati i personaggi di cui si tratta, rintracciati ed identificati due con quasi-certezza , il terzo con grande probabilità. Chi scrive è Oberto Embriaco, della famosa discendenza di Guido Spinola alla quale appartenevano appunto Spinola , Embriaci e De Castello : famiglia viscontile ricchissima , potentissima a quel tempo, com’ è noto (i). Un O-berto Embriaco trovasi tra i primi che parteciparono all’appalto della zecca fatto dal Comune nel 1141 : « Obertus Ebriacus centum (libras) ». Per la medesima somma trovasi inscritto anche Ingo Della Volta, e fa meraviglia che Trovasi anche nel Codex diplomaticus mediolanensis del Della Croce, D. S. IV, 7, fi : f. 180 colla postilla: « Ex schedis Mss. Sorniani in B(iblioteca) A(mbrosiana) ». Donde il Sorniani abbia trascritta la lettera, dove sia l’originale, finora si ignora. (1) Alle opere citate dal Simonsfeld aggiungi Doneaud : Sulle origini del comune r degli antichi partiti ecc. (Genova Sordomuti, 1878), p. 58 per gli estratti di importanti documenti. G ioni. St. c LeU. della Liguria. 31 — 45^ il Simonsfeld non l'abbia notato poiché egli propone di riconoscere Ingo nel J. Catanium marito di Comitissa al quale la lettera di Oberto è diretta. (Comitissa — Contessa, nome personale assai raro in Genova a quel tempo). Ma quel-Γ apposizione Catanium chi la fece sul documento originale, o sulle copie che il Simonsfeld trovò all’Ambrosiana? poiché si sa bene che solamente più tardi presero i Della Volta il nome di Cattaneo, come gli Stregghiaporci di Saivago etc. (i). Di Ingo Della Volta accenna il Simonsfeld gli uffici e le ambascerie al Barbarossa , ma non veggo eh’ egli dai libri citati, o meglio dal primo volume dell’ edizione di Caffaro e continuatori curata dal Belgrano abbia dedotte due notizie importanti ; importanti specialmente data l’i-dentificazione del Rolando scomunicato della lettera col famoso Rolando Avvocato. Cioè : che Ingo Della Volta era suocero del non meno famoso Folco De Castello l’antagonista di Rolando, ed era padre di quel Marchionne o Melchiorre Della Volta console nel 1164 e che era stato in quell’anno, mentre trovavasi in villa per la vendemmia, miseramente ucciso. Tale uccisione veniva da Oberto Cancelliere indicata come il principio di quella nuova guerra civile, che durò fino al 1169 (2) e che il vegliardo Caffaro non ebbe l’animo di narrare (3), lasciandone il compito al suo successore. La drammatica scena della riconciliazione tra i De Castello e gli Avvocati dovrebbe esser esaminata parte a parte nelle parole dell’ annalista genovese, perchè qualche lume getta su ciò che può esser avvenuto prima, mentre verosimilmente il S., che ne dà breve cenno, non ebbe sott’occhio che la versione fattane dall’Imperiale. Alla parte avversa Rolando Avvocato giustamente imprecava come rea della uccisione di Sardo suo figlio, mentre Ingo Della Volta, da quanto lascia trasparir Γ annalista, nella uccisióne del suo Marchionne non vedeva che vendetta di gente « vile e di bassa condizione » probabilmente ferita ne’ suoi interessi o ne’ pregiudizi suoi da qualche giusto atto di Marchionne (1) Imperiale, Caffaro e i suoi tempi, (Torino, Roux, 1894), nota 2 a p. 306. (2) Annal. (Ediz. dell’ Ist. Stor. Ital., Roma, Lincei, 1890) p. 168. (3) « Propter nimiam tempestatem que, presenti consulato (del 1164) cras-sante vel uberante pravorum nequitia civitatem invasit t> Ibi p. 156, — 459 — nel suo consolato di quell’ anno (i) ; nemmeno il sospetto era sorto in lui che c’ entrasse per qualche cosa in questo la mano degli Avvocati nemici al cognato di Marchionne stesso. Che se Folco, avanti d’accedere al desiderio dell’arcivescovo e dei consoli, e far la pace con Rolando, volle che Ingo ve lo autorizzasse dandogliene l’esempio, era questo dovuto atto d’omaggio all’età ed autorità del suocero. Così malgrado ci dica Oberto che gli antichi avversarli non e-rano venuti in San Lorenzo che per molta insistenza e molte fine arti usate dall’arcivescovo e dai consoli! alla fine conclude « post multam murmurationem pacem iuraverunt ». E la gioia della ritornata pace fa prorompere il buon cronista nel ritmo dei versi leonini : quindici versi, tredici de’ quali finiscono colla parola dies: il dì avventurato e tanto sospirato della riconciliazione fra i De Castello e gli Avvocati (2)! Per quel che è a nostra cognizione , la scomunica inflitta a Rolando Avvocato verosimilmente al tempo delle contese più forti, e della quale Oberto Embriaco dà notizia per lettera ad Ingo Della Volta, apparisce poi così strana cosa? « Rolando Avvocato — dice l’Imperiale — che apparteneva al ramo di Carmandino signore di Recco, che teneva in feudo dalla Chiesa di Milano, era il vero tipo di quei nuovi feudatarii che sostituitisi agli antichi ne aveva ereditati tutti i difetti ». Vero tiranno de’ suoi vassalli nel 1159, nel 1161 , nel 1162 risulta dal Liber jurium (3), che era stato costretto a recedere dalle sue ingiuste pretese, dalle sue prepotenze, per sentenza dei consoli. Or si consideri lo stretto legame che era a Genova in quel tempo fra Γ autorità vescovile e la consolare , le opere molteplici di carità patria di Siro e de’ suoi successori immediati (4), (1) Vir ... laudabilis el honeste vite.... tamquam vir consularis stabat securus, non existimans aliquem sibi insultum facere debere ». Ibi, p. 168. — Rolando Avvocato avea chiamato Sardo il figlio, probabilmente per le aderenze che aveva nell'isola. Ibi, p. 160. (2) Queste leghe di famiglie nel Liber jurium si chiamali rosse, e 1 Olivieri col Desi moni ci vedeano l’etimologia nel latino grassor; io piuttosto la troverei nel tedesco rei za. linea nel senso di famiglia ; e rossa sarebbe Γ italiano rossa pronunciato alla genovese. (0 Simonsfeld, p. 740. (4> Arias, II sistema della costilusione economico e sociale italiana nell'età dei comuni (Torino, Roux, 190$). « La missione esercitata dalla Chiesa — 460 — l’imposizione fatta dalla Chiesa ai consoli renitenti ad assumer Γ ufficio nelle circostanze più gravi perchè non resti la nave senza governo, la cura assidua per la riconciliazione delle parti avverse, infine la consegna in pegno dei sacri arredi per aiutare la memorabile costruzione delle mura contro le possibili minaccie del Barbarossa, Si consideri anche il fatto che arcivescovo era 1’ antico collega di Caffaro nell ambasceria a Federico in Roncaglia: cioè Ugo Della Volta. La notizia della scomunica di Rolando pare dalla nostra lettera che l’Embriaco mandi ad I(ngo) per averlo trovato tepido super tantum negotium. Quasi stanco ormai della lotta; par che questi non fosse riluttante dal trattare cogli avversarli qualche pactum o conventum. Mentre l’Embriaco l’esorta a sostenere il suo buon dritto, assicurandolo che tutti quelli della ras sa multorum nobilium Ianuensium eran pronti a dargli man forte , e non dubitavano (lui Oberto per primo) quia..... per vestram prudentiam et per legalem justitiam ad vestrum beneplacitum negotium finietur. Ma qual negotium precisamente? Essendo Rolando Avvocato vassallo della Chiesa milanese; e i De Castello, gli Embriaci, gli altri visconti allora signoreggiatiti tutti legati con quella di Genova, potremo supporre che si trattasse di qualche episodio di conflitto fra le due Chiese, ora che quella di Genova era pur divenuta sede arcivescovile? Non veggo che il Simonsfeld faccia nessun accenno a questo proposito, ed io metto la supposizione in tono assai dubitativo. Ma al lettore un altro dubbio si sarà probabilmente affacciato. Il documento, da cui sono tratte le copie del-ΓAmbrosiana, è poi autentico? E supposto che si dovesse escluderne l’autenticità (che il professore di Monaco — auch nach der Meinung Ferreto’s — è disposto ad ammettere) quale potrebbe essere stato lo scopo di una simile falsificazione ? Per ora nemmeno noi possiamo terminare altrimenti che con questi interrogativi. Guido Bigoni. nell’età comunale è quella appunto d’integrazione dell’autorità civile ». A-nalogamente a Milano in un periodo anteriore. Schupper. La società milanese all’epoca del risorgimento del comune (Milano, Fava e Garagnani, 1870), pp. 130, 131. — 4Ói — ANNUNZI ANALITICI. Gaetano Imbert. La vita fiorentina nel seicento secondo memorie sincrone (1644-1670). Firenze, Bemporad , 1906, in 8.0 di pp. 307 con fig. — Bello ed utile lavoro , felicemente concepito , e condotto con geniale ordinamento. L’a. si è proposto di metterci dinanzi in modo speciale la società fiorentina nelle condizioni in cui si trovava sulla metà del secolo XVII; il che non toglie che per via di notizie o di ragguaglio egli non risalga eziandio agli anni anteriori, ed a’ seguenti non discenda; e ciò con pratica utilità, perchè le costumanze di un dato periodo trovano in generale la loro ragion d’essere nei fatti antecedenti, comunque possano assumere poi atteggiamento e sviluppo più ampio e determinato , che trapassa a’ posteri subendo le modificazioni proprie de’ mutali tempi. A cogliere oggettivamente ed a rilevare con opportunità quanto s’attiene alla vita civile FI. ha dovuto giovarsi di un materiale assai ricco e numeroso , edito ed inedito ; ma la sua attenzione s’è fermata di preferenza sui diari e le memorie contemporanee, e sopra le relazioni de’ viaggi fatti dagli stranieri in Italia. Questi in modo