_ "■W? GIORNALE STORICO E LETTERARIO DELLA LI- GURIA DO MAZZINI. diretto DA ACHILLE NERI e da UBAL- ANNO J. 1900 FASC. 1-2 GENN. - FEBBR. SOMMARIO La Direzione: Avvertenza — C. Manfroni: L’Archivio comunale di Portovenere — U. Mazzini : Gli autori di due relazioni anonime sopra Genova — F. Dona ver: Lettere di Bianca Rebizzo a Vincenzo Ricci — VARIETÀ: A. Ferretto: Un maestro eretico a Sestri Ponente — A. Neri : Il servitore di Bassville — BOLLETTINO BIBLIOGRAFICO. Si parla di: M. Rosi - C. Manfroni - Vittorio Poggi - Colonna De-Cesari Rocca - G. Bigoni — ANNUNZI ANALITICI. Si parla di : E. Bertana -G. Russo ·- G. Poggi - G. Garetta - P. Molmenti - G. Finzi - C. Cimati -A. D'Ancona - SPIGOLATURE E NOTIZIE — APPUNTI DI BIBLIOGRAFIA LIGURE. DIREZIONE Genova - Corno Mentana ♦3-1 a Ι-A SPEZIA Società d’Incora(tgiamcnto editrice Tip. di Francesco Zappa AMMINISTRAZIONE La Spezia · Amministrazione del Giornale A V VERTENZE 1) Il giornale si pubblica in fascicoli mensili di 40, oppure bimestrali di 80 pagine ciascuno. 2) Per ciò che riguarda la Direzione rivolgersi in Genova, al Sig. Prof. Achille Neri · Corso Mentana, 43-12. 3) Per quanto concerne ΓAmministrazione, esclusivamente all'Am-ministrazione del periodico - Spezia. 4) Il prezzo d’ associazione per lo Stato è di I.. 10 annue — Per l’estero, aumentato delle spese postali — Abbonamento speciale di favore per i soci della Società d’Incoraggiamento e della Società Ligure di Storia patria. Lire sei. 5) L’abbonamento si paga anticipato al ricevimento del i° fascicolo. AI SIGNORI COLLABORATORI La Direzione concede ai propri collaboratori 25 copie di estratti dei loro scritti. Coloro che desiderassero un maggiore numero di copie, potranno rivolgersi alla Tipografia Zappa (Spezia) che ha fissato i prezzi che seguono: Da i a H pagine Da i a *6 pagine Copie 50 ... . L. 6 Copie 50 . . · I- 10 » 100 ...» 9 » 100 .. · · * 4 » 100 successive >7 » 100 successive » >1 In questi prezzi si comprendono le spese della copertina colorata e della legatura, nonché di porto a domicilio degli Autori. Non saranno accettate commissioni inviate posteriormente alle bozze di stampa, le quali dovranno essere accompagnate dal prezzo determinato nella presente tariffa. GIORNALE STORICO E LETTERARIO DELLA LIGURIA Spezia - Tipografia di Krancbsco Zappa GIORNALE storico e letterario DELLA LIGURIA DIRETTO DA I ACHILLE NERI e UBALDO MAZZINI VOLUME I. LA SPEZIA Società >l'IncoraRKiamenln editrice Mticccc » AVVERTENZA Dire qui con molte parole quali saranno gli intendimenti del nostro Giornale, ci sembra affatto superfluo. Il nome di uno di noi richiama per certo alla mente ciò che fu un periodico, che portava altro titolo, del quale concorse alla fondazione, e che per venti anni egli curò, da sua parte, quanto meglio potè; l’altro, non nuovo nell’arringo storico e letterario, è animato dagli stessi concetti, e, associandosi al primo in questa nuova impresa, mira drittamente al medesimo line. E vero; in quei begli anni, di cui non verrà mai meno il ricordo, ci sorreggeva, ci illuminava, l’opera, la parola, il consiglio, il conforto d’un amico, che possiamo ben chiamare per molti rispetti maestro, Luigi Tommaso Belgrano; il quale aveva fondato il giornale, e lo dirigeva con noi. Ma se la immatura morte di lui, che non sarà mai pianta abbastanza, ci toglie una guida cosi savia e sicura, riman-gono ancora le dottrine e gli insegnamenti, ai quali si propone di rimaner fedele l’opera nostra, conformandosi nello spirito, nella materia, nell’ indirizzo, nello svolgimento, a 6 GIORNALE STORICO E LETTERARIO DELLA LIGURIA quel vecchio Giornale Ligustico, anche oggi consultato fruttuosamente, e che (sia detto senza peccare d’immodestia) per la serietà de’ propositi, per la equanimità dei giudizi, per la larghezza degli intenti incontrò il plauso ed il favore degli studiosi. Seguendo sì fatti principi, e pur mantenendo al nuovo periodico il carattere regionale, non vorremmo tuttavia apparire così esclusivi, da chiudere l’adito a scritture, a notizie, a recensioni bibliografiche che in qualche guisa si discostino dai confini della Liguria. Onde le nostre pagine potranno accogliere, come per il passato, non solo tutto quanto si riferisce alle regioni contermini, specie alla Lu-nigiana, una parte cospicua della quale fu sempre compresa nell’ambito del ligure dominio, ma quegli studi eque’ documenti eziandio, che illustrino qualche parte della storia e della letteratura italiana in generale. Nè ci sembra dover altro aggiungere; salvo l'augurio di veder il nostro giornale procacciarsi quel favore medesimo che l’antico aveva saputo acquistare. Achille Neri - Ubaldo Mazzini L’A R C H 1 V I O COMUNALE DI PORTOVENERE (NOTE ED APPUNTI) Nel decorso estate recatomi, come è mia abitudine, a passare alcuni giorni a Portovenere, volli fare qualche ricerca nell’archivio di quel comune. Mi stimolava non solo la speranza di trovarvi qualche documento importante per la mia Storia della Marina Italiana (poiché, com’è noto, Portovenere fu per molti secoli la sentinella avanzata dei domini liguri di terraferma e grande emporio e della marina commerciale, e della marina militare di Genova), ma anche il desidero di fare qualche indagine intorno all’epoca, nella quale la mia famiglia venne a stabilirsi in Liguria, dopo la sua espulsione dal territorio della Repubblica di San Marco. Ma non appena ebbi messo il piede nella stanzetta semibuia, nella quale si conservano le carte antiche, dovetti convincermi che ogni ricerca sarebbe riuscita infruttuosa, se prima non avessi proceduto ad un riordinamento sommario del materiale archivistico, che ad una prima occhiata si rivelava abbondante e non scevro d’importanza. Numerose filze e numerosi volumi e registri dal xv al xvm secolo erano collocati alla rinfusa, meglio dirci ammucchiati in uno scaffale, dopo che già erano stati abbandonati per molti anni alla mercè dei profani in un angolo della sala comunale nuova, dove molte carte avevano servito per accendere il fuoco, dove i cartoni di protezione delle filze erano stati in parte asportati e divelti, dove infine persino gli spaghi cogli agugliotti erano stati strappati. Filze di carte del xv secolo, contenenti lettere preziose dei Podestà ai 1 )ogi c risposte di questi, documenti notarili di gran 8 GIORNALE STORICO E LETTERARIO DELLA LIGURIA valore, erano così rimaste aperte e sparse al suolo ; nè era mancato chi in consiglio comunale avesse proposto di vendere o di inviare al macero quelle cartacce, che parevano inutile ingombro. L’odierna amministrazione comunale ha il merito di aver salvato quei preziosi avanzi dalla distruzione e d'aver disposto che si raccogliessero quelle carte in una stanza chiusa. Vennero allora ricomposte alla meglio le filze aperte, raccogliendole in mazzi e serrandole fra i cartoni, che primi venivano sottomano, e insieme colle poche filze, rimaste per ventura intatte, e coi volumi sopravvanzati alla dispersione, furono accumulate in uno stanzino, dove però i topi, i tarli e il salmastro continuavano Γ opera, già incominciata dagli uomini. Non appena io ebbi manifestata l’intenzione di dedicare qualche ora del giorno al lavoro di riordinamento, P amministrazione comunale accolse con grande entusiasmo le mie proposte, pose a mia disposizione la sala della scuola maschile, vi fece trasportare tutte le carte ed i registri, mi concesse facoltà di servirmi del messo e dell’ inserviente comunale per i lavori manuali, e diede ordine che mi si fornissero tutti i materiali, dei quali potessi aver bisogno (i). Prima mia cura fu quella di disporre in ordine cronologico i registri e i documenti, formando due categorie separate; impresa questa, in apparenza facile, ma in realtà assai noiosa e lunga, se non difficile, perchè un ordinatore precedente (non m’ è riuscito di saperne il nome, nè di accertare con precisione P epoca, certo non remota del suo lavoro) aveva segnato sulle copertine dei registri alcune date, in gran parte erronee, perchè fondate sopra l’erronea lettura dei numeri, romani o corsivi, dei registri stessi. Più grave ancora mi riuscì il riordinare le filze, perchè spesso i cartoni erano spostati e molte filze erano state ricomposte con carte del xv secolo mescolate ad altre del XVI, del xvii e perfino del xix! Tuttavia, dopo un paziente e minuto esame, son riuscito a disporre in ordine cronologico tutto il materiale; e ne ho potuto fare anche una sommaria divisione per materia, rendendomi (i) Debbo una parola di caldo elogio al sig. sindaco, Cav. Tori, ed ai segretari del comune, signori Barsanti e Bcrtalà per la premura e l'interesse dimostrato per questo lavoro, del quale riconobbero l'urgenza e Γimportanza. GIORNALE STORICO E LETTERARIO DELLA LIGURIA conto, per quanto me lo permetteva la ristrettezza del tempo, anche del contenuto d'ogni volume e d'ogni filza. Ho infine compilato un catalogo-inventario, dando ad ogni volume e ad ogni filza un numero progressivo e sorvegliando poi affinchè negli armadi della stanzetta, ampliati, ripuliti e rimessi a nuovo, i documenti venissero disposti e conservati nell’ordine stesso, in cui sono registrati a catalogo. Vi ho anche fatto applicare un cartellino provvisorio, recante il numero corrispondente dell’ inventario. * * * Esposto per sommi capi il metodo seguito, veniamo ora ad esaminare il contenuto dell' Archivio (i). Volumi — L'archivio comunale di Portovenere contiene numero 160 volumi, ordinati coi numeri 1-158, essendovi compresi i numeri I3l,is e 127 bis, trovati in mezzo a registri moderni, quando già il catalogo era stato compilato. Rispetto ai caratteri esterni dirò che nessuno d’essi è in pergamena; ma tutti in carta, per lo più delle dimensioni 32 χ 24 cm., e rilegati generalmente in pergamena, colle cuciture protette sulla costola esterna da striscie di pelle. Alcune copertine sono state fatte con fogli in pergamena, strappati da manoscritti di libri liturgici o di trattati filosofici ; alcuni pochi volumi hanno invece una copertina in cartone grigio; altri infine o hanno la copertina lacera, o mancante affatto: uno finalmente ha nella parte interna della pergamena un rozzo disegno a colori, nel quale un ignoto ed inesperto pittore ha tentato di rappresentare il golfo della Spezia. Una parte dei volumi ha forma di cartella chiusa, colla difesa inferiore prolungata e ripiegantesi sulla difesa superiore, alla quale è tenuta avvinta da una strisciolina di pelle; ma di questi fermagli pochissimi sono conservati, e alcuni, non ostante la diligenza e la cura postavi, andarono in pezzi appena toccati, perchè corrosi dai tarli e dall’ umidità (2). Rispetto al contenuto ho creduto opportuno di dividere i vo- ti) Si avverte che qui si parla soltanto di volumi e di carte anteriori al 1815. L’Archivio moderno non è stato ancora riordinato. (1) Spesso, di mano dei cancellieri del Comune, si trovano scritte sulla parte anteriore o sulla costola le indicazioni del contenuto, ma in gran parte sbiadite od illegibili. IO GIORNALE STORICO E LETTERARIO DELLA LIGURIA lumi in cinque categorie, da me indicate nell' inventario colle lettere A - E. La categoria A comprende un solo volume, intitolato Liber privilegiorum Portus Veneris, che è una copia autentica fatta nel secolo xvm dal notaio Flaminio Vissei, di un volume in pergamena, del quale si ha frequente memoria in altri documenti, e che ora è scomparso e probabilmente in possesso di qualche privato. Nel volume N. 6, che è un registro di spese (come diremo più sotto) si trova segnata all’anno 1781 la retribuzione di L. 70 al canc. Vissei per la copia del libro dei Privileggi; nello stesso volume si trova ricordo della spesa di L. 200 per un’altra copia in pergamena fatta nel 1760 dal canc. Aurelio Piaggi; un'altra copia, fatta di mano dello stesso Vissei, si trova neU’Archivio di Stato di Genova al N. 577 dei Λ/S. Queste copie erano fatte tutte le volte che si dovevano spedire i privilegi a Genova per ottenerne la rinnovazione. Quanto all’originale in pergamena abbiamo notizia che esso esisteva ancora nel 1745, poiché nel volume 15 (carte 22) troviamo ricordo di una deliberazione presa in quell’ anno dal comune di riporre il libbro del/i privileggi autentico nella cassa in cui si conservavano le sante reliquie, presso all’ aitar maggiore della Chiesa di S. Lorenzo, per sottrarlo ai pericoli del bombardamento minacciato dall'armata inglese. Si era allora durante la guerra di successione d'Austria e gli Inglesi colla loro armata cercavano di distrarre Genova dal combattere gli Austro-Sardi, facendo delle diversioni sul territorio della Repubblica. Dove sia andato a finire questo registro in pergamena, non m’è riuscito di scoprire. Mi riservo di pubblicare con opportuna illustrazione i documenti più importanti di questo registro che, anche per la storia generale della regione ligure, presenta un grande interesse; mi limito per ora ad accennare alle sue lince generali. 11 primo documento di immunità notato nel volume risale soltanto all’anno 1432, ma in esso si riportano numerosi documenti di epoca anteriore, e cioè del 1205, del 1259, del 1302, del 1332, tutti concordi nel concedere franchigie doganali, esenzioni da tributo e da prestazioni personali, in compenso della fedeltà dimostrata dai Portoveneresi alla Repubblica e dei servizi resi dai loro corsari nelle guerre navali. Così pure altri diplomi conferivano libertà di navigazione nelle acque di Sardegna, di Corsica, GIORNALE STORICO E LETTERARIO DELLA LIGURIA I I a Marsilia, ad Aigues Mortes e in altri luoghi. Questi privilegi furono poi ampliati nel 1444 dopo l’espulsione del presidio aragonese; confermati successivamente, spesso revocati in dubbio e argomento di ardenti e costose liti fra gli uomini del Comune da un lato, e i Podestà e l'Ufficio di San Giorgio dall’altra, liti risolute quasi sempre in favore dei Portoveneresi, la cui fedeltà e il cui zelo trovarono sempre equa soddisfazione. Il registro del Vissei contiene i documenti di tutte queste liti e di tutte queste conferme, con aggiunte d'altra mano fino all'anno 17S3; una giunta posteriore in foglio separato porta questa annotazione: « Sino all’anno 1797 primo aprile si sono goduti tali benefitii senza verunissima interruzione. C0S1 dal pubblico proclama di Sua Eccellenza il sig. generale Klenau, rinnovata tale epoca (sic) sene gode anche al presente !o stesso benefitio ». Siamo, come ognun vede, sulla fine del secolo, al momento in cui una parte della Repubblica ligure cadeva in potere degli alleati, che, abolendo la forma democratica di governo, ristabilivano i privilegi, aboliti nel 1797. Il volume dell’Archivio di Stato di Genova termina invece al 6 Nov. 1781. Ma di ciò e d’altre importanti questioni, parlerò in altro lavoro. * * * La categoria B comprende i volumi dal N. 2 al 7, e potrebbe intitolarsi dei bilanci comunali. Il voi. 2 contiene i conti dell’ amministrazione del Comune, rappresentata dal cassiere e da due revisori, dall’anno 1622 all’anno 1639. Vi sono notati tutti gli introiti (minestreria, o tassa di consumo sulle cibarie, gabella del vino, rendita dei beni della comunità), ma non quello dell’ancoraggio, che in virtù d’un privilegio antico doveva esser devoluto alla riparazione delle mura e della chiesa di S. Pietro. Le spese sono in gran parte rappresentate dagli stipendi al Capitano o Podestà, alle guardie della Sanità, al bargello, al messo del Comune, al medico, al campanaro, al predicatore; nè va dimenticata la spesa per le salve durante la processione di S. Pacomio, protettore del paese; quella pei Commissari inviati da Genova in tempo di contagio, quella per indennità al Podestà, quando si recava a far visite giudiziarie fuori del paese, e quella gravis- 12 GIORNALE STORICO E LETTERARIO DELLA LIGURIA sima per l’alloggio delle milizie che s'imbarcavano o sbarcavano a Portovenere. I bilanci in questo primo volume oscillano fra le noo e le 1500 lire annuali, e si chiudono generalmente in avanzo, eccetto quando si sostengono liti col Banco di S. Giorgio per l'interpretazione dei privilegi ; poiché fra avvocati, procuratori etc. si dovevano spendere somme non lievi. I revisori firmavano ogni anno il registro sia che approvassero il bilancio, sia che facessero osservazioni condannando il cassiere al rimborso delle somme pagate indebitamente o riscosse in meno. Notevole a pag. 75 rov. del voi. 2 la strana annotazione, che questo libro dei conti dalla serva del Podestà fu trovato abbandonato sul banco della Curia, e consegnato solennemente dal Podestà ai magistrati comunali. II voi. 3 riprende i conti dal 1606 e li continua poi fino al 1659. Due cose notevoli; l’obbligo imposto dal 1645 di far rivedere i conti anche dal capitano della Spezia, il quale, sedendo fuori delle porte (poiché per privilegio non poteva entrare) vi apponeva la propria firma e le proprie osserva2Ìoni e si pigliava 20 lire di indennità pel suo disturbo ; Γ aumento progressivo dei bilanci, che salgono talvolta a più di L. 3000, a causa delle cresciute spese di sanità (nel 1655 un Commissario costò L. 533, 9 soldi e 4 denari) e portano per conseguenza un aumento sulle gabelle e specialmente sulla stapola del pane. Il voi. 4, che va dal 1660 al 1686, segna una nuova diminuzione, nè presenta alcun notevole interesse; il voi. 5 che era stato adibito un tempo come registro giornaliero del cassiere, nelle prime 4 carte contiene il giornale di alcuni mesi del 1647; poi fu abbandonato, ed usato per registro annuo dei bilanci dal 1706 al 1740. Sicché rimane una lacuna dal 1686 al 1706, colmata solo in parte da due quaderni aggiuntivi, che contengono i conti del 1697, 1698 e 1705, forse sparsi avanzi di un registro precedente. Si noti che quel poco dotto o molto frettoloso ordinatore, del quale parlai poc’anzi, aveva scritto sulla coperta: Registro Conti dal ió/fi al 1746. I bilanci fino al 1716 presentano un avanzo costante, ma già nel 1725 si chiudono con un deficit, foriero di nuovi aggravi. Per la prima volta nel 1729 si trova notata la spesa per un maestro, che percepisce il lauto assegno di !.. 25, portate a 30 lire nel- GIORNALE STORICO E LETTERARIO DELLA LIGURIA 13 l’anno appresso, a 60 lire nel 1731, a 70 nel 1733. Egli era un frate del convento di S. Francesco e ben presto potè, cumulando anche le funzioni di orologiaio, raggiungere le 100 lire annue. Nel 1737 compare un portalettere (pedone) con assegno fisso di L. 20. Il voi. 6, di tutti il più grosso, va dal 1740 al 1804 in carte 171, ma più d’un terzo del volume è rimasto in bianco. Importantissimo è per le notizie indirette che ci fornisce intorno alla parte presa da Portovenere nella guerra di Successione d'Austria-, poiché scorrendo i bilanci ci imbattiamo in somministrazione forzata di viveri, di legna, di fieno, ora per gli Spagnuoli, ora pei Tedeschi, che vengono a presidiare la Palmaria e il castello di Portovenere. Sappiamo anche da quelle cifre che si armò nel 1748 una guardia di cittadini, trovandosi registrata la spesa per l’accomodatura degli schioppi, mentre una forte colonna di milizie mercenarie assoldate da Genova, con un colonnello e molti ufficiali, viveva di continue requisizioni. Nessuna meraviglia che il cassiere, Giovanni Capellini, un antenato dell'illustre geologo senatore Capellini, segnasse nel 1749 la spesa di L. 161 per il solenne Te Deum in ringraziamento della pace di Acquisgrana! Più tardi nuove spese per la costruzione del forte di Santa Maria (presso il Varignano) e per le strade di accesso; nuovi aggravi per pagare al capitano della Spezia la tassa del macinato, dalla quale, non ostante le loro immunità, i Portoveneresi non riuscirono ad essere esonerati, per quanto s’adoperasse a questo scopo un Bartolomeo Manfroni, nominato sindaco e procuratore del Comune presso il Doge di Genova. Ma l'interesse del volume cresce coll’approssimarsi dei tempi nuovi ; infatti noi sappiamo ben poco degli avvenimenti, dei quali fu teatro il golfo di Spezia nell’epoca che va dal 1796 al 1805; c il nostro registro di conti, se opportunamente messo a confronto con altri volumi, con documenti di altri archivi, con le poche opere storiche a stampa, potrebbe fornirci qualche lume. Mi limito per ora a segnalare che i conti del 1797 firmati dal cittadino cassiere e ratificati dal Comitato delle Finanze di Spezia, registrano gli stipendi per l'istruttore della guardia nazionale, pel giandarme, pel tamburino; la spesa per l’acquisto di una cassa di tamburro per chiamare a raccolta ; le spese per beveraggi c cibarie agli ufficiali francesi ed ai marinai di uno 14 GIORNALE STORICO E LETTERARIO DELLA LIGURIA stazionario, spese per trasporti di cannoni in Palmaria, per visite alle batterie, per posti di guardia contro gli inglesi. Sotto l’aspetto finanziario sono abolite le minestrerie, le stapole, le pinte, o almeno, mutato nome, si chiamano gabelle dei macellari, dei fornai etc. Ma eccoci alla reazione del 1799; la Repubblica cade, entrano i Tedeschi, non meno dannosi dei Francesi alle finanze comunali ; e i magistrati, eletti dalla Cesarea Regia Reggenza della Spezia, non sanno in qual modo provvedere al bilancio, che nel 1799 si chiude in disavanzo (1). Ed ecco nel 1S00 riprendere il suo ufficio la Municipalità (detta francesemente anche Mairie) ; e in conseguenza ecco mutarsi le spese : non sono più i tedeschi, ma i francesi che fanno requisizioni ; compaiono i cittadini commissari, alcuni dei quali destinati al servizio dei segnali sull'alto della Palmaria; altri chiamati al servizio di Sanità, al servizio dei prigionieri c via dicendo. Tutto un sistema amministrativo viene in luce e con esso molti fatti ignorati fin qui. Si tratta di cifre aride; ma da quelle cifre quante notizie utili per chi volesse scrivere una storia di quell’epoca! L' ultimo dei volumi della categoria (N. 7) è un libro lacero in principio, che contiene verbali di contravvenzioni, di denunzie, di consegne, per gli esercenti e gli appaltatori del Comune. Comincia col 1643, termina a carte 125 coll'anno 1649; ed è stato da me ascritto alla categoria B, solo perchè il suo contenuto è esclusivamente d'indole finanziaria. * * * Di gran lunga più importante per la storia interna del Comune è la categoria C, che dal titolo recato in testa da alcuni volumi potrebbe chiamarsi categoria dei decreti (Decretorum). In sostanza si tratta dei verbali delle sedute del Parlamento di Portovenere, nel quale venivano eletti gli agenti, o amministratori del Comune, e dei regolamenti e decreti emanati dallo stesso Parlamento in tutte le questioni amministrative. Un lembo del (1) Faccio notare che i conti de! periodo repubblicano si trovano notali, dopo quelli del periodo di occupazione austriaca, forse perchè il cassiere, prevedendo temporaneo il governo giacobino, avrà creduto conveniente di tenerli in foglio separato; e poi, ritornati i Francesi. |>er regolarità, li pose nel registro. GIORNALE STORICO E LETTERARIO DELLA LIGURIA 15 velo, che ricopre la storia interna dei nostri comuni liguri, si solleva ed ha specialissima importanza per la condizione tutta particolare di Portovenere, che è colonia semiautonoma. Il vol. i di questa categoria (8° dell’elenco generale) porta il titolo di Libro decreti della Magnifica Comunità di Portovenere registrati Γ anno 164Q; ma in realtà i documenti in esso registrati sono di gran lunga più antichi. Da una nota a carte 34 appare che nel 1649 l’archivio di Portovenere era molto disordinato e che il notaio, che allora fungeva da segretario, stimolato dagli ordini di due sindacatori spediti da Genova cercò di raccogliere i documenti dispersi per incuria dei suoi predecessori. Troviamo infatti registrati, seguendo l’ordine del volume, una tariffa dell’imposta di menestreria dell’anno 1581, una copia del testamento di Giovanni Grazioso, morto nel 1404 e che lasciò ai poveri del Comune la sua vistosa eredità, che ancor oggi è parte del patrimonio della Congregazione di Carità; una lunga serie di decreti, di lettere, alcune delle quali del Doge di Genova (a. 1531) rispetto alla posizione giuridica di Portovenere di fronte ai villaggi di Marola, Panigallia e Ca’ di Mare, che facevano parte del distretto amministrativo e dovevano sobbarcarsi ad una parte delle spese, imposte dal Comune; una serie di disposizioni rispetto all’elezione dei 30 membri del Parlamento e dei quattro agenti, od amministratori (anno 1617); e poi ancora risalendo altri documenti rispetto al mercato dei pesci (anni 1561, 1582, 1600 etc.). Nel registro, che giunge sino al 1762 si trovano poi molti altri e notevoli documenti, sia rispetto alle perpetue e sempre rinascenti questioni di giurisdizione con Marola, sia rispetto ad altre questioni comunali, sia infine rispetto all’Archivio, intorno al quale tutti i sindacatori, mandati da Genova, rinnovavano inutilmente esortazioni ed ordini, dolendosi che i topi rodessero le carte, che le lenze dei fogliazzi notarili fossero state strappate, che le carte si fossero smarrite, e stabilendo che in tutti i modi si ricuperassero quelle cadute in mano dei privati (1). (Jucsto primo volume è dunque un repertorio di documenti più antichi in gran parte smarriti; ma dall'anno 1639 in poi incomincia (1) Λ siffatte disposizioni, grettamente interpretate, deve attribuirsi Instato attuale di alcuni fogliazzi (filze), come a suo luogo si dirà. l6 GIORNALE STORICO E LETTERARIO DELLA LIGURIA una serie di volumi (i) che, salva qualche interruzione dovuta a smarrimento, ci conservano le deliberazioni comunali fino all’epoca dell’annessione della Liguria all’impero francese. E una serie abbastanza ricca di notizie sulle famiglie del Comune e sulle condizioni dei paesi del golfo, sulle gare e gelosie di Portovenere coi paesi della sua giurisdizione, sulle cerimonie religiose, sulle querele interne, su tanti piccoli fatti, che non sono privi di importanza, quali i provvedimenti presi per assicurare il paese dai corsari di Barberia, dalle incursioni degli Inglesi o per aiutare Genova nella sua lotta colla Corsica. Certo per la storia generale non hanno molta importanza le lotte fra quei di Marola e i Portoveneresi, che terminavano spesso coll’arresto dei delegati della prima località quando tentavano di toglier validità alle sedute ritirandosi, allorché si trattava di ripartire le imposte; ma chi vorrebbe negare che esse possano essere prezioso contributo ad una storia delle amministrazioni municipali nostre? Ma specialmente notevoli sono i tre ultimi volumi della serie (19-21), che abbracciano un periodo storico fra i più agitati e nel tempo stesso fra i meno noti, per ciò che riguarda la vita comunale. Il 19° porta il titolo Processi verbali della Municipalità e cantone di Portovenere e incomincia coll’ anno 2° della Repubblica ligure. La prima seduta è del 16 luglio 1798 e contiene un curioso proclama, firmato da cinque membri eletti dal Cantone, col quale si promette di riparare agli inveterati abusi. Segue una lettera della Municipalit'a ai frati di S. Francesco, perchè vogliano gratuitamente insegnare Γalfabeto e la costituzione democratica; altra lettera dei poveri municipali che invano (1) Volume 9 — dal 1639 al 1648 con molti fogli volanti intercalati » IO » 00 al 1653 ■'ί- Ό » II » 1653 al 1675 » 12 » 1697 al 1705 » 13 » 1705 al 1719 » 13 bis » 1719 al 1729 » H » 1729 al 1737 » 15 » 1738 al 1746 » l6 » 1746 al 1756 » 17 » 1756 al 1767 » l8 » 1767 al 1783 » 19 » 1798 al 1803 » 20 » 1805 al 1816 » 21 Panigallia 1798 GIORNALE STORICO e LETTERARIO DELLA LIGURIA chiedono a Spezia ed a Genova con quali leggi debbano governate il Comune, poiché le antiche sono tutte abolite e le nuove mancano; e giù giù altre notizie importanti, l’armamento della guardia nazionale, i provvedimenti presi contro gli Inglesi, l’invio di una compagnia francese fatto dal Miollis, la venuta dello stesso Miollis a Portovenere e gli ordini da lui impartiti per assicurare la posizione da una sorpresa, le prepotenze del capitano francese, che minaccia di bastonare i municipali, le dimissioni degli stessi municipali, il vandalismo dei Francesi, che abbruciarono i quadri dell’aitar maggiore nell’artistica chiesetta di S. Pietro, 1 innalzamento dell’albero della libertà nell’isola di Palmaria, e via via fino al maggio 1799, in cui ad un tratto si preparano navi e viveri per i Francesi, che si imbarcano, cedendo dinnanzi alle forze della coalizione. F qui il volume presenta una lacuna (carte 53), abbastanza spiegata da questa nota appostavi più tardi : « Libertà - Eguaglianza. L’invasione dei nemici in questo territorio avendo apportato fra tanti mali anche lo smarrimento delle carte pubbliche, si e reso impossibile di lasciar monumento alla posterità delle deliberazioni e decreti che la Municipalità del cantone aveva fatti dal principio della sua installazione, che ebbe luogo li 22 maggio 1799 secondo il disposto della legge del 5 e 6 aprile 1799 anno 2 e non descrivere (sic) in questo Registro che gli atti incominciati il 1° luglio 1800, anno iv etc. ». E infatti incominciano gli atti coll’ affissione dei proclami del vincitore di Marengo, che aboliscono le autorità restaurate dagli Austriaci e ripristinano il Municipio repubblicano, la guardia nazionale etc. Si fa l’inventario dei beni nazionali, si sequestrano e si registrano i possessi dei conventi (principalissimo quello delle Grazie), si stabiliscono nuove tariffe d’ ancoraggio, e si costituisce una compagnia di cantonieri, si protesta contro la condotta degli ufficiali e dei soldati di un battaglione francese, accantonato a Portovenere, etc. Da quelle lettere veniamo a sapere che un brigantino inglese mise una taglia di 10.000 pezzi sui Portoveneresi, per rappresaglia di alcune cannonate sparate dai forti contro 1’ armata britannica, e che per questa ragione — e più ancora per timore di nuove spese — il Comune protestava contro la costruzione d’una batteria nel convento di S. Francesco (odierno ospedale di Marina). Accresce l’importanza del volume Gior, St. e Lctt. della Liguria 2 GIORNALE STORICO E LETTERARIO DELLA LIGURIA una lettera del luglio 1802, nella quale 1 amministrazione mu nicipale, congratulandosi col Senato della Repubblica Ligure pei la nuova costituzione, dà in forma ampollosa un riassunto dei mali patiti, fra i quali tiene il primo posto la distruzione del forte La Seriola, fatta dagli Inglesi nel 1800. In una parola a chi vorrà consultarlo con pazienza, il volume 19 potrà fornire largo contributo per una monografia, più che locale, regionale. Peccato che manchi il volume successivo dal giugno 1803 al settembre 1805 ! Quello che segue incomincia appunto col 1° Vendemmiatore dell’anno 140 della Repubblica; ma ormai la Repubblica è scomparsa, Portovenere è parte dell'impero francese: francesi sono i titoli dei magistrati, francese la lingua ufficiale; e i nomi esotici di maire, budget, octrois ricorrono nelle lettere scritte al Sottoprefetto di Sarzana, al presidente del cantone di Spezia, agli altri magistrati. Ma non minore perciò è l’importanza del volume, specialmente per chi volesse studiare gli ordinamenti finanziari e militari nelle pro-vincie annesse all’impero. E cosi pure per quel che tocca la marina, l’istituzione delle compagnie di cannonieri guardacoste, i piani di difesa del golfo di Spezia, i frequenti tentativi deg 1 Inglesi per impadronirsene, il volume fornisce notizie nuove e non prive di importanza. Dell’anno 1814 si trova invece pochissimo; un fugace cenno sulla partenza dei Francesi; una breve nota sullo stabilimento dei Capi Anziani, che sostituiscono il maire, e che son posti alla dipendenza di un Governatore dei confini orientali, un cenno sul ristabilimento della Guardia Nazionale per difendere il Golfo dalle temute invasioni dei Barbareschi, un altro infine sull occupazione inglese (24 uomini ed un ufficiale) dopo la fuga di Napoleone dall’Elba. Per l’anno 1815 importantissima invece e la notizia della venuta a Portovenere del re Vittorio Emanuele I, e dei preparativi fatti per accoglierlo. Si chiude il volume con alcune lettere dell’aprile 1816, nelle quali si narra la cattura di una navicella peschereccia fatta presso le bocche del Golfo a un lancione dei corsari barbareschi! Il voi. 21 contiene gli atti della Municipalità di Panigag la, resa autonoma nel 1798 e rimessa poi subito dopo sotto 1 am ministrazione di Portovenere. Vi si contengono documenti dal 16 luglio al 21 dicembre 1798; ma vi sono unite molte carte GIORNALE STORICO E LETTERARIO DELLA LIGURIA 19 sciolte, che si riferiscono a Portovenere, e fra le altre un bilancio (budget) dell’anno 1806, firmato dal maire e approvato dal sottoprefetto di Sarzana. * * * La categoria D comprende volumi 50 (dal 22 al 71), alcuni dei quali portano l’indicazione Diversorum, altri quella di Civilium, altri infine non hanno indicazione di sorta. Sono appunti e transunti di decreti del podestà e castellano di Portovenere, riflettenti questioni di giustizia civile; ordini di amministrazione interna del Comune, comunicazione di ordinanze emanate dal Doge e dai Collegi della Repubblica, sentenze in cause di pascolo o di transito abusivo, applicazione di multe etc. ; in una parola, per servirmi dell’intitolazione data ad un volume (il 30°) da un notaio più diligente degli altri, vi si trovano Praecepta, sequestra, licentiae generales, detentiones, debita confessa et accusationes. Il più antico volume (N. 22) comincia coll’anno 1591 e termina col 1595, ma i primi quaderni erano stati asportati e mancavano, sicché il volume cominciava col 1593; ma a lavoro finito, mi accadde di ritrovare quei quaderni in mezzo ad un mucchio di carte sciolte, e potei così rimetterli a posto. Grazie ad alcuni fogli, che contengono appunti e notizie di anni anteriori, si può risalire quasi senza interruzione fino al 1560. Ma, per quante ricerche abbia fatte, non m’è riuscito di trovare i registri posteriori fino all’anno 1641, dal quale la serie procede senza gravi interruzioni fino alla fine del secolo xvm. Ho trovato solo la coperta di un volume coll’ indicazione Diversorum 1604-1605, ma adoperata come coperta di altro volume posteriore. Da questo e da altri indizi, fra cui alcune raschiature, si presenta spontanea la congettura che, per ragioni di economia, nella prima metà del secolo xvn si adoperassero pei volumi nuovi le copertine di quelli antichi, e si disperdessero o abbruciassero i quaderni di note. E ciò corrisponderebbe appieno colla lagnanza dei commissari sindacatori che nel 1649 si dolevano della dispersione dei documenti e dei volumi d’Ar-chivio, ordinando al notaio Malerfi che ne tentasse il ricupero e comminando pene severe ai notai trascuranti. Il voi. 22 colle note degli anni 1560-1591 sarebbe appunto il risultato delle indagini tentate dal Malerfi. 20 GIORNALE STORICO E LETTERARIO DELLA LIGURIA Dal 1649 le interruzioni sono numerose, ma dovute forse alla pessima conservazione delle carte nella seconda meta di questo secolo; mancano i volumi dal 1658 al 1662, dal 1665 al 1668, dal 1669 al 1673, dal 1676 al 1679, dal 1680 al 1687, dal 1699 al 1701, dal 1710 al 1715, dal 1749 al I752. dal *763 al ï?66· La serie si chiude col voi. 71, che giunge fino al 1804, alla vigilia cioè dell’annessione della Liguria alla Francia, quando cioè 1’ amministrazione giudiziaria comunale fu abolita e deferita al tribunale di Sarzana. Scorrendo rapidamente questi volumi, v’ho trovato una larga messe di notizie per ciò che riguarda la divisione della proprietà fondiaria nel territorio, e la genealogia delle famiglie più importanti ; colla scorta di quelle carte m’è anche riuscito facile il ricostruire, almeno in parte, la serie dei podestà e dei notai, e i volumi dei Criminalium, di cui parlerò più tardi, m hanno aiutato a colmare gran parte delle lacune. Negli uni e negli altri gli studiosi di diritto e di procedura potrebbero trovare largo pascolo alla loro curiosità e completare le loro cognizioni intorno ai sistemi giudiziarii, in uso nelle podesterie della Repub blica, e perciò credo opportuno di richiamare la loro attenzione su questa raccolta, eh’ io credo unica nel suo genere. Per la storia vi è poco, oserei quasi dir nulla, quantunque le ricerche mie per la ristrettezza del tempo e il numero non piccolo dei volumi non possano dirsi complete. Non mi sono tuttavia sfuggite queste notizie, che sul foglio di guardia di^ uno dei volumi (il 27bis), scrisse nel 1654 il notaio del podestà. « Del mese di Luglio passò di qua la nipote del cardinale Mazzarino, che andò a Modena a sposarsi con il Principe di Modena » (1). E poco dopo: « 1655 del mese di Aprile venne in Golfo un vascello da Guerra e sei galere di Spagna che andavano a sbarcare a S. Pietro d’ Arena infantaria per soccorrere la città di Pavia » (2). (1) Qui si allude certo alla Laura Martinozzi, che sposò Alfonso d Este, figlio < > Francesco I e procurò al duca Francesco Γ aiuto nella guerra che ingiustamente t, i aveva mosso il governatore di Milano, Marchese di Caracena. (2) Le milizie franco-piemontesi, comandate dal principe Tommaso di Sa\oia, ca ate in soccorso del duca d’Este, assalirono, come è noto, Pavia nel 1655; ma si ritiasseio all’annunzio dello sbarco di grossi rinforzi spagnuoli. Vedi Ricotti, Stona de.la M. P-, IV, 125. GIORNALE STORICO E LETTERARIO DELLA LIGURIA 2 I Peccato che gli altri notai, fra una citazione e l’altra, non abbiano intercalato anch’ essi notizie storiche, simili alle precedenti. Che bel diario si sarebbe potuto compilare! Noterò ancora che nell’agosto 1797 (voi. 70) scompare il praetor e il notarius curiae con lui ; e compare il cittadino giudice civile del cantone col suo cittadino cancelliere; torna nel 1799 a far capolino il praetor, per iscomparire definitivamente dopo la battaglia di Marengo, sostituito dal giudice di pace. * * * La categoria E comprende i volumi dal 72 al 158, i più numerosi dell’ archivio, che contengono i processi criminali, donde il titolo Criminalium. Cominciano coll’anno 1610 e con molte interruzioni, vanno fino all’anno 1795. V’è dunque raccolta tutta la storia della delinquenza nella costiera occidentale del golfo di Spezia, da Marola a Portovenere, per quasi due secoli. Dal piccolo furto campestre d’un pugno d’olive e d’un canestrino di fichi sino agli omicidi, alle grassazioni, ai venefici, tutta questa parte della vita del nostro popolo, che non è certo la meno utile ad essere studiata e conosciuta, ci passa dinnanzi, sotto forma di querele, di verbali d’accesso, interrogatori, relazioni dei bargelli, relazioni e fedi mediche, sentenze etc. La vita del podestà, che è anche giudice criminale, non scorre molto tranquilla ; ogni mese egli deve recarsi fuori residenza almeno sei o sette volte, ora per fare un’ inchiesta per omicidio, ora per ratto di minorenne, ora per un accesso sul luogo dove è avvenuto un furto. Quantunque in gran maggioranza i processi riguardino furti campestri, o ingiurie personali, o offese al nunzio del Comune, 0 pettegolezzi di donnicciuole, o risse, o porti-d’armi insidiose, non mancano questioni gravi e complicate, nelle quali il pretore si debba rivolgere per istruzioni e chiarimenti alle autorità genovesi. Rissosi e prepotenti ci appaiono specialmente gli uomini di Marola e di Panigaglia, pronti a metter le mani alle spade od ai pugnali; pronti a vendicarsi d’una parola offensiva con una stoccata; ma anche i marinai di Portovènere non ischerzano e, specialmente coi forestieri, marinai d’ogni paese che bazzicano nel porto, menano volentieri, la lingua prima, le mani poi. E che 22 GIORNALE STORICO E LETTERARIO DELLA LIGURIA dire dei reati contro il buon costume, intorno ai quali i processi hanno un singolarissimo carattere, perchè sembra che il magistrato si diverta ad adoperare le parole più crude ed a costringere la querelante (talora anche il querelante) a narrare con episodi minutissimi l’oltraggio patito ? Talora anche si trovano interessanti questioni di diritto, superiori all’ intelligenza cd alla perspicacia del podestà, risolute poi dai magistrati genovesi. Quei De Franchi, quei D Oria, quei Lomellino, quei De Ferraris, quei Foglietta, quei Gentile, quei Cattaneo, che troviamo giudicanti nella loro cuna, si rivelano ora ingenui, ora scaltriti, ora parziali, e, anche da questo lato, la lunga serie di volumi si presterebbe a mio avviso ad un curioso studio ; senza contare che, dal lato giuridico, e special-mente rispetto alla procedura, molte ed importanti discussioni potrebbero farsi. Questi volumi, meglio dei precedenti, perchè più numerosi, quantunque con non minori interruzioni (i), ci aiutano anche a ricostruire la serie dei podestà ed a farcene conoscere il carattere. * * * E veniamo finalmente alle filze o fogliazzi infilati. Quando cominciai il lavoro di riordinamento esse erano in numero di 150, in parte consunte 0 rose dai topi, in parte mancanti di cartoni di protezione, in parte prive della lenza, o spago, e quindi sciolte. Ma non appena ebbi dato una scorsa al loro contenuto dovetti accorgermi che una parte di quelle risultava dall’ accoppiamento casuale di due o più filze, 0 frammenti di filze di epoche diverse, d’argomenti diversi, accoppiamento avvenuto in epoca relativamente recente, quando cioè dalla sala comunale i documenti erano stati trasportati nello (1) Mancano i volumi dal 1611 al 1625, dal 1631 al 1634, dal 1635 al 1639, dal 1641 al 1642, dal 1643 al 1644, dal 1645 al 1648, dal 1653 al 1658, dal 1676 al 1679, dal 1680 al 1684, dal 1697 al 1698, dal 1707 al 1709, dal 1730 al 1731, dal 1776 al 1777 e finalmente tutti quelli dal 1786 al 1793. Vi sono poi solamente frammentari, o per metà soltanto, altri registri, come il 122 (1722-27), il 130 (1742-44) ed altri, che contengono i processi solo d’una parte dell anno. Ma non sempre queste lacune sono complete, perchè il cancelliere, o registrava in ritardo gli atti di un processo, o, quando per un supplemento d’inchiesta doveva riapiiilo, riassumeva in poche parole ciò che nei volumi precedenti si conteneva; sicché molti vuoti si potrebbero colmare. GIORNALE STORICO E LETTERARIO DELLA LIGURIA 23 stanzino chiuso. Altre filze invece apparivano composte di carte di epoche diverse; ma l’ordine cronologico dato alle carte, alcune delle quali ancora infilate, dimostrava che la raccolta era stata fatta in epoca remota, e probabilmente dagli stessi notai 0 cancellieri del Comune in seguito alle ispezioni ed alle raccomandazioni dei sindacatori del 1649, del 1722 e del 1762, i quali, come abbiamo veduto, hanno lasciata memoria di sè nei registri e d’altri, che possiam credere facessero ispezioni in epoche più vicine a noi, quantunque non ce ne rimanga il ricordo. Mi parve dunque opportuno di lasciar intatte queste ultime filze; e necessario invece di separare quelle che per ignoranza erano state accozzate a caso, e di tentare di ricomporre le sparse membra di quelle disgregate. Lavoro, come ogun vede, non piacevole, ma tutt’ altro che difficile, ove si ponesse mente alla cronologia dei documenti; m’è però venuto meno il tempo, solo perchè la curiosità mi spingeva a gettar un’occhiata, oltre che alla data, anche al contenuto, quasi sempre importante ; ma perchè veramente il lavoro di divisione dovette più volte esser rifatto. Ho in questo modo formato di 150 ben 168 filze, così distribuite : Dal N. i al N. 26 (compresi due numeri duplicati 20bis e 20ler) carte del secolo xvi. La più antica (N. 1) contiene carte dal 1512 al 1560; ve n’hanno altre (N. 2, N. 3 etc.), che hanno carte del 1527, del 1529, del 1532; una (N. 6) rovinata dai topi e quasi illegibile, ha carte solo dell’anno 1544; le altre per lo più hanno documenti di un lungo periodo d’anni (1). Ho dato loro l’ordine numerico, secondo la data della carta più antica; senza curarmi della data a cui giungevano le più recenti. Questo primo gruppo è quindi in prevalenza miscellaneo, e si deve certamente la sua conservazione all’ opera solerte dei sindacatori genevosi. Dal N. 27 fino al N. 95 seguono con poche interruzioni le filze del secolo xvn, ciascuna delle quali contiene i documenti d’un anno, di due, talvolta anche di tre ; talora per un medesimo anno v’hanno due filze, una per gli atti del Comune, l’altra per (1) Per maggior chiarezza riporto qui un sunto dell’inventario - catalogo - N. i (1512-1560), N. 2 (1527-1532), N. 3 (1529-I600), N. 4 (1532-1536), N. 5 (1537-1600), N. 6 (1544). N. 7 (1548-1570), N. 8 (1555), N. 9 (1556-1600), N. 10 (1559), N. n (1559-1588), N. 12 (1560-1602), N. 13 (1560-1605), N. 14 (1562), N. 15 (1563 e seg.), N. 16 (1570-72). 24 GIORNALE STORICO E LETTERARIO DELLA LIGURIA il carteggio del Podestà; una volta anche si trovano (N. 7$ e N. 79) in una filza documenti di giustizia civile, e in un altra quelli di giustizia criminale. Alcune sono frammentarie; sono riuscito a ricostituirne altre quasi per intiero, aggiungendovi le carte sciolte di altre filze, giovandomi della pandetta o rubricella, che si trova frequentemente. A quelle che eran prive d uno o d’ ambedue i cartoni di protezione, ho provveduto con una custodia di carta molto resistente, tenuta ferma mediante spaghi incrociati. Dal N. 96 al N. 145, che son le filze del secolo xvm, le lacune divengono più sensibili ; e il lavoro di ricostituzione mi riuscì meno facile ; tuttavia ho potuto ristabilire in gran parte la filza N. in, degli anni 1720-21, togliendo i documenti che erano stati aggiunti alle filze N. 115, 118, 119, 137> anch’esse incomplete e rimaste senza protezione. Così pure ho potuto ricostituire la filza 131 (anni 1762-63), la 140 (1781-84) ed altre ancora. Sono rimaste incomplete la filza 96 (anno Ι70Ι)> (1734-35), la 134 ((1771-72), la 142 (1785) ed altre parecchie. La raccolta ordinata cessa col N. 145 (anni 1791-93)· Le filze che seguono devono ancora essere ordinate; ma richiedono minuto, diligentissimo lavoro, e per conseguenza tempo ben più abbondante, di quel che io avessi a mia disposizione. Le ho —- per adesso — raccolte alla meglio, avvolgendole in pacchi di Carta resistente per impedirne la dispersione, e le ho catalogate, sotto il titolo di Carte sfilate da riordinare nell’ ordine seguente : N. 146 Carte del 1604 e 1605 mescolate a carte del see. xvi » 147 Carte del 1601 e 1619 » » » » 148 Carte sciolte del sec. xvi e principi del xvn » 149-155 Carte sciolte dei secoli xvi-xix » 156 Carte dei secoli xvi-xvm » 157 Carte dei secoli xvii-xvm » 158-159 Carte del sec. xvm con altre del sec. xvi » 160-167 Carte del sec. xvm e dei primordi del xix Ho lasciata al suo posto in ordine cronologico la filza N. 132 che contiene solo patenti di sanità degli anni 1762-63. Rispetto al contenuto, le filze possono in maggioranza dirsi miscellanee ; in prevalenza si trovano lettere del governo di Ge- GH'RNALE STORICO E LETTERARIO DELLA LIGURIA 2ζ nova ai podestà per tutto ciò che aveva attinenza alla pubblica amministrazione, alle imposte, alla legislazione, alla difesa, ο risposte del podestà ai magistrati della Repubblica; ma non mancano documenti dell’amministrazione comunale, atti di processi civili e criminali, denunzie, reclami, perizie, verbali, perfino talvolta i foglietti volanti di appunti presi dal cancelliere, e le ricevute di somme pagate per indennità. Queste carte, non esito a dirlo, sono preziose, e possono supplire in parte alla scarsezza dei volumi Litterarum, e delle filze Podestatiarum dell’ archivio di Genova. —■ Io v’ ho potuto gettar solo uno sguardo fugace, (perchè ormai molti e molti giorni erano trascorsi e l’ora della partenza s’avvicinava) ; ma posso dire d’aver scorto notevoli lettere del Doge intorno alle correrie, dei Turchi e dei Barbareschi, d’aver preso nota d’armamenti di galee (filze 17, 21 etc.), d’aver veduto inventari del castello di Portovenere, d’uno dei quali ho preso copia; lettere importanti del capitano di Spezia, dei sindaci di Marola, di Fez-zano, di Lerici, confuse in mezzo a comparse conclusionali di procuratori e di avvocati, a relazioni chirurgiche, a denunzie anonime, a verbali di contravvenzione del nunzio, o del bargello. Preziosissima poi è la messe delle Gride, degli Avvisi a stampa, dei manifesti, coi quali la Repubblica di Genova dava notizie ai sudditi di tutti i regolamenti, di tutte le modificazioni alle leggi, ordinandone l’affisione nell’albo della curia comunale. Ve ne saranno, a dir poco, duecento e su svariatissimi argomenti ; dalle regole per il seminario o giuoco del lotto, dalle modificazioni delle tariffe di dogana, del valore delle monete, delle tasse d’ ancoraggio, alle ordinanze di sanità marittima, ai regolamenti di polizia giudiziaria, ai proclami in occasione di gravi avvenimenti pubblici. Queste stampe sono frammiste alle carte e sparse nelle varie filze; nè io ho osato toccarle; ma chi ne facesse uno spoglio potrebbe avere un prezioso materiale per la storia della legislazione, della finanza, del tesoro genovese per gli ultimi due secoli della Repubblica, materiale che, oso dirlo, non troverebbe forse così abbondante e così alla mano neppure nel nostro archivio di Stato. * * * E ormai tempo di conchiudere questa breve memoria, che non aveva altro scopo se non quello di far conoscere agli stu- 26 GIORNALE STORICO E LETTERARIO DELLA LIGURIA diosi una piccola e fin qui sconosciuta raccolta di carte, non intieramente estranee alla storia generale della Liguria e di eccitare qualcuno, che abbia maggior opportunità e tempo di me, a proseguire 1’ opera di riordinamento e di spoglio, che io ho appena incominciata. La miniera è piccolissima; ma, se sfruttata bene e razionalmente, potrebbe non essere improduttiva. Un altro scopo ancora hanno queste mie note; di ricordare agli illustri uomini che presiedono agli archivi d’Italia, il voto del VI Congresso Storico, che da Roma raccomandava la sorveglianza e la tutela degli archivi comunali, in gran parte votati ad una immeritata dispersione. Camillo Manfroni SOPRA GLI AUTORI DI DUE RELAZIONI ANONIME DI GENOVA Fra le Relazioni degli ambasciatori veneti pubblicate dal-l’Albèri sono comprese due Relazioni dello Stato di Genova nel Secolo XVI, che il raccoglitore dà come anonime, facendole precedere dal seguente breve avvertimento : « Non sono queste due delle solite Relazioni diplomatiche, ma piuttosto appunti sulle cose di Genova, de’ quali nè pur si rileva l’autore. Ma sì perchè le troviamo in rrtezzo a documenti veneti, sì perche anche queste sono cose buone a sapersi, ci è parso che qui potessero aver luogo con soddisfazione del lettore ». (i) Queste due Relazioni videro un’ altra volta la luce nella Collana degli scrittori delle cose politiche italiane nel secolo XVI pubblicata da Cesare Bini (Eugenio Camerini), e precisamente nel primo volume della raccolta, insieme con La Republica di (i) Relazioni degli ambasciatori veneti al Senato, raccolte, annotate ed edite da Eugenio Alberi, a spese di una Società. Serie II, voi. 2, Firenze, Tipografia e calcografia all’insegna di Clio, 1841, in-8. Pag. 430. GIORNALE STORICO E LETTERARIO DELLA LIGURIA Genova del Foglietta (i). Nella prefazione il Bini accenna di averle tratte dalla raccolta dell’Albèri, ed egli pure le dà come anonime. Ma tanto dell’una che dell’altra ci son noti gli autori; e la prima non era inedita allorché la pubblicò 1’ Albèri. Lo stesso Cesare Bini in una nota alla sua Avvertenza che precede l’adizione citata (2), ricordando come l’Albèri traesse questa e la seguente Relazione da manoscritti fiorentini, aggiunge: « Ma la prima non era inedita; e con molte varietà di dettato la troviamo nella seconda parte del Tesoro politico del Ricci (pag. 249-269) ». La seconda parte del Thesoro politico venne pubblicata nel 1601 in Milano, ad istanza di Girolamo Bordone, in-4, e dedicata al molto illustre signore, il signor Lodovico Ricci, feudatario, et de i S. S. Sessanta del Consiglio generale della Città di Milano. Non ho potuto consultare questa edizione ; ho avuto invece fra mano la successiva del 1602, curata da Fabrizio Romanci, nella quale è contenuta la nostra Relazione sotto questo titolo : Relazione del Governo della Republica di Genova 1583 (3). Qui pure il nome dell’ autore è taciuto. Ma essa non è altro che il Capitolo XVI dell’ opera di Francesco Sansovino intitolata: Del governo et amministratione di diversi regni et repubbliche, con pochissime varianti (4). (1) Gli Stati italiani nel secolo XVI descritti e giudicati ne’ loro ordinamenti politici da scrittori sincroni, raccolti ed illustrati da Cesare Bini. — La Repubblica di Genova, di Uberto Foglietta — Due relazioni dello Stato di Genova nel secolo XVI — Milano, C. Corradetti e C. Editori, 1865, in -16. (2) Op. cit. pag. xxvii, nota 4. (3) La Seconda Parte del | Thesoro | politico | nella quale si contengono | Trattati, Discorsi, Relationi, Ragguagli, In | struttioni, di molta importanza per li maneg | gi, interessi, pretensioni, dipendenze, e dise | gni de Principi | Opera molto aggradevole à gli elevati, et nobilissimi ingegni..... | Raccolta da Fabritio Romanci | In Torona, appresso Pietro Fehger, 1602 | , in-8, di carte 389. C. 188-196. (4) Del governo | de regni | et | delle kepvbxliche | antiche et moderne | di M. Francesco Sansonino | libri xxi, | ne quali si contengono diversi | ordini, magistrati, leggi, costumi, historié, & cose notabili, che | sono utili et necessarie ad ogni huomo civile e di Stato. \ Con nuova aggiunta di più Repvbliche & Regni in I diverse parti del mondo. | Con previlegio. | in Venetia, | Appresso gli heredi di Marchiò Sessa | mdlxvii. (E in fine:) In Venetia, | Appresso Giovan Battista, et Marchiò Sessa, & Fratelli | mdlxvii; in-4 di cc. 200, oltre 8 in principio senza numerazione. Era stato già da lui stampato a Venezia il 1561, dedicandolo al cardinale Pietro Francesco Ferrerio. Ebbe diverse ristampe. Cosi lo Sforza (Vedi la nota seguente). Io ho consultato la ristampa di Venezia, mdlxxviii, per ordine di Jacomo Sansovino, (E in fine:) In Venetia | Appresso Giovanni Antonio Bertano. | mdlxviii. 