singolare attrassero la sua attenzione e gli furono guida nel suo lavoro; ma qui si palesa l'opera savia ed acuta del critico, poiché in tanta congerie di notizie, di osservazioni, di rilievi, nè sempre concordi e spassionati, era d’uopo trascegliere e vagliare con prudenza e avvedutezza, a fin di stabilire 1’ aspetto vero delle cose, e renderlo accettabile al lettore. Il metodo che in ciò ha seguito 1’a. è ottimo, poiché raggiunge con esso l’intento. Egli infatti dà ragione dell’ opera sua nel primo capitolo , che vuoisi considerare come opportuna introduzione; e poiché si è proposto di trattare specialmente quanto concerne il periodo in cui regnò sulla Toscana Ferdinando li, così conveniva dire alcun che delle condizioni politiche, civili ed economiche nelle quali si trovava in generale il granducato, donde la materia del secondo capitolo. Da questo punto si entra nel vivo del proposto argomento , e tutti i fatti pubblici o privati, da’ quali si desume e si illustra negli aspetti vari, e nelle contingenze molteplici l’umana convivenza, sono successivamente esposti con disciplinata partizione, e con andamento omogeneo ed armonico negli altri capitoli ; dando infine nel dodicesimo a conclusione del libro, i giudizi complessivi che gli stranieri hanno lasciato degli italiani, e in ispecie de’ fiorentini di que’ giorni L’ I. in tal guisa ci introduce a Corte così nel folto della vita esteriore, come ne’ contrasti e diciam pure nelle piccole miserie della vita intima: ci fa assistere alle feste, ordinarie d’ogni anno, ed a quelle occasionali di nozze principesche; ci erudisce intorno alla vita elegante e galante colle sue curiose costumanze, di vestito, di abbigliamento, di vitto, di conversazione , di consuetudine famigliare, con la tirannia delle etichette e la studiata — 462 — compostezza delle maniere ; siamo introdotti in luoghi cospicui dove han vanto le arti , o nelle accademie; adunate che seppero dar vita a concepimenti profondi, pur perdendosi, secondo voleva la moda , nel futile e nel vano ; sappiamo in qual guisa si viaggiava e di qual genere fossero le locande; e mentre da un lato ben chiara apparisce la natura della religiosità onde si mostrano imbevuti que’ fiorentini, sì come vediam palese gli andamenti del clero secolare e regolare, e i pregiudizi, le superstizioni del popolo alto e basso ; dall’altro ci vien posto il crudo spettacolo dell’infame commercio di schiavi o dello sfacciato meretricio , con il lugubre quadro dei delitti, delle vendette, degli eccidi non infrenati dal braccio severo della legge e della giustizia, la quale troppe volte serviva agli appetiti personali, ai riguardi di casta , o all’ imposizione dei potenti e degli audaci. Con questo breve ragguaglio dell’ opera presente noi speriamo d’ aver invogliato gli studiosi a prenderne conoscenza, e non solo gli studiosi, diciatti così, eruditi, ma eziandio le persone che amano la coltura in generale ; poiché l’a. avendo relegato in apposita appendice tutti i richiami e l’apparato critico , sembra abbia voluto apprestare alla comune dei lettori una esposizione piacevole, la cui rigorosa documentazione giovi a coloro che amano più larghe cognizioni e intendono meglio approfondirle. Non va taciuto che il volume si presenta adorno di parecchie illustrazioni ben scelte e ben riuscite. — L’ I. dichiara che questo suo lavoro è un saggio che forse varrà ad invogliare altri a riprendere con più largo intendimento il soggetto; niuno meglio di lui potrebbe farlo , e ce ne dà speranza là dove accenna ad una possibile seconda edizione con aggiunte. Fra esse ci piacerebbe vedere un cà-pitolo intorno allo svolgimento degli studi ed alla vita dei letterati, da porre a canto a quello sulle accademie , e per il quale egli lo sa più di noi, vi ha un materiale vario ed abbondante. — E qui avremmo finito se non ci giovasse rilevare a nostro scopo speciale, che tornano per noi opportune alcune notizie di viaggi inediti, dove è parola della nostra regione (cfr. pag. 9, 247 , 250, 251); sì come certi riferimenti locali degni di nota. Troviamo che a Sestri Levante « ne’ primi anni del settecento si trovavano molte guide armate di moschetti, pistole e baionette, che, per due scudi a testa, scortavano i viandanti su per i sentieri della montagna. A chi poi faceva il bravo e s’incamminava solo, toccava la sorte di un certo monaco..... essere spogliato da' briganti , che erano..... le stesse guide » ! E più innanzi : « le genovesi introducevano tra’ loro riccioli delle pagliuzze d’ oro ». Sull’ uso poi delle pianelle che facevano apparire più alte le dame sono a vedere i versi del Chiabrera nei noti Sermoni. La Casa di S. Giorgio. Memorie e documenti raccolti da Umberto Villa. Genova, tip. del Successo, 1905, in 16.°, pp. 137, fig. — Non è un libro scientifico, chè non era questa l’intenzione dell’a.; ma un lavoro occasionale, dettato per ricordo del giorno in cui si gettava la prima pietra del nuovo ingrandimento e dell’assetto del porto di Ge- — 463 — nova ; opere promosse dal Consorzio autonomo che ha la sua sede nel palazzo di S. Giorgio, restaurato secondo l’antico disegno. Infatti qui abbiamo da prima la storia degli strenui dibattiti onde per più di mezzo secolo fu argomento l’insigne monumento fra coloro che si accanivano a volerne la parziale demolizione con strani concetti che Γ a-vrebbero deturpato, e gli artisti, gli archeologi, gli amatori delle patrie glorie cui stava a cuore di conservarne l’integrità secondo le linee architettoniche originali. Aspra battaglia nella quale il buon senso e il buon diritto ebbero ampia ragione , e da queste prime pagine la comune de’ lettori apprenderà a chi si vada specialmente debitori se Genova non ebbe a sostenere « la vergogna e il danno ». S. Giorgio anche questa volta ebbe potenza di debellare il drago ; il santo che ci è posto dinanzi dall’a. nella tradizionale leggenda, nel simbolo, nell’arte. E della Casa che tolse vita e fama dal suo nome espone il V. le prime mosse e gli incominciamenti, i quali si ricongiungono e trovano lor ragione nelle politiche vicende della repubblica a’ tempi suoi più gloriosi. Cosi in quel palazzo , di cui abbiamo in queste pagine una buona descrizione , si costituì quel forte istituto finanziario, eh’ ebbe un periodo di potenza politica degno di rilievo e di s,tudio ; intorno al quale se utile può dirsi la monografia dell’ Harrisse, lo studioso che voglia meglio addentrarsi nel suo organismo e nella sua portata economica, ricorrerà con frutto all’ opera più recente e magistrale dello Sieveking. Una rapida rassegna delle statue e dei busti che tramandarono le sembianze di quei benemeriti a cui il banco volle fosse attestata la riconoscenza dei cittadini, ci scorge attraverso alle sale, dove oggi ha posto sua sede il Magistrato portuario , e con la breve storia della sua recente costituzione si chiude il volumetto scritto con genialità a servigio del pubblico largo, del gran numero di coloro che hanno bisogno d’apprendere in modo agevole e piano il massiccio dei fatti, e l’aspetto rilevante delle cose. Fortunato Rizzi. Profilo storico del Teatro comico popolare italiano nel secolo XV e XVI. Rocca S. Casciano, Cappelli 1906, in 8.°, pp. 31 (estratto dalVAthena, Anno I). — Toccando brevemente del Caracciolo e dell*Aiioni che, per i primi, avviarono il teatro popolare verso una forma d’arte meno incomposta, PA. raggiunge il Ruzzante notevole, oltre che per la sua libera e sincera rappresentazione della vita del popolo, per tre altre cagioni: l'uso dei dialetti, l’introduzione delle maschere, la recitazione all’improvviso. Forse non fu il Ruzzante il primo ad usare nella commedia varietà di dialetti; non è il caso di ricorrere all’esempio latino del Poenulus, ma pare che già il Burchiello e il Notturno Napolitano lo avessero preceduto in quest’uso, che però venne certamente divulgato per opera delle popolarissime farse dei Ruzzante. Se quest’uso dei dialetti portò a qualche esagerazione (col Giancarli per esempio), ebbe pure il merito di produrre Andrea Calmo, nelle commedie del quale però si trovano mescolati un maggior numero di dialetti che non nel Ruzzante. Quanto alle maschere esse non — 464 — sono ancora nel Ruzzante, ma conviene ammetterle in istato di formazione avanzata nel Calmo. Passando a discorrere dell’improvvisazione 1Ά. nota acutamente che « il critico che, studiando la recitazione al-Γ improvviso muove dalla commedia dell’ arte , e va a ritroso dei secoli, segue un metodo sbagliato ». Bisogna muovere dal punto d’origine della farsa stessa, e, seguendo il suo svolgimento , si vedrà che la farsa nasce improvvisa, poi, per l’influenza dei dotti, accenna a trasformarsi in letteraria e scritta. È un periodo di transizione (rappresentato dal Ruzzante), e in esso le due forme coesistono. Si separano poi , e si ha da una parte la farsa letteraria , dall’ altra la commedia dell’arte. La quale è il grado supremo di svolgimento del teatro popolare : in essa l’improvvisazione, l’uso dei dialetti, la forma dei tipi, pur conservando Γ impronta genuina, presero caratteri più regolari e costanti : si ebbero i canevacci, i singoli dialetti vennero ristretti a tipi determinati , i personaggi assunsero aspetti e forme determinate, divennero cioè maschere. La commedia dell’arte ebbe molte attinenze col teatro erudito, ma subì da parte di esso una troppo prepotente influenza , e potè conservare intatto il suo carattere popolare. La farsa letteraria poi, benché nata dallo stesso ceppo della commedia dell’arte e derivata anch’essa direttamente dal popolo, giunta a un certo grado di sviluppo, subì una profonda influenza letteraria e si avvicinò alla Sacra Rappresentazione e al Teatro erudito. Fu un genere ibrido che, pur conservando la sostanza dell’ antica farsa , tolse i caratteri della commedia, e la forma della Sacra Rappresentazione. Assume poi anche carattere morale , e cercò far trionfare una moralità tutta casalinga e un po' pedestre, rimanendo però sempre ben distante dalla moralità le cui astrazioni le rimasero estranee. Il Rizzi conchiude questo coscienzioso e pregevole studio coll’ annunziarci un suo prossimo lavoro sulle farse e commedie morali del Cecchi , il quale riuscì a dare assetto e perfezione d’arte alla farsa letteraria. (Maria Ortiz). Fortunato Rizzi. La Commedia e il Goldoni. Firenze, tip. e libr. domenicana, 1906, in 8.°, pp. 12 (estratto dalVAntologia periodica di Letteratura e d’Arte, Anno III) — In questo suo breve studio il Rizzi comincia dal porsi il problema: « Come mai soltanto nel secolo XVIII potè l’Italia avere un Goldoni, mentre già nel XVI e XVII la Francia, la Spagna e 1’ Inghilterra vantavano già un Molière, un Lope de Vega, uno Shakespeare »? Egli non si nasconde che rispondere a una tale domanda vuol dire fare la più intera illustrazione del valore storico delle commedie goldoniane e nello stesso tempo addentrarsi nelle o-scure e intricate origini del teatro nazionale italiano; nè s’illude di poter risolvere d’un tratto la difficile questione: vuol soltanto portarvi qualche luce. Per meglio riuscirvi dà un rapido e sicuro sguardo alle condizioni del teatro nel secolo XVI. Col suo buon lavoro sulle Commedie osservate del Cecchi il Rizzi si è rivelato buon conoscitore del teatro di questo tempo; è perciò quasi inutile dire che egli tratta questa parte con competenza, acume e vigore logico. Ma quando viene — 465 — al secolo XVII, che a proposito del Goldoni è ben più importante dell’anteriore, la sua trattazione riesce insufficiente. La quistione del-Γ influenza del teatro spagnuolo sull’ italiano aspetta ancora uno studioso che se ne occupi seriamente; e non è più possibile sbrigarsi di essa con poche frasi generali, sempre le stesse dal Quadrio in poi. Noi sappiamo in generale , o per dir meglio , presentiamo che vi è stata un’influenza spagnuola sul teatro del secolo XVII, ma ne ignoriamo assolutamente la portata. È una ricerca difficile, ma che prima 0 poi bisognerà pure affrontare. Intanto è per lo meno imprudente il cercare di valutarne gli effetti. Chi sa che in fine in fondo lo spagnolismo (che non è solo secentismo) non abbia fatto qualche bene al teatro italiano ? Il Rizzi dice che, se dopo il Porta si fosse fatto ancora un passo sulla via che tentava d’ unire il genere popolare con 1’ erudito , si sarebbe avuto il teatro nazionale italiano. È una ipotesi probabile; ma non è più di una ipotesi. Intanto, dopo il periodo spa-gnoleggiante, si ebbe il Goldoni. Lungi da me 1’ idea di ricorrere al post hoc ergo proptcr hoc, sofisma troppo sfatato ; ma andiamo a-dagio. S’indaghi, si studii, e, quando si saprà davvero qualcosa sull’azione esercitata dal teatro spagnuolo sul nostro, allora si passi pure a valutarne le conseguenze. (Maria Ortiz). Compendio di letteratura universale di Pasquale Parisi. Milano, Hoepli 1906. — L’A. ha detto che questo manuale mentre deve essere tenuto 111 conto dagli studiosi di « una comoda guida a rintracciare in più vaste opere ciò che vogliono apprendere più largamente , un vadc-mecum che li condurrà pianamente per le intricate vie della produzione letteraria universale »; dagli altri lettori sarà considerato come « un amico che facilmente senza lunghe ricerche li renderà consapevoli della via percorsa dal pensiero in tanti secoli ed in tanti paesi diversi ». Con questo proposito egli ha diviso il suo lavoro in tre parti; nella prima rende conto concisamente della letteratura egiziana, persiana, indiana, cinese, greca, latina ne’ tempi antichi ; discorre nella seconda del medio evo ; é tratta nella terza della letteratura moderna. Questa terza parte comprende la maggior parte del volumetto e costituisce evidentemente lo scopo principale dell’ a. nell’ intenzione del quale le altre due servono di premessa necessaria. A. Cappelli. Cronologia e Calendario perpetuo. Tavole crotiogra-fichc c quadri sinottici per verificare le date storiche dal principio dell'era cristiana ai giorni nostri. Milano, Hoepli, 1906, in 16.pagine XXXIll-419. — Precede una succosa notizia assai chiara e precisa sui diversi modi di computar gli anni, e sul Calendario, la quale serve ad istruire chi legge intorno al modo di adoperare, secondo uopo, le varie parti dell’opera; ma non è un’arida esposizione, poiché viene accompagnata da indicazioni di fonti, e da alcuni esempi opportuni desunti dai documenti. La prima tavola contiene la serie dei consoli romani, a cui tendono dietro le tavole cronogralìche dell’ era volgare fino all’ anno 200Ü, dove è il ragguaglio con questa della greca , della spagnuola, — 466 — dell'indizione, della Pasqua, e del rispettivo periodo in cui ebber regno gli imperatori romani, i re Goti e Longobardi; gli imperatori e re di Germania e d’Italia; i Papi, con la relativa indicazione degli antipapi. Viene poi la ricorrenza pasquale secondo il calendario giuliano, il calendario romano antico, e quello perpetuo così giuliano come gregoriano, il glossarietto delle date, l’indice alfabetico dei principali santi e beati, l’egira maomettana, il calendario della Repubblica francese, e in fine le tavole cronologiche dei-sovrani dei principali Stati d’ Europa corredate di un opportuno indice alfabetico. Nessuno studioso, o istituto, o scuola , o persona mezzanamente colta può fare a meno di questo utilissimo manuale compilato da chi possiede un serio fondamento di dottrina e grande competenza nella materia. Antologia della prosa scientifica italiana da Galileo ai giorni nostri compilata ad uso delle scuole da Rosolino Guastalla. Firenze, Barbera, 1905, in 8.°, pp. XVI-397. — Molti degli autori che hanno luogo in questa raccolta, si trovano altresì in altri manuali di letteratura, e specialmente in quello a sì giusta ragione pregiato D’Ancona-Bacci ; dove anche della materia scientifica è tenuto debito conto secondo ragione. Ma 1’ antologia di cui parliamo è ordinata ad un fine speciale ed osservabile per sì fatto rispetto in ordine alla scelta de’ brani che spaziano in tutte le parti dello scibile, secondo ben si vede dalla ri-partizione data opportunamente per materie nel fine. Brevi notizie precedono i brani di ciascuno autore; e sobrie note a piè di pagina porgono chiarimenti a’ luoghi del testo. Avvertiamo il G. che la nota 1 a pag. 7 o non è ben chiara o è assai inesatta, perchè il Sarsi e il Grassi sono tutt’uno; e il p. Ottavio gesuita non è « nome inventato ». Ci si permetta poi di osservare che fra i botanici avremmo veduto volentieri alcun che di Antonio Bertoloni, il quale se molte delle cose sue scrisse in ottimo latino , ha pur pagine italiane degne di nota : così ci sembra povera la parte riguardante la paletnologia e la pa leontologia ; per le quali era da trar qualche buona cosa dal Capellini e dall’Issel. In fine ci sarebbe piaciuto trovare rappresentata qui una parte scientifico-igienica che si suol denominare dall’alpinismo, e che poteva porgere argomento a pagine utili e piacevoli. Severino Ferrari. Versi raccolti ed ordinati. II edizione a cura di L. De-Mauri. Torino, Libr. Antiquaria (Firenze, Landi), 1906, in 16.0, pp. 142 con rit. — Il Mago, arcane fantasie con cenni biograficiesplicativi e note di L. De-Mauri. Ivi, 1906, in 16.°, pp. 103 con rit. — Questi due volumetti raccolgono Γ opera poetica di quell’ ingegno acuto e geniale ch’ebbe vita si breve e travagliata; ed ha fatto opera pietosa, utile e buona il De M. nel curare la ristampa de’ versi d’ogni ragione sgorgati da quella penna amabile ed arguta ; da quel cuore affettuoso, dall’intelletto sagace; versi che andavano qua e là peregrini or qui ben ordinati, secondo l’intendimento dell’autore, dal solerte e-ditore. Il quale ha dato luogo separatamente al Mago , come quello che sta a sè, e determina un periodo importante della riforma carduc- - 467 — ciana, mentre costituisce un quadro piacevolmente satirico d’ un momento letterario notevole e rilevante, e che impresse avviamento nuovo e migliore all’arte ed alla critica. Senonchè a ben intendere le « arcane fantasie », si conveniva'un opportuno commento esplicativo, al quale si è accinto con sicurezza d’informazione il De M. così nel largo preambolo biografico che va innanzi, come nelle appropriate ed utilissime annotazioni che seguono il testo. Quivi mentre ei fa risaltare l’intima ragione delle allusioni e delle punte satiriche, e porge in un tempo particolari spiegazioni esegetiche , si mantiene in quella serena temperanza ne’ giudizi che li rende più osservabili ed accetti. Auguriamo all’ amico del compianto letterato di poterci dar presto, come ha fatto per le poesie, una raccolta delle migliori monografie critiche sparse in diversi giornali, rendendo così un buon servigio agli studiosi ed alla memoria dell’autore. Domenico Casimiro Promis, Motiete ossidionali del Piemonte battute durante gli assedii delle città di Nizza , J343 ; — Vercelli 16/7 e 163S ; — Casale, 162S e 1630; — Cuneo, 1641 ; — Alessandria, 1746. Seconda edizione con 37 incisioni intercalate nel testo arricchita di nuove note e di notizie sulle monete ossidiali di Novara a cura di L. De-Mauri. Torino, Libreria Antiquaria (Rocca S. Casciano, Cappelli), 1903, in 8.