28 GIORNALE STORICO E LETTERARIO DELLA LIGURIA Dire del Sansovino, uno fra i più dotti poligrafi del suo secolo, sarebbe affatto inutile. Quanto all'opera: « È un libro curioso — scrive lo Sforza (i) — per le notizie che raccoglie intorno alle Corti di Francia, d’Inghilterra, di Germania, di Spagna, di Polonia, del Portogallo, di Roma, del regno dei Turco, della Persia, di Tunisi, di Fez « capo di tutta la Barbaria », delle repubbliche di Genova, di Venezia, di Lucca, di Ragusa, degli Svizzeri e di Norimberga. Il Sansovino non vi ha di suo altro che la descrizione del Governo delle Repubbliche di Genova, di Ragusi e di Lucca. Ciò che scrive della corte di Roma è tolto da Ottaviano Vestrio; furono sue fonti per la Francia, Vincenzo Lupano; per la Germania, Tommaso Authus; per 1 Inghilterra, Giulio Raviglio Rosso; per la Spagna, Alfonso Ulloa; per la Turchia, Benedetto Ramberti; per la Persia, Paolo Giovio; per Tunisi e per Fez, Giovanni Lioni; per Venezia, Gaspero Contarini; per gli Svizzeri, Leandro Muzio. Melchiorre Gioia, appunto per questa raccolta, annovera il Sansovino tra i primi cultori della scienza statistica de’ tempi moderni » (2) La seconda Relazione, più breve della prima, venne pubblicata una terza volta dal professore I. G. Isola, bibliotecario della Civico-Beriana di Genova; il quale, avendola trovata manoscritta in un codice magliabechiano (Cl. XIII, n. 13) e credendola inedita, la mandò in luce dedicandola al Comm. Angelo Ferrari in occasione delle nozze della figlia (3). In questa terza ristampa la Relazione ci presenta parecchie varianti dalla prima edizione fatta dall’Albèri; in alcune parti è mutilata, mentre in certe altre ha periodi affatto nuovi; e, particolarità notabile, è preceduta da una epistola dedicatoria al Cav. Dionigi Portinari, in data di Firenze nell’anno 1588, dalla quale appare che autore della Narrazione è Francesco Marcaldi. Il prof. Isola non ha creduto necessario fare indagini intorno (1) Francesco Sansovino e le sue opere storiche, Memor'ia di Giovanni Sforza, l'orino, Carlo Clausen 1897, in-4, di pp. 40; pag. 21. (Estr. dalle Memorie, della Reale Accade/ma delle Scienze di Torino, serie II, Tom. XLVII., pag. 47) Torino, Stab. Tip. Vinc. Bona. (2) Sforza, op. cit. pag. 21, nota 3. (3) Narrazione dello Stato della Repubblica di Genova, scrittura del Secolo XVI, pubblicata per la prima volta dal Professore I. G. Isola. - Genova, Tip. di E. Sclie-none, 18S1, in-8, di pp. 19. GIORNALE STORICO E LETTERARIO DELLA LIGURIA 2Q a questo autore; e lo fa comprendere nella lettera che premette alla sua ristampa: « Io non reco qui schiarimenti sull’autore della Narrazione, e sul personaggio a cui è da lui indiritta, perchè mi sono persuaso doverne rimanere di assai scarse, se pur ne rimangono ». Ma, per quanto scarse, alcune notizie si trovano intorno al Marcaldi. Fu scrittore milanese del secolo xvi, e sul luogo di sua nascita non v’ha dubbio, giacché egli stesso si dice nativo della capitale lombarda. Visse per altro quasi sempre all’estero, specialmente in Inghilterra ed in Ispagna, e scrisse con molta competenza delle forze terrestri e marittime e dei fatti riguardanti i principi del suo tempo (1). Di lui nuli’altro si sa; e delle sue opere non restano che i due seguenti discorsi, inediti : i° - Discorso nel quale si descrive lo Stato di Maria Regina di Scozia, e del principe suo figlio nell’ anno mdlxxxii, dalla nascita della stessa, che fu 1’ anno mdxlii, fino alla coronazione di detto principe. Dedicato al Sig. Tommaso Sauli, e dato in Milano 1 Maggio mdlxxxii, M. S. in-4. 2° - Discorso delle cose di Spagna, de’ Regni, e stati di S. M. Cattolica e Paesi in diversi luoghi ; et delle entrate et spese sue; oltre a ciò della Milizia di Mare, e di Terra, col numero delle Galere, che in alcuni luoghi si trovano, ed altre cose ec. al Sig. Giulio Sauli, dat. in Milano mdxc. Ambedue questi scritti del Marcaldi si trovano in un codice (1) Tolgo le notizie bio-bibliografiche dall’opera dell’Argelati, che s’intitola: Philippi Argelati I Bononiensis | Bibliotheca | Scriptorum | Mediolanensium | seu | acta, ET ELOGIA I VIRORUM OMNIGENA ERUDITIONE ILLUSTRIUM, | QUI IN METROPOLI InSU- BRIAE OPPIDISQUE | CIRCUMJAŒNTIBUS ORTI SUNTI; | ..... MEDIOLANI, MDCCXLV, 111- Aedibus Palatinis. In-fol. Tomo II. coi. 856,857. Ecco le parole dell’Argelati : Vix dici potest, quantum eruditionis historicœ effulgeat in his, quae infra memoranda sunt, locubrationibus Francisci Marc aldi Mediolanensis, in quibus exterarum Regiorum Vires tam terrestres, quam maritimas, (2? recondita Prineipum saeculi XVI viventium arcana, miro ordine digesta posteritati servare studuit Vir iste diligentis-simus. Cum autem haec ab otiosis hominibus iieutiquam sciri possint, conijcimus Marcaldum nostrum non de ss idem in patria vitam traduxisse, sed Angi icas, atque Hispanas oras peregrinatum, exoticas merces eius, quo de agit, argumenti secum retulissse, unde postmodum Opera sua co?istaverit. In his patenter se Mediolanensem vocat, quod unum de ipso ad posteronan memoriam deductum est. Caetera illius acta nemo, quod sciamus, indicat. Lucubrationibus eius hic titulus impositus est: E seguono i titoli dei due discorsi, come nel testo. 30 GIORNALE STORICO E LETTERARIO DELLA LIGURIA già esistente nel Convento de’ Monaci di Sant’ Ambrogio in Milano, ed ora, probabilmente, nella Biblioteca Nazionale Braidense. Del primo vi è pure un’altra copia nell’Ambrosiana; ed una terza si conservava presso la famiglia Landriani di Milano. A questi scritti statistici del Marcaldi si deve ora aggiungere la Relazione sullo Stato della Repubblica di Genova. La Spezia jo dicembre 1899. Ubaldo Mazzini LETTERE DI BIANCA REBIZZO A VINCENZO RICCI Su Bianca De Simoni moglie a Lazzaro Rebizzo, che da Milano l’aveva trasportata a Genova facendole condurre vita comoda ed elegante, malgrado i buoni cenni biografici del Crocco (i), si desidera ancora un lavoro sul genere di quello che Raffaello Barbera ebbe la felice ispirazione di fare intorno al salotto della C ssa Maffei. In casa della Rebizzo frequentavano i migliori, i più reputati cittadini di Genova e moltissimi dei.rifugiati politici, prima e dopo il periodo rivoluzionario del 48-49. Durante quegli anni così pieni di agitazioni, di baldanze, di poetici ardimenti, di sconfinate illusioni, la Bianca fu quasi il centro del movimento patriottico genovese; e dico quasi, perchè a contenderle l'unicità era un’altra gentildonna, della più eletta aristocrazia che, singolarmente ai profughi, apriva i saloni del suo palazzo e i cassetti del suo ricchissimo scrigno: voglio dire la marchesa Teresa Doria. Negli anni poi che seguirono di raccoglimento, la Rebizzo, pur ospitando nella villa di S. Vito alla Foce, insieme all’amico suo Raffaele Rubattino, letterati, artisti e illustri italiani e stranieri, si dedicò particolarmente all’ educazione delle giovinette, volgendo l’animo e la mente alla Religione, negli ultimi tempi della sua esistenza. Un libro che narrasse la vita di Bianca Rebizzo riuscirebbe (1) Ricordi e Pensieri di Bianca Rebizzo, Genova, Tip. Sordo-Muti 1876 - fascicolo in-8 di pp. 90. GIORNALE STORICO E LETTERARIO DELLA LIGURIA 31 interessante esposizione di un grande tratto di vita genovese e italiana pubblica e privata di questo secolo che tramonta e sarebbe di efficace contributo allo storico futuro dell’Italia moderna. A raggiungere lo scopo occorrerebbe consultare i pochi che ancora rimangono frequentatori di quella casa nei tempi più belli; raccogliere lettere della Rebizzo e di altri scritte a lei — le quali si troveranno forse tuttavia nella villa di S. Vito — e cercare nelle memorie e nei carteggi pubblicati le sparse notizie, i radi accenni. Intanto per mia parte reco un piccolo contributo a quella compilazione, pubblicando complete sei lettere di Bianca Rebizzo dirette al marchese Vincenzo Ricci dall’aprile al giugno del '48, quand’egli era ministro dell’interno di re Carlo Alberto. Dico complete, perchè qualche periodo staccato inseri' in altri miei scritti ; e vi aggiungo qualche illustrazione per la chiarezza del testo. I. Pregiatissimo Amico 4 aprile 4S. Io mi prendo la libertà di chiamarla col nome d’amico, persuasa che non le sarà discaro eh’ io mi creda per Lei sempre la stessa a malgrado del volo che lo ha allontanato da me; e per provarle la fiducia piena che ho nella sua bontà a mio riguardo, le invio due dimande d’amici che vorrebbero per tutta grazia un po’ più di sollecitudine che non si suol mettere nel corso ordinario degli affari. Del medico non le parlo. Y. S. lo conosce e sa bene quanto meriti, e quanto frutto viene alla causa comune dal mettere avanti i ben pensanti ; pel giornaletto, poi prego, premendomi sommamente che si dia pronto principio a cosa di grande utilità pel nostro popolo ; prego dunque e di cuore eh’ Ella faccia pronta risposta alla onesta domanda. Di un’ altra cosa mi prendo la libertà d’ intrattenerla, ed è che qui si lamentano alcuni che agli Ebrei non si sia data piena riabilitazione, sembrando dalla legge che siano esclusi dai diritti politici ; a me pare impossibile che V. S. che sente tanto rettamente abbia potuto lasciare qualche cosa da desiderare a questo proposito, ma siccome non m’intendo di questi affari la supplico a voler insegnarmi la risposta che devo fare ai malcontenti, non volendo sentir lamenti e non volendo rispondere sciocchezze; vuol Ella avere la bontà di rispondermi in proposito ? Mi perdoni se in mezzo a tante sue occupazioni io vengo a frappormi GIORNALE STORICO E LETTERARIO DELLA LIGURIA per farle perdere il tempo, ma come rifiutarsi quando gli amici pregano, come rinunciare all’ onore d’ essere creduta amica sua ? Se le avanzerà tempo di parlarmi della sua salute e delle sue contentezze farà cosa molto gradita alla Dev.ma Aff. Bianca Rebizzo Il medico cui si accenna in questa lettera è il dott. Ettoie Costa, uno de’ migliori cultori della scienza di Galeno che contasse allora Genova nostra. La domanda da lui indirizzata al ministro Ricci a mezzo della Rebizzo, per li sentimenti personali e per le idee del tempo che contiene, parmi sia meritevole di riproduzione : Ill.mo e Stimat.mo Sto. ministro V. Ricci Genova, 1 Aprile 1848. Con R.e Patenti del 30 8bre 1847 furono istituiti un Consiglio Superiore di Sanità in Torino, e dei Consigli secondari nelle Provincie, cui viene affidato in gran parte l’esercizio della pubblica Igiene, o vogliam dire della interna Polizia Medica dello Stato. Questo ramo della Medica Scienza occupò in ispecial modo i miei studi. E ad esso appartiene infatti 1’ argomento di una mia Memoria inserita fin dal 1841 negli Annali universali di Medicina, che ebbi la compiacenza di veder tradotta per intero e riportata in alcuni giornali di Francia e di Germania. Ed è appendice eziandio di quel ramo di Medicina il Rendiconto Economico-Medico-Scolastico dell’ospedale di Pammatone da me pubblicato in occasione dell’ vm Congresso Scientifico Italiano ; come ne fa parte integrante la Topografia medica di Genova e della Liguria, che 10 dovetti ristringere in un’ articolo per la Guida di Genova in quella stessa occasione dell’ vili Congresso, come a V. S. 111.ma è ben noto. Ma questo articolo è, direi quasi, la traccia della Topografia medica del nostro Paese, piuttostochè una compiuta Topografia. Un lavoro di tal genere, che esige estesa cognizione di dati positivi, non poteva da me compiersi, nè in tanta ristrettezza di tempo, nè in tanta limitazione di mezzi per procurarmi la conoscenza di quei dati positivi medesimi, e principalmente dei documenti statistici, che indispensabilmente richiedonsi a ben comporre una medica Topografia. Dall’avere però in qualche modo ordinato quell’insieme di osservazioni e di fatti, de’ quali nella mia condizione di vita privata aveva potuto procurarmi la cognizione, crebbe in me lo stimolo ed il desiderio di raccogliere GIORNALE STORICO E LETTERARIO DELLA LIGURIA 33 ed accumulare tutti gli elementi necessarii a pormi in grado di potere compilare un più esteso e meno imperfetto lavoro, il quale, ad imitazione di quanto si fece in altre città, e principalmente dall’illustre Salvatore De Renzi m Napoli, riempiesse una lacuna, la cui esistenza fra noi puossi a giusta ragione lamentare dalla Scienza Medica. E a tale oggetto, che appena seppi 1’ instituzione dei Consigli Sanitarj nacque in me il desiderio di farne parte, perchè, ciò avvenendo, io mi vedeva d assai facilitata la via per giungere a quella meta, cui da parecchi anni ho diretto i miei studj. Quindi mi venne tosto in pensiero di scriverne all’ in allora Ministro degli affari Interni Cav. Des Ambrois. Ma rimasto alcun tempo peritoso, se io dovessi innoltrare offìcialmente una tale dimanda, parendomi che, il più delle volte, il dimandare in publici miriisterj diminuisca quasi, e non accresca certo il merito di ottenere, noi feci subito; e poscia la gravità degli avvenimenti, che precipitarono, e per cui altri surrogò il Des Ambrois al Portafoglio degli Interni, me ne distolsero interamente. Ora però che al governo del nostro Paese, grazie a quella manifesta protezione che Iddio si è degnato accordare in questi tempi all’ Italia, stanno gli uomini che vi sono, e che Ella, succeduto con tanto generale soddisfacimento nell’ importante maneggio degli affari Interni, sta occupandosi del personale, e dovrà quindi provvedere eziandio alla composizione delle Giunte Sanitarie provinciali, chiamate dalla legge pel 1° del prossimo maggio, mi parrebbe mancare verso me stesso, se, non prevalendomi di quella relazione, che ci ha tante volte avvicinato, non le manifestassi con tutta franchezza ed in via privata, il mio desiderio, e gli argomenti che possono coonestarlo. Io non intendo però che Ella per benevolenza verso di me abbia a mancare ai principi di quella equità, che è la più bella virtù di un Capo e publico amministratore ; e so bene, che a questo patto, se anche avessi la stoltezza di lusingarmi, infruttuosamente il farei : essendoché la giustizia e l’avvedutezza sieno qualità che io conosco campeggiare emminentemente neìla S. V. 111.ma. Quindi è che io sono ben lontano dal pretendere che questa privata dimanda, e quella amicizia di cui mi fu sempre cortese debbano esercitare alcuna influenza sulla di Lei scelta, quando la S. Y. 111.ma creda che abbia questa a cadere sopra uomini, i qùali o per capacità e per meriti, o per qualsiasi altro motivo, voglia giustizia ed il bene del paese che si preferiscano — Io non impegno a ciò la Sua amicizia — Io solamente ho creduto potermi prevalere di questa, per esporle, non come a Ministro, ma come ad amico, le cose che ho scritto in questo foglio : nè esiterò di prevalermene pure per pregarla ad accordarmi in questo la Sua fiducia; che cioè, nell’applicazione al pubblico servizio di quei generali principj scientifici dei quali può risultarle dal sovraesposto, e dalla particolare conoscenza che Ella ha di me, dal mio passato cioè, e da fatti compiuti, io adopererei tutta 1’ attività e lo zelo di cui posso essere capace, e tutta la mia buona volontà. Gior. St. e Leti, della Liguria 3 GIORNALE STORICO E LETTERARIO DELLA LIGURIA affinchè una institazione che io riguardo come utilissima, quale è quella dille Giunte Sanitarie non restasse infruttuosa ed inerte, come di molte .malo„he instituzioni suole avvenire. Mi abbia per iscusato stimat.mo Sig. Marchese, se in mezzo alle .dti·. sime ed immense occupazioni, che nelle difficili e tanto importanti attualità dello Stato devono tutto necessariamente assorbire il suo tempo, ho azzardat trattenerla un momento di cosa che mi riguarda : ma io, noi facendolo, avrei lasciato passare una troppo favorevole occasione. E mi perdoni pure se, onde appunto non distrarla ulteriormente da quelle, io non mi dilungo a compii mentarlo per l’alta carica cui fu assunto, e solo mi permetto manifestarle il primo sentimento di gioia che in me si eccitò, appena conobbi, cosi la ua, come la nomina del March. Pareto; perchè io vidi nella loro scelta, rispar miata al nostro Paese forse una catastrofe, ed all Italia tutta assicurata la nazionale indipendenza. Pregola IU.mo Sig. March. Vincenzo a salutarmi il suo Collega e comune amico March. Pareto, cui mi farà cosa grata se comunicherà il sincerissimo sentimento che li riguarda ambedue nel precedente paragrafo della mia lotti.r.i. Ad esso non scrivo e non ho scritto per quanto immenso ne senta il desi derio; perchè non avendone particolare oggetto, crederei usurpargli un tempo troppo prezioso ed angusto. E per non rendermi reo di questa usurpazioni anche verso V. S. Ill.ma, 1’ avviso che io non attendo risposta a questa mia — Ma Ella farà quel che meglio vorrà. Gradisca i sinceri sensi della moltissima stima e dell’ossequioso attaccamento co’ quali ho l’onore ed il bene di dirmi della S. λ . IH.mi Dcv.nio aff.mo Servitore ed amico Ettore Costa Quanto al giornaletto menzionato dalla Rebizzo, credo si tratti del Peìisiero Italiano, che sostituì la Lega Italiana, sotto la direzione dell’ avv. Filippo Bettini ; e questo 1'arguisco da altra lettera dello stesso Bettini diretta al march. Ricci, in data io aprile, la quale, come si vede, ha il carattere d’una sollecitazione: La direzione proprietaria della Lega non volendo più sapere isOluta-mente delli attuali suoi redattori, sia perchè il giornale <: scaduto allatto dall’ opinione del pubblico, sia perchè il Buffa ha abbandonato il suo posto per andare in Lombardia, desidera poter subito metter mano ad un altro giornale, nuovo in tutto, sia per persone redattrici che per tendenza intimn, da prendere il posto dell’ altro. Eravi il progetto di fare una riunione delle due Società, cioè quelle della Lega, e quella della Nazionalità, e fui pregato io dalle due direzioni di assumere in mio capo, -prò interim, il nuovo giornale per incominciare GIORNALE STORICO E LETTERARIO DELLA LIGURIA 35 detta fusione, che sarebbe poi da perfezionarsi, quando i soci della Nazionalità saranno presenti, essendo ora per la massima parte in Lombardia. Si ha bisogno adesso di poter subito cominciare le nuove pubblicazioni, altrimenti la Lega dovrà interrompersi con danno dell’ impresa ed a rischio di liti colli abbonati. Perciò prego V. S. a dar ordine che sia dato corso al già riiViessole memoriale in quel modo che V. S. crederà opportuno. II. Pregiatissimo Amico io aprile *48. Teresa (1) le avrà detto, spero, quanto io fossi riconoscente per la pronta e gentile risposta che V. S. fece alla mia lettera, ed ora spero che non mi vorrà tacciare d’ indiscrezione se le scrivo di nuovo con nuove domande e con nuove preghiere. Ella mi conosce e sa quanto sono aliena dal fare da patrocinatore, e sapendo io quanto sia inconveniente costringere l’amico a rifiutare ciò che non può accordare il Ministro, mi asterrei sempre da troppe alte domande. E mi ero proposta quando V. S. e Pareto ascesero per volere della Nazione al posto che gli si compete per giustizia, di non incomodarli mai con nessuna preghiera; ma come rifiutare una parola quando la cosa chiesta non è importante? e non mi pare importante il desiderio del signor avvocato Andrea Poggi (2) figlio del fu Prefetto Gaetano, nativo di Genova, da due anni praticante volontario nell’ ufficio dei poveri, che vuole intraprendere la carriera della pubblica amministrazione, chiede di essere nominato applicato alla superiore carriera presso qualche Regia Intendenza, pronto a subire quelli esami cui a termini della legge potesse venir sottoposto. Accettai dunque di raccomandarlo a Lei come persona che merita molto. Di un altro favore la pregherei. Il Sig. Boscaglia, genovese, impiegato ora nella corriera di Milano, esercitò l’arte militare per molto tempo come V. S. vedrà dalla petizione che le invia per la strada ordinaria; ora egli vorrebbe esser fatto aiutante maggiore o ufficiale d’armamento, impiego che gli anderebbe bene sapendo egli molto più che molti de’ richiedenti quel posto, e avendone anche bisogno per sopportare con più agio il carico di sua madre etc. Ouesto giovane ch’io conosco molto, ha veramente tutte le qualità requisitele sarebbe giustizia il preferirlo a quei molti che chiedono e che non hanno la scienza necessaria a bene adempiere il loro dovere. La prego dunque di cuore a volerlo favorire e lo terrò come favore fatto a me stessa. Qui le cose procedono con molt’ ordine e con una quiete che onora il buon senso di questi cittadini che sentono la importanza della situazione. Si aperse un Circolo politico nella santa intenzione di dirigere le elezioni e di (1) Questa è certamente la march. Teresa Doria, la patriottica moglie di Giorgio Doria (2) Il comm. Andrea l’oggi, già Conservatore delle ipoteche, vivente. GIORNALE STORICO E LETTERARIO DELLA LIGURIA fondere il partito radicale col moderato, che è quanto dire metter d’ accordo l’olio col fuoco; ma chi suscitò questo pensiero e lo spinge non e intenzione di moderare i primi e spingere un poco i secondi, l’esito degli affari Lombardi indichino quale via debbano tenere g 1 uomini di tutti i partiti : crisi immensa che deciderà dei destini dell Ita la e e Mondo, e che dobbiamo preparare favorevole all’ordine e alla grandezza della nazione con tutti i ,mezzi che sono in nostro potere. Fra le cose c che saranno utili, anzi che credo necessarie è 1 intervento morali p , la sua influenza in Lombardia è straordinaria, una sua parola, e più. c e parola la sua presenza in quel paese, finita la guerra, metterebbe gli animi tutti in un accordo più che fratellevole: non si potrebbe preparare Sua Sant.ta a questo passo? non sarebbe bene mandare un uomo d’ingegno a questo fine, senza veste ufficiale, a Roma? Se si pensa ai vantaggi sommi di quest’intervento credo che ogni misura per renderlo possibile non sia mai troppo gran. e. Mi perdoni la noia di tante parole, ma ero così dolcemente assuefatta a parlare senza ritegno con V. S. anche di cose non femminili, che oso faro ancora senza timore dell’ Eccellenza che si aggiunge al suo nome, che per noi tutti fu sempre eccellentissimo. Gli amici le sono riconoscentissimi della buona memoria eli Ella cr n di loro; e Crocco e Rubattino e Giuliani vogliono esserle particolarmente ricordati. Io mi raccomando alla sua amicizia, congratulandomi con Lei della bella legge sulla stampa che sento con piacere che piacque; e non ^Poc che le facili vittorie resero questi popoli di una difficoltà e di un esigenza difficile a contentarsi. Da Lei poi aspettavano tanto che ogni volta che trovano il nome del Re ne’ suoi scritti meravigliano, e tremano se lo trovano accompagnato da un elogio; finora però lo chiamano l’amico e il difensore di tutte le libertà : è un onore difficile a conservarsi al suo posto ! Intanto tutti benedicono il suo nome e più degli altri L’ aff.ma e Riconoscente Amica Bianca Rebizzo Il Circolo politico qui menzionato è il Circolo Nazionale che si fondò il 3 aprile e del quale così scriveva il giorno successivo 1’ abate C. A. Boselli, direttore dell’ Istituto dei Sordo-Muti, al Ricci: Il circolo conta già oltre a 180 soci. La tendenza dei promotori era repubblicana, e questo dispiaceva molto, ma perchè anche essi erano Kalan-tuomini, vollero associati d’ogni opinione, onde il contatto di tutte unificasse l’opinione pubblica. Fu fatto presidente provvisorio 1’ avv. Bixio e vicepresidenti gli avvocati Farina e Cabella. Se questo scopo si ottiene sarà ottima cosa e consoliderà la reciproca confidenza dei governanti e dei governati, sentendo ciascuno i suoi diritti ei esercitando i suoi doveri. GIORNALE STORICO E LETTERARIO DELLA LIGURIA 37 Di questo Circolo e dell’ opera sua nel 48 diedi qualche ragguaglio sulla Rivista Storica del Risorgimento ( 1). III. Amico Pregiatissimo 11 aprile '48. Scrivo di nuovo, perdoni, ma è una necessità. Le invio per maggior chiarezza la lettera, che non le fu poi inviata dallo scrivente per un dubbio di delicatezza ; Ella deve capire senza comenti da parte mia che la cosa chiesta è di grande vantaggio al paese allontanando un retrogrado e facilitando la nomina di un onesto progressista. Mi perdoni la frequenza delle lettere e risponda una riga che provi a questi Signori eh’ io ho adempito al mandato e che a Lei sta a cuore la buona scelta dei Deputati. Mi creda con tutto il rispetto e la riconoscenza Sua Dev.ma Amica Bianca Rebizzo Parte il corriere, scusi la brevità. Da queste poche righe si argomenta che la Rebizzo serviva non solo da intermediaria tra molti genovesi e il ministro Ricci, ma faceva anche della propaganda elettorale e si occupava della riuscita dei candidati a seconda del suo giudizio o di quello degli amici che l’attorniavano. Chi sia il retrogrado da escludere e il progressista da far nominare non ho potuto rilevare dal carteggio che ho consultato; solo mi è venuto tra mani una lettera del march. Francesco Pallavicino, il quale fu poi rappresentante del collegio di Varazze nella 5a Legislatura e diè prova di eletto patriottismo (2), che per la data, 10 aprile, e pel contenuto giustificante la delicatezza di non inviarla direttamente, mi fa sospettare, benché ivi si parli di Senato e non di Camera dei deputati, possa essere la missione accennata dalla Rebizzo. Eccola testualmente : Eccellenza Siccome quando la patria si trova in circostanze impoqtanti e solenni ciaschedun cittadino deve offerire l’opera sua a prò’ di essa, cosi spinto da questo fine io mi prendo la libertà di offerirle la mia cooperazione alla di (1) Vol. ni, pp. 183 e seguenti. (2) Sarti, Parlamento Subalp., pag. 619. 3S GIORNALE STORICO E LETTERARIO DELLA LIGI RIA Lei politica liberale, ferma, italiana al Senato, ove 1 E· ^ · cre potessi essere non inutile membro dello stesso. Io sono pronto a donare la mia casa, la mia patria, i miei aflari per recarmi a T fendere la causa del progresso, dell’indipendenza, e della mzion alla tribuna. Avendo procurato di acquistare ai Congressi Scientitic della parola, e avendo studiato gli usi parlamentari nei piesi costi11 da me prima d’ora visitati forse potrei prestare qualche cooperazion gi importanri lavori cui si darà opera. Felice di militare sotto gli auspici dell E. \ ■ mi ascrivo sommo onore il soscrivermi colla più alta stima e devozione Dell’ E. V. Dev. obb.mo servitore Francesco Pallavicino Genova, io aprile 1S48. IV. PREGIATISSIMO AMICO, La tempesta che parea sollevarsi si e calmala, c la unanimità dei voti essendosi dichiarata per la unità d’Italia, tutti gli animi ri^tcttcru «l.illc inquiete e turbolenti manifestazioni contro Milano. I. indirizzo del < irolu nazionale piacque alla città, speriamo che piaccia a Milano, Ora una nuova circostanza si presenta per risvegliare nuove agitazioni. Il pagamento di Sicilia dichiarò scaduto il Re di Napoli, λ a bene, fece a meraviglia, ina quii governo chi metterà in suo luogo : Spero che Genova tnande . un indirizzo per invitare quell’ Isolani a scegliere Carlo Alberto, lo spero, ma questo passo bisognerebbe che fosse aiutato e sostenuto non ufficiai mente, ma tacitamente dal governo dì Torino; è un passo ardito, ma che metterebbe d’accord" tulte le opinioni, aprirebbe la strada all’unità nazi n.ir. . tare! ■ -patite ; * sempre il partito Repubblicano e rialzerebbe le speranze e Γ eoetgii dell’ armata, L’Italia unita sarà la più grande e la più potente ira le nazioni del mondo, per conseguire questo gran fatto non si deve lasciar nulh <1 intentato, mai si presenterà al nostro paese un’epoca come questa. L’ F.utopa in combustione, il Nord in guerra intestina, la Inghilterra minacciata all’interno dai Cartisti, all’esterno dall’Irlanda. la Russia con la Peonia >;:1 collo, 1 Austria senza ricchezze, senz’armi, senza credito, infine nessuno forte tanto da opporsi alla grande impresa : lavoriamo dunque per unirci, meritiamo dai futuri Italiani il nome di salvatori della Patria. A Lei scrivo con fiducia persuasa ch’Elia mi perdona di mischiare me femmina in cose di tant'indagine, sapendo che ogni creatura che parli Γ Italiano e sia battei/ito italiano ha diritto di mettere la sua parola nel concerto generale delle voci che chiedono unità, nazionalità, libertà, forza! Non serve dire labiate finir la gnerri; 1 GIORNALE STORICO E LETTERARIO DELLA LIGURIA soldati e i popoli hanno bisogno di escire dallo stato d’incertezza in cui lo tiene questo provvisorio che si diffonde e minaccia di ricacciarci nella grettezza dei governi municipali. Scrivo come Dio vuole, ma che £a ? Ella m’intende e mi perdona. A Pareto comunichi questa mia, e lavori diplomaticamente e con vigore affine che non abbia a rimaner senza piedi il colosso'che tenta rialzarsi. Addio di nuovo; mi scriva una riga per dirmi che divide le nostre speranze, non lo dirà a nessuno L’Aff.ma Sua Amica Bianca 20 aprile '48. A Genova, più ancora che a Torino, era vivo il timore che i lombardi anziché fondersi con il regno Sardo volessero costituirsi in un piccolo stato autonomo, poiché ad ostacolare la perfetta unione della Lombardia, insorta eroicamente, al Piemonte, stavano da un lato le idee federaliste del Cattaneo e dall’altro quelle repubblicane, sebbene unitarie, del Mazzini. Il Circolo Nazionale deliberava allora un indirizzo ai fratelli Milanesi, inspirato ai più puri sentimenti unitarii, e dettato dall’aw. Paolo Farina di Bonassola, che si trova pubblicato nei giornali del tempo. Cosi pure più tardi, e cioè alla fine del maggio, il Municipio di Genova scriveva una lettera al Governo provvisorio di Sicilia, esortandolo a mettere l’isola sotto lo scettro di Carlo Alberto per concorrere efficacemente all’unificazione d’Italia; ma i tempi non erano ancora maturi. V. Pregiatissimo Amico, La Doni.·, sua per me fu tanta sempre, che ni1 ero proposta di astenermi da ogni ulteriore preghiera per non abusare della sua gentilezza, ma ora sono costretta di fare un’eccezione per causa del Sig. Pietro Curio intendente a Voghera. So che ha un affare costi che sarebbe di pochissimo rilievo in tempi in cui fosse permesso ai Ministri di indagare bene addentro la causa dei mali intesi insoiti fra 1 Intendente e quelli altri Signori, ma in questi in cui la somma delle cose supera le forze minori, e che in conseguenza gli affari di minor rilievo si trattano sommariamente, è possibile che possa prender cattiva piega questa pratica, e pregiudicare senza che lo meriti il Sig. Curio. Le scrivo perciò, carissimo Ricci, perchè Ella voglia proprio per amor di giustizia traslocare il Curio in altra provincia con suo decoro, avvertendo 40 GIORNALE STORICO E LETTERARIO DELLA LIGURIA eh’ egli è padre di numerosa famiglia e che sarebbe una rovina irreparabl se accadesse altrimenti. So che non ho diritti per ottener favori, ma so ch E ama esser grato agli amici quando può farlo con giustizia, lo faccia dunq ora e sarà cosa di cui Le sarò eternamente riconoscente, risparmerà lagrime e avrà molte benedizioni contentandomi. Qui lavoro a prep. un’ovazione a Gioberti e trovo tutti dispostissimi, è bene che si riceva solennità il rappresentante dell’ idea d’ordine e unione, ora che i rapi tanti le idee Repubblicane hanno il dissotto; in tempo di crisi tutto „io Mi ricordi a Pareto e mi abbia sempre per Sua Devot.ma e Aff.nia Amica Bianca 14 maggio '48. Il 16 maggio arrivò a Genova Giuseppe Monaci, il battistrada del Gioberti, di cui raccolse però con amore i Ricordi biografici e il Carteggio, e la notte tra il 20 e il 21 fece il suo ingresso solenne trionfale a Porta Pila il facondo Abate salutato da ova zioni generali, il quale prese stanza all albergo Feder, dove eragli stato già preparato un picchetto di Guardia Nazionale per fargli onore. Nel Corriere Mercantile del 21 si legge: Sono le 11 antimeridiane. Una folla immensa di popolo si adunò nell piazze Banchi e di Caricamento intorno all’ albergo Feder. Furono grandi evviva a Vincenzo Gioberti. Il sommo Gioberti ringraziava alla finestra fra i plausi prolungatissimi. Egli parlò profondamente commosso facendo encomi ai Genovesi che degnissimi figli d’ Italia. Levò molti evviva e rispose a quelli del popolo con immenso entusiasmo. Fu un vero tripudio cittadino, fu una scena tutta espansione, di tutto affetto, di tutta commozione. Il 22 alle ore 6 pom. il Gioberti pigliava imbarco sul Lombardo, salutato da tutta la Guardia Nazionale in armi, diretto a Roma. VI. Pregiatissimo Lettere giunte da Torino agitarono qui alcuni giovani, molto influenti, oltre ogni dire, perchè ponendo essi in V. S. ogni loro speranza e fede e sentendo da quelle lettere che appunto V. S. è la persona che proporrà alle Camere un ammendamento tendente ad annullare di fatto la Costituente sono GIORNALE STORICO E LETTERARIO DELLA LIGURIA 41 nel massimo scoraggiamento, e siccome qui si passa dallo sconforto alla collera, parlano subito di subbugli, di rivoluzione ect.; prego dunque io caldamente V. S. a volermi scrivere due righe t.anquillanti, non solo sul fatto dell’ammendamento, che sarà già cosa nota, ma sulle speranze eh’Ella nutre del buon esito di tutta l’impresa, io potrei parlare allor con più efficacia. Il fratello di Crocco ebbe avviso da Colla come non abbisognando più dell’ opera sua essendo finiti gli affari nel Ducato di Piacenza, egli poteva ritornare al suo posto, essendovi a Parma impiegati sufficienti. So che Crocco ricorse a Lei per ottenere che sia estesa la sua destinazione a Modena e Reggio, il favore se ciò è fattibile di far si che il mio raccomandato rimanga nell’ amministrazione di Piacenza, giacché ragioni di famiglia e forse anche un po’ di decoro esigerebbero che ei non tornasse ad Alessandria senz’ altro attestato di gradimento, dopo l’onorevole incarico che gli veniva affidato ! Se ha tempo mi consoli anche con questa grazia ! La prego di perdonare le molte parole e ne risponda alcune alla Sua Dev.ma e Riconoscente Amica Bianca Rebizzo 23 giugno '48. Ho scritto anche a Pareto per quest’affare della Costituente, bisognerebbe calmare gli spiriti almeno per quant’ è possibile. Oh quanti scoraggiamenti e sudori per giungere alla vetta del monte. Si ricorda quand’ Ella li profetizzava in quel suo scritto ai Torinesi ? Intorno al famoso emendamento Ricci si fecero allora tante chiacchiere, si sollevarono tante proteste che sembrava si minacciasse una nuova rivoluzione. Qui pubblico altra lettera del pittore Isola al Ricci in data pure 23 giugno sull’agitazione che regnava in quei giorni a Genova: Eccellenza, Per l’amore che porto all’Italia, al mio paese, a lei. non posso trattenermi dal manifestarle come la Città nostra è profondamente commossa per 1’ Emandamento proposto, dicono i giornali, da V. E. alla legge del-1’ unione colla Lombardia. Ella conosce 1’ indole vivace e insofferente dei nostri concittadini : I buoni stessi non sanno differire il loro giudizio, precipitano ! e di questo eccessivo zelo profittano i subdoli amici, i partiti covano e non dormono, di tutto profittano. 4? GIORNALE STORICO E LETTERARIO DELLA LIGURIA Qui si parla di dimostrazioni e in questo momento (ore I l|2 pomeridiane) se ne minaccia una contro ogni qualunque ostacolo si volesse, e da chiunque, opporre all’ immediata unione colla Lombardia. Io amo lei pel suo generoso e alto sentire Italiano, non mi adombro facilmente e riposerò sempre nella di lei fede nella quale affiderei sempre le sorti della Patria come spero che sempre sarannole affidate. Corraggio adunque, e gradisca questo tratto il quale altro scopo non ha che d’ informarla del vero stato di cose le quali a lei n^n devono essere nascoste. Mi pregio di costituirmi colla più alta stima e considerazione di V. E. Genova, li 25 gipuno 1848. Umil.mo e Dev.mo Giuseppe Isola Vincenzo Ricci desiderava quant’altri mai l'unione completa della Lombardia al regno Sardo, ma era alquanto repubblicaneg-giante e avrebbe desiderato che da una Costituente fosse poi venuto tutto Γ organamento del nuovo Stato, disposto ad accettare monarchia o repubblica, Torino o Milano sua capitale, secondo che fosse stato deliberato ; ma non la intendevano così alcuni suoi colleghi, il conte Sclopis ad esempio, il quale non trovava opportuno nè conveniente una Costituente pel Piemonte già costituito. I deputati Badariotti, Galvagno e Pinelli a nome di molti loro colleghi rivolsero istanza al Ricci perchè modificasse il progetto di legge 15 giugno già presentato nel senso che fosse esplicitamente dichiarato essere il reggimento del nuovo Stato una monarchia costituzionale con la Dinastia della R. Casa di Savoia, che non si potesse variare la capitale dello Stato se non in forza di una legge del Parlamento definitivo. Questo emendamento era appoggiato dalla maggioranza della Camera Subalpina, e il Ricci facendo sacrifizio delle personali idee al riguardo, Faccettò e lo propose; onde le ire ingiustificate, poiché non era l’emendamento Ricci che buttava in aria l'unificazione italiana nel bollente 48. F. DonAver GIORNALE STORICO E LETTERARIO DELLA LIGURIA 43 VARIETÀ UN MAESTRO ERETICO A SESTRI PONENTE NEL 1579. La storia dei nostri Comuni, se ebbe già parecchi illustratori, altri ne attende ancora, giacché in Liguria ogni pietra è segnata da una memoria. Parte delle memorie, e non tutte d’indole religiosa, han sede nei nostri Archivi Pari-occhiali, tra i quali primeggia quello della vetusta chiesa di S. Giovanni Battista di Sestri Ponente. Esaminando la congerie delle pergamene e dei documenti cartacei, che possiede (ij, m’imbattei in un documento che porta la sua luce, per quanto fievole, in un periodo storico dei più interessanti, quello della Riforma. Un maestro eretico a Sestri, a pochi passi dall’ Abazia di S Andrea, dove i figli di S. Domenico per autorità del pontefice Pio V aveano installato il tribunale dell’inquisizione, non doveva passare inosservato. La popolazione sestrese aumentava continuamente, e appunto il 19 aprile del 1579 il Rev. Pellegro Roletti, parroco di Sestri, compilando il Registro delle Attinie, dice che « le anime viventi che si ritrovano nella nostra parrocchia sono 3827 i. Il 22 maggio del 1582 la popolazione sestrese era giunta al numero di 4012 formando S16 fuochi (2). Il maestro, che insegnava lettere in mezzo ad una popolazione così numerosa, chiamavasi Giacomo Maria Coltella del Bosco (di Alessandria? 1 arrestato in Sestri da un certo Pietro Antonio Chiesa per ordine del S. Ufficio nel 1579, dopo un anno e più dalla sua dimora in quel borgo. Il documento isolato che faccio di pubblica ragione non determina la natura delle dottrine eretiche, professate dal nostro maestro, perchè in quei tempi, come ben osserva il professore Michele Rosi, agli eretici solevan dare il nome del più noto e temuto dei riformatori, Martino Lutero, e spesso si appellavano (1) Furono messi a mia disposizione dalla squisita cortesia del Rev. Prevosto Canonico Teologo Giuseppe Parodi, membro della Soc. Lig. di Storia Patria. (ì) Registro dei Battesimi, Matrimonii e Morti N. 3 e 4. 44 GIORNALE STORICO E LETTERARIO DELLA LIGURIA col nome vago di luterane, dottrine, che Lutero certamente non avrebbe accettato (i). In quanto a me sono soddisfatto di aver portato il più mo desto contributo alla Storia della Riforma religiosa in Liguria. Arturo Ferretto. MDLXXXII die Mercurii XXXI Tannarti in Sexto ad bancum met Notarii infrascripti in Vesperis Petrus de Planis qm. Jacobi de Sexto testis productus per Obertum Leono qm. Io. Oberti coram me notario infrascripto examinatus et gatus summarie ad instantiam ipsius Oberti per me dictum inlrascriptu notarium super infrascriptis Delato prius iuramento etc Suo iuramento testificando dixit Io come vicino della caza del detto Oberto de Leone situata in la trata de S. Catherina in lo borgo di Castiglione in Sestri ho \isto Giacomo Maria Cultella mastro di scola de insegnar lettere è statto et bitato stava et habitava in essa caza sotto titulo de pensione per un anno intero e più mesi de continuo e che detto Giacomo Maria era obligato pag esse pensioni al detto Oberto de Leone e cosi è publica voce e fama public e notorio in detto loco de Sestri al qualle però non so se habbi pagate dette pensioni Interrogatus de causa scientie etc. respondet Per quel che ho detto e testificato sopra e perche mi raccordo che quando fu preso dalla giustizia 1’ anno 1579 Per lutherano dal Santo Uf fido de 1’ Inquisitione fu preso in detta caza et in quella stava habitava come sopra ho detto Interrogatus quotannis est et quantum habet in bonis respondet Sono di età d’ anni 35 li miei beni vaglion scuti 200 e più Interrogatus si ad eum commodum vel incommodum etc. respondet non Super aliis etc. recte respondet Presentibus testibus Augustino de Celsa qm. Castelini et Oberto de Mi-chono qm. Augustini de Sexto vocatis, φ Ea die post vesperas ad bancum Blaxius de Illiono qm. Therami de Sexto testis super predictis examinatus interrogatus ad instantiam dicti Oberti delato prius iuramento etc. Suo iuramento testificando dixit Io mi ricordo et ho visto che quando Giacomo Maria Cultella del Bosco maestro de scola fu preso per ordine della Santa Inquisitione hor anni 3 (1) La Riforma Religiosa in Liguria, in Atti della Soc. Lig. di St. Patr., Volume xxiv, p. 557. GIORNALE STORICO E LETTERARIO DELLA LIGURIA 45 in circa stava et habitava in una caza del detto Oberto Leone in Sestri appresso Santa Catherina qualle caza teneva e conduceva dal detto Oberto sotto titolo di locacione per quanta pensione io non so ma so bene che vi era già in detta caza per un anno e certi mesi prima che dalla giustitia fussi preso per lutherano Interrogatus de causa scientie etc. respondet Perche erano già più anni che io conosceva detto Giacomo Maria e quasi ogni giorno lo vedeva in detta ca2a andando passando per essa contratta e ragionando con lui col qualle io era domestico non so io che habbi pagate le dette pensioni al detto Oberto Interrogatus quotannis est et quantum habet in bonis respondet Etatis annorum 49 in circa in bonis habere valorem scutorum quingentorum et ultra Interrogatus super aliis generalibus recte respondet Presentibus testibus Oberto de Michono qm. Augustini et Paulo Mar-zocho qm. Vincentii de Sexto vocatis die Iovis primo Februarii 1582 ad bancum in tertiis. Johannes de Balestrino qm. Antonii de Sexto testis examinatus etc. ad instantiam dicti Oberti iuravit prius Suo juramento testificando dixit Essendo io in Sestri proximo vicino della detta caza del detto Oberto e già domestico e familiare del detto Giacomo Maria maestro di scola che fu preso dalla giustitia del Mag.co Pietro Antonio Chiesa per ordine della Santa Inquisitione tre anni fa in circa ho visto che esso Giacomo Maria stava al* hora et habitava e fu preso in detta caza di detto Oberto e prima vi era stato et habitato per un anno e mesi al continuo sotto titulo di pensione e che al detto Oberto habbi mai pagate le sue pensioni io non so e così è publico e notorio publica voce e fama. Interrogatus de causa scientie etc respondet Per quel che ho detto e testificato sopra e perche come vicino e domestico ho visto stare in detta caza e audito da lui che la conduceva dal detto Oberto et in detto tempo ogni giorno quasi sono passato nanti essa caza essendo appresso la chiesa de Santa Catherina. Interrogatus quotannis est et quantum habet in bonis respondet litatis annorum 35 in circa in bonis habere valorem scutorum ducentum et ultra. Interrogatus si ad eum comodum vel incommodum etc. respondet non Super aliis etc. recte respondet. Presentibus testibus Paulo Marzocho qm. Vincentii et Johanne Rubeo qm. Berthoni de Sexto voratis Ca Antonius Figaroi.ius Notarius 46 GIORNALE STORICO E LETTERARIO DELLA LIGURIA IL SERVITORE DI BASSVILLE. L'uccisione dell’mielite francese avvenne il 14 gennaio 1793· Che cosa accadesse della famiglia è noto, per le larghe notizie che si desumono da parecchie pubblicazioni, in cui il fatto venne ricercato e chiarito in tutti i particolari, così rispetto al Bassville come a’ suoi, ed a quelli che v’ ebbero parte più 0 men diretta. Egli aveva al suo servizio un tale Durand, che, a quanto pare, si impadronì di parecchie cose appartenenti al suo padrone, specialmente delle carte, e rifiutò di consegnare il mal tolto alla vedova, che si era ritirata in que’ gravi momenti a Napoli. Di qui le attive ricerche di costui che se n’ era partito da Roma, forse avviato in Francia. Il ministro a Napoli Makau sollecitò a quest’uopo il suo collega di Genova, il quale scriveva al Segretario di Stato della Repubblica la lettera seguente (1): Le Ministre plénipotentiaire de la Republique français, prie Monsieur le Secretaire d’Etat, de donner promptement des ordres a H Police, pour faire arreter un français nommé Dura?id, Valet de Chambre du feu Bassville assassiné a Rome. Ce Valet de Chambre s’ est emparé des effets et Papiers de son maitre qu’ il a refusé 'de renvoyer à la Veuve a Naples. Le C.en Makau Ministre de France a Naples, en avertit son confrere a Gênes, et le prie de faire toutes les perquisitions possibles pour faire arreter le voleur, et sauver les effets. Le Ministre de France prie en conséquence Monsieur le Secretaire d’ Etat de le seconder, et de prendre les plus promptes précautions pour faire arreter le segneur Durand qui est à Gênes dequis 2 jonrs, et don la police doit connaître le logment. Le nommé Durand est un petit homme maigre d’environ 50 ans ; il parle 1’ italien et 1’ allemand. A Gênes à 22 février an seconde de la République français. Questa lettera fu rimessa per gli opportuni provvedimenti al magistrato degli Inquisitori di Stato, e ai Deputati della Consegna ; ma perchè la risposta tardava, il Ministro francese rinnovò la preghiera il 24. Probabimente il Durand era già partito, perchè non troviamo altre carte che si riferiscano alle indagini fatte, e forse la risposta negativa venne data dal Segretario senza che ne sia rimasta traccia. Certamente il Durand (1) Arch. di Stato, Genova — Confinium, Fil. 172. GIORNALE STORICO E LETTERARIO DELLA LIGURIA 47 tornò a Parigi e non ebbe molestie di sorta, del che ci porge tc stimonianza i! rilevare che allorquando la vedova del Bassville chiese un compenso per i gravi danni sofferti in quella triste occasione, anche il servitore si fece animosamente innanzi, e, secondo riferisce un diligente storico, « le citoyen Pierre-Mathieu dit Durand valet de chambre de Bassville demandait cent louis * pour lui tenir lieu de ses effets qui avaient été pillés et de « la garde robe de son maître, dont il n’avait rien eu et qui « lui avait été promise » (i). Dopo ciò si deve credere o che 1 imputazione non fosse vera, o il Durand un gran furfante. A. N. BOLLETTINO BIBLIOGRAFICO M. Rosi. Per un titolo. Contributo alla storia dei rapporti fra Genova e l'Inghilterra al tempo della riforma. Roma, 1898. (Estr. dai Rendiconti della R. Accr dei Lincei, Voi. vìi, fase. 3-4). Questo della riforma a Genova e nella Liguria era, può dirsi, un argomento ancor vergine prima che il prof. Michele Rosi nel xxiv» volume degli atti della Società Ligure di Storia Patria ne trattasse coll’erudizione e l’acume ben noto ch’egli reca nelle ricerche storiche (2). Una città, al par di Genova, « tutta zelo, tutta spirito, tutta devotione » come la dichiaravano il Doge e i Governantori nel 1568 doveva però, secondo una considerazione dei medesimi, • tolerare, per mantenere il trafico et il comercio ogni sorta di huomini », purché si tenessero serrate in petto le eresie loro e non dessero scandalo al volgo. La repubblica, nei rapporti con Roma, s’era mostrata ossequentissima, ma non senza accortezza, perchè i traffici non permettevano che venissero perseguitati con ferro e fuoco, secondo che aveano voluto papa Carafa e papa Ghislieri, i sudditi delle nazioni eretiche, se queste appunto prendeano, nella vita economica e commerciale, una parte tanto maggiore di quella che aveano avuta nella età di mezzo. Del resto — fatta questa sola riserva — a Genova, oltre (1) Masson, Les diplomates de la revolution. Paris, 1SS2, pag. 133. (2) La riforma in Liguria e 1’ eretico umbro Bartolomeo Bartoccio (Genova, Sordomuti, 18921. Queste ricerche — come vedesi anche dal sottotitolo — vanno dal primo apparire dell' eresia in Liguria fino all’ anno 1567. La copiosa messe di documenti raccolta nell’ Appendice può offrire ancora argomento di studio e va raccomandata ai lettori. 48 GIORNALE STORICO E LETTERARIO DELLA LIGURIA all’ antico sentimento cattolico c’ era un’ altra ragione che imponeva l’ossequio alle teorie e alle pratiche della contro riforma. E questa era la condizione politica in cui i Doria aveano messa la Serenissima rispetto alla Spagna in un tempo in cui succedeva a Carlo quel suo figliuolo che chiamavasi Filippo secondo. Il conflitto tra Spagna ed Inghilterra al tempo di l· ilippo e d’ Elisabetta, come a dire tra il protestantesimo politico e il cattolicismo fanatico, ecco il momento che ora c illustra, in qualche parte, il Rosi con questa sua nota a cui niun rimprovero potrebbe farsi se non quello (probabilmente non imputabile all’ A.) d’una soverchia brevità. Perchè nell Ottobre del 1591, chiede il Rosi, la Curia Romana muove appunto alla Repubblica ch’ella dia il titolo di Serenissima e Invittissima Maestà e di Sacra Regia Maestà alla Regina Elisabetta, mentre non l’ha fatto negli anni precedenti in cui pur quel titolo era stato usato dalla repubblica stessa per la figlia di Enrico vili e per 1 suoi predecessori? Perchè, risponde il Rosi, e ne dà le^ prove, nella condotta tenuta ultimamente da Genova rispetto all Inghilterra e rispetto a Orazio Pallavicino gentiluomo genovese accusato d’eresia, e che fin dal 1583 dimorava in Inghilterra, la Inquisizione romana, così facile ad adombrarsi, avea trovato forse qualche cosa a ridire. Così il Pallavicino prende posto accanto al Fiesco e al \ 1-valdi-Pasqua, gentiluomini anch’ essi, al medico Giannagostino Contardo da Levanto, al chirurgo Luchino Boero, al farmacista Bartolomeo Alessio, e a quegli altri sospetti di calvinismo che il Rosi ne fece conoscere nel precedente suo scritto. Le pratiche, che corsero tra il governo di Genova e la Curia romana sino alla condanna dello stesso e alla confisca de’ suoi beni a profitto dèH’Inquisizione vengono ben illustrate dall’A., che conclude: « la repubblica si sarà lagnata qualche tempo per tacere in seguito, come altre volte le era accaduto, o per chiedere grazia a favore degl' interessati, e certo si sarà consolata col pensare che Orazio Pallavicino avea provveduto bene a se stesso rimanendo in luogo sicuro ». La Corrispondenza tra il governo e il cardinal Sauli; altre lettere anche ai cardinali Pinelli e Giustiniani chiariscono la vicenda di quelle pratiche; l’A. ne dà il succo, ma ha fatto bene a trascrivere per disteso gran parte della lettera del 14 Marzo 1589 diretta al cardinal Sauli sopradetto, e che si riferisce all’arresto d’un suddito inglese eseguito a Genova d’ordine del-l’inquisitore appena sbarcato < di verso Marsiglia con una b&rca carica di tonnine ed altre mercantie ». Ora se era provato che quegli non sapeva parlare che l’inglese e il latino, come avrebbe dunque potuto infettar d’ eresia i marinai genovesi durante il viaggio ? Aveva l’inquisitore addotto, per ragion subordinata, al governo un’ altra più singolare ancora, affine di giustificare 1’ arresto, cioè che < havendolo esaminato lo trova con molta GIORNALE STORICO E LETTERARIO DELLA LIGURIA 49 inclinatione a dover farsi cattolico, et trasferirsi a cotesta città » (Komaj ; il governo insiste dunque che il cardinal Sauli faccia presen e tutto ciò a Sua Beatitudine, perchè considerato quel j. ^ avvenuto «, avuto risguardo.... alla maniera tenuta sopra ai ciò dall inquisitore, che ci ha riferto diversamente da qifello c e stava in fatto, alle pessime conseguenze eh’ a danno nostro de nostri cittadini et loro facoltà puotrebbero da ciò succedere »’ possa la repubblica « provvedere che detto giovane venuto di camino con vettovaglie et mercantie, senza aver delinquito nel nostro paese, sia rilasciato ». l'u o non fu rilasciato? Il cardinale Sauli ne parlò al papa questi lo rimandò ai cardinali del S. Uffìzio e non ne possiamo sapere di più. Certo che le lettere del 1591 dei cardinali Sauli e Spinola pubblicate dal Rosi e, come tutti gli altri documenti citati, tratte dal nostro Archivio di Stato, mostrano la preoccupazione, perche 1 molti genovesi che praticavano in Inghilterra per i commerci non avessero a intingersi d’ eresia e recarla in patria quando vi tornavano. « Li suddetti 111.mi Signori (dell’Inquisizione) — diceva lo Spinola — ricordano.... che sarebbe bene pigliarsi qualche provigione per ovviare tal danno ». Quell’anno stesso venne anche da Roma il richiamo per il titolo dato dalla Serenissima alla regina Elisabetta. Ora sembrami che, intento a esaminare i soli documenti speciali delle singole questioni trattate, il Rosi non abbia considerato se questi maggiori sospetti e timori di Roma e dell’ Inquisizione rispetto all Inghilterra e ai cattolici che con essa — fossero governi o mercanti — aveano rapporto, non trovano la spiegazione nella lega stretta risolutamente nel Giugno del 1587 tra Sisto V e Filippo II per vendicare la morte di Maria Stuarda, nell’ aperta formidabile lotta scoppiata fra la Spagna e l’Inghilterra 1’anno successivo, nella politica risolutamente antiprotestante fatta da Gregorio xiv in quei sei soltanto, ma importantissimi mesi ch’ecrli tenne la cattedra di Pietro. Sono — a ben guardare — tre papali: uno di dodici giorni (Urbano vii), uno di sei mesi (Gregorio xiv)j uno di due mesi soli (Innocenzo ix) tutti e tre sorretti dalla Spagna; anzi sappiamo di Urbano vii che « la pratica (dell’elezione) era stata condotta da cardinali genovesi » (1). Questo in due anni non interi, quanti corsero dalla morte di Sisto v al Giugno 1592 quando uscì papa dal conclave una creatura di Sisto appunto cioè il Cardinale Aldobrandini che si chiamò Clemente vin. Altro ancora è da notare, cioè che nel 1589, appunto dopo disfatta da Drake e dalle tempeste Γ armada del re Filippo, volse Elisabetta tutte le sue armi a domare la riottosa e cat- to Ranke - /fisi, (ir la pap. etc. (trad. Heiber) Bruxelles, 1844; fase. 3 pag 82-η. I e passim. Cfi. Dure fase. 2; p. 220 ove citasi una Relatione stampata a Roma nel 1590 in lettera scritta da Londra. Gioì. Si. c Leti, della Liguria 4 50 GIORNALE STORICO E LETTERARIO DELLA LIGURIA tolica Irlanda, e questa fu 1’ opera che suggellò il regno di co ei che, negli ultimi anni del suo pontificato, papa Sisto avea pai a- gonato a Jezabele. _ Sole indicazioni queste, a svolger le quali non e qui spazio, possono bensì servire al Chmo A. per vedere come secon o il mio giudizio — potrebbero rendersi anche migliori tali stuc 11 che tutti desiderano vedere da lui continuati. Guido Biconi. Camillo Manfroni. Storia della marina italiana dalle invasioni barbariche al trattato di Ninfeo fanni di C. 400-1261)· Livorno, a cura della R. Accademia Navale, 1899 (tip. Raffaello Giusti), in , di pp. xv-515. Una parte cospicua tiene la marina di Genova nella storia che diede argomento all’ anzidetto volume. Il capo iv e poi tutti dal vi al xvi, che è l’ultimo, indagano con acume, e con vivacità espongono le vicende marinaresche