°, pp. 44. — Il rarissimo scritto storico del Ρ. è qui riprodotto nella sua integrità; nè occorre farne notare il valore che ben conoscono tutti coloro che a si fatti studi son volti. Quindi nel dar lode al recente editore per aver dato modo ai collezionisti di numismatica e di storia regionale, di procurarsi agevolmente il lavoro dell’erudito piemontese, convien rilevare la parte da lui aggiunta, così nell’apparato critico come per ciò che ha tratto alle monete riferen-tesi all'assedio di Novara al cadere del quattrocento. Guido Manacorda. I manoscritti della biblioteca municipale Leardi in Casale Monferrato. Casale Monferrato, Torelli, 1905, in 8.°, pp. 31. — Sono trentasette manoscritti che giacevano ignorati dietro ai libri in uno scaffale della biblioteca casalese. La loro età spazia fra il se-coto XV e il XIX, nè possono vantare importanza grande od essere tenuti in conto di cimelii singolari; ma non meritano neppure l’oblio al quale erano stati da anni condannati; i più appartennero a Carlo Vidua. Il M. li ha descritti con diligenza e con buon metodo bibliografico. 11 n. VII contiene alcune cose che riguardano la nostra regione : v’ hanno gli estratti da lettere di Ferrante Gonzaga intorno alla fabbrica della fortezza in Genova nell’anno 1548, di che è a vedere gli Atti della Soc. Ligure di St. Pal. , Vol. Vili, 226 e sgg. ; un discorso di Leonardo Sauli Torre sopra 1’ abboccamento di Piacenza del 1548; un discorso spagnuolo d’Antonio Perez sulla rivoluzione del 1575; un voto in spagnuolo del fiscale Nicolò Fernando de Castro sulla vendita in Pontremoli, scritto nel 1649: il n. Vili contiene la Congiura ossia Cospiratone di Ottaviano Ferrer io savonese contro la fortezza e città di Savona l'anno 136η ; è noto che il Fer- ι — 468 — rero fu decapitato a Genova: il η. XI è una delle tante copie delle stampate Guerre civili del 1575 che vanno sotto il nome del Lercaro, e sono invece di Scipione Spinola; nella descrizione esterna del cod. si accenna ad « un’arme (croce rossa in campo bianco) sorretta da due grifoni » che è, come si sa, lo stemma di Genova: il η. XXVII contiene il solito libro d'oro della nobiltà di Genova: nel η. XXXVI si legge, fra le altre cose la relazione della serva di Dio Maria Caterina Brondi di Sarzana, della quale si ha alle stampe una vita scritta dal p. Bambacari. Francesco Zaverio Molfino. Il Convento dei Cappuccini di Fa-razze. Genova, tip. della Gioventù, 1906, in 8.°, pp. 95. — Compendiosa noticia historica do hospicio dos religiosos Gapuchinos na cidade do Rio de Janeiro (1659-1814) [per cura e con prefazione del p. Zaverio Molfino]. Ivi, 1906, in 8.0, pp. 62. — Seguita con amorosa cura il solerte a. il proposito proficuo, d’illustrare le vicende del suo ordine, così nell’ opera di espansione e di svolgimento in Liguria , come in quella delle missioni all’estero. Ed ecco il primo degli opuscoli qui sopra riferiti che ci espone la storia del convento di Varazze che muove dal 1603 e viene ai nostri giorni, divisando i principi della fabbrica e i successivi lavori, siccome gli avvenimenti a cui soggiacque nel volger dei tempi. Dopo queste notizie, nei successivi capitoli, oltre alle iscrizioni ed agli elenchi dei frati, egli discorre largamente e con documenti notevoli di alcuni padri degni di particolare menzione per il loro indefesso apostolato in patria , e singolarmente nelle missioni straniere. Alle quali reca valido contributo la narrazione di quelle e-sercitate dai cappuccini in Rio Ianeiro, che il p. M. reca in luce da un manoscritto inedito, scritto per la maggior parte dal p. Fortunato da Fasano (fino al 1807) e da altri continuato. Egli vi premette alcune succose pagine , in cui nota 1’ opera dei cappuccini liguri nelle missioni brasiliane, come augurio e promessa di più ampio racconto. Giuseppe Biadego. Ingresso in Milano di Crislierna di Danimarca sposa del duca Francesco Maria Sforza (1534). Verona , Franchini, 1905, in 8.°, pp. 19. — Sebbene i particolari di questo avvenimento siano noti, pure il B. ha creduto mandare in pubblico la presente relazione di un contemporaneo eh’ ei ritiene a giusta ragione veronese. Costui reca alcuni rilievi non accennati da altri , e perciò non inutili ad essere conosciuti, e l’editore di essi e del manoscritto rende conto nella garbata prefazione. A nostro uopo riferiamo che ad onorare la duchessa v’ erano anche « nove zentillomeni zenoesi tuti vestiti de veludo violeto et recamadi d’oro li diti vestimenti et con li sui stafieri tuti vestiti de seda ». Erano certo i legati della repubblica quantunque nessuno de’ nostri cronisti tocchi di sì fatta ambasceria, pur notando il solo Partenopeo il fatto degli sponsali. Giuseppe Biadego. Un cremo?iese maestro a Verotia (Bartolomeo Borfoni). Verona, Franchini, 1905, in 8.°, pp. 20. — In questa elegante pubblicazione nuziale l’erudito veronese rileva, con la scorta di - 469 — documenti opportunamente illustrati, come il grammatico cremonese, prima di andare a stabilirsi a Vicenza, dove morì, abbia insegnato a Verona negli anni 1400-1406. E di qui patteggiasse l’altra sede, scontento perchè il consiglio comunale non volle crescergli lo stipendio in ragione della sua domanda. Aveva prima 72 lire annuali, ne chiese 150, e gliene furono consentite 120; ma quando il comune seppe che mentre trattava con lui, aveva già preso impegno con l’altra città, gli pagò il suo credito secondo il primitivo stipendio non tenendo conto dell’aumento deliberato. G. Roberti. Il centenario di un viaggio trionfale. Roma , Ripa-monti-Colombo, 1905 , in 8.°, pp. 24. (Estr. dalla Nuova Antologia). — Il viaggio è quello di Napoleone imperatore che veniva a farsi coronare re d’Italia. Questa narrazione ha il merito di esser chiara , e-satta e di agevole lettura. L’a. non si è contentato di consultare a suo uopo quanto gli tornava opportuno fra le cose stampate, ma si è giovato altresì di relazioni e di memorie inedite , studiandosi di rilevare aneddoti, motti particolari poco 0 punto conosciuti, donde viene al suo tema curiosità e rilievo. A proposito di Genova ricorda il R. che mentre una deputazione di Senatori con a capo il Doge s’ era recata a Milano per rendere omaggio all’ imperatore , Saliceti « insinuava al Senato la convenienza di chiedere la riunione della Liguria alla Francia, suggerimento che suonava come un comando »; era invero qualche cosa di più, una brutale imposizione. Infatti Saliceti tornò da Parigi col decreto bell’e pronto, e obbligò il Senato a votarlo subito nella seduta del 25 maggio: fece questi un tentativo di soprassedere e seduta stante mandò all’uopo una commissione dal ministro francese, ma la risposta fu perentoria e tassativa, e il consesso piegò il capo : il verbale di quella seduta disteso con insolita larghezza nel registro segreto è documento di non poca importanza. La storia della Repubblica Ligure dal giugno 1800 al giugno 1805 , un quinquennio preciso , condotta sulle carte d’archivio è tale argomento da spronare un giovane volenteroso ad accingersi all’opera, sicuro di produrre pagine di interesse vivissimo. Cesare Musatti. / numeri della tombola a Firenze. (Costumi popolari) Venezia, Pellizzato, 1905, in 8.0, pp. 9. (Estr. da\VAteneo Veneto, XXVIII). - L’a. espone, con piacevolezza e genialità, i modi onde dai fiorentini si sogliono indicare i numeri della tombola per via di « un pseudonimo convenzionale », ne divisa le ragioni, le modalità, le applicazioni. E, ciò che torna apportuno, rassegna le uguaglianze e le differenze con l’uso medesimo che pur vige nel popolo a Venezia. Per il primo centenario della morte di Edoardo Calvo. Spigolature di due amici del dialetto e delle memorie torinesi. Torino, Bocca, 1905, in 8.°, pp. 47, con rit., tav. e facs. - Pregevole e gustosa pubblicazione occasionale, con molte e singolari notizie raccolte da fonti diverse inedite 0 rare, e volte a far conoscere 1’ uomo , il poeta e la — 470 — fama da esso procacciatasi. Di qui prendono opportunità i due amici di recare diligenti notizie di altri piemontesi nominati nelPopuscolo. Il quale, oltre a poesie e prose del Calvo, e a documenti curiosi intorno a lui , si chiude con una diligente bibliografia così de’ suoi scritti a stampa, come di quelli che ne discorrono la vita e toccano delle poesie. I due amici che vollero nascondere il loro nome sotto seni plici sigle sono Vincenzo Armando e Tommaso Agostinetti. Lucien Auvray. La collection Custodi a la bibliotèque nationale. Bordeaux, Feret, 1905, in 8.°, pp. 137. (Estr. dal Bulletin Italien). — La raccolta di Pietro Custodi entrò a far parte della Biblioteca nazionale di Parigi nel 1867 ed è compresa in 69 volumi. Mentre d’ una parte di essi già venne data notizia dal Raynaud, e più particolarmente dal Mazzatinti, di ben 22 che comprendono la corrispondenza del Custodi , lettere e documenti vari, così in autografo come in copia, da servire alla biografia di illustri italiani , con alcuni opuscoli a stampa, note, estratti, ecc., nessuno s’era occupato, ond’è a lodare vivamente Γ a. di questo volume per avercene procacciato conoscenza piena ed intera. In una larga introduzione Pa. raccoglie una buona quantità di notizie biografiche e letterarie intorno al Custodi, alla sua biblioteca, ed alle collezioni che andava facendo , le quali dovevano , per dono liberale, arricchire PAmbrosiana. È lavoro diligente condotto da mano savia ed esperta. Al quale segue P inventario alfabetico della contenenza di tutti i 22 volumi , dove ogni cosa viene minutamente descritta con molta cura. Sei appendici compiono l’importante pubblicazione e sono : la particolare notizia di tre manoscritti del medesimo fondo non compresi ne’ volumi sopra ricordati, notevoli per quanto concerne personalmente il Custodi, i suoi studi, i lavori a cui attendeva ecc., che costituiscono un necessario complemento della serie e-saminata e descritta; diversi documeuti che pur si riferiscono al Custodi stesso ed alle sue raccolte ; alcuni frammenti delle memorie di lui sul Melzi, sul Prina, sul Sommariva , sul Monti, sul Foscolo , sul Manzoni (o meglio, come nota l’Aut., contro il Manzoni), sul Zurla ; quattro lettere concernenti il Baretti; una silloge di lettere d’italiani (Amaduzzi) Bianchi, Prina, Reina); e infine parecchie lettere di francesi (Ginguenè, Mablis, Necker, Neipperg, Petiet, Pougens, Renouard, Stendhal). Il metodo col quale 1’ erudito scrittore ha composto il suo utile lavoro dimostra con quanto studio egli abbia dato opera ad una larga ed appropriata preparazione , per la quale si è messo in grado di corredarlo d’un apparato critico accurato e ricco di riferimenti interessanti e curiosi , di guisa che soddisfa alle esigenze degli studiosi ai quali porge buon sussidio di preziose informazioni. Antonio Medin. La visione Barbariga di Ventura da Malgrate. Poemetto storico-allegorico della fine del secolo XV. Venezia, Ferrari, 1905, in 8.°, pp. 16. (Estr. dagli Atti R. Ist. Veneto, LX1V). — Ecco un lunigianese affatto ignoto che rivive per opera del M., il quale ci dà notizia del poemetto da lui lasciato , e giaciuto fin qui nell’ oblio. — 4/1 — È una visione allegorico-morale in terzine di poco valore rispetto all’arte, ma notevole per le lodi di Agostino Barbarigo e di Venezia, sì come per quelle eh’ ei comparte a Bernardo e Pietro Bembo, e ad Aldobrandino Turchi. Il poeta, che non è davvero nè migliore nè peggiore di parecchi altri contemporanei minori di cui ci rimangono le rime, si palesa assai addentro nello studio delle opere volgari di Dante, del Petrarca, del Boccaccio, del Poliziano; e il M. acutamente ne rileva le imitazioni nella sostanza e nella forma del suo componimento ; il che dimostra com’ei non fosse destituito di buona cultura. Ma chi sarà mai costui che viene a porsi in novero fra gli umanisti lunigianesi? per ora, come abbiamo detto in principio è affatto ignoto, Tuttavia nel leggere Γ importante notizia datacene così chiaramente dal M. mentre eravamo sullo scrivere questo breve cenno, due tratti hanno in ispecie richiamato la nostra attenzione : il trovare cioè il nostro Ventura a Ferrara sul cadere del secolo XV, e il vedere com’ ei si compiaccia dell’ amicizia del Bembo , ed abbiamo cercato se ad un qualche lunigianese si potessero attagliare codesti particolari. Ci è corso subito alla mente il nome di Bonaventura Pistofilo , il quale fu appunto a que* tempi in Ferrara ed ebbe intimità col letterato veneziano; quegli che, sebbene indicato come pontremolese , pure vien ritenuto più propriamente di Malgrato dal Gerini (Meni, istor. d’illusi. scriit. di Lunigiana , II , 69) rilevando da alcuni documenti come la famiglia de’ Pistofili fosse appunto di questo paesello. Bonaventura studiò a Ferrara sotto la guida del Leoniceno ; fu caro a Tito Vespasiano Strozzi del quale prese in moglie una figliuola; cancelliere più tardi di Alfonso d’Este ne scrisse la vita, pubblicata da Antonio Cappelli con alcune notizie biografiche di lui (Atti e Memorie d. R. De-putaz. di Star. Pat. per le Prov. Mod. e Partn. , III , 481). Un suo sonetto si legge nelle note Collettame in morte di Serafino Aquilano, riprodotto dal Crescimbeni, ed un altro sta colla Ninfa Tiberina del Molza. Afferma il Baruffaldi che dettò La passione di Cristo i?i terza rima; ebbe lodi dall’Ariosto, dal Caleagnini, dal Bembo e in ispecie dallo Strozzi del quale sono notevoli i versi seguenti : Non tibi facundae suavissima gratia linguae Desit, seu molles èlegos, seu grandia fingis Carmina, Apollineo nec dedignanda Petrarchae Materno sermone canis, pede sillaba certo Undecima affectus varios dum pectore edit. Se fosse da attribuirsi a lui il presente poemetto converrebbe ritenerlo opera della gioventù , anche prendendo largamente Γ « adolescente etade » ond’egli stesso l’afferma composto, e riferirlo allora ai primi anni in cui fu doge il Barbarigo (1486-1501), al che non si sconvengono le lodi compartite a Bernardo Bembo già famoso , mentre il figliuolo « dato al dilectoso studio — Delle nove sorelle d’ Helycona » si vedrà « prest’in fama..... sopra le stelle alzarsi a volo ». Poiché non (· improbabile che Ventura (si ritiene nato fra il 1465 e il 1470) — 470 — fama da esso procacciatasi. Di qui prendono opportunità i due amici di recare diligenti notizie di altri piemontesi nominati nell’opuscolo. Il quale, oltre a poesie e prose del Calvo, e a documenti curiosi intorno a lui , si chiude con una diligente bibliografia così de’ suoi scritti a stampa, come di quelli che ne discorrono la vita e toccano delle poesie. I due amici che vollero nascondere il loro nome sotto seni plici sigle sono Vincenzo Armando e Tommaso Agostinetti. Lucien Auvray. La collectiori Custodi a la bibliotèque nationale. Bordeaux, Feret, 1905, in 8.°, pp. 137. (Estr. dal Bulletin Ilalie?i). — La raccolta di Pietro Custodi entrò a far parte della Biblioteca nazionale di Parigi nel 1867 ed è compresa in 69 volumi. Mentre d’ una parte di essi già venne data notizia dal Raynaud, e più particolarmente dal Mazzatinti, di ben 22 che comprendono la corrispondenza del Custodi , lettere e documenti vari, così in autografo come in copia , da servire alla biografia di illustri italiani , con alcuni opuscoli a stampa, note, estratti, ecc., nessuno s’era occupato, ond’è a lodare vivamente Fa. di questo volume per avercene procacciato conoscenza piena ed intera. In una larga introduzione l’a. raccoglie una buona quantità di notizie biografiche e letterarie intorno al Custodi, alla sua biblioteca, ed alle collezioni che andava facendo , le quali dovevano , per dono liberale, arricchire l’Ambrosiana. È lavoro diligente condotto da mano savia ed esperta. Al quale segue l’inventario alfabetico della contenenza di tutti i 22 volumi , dove ogni cosa viene minutamente descritta con molta cura. Sei appendici compiono l’importante pubblicazione e sono : la particolare notizia di tre manoscritti del medesimo fondo non compresi ne’ volumi sopra ricordati, notevoli per quanto concerne personalmente il Custodi, i suoi studi, i lavori a cui attendeva ecc., che costituiscono un necessario complemento della serie e-saminata e descritta; diversi documeuti che pur si riferiscono al Custodi stesso ed alle sue raccolte ; alcuni frammenti delle memorie di lui sul Melzi, sul Prina, sul Sommariva , sul Monti , sul Foscolo , sul Manzoni (o meglio, come nota l’Aut., contro il Manzoni), sul Zurla ; quattro lettere concernenti il Baretti ; una silloge di lettere d’italiani (Amaduzzi, Bianchi, Prina, Reina); e infine parecchie lettere di francesi (Ginguenè, Mablis, Necker, Neipperg, Petiet, Pougens, Renouard, Stendhal). Il metodo col quale 1’ erudito scrittore ha composto il suo utile lavoro dimostra con quanto studio egli abbia dato opera ad una larga ed appropriata preparazione , per la quale si è messo in grado di corredarlo d’un apparato critico accurato e ricco di riferimenti interessanti e curiosi , di guisa che soddisfa alle esigenze degli studiosi ai quali porge buon sussidio di preziose informazioni. Antonio Medin. La visione Barbariga di Verdura da Malgrate. Poemetto storico-allegorico della fine del secolo XV. Venezia, Ferrari, 1905, in 8.