dei padri liguri, bene; spesso intrecciati a quelle degli altri due popoli marittimi d ta ia, come chiamavali l’avvocato Fanucci in quella sua vecchia e degnamente obliata storia. L’A. ha potuto far tesoro di mo e ricerche analitiche e di molti speciali lavori, dai più antic 1 pubblicati negli Atti della Società Ligure, fino ai contemporanei del Caro e del Sieveking, e, cimentandogli con accurato riscontro delle fonti, ha rischiarato molti punti oscuri, rettificate molte storture e — dove la soluzione di particolari problemi non è definitiva — nessuno può negargli il merito d aver posto assai nettamente le questioni, il che è già un avviamento alla meta. ,. . Questo si dica p. e. a proposito della compagna che e istituzione fondamentale per 1’ origine del comune genovese, questo delle prime imprese fatte da Genova insieme con Pisa contro 1 Saraceni della Sardegna. Alla metà del secolo xi avviene uno spostamento importante; il commercio di Levante, che fino allora era stato esclusivamente nelle mani di Veneziani ed Amalfitani, incomincia ad attrarre anche l’attività di Pisa e di Genova che fin allora erasi svolta soltanto verso occidente e verso mezzogiorno. Eccoci alle Crociate feconde di così mirabili risultati, che restiamo attoniti quando rileggiamo quella pagina ove il Botta le chiama assurde, e ci chiediamo fino a che Punt° *a passione può rendere ingiusti anche gli storici. Cesarea e Tor-tosa, Acri e Gibelletto videro il valore dei Genovesi, poi le colonie loro commerciali fiorentissime e quindi le prime gelosie delle altre città marinare, alle quali doveano seguire lunghe e fierissime lotte. Dell’ amministrazione delle colonie di Genova nella GIORNALE STORICO E LETTERARIO DELLA LIGURIA intanto Genova colle imprese di Tortosa e d' AÎ^ria estendeva » suo dominio nel bacino occidentale del Mediterraneo faceva ai pan passo procedere le cose della religione e del commercio . ^ i --------ai uai ua~ rossa e, in generale, l'ascensione della forza e della marina genovese nei secoli xn e xiii, quand’ essa si trovò a lottare colla profondamente radicata possanza dei Veneziani. Molte notizie sono raccolte anche intorno ai corsari genovesi, alcuni de quali salirono a singolare potenza ed insigni titoli feudali in quella strana e varia società che sorse nel bacino orientale del Mediterraneo in seguito alla quarta Crociata; per Enrico Pescatore ha ragione il M. di asserire che il più e il meglio venne raccolto dal compianto Desimoni; malgrado questo, su lui e su altri permangono molti tratti da chiarire, perchè il silenzio o la contraddizione delle fonti non ci permettono spesso nemmeno accertare se di questo o quel corsaro veramente si parli. • S1 chiude con l’esame del trattato di Ninfeo, co- sicché I ultimo capitolo viene a collegarsi con quella illustrazione de documenti grecoliguri che, raccolti dal Sanguineti e dal Hertolotto, vennero poi pubblicati e commenfati dal M. stesso negli Atti della Società Ligure. E noto che il colpo di mano di Alessio Strategopulo diede ai Bizantini la città di Costantinopoli nel 1261, senza che Genova vi potesse cooperare e adempisse 1 patti ratificati il 10 luglio. Perchè l’imperatore Michele Paleo-logo non addusse alcun pretesto affine di sottrarsi all’adempimento delle fatte promesse, la qual cosa era nei Greci consueta anziché rara? Ottimamente risponde il M. agli scrittori, che so-nosi meravigliati di ciò, che « se grande vantaggio era 1’ essere già padroni di Costantinopoli, non tutta l’impresa era compiuta e che il pericolo d’un nuovo attacco non era affatto svanito ». Urbano il» ad istigazione di Venezia lanciava la scomunica sopra la rivale che ajutava gli scismatici a ricuperare Bisanzio; e, d’altra Ila mancanza :1 secolo xrn, > a PP· 177, e 52 GIORNALE STORICO E LETTERARIO DELLA LIGURIA parte, la piccola armata del Gradenigo ch’era a ^ rafforzata ben presto da Jacopo Quirini, e meg io c . armata di Marco Michiel, cosicché circa sessanta navi d^ gu^r stavano raccolte nel mare di Grecia. E vero che le «tnuiog date dal Senato al Michiel erano di tenersi sul a difensiva, lo poteva sapere il Paleologo ed esseine certo. _ _ Così dunque venne Genova ad accamparsi min. com_ lata a CafTa, Soldaia, Cembalo e Balaclava dom.nando i com merci dell’ Eusino e della Taunde; la decadenza della tagonista è tanto lenta quanto sicura. secolo La lotta fra le due repubbliche nella seconda metà del se^ xiv,· il crescere minaccioso per tutti della forza carmata ottomana; la prostrazione di Pisa; il s°rgere de a ma_ di Napoli e il prevalere successivo dell aragonese e tte teria d’ un altro volume (i) che riuscirà ricco d ricerche e di ben disegnate e colorite narraziom. Mo to nat ^ ralmente dovrà trovarcisi intorno a Genova ed alla L: g faremo il dover nostro di renderne conto ai lettori appena pubblicato. Guido Biconi. Vittorio Poggi. Di una tavola dipinta nel sec. Bartolotto, 1898, di pp. 20 - Postille alle ”iem0/te^Tdl efi -Verzeliino. Ivi, 1S98, di pp. 23 - Spigolature di storu1 A ^ grafia savonese. Ivi, 1899, di pp. 21 J!fCt an eterica savo-iS6q di pp. 25 (Estratt. dal Ballettino della società storica savo «S! a l e II) - La battagli» navak di Malaga ÿ narrata da «» testimonio octdare. Tonno, Paravia 99, PP 32 (Estratto dalla Miscellanea di Stona Italiana, s. ni, vo . Oneste diverse scritture appartengono Prom^^ero 1’ arte, all’ archeologia, alla storia; a questa in maggior nume , e da essa perciò incominceremo nel renderne co . nPesi vero di notizie è il Verzellino rispetto all opera de. savo in Famagosta, di cui non dà cenno anteriore ri cader del sec xiv; mentre il P. dal L ber Iurium, e segnataemente dag att del notaro Sambuceto editi dal Des.moni,, nleva come molti dei cittadini di Savona, e uomini di Finale, di N°M g , Sasserello, di Arenzano, di Varigott. si trovasserofindalsecoio antecedente nell’isola di Cipro per ragione di trafJC0/^eerca_ alle cause che richiamavano cola cosi gran nul™' danti e di navigatori; e dalla nota che egli desume dιφ*. documenti, può a giusta ragione affermarsi come . 1 ηΛΙΙ eUcte va battaglia di Lepanto. (Roma, Forzani, 1897). GIORNALE STORICO E LETTERARIO DELLA LIGURIA 53 -vasse sul finire del secolo xm una vera colonia di savonesi e delle terre vicine. — Con poca esattezza il Verzellino tocca di r errarla d Albisola, e il P. mercè studi e documenti di recente venuti in luce, corregge e integra quello storico. Egli è del pare redi co'oro che ritengono Ferraria, figlia del marchese Guelfo d Albisola, essere stata la moglie di Guido Guerra dei conti di Ventimiglia, e madre assai probabilmente di quella Giacobina che dette argomento ad una nota canzone di Rambaldo di Va-queiias. — Tacciono gli storici locali di due rovine cui venne sottoposta Savona nel secolo xv, anzi della prima, che fu un vero saccheggio, c’ è una memoria nebulosa e prudentemente ambigua nel Verzellino; si tratta di una invasione a tradimento dei genovesi nella notte fra il 4 e 5 agosto 1440, causa di gravi danni alla città, al porto, alle porsone, la cui memoria, e le testimonianze rimasero vive per moltissimo tempo. Un documento perduto, donde il Belloro trasse una delle tante sue schede, permette al P. di dar contezza sommaria del fatto, onde si rendono chiare le parole sibilline del Verzellino. Vogliam dire gli atti della inchiesta fatta eseguire nel 1508 da Giulio 11, quando i savonesi interposer l’autorità del loro grande concittadino per ottenere dai genovesi la rifusione dei danni patiti in quel- 1 anno terribile. Il secondo avvenimento si riferisce all’ assedio dei castelli di Savona, per opera del doge Tomaso di Campo-Iregoso nel 1455. — Siamo qui richiamati alle fortificazioni, a proposito delle quali da un atto del 26 aprile 1215 desume il P. che costruttore del castello fatto edificare dal Comune di Genova fu Alberto di Albisola, e da altri documenti dell’archivio milanese rileva che « Bortolomeus de Comacio Laudensis in-geniarius », si trovava in Savona nel 1473 a fine di eseguire i lavori da lui proposti per la Darsena e lo Sperone, e al medesimo intento, mandato dalla Repubblica di Genova, vi tornò nel 1476; anno in cui pur fu alla Spezia. — E’ noto che nel 1410, quando il maresciallo di Bouciquaut, reduce dalla fallita impresa di Lombardia volle recuperar Genova, sottrattasi alla signoria francese, il che aveva pur fatto Savona, credette opportuno impadronirsi da prima di questa seconda città, si giovò, a mandare ad effetto il tentativo, del vescovo, Filippo Ogier, sua creatura. Ma il tradimento abilmente ordito non riuscì. Cinque francesi congiurati vennero condannati alla forca; il vescovo, che dovette la vita al suo carattere sacerdotale, fu costretto a lasciare la sede. Questo fatto ha una coda, rivelata da una bolla di Sisto iv del 28 gennaio 1472, donde apparisce che i savonesi con un tardo scrupolo, domandarono di essere assoluti dalla scomunica in cui ritenevano essere incorsi i padri e gli avi 62 anni innanzi, per aver preso armata mano nel suo palazzo il vescovo francese, e postolo in carcere. — Il sunto di un interrogatorio, subito da due donne, accusate di stregheria, per aver portato in diversi luoghi nel 1631 la « polvere di contagione » 54 GIORNALE STORICO E LETTERARIO DELLA LIGURIA produttrice della peste, reca un nuovo documento alla storia de e aberrazioni umane. — Ai miserabili pregiudizi del formalismo officiale, elevati a faccenda importante di stato, si riferiscono le quistioni avvenute fra il governatore ed il vescovo di Savona per la precedenza in duomo, nel secolo xvn, accomodate poi con un cerimoniale che oggi desta l’ilarità, mentre allora una minima infrazione poteva giungere sino a turbare Γ ordine pu -blico. — A più rilevanti avvenimenti di importanza europea ci richiama la battaglia di Malaga, d’ esito incerto e di consegue nze non risolutive. E’ un episodio della guerra per la successione di Spagna. Genova, sebbene avesse dichiarato la neutralità, pure concesse che una squadriglia di galere genovesi, maschera e colla denominazione di « Particolari », e comandata dal «lui.a di Tursi, fosse apprestata nel suo porto, e andasse poi a riunirsi a Tolone con 1’Armata. Sopra queste galere come ut -ciale sanitario prese imbarco un medico Pesenti, che del viaggio e delle imprese della squadriglia ha lasciato un minuto diano che forma argomento della pubblicazione del P. 11 quale lo i llustra ricordando in accomodato preambolo quel tanto che e necessario all’ intelligenza dell’ episodio, e chiarendone alcuni punti con note opportune. Giustamente si meraviglia 1 editore del modo come osservava la Repubblica di Genova la vantata neutralità; mentre, dopo aver consentito all' armamento de a squadriglia con elementi locali, finita la campagna accolse a svernare nel suo porto quelle galere, secondo un ordine de -1’ ammiraglio di Francia. Gli è che era sempre vivo e scottante l’effetto delle bombe, e delle successive umiliazioni di Versailles. — Monsignor Vincenzo Agostino Maggiolo, vescovo di Savona, ebbe da Napoleone il titolo di Barone dell'impero. Fu questo il compenso della nota dichiarazione a favore della Chiesa < jal-licana, fatta dal Capitolo di Savona, quando Pio vii si trovava prigioniero in questa città, mentre era più viva la contesa fra il papa e l’imperatore? Il P. non sa decidersi per 1’ affermativa, perchè il compenso venne un anno dopo quella manifestazione, tuttavia non esclude 1’ opera del Maggiolo come ispiratore della cosa, tanto più vedendo come cinque giorni dopo la pubblicazione officiale di quell’atto, venga ordinato al ministro dei ( ulti di sovvenire con seimila lire il vescovo * assai povero ». Come si vede il compenso sarebbe stato più solido! — Alla archeologia si riferiscono le note illustrative di monete, oggetti fittili, e tombe romane rinvenute a Vezzi, a Vado, ad Albisola; mentre accrescono il patrimonio epigrafico savonese alcune iscrizioni che riguardano le famiglie Canevella, Filippi, Enriquez, e Guglielmi (sec. xiv-xvi). — Nel fatto dell’arte porge argomento a più ampia trattazione un insigne polittico a tempera che si conserva nella sacrestia della chiesa parrocchiale di Lavagnola. Reca la data del 1057. Il P. descrive minutamente il singolare cimelio, discute con soda dottrina le ragioni per le quali quella data sia GIORNALE STORICO e LETTERARIO DELLA LIGURIA 55 da ritenersi plausibile: ragioni storiche, iconografiche, e tecniche persuadono a collocare quella tavola fra i lavori del secolo undecimo. — Trapassando alcuni secoli l'A. viene a parlare delle opere di Gio. Lorenzo Bernino in Savona; in ispecie dell’alto rilievo in marmo che serve d’ ancona alla cappella della Visitazione nella chiesa di N. S. della Misericordia. La cappella detta dei Siri, perchè già appartenente a questa famiglia, la quale si illustra di un vescovo, Gio. Stefano, le cui amichevoli relazioni col Bernino giustificano 1’ esistenza in Savona di alcune sue opere. Quella accennata è delle migliori, non inquinata dallo stile manierato che fu una caratteristica del tempo e dell’ artista. A. N. Colonna De Cesari Rocca. La vérité sur les Bonaparte avant Napoléon d’après les documents inédits. Paris, Charles (imp. Jouve et Boyer) 1899; in-8; di pp. 45. — Bonaparte Giuseppe. — Undici lettere giovanili (pubblicate da Giovanni Sforza, con prefazione e note). Roma, Forzani, 1899; in-8; di pp. 36. (Estratto dalla Miscellanea Napoleonica, serie vi). Le carte che costituiscono il manoscritto G. V. 34 della Biblioteca Universitaria di Genova, porsero opportunità ad un articolo di divulgazione, comparso nel Giornale Ligustico (xm, 471) col titolo Giuseppe Bonaparte in cerca di nobiltà, e riprodotto poi nel volume non venale De Minimis (p. 51). Quivi si toccava del viaggio a Pisa di Giuseppe nel 1789 (ed era il secondo, chè la prima volta vi fu per ragione di studi e per conseguire la laurea), fatto nell’ intento di procurarsi documenti genealogici per stabilire la sua derivazione toscana; e si rendeva conto del carteggio da lui tenuto con Gio. Antonio Vivaldi di Sarzana, archivista del comune, al medesimo fine, trascrivendo altresì alcuni brani di quelle lettere. Il Vivaldi si giovò allora delle ricerche e degli studi di Domenico Maria Bernucci, il quale più tardi compilò una importante memoria storico-genealogica documenlata sulla famiglia sarzanese dei Bonaparte, che pur si trova autografa con altre carte in quel ms. Il Colonna ha di recente esaminata nuovamente quella raccolta manoscritta, ed ha dato di nuovo una larga notizia di quel carteggio, con più ampi brani; rendendo in pari tempo tarda giustizia à quel modesto scrittore sarzanese, della cui opera molti si sono serviti, senza nemmeno citarlo. Ma egli non si è fermato qui; e proseguendo le sue ricerche in archivi diversi, specialmente in quello di Genova, ha rilevato molte notizie riguardanti in genere i Bonaparte, e singolarmente la famiglia che dal secolo xm in poi ebbe stanza a Sarzana, ed è quella donde discende Napoleone. Famiglia che nulla ha da fare con i Bonaparte di Treviso, di Siena, di Ascoli, di Bologna, di Firenze e di San Miniato. Forse qualche relazione può esistere fra quei di Sarzana 56 GIORNALE STORICO E LETTERARIO DELLA LIGURIA e quei di Chiavari, de' quali il Colonna dà alcune notizie erronee ed imperfette; ma occorrono nuove indagini e più maturo esame della intricata matassa genealogica prima di pronunziarsi con qualche fondamento di sicurezza. Bisogna però andare assai cauti nel prestar fede a tutto quanto viene esponendo l’autore, perchè più d' una volta cade in affermazioni non esatte. Lasciamo stare il titolo di notaro imperiale che vorrebbe ereditario, mentre tutti sanno che non è; passiamoci dell’altro errore che Sarzana, per la sua condizione, dovette seguire la sorte di altre citta della Lunigiana « soumises tantôt â une republique, tantôt à un hereux condottiére », e veniamo ad un esempio di fatto per mostrare la fallacia di certe notizie, donde la necessità di una grande cautela nel dar credito alle indicazioni storiche e genealogiche. Francesco Bonaparte da Sarzana detto il Moro, soldato, andò in Corsica con la spedizione promossa dall’ ufficio delle Compere di S. Giorgio nel 1490, e fino ad ora si ritiene sia questo lo stipite dei Bonaparte di Corsica. Il Colonna asserisce che nel 1544« après cinquante-quatre années de service, il touchait duoze livres par mois et était monté », e poi ch’egli « est nommé dans toutes les montres de 1480 à 1544 ’> or bene, risulta da documenti ufficiali che Francesco morì in Aiaccio il 17 settembre 1540 (Belgrano, Imbreviature, Genova, 1882, P· 343, 344)· Veniamo a Gabriele, il quale, secondo il Colonna, del 1582, diventato prete e canonico, fa esaminare nella curia di Sarzana alcuni testimoni per comprovare la sua filiazione da Francesco detto il Moro a fine di far valere alcuni diritti ereditari. Ma noi sappiamo che un Gabriele figlio di Francesco nel 1497 domanda ed ottiene di entrare come stipendiato nelle milizie, dove si trovava suo padre (Belgrano, op. cit.), e vuol ragione che almeno almeno contasse 18 anni d’ età per essere atto al mestiere delle armi ; avrebbe dunque avuto nel 1582 centotrè anni. La cosa ci sembra inverosimile, e forse o vi è errore di data o si confondono due omonimi in una sola persona. Infatti niuno vieta supporre che Francesco quando andò in Corsica conducesse con sè Gabriele giovinetto di circa 10 anni, il quale, fattosi soldato, venisse poi prestamente a morte; e il padre, vedovo, passato a seconde nozze in Corsica, avesse un altro figliuolo cui impose pure il nome di Gabriele. Quella Caterina di Ser Guido da Castelletto, notaro e cancelliere del-Γ Ufficio di S. Giorgio in Corsica mi sembra possa essere la seconda moglie. Queste però sono induzioni ; ma a chiarire l’imbroglio che vi è certamente intorno a questo Gabriele ci vorrà il lume di altri documenti. , Un’affermazione poi che ci ha recato grandissima meraviglia si è, che il noto documento recato dal Passerini, per il quale i Bonaparte verrebbero ad avere un legame con i cadolingi, non solo non è autentico, ma interamente falso. Sembra anzi che la falsificazione sia così chiara e grossolana da riconoscersi GIORNALE STORICO E LETTERARIO DELLA LIGURIA 57 a prima vista. In verità ci sentiamo assai dubbiosi, dinanzi alla conosciuta perizia del Passerini, di accedere senz’altro all’opinione del C.; tanto più che questi non discute criticamente, secondo era debito, le ragioni intrinseche ed estrinseche per le quali lu indotto a dichiarar falso il documento, contentandosi di rilevare « dans sa rédaction un anacronismo, un erreur d’indication et une absance de logique », senza dir quale, e facendo poi alcune osservazioni paleografiche insufficienti e non provate, donde non si può trarre buon argomento a riporre troppa fiducia nella sua competenza in sì fatta disciplina. L autore promette infine di pubblicare nell’ opera in corso di stampa: Maisons historiques de la Corse, tutti i documenti ricordati nel presente suo lavoro, e noi li aspettiamo con desiderio; ai quali si propone aggiungere « la correspondance de Joseph Bonaparte avec Bernucci ». (evidentemente voleva dire con Vivaldi), e cioè le undici lettere che si trovano nel manoscritto da noi citato in principio, e dalle quali egli pure ha incominciata la sua esposizione. Ma queste lettere sono comparse alla luce testé per le cure di Giovanni Sforza, il quale le ha fatte precedere da una conveniente prefazione, che le illustra. Egli sta scrivendo un libro: I Bonaparte di Sarzana, ricerche storiche e nuovi documenti, nel quale intende provare che questa famiglia non viene da Firenze, secondo si crede, ma è « invece di una stirpe affatto diversa ». Sarà quello, vogliamo sperare, che chiarirà tutto quanto v’ha ancora d' oscuro in questa tormentata genealogia. A. N. Guido Biconi. Quattro documenti genovesi sulle contese di oltremare nel Sec. XIII. Firenze, Celimi, 1899; in-8; pp. 16. (Estratto dall'Arch. Stor. Ital., Tomo xxiv). Somma importanza si riconosce finalmente in questo nostro secolo alla storia coloniale della nostra città, e 1’ argomento, trascurato un tempo 0 almeno posto in seconda linea, attrae oggi l’attenzione dei ricercatori e dei critici. Dopo il codice diplomatico delle colonie tauro-liguri, dopo i documenti bizantini, e i recentissimi documenti sulle relazioni di Genova colla Tunisia, non sarebbe certo fuori di luogo la pubblicazione d’un codice diplomatico delle colonie genovesi di Siria, al quale opportunamente potrebbero aggiungersi i documenti genovesi, del notaio Lamberto da Sambuceto, già editi dal De Simoni, e molte altre carte ancora inedite, del nostro archivio. Quanta vivissima luce si rifletterebbe da quelle carte, non solo sulla vita commerciale, ma sulla vita politica di Genova durante il medio evo! Quanti legami, fin qui non veduti o ap- 58 GIORNALE STORICO E LETTERARIO DELLA LIGURIA pena sospettati, si scorgerebbero chiaramente fra la storia interna della città e la storia coloniale! Ne è prova questa brevissima memoria del prof. Rigoni, il quale, trovati nell’ archivio di Genova alcuni documenti, li ha pubblicati con una prefazione, altrettanto sobria quanto ricca di erudizione. Il primo documento è una sentenza arbitrale, proferita da famoso legato pontificio, il cardinale Pelagio, nel 1222, in una fierissima lite scoppiata ad Accon fra Genovesi e Pisani. Secondo un’ antica convenzione, nelle questioni sorte fra due delle tre maggiori nostre città marittime, il bailo, o console della terza, doveva esercitare l’ufficio di arbitro: così era avvenuto volte; così, per ordine del cardinale Pelagio, si accingeva il bailo veneziano a dare il suo laudo arbitrale. Ma i Pisani non volevano riconoscere l'autorità del bailo, accusandolo di non intendersi nè di diritto canonico, nè di diritto civile; e traendo in campo ragioni politiche e cavilli curialeschi, ricorrevano al cardinale perchè annullasse la precedente sua deliberazione Col documento, che ora il B. pubblica, il cardinal Pelagio rigetta le istanze dei Pisani e delibera « balium memoratum debere cognoscere secundum trium comunitatum statutum non obstantibus exceptionibus >. È noto poi che le parti contendenti sollevarono nuove eccezioni e finalmente non comparvero dinnanzi all’ arbitro : ma ad ogni modo il documento illustra una delle numerose scene del grande dramma coloniale. Il secondo documento si riferisce anch’ esso ad un tentativo di pacificazione, fatto da fra’ Tommaso vescovo di Betlemme per ordine di papa Alessandro IV negli anni 1258-1261, durante la fierissima lotta veneto-genovese, che suol chiamarsi la guerra di S. Saba. Le vicende di quel tentativo sono note; ma qui abbiamo vjn atto giuridico nuovo, l’istrumento col quale i due procuratori di Genova presentano a fra' Tommaso le lettere papali, coll’ ordine di farsi consegnare anche colla forza, dai Veneziani e dai Pisani, le torri di Acri, da loro tenute, mentre in forza di una precedente convenzione dovevano essere affidate alla custodia pontificia fino alla definizione della controversia (11. Gli altri due documenti riguardano sempre la città d'Acri e le contese veneto-genovesi in un periodo di tregua a. 1277); e sono una procura del console genovese a Tartaro Usodimare perchè si faccia restituire dal bailo veneziano alcune case, e un memoriale presentato dallo stesso Tartaro al bailo veneziano, che era Albertino MorOsini. Non è a dire quanto vantaggiosi siano questi documenti, e specialmente i due ultimi, per l’onomastica ligure. C. M. Il B., ordinariamente assai accurato, nel pubblicare questo documento, s’c lanciato sfuggire qualche inesattezza : come fonnarn con/radirfotet per cantra contradictores. GIORNALE STORICO E LETTERARIO DELLA LIGURIA 59 ANNUNZI ANALITICI Emilio Bertana. Arcadia lugubre e preromantica (Il solitario delle Alpi). Spezia (Rocca S. Casciano, Cappelli) 1899; in-16; di pp. 61. — Importante contributo che ricerca e rileva nella poesia sentimentale e malinconica del secolo scorso la naturai preparazione al romanticismo. Fatto letterario di provenienza straniera, che si acclimata e s’adagia fra noi come in terreno ben disposto a riceverlo, ed a fecondarlo. Le acute e notevoli osservazioni del B. sono derivate da molteplici testimonianze di parecchi poeti, certamente non celebri; ma che per l’indole e per il colore costituiscono una prova di quella manifestazione lugubre onde si veniva formando l’ambiente che produsse frutti così rapidi, e, come è naturale, qualche volta anche esagerati. Ossian, Young, Hervey, Gray, trovano in Italia traduttori, cultori, e imitatori di più ragioni ; le Notti d’Young, è noto, ebbero tanto potere che fu qnasi adorazione e fanatismo. Il piangere e il gemere; l’invocare la morte; il compiacersi della quiete de’ sepolcri, erano ormai divenuti di moda, e si esprimevano in verso, e magari in prosa poetica, ad ogni occasione, a proposito e a sproposito, fossero o no (e questo era il caso più comune) sì fatti sentimenti, profondamente sentiti. Curioso il notare come alcuna volta questi poeti del dolore, diventino poi lieti e giocondi quando meno ce lo aspettiamo; meutre v’ha esempio di chi salito poi in fama appunto per lo spirito, 1’ umorismo, e nonostante, in mezzo a tutte quelle malinconie, ond’era imbevuta 1’ aria, muove i primi passi con versi youn-ghiani della più bell’ acqua; si ricordi il Pananti con la sua ode: Melanconia e Misantropia, nella quale dal bel principio invoca la .....Musa tetra o lugubre Che ira Γ ombre notturno L'alma turbasti già IVJung pensoso sulle gelide urne. Nel novero de’ poeti de’ quali si giova il B. troviamo quattro liguri, e cioè l’avv. Peri d’Oneglia, il prof. Maurizio Benza, Bernardo Laviosa e Ambrogio Viale. Del qual ultimo, che va sotto il nome di Solitario delle Alpi, il B. si ferma a discorrere più di proposito e con maggiori particolari, ricercando ne’ componimenti alcune notizie della sua vita, così poco conosciuta da uon trovarsene menzione in nessun luogo, salvo che in quattro parole che a lui consacra lo Spotorno. Il B. con lino gusto e con 1’ abituale competenza esamina le poesie del Viale, ne rileva i concetti e gl’ intenti, il manierismo e le contraddizioni, concludendo non senza ragione « che alla poesia del Viale 6o GIORNALE STORICO E LETTERARIO DELLA LIGURIA mauoa non solo la squisitezza dell' arte e lo splendore dell’ ingegno ; le manca altresì quell’intima nota di sincerità, che si traduce sempre in un’ originale e personale immediatezza di concezione e di espressione ». Giuseppe Russo. Gaspare Murtola e il suo poema sulla Creazione. Acireale, Tip. dell’Etna, 1899; in-8; di pp. 128. — Alle poche notizie che si conoscevano intorno a questo poeta genovese, sopperisce ora il R., esponendo con una certa larghezza la vita di lui ; per il che si giova delle rime, quelle in ispecie dettate in spregio del suo terribile rivale, Giambattista Marini ; degli scritti di questi, e di quel tanto che intorno al celebre napolitano è venuto fuori auche di recente, aggiungendo altresì qualche documento. In questa guisa noi abbiamo sotto gli occhi tutti i fatti del nostro avventuriero genovese, che così è pur dJ uopo chiamarlo, ne conosciamo 1’ indole, il carattere, 1’ ingegno. E davvero eh’ ei sarebbe forse al tutto dimenticato, se le contese col Marini uon lo avessero tolto alla oscurità; onde 1’ essere qualche volta ricordato a ciò ei lo deve auziche all’ opera letteraria, assolutamente mediocre. Di che reca nuova e luminosa testimonianza la disanima che qui fa il R., secondo il suo proposito, del poema sulla Creazione. Conchiude col ricercare se il Murtola in questo poema abbia piuttosto imitato il Mondo Creato del Tasso, oppure la Sepmaine del Du Bartas, e per via di raffronti intende provare che egli ebbe in mano 1’ opera dello scrittore francese, e se ne valse largamente. Aventures d’un grand seigneur italien a travers l’Europe - 1606 - relation mise en français et annotée par E. RodoconaChi. Paris, Flammarion. — Il gran Signore è Vincenzo Giustiniani della famiglia de Signori di Scio dove egli nacque, e donde suo padre fu costretto a rifugiarsi in Italia e precisamente a Roma nel 1566, quando il figliuolo contava due anni. La relazione di cui il presente volume contiene una libera versione, e in parte un riassunto, si trova alla Vaticana fra i manoscritti Ottoboniani, e reca questo titolo: Relazione in forma di Diario dal Viaggio che corse per diverse provincie di Europa il Sig. Vincenzo Giustiniano marchese di Bassano l’anno 1606, per lo spazio di cinque mesi, la quale fu giornalmente scritta dal Sig. Bernardo Bizoni Romano il quale fece compagnia al marchese in quel viaggio come camerata ed amico antico e confidente. Il pretesto di partire da Roma fu un de’ soliti viaggi a Loreto così comuni per moda e per devozione a quei tempi. Ma poi in luogo di tornare a casa il Giustiniani, che aveva aggiunto alla sua brigata il pittore Roncalli, meglio noto sotto nome di Pomarancio, piacevolissimo uomo, continuò alla volta d’ Ancona e poi si ridusse a Venezia. Di qui, attraversata la Germania e i Paesi Bassi, si recò a Londra, discendendo poi a Parigi, dove ebbe a fare più lunga dimora. Quindi GIORNALE STORICO E LETTERARIO DELLA LIGURIA 6l sospinto dalla necessità di tornare a Roma passò in fretta per la Francia meridionale, e toccata di volo Genova, patria d’origine della sua famiglia, si ricondusse a casa. Il Bizoui accenna non solo alle particolarità riguardanti il Giustiniani nel suo cammino, ma si ferma alquanto, secondo l’importanza delle cose vedute, e le impressioni sue, sopra gli usi, i costumi, i monumenti, gli edifici, i personaggi de’ paesi e delle città attraversate. Parecchie cose curiose si rilevano; e qua e là l’editore ha posto schiarimenti e riscontri. Dei genovesi incontrati dal Giustiniani si ricordano a Colonia un Pompeo Eoccatagliata comandante d’ una squadra di cento uomini, assoldata dal nostro viaggiatore come scorta attraverso la Fiandra in que’ perigliosi momenti; a Bruxelles il marchese Ambrogio Spinola celebre capitano, Nicolò Doria, Gastone Spinola; a Parigi Francesco Fieschi, nou conte di Lavergue, come annota l’editore, ma di Lavagna. Non ci è riuscito identificare la torre rossa di « Sau-Sparviere » veduta a Genova. Sarà forse un errore del-1’originale o del traduttore? — Libro in complesso curioso, ma compilato con poca cura e in fretta; per nostro conto avremmo preferito la stampa della Relazione italiana. G. Poggi. Genuaii e Viturii. Nuovi studi topografici sulla Tavola di bronzo. 