°, pp. 16. (Estr. dagli Atti R. Ist. Veneto, LX1V). — Ecco un lunigianese affatto ignoto che rivive per opera del M., il quale ci dà notizia del poemetto da lui lasciato , e giaciuto fin qui nell’ oblio. — 471 — È una visione allegorico-morale in terzine di poco valore rispetto all’arte, ma notevole per le lodi di Agostino Barbarigo e di Venezia, sì come per quelle eh’ ei comparte a Bernardo e Pietro Bembo, e ad Aldobrandino Turchi. Il poeta, che non è davvero nè migliore nè peggiore di parecchi altri contemporanei minori di cui ci rimangono le rime , si palesa assai addentro nello studio delle opere volgari di Dante, del Petrarca, del Boccaccio, del Poliziano; e il M. acutamente ne rileva le imitazioni nella sostanza e nella forma del suo componimento ; il che dimostra com’ei non fosse destituito di buona cultura. Ma chi sarà mai costui che viene a porsi in novero fra gli umanisti lunigianesi? per ora, come abbiamo detto in principio è affatto ignoto, Tuttavia nel leggere l’importante notizia datacene così chiaramente dal M. mentre eravamo sullo scrivere questo breve cenno, due tratti hanno in ispecie richiamato la nostra attenzione : il trovare cioè il nostro Ventura a Ferrara sul cadere del secolo XV, e il vedere com’ ei si compiaccia dell’ amicizia del Bembo , ed abbiamo cercato se ad un qualche lunigianese si potessero attagliare codesti particolari. Ci è corso subito alla mente il nome di Bonaventura Pistofilo , il quale fu appunto a que’ tempi in Ferrara ed ebbe intimità col letterato veneziano; quegli che, sebbene indicato come pontremolese , pure vien ritenuto più propriamente di Malgrato dal Gerini (Meni, istor. d’illust. scritt. di Lunigiana , II , 69) rilevando da alcuni documenti come la famiglia de’ Pistofili fosse appunto di questo paesello. Bonaventura studiò a Ferrara sotto la guida del Leoniceno ; fu caro a Tito Vespasiano Strozzi del quale prese in moglie una figliuola; cancelliere più tardi di Alfonso d’Este ne scrisse la vita, pubblicata da Antonio Cappelli con alcune notizie biografiche di lui (Atti e Memorie d. R. De-putaz. di Stor. Pat. per le Prov. Mod. e Parm. , III , 481). Un suo sonetto si legge nelle note Collettanee in morte di Serafino Aquilano, riprodotto dal Crescimbeni , ed un altro sta colla Ninfa Tiberina del Molza. Afferma il Baruffaldi che dettò La passione di Cristo in terza rima; ebbe lodi dall’Ariosto , dal Caleagnini, dal Bembo e in ispecie dallo Strozzi del quale sono notevoli i versi seguenti : Non tibi facundae suavissima gratia linguae Desit, seu molles èlegos, seu grandia fingis Carmina, Apollineo nec dedignanda Petrarchae Materno sermone canis, pede sillaba certo Undecima affectus varios dum pectore edit. Se fosse da attribuirsi a lui il presente poemetto converrebbe ritenerlo opera della gioventù , anche prendendo largamente 1’ « adolescente etade » ond’egli stesso l’afferma composto, e riferirlo allora ai primi anni in cui fu doge il Barbarigo (14S6-1501), al che non si sconvengono le lodi compartite a Bernardo Bembo già famoso , mentre il figliuolo « dato al dilectoso studio — Delle nove sorelle d’ Helycona » si vedrà « prest’in fama..... sopra le stelle alzarsi a volo ». Poiché non è improbabile che Ventura (si ritiene nato fra il 1465 e il 1470) — 472 — abbia conosciuto Pietro suo coetaneo ne’ primi anni in cui dovette trasferirsi nel veneto e fermare poi stabile dimora a Ferrara. Diciamo tutto ciò per via di congettura che può aver qualche fondamento , e porgere un filo per nuove ricerche atte ad identificare Γ autore lunigianese delTesumato poemetto. Alfredo Segrè. Maestri di musica , cantori ecc. in Pisa nei secoli XVI, XVII e XVIII. Città della Pieve, Melosio, 1906, in 4.0, pp. 4 n. n- — È un contributo alla storia musicale pisana desunto dalle carte dell’archivio deH’Ordine di S. Stefano; istituto che teneva una speciale cappella di musica. Si vedono qui in elenco cronologico con alcune particolari notizie i cantori, i maestri di musica,-* i maestri del coro, gli organisti, i suonatori di violino, trombone ed altri strumenti. Notiamo un Giulio Berettari di Carrara che nel 1608 scrivendo d’aver fatto in patria le veci di maestro di musica, domandava d’ essere ammesso come contralto e soprano, e prendeva parte al concorso nell’anno stesso per l’elezione dell’organista: Giovanni Antonio di Girolamo Baronti di Massa musico nel 1636: e nel 1617 un Gio. Battista da Massa del Principe sacerdote, dottore, di circa 40 anni che è stato a Roma e Napoli e che canta e suona bene in particolare uno strumento chiamato fagotto (1617). Antonio Pilot. Un altro poeta coniugale del 9500, Roma, Poligra--fica, 1906, in 8.°, pp. 25 (estr. dal Fanfulla d. Doni.). — Un altro poeta veneto del '500 (Girolamo Verità). Prato , VeStri, 1906 , in 8.°, pp. 24 (estr. dalla Nuova rassegna di lett. moderne). — Due documenti vernacoli (inediti) in proposito della Lega tra Venezia e i Gri-gioni nell’anno 1603. Bellinzona, Colombi, 4905, in 8.°, pp. 11 (estr. dal Bollett. stor. d. Svizzera italiana). — Contro D. Pedro di Toledo. S. n. tip. 1905, in 8.°, pp. 4 (estr. dalla Nuova Rassegna). — Contro gli astrologi ed indovini. Capodistria, Cobol e Priora. 1905, in 8.°, pagine 8 (estr. dalle Pagine Istriane'). — L’alchimista Marco Bragadin a Venezia. Capodistria, Cobol e Priora, 1905, in 8.°, pp. 19 (estr. ivi). — Figlia mia fate manica. Arezzo, Sinatti, 1905 , in 8.°, pp. 8 (estr. dal Niccolò Tommaseo'). — Al costume ed alla storia di Venezia si riferiscono queste varie pubblicazioni. Il poeta coniugale ch’ei dà compagno al Rota, è Orsatto Giustinian, del quale esamina i sonetti dove meglio apparisce 1’ affetto per la compagna della sua vita ; sebbene altri versi audaci diano segno di amori estravaganti; l’altro poeta veneto sul quale richiama l’attenzione è Girolamo Verità da Verona illustrato in una monografia recente ; rileva alcuni tratti della sua produzione poetica e la ragguaglia con altre poesie inedite contemporanee notevolmente salaci di cui reca abbondanti esempi nelle note , chiudendo col riferire una canzone sconosciuta d’ indole storico-morale, degna specie per questo rispetto di veder la luce. Più strettamente storici sono i due componimenti che il P. ritiene, con buone ragioni, riguardanti la lega coi Grigioni del 1603, alla quale però questi non tennero fede, donde, dopo la canzone che è un inno di gloria levato — 473 — a Venezia , Γ epigramma satirico in loro dispregio ; e storici possono dirsi gli epigrammi contro il noto D. Pietro che dovette abbandonare il Piemonte nel 1616 costretto dalle armi vittoriose di Carlo Emanuele e del principe Vittorio. Allo svolgimento delle idee ed alla vita morale veneta nel cinquecento si riferirono così il curioso capitolo in vernacolo contro gli astrologi e gli indovini, come le poesie diverse a proposito di quel ciurmadore che fu Γ alchimista Marco Bragadin, il quale s’attribuiva potere di fabbricar l’oro e finì coll’essere giustiziato. È quest’ultimo un piccolo saggio del lavoro che il P. sta componendo sopra codesta strana figura. Viene ultimo il contrasto fra la madre e la figlia a proposito del monacarsi , motivo che rispecchia una tendenza del tempo e le riluttanze al sacrifizio di affetti e desideri umani vivamente sentiti. Documenti tutti questi utili ad essere conosciuti e tolti con amore all’oblio, siccome quelli che valgono a lumeggiare ne’ suoi vari aspetti un secolo famoso. Francesco Petrarca canonico di Pisa nel 1342. Nota di Carlo Cipolla. Torino, Clausen , 1906, in 8.°, pp. 8 (estr. d. Atti Accad. d. Scienze Torino, XLI). Due documenti pubblica il C. in questa sua nota; il secondo, 7 ottobre 1342, col quale papa Clemente VI ordina l’immissione in possesso del Petrarca nel Priorato di S. Nicolò di Migliarino, era già noto, perchè edito, non intero e con inesattezze, dal De Sade; l’altro sconosciuto è il conferimento d’ un canonicato nella chiesa di Pisa fatto dallo stesso pontefice il 22 maggio 1342 a preghiera del cardinale Giovanni Colonna. Da essi prende le mosse il C. per alcuni buoni rilievi intorno alle relazioni fra papa Clemente ed il poeta. Cesare Levi. Il Metastasio sulle scene. Napoli, Melfi e Joele, 1905. in 8.°, pp. 11 (estr. Rivista Teat. Ital.). — E. Maddalena. Il Metastasio « dramatis persona ». Roma, Unione Coop., 1905 , in 8.°, pp. 7 (estr. Rivista d'Italia). — Scene e figure molieresche imitate dal Goldoni. Napoli , Melfi e Joele , 1905 , in 8.°, pp. 14 (estr. Rivista Teat. Ital.). — Lessing e Goldoni. Torino, Loescher , 1906, in 8.°, pp. 22 (estr. Giornale stor. d. lett. ital.). — Il L. e il M. hanno ricercato quali lavori drammatici furono scritti intorno al Metastasio, o dov’egli abbia parte, e mentre il primo (lasciando da parte la « scempiaggine senza valore » d’un tal Smith intitolata II sior Zanetto o Un poeta ai Campi Elisi dove entra pure il Metastasio) uno solo ne trova in Italia d’un vecchio, e, a’ suoi dì, assai famoso commediografo , il Federici, il secondo due ne fa conoscere di penna tedesca. È curioso il rilevare come la commedia dell’italiano rimase sepolta nel suo numeroso teatro a stampa, e nessuno de’ suoi biografi o de’ suoi critici abbia almeno accennata ; perciò il L. ne espone la tela, e giustamente la giudica un lavoro pessimo. Si ferma a dimostrare come Γ autore l’abbia lavorato di fantasia e infarcita la sua commedia di errori storici e cronologici ; mentre ne avrebbe potuto cavare un bel dramma, con- Giorn. St. e Lett. della Liguria. 32 — 474 — siderando quale sia stata la vita dei poeta piena di episodi, contrasti, contraddizioni, donde poteva venire alla scena viva pittura di caratteri e d’ambiente, studio di animi e di sentimenti degni di nota. E il L. con rapidi tocchi e buona conoscenza dell’arte acutamente rileva i punti principali, i capisaldi intorno ai quali potrebbe svolgersi un buon lavoro scenico. Peggio ancora del Federici ha trattato il Metastasio Franz Scònthan recente autore di una Maria Tfiere sia, che a Vienna in grazia principalmente dell’ attrice Schratt, ha incontrato lieto successo. Il M. esamina da par suo questo lavoro, dove il poeta di corte ha una parte episodica che è uno « strazio indecoroso della sua persona ». Con miglior consiglio , sebbene sempre « fuori della verità storica » introdusse il Metastasio in un idillio drammatico dal titolo: Der Hirtensohor (Il figlio del pastore) Giuseppe Wertheim , fiorito nella prima metà del secolo scorso. Il M. pone in rilievo il modo onde Γ autore tedesco ha posto in iscena il poeta italiano, contraddicendo se vuoisi all’ indole egoistica e quindi alla verità storica di lui, ma circondando il personaggio dell’ aureola consacratagli dalla tradizione. Torniamo a più spirabile aere col Goldoni ed il Molière, dove ci riconduce pure il M. stesso di codesti studi maestro e donno. Egli ci avverte che il veneziano « piglia il buono dove lo trova » e, giovandosene con geniale abilità, v’imprime il suo suggello e con sottile indagine pone dinanzi ai nostri occhi non avvertiti contatti. La ben nota scena del taccagno Bernardino con lo spendereccio sventato nipote Leonardo trova il suo riscontro in quella fra don Giovanni e il creditore Dimanche nel Festin de Pierre molieresco: e da un altro luogo della stessa commedia deriva una situazione che si riscontra nella Donna volubile ; così il « sior Zamaria della Bragola » personaggio goldoniano che si trova in una delle Introduzioni per 1’ apertura del teatro di S. Luca (commediole le quali, ben osserva il M. , formano una sola famiglia col Teatro Comico e perciò degne di nota e di studio) ha un antenato nel Thorillière dell’Impromptu de Versaillesy donde non è difficile sia derivata al Goldoni la prima idea e delle Introduzioni e del Teatro comico stesso. Imitatore dunque ? Sì, ma « imitare così non è dato che ai grandi maestri ». E perchè grande maestro , riconosciuto anche dai contemporanei illustri ben degno di studio; di ciò porge bella prova coll’ultimo scritto il M. là dove si fa a considerare quel tanto che il Lessing trasse dal Goldoni, incominciando da quella disgraziata Erede fortunata che fermò 1’ attenzione del drammaturgo tedesco, il quale ne voleva fare , rimaneggiandola, « un lavoro a modo suo », e ne lasciò 1’ abbozzo frammentario, venendo giù giù a prestiti più o meno palesi che dalla Locandiera, dalla Bottega del Caffè, dal Giuocatore , dall’Adulatore , dal Curioso acci-denteì dal Vero amico sono passati ne’ lavori scenici del critico insigne. E al M., in grazia della consueta competenza e della informazione larga e sicura, nulla sfugge di quanto può valere a dar lume e rilievo all’assunto argomento, donde in ispecial modo apparisce quale ) — 475 — · influenza esercitò « l’opera fecondatrice del teatro goldoniano sull’ingegno comico del Lessing ». Andrea D’Oria alla Prevesa. Nota di Gaetano Capasso. Milano, Rebeschini, 1905, in 8.°, pp. 18 (estr. Rendiconti Istit. Lomb., XXXVIII). — La condotta di Andrea D’ Oria per la mancata battaglia alla Prevesa, ha dato argomento di dibattito ; ma la sentenza fu di condanna, ritenendosi eh’ egli abbia servito alla doppiezza di Carlo V in danno di Venezia. Il C. riprende in esame gli argomenti posti innanzi dagli storici, e giovandosi d’un nuovo documento, posteriore all’avvenimento, ma a quello riferentesi per indiretto, ritiene che non sia da ascriversi all’ Imperatore il segreto proposito di non combattere il Turco , che anzi il citato documento mostrerebbe quanto gli stesse a cuore debellarne con supremo sforzo la potenza, e debba del pari scagionarsi il D’Oria da qualsiasi torta intenzione, avendo egli fatto in quella circostanza ciò che era dovere d’un buon tattico e d’un esperto capitano. Non negheremo che il ragionamento del C. sia assai ben condotto ed anco stringente , e non abbia cercato suo prò altresì nel documento ch’ei reca; ma ciò non ostante a noi sembra non raggiunga la sua dimostrazione una prova positiva per togliere ogni dubbio così sulla politica di Carlo V, come e più specialmente sul modo di comportarsi deirammiraglio genovese. Gio. Lupi D’Aste. Brevi considerazioni sul Crocifisso dipinto da Guglielmo nel 1/3S. Sarzana, tip. Lunense, (1905), in 8.°, pp. 15. — Antica tradizione vuole che l’insigne pittura conosciuta coll’appellativo di Crocifisso di Guglielmo, già esistesse a Luni, e di là fosse trasportata a Sarzana quando vi fu trasferita la sede episcopale sui primi del dugento. Ma poiché la data di quell’opera d’arte è il 113S , si domanda l’autore pseudonimo (non difficile a scoprirsi sol che si ordinino diversamente le lettere sotto le quali si nasconde) « pratico » più che « alcun poco » della storia lunigianese, se Luni era a que’ dì ancora in tali condizioni da poter commettere, a mezzo de’ preposti alla sua chiesa, un lavoro di tanta importanza , e trova come la storia risponda che quella città era ormai ridotta allo stremo, mentre andava rapidamente crescendo e acquistava notevolezza Sarzana che si raccoglieva intorno alla sua Pieve di S. Andrea. Ed appunto in questa pieve il vescovo Gottifredo II convocò sul cadere del 1136 il solenne sinodo diocesano , eh1 ebbe luogo nel giugno dell’ anno appresso, in memoria del quale, e a suggerimento forse del presule e del clero quivi raccolto, gli operai probabilmente pensarono di ordinare al pittore Guglielmo quel Crocifisso da collocare nella chiesa medesima. Ed ecco che un testimonio oculare, lo storico sarzanese Ippolito Landi-nelli, narra come circa il 157° fosse levato questo crocifisso « rimasto per centinaia d’ anni appeso sopra una lunga trave che divideva il coro dell’ antica parrocchia nostra di S. Andrea ». Il trovarsi in questa chiesa da tempo immemorabile, il sincronismo della pittura e del sinodo, hanno indotto ΓΑ. alla congettura assai verosimile che in — 476 — quella opportunità il crocifisso venisse eseguito per commissione dei sarzanesi, contraddicendo così alla tradizione sulla sua provenienza da Luni. Girolamo Rossi. Documenti inediti riguardanti la chiesa di Ventimiglia. Torino , Paravia , 1906 , in 8.° gr. pp. 55 (estr. Misceli, di Stor. Hai.). — Sono XVI i documenti raccolti in questa silloge e tutti, salvo uno, inediti. Essi giovano a porgere notizie assai notevoli intorno alle vicende della diocesi e d’alcuni suoi pastori; mentre da essi discendono altri rilievi laterali utili alla storia d’uomini e di cose. E della loro importanza ha discorso il R. nelle osservazioni che son poste a corredo di ciascun documento a chiarirne il sostanziale contenuto e ad illustrare i fatti a cui si riferiscono. Come conclusione a co-desta raccolta, e per le ragioni esposte nel succoso preambolo, si reca infine il quadro cronologico de’ vescovi ventimigliesi, compilato secondo gli ultimi risultati della critica , che rassettano e modificano la serie già innanzi data dall’ a. nella sua pregiata storia di Ventimiglia, della quale è desiderabile una terza edizione (esaurite ormai le già u-scite), sì come sembra prometterla la presente pubblicazione , dovendosi avere in conto di materiale in servigio di essa. Troviamo qui (p. 25) una nuova e ineccepibile testimonianza, che l’umanista Iacopo Curio apparteneva a famiglia della riviera occidentale (male fu ascritto a quella di Spezia), e probabilmente a quella di Ventimiglia. Aggiungeremo per curiosità che una sua supplica 20 luglio 1444 ce lo rappresenta confinato a Gavi, e da poco emancipato. (Arch. Genova, Divers Comunis , fil. 15-3035) , e sei anni appresso presenta istanza per essere liberato dalla tassa di famiglia, dove sono notevoli queste parole : « diu iam pater suus Antonius de riparia unde traxit originem venit ad habitandum in civitate Ianue cum satis honestis facultatibus », ma poi caduto in miseria fu quasi costretto ad elemosinare ond’egli Iacopo, unico dei figli emancipato, dovette aiutarlo col proprio lavoro, come continua a fare al presente mentre da tre anni si è ridotto colla moglie e coi figli ad abitare in Savona conducendovi pure il padre vecchio e bisognoso : vien designato in ufficio di cancelliere di Tommaso da Campofregoso (Ivi, Divers. Com.