1899. — La carta che qui si pubblica è frutto degli studi topografici fatti dall’Autore con molta diligenza sui luoghi stessi, i quali hanno dato luogo alla controversia, composta mercè la celebre sentenza incisa in bronzo, argomento di tante scritture erudite, di pareri e conclusioni diverse. È un bel lavoro, dove si possono agevolmente rilevare con precisione e chiarezza i confiui dei possedimenti non solo de’ Genuati e Viturii, ma di tutti qne’ liguri che assumevano altre denomiuazioni, e sono Ticordati nella Tavola, siccome de’ punti donde nacque la contesa. Il che riesce pift facile per i riscontri moderni, che guidano alla conoscenza dei luoghi, delle vie, dei termiui, della toponomastica antica. La sentenza vi è riprodotta nell’ originale, a cui fa seguito la lezione data dal Mommsen, ed una versione italiana del P. assai ben fatta. Si aggiungono precise ed utili indicazioni per chi volesse visitare i luoghi abitati da quelle antiche tribù liguri, ripartendo l’itinerario in tre gite, a fine di sbramare la curiosità dell’erndito, e mettere a prova le attitudini dell’alpinista. Aspettiamo cou vivo desiderio il promesso commento: « Genuati e Viturii », col quale l’A. intende illustrare la carta presente. Gaudenzio Claketta, Commemorazione di Pietro Vayra, Torino, Paravia, 1800. (Estr. dagli Atti della Società d’ archeologia e Belle Arti di Torino). — Giusto tributo alla memoria di questo modesto ma erudito scrittore piemontese, che cooperò anche al Giornale Ligustico, porge il Claretta, dicendone le benemerenze in ordine agli studi storici, e 62 GIORNALE STORICO E LETTERARIO DELLA LIGURIA toccando degli uffici sostenuti. Quando la morte lo colse egli dall’Ar-chivio Parmense doveva passare alla direzione di quello di Milano a sostituire il Cantù ; dove si apprestava nuovo campo alla sua operosità ed alla sua sagacia. Esperto paleografo, aveva insegnato a Torino la paleografia e la critica diplomatica, di cui espose le linee in uu lodato programma. E quivi nelle erudite pagine del Museo storico della Casa di Savoia, mostrò di quanti e importanti cimelii va ricco l’Archivio di Stato, e rilevò nel tempo stesso in un quadro geniale la storia della monarchia sabauda politica, civile, letteraria ed artistica. Notevolissime le sue pubblicazioni di questi ultimi anni intorno a Carlo Alberto; e degue di considerazione quelle molteplici d’argomento storico, archeologico e artistico, di più autichi tempi, prodotti in vari periodici e nella Miscellanea di storia italiana. Ala titolo di non piccola lode si è l’opera prestata a Quintino Sella per la pubblicazione del Codex Astensis, che egli do\Tette condurre a termine, dopo la morte dell’ illustre scienziato, ascrivendo modestamente all’amico suo tutto il merito del lavoro. Pompeo Molmenti. Sebastiano Veniero e la battaglia di Lepanto. Firenze, Barbera, 1899. — Pregi di forma e di sostanza si riscontrano in questo libro che viene ultimo a trattare un argomeuto, intorno al quale la letteratura storica registra scritture varie e molteplici; che della celebre battaglia, come fatto capitalissimo del secolo XVI grau numero di scrittori si occuparono, sia di proposito che per incidenza, con maggiore o miuor larghezza. Ma la figura del Venterò era davvero meritevole di speciale rilievo, e qui è posta in piena e degna luce, secondo i dettami d’ una savia critica, moderata e persuasiva. Nè la narrazione, che si legge con piacere perchè dettata artisticameute, non è condotta soltanto sopra fonti note, ma si vale altresì di nuovi documenti, frutto delle indagini praticate dall’ autore in archivi e biblioteche, dai quali vengono meglio illuminati uomini e fatti. In un’opera di tale argomento non potevano mancare, notizie e giudi/,ii iutorno a quel Giovanni Andrea D’Oria, la cui condotta diede luogo a tanti dibattiti. E se ormai la storia ha pronunziato intorno a lui un giudizirt sfavorevole, qui non solo viene giustamente ribadito, ma nuovi elementi si agginngouo a rendere più evidente la sua perfidia, e a meglio chiarire la tenebrosa politica e 1’ egoismo ond’ egli era consigliato ad agire in quella guisa. Il capitolo secondo, specialmente destinato agli avvenimenti del 1530 ed alla disgraziata impresa di Cipro, ci mette diuauzi in tutta la sua crudezza la defezione di quel capitano, e ci fa conoscere una lettera di lui al doge di Venezia, fino a qui inedita, in cui « l’animo subdolo » si manifesta ad occhio veggente. GIORNALE STORICO E LETTERARIO DELLA LIGURIA 63 Giuseppe Finzi. Nel Golfo di Spezia. Spezia, Maucci (Tipografia Zappa), 1899 ; in-8; di pp. 10. — In quest’ ode il nostro golfo è con viva immagine rappresentato nelle sue linee più spiccate, e ne’ ricordi notevoli ; dove il passato e il presente si fondono e si accordano nella visione fortemente ispirata del poeto. Il concetto della potenza d’Italia marinara tiene qui il campo, mentre la naturai bellezza de’ luoghi e delle rive, accoglitrici dogli estivi bagnanti, danno risalto alle precipue rilevanze del quadro, nel cui glauco sfondo vediamo agitarsi « bello d’ audacia a nuoto » il Byron, e udiamo errare « lo sconsolato e gemebondo spirto » di Shelley. Alla realtà operosa ci richiamano < le officine immense », e il tuonar del cannone, e l’urlo della sirena, e il fischio del treno ; cui s’ accompagna il patriottico accenno all’ ardita navigazione al polo. Camillo Cimati. Alcune notizie sul pontremolese Opicino Galli vescovo di Guardialficra dalla fine del 1400 ai primi del 1500. Roma, Ca-paccini, 1900; in-8; di pp. 7. — Il nome di questo vescovo si cercherebbe invano nell’ Ughelli, e negli scrittori di cose locali del Molise. Ne conservarono memoria invece il Campi e il Gerini, sebbene non esattamente, il primo illustratore della storia di Poutremoli, l’altro degli uomini chiari di Lunigiana. Il Galli, figlio di Jacopo, come risulta da un alberetto esistente in un atto del 1543 di Ser Giovan Matteo Uggeri notaro pontremolese, fu vicario di Lorenzo Cibo arcivescovo di Benevento, e da Alessandro vi preposto poi alla diooesi di Guardialfiera. Il C. ha potuto acquistare il sigillo di questo vescovo e lo pubblica qui in fototipia. Il primo anniversario della morte di Giulia D’ Ancona - vii decembre mdcccxcix. Pisa, Mariotti, 1899; in-8; di pp. 38; con tav. — Pietoso ufficio del padre, cui sanguina ancora la ferita acerbissima, è questo di ricordare la perdita di quella sua ben amata figliuola, alla quale già consacrava una scrittura piena di delicata e amorosa soavità. E fu pensiero certamente felice quello di raccogliere qui alcuni sonetti di due poeti, fioriti alla distanza di quattro secoli ; padri anch’ essi provati dalla sventura perchè perdettero le loro figliuole nel fior degli auui, e vollero esprimere in versi i sentimenti dell’animo profondamente addolorato. È il primo Domizio Brocardi, poeta del secolo xv quasi iguorato, e di cui anche oggi si sa assai poco, sebbene alcune delle sue rime abbiano posto in luce il Scipioni ed il Saviotti. Nove dei sonetti prodotti dal primo ristampa il D’Ancona, ragguagliata la lezione con nitri codici ; ed uno inedito ne aggiunge, tratto dalla biblioteca Oli-veriaua di Pesaro. Piangono tutti la sua Giliola. L’altro è Luigi Carrer, dalle poesie del quale si riproducono qui gli otto sonetti in morte della figlia Elena. 64 GIORNALE STORICO E LETTERARIO DELLA LIGURIA SPIGOLATURE E NOTIZIE La nota operetta di Bartolomeo Fazio: De felicitate vitae, ebbe, pooo dopo che fu composta e mandata in pubblico, una traduzione o imitazione spagnuola nella Vita beata di Juan de Luceua, la quale è assegnata intorno al 1454, e venne poi stampata con correzioni e ritoochi per la prima volta a Zarnora nel 1483 (Croce, Ricerche ispano-italiane, negli Atti dell’Accad. Pontoniana, voi. xxvill). # * # Nelle Note autobiografiche e poema di F. Domenico Guerrazzi edite di recente da Rosolino Guastalla (Firenze, successori Le Mounier, 1899) si legge (pp. 62 e segg.) uu lungo giudizio, non benevolo, intorno al P. Giambattista Spotorno, che fu maestro in Livorno al Guerrazzi. Lasciando da parte lo scrittore, discorre del suo metodo d’ insegnamento, e lo riprova. Egli accenna ad « uu articolo violentissimo e pieno di contumelie », scritto dallo Spotorno contro di lui, che però non lesse mai. L'articolo, non rinvenuto dall’editore dell’autobiografia (pag. 63 in nota), si trova nel Giornale Ligustico (Anno n, Geunaio e Febbraio, 1828, Genova, Pagano, pag. 396), ed è una recensione sul romanzo : La battaglia di Benevento. L’ avversione dello Spotorno per il Byron, notata dal Guerrazzi (p. 67), ha preciso riscontro appunto con la conclusione del ricordato articolo. Cita poi il Guerrazzi « certe risposte (dello Spotorno) ad uno scrittore della defunta Antologia » nelle quali si manifestano i suoi « umori acri » (pag. 65). ìiò uoi, nè il Guastalla, che pur le ha cercate, conosciamo queste risposte, ma una nota (pag. 158) del Giornale Ligustico (Anno 1827) ci farebbe credere che non furono mai scritte, se pure non si ha a dare sì fatto nome al Dialogo di Albo Docilio uscito senza indicazioni di data e, come si vede, con lo pseudonimo dell’ autore. * # # Segnaliamo il volumetto n. 11, ser. la della Biblioteca storica del risorgimento, che contiene: La Romagna dal 1796 al 1828, memoria di Domenico Antonio Farini, edita per la prima volta con annotazioni copiose da Luigi Rava. Vi si trovano notizie importanti intorno alle legazioni dei cardinali Spina e Rivarola, singolarmente intorno a quest’ultimo, eh’ ebbe tanta parte alle repressioni dei moti rivoluzionari nelle Romagne. Nelle note si danno ancora dei cenni biografici ; notiamo che a proposito dello Spina, anziché il magro e incompiuto cenno del Gerini, era da consultare la più ampia e attendibile biografia di Fedele Luxardo (in Giornale degli studiosi, a. 1872, Genova). GIORNALE STORICO E LETTERARIO DELLA LIGURIA Nel Journal de Yemen, scritto in tempo dell’assedio di Tolone (1793), troviamo sotto la data del 13 ottobre il brano di una lettera mandata da Genova al Comitato generale dai commissari Pernéty e Caire, spediti in quella città per procurare un forte imprestito, che non riuscirono ad ottenere. Questo brano si riferisce al fatto della Modesta, fregata francese ancorata nel porto di Genova e assalita dagli inglesi; ed è curioso che si accoglie la versione data appunto da questi ultimi al triste avvenimento, volendo far comparire provocatori i francesi. (Nella Nouvelle Revue rétrospective, Paris, 1899 ; Janvier-Juin). # # # Il prof. Giuseppe Manacorda ha pubblicato nell’Archivio storico italiano (Ser. v, Tom. xxiv, p. 66) le Notizie e Spigolature dagli Archivi di Oneglia e di Porlo Maurizio, indicando in via affatto sommaria le carte, e riproducendo alcuni documenti curiosi e non privi di importanza. Sarebbe desiderabile una descrizione più particolareggiata. ¥■ # # . In una memoria: Del Melodramma, letta all’Accademia Pontaniana di kapoli da Federigo Polidoro, troviamo uu giudizio intorno all’opera di F elice Romani, che « purgò il teatro dagli impuri poeti, e restituì il decoro al dramma lirico », sebbene non comprendesse * il rinnovamento del Rossini, e s’incaponì a scrivere il dramma, mirando più ai particolari ed alle strofe ben lavorate, che alle passioni ed all’azione ». Fu di rado inventore, ma seppe far suo prò della materia dovunque la derivasse. Ottenne il geniale legame fra la poesia e la musica (Atti, Accad. Pontvoi. xxvui). # # # Nel receute studio di Ernesta Cappelli, L'ambasceria del duca di Créquy alla Corte Pontificia (Rocca S. Casciauo, Cappelli, 1899) troviamo particolari notizie intorno al cardinale Imperiali, che fu la vittima di quell intrigo politico, che si destò per la violata immunità nella residenza dell ambasciatore francese. In seguito al quale venne dal papa allontanato da Roma l’imperiale, quantunque si chiedessero contro di lui più gravi punizioni, e mandato a Genova; ma questa repubblica prima di accoglierlo volle il beneplacito di Luigi xiv, il quale, vedendo come la nobiltà lo intrattenesse a grande onore, ne mosse lamenti vivissimi col governo, e lo costrinse ed allontanarlo dalla città. Di che il re si mostrò così riconoscente, da proferirne prove efficaci, quando occorresse, a beneficio di Genova; e la riconoscenza si manifestò nel 1684 troppo palese ! Gior. St. e Lett. delia Liguria c 66 GIORNALE STORICO E LETTERARIO DELLA LIGURIA * #· * Nel Bullettin (V histoire ecclésiastique et d’ archeologie religieuse des diocèses de Valence, Gap, Grenoble et Viviers (Octobre-Decëihbre 1899) la signora A. M. de Fraudimi ha pubblicato un articolo dal titolo. Les derniers jours de Pie VI, dettato in forma di diario dal 2/ giugno al 29 agosto 1799. Vi si fa menzione più volte di monsignor Giuseppe Spiua e degli uffici da lui prestati al Pontefice negli ultimi giorni della sua vita, citando altresì qualche brano di sue lettere inedite. * * * Il Polybiblion, Bevue bibliographique universelle. Partie létteraire (Paris, 1899, Août) reca una breve notizia di Cornelio Desimom, con una larga indicazione delle pubblicazioui molteplici mandate in luce dall’ erudito genovese. * * * · I liguri che in gran copia si erano recati in Francia dopo 1 assedio di Genova, non davano troppo buon conto di sè, e il governo francese nel 1802 pose certe restrizioni al rilascio dei passaporti da parte delle autorità genovesi, a fine d’ impedire questa ressa di stranieri. Leon Pelissier ha pubblicato (Bollettino stor. bib. subalp., a. il, fase, rv v, p. 310J una lettera del ministro della giustizia al prefetto de 1 Hérault, con la quale richiama le nuove istruzioni, e ne sollecita 1 esatta os servanza. È degno di nota il principio di questo documento: « Diverses observations m’avaient été transmises sur la facilité avec laquelle les autorités de la Ligurie délivraient des passeports pour entrer en France. Une foule de liguriens la plupart sans-état, sans moralité inondait nos contrées méridionales. Les uns venaient ajouter au hideux tableau de la mendicité, d’autres servaient d’espions aux brigands ou se reunissaient à leur bandes ». * * if Intorno ad Un diplomatico piemontese del secolo XVII, che è il conte Francesco Manfredi di Luserna, discorre Pietro Rivoire. Il quale fa la storia della sua legazione presso la corte Imperiale nel 1604, a fine di comporre certi negozi che assai importavano al duca di Savoia. Fra questi si annoverano anche le difierenze insorte per il marchesato di Zuccarello, sul quale accampavano diritti i genovesi, e la controversia non era stata ancora definita dal tribunale aulico (Bollett. stor. bibliografico subalp., ir, fase, iv-v, p. 317). * * * Reca un utile contributo alla critica delle opere di un poeta ligure la monografia del dott. Ausonio Dobelli (Modena, Namias, 1898) inti- GIORNALE STORICO E LETTERARIO DELLA LIGURIA 67 telata: L'opera letteraria di Antonio Phileremo Fregoso, nella quale egli preude in esame tutte le rime di questo scrittore, che appartenne alla corte letteraria di Ludovico il Moro, traendone buoni riscontri ed osservazioni assai plausibili. Per la parte biografica l’autore si riferisce a quel che ne scrissero il Mazzuchelli, il Tiraboschi ed il Repetti ; a questi si doveva aggiungere lo Spotorno, che parla del Fregoso nella Storia letteraria della Liguria (voi. 11, pp. 179-189). * * Non sarà inutile tener nota che allorquando Andrea D’ Oria fu a Modena, nel novembre del 1529, ad accompagnare Carlo V avviato a Bologna, ebbe in dono un’ « orna » con « olio de oliva », e « 30 staia de spelta » (Spinelli, Sosta di Giov. d’Angiò e di Carlo V in Modena, in Atti e Meni. dep. st. pat. Mod., scr. iv, voi. vili, 210-211). * * # Un diploma inedito di Giacomo I re di Cipro in favore del genovese Isnardo Guarco è pubblicato con illustrazioni da Ferdinando Gabotto ed oai o Durando (Bollett. stor. bibliog. subalpino, ni, n. ni-iv, p. 253). in data del 21 febbraio 1390, e vi si rinnova una connessione di feudi latta già da Pietro II al fratello del doge Nicolò Guarco. * * * Nella Revue bleu del 31 dicembre 1898 Victor Tanet ha inserito un reve articolo sopra Les cendres de Christophe Colomb, nel quale, accennato al recente trasporto di quelle che oggi si riconducono dall’Avana in Spagna, tocca del primo viaggio da esse fatto nel 1795 da S. Domingo all Avana, e dei dubbi sorti intorno alla loro autenticità fiuo da quel empo. Egli reca la notizia dell’arrivo all’Avana stampata nel Courrier de la France et des Colonies di Filadelfia (17 febbraio 1796) ; a questa notizia seguì nello stesso giornale 1’ informazione di un viaggiatore, il quale era stato a S. Domingo nel 1783 e aveva fatto delle indagini intorno a quanto si riferiva a Colombo. Il Tanet riassume codesto articolo, il quale in sostanza dice le stesse cose che si leggono nella Description de la partie espagnole de Viale de Sainte-Domingue (Filadelfia 1796-97), scritte all’autore, Moreau de Saiut-Mery, dal canonico decano della Cattedrale di S. Domingo in una lettera del 20 aprile 1783 (Cfr. Belgrano, Relazione sulla recente scoperta delle ossa di Crist. Colombo, in Atti Soc. Lig. Stor. Patr., ix, 594-95). # * Il prof. Francesco Novati pubblica Sedici lettere inedite di M. G. Vida, vescovo d’Alba, con un excursus sulla famìglia, le prebende, i testamenti del Vida ed un'appendice di documenti {Ardi. Stor. Lomb. a. xxv, fase, xx, 68 GIORNALE STORICO E LETTERARIO DELLA LIGURIA ». IM) notevole contributo vita ‘1 con ,co.U.oti illustrazioni a c,a.cuna »*· ’· Domenico Sauli, e ci porge notizie fino a qu „ destro genovese eli’ ebbe uffici importati e seppe m°stri|™ nft d· politico. Altre ne aggiunge 1’ editore nella no a ι i rilievo. # * Ml. R„n, # mto», «MÛ». 0*. * C2ZT\Z, TI ambassadeur génois a FI01 enee ( ... miello di Genova, si M Ministero degli « »*»1 <11 Franca, e „„ „ .tori. « unto «wntori.ro Teodoro, dopo oto, Mirto tentativo di tornare per la terza volta io oi.i ■ e persegui- dove «11 teneva g„ occHi addo,.. 1 gov.r.f t,v» con taglio, « poi deliberava d. fari·· «ceder . d.„a repubblica presso il granduca, Agi, «· B carico di .covarlo . di appre.t.re ,1 -H*·®-· — - »> — ,-îr «’·— deliberazioni degli In,».iter, ’^ο i desideri ad una minuta esposizione del fatto, eue n,tresì delle « Ubanti. M. il Le Ola, a loa.eggiar. Γaneddoto relazioni fra T.od.r. . le corti d'I.ngbi.t»», ■*£».· . ^ A proposito d. quest·’ ultima e de e ne mi T ,11'Amelot il se: r:r*T^—rrjr: d'Italie ne changent considérablement de face, te m «e jl ^ ^ la fin de Cette guerre, soit d un coté ou . , fieg tablement ..s Etat., et il n. manqo.r»pa. -·»*> <>» ^ ^ soin, à 1’ acquisition d' une partie de 1 Etat de Geo, depui. lo.gt.mp. et i laquelle il médit ffl * ”mpiobe, comme il ... for* probable, il «** dautant Pj~ ^ r'Jpfc"” t;--r;:;: r : rense que lorsqn’ elle sera sous la dominationdue La monografia è accurata e *e “di morino, si erano nostri studiosi, attingendo dagl aie ni d v nn0 in 8ingolar già occupati di questo periodo storico e d TJodoto, 1 modo rispetto alla repubblica genovese, 1 altro al re a GIORNALE STORICO E LETTERARIO DELLA LIGURIA 69 Antonio Battistella dettò il suo Re Teodoro di Corsica (Ritagli e scampoli, Voghera, Gatti, 1890, p. 163); Giuseppe Roberti aveva già pubblicato: Carlo Emanuele III e la Corsica al tempo della guerra di successione austriaca (in Rivista di storia italiana, vi, 665). Di questi pregevoli lavori, che hanno tanti punti di contatto con lo scritto da noi annunciato, non è fatto alcun cenno dal Le Glay. * * * A dimostrare inesatta 1’ affermazione del Serneria, accolta anche da più recenti scrittori, che in Genova non ebbero seguaci le sette eretiche, pubblica ed illustra il p. Giuseppe Boffito due singolarissimi documenti ; 1’ uno del 12 ottobre 1221 tratto dalle miscellanee Poch e proveniente dall’ archivio di S. Lorenzo ; 1’ altro del 10 gennaio 1278 esistente in un manoscritto della biblioteca nazionale di Parigi. Si riferisce il primo alla legazione del cardinale Ugolino da Ostia, il quale deputa come suo rappresentante a Genova il vescovo di Tortona Pietro Busetto, e dà particolare ragguaglio de’ suoi atti e delle inaspettate resistenze che egli trovò da parte de’ governanti al compimento del suo mandato. Il secondo ci reca notizia degli albigesi rifugiati in Genova, de’ loro nomi, de) luogo dove abitavano e d’ altre particolarità. Curioso il rilevare che alcuni dimoravano « in quodam palacio extra in vineis quod cumdu-xerant per annum pro quindecim libris Januensibus ». (Cfr. Albigesi a Genova nel sec. XIII ; in Atti r. Acc. Se. di Torino, xxxn, 161). *** Oliverio di Marchesino da Vercelli, già schiavo di Barchaia Maomet, si dichiara debitore verso Percivale Porcello e Odoardo Zaccaria, nella loro qualità di iìdecommissari dei beui del fu Simone Zaccaria, di dieci doble d’ oro del Marocco, per altrettante sborsate a fine di riscattarlo e trarlo dal carcere dei Saraceni. Testimoni Ogerio Pallavicino e Brigo Nicolini da Portovenere. Ciò risulta da uu atto notarile rogato il 5 marzo 1287 « in civitate Murocchi », e autenticato iu Genova per mano del notaro Nicolò da Camogli. Il documento, tratto dai registri dei notari ignoti dell’archivio di Genova, è pubblicato da Arturo Ferretto con breve commento (Bollettino storico-bibliografico subalpino, a. iv, u. ι-n, p. 22). *** Alessandro Spinola studente di legge a Pavia ai 13 dicembre 1457 promette di pagare 93 lire imperiali e soldi 15 a Giovanni Morono, figlio del consigliere ducale Bartolomeo, che fu poi padre del celebre Girolamo, « occasione resti certiorum librorum emptorum per dict. d. Alexandrum a prefato domino ». [Bollettino storico della Svizzera italiana; a. xxi, p. 39 iu nota). 