} fil. 17-3038). Il benedettino Pier Maria Giustiniani di cui il R. fa onorato ricordo (pagine 5-6) e che fu vescovo di Ventimiglia dal 1741 al 1765 ; quello stesso che nel 1760 per incarico del governo genovese scrisse le Riflessioni contro alla Giustificazione della rivoluzione di Corsica (Arch. Gen. Comunium, fil. 607); si occupò con amore di cose storiche, e fin dal 1777 erano segnalati libri e manoscritti suoi lasciati nella casa degli ex-Gesuiti in S. Remo (Arch. Gen., Collegi, fil. 330); così più tardi nel 1803 vediamo ricordati i suoi mss. ventimigliesi presso il Vicario Capitolare (Ivi, Rep. Ligure, n. 399, 400, 405). — 477 — SPIGOLATURE E NOTIZIE. *** Nella monografia di Luigi Rossi: Venezia e il re di Napoli, Firenze e Francesco Sforza dal novembre 1450 al giugno 1451 (in Nuovo Archivio Veneto; N. S., A. V, vol. X, pag. 6) si accenna alla impresa di Lunigiana fatta da Alessandro Sforza « a richiesta dei Fiorentini in favore di Spinetta da Campofregoso signore di Fosdinovo, raccomandato di Firenze ». Qui è strana confusione, perchè i Campofregoso non ebbero mai signoria in Fosdinovo, e d’altra parte nel documento recato a corredo del testo si legge : « Versus Tusciam profecturus est ad petitionem M. Comunitatis Florentiae et in favorem Marchionis de Fivizano ». Il quale marchese si chiamava Spinetta, donde probabilmente la confusione di persona. Ed era proprio per ricuperare le sue terre occupategli da Iacopo marchese di Fosdinovo che a richiesta dei fiorentini, lo aiutò colle sue masnade Alessandro. (Cfr. Atti e Meni, delle RR. Deputazioni Modenesi e Parmensi , volume Vili ; Atti d. Soc. Lig. di Stor. Pat., χοΐ. X, pag. 363 e sg. ; Bianchi, Storia d. Lunigiana feudale, vol. Ili, pag. 501). A corredo di una monografia intorno a La famiglia di Tommaso Morroni e le fazioni in Rieti nel sec. XV, sono pubblicati da A. Sacchetti Sassetti tre brevi inediti di Nicolò V del 1450, 18 maggio; 30 giugno; e 1453 14 agosto. I due primi portano la firma dello scrittore pontificio « P. Lunensis », il terzo di « Pr. de No-xeto ». (Cfr. Bollettino della R. Deputazione di Storia Patria per ΓUmbria, vol. XII, pag. 119 e sgg.). e% Un interessante Voyage d'Italie è pubblicato da L. G. Pelis-sier negli Atti del congresso internazionale di scienze storiche (volume 111, pag. 173 e sgg., Roma, 1906). Ne è autore Francesco de la Plaate de Sotnmelsdyck, olandese, il quale, insieme ad altri, scese in Italia dalla Germania nella primavera del 1653 , e recatosi da Venezia a Roma e Napoli, al ritorno passò per la Toscana e quindi per la Liguria, avviato in Ispagna. Egli descrive con importanti e curiosi particolari i luoghi che attraversa, onde noi troviamo notevole assai il racconto del suo passaggio da Massa a San Remo. È a dolere che il manoscritto sia lacunoso là dove discorre di Genova; ma in ogni modo quanto è rimasto, che è la parte maggiore , ci presenta notizie ed osservazioni per più ragioni rilevanti. INDICE DELLE MATERIE Di Lanfranco Cicala e della scuola trovadorica genovese. F. L. Mannucci................PaS· Un manipolo di lettere di Andrea e Giannettino D’Oria. G. Ca- PASSO .................... 'X L’industria e il commercio in Sestri Ponente nel medio evo. A. Bozzo.................... Di alcuni scrittori pontremolesi della famiglia Bologna. P. Bologna .................... Contributo alla vita di Giovanni Fantoni. G. Sforza. 121 , 241 , X Documenti e notizie per la storia dell’ istruzione in Genova. A. Massa.................. Un asceta del rinascimento. A. Pellizzari .... 206 , 277 , Su la composizione del carme LXIV di Catullo. Manara Val- GIMIGLI ................... ^ Pietro Paganetti e la « Storia ecclesiastica della Liguria ». G. Rossi.................... Un nuòvo trovatore della corte Angioina. F. L. Mannucci . . VARIETÀ. Una lettera di Giambattista Renieri. A. N......... Il tentato assassinio della principessa Brigida Spinola Cybo. L. Mussi.................... Un restauro alla porta delle Fontane Marose. A. Pesce. . . Giunte al lessico dell’antico dialetto ligure. F. L Mannucci . . La stampa originale dell’ode a Luigia Pallavicini. A. N. . . . ‘ Un moto vandeano durante il governo della Repubblica Ligure a Sestri Ponente. A. Bozzo ............ Su d’un contributo di E. Simonsfeld alla storia genovese. G. Bigoni.................... — 479 — BOLLETTINO BIBLIOGRAFICO. M. L. Gentile. Studi sulla storiografia fiorentina alla Corte di Cosimo I (C. Man front)..............91 F. M. Costa. Sampiero corso (U. Assereno). 94 E. A. Freeman. Storia d’Europa (G. Bigoni)......- 220 ^"E. Pandiani. Un anno di storia genovese (C. Manfroni) . . . 342 ANNUNZI ANALITICI. P. Giannone. Vita scritta da lui medesimo pubblicata da Fausto Ni-colini, pag. 100. — G. Cogo. Intorno alla storia civile di P. Giannone, 100. — A. D’Ancona. Esilio e carcere di P. Giordani, 101. C. Sforza. Un missionario e sinologo piemontese in Cina, 102. — E. Boghen Conigliani. Storia della letteratura italiana (R. G.), 102. — Francesco Flamini. Varia (R. G.), 103. — G. Dolcetti. La fuga di Giacomo Casanova, 104. — A. Comandini. L’Italia nei cento anni del secolo XIX, 104. — F. Podestà. Cristoforo Colombo nacque in Genova, 104. — Qualche notizia sulla famiglia Medici di Lunigiana, 223. — G. C. Buraggi. Uno statuto ignoto di Amedeo IX , 225. — A. Solerti. Gli albori del melodramma, 226. — G. Dolcetti. Le bische ed il giuoco d’azzardo in Venezia, 227. — F. Rizzi. Le commedie osservate di G. M. Cecchi (71/. Lupo Gentile), 228. — A. D'Ancona. La poesia popolare italiana, 229. — C. Musatti. Dal vocabolario veneziano di Carlo Gol-doni (G. Bigotti), 230. — A. A. Bernardis. Cesare Borgia e la Repubblica di S. Marino, 230. — G. Setti. La Grecia letteraria nei Pensieri di G. Leopardi (N. Vianello), 345. — G. Rossi. Sopra un poemetto sul preteso diritto cosciatico , 347. — A. Pellegrini. Per la guerra dei sette anni (C M.)> 348. — G. Imbert. La vita fiorentina nel seicento, 461. — U. Villa. La casa di San Giorgio, 462. — F. Rizzi. Profilo storico del teatro comico popolare italiano nel sec. XV e XVI (M. Orliz), 463. — F. Rizzi. La commedia e il Goldoni (M. Ortiz), 464. — P. Parisi. Compendio di letteratura universale, 465. — A. Cappelli. Cronologia e Calendario perpetuo, 465. — Antologia della prosa scientifica italiana compilata da R. Guastalla, 466. — S. Ferrari. Versi, 466. -- S. Ferrari. Il Mago a cura di L. De Mauri , 466. — D. C. Promis. Monete ossidio- * — 480 — nali del Piemonte a cura di L. De Mauri , 467. — G. Manacorda. I manoscritti della biblioteca municipale Leardi, 467. — F. Z. Molfino. Il convento dei Cappuccini di Varazze , 468. — F. Z. Molfino. Compendiosa noticia historica do hospicio dos religiosos Capuchinos na cidade do Rio de Janeiro, 468. -- G. Bia-dego. Ingresso in Milano di Cristierna di Danimarca , 468. — G. Biadego. Un cremonese maestro a Verona , 468. — G. Roberti. Il centenario di un viaggio trionfale , 469. — C. Musatti. I numeri della tombola a Firenze, 469. — Per il primo centenario di Edoardo Calvo, 469. — L. Auvray. La collection Custodi, 470. — A. Medin. La Visione Barbariga di Ventura da Malgrate, 470. — A. Segrè. Maestri di musica , cantori ecc in Pisa nei sec. XVI-XVIII, 472. — A. Pilot. Un altro poeta coniugale del '500, 472. A. Pilot. Un altro poeta del *500, 472. — A. Pilot. Due documenti vernacoli , 472. — A. Pilot. Contro D. Pedro di Toledo, 472. — A. Pilot. Contro gli astrologi ed indovini, 472. — A. Pi-lot. L’ alchimista Marco Bragadin a Venezia , 472. — A. Pilot. Figlia mia fate monica , 472. — C. Cipolla. Francesco Petrarca canonico di Pisa, 473. — C. Levi. Il Metastasio sulle scene, 473. — E. Maddalena. Il Metastasio dramatis persona , 473. — E. Maddalena. Scene e figure molieresche imitate dal Goldoni, 473. — E. Maddalena. Lessing e Goldoni, 473. — G. Capasso. Andrea D’ Oria alla Prévesa , 475. — G. Lupi D’Aste. Brevi considerazioni sul Crocifisso dipinto da Guglielmo nel 1138,475.— G. Rossi. Documenti riguardanti la chiesa di Ventimiglia, 476. Spigolature e Notizie. Pag. 105, 231, 349, 477. Necrologie. Gustavo Saige, (G. Rossi), Pag. 108. — Ippolito Gaetano Isola, no. — Baldassare Avanzini, (M.), in. — Girolamo Rafto, 112. — Giovanni Giumelli , 113. — Severino Ferrari, 113. — Alessandro Magni Griffi (G. Sforza), 236. — Adele Pierottet, 351. — Achille Lombardini, 352. — P. Marcellino da Civezza, 352. Appunti di Bibliografia Ligure. Pag. 114, 238, 353. — Bibliografia Mazziniana, 117. Società Ligure di Storia Patria. Cronaca, Pag. 356. ----------- Giovanni Da Pozzo amministratore responsabile. λ\ PUBBLICAZIONI RICEVUTE Carlo Caselli. Speleologia. (Studio delle caverne). Milano, Hoepli, 1906. Michele Lupo Gentile. Sulle fonti della storia fiorentina'di Benedetto Varchi. Sarzana, Costa, 1906. Maria Ortiz. La cultura del Goldoni. Torino, Loescher, 1906. Stefano Fermi. Bibliografia Magalottiana. Piacenza, Favari, 1906. Mazzini. Conferenze tenute in Genova (Maggio-Giugno J905). Genova (Empoli, Traversar!), Lib. Chiesa, 1906. Impianto di un Museo Civico nel Palazzo Bianco. Sistemazione di Palazzo Bianco. Riordinamento del patrimonio artistico comunale. Relazione degli assessori Poggi e Croce. Genova, Bacigalupi, 1906. lipistola di D. Emanuele Re di Portogallo al Papa Leone X annunziandogli Ventrata solenne dell’ambasciata Portoghese in Abissinia. La riproduce da una antica edizione con note bibliografiche e storiche Prospero Pera-gallo. Genova, Papini, 1906. Francesco Novati. « Li dis du Roc » di Jea?i de Condé ed il gallo del Campanile nella poesia medievale, con due appendici e una tavola. Bergamo, Arti Grafiche, 1905. Nozze Ferrari-Toniolo. Pisa, il XII febbraio MCMVI. Perugia, Unione Cooperativa, 1906 Miscellanea storica novarese. Novara, Pazzini, 1906. Giuseppe Roberti. Torino eroica. Firenze, 1906. Francesco Novati. Le epistole [di Dante]. Firenze Sansoni, 1906. Silvio Andreani. Il comune di Casola in Lunigiana. Treviso, Nardi, 1906. AVVERTENZE 1) Il giornale si pubblica di regola in fascicoli trimestrali di 120 pagine ciascuno. 2) Per ciò che riguarda la Direzione rivolgersi in Genova al Prof. Achille Neri - Corso Mentana, 43-12. 3) Per quanto concerne ΓAmministrazione, esclusivamente all’Am- ministrazione del periodico - Spezia. 4) Il prezzo d’associazione per lo Stato è di L. 10 annue. — Per Γ estero franchi 11. AI SIGNORI COLLABORATORI La Direzione concede ai propri collaboratori 25 copie di estratti dei loro scritti originali. 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