70 GIORNALE STORICO E LETTERARIO DELLA LIGURIA Nel libro di Giuseppe del Giudice, Carlo Troya, vita pubblica e privata, studi, opere, coti appendice di lettere inedite ed altri documenti (Napoli, Giannini, 1899), si legge una importante corrispondenza dello storico napolitano con Emanuele Eepetti di Carrara intorno a controversie erudite (Cfr. Cap. Ili, e i documenti xxx, xxxi, xxxm, xxxv, xxxvi, xxxvii). * ** Nel giornale fiorentino: Arte e Storia, a. xvm, n. 23-24, 15 dicembre 1899) Vittorio Poggi dà un’ ampia notizia de I nuovi affreschi di Savona, quelli cioè che vennero eseguiti recentemente dai pittori Lazzaro Demaestri e Domenico Buscaglia, tutti e due savouesi. Que freschi decorano la chiesa di S. Domenico e S. Giovanni Battista, e sono giustamente ammirati dagli intelligenti e dai buongustai. Il P. li descrive, e ne discorre il merito, facendo conoscere altresì la vita artistica degli autori, gli studi loro, la scuola a cui si sono ispirati. * * * Nel render conto di un opuscolo dello Zaccagnini intorno a Buonac-corso da Montemagno, Francesco Flamini, che da assai tempo attende a ricerche su quel poeta, di cui si prepara a dare una buona edizione delle rime, accenna a due documenti riguardanti una ambasceria commessa dai fiorentini a Buonaccorso nel 1428. Il primo è la « nota et informatione » di quello che doveva fare, e incomincia: « L’ ambasciata vostra arà due parti: l’una al signore di Lucca, l’altra in riviera di Genova » ; e dopo aver detto quanto si richiedeva dal Guinigi, seguita ad esporre come nella riviera ligure s’ avrà ad abboccare « coi Fregosi e Fieschi » raccomandati dei Fiorentini, ai quali dirà che « questa Signoria v’ à mandato in quelli luoghi acciò che si lievi via ogni differentia che fusse contraria a la determinatione della pace e alla executione della sententia del cardinale di S. Croce ». Le « dif-ferentie » son molte, e la nota le annovera, soggiungendo che 1’ ambasciatore ha· da promettere 1’ aiuto della Signoria a quelli accomandati, fin dove così siano dalla parte della ragione, e che se dovrà abboccarsi col commissario del duca di Milano, ciò dovrà fare « in un luogo di mezo, conveniente a 1’ una parte et a l’altra » avendo sempre l’occhio alla sua sicurtà. Col detto commissario potrà, richiesto, mostrare nella Signoria buone disposizioni a « levar via le rapresagle et sententie per le quali si togle il potere liberamente venire i Genovesi ed altri subditi del Duca ne’ terreni nostri, e noi ne’ loro ». Non richiesto, vedendo il terreno propizio, potrete parlar di ciò « come da voi, non come im-basciadore ». L’altro documento, è una lettera in risposta ad una del GIORNALE STORICO E LETTERARIO DELLA LIGURIA 71 poeta scritta da Sestri. Si approva quello che ha fatto, ordinandogli di scrivere a Messer Pietro di Nibbia, commissario del Duca, per aver con lui un abboccamento sopra le « differentie » suddette, e di significare all’ arcivescovo di Milano governatore di Genova quanto avrà scritto a Messer Piero. (Rassegna bibliog. della lett. italiana, Pisa, 1899, a. vii, 232-33). * * * L uscito 1’ ultimo volume dell’opera di Enrico Sieveking, Genueser Finanzwesen, che porta il titolo speciale: Die Casa di S. Giorgio, (Friburgo, C. B. Mohr edit.) Ne sarà parlato diffusamente nel prossimo fascicolo. * * * C. Kohler ha pubblicato nelle Mélangés pour servir à V histoire de V Orient latin (Paris, Leroux, 1900) un trattato per il ricupero di Terra Santa, indirizzato verso il 1295 al re Filippo il Bello, dal medico genovese Galvano di Levanto. Avremo occasione di riparlarne in seguito con maggiori particolari. ■* * * Da una nota di Arturo Farinelli (Rassegna bibliog. della letteratura italiana, 1899, vii, 265) apprendiamo il nome di un genovese che sul-1’ aprirsi del secolo xvi esercitava 1’ arte tipografica a Siviglia. Il libro colà stampato è questo : Ordenanças reales feclias por el rey y la reyna nuestros senores sobre los panos : impressas de letra de molde en la ciudad de Sevilla por Niculoso de. Monardis ginoves (26 novembre 1500) Forse un Nicolosio di Mongiardino. * * * È uscita la seconda serie delle Notes et Extraites pour servir a V histoire des Croisades au XV siècle publiés par N. Jorga (Paris, Leroux, 1899J nella quale si leggono copiose notizie che o direttamente o indirettamente riguardano Genova e i genovesi. Notevole la corrispondenza di Nicolò Soderini ambasciatore di Firenze a Genova (1452-53) per le notizie sulla caduta di Costantinopoli, e gli effetti politici e commerciali che ne derivarono. Delle due serie sarà data più ampia notizia. * * * Nel Bullettino della Società Dantesca italiana (Nuova Ser., voi. vi, fase. 62) Luigi Staffetti, prendendo argomento dalla Storia della Lu-nigiana feudale del Branchi, si ferma a combattere una opinione tenacemente sostenuta da questo scrittore, e qui e iu precedenti pubblicazioni, a proposito del Malaspina che fu ospite di Dante nel 1306. Il Branchi vorrebbe che fosse quel Moroello, figliuolo di Alberto, che 72 GIORNALE STORICO E LETTERARIO DELLA LIGURIA ebbe in parte, oltre nn quarto di Villafranca e la metà d’ArcoIa, i beni fendali di Val di Trebbia, conosciuto perciò più comunemente colla denominazione di Moroello di Bobbio. Lo Staifetti, col lume dei documenti, e con una rigorosa interpretazione critica di essi, ribatte vittoriosamente le ragioni, spesso campate in aria, del Branchi, e dimostra che amico ed ospite dell!Alighieri fu Franceschino di Mulazzo. * * Ad onorare la memoria dell’ insigne criminalista lucchese Francesco Carrara, si è istituito, nella regia biblioteca di Lucca, il Museo Carrara, ideato e condotto a compimento dalle cure intelligenti e sollecite del bibliotecario Eugenio Boselli. Le notizie intorno a questo museo si leggono in un opuscolo dettato da Augusto Boselli (Lucca, Giusti, 1899), dal quale rileviamo che, fra l’altre cose, vi si conservano alcune lettere di Gaetano Marrè, giurisperito e letterato di non poco valore, che fu zio al Carrara. Alcuni piccoli brani di esse lettere si leggono nella conferenza di Eugenio Boselli: Francesco Carrara poeta (Lucca, Giusti, 1899, pp. 30-31), degna di nota per 1’ argomento, per i rilievi, e per la biobibliografia dell’ insigne lucchese. *** Nella Miscellanea di storia italiana di Torino verrà pubblicato 1’ « Atto di fondazione del monastero di S. Quintino di Spigno » (4 di maggio del 991), di cui ha ritrovata la pergamena originale il nostro collaboratore Vittorio Poggi, che attende a dettarne la illustrazione. ÿ * * Il nostro collaboratore Marcello Staglieno, di cui daremo presto una curiosa e notevole monografia, sta preparando per la Miscellanea stessa, la illustrazione di Due documenti intorno a Tedisio de Camilla vescovo di Torino dal 1300 al 1319. Sono il testamento, e un atto di donazione a favore del fratello Odoardo, dai quali resta provato che questo vescovo, il cui casato non era ben noto, e che anzi alcuni volevano dei Revelli, era invece della potente e ricca famiglia dei Camilla di Genova, intorno alla quale lo Staglieno fornisce molte notizie. È notevole il sincronismo di due vescovi della medesima famiglia, 1’ uno a Torino, 1’ altro nella diocesi di Luni-Sarzàna ; e cioè quel-1’ Antonio, erroneamente detto di Canulla, che per mezzo di Dante, si pacificò coi Malaspina. *** Nel prossimo Bollettino ufficiale della Consulta Araldica sarà pubblicato 1’ Elenco provvisorio delle famiglie nobili e titolate di Genova e della Liguria, campilato da Marcello Staglieno. Vi sarauno comprese GIORNALE STORICO E LETTERARIO DELLA LIGURIA 73 soltanto quelle famiglie che, per documenti storici non controversi, hanno diritto a titoli nobiliari. * * * Ad uno studio sulle « Relazioni tra la Repubblica di Genova e gli stati sabaudi ai tempi di Emanuele Filiberto » sta attendendo il professore Adolfo Bassi, che testé mandò in luce negli Atti dell’Accademia delle Scienze di Torino una curiosa monografia intorno ad Un processo di spionaggio nel 1792 in Torino. Questo studio servirà d’illustrazione alle lettere di quel principe che si conservano nell’Archivio di Genova, e narrerà un brano di storia del periodo importante 1560-1580. L’autore intende ricercare i nessi della politica usata colla repubblica di Genova da Emanuele Filiberto, in relazione con quella assai nota del suo successore. * * * La li.»' heputazione di Storia patria per le provinole modenesi ha festeggiato il giorno 11 febbraio il XXXX0 anniversario della sua fondazione. La lieta cerimonia, riuscita veramente solenne, ebbe luogo nella Sala delle Riviste della Biblioteca Estense, alla presenza, oltre che delle autorità civili e militari e di numerosi soci modenesi, delle rappresentanze delle sottosezioni di Massa di Lunigiana e di Reggio, nonché delle deputazioni consorelle di Bologna e di Parma. Data lettura delle adesioni per parte del segretario conte Ferrari-Moreni, l’iufati-cabile e tanto benemerito presidente Cav. Dott. Arsenio Crespellani, aperta 1’ adunanza, pronunciò brevi parole acconce alla circostanza, vivamente applaudite. Dopo di che il cav. Sforza, vice-presidente della sottosezione di Massa, dette lettura di un magistrale discorso, parlando dell’ origine delle deputazioni Emiliane, dell’ opera loro nel trascorso quarantennio, degli uomini insigni che ne furono parte, riscuotendo più volte meritatissimi applausi. Il discorso stampato venne, prima che la seduta fosse sciolta, distribuito agli intervenuti. Verrà poi ristampato come Prolegomeni al volume di Atti e memorie della Deputazione che è sotto i torchi, e che conterrà la biobibliografia di tutti i soci della Deputazione, defunti e viventi. Anche quest’opera poderosa, di fatica e valore non comune, ò lavoro tutto particolare dello Sforza. Ne riparleremo in altro fascicolo. Società Ligure di Storia Patria. — Nell’adunanza generale del 31 dicembre, il Presidente cou acconcie parole commemora il Presidente onorario, Cornelio Desimoni, deceduto il 29 luglio 1899, ed annunzia che a degnamente onorarne la memoria sarà tenuta una speciale adu- 74 GIORNALE STORICO E LETTERARIO DELLA LIGURIA Danza solenne, nella quale parlerà dell’ illustre scrittore ed erudito, Anton Giulio Barrili. Inoltre verrà posta una iscrizione nella sede della Società, iu quella sala che già porta il suo uoine, e dove si trovano le medaglie, i libri, i manoscritti da lui donati, e si provvederà ad una raccolta di tutte le sue pubblicazioni. Accenna poi il presidente ai doni ricevuti dalla Società, ai cambi ottenuti cogli Atti di altri sodalizi italiani ed esteri, alle pubblicazioni sociali in corso di stampa. Quindi, dopo il resoconto morale, si approva il bilancio preventivo, e si rieleggono i revisori dei conti e sei consiglieri scaduti. Le pubblicazioni in corso sono: 1.° Annuario della Società pel 1900, dove, oltre 1’ Albo dei soci, si troverà il catalogo della biblioteca, e 1’ indice del Giornale Ligustico, la e 2a serie. — 2.° Codice diplomatico delle relazioni fra la Liguria, la Toscana, e la Lunigiana al tempo di Dante (1265-1321), compilato da Arturo Ferreto. Regesto, con 'larghi sunti, di una notevole serie di documenti compulsati dal raccoglitore negli archivi di Genova, di Pisa e di Firenze ; cui precede una dissertazione, con la quale si illustra quell’ importante periodo, e seguouo opportune annotazioni e schiarimenti. APPUNTI DI BIBLIOGRAFIA LIGURE (I> Andrade (d}) Alfredo - Relazione dell’ ufficio regionale per la conservazione dei monumenti del Piemonte e della Liguria - Torino, tip. V. Bona, 1899, 8. p. 133 e tav. xxxvi. Pa&to· 77 - 123 - Genova: Cattedrale di S. Lorenzo, Battistero di S. Giovanni, Chiesa di S. Donato, Chiesa di S. Agostino, Palazzo di S. Giorgio o del Capitano del Popolo, Porta Soprana o di S. Andrea, S. Maria delle Vigne, Tomba di Anseimo Incisa, Palazzo Ducale, Magazzeno archeologico nel Palazzo Ducale. Rivarolo: Certosa. Cogomo: Chiesa di S. Salvatore, Casa canonica. Monterosso al Mare: Chiesa parrocchiale. Spezia: Castello. Portovenere: Chiesa di S. Pietro, Torre d’ingresso al borgo. Savona: Palazzo della Rovere, Castello, Lavori edilizi. Albissola: Resti dell’ antica Alba Docilia, Chiesa di S. Pietro. Isola di Bergeggi: Torre romana. Noli: Chiesa di S. Paragono, Casa Repetto. Albenga: Campanile del Duomo, Battistero, Ponte romano detto Ponte lungo sulla Via Aurelia. Castello di Andora: Chiesa dei SS. Giacomo e Filippo. Taggia: Chiesa e Convento dei Domenicani, soffitti in legno e porte del secolo xvi. S. Remo: Chiesa di S. Maria degli Angeli. Antico (L’) duomo di S. Maria di Castello in Savona. - (Minerva, Roma 1899, voi. xvm, p. 183-186). (1) Sotto questa rubrica non intendiamo dare una compiuta bibliografia nel più largo senso della parola; ma raccogliere la indicazione di quei libri o di quelle scritture che si riferiscono segnatamente alla materia del Giornale. Eccone intanto una serie che riguarda 1’ anno 1899. GIORNALE STORICO E LETTERARIO DELLA LIGURIA 75 ventures d’un grand seigneur italien â travers l’Europe (1606). Relation mise en lançais et annotée par E. Rodocanachi - Paris, Flammarion, 1899 16 p. ix-322. Il gran signore è Vincenzo Giustiniani. Beazley C. R. . John and Sébastian Caboto; thè Discovery of America, Auwin, 1899, 8 p. 33.2 et pi. Beneducci Fr. - Due parole a proposito del Frugoni - (in Beneducci Fr. Sca?n-poli critici - Oneglia, tip. eredi Ghilini, 1899, 16 p. 138. Cfr. Giorn. Stor. Letter. Ital. 1899, voi. xxxiv fase. 3. p. 440, recensione di E. Bertana), Bellaigue Camille - Les idées musicales d’un révolutionaire italien. (A proposito del volume: Mazzini: La filosofia della musica - Milano, Aliprandi. - In Revue des deux mondes, Paris, 1899, i Bimestre, pag. 918-934 - Cfr. Minerva, Roma, 1899, vol. xvii, P· 345-347)· Bertana Emilio - Arcadia lugubre e preromantica. (Il Solitario delle Alpi) - Spezia, 1899 (Rocca S. Casciano, tip. Cappelli), 16. p. 61. Ambrogio Viale da Cervo. Besta Enrico - Intorno ad alcuni frammenti di un antico Statuto di Castel Sardo.. (.Archivio Giuridico - Modena, 1899, N. S., voi. in, p. 281-322). Bigoni Guido - Cornelio Desimoni; necrologia - Firenze, tip. Galileiana, 1899, 8. p. 23. (Estr. dall’ Archivio Storico Italiano, 1899, ser. v, tom. xxiv). — Quattro documenti genovesi sulle contese d’ oltremare nel secolo xm - Firenze, M. Cellini e C. 1899, 8 p. ιό. (Estr. dall’ Archivio Storico Italiano, 1899, ser. v. tom. xxiv). Bonaparte Giuseppe - Undici lettere giovanili (21 aprile - 14 agosto 1789) - Roma, Forzani e C. 1899, 8 p. 37. (Estr. Miscellanea Napoleonica, Serie vi). Pubblicate con illustrazioni da Giovanni Sforza. Si riferiscono alle ricerche genealogiche fatte in Sarzana. Bezzola Vittorio - Paolo Giacometti poeta civile; conferenza. (Giornale della Società di letture e conversazioni scientifiche, Genova 1899, fase. 11, p. 127-145). Brunialti Attilio - Fra i marmi di Carrara. {Natura ed Arte, 1899-1900. n. 2, p. 91-95). Bruno Agostino - Note Savonesi del 1859. - Savona, D, Bertolotto e C. 1899, 8 p. 23. (Estr. dal Bullettino della Società storica savonese, 1899, anno 11, n. 1-2). — La « Siracusa » del Chiabrera. (.Bullettino della Società storica savo?iese, 1899, anno 11, 11. 1-2, p. 41-53)· — Le antiche gabelle e contribuzioni nel comune di Savona. (.Bullettino della società storica savonese, 1899, anno 11, n. 1-2. p. 81-94'). — Il Podestà Beccario Beccario. {Bullettino Società storica savonese, 1899, anno 11, n. 3-4, p. 148-151)·. — Antica nobiltà savonese. {Bullettino società storica savonese, 1899, anno 11, n. 3-4, p. 152-157)· _ Il palazzo del Comune. (Bullettino Società storica savonese, 1899, anno 11, n. 3-4, a. 158-168). _ Movimento storico savonese. (Bullettino Società storica savonese, 1899, anno il, n. 3-4, p. 167-171)· _ Montenotte. (Rivista di storia, arte, archeologia della provincia di Alessandria - Alessandria 1899, anno vili, fase. 26, p. 71-79; riprodotto nel Bullettino della Società storica savonese, 1899, anno 11, fase. 3-4, p. 128-139). Bruno F. - Come fu festeggiata in Savona la vittoria di Austerlitz. (Bullettino società storica savonese, 1899, anno 11, n. 3-4, p. 140-147), 76 GIORNALE STORICO E LETTERARIO DELLA LIGURIA — Un crocifìsso di Giovanni da Montorfano. (Bullettino della Società stonca saz o ne se, 1899, anno n, n. 1-2, p. 66-70). Calvini Alarico - Sulla data dell’arrivo in Genova delle ceneri di S. Giovanni Bat lista. {Il Cittadino 1899, n. 113, 114, 115, 116). Carabellese F. - Andrea da Passano e la famiglia d’ Isabella del Balzo d Aragona. (.Archivio storico delle province napoletane. Napoli 1899, xxiv, fase, iv, P· 42& - 443)· Carducci G.- Un poeta giacobino in formazione {Giovanni Fantotu) {Rivista d Italia, Roma, 1899, anno 11, fase. 1, p. 5-26K Caro Georg - Genua und die Màchte am Mittel meer (1257-1311)· Ein Beitiagzur Geschichte des xm Jahrhunderts. - Bad. 11. Halle a S. Niemeyer, 1899, 8. p. xi> 471· Castellino P. C. - Il Ponte di Carasco: ricordi storici - Facciata monumentale della Chiesa cattedrale di Chiavari: ricordi storici. - Il « Corpus Domini » a Chiavari, ricordi. - Dalla Valle di Gravaglia: memorie. - Festa di S. Antonio da Padova a Borgono\o. {Il Cittadi?io 1899, η· 51» 351» χ53> 23^> I^4)· Centi Ang. - Cenni storici di Moneglia - Genova, tip. della Gioventù, 1899, 16. p. 208. Cervetto L. A. - Nell’ vili Centenario della traslazione delle Ceneri di S. Giambattista. La festa della natività del Santo. - Il tesoro della Cappella del .Santo in Duomo. - Pontefici, Principi e Imperatori che si recarono in Genova a venerare le S. Reliquie. - Feste, trattenimenti in Porto; ricordi storici. - Apparati e feste in Duomo, passato e presente. - Monarchi e Principi di Casa Savoia che venerarono in S. Lorenzo le reliquie del Precursore. - La Processione, la Cassa per le S. Ceneri. {Il Cittadino 1899, n. 174, 175, 176, 179, 180, 181, 182). — Antichi festeggiamenti popolari nella vigilia e festa di S. Giambattista. {Il Cittadino, 1899, n. 173). — Memorie patrie; San Pier d’ Arena. - Pitture antiche in S. Lorenzo. - La sagra di Pentecoste e il S. Sudario a S. Bartolomeo degli Armeni. - L’ Albergo dei Poveri. -Il « Corpus Domini ». - S. Antonio da Padova. - Le reliquie di S. Siro e la tradizione del Gallo. - Sestri Ponente, la festa di S. Oberto, Sestresi illustri, Sestri Ponente attraverso alla storia. {Il Cittadino, 1899, n. 126, 128, 129, 131, 132, 140, 147, 151, 163, 187, 189, 190, 227). — Santa Caterina Fieschi Adorno. {Il Cittadino, 1889, n. 119). — La festa di S. Zita. - Relazione fra Genova e Lucca. {Il Cittadino, 1899, n. 116). — Il giuoco del Lotto. {Il Cittadino, 1899, n. 112). — Il Porto, provvedimenti antichi. {Il Cittadino, 1899, n. 95). — Il Sepolcreto dell’ Ospedaletto. {Il Cittadino, 1899, n. 63). — N. S. della Fortuna. Cenni storici. (77 Cittadino, 1899, n. 22). — I resti mortali di Cristoforo Colombo. {Il Cittadino, 1899, n. 21). — Lavori artistici in S. Carlo. (Il Cittadino, 1899, 11. 4). — Le statue del Palazzo San Giorgio. {Il Cittadino, 1899, n. 214). — Giambattista Villa: necrologia. {Il Cittadino, 1899, n. 216). — Il giuoco del Pallone. {Il Cittadino, 1899, n. 208, 212). — Immagini di S. Giambattista in pubblico. {Il Cittadino, 1899, n. 209). — Praepotens Genuensium Praesidium. {Il Cittadino, 1899, n. 195). — Cornelio Desimoni - necrologia. {Il Cittadino, n. 181). — Gli arazzi di Casa Grimaldi. {Il Cittadino, 1899, n. 325). — Santa Maria delle Vigne. {Il Cittadi?io, 1899, n. 323). — Il Contrammiraglio Carlo De Amezaga: necrologia. {Il Cittadino, 1899, n. 275). — L’ antica Porta di S. Tomaso. - L’ Annona. - La chiesa dello Spirito Santo. -Oregina. - La cacciata degli Austriaci. {Il Cittadino, 1899, n. 332). — Le famiglie Liguri. {Il Cittadino, 1899). - Ceresola, Cerioli, n. 1. - Cereghino, n. 8. GIORNALE STORICO e LETTERARIO DELLA LIGURIA 77 - Cerretto, n. 7. - Ceronio, n. 15. - Cerniti, n. 20, 29, 36, 48. - Corvetto, n. 57, 64, 69. Cesena, n. 71, 76. - Cesari, n. 76. - Ceva, n. 81, 85. - Cevasco, n. 85, 93, 98, 105. -Chiabrera, n. 154, i6i. - Chiappa, n. 196, 201, 203. - Chiappori, n. 213, 216. - Chiappar a, Chiappella, Chiappetta, n. 216. - Chiarella, n. 224. - Chiavari, n. 242, 244.- duellinola, n. 251. - Chiassone, n. 265, 268. - Chiozza, n. 272, 284, 321, - Chiazzan, n. 321. Cibo, n. 319, 330, 333, 348, 349, 353. Cimati Cam. - Gli artisti pontremolesi dal secolo xv al xix. - Parma, tip. Luigi Battei, 1899, 8. p. 15. (Estr. dall’ Archivio Storico par le provincie parmensi, voi. iv). Claretta Gaudenzio - Cornelio Desimoni. - Commemorazione letta il 10 Dicembre .1899 alla classe di Scienze Morali Storiche e Filologiche. - Torino, Clausen, 1899, in 8. di pp. 9. (Estratto dagli Atti della R. Accademia delle Scienze di Torino). Colonna De Cesari Rocca - La vérité sur les Bonaparte avant Napoléon d’après les documents inédits. Paris, A. Charles, (impr. Jouve et Boyer), 1899, 8. p. 45. Corio Lodovico - Le reliquie di Cristoforo Colombo. {Natura ed Arte, 1898-99, n. 7, P· 579-582). / Corradi Sebastiano - Un antico manoscritto greco inedito sopra S. Giovanni Battista. - Traduzione. {Il Cittadino 1899, n. 172. Cristóbal Colón. Translación de sus restos mortales Ala ciudad de Sevilla. (In Boletin de la reai academia de la historia. Madrid 1899. Tomo 34, Cuaderno ni, p. 177-19°)· Crotta M. A. - Confronti tra la cassa per la processione delle Ceneri di S. G. Battista ed altre opere straniere. {Il Cittadino 1899, n. 182). Da Prato Cesare - Cenova, Chiesa della SS. Nunziata del Guastato. - Storia e descrizione. - Genova, R. tip. L. Sambolino e Figlio, 1899, 8. p. vili, 182. Duro Cesàreo Fernàndez - Los calumniadores del servidor de Dios, Cristóbal Colón. - Obra pòstuma del Conde Roselly de Lorgues. {Boletin de la reai acade?nia de la historia, Madrid, 1899, Tom. 34, Cuaderno iv, p. 304-311). Ferreri G. - Sul Banco di San Giorgio. {Giornale della Società di Letture e Conversazioni Scientifiche, Genova, 1899, fase. 11, p. 146-160). Frammenti degli Statuti di Galeotto d’ Oria per Castel Genovese diplomaticamente riprodotti per cura del Prof. Domenico Ciampoli - Sassari, pei tipi di U. Satta, 1899, in 4. p. 29, e 11 facsimili. Fulcheri Bartolomeo - Il nome personale romano in Piemonte e Liguria durante la dominazione romana. - Mondovì, tip. Fratelli Blengeni, 1899, 8. pag. 236. Galli Eugenio - Milizie d’ altri tempi. (Le milizie della repubblica di Genova nel sec. xvm.) {Rivista militare Italiana, Roma 1899, disp. vu, p, 559-571» disp. xvm, p. 1665-1673). Garassini G. B. - Il comune ghibellino e i principi di Savoia nelle memorie Savonesi. {Bullettino della Società Stonca Savonese, 1899, anno 11, n. 1-2, p. 54-66). Genova e le due Riviere fino a Nizza e Cannes e fino alla Spezia. Colle piante di Genova e Nizza e 32 incisioni. Milano, Fratelli Treves, 1899, in 16. p. 152. 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Podestà, Genova, Sordo-Muti, 1899, p. 59-65). — Storia della marina italiana dalle invasioni barbariche al trattato di Ninfeo (anni di C. 400-1261) - Livorno a cura della R. Accademia Navale, 1899 (tip. di Raffaello Giusti) ; in 8. di pp. xv-515. Sebbene sia storia generale, pure v’ ha parte grandissima la storia particolare di Genova e dei Genovesi. Marcone Antonio - Delle ceneri di Cristoforo Colombo. Siena, tip. S. Bernardino, 1899, 16. Mazzini Ubaldo - Il Centenario della Madonna Bianca e la scoperta di un affresco a Portovenere. - Spezia, tip. F. Zappa, 1899, 8. p. 7. (Estr. dal Corriere della Spezia, 1899, n. 126). — Lord Byron a Portovenere? - Pistoia, tip. Fiori, 1899, 16. p. 19. (Estr. dalla Rassegna Nazionale, voi 105, 1899). — La biblioteca comunale della Spezia. - Prima relazione. - La Spezia, tip. F. Zappa, 1899, 4. p. 30. Monacci Silvio - Genova e i Genovesi nella istruzione dei sordo-muti. - Genova, tip. G. B. Carlini, 1899, 8. p. 26. (Estr. dal Giornale della Società di Letture e Conversazioni scientifiche, fase, ni, 1899). Montegalletto; il Castello del cap. E. A. D’ Albertis. {Minerva, Roma, 1899, voi. xvii, p. 134, 206, 229). Monumenta Paleographica Sacra - Atlante paleografico-artistico compilato sui manoscritti esposti in Torino alla Mostra d’ arte sacra nel mdcccxcviii e pubblicato dalla R. Deputazione di Storia Patria delle antiche provincie e della Lombardia per cura di F. GIORNALE STORICO E LETTERARIO DELLA LIGURIA ar a, c. Cipolla e C. Frali. Torino, F.lli Bocca, m.dccc.xcix, f. p. vin-68, e 120 ìbV cnova· Bibbia Sacra sec. xn (Bib. Civica, tav. xxxvi). - Messale romano sec. xv, ! · niv., tav. lxiv) - Regola per preparare i condannati a morte sec. xv (Bib. Univ. av. xcix) - Pontificale romano sec. xvi. (Bibl. Civica, tav. cix-cx) - Istorie degli Evan-ge i premesse ad un Salterio sec. xiv. (Cattedrale di Albenga tav. xlix) - Breviario ma™ sec· xv. (Capitolo della Cattedrale di Albenga tav. lxxxix). Munro A. O. - Practical Guide to Genoa and its environs with map and illustrations. - Genoa, Pagano Brothers publishers, 1899, 16 p. 153, tac. 2 e 1 cari. top. Nota Ang. - Giovanni Ruffini e il risorgimento italiano 1807-1889. - xx Settembre, XI Novembre, iv Marzo. - Conferenze. - Sanremo, tip. E. Vachieri. 1899, 16. p. 135. Nurra Pietro - La contessa Clelia Grillo Borromeo. (Natura ed Arte, Milano 1898-00 n- 4, p. 281-286). Olceste Tom. - Brevi cenni storici intorno alla cappella di S. Bartolomeo di Cottù 111 Recco - Genova, tip. della Gioventù, 1899, 16, p. 56. Parodi Angelo - Passeggiata educativa. - Santuario del Monte, Bavari e Fonta-negli, notizie storiche. - Genova, tip. Casamara, 1899, in 16. p. 97. Poggi G. - Genuati e Viturii: nuovi studi topografici sulla tavola di bronzo. (Club Alpino Italiano. Sezione Ligure). - Istituto Geografico Militare 1899. Carta topografica. Poggi Vittorio - I nuovi affreschi di Savona. (Arte e Storia, Firenze, 1S99, xvm p. 145-148). — La Battaglia navale di Malaga. (24 agosto 1704) narrata da un testimonio oculare. Tonno, G. B. Paravia e C. 1899, in 4. p. 32. (Estr. dalla Miscellanea di Storia Italiana, Sez. ni, Τ. v.) Diario di un Genovese. Miscellanee Savonesi. (Opere del Bernino in Savona - Un Vescovo di Savona barone del Primo Impero - Scoperte archeologiche - Contributo al regesto di Sisto IV). Savona, tip. D. Bertolotto e C., 1899, in 8. p. 25. (Estr. dal Bullettino della Società storica savonese, anno n, n. 3-4). — Spigolature di storia e di epigrafia savonese. (Rovine e saccheggi in Savona \1440-1u5) - Fortificazioni dì Savona (1215-1473-1476) - Processo di streghe (1631) - Gare di precedenza 111 Duomo (1645-67) - Lapidi savonesi inedite e mal note). Savona, tip. D. Bertolotto e C., 1899, in 8. p. 21 (Estr. dal Bullettino della Società storica savonese, 1899, anno 11, 11. 1-2). Professione Alfonso - Una leggenda ligure intorno a Carlo Alberto. (Gazz. del Pop. della Domenica, Torino, 1899, vili, n. 12, 29 marzo). Regesti delle relazioni pontificie riguardanti la Pieve di Rapallo e i Rapailesi dal 1199 al 1320; pubblicati da Arturo Ferretto. - Genova, tip. Gioventù, 1899, in 8. p. 89. Restos mortales de Cristóbal Colón devueltos â Espana. (Boletin de la reai acade-demia de la historia. - Madrid, 1S99. Tom. 34, Cuaderno 1, p. 5-6). Reynaudi Carlo - Saggio bibliografico sulla Liguria... - Torino, tip. Roux, Fras-sati e C., 1899, in 8. p. 62. Ricard M. - Christophe Colomb. - Tours, Mane, 1899, in 4. p. 399, illustré. Ricucci Giuseppe - Guerrazzi, Leopardi, Mazzini. - Napoli, Stab. tip. del Movimento Giuridico, 1899, in 16, p. 104. Rocchi Pietro - Cenni biografici e genealogici dei Bonaparte. - Firenze, tip. G. Carnesecchi e figli, 1899, in 8, p. 60 e 4 prospetti. 8o GIORNALE STORICO e LETTERARIO DELLA LIGURIA Rosi M. - Un colifortatorio per i condannati a morte conservato in un codice genovese del secolo xv. - Roma, tip. delle Mantellate, 1S99, in 8. p. 26. (Estr. dalla Rivista di discipline carcerarie, 1899, fase. 1 febbraio e 1 marzo). Rosi Michele - Storia delle relazioni fra la repubblica di Genova e la chiesa romana specialmente considerata in rapporto alla riforma religiosa. Roma, tip. Acc. dei Lincei, 1S89, 4. p. 65. (Estr. dalle Memor. dell’ Accad. dei Lincei, ser. V,.voi. vi, classe di scienze morali ecc.; Rossi Girolamo - I Grimaldi in Ventimiglia; memoria storica e documenti. - Torino, Paravia, 1S99, in .4. p. 55. (Estr. dalla Miscellanea dì Storia Italiana, ser. in, T. v). Rossi Pasquale - Genio e degenerazione in Mazzini. - Cosenza, Nuova tip. della Lotta, 1899, in 8. p. 48. (Cfr. Gior. St. Leti. Ital., 1899, xxiv, fase. 3» P· 393)· Ruffini Giovanni - Lettera inedita pubblicata da Giuseppe Citnbali. (Rivista Politica e Letteraria, Roma, 1899, 1 maggio). Russo G. - Gasparo Murtola e il suo poema sulla Creazione. - Acireale, tip. del-1’ Etna, 1899, in 8. p. 129. Sale (Le) del Barabino nel Palazzo Municipale, di Kappa. (Minerva, Roma, 1899, XVII, p. IIO-II3, 133-135). Savonesi (I) cittadini fiorentini e i fiorentini savonesi: documenti e ricerche del dott. G. B. Ristori. Firenze, tip. di G. Pineider, 1899, 8, p. 68. Sciupa M. - Il regno di Napoli descritto nel 1793 da P. M. Doria. (.Archivio Storico per le province napoletane. - Napoli, 1899, fase. 1, p. 25-84; fase. HI, p. 329"35°)· Sforza Giovanni - Il Mazzini in Toscana nel 1849. ~ Torino, Roux Frassati e C., s. a. 8. p. 48. [Estr. dalla Rivista Storica del Risorgimento Italiano, fase, viii, voi. in]. — Massa cinquant’ anni fa; ricordi. (In Ferrari Paolo, Bartromeo calzolaro; commedia in dialetto viassese, edita e illustrata da Giovanni Sforza. - Firenze, tip. S. Landi, 1899, p. 84). Solari G. - Le opere pie e le regole dell’antica Compagnia dei Protettori dei Poveri in Savona. (.Bullettino della Società storica savonese, 1899, anno II, n. 1-2, p. 70-80). Trucchi A. Silvio - Guida di Chiavari e suo circondario. - Chiavari, 1899, in 24, p. 120. ViGNOLO Attilio - Sul titolo marchionale cui si fregiano i nobili genovesi. - Roma, tip. Nazionale di G. Bertero, 1899, in 8. p. 4. (Estr. dal Calendario d’ oro, 1899). — I principi Genovesi dell’ Arcipelago sotto 1’ Impero dei Paleologo. - Moresco, Zaccaria, Cattaneo, Vignolo e Gattilusio. (Giornale araldico-genealogico-dipiomatico, Bari, 1899, xxvii, 21-25, febbraio-marzo). Vita e opere di Monsignor Giacinto Rossi. (Il Cittadino, 1899, n. 31). ZiROLiA Giovanni - Statuti inediti di Castel Genovese. - Sassari, tip. U. Satta, 1898, in 8. p. 43, i tav. Giovanni Da Pozzo amministratore responsabile. PUBBLICAZIONI RICEVUTE (I) D Andrade. Relazio?ie dell'ufficio regionale per la conservazione dei mojiumenti del Piemonte e della Liguria. Parte I - 1883-1891. Torino, Roma, 1899. Cla retta . I marmi scritti della città di Torino e de’ suoi sobborghi (Chiese - Istituti di beneficenza -Palazzi ecc.) dai bassi tempi al Sec. AIX con copiose annotazioni storiche, biografiche, e necrologiche. Torino, 1899, Derossi. Cipolla. Pubblicazioni sulla storia medioevale italia?ia (1896). Venezia, Visentini, 1899. P lamini. G. Ramusio (1450-1486) e i suoi versi lati?ii e volgari. Padova, Randi, 1900. Μανζονγ. Scritti postumi pubblicati da Pietro Brambilla a cura di Giovanni Sforza. Milano, Ri-cbiedei, 1900, voi. primo. Rosi. Storia delle relazioni fra la repubblica di Genova e la Chiesa romana specialmente considerate in rapporto alla riforma religiosa. Roma, Salviucci, 1899. Bertana. La paura nei promessi sposi. Spezia, 1900. Ricordo delV adunanza generale della R. Deputazio?ie di Storia patria per le provincie di Modenay Reggio e Massa,'tenuta VXI Febbraio 1900 per festeggiare il suo quarantesimo anno di vita. Modena, 1900. Statuti di Sarza?ia delV anno 126ç. Modena 1893 (1899). Quattro lettere d'illustri toscani (Giusti, Guerrazzi, Guadagnoli). Firenze, 1900. La pini. Diario fioreiitino dal 252 al 1596. Firenze, Sansoni, 1900. (1) Si indicano soltanto quelle di cui non è fatto cenno nel Bullettino o negli Annunzi del presente fascicolo. La Tipografia editrice di FRANCESCO ZAPPA, Via Duca di Genova, 9-11, ha pubblicato: GOVERNI COMUNI E POPOLO NELLA POLITICA SANITARIA DEL DOTT. STEFANO OLDOINI Elegante volume in-160 di pagine 240 - Prezzo Lire DUE. È in vendita presso la tipografia suddetta e dai principali librai e cartolai. giornale storico e LETTERARIO DELLA LI- GURIA DO MAZZINI. diretto DA ACHILLE NERI e da UBAL- ANNO I. IÇOO SOMMARIO FASC. 3-4 MARZO - APRILE E. Bertana : Intorno al sermone del Monti «Sulla Mitologia» — C. Manfroni: Nuova raccolta di documenti genovesi - G. Valeggea : La risciacquatura in Arno de’ « Promessi Sposi » — U. Assereto : Di alcuni documenti poco noti dell’ Archivio di Genova — VARIETÀ: V. PoGGr : Un favorito di Giulio II. — BOLLETTINO BIBLIOGRAFICO! Si parla di : G. Claretta - M. Rosi - Statuti di Sarzana - H. Sieveking - G. Manacorda -G. Ungarelli _ ANNUNZI ANALITICI. Si parla di : F. Martini - F. Flamini - A. Lapini - C. Cimati - E. Rossi - E. Bertana - E. Maddalena - Giusti, Guerrazzi, Guadagnoli -M. Rosi - F. Podestà - V. Podestà - E. Bertana - A. Campani - P. G. Boffito - A. F. Trucco - SPIGOLATURE E NOTIZIE - APPUNTI DI BIBLIOGRAFIA LIGURE — NECROLOGIE (G. Claretta, A. Crespellani, E. Lazzoni). DIREZIONE Genova - Corso Mentana 43-12 LA SPEZIA Società d’incoraggiamento editrice Tip. di Francesco Zappa AMMINISTRAZIONE La Spezia - Amministrazione del Giornale A V VERTENZE i) Il giornale si pubblica in fascicoli mensili di 40, oppure bimestrali di 80 pagine ciascuno. Per ciò che riguarda la Direzione rivolgersi in (jenova, al Sig. Prof. Achille Neri - Corso Mentana, 43-12. 3) Per quanto concerne l’Amministrazione, esclusivamente all Am- ministrazione del periodico - Spezia. 4) Il prezzo d’ associazione per lo Stato è di L. io annue Per Γ estero, aumentato delle spese postali — Abbonamento speciale di favore per i soci della Società d’Incoraggiamento e della Società Ligure di Storia patria. Lire sei. 5) L’abbonamento si paga anticipato al ricevimento del 1" fascicolo. AI SIGNORI COLLABORATORI La Direzione concede ai propri collaboratori 25 copie di estratti dei loro scritti. Coloro che desiderassero un maggiore numero di copie, potranno rivolgersi alla Tipografia Zappa (Spezia) che ha fissato i prezzi che seguono: Da i a 8 pagine Da i a 16 pagine Copie 50 . . . . L. 6 Copie 50 . . . L. 10 » 100 ...» 9 » 100 ...» 4 » 100 successive » 7 » 100 successive » 11 In questi prezzi si comprendono le spese della copertina colorata e della legatura, nonché di porto a don.icilio degli Autori. Non saranno accettate commissioni inviate posteriormente alle bozze di stampa, le quali dovranno essere accompagnate dal prezzo determinato nella presente tariffa. GIORNALE STORICO E LETTERARIO DELLA LIGURIA 8l INTORNO al sermone DEL MONTI « SULLA MITOLOGIA » A me pare che il De Sanctis abbia detto meglio quel che significhi storicamente, che quel che valga esteticamente (i) il Sermone che il Monti indirizzò alla vecchia e fedele sua amica genovese Antonietta Costa (2). Quegli sciolti eleganti, che nonostante 1 intenzione bellicosa, tradiscono lo scoramento d’un vecchio il quale vede intorno a sè crollare il mondo in cui è vissuto, e la stanchezza di un artista Che ha 1’ abito dell’ arte e man che trema, sono veramente « la fede di morte della Mitologia » (3); chè (1) Cfr. F. De Sanctis. Saggi Crìtici, terza ediz. Napoli, Morano, 1874, p. 48 sgg. Vero è che il De Sanctis ravvisa nel Sermone « maestà di periodo, copia, facilità, eleganza » (p. 54); ma cotesti pregi, « belletti di cadavere », non compensano, secondo il critico illustre, la miseria della sostanza; chè » il povero Monti », non avendo « molta testa » (« il Monti ha una mente cosi arida, cosi leggiera, cosi incapace d’ ogni meditazione! ») ripete sazievolmente concetti più che comuni e « affestella tutte le divinità 1 una in coda dell’altra »; le quali sfilano come « una processione di frati che tu hai veduto le cento volte, e che guardi distrattamente, nominando fra gli sbadigli il cappuccio e la sottana e le fibbie ». Ben altro poteva fare il poeta; e il critico glielo insegna (pp. 53-54) con certo tono di non benigno compatimento e di superioiità che urta i nervi anche a chi non sia troppo tenero del Monti. Il Sermone non è una grande poesia — e verissimo — ma c’ è da meravigliarsi se un sermone non è altro in fondo, come del nostro disse il De Sanctis, che una « leggiadra prosa »? (p. 52). E in una « leggiadra prosa » è proprio fuor di luogo quel « repertorio di reminiscenze » (p. 50) mitologiche, che succedonsi sfoggiando le lor gale poetiche? Vestirle a nuovo sarebbe stato possibile ? o sarebbe stato opportuno, quando appunto si trattava di mostrare la inesauribil ricchezza e vaghezza dei loro antichi ornamenti ? (2) Colla marchesa Antonietta Costa, eh’ egli chiamava « la più amabile e colta dama » di Genova (Lettere inedite e sparse di V. Monti raccolte da A. Bertoldi e G. Maz-zatinti, Torino, Roux, 1896, vol. II, p. 205 - lett. a mons. Mauri, 8-11-77), il Monti deve avere av’uto un lungo carteggio, anche letterario, di cui rimane un documento del 3 giugno 1807 nell’ Epistolario (Milano, Resnati, 1842, p. 230). E fu per obbedire ai cenni di cotesta sua « tenera amica », la quale avevagli scritto: « Voglio, e di più vi comando di scrivere quattro versi per le nozze di mio figlio », eh’ egli s’ indusse nel '25 a « gittar in carta all’ infretta il detto Sermone », di cui con più agio, « nell’ ozio della villeggiatura », preparò poi una « nuova e notabilmente ampliata edizione ». Cfr-la lett. 30 agosto 1826 ad Antonio Papadopoli, in Epistolario cit., p. 407; e in Lettere inedite cit. (vol. II, p. 400, tra le quali è pure una lettera al Lampredi (p. 397) dove ricorda la sua stretta amicizia con la Costa, Duoimi di non aver potuto vedere la prima stampa del Sermone. (3) De Sanctis, Op. cit., p. 51. Gior. SI, c Lett. del a Liguria 6 82 GIORNALE STORICO E LETTERARIO DELLA LIGURIA se per'parecchi anni ancora, dopo il '25, l’Olimpo e il Tartaro e le divinità tutte dell’ acque, de’ boschi e dei campi trovarono de’ fedeli, ostinati a proclamarle vive e vitali (1), le parole di costoro non cancellarono i fatti: la mitologia era morta. E, se ben si guarda, era morta piuttosto d'esaurimento senile, che di recenti ferite; l’armi dei romantici la finirono, le diedero il colpo di grazia, e non più; chè malgrado l’apparente rigoglio di nuova giovinezza e lo splendore di cui s’ era ammantata negli ultimi anni del suo regno, straviziando per tanto tempo co’ poeti, essa s’era venuta scavando la fossa. Il lungo uso l’aveva logora, l’abuso l’aveva condannata irremissibilmente a perire; e d’altra parte, quando i romantici l’aggredirono, essa aveva già patiti altri assalti meno fieri ed accaniti, ma non scevri di pericoli, almeno remoti. Perchè se i romantici nel combatterla non pigliarono direttamente le mosse dagli esempi di coloro che in ciò li avevano preceduti e, nella loro ardita coscienza di novatori, magari credettero d’essere i primi a spiegare il vessillo della rivolta, è certo che il non venire effettivamente pei primi all’ assalto facilitò la loro vittoria. Non si danno rivoluzioni improvvise ; un dominio antico non cede al primo urto; nè gli dei gentili avrebbero probabilmente richiesta la tarda ed inutile difesa del Monti, se « già da gran tempo » (2) innanzi ai romantici qualcuno non avesse pensato a cacciarli di seggio. II. La storia delle controversie letterarie intorno alla mitologia non può essere qui trattata per incidenza, a modo di digressione; ma non sarà del tutto inutile al mio proposito il dirne qualche cosa, e richiamare alcune manifestazioni di dottrine e di gusti affini a quelli che il romanticismo fece poi prevalere. Restiamo in Italia, e non risaliamo oltre il Tasso; un classico che sotto certi aspetti ebbe del romantico parecchio. Dall’ età sua precisamente incomincia tra noi la reazione letteraria contro la mi- (1) Erano sempre i medesimi argomenti che tornavano in campo dacché classicisti e romantici avevano preso a battagliare prò e contro la mitologia. Confrontisi, per esempio, quel che la Biblioteca Italiana (Milano, 1825, voi. xl, p. 19 sgg.) scriveva a a proposito del Sermone montiano allora uscito, con gli Alcu?ii pensieri sulla mitologia pubblicati dallo stesso giornale nove anni dopo (1834, voi. lxxiv, p. 321 sgg.). (2) Biblioteca Italiana, çit, 182$, voi, xl, p. 20. GIORNALE STORICO E LETTERARIO DELLA LIGURIA 83 °gia, e nell opere sue se n hanno alcuni de’ primi segni (1). o detto reazione letteraria, pensando agli effetti ; ma avrei dovuto dirla religiosa, riflettendo alle origini. Da noi, come altrove, la capitai ragione che da principio s’allegò contro l’uso a mitologia, fu il rispetto dovuto da’ cristiani alla fede cristiana, a cui parevano mancare quegli scrittori che, anche per puro artifizio poetico, s’atteggiavano ad idolatri, richiamando sacri egamente le favole del paganesimo. Cotesto scrupolo nella intolleranza cattolica della Contro-Riforma, e poi nel fervore ascetico dell'austero giansenismo (2) trovò necessariamente ragion di sorgere e di propagarsi; ma nulla vieta di credere che quella che fu da principio avversione religiosa, si trasformasse col tempo in opposizione filosofica e letteraria. Contemporaneo del Tasso fu Giulio Ottonelli di Fanano nel Modenese (3), che lasciò inedita una curiosa operetta, uscita poi a luce proprio negli anni in cui più si disputò e si scrisse prò e contro la mitologia; voglio dire II Dor,ateo (4). Sembra d’udire un santo padre o un padre inquisitore ; per lui la mitologia è addirittura « cosa diabolica » ; ammette che i poeti non credano (1) Vincenzo Foliini, in una lezione dell' uso e dell'abuso della mitologia recitat-nell Accademia della Crusca, il 23 luglio 1813 (Atti della I. R. Accad. d. Crusca Firenze, Piatti, 1819, voi. i. p. 53 Sgg.), quantunque non fosse un romantico, inveì contro il « cieco servile ossequio alle opinioni degli antichi », e biasimò il Tasso, « che pur u uno dei più guardinghi in questa materia »>, per essersi talora lasciato « trasportare dall uso comune, nato dalla smania di far la scimmia agli antichi »; sicché « volle invocare la Musa » e « appellò Musa Maria Vergine ». Che Musa! con non grande originalità pensava il Foliini. Dove sono per i Cristiani le Muse, divinità pagane? Certo la religione somministra materia ed imagini alla poesia; ma « ogni popolo le prese dalla propria e non dall’altrui religione», e cosi devono fare i Cristiani, lasciando in disparte per sempre tutto ciò che ad essi n..n s’appartiene. Avrebbe però dovutoli rigoroso accademico mitofobo ricordarsi che il Tasso aveva sostenuto non soltanto la convenienza ma anche la precellenza del mirabile cristiano, sentenziando che « altra grandezza, altra dignità, altra maestà reca seco la nostra religione, cosi ne’ concili celesti e infernali come ne’ pronostichi e nelle cerimonie, che quella de’ gentili non porterebbe». Vedasi il primo dei Discorsi dell’ arte poetica e in■ particolare sopra il poema epico, in Opere Milano, Classici italiani, vol. III. p. 13. (2) Per ciò che riguarda l’azione del giansenismo francese contro la mitologia, cfr. Hippolyte Rigault. Histoire de la querelle des Anciens et des Modernes, Parisi Hachette, 1856, passim. (3) Di costui (1550-1620) diede ampie notizie il Tiraboschi. Biblioteca Modenese, volume III, p. 365 sgg. (4) Il Dorateo, dialogo di Giulio Ottonelli contro allo scriver non cristiano, dove per incidenza si toccano alcune cose di somigliante guisa men pie, pubb icato per la prima volta sopra un manoscritto della Biblioteca Estense dal C. Μ. V. (Conte Mario Valdrighi), Modena, Vincenzi, 1826, 84 GIORNALE STORICO E LETTERARIO DELLA LIGURIA ai numi che ricordano od invocano (chè altrimenti si sat ebbero meritati « il fuoco e la stipa » !), ma gli pare che offendano Dio egualmente : servirsi della mitologia non era « uso, ma misuso, nè men cattivo, che folle >, non un « poetare leggiadramente, ma piuttosto bestemmiare perversamente >. L Ottonelli fu de più accesi di zelo cattolico contro gli dei falsi e bugiardi, però altri al suo tempo (che pur fu il tempo delle lascivie mitologiche del Marino) sentirono poco diversamente da lui, e chi volesse provarlo con un discreto manipolo di testimonianze, potrebbe raccoglierne già a sufficienza tra la farraginosa erudizione affastellata da Udeno Nisiely ne’ cinque fitti volumi de’ suoi Pro-gimnasmi Poetici che suonano in tanti luoghi ripudio e condanna della mitologia (i), e raccolgono molti dei biasimi dati a’ poeti (I) E non soltanto perchè pagana e bugiarda, ma perchè scandalosa Vedasi per esempio, ciò che nel voi. Ili dei Progimnasmi (Firenze, 1627, pag. 182) il Nisiejy scrive della Teologia poetica di malvagio esempio. — Non contro la mitologia, ma con to a lussuria è la satira (in Raccolta dei Satirici Italiani, Torino, 1854, vol. II. p. 3 sgg·) del marchigiano mons. Lorenzo Azzolino (morto nel 1632); dove però la mitologia trattata con poco rispetto fin dall’esordio: Lascia Soratte, o ser Apollo, e Cinto, Vieni, inventor di ciance e di novelle. Vieni a Trattar di Dafne e di Giacinto. Ma non condur le nove alme sorelle, Se pur vergini son...., è accusata e convinta con parecchie prove d’essere alleata della lussuria, propagatrice del malcostume. L’ Azzolino richiama perciò la favola di Ganimede ed altre « avo e antiche » che « al garzoncino, alla fanciulla » Van titillando le lascivie interne: e ne avviene che la gioventù « talor le imiti e spesso accoppi » Favole antiche e verità moderne. Non occorre aggiungere che la scostumatezza degli « dei d’ Omero », già burlescamente ritratti dal Tassoni, fu presa di mira ne’ venti canti dello Scherno degli Dei dal Bracciolini ; nè per la prima volta, nella Secchia rapita e nello Scherno, la mitologia appariva volta a quell’ uso a cui destinavala tanto più tardi il Follini (loc. cit., p. 60), concedendo che se ne servissero i « poeti burleschi, i quali bene spesso dalle cose più strane ed assurde traggono altrettanto profitto per il loro scopo principale di far ridete le brigate ». Sui precedenti poetici dello Scherno degli Dei, clr. M. Barbi. Notizia della vita e delle opere di F. Bracciolini, Firenze, Sansoni, 1897. Il Barbi (op. citata, pag. 76) ebbe ragione d’ escludere ogni serietà d’intenti politici, morali e religiosi dal poema del Bracciolini, il quale d’altra parte non sdegnò di ricoirere alla mitologia in componimenti di più grave intonazione : pur ciò non toglie che quel poema sia da considerare come una macchina di guerra contro la mitologia, perchè l’intenzione di screditarla ridendone si manifesta in più luoghi ed è, per cosi dire, confessata dall autore stesso, quando dice a sè stesso (Canto I, st. 4) : Scrivi de' falsi dei, sprezza e beffeggia, E le favole lor danna e dileggia. GIORNALE STORICO e LETTERARIO DELLA LIGURIA 8 5 cattolici — specialmente poi a Dante — per la sacrilega mi-schianza del sacro col profano. Della erudizione del Nisiely e della propria si valse più tardi a combattere la mitologia un professore bolognese, fiorito tra lo scorcio del secolo xvii e il principio del xvm; quel dottore Pier Francesco Bottazzoni (i) a cui il collega P. I. Martello lasciava volentieri il compito di erudire dalla cattedra coi precetti la gioventù studiosa, mentre riserbava a sè (oh quanta modestia e discrezione!) il compito più piacevole di guidarla cogli esempi dell’opere composte, mentre, senza far lezione, seguitava a riscuotere lo stipendio di professore. Il buon Bottazzoni, non ignoto nella Storia letteraria, specialmente come uno degli amici dell’ Orsi che si mescolarono nella polemica contro il padre Bouhours e contro l’Accademico ***, compose e dedicò a Dio ottimo e massimo una cinquantina di lettere (2) intorno ad alcuni poetici abusi pregiudizievoli sì al decoro della religione cattolica come alla buona morale cristiana, che furono pubblicate postume da un tale a cui parve opportuno di ridedicarle per suo conto a S. A. S. il signor Principe Ereditario di Modena, mecenate men alto, ma capace di ricompensare più prontamente l’offerta nel modo meglio conforme al desiderio e al bisogno d’un letterato. I « poetici abusi » combattuti dal Bottazzoni si riducono poi ad uno: l’uso della mitologia, eh’egli vieta rigidamente in qualsiasi forma e misura e in ogni sorta di componimenti. Nè gli dicano che la mitologia serve d’ornamento a’ versi; altri son gli ornamenti che devono farli vaghi (3); e « le favole de’ Gentili, o da sè poste o mischiate col sacro, sono sempre favole, e da noi considerate nè per cose verosimili, nè per credibili », sicché non giovano, anzi ripugnano al fine dell’arte (4). Quindi s’oppone risolutamente a quanti, antichi o moderni, avevano consentito a’ poeti di valersene, e spende una delle lettere più lunghe (5) a confutare su questo punto il Gravina fattosi di fresco difensore de’ poeti che, infiorando di miti pagani le loro opere, ave- fi) Nato non so quando, morto nel 1725. Di lui fa breve menzione il Fantuzzi {Memorie degli scrittori bolognesi, al nome) nulla aggiungendo a qnanto ne aveva detto ii Mazzucchelli (Scrittori italiani, al nome). (2) Lettere discorsive ecc., opera postuma, Napoli, Moscheni e Comp., 1733. (3) Principale ornamento della poesia, secondo il Bottazzoni, è « lo stile ». (4) Vedasi principalmente la lettera xxv, p. 63 sgg. (5) La xxxi, p. 97 sgg. 84 GIORNALE STORICO E LETTERARIO DELLA LIGURIA ai numi che ricordano od invocano (chè altrimenti si sat ebbero meritati * il fuoco e la stipa » !), ma gli pare che offendano Dio egualmente : servirsi della mitologia non era « uso, ma misuso, nè men cattivo, che folle », non un « poetare leggiadramente, ma piuttosto bestemmiare perversamente ». L Ottonelli fu de più accesi di zelo cattolico contro gli dei falsi e bugiardi, però altri al suo tempo (che pur fu il tempo delle lascivie mitologiche del Marino) sentirono poco diversamente da lui, e chi volesse provarlo con un discreto manipolo di testimonianze, potrebbe raccoglierne già a sufficienza tra la farraginosa erudizione affastellata da Udeno Nisiely ne’ cinque fìtti volumi de’ suoi Pro-gimnasmi Poetici che suonano in tanti luoghi ripudio e condanna della mitologia (i), e raccolgono molti dei biasimi dati a’ poeti (I) E non soltanto perchè pagana e bugiarda, ma perchè scandalosa Vedasi per esempio, ciò che nel voi. Ili dei Progimnasmi (Firenze, 1627, pag. 182) il Nisiely scrive della Teologia poetica di malvagio esempio. — Non contro la mitologia, ma con io a lussuria è la satira (in Raccolta dei Satirici Italiani, Torino, 1854, vol. II, P- 3 sgg·) del marchigiano mons. Lorenzo Azzolino (morto nel 1632); dove però la mitologia trattata con poco rispetto fin dall’esordio: Lascia Soratte, o ser Apollo, e Cinto, Vieni, inventor di ciance e di novelle, Vieni a Trattar di Dafne e di Giacinto. Ma non condur le nove alme sorelle, Se pur vergini son....t è accusata e convinta con parecchie prove d'essere alleata della lussuria, propagatrice del malcostume. L’ Azzolino richiama perciò la favola di Ganimede ed altre « favole antiche » che « al garzoncino, alla fanciulla » Van titillando le lascivie interne: e ne avviene che la gioventù « talor le imiti e spesso accoppi » Favole antiche e verità moderne. Non occorre aggiungere che la scostumatezza degli « dei d' Omero », già burlescamente ritratti dal Tassoni, fu presa di mira ne’ venti canti dello Scherno degli Dei dal Bracciolini ; nè per la prima volta, nella Secchia rapita e nello Scherno, la mitologia appariva volta a quell’ uso a cui destinavala tanto più tardi il Foliini (loc. cit., p. 60), concedendo che se ne servissero i « poeti burleschi, t quali bene spesso dalle cose più strane ed assurde traggono altrettanto profitto per il loro scopo principale di far ridete le brigate ». Sui precedenti poetici dello Scherno degli Dei, ctr. M. Barbi. Notizia della vita e delle opere di F. Bracciolini, Firenze, Sansoni, 1897. Il Barbi (op. citata, pag. 76) ebbe ragione d’ escludere ogni serietà d’intenti politici, morali e religiosi dal poema del Bracciolini, il quale d’altra parte non sdegnò di ricorrere alla mitologia in componimenti di più grave intonazione : pur ciò non toglie che quel poema sia da considerare come una macchina di guerra contro la mitologia, perchè 1 intenzione di screditarla ridendone si manifesta in più luoghi ed è, per cosi dire, confessata dall autore stesso, quando dice a sè stesso (Canto I, st. 4) : Scrivi de' falsi dei, sprezza e beffeggia, E le favole lor danna e dileggia. GIORNALE STORICO E LETTERARIO DELLA LIGURIA 85 cattolici — specialmente poi a Dante — per la sacrilega mi-schianza del sacro col profano. Della erudizione del Nisiely e della propria si valse più tardi a combattere la mitologia un professore bolognese, fiorito tra lo scorcio del secolo xvu e il principio del xviii; quel dottore Pier Francesco Bottazzoni (i) a cui il collega P. I. Martello lasciava volentieri il compito di erudire dalla cattedra coi precetti la gioventù studiosa, mentre riserbava a sè (oh quanta modestia e discrezione!) il compito più piacevole di guidarla cogli esempi dell’ opere composte, mentre, senza far lezione, seguitava a riscuotere lo stipendio di professore. Il buon Bottazzoni, non ignoto nella Storia letteraria, specialmente come uno degli amici dell’ Orsi che si mescolarono nella polemica contro il padre Bouhours e contro l’Accademico ***, compose e dedicò a Dio ottimo e massimo una cinquantina di lettere (2) intorno ad alcuni poetici abusi pregiudizievoli sì al decoro della religione cattolica come alla buona morale cristiana, che furono pubblicate postume da un tale a cui parve opportuno di ridedicarle per suo conto a 5. A. S. il signor Principe Ereditario di Modena, mecenate men alto, ma capace di ricompensare più prontamente l’offerta nel modo meglio conforme al desiderio e al bisogno d’un letterato. I « poetici abusi » combattuti dal Bottazzoni si riducono poi ad uno: l’uso della mitologia, eh’egli vieta rigidamente in qualsiasi forma e misura e in ogni sorta di componimenti. Nè gli dicano che la mitologia serve d’ornamento a’ versi; altri son gli ornamenti che devono farli vaghi (3); e « le favole de’ Gentili, o da sè poste o mischiate col sacro, sono sempre favole, e da noi considerate nè per cose verosimili, nè per credibili », sicché non giovano, anzi ripugnano al fine dell’arte (4). Quindi s’oppone risolutamente a quanti, antichi 0 moderni, avevano consentito a’ poeti di valersene, e spende una delle lettere più lunghe (5) a confutare su questo punto il Gravina fattosi di fresco difensore de’ poeti che, infiorando di miti pagani le loro opere, ave- (1) Nato non so quando, morto nel 1725. Di lui fa breve menzione il Fantuzzi (Memorie degli scrittori bolognesi, al nome) nulla aggiungendo a quanto ne aveva detto ii Mazzucchelli (Scrittori italiani, al nome). (2) Lettere discorsive ecc., opera postuma, Napoli, Moscheni e Comp., 1733. (3) Principale ornamento della poesia, secondo il Bottazzoni, è « lo stile ». (4) Vedasi principalmente la lettera xxv, p. 63 sgg. (5) La joua, p. 97 sgg. 86 GIORNALE STORICO E LETTERARIO DELLA LIGURIA vano con ciò mostrato — dice il Bottazzoni — « sentimenti di ateisti ». E all’autorità del Gravina contrappone quella del Muratori, il quale, a dir vero, non era alieno dal tollerare la mitologia là dove essa è « velo misterioso di verità istoriche, naturali, morali » (i); ma pur dichiarava che « l’intelletto de saggi poeti deve proibire alla fantasia ciò che non è convenevole, anzi è contrario alle opinioni della religione che si professa ». Il primo nel settecento a valersi contro la mitologia d un argomento alquanto diverso dal solito scrupolo di religione fu, se non m’inganno, Giulio Cesare Becelli (2); perchè nel libro Della novella poesia (3) sostenne che i miti greci non convengono alla poesia moderna, neppure come sussidio di figurazioni ornamentali, movendo dal principio che ogni popolo ha un suo proprio mondo fantastico rispondente all’indole sua; e come noi siamo diversi dai Greci di condizioni, d’indole, di mente, così dobbiamo lasciare in disparte que’ materiali poetici che non sono spontanea creazione del nostro spirito, dobbiam procurare che la nostra poesia sia moderna e non antica. E dal Becelli qualche cosa deve aver preso l’altro veronese Lodovico Salvi (1716-1794) che, circa la metà del secolo, (1745)5 compose una Dissertazione sulF uso dell’ antica mitologia nella poesia moderna, per dimostrare, dice Ippolito Pindemonte (4), che « ogni poetica composizione aver dee l’impronta del secolo a cui appartiene ». Altri poi, mentre l’età del romanticismo era ancor lontana, scesero in lizza contro gli dei, che di leggiadre Fantasie già fiorir le carte argive : sia che gli escludessero rigorosamente dall’ opere loro, come l’ab. Pellegrino Salandri (1723-1771), il quale dettò a Mantova (1) Perfetta Poesia, Modena. Soliani, 1706, vol. I, p. 286 sgg. (2) Su costui vedasi il mio articolo: Un precursore del Romanticismo, in Giornale Storico della letteratura italiana, voi. xxvi, p. 114 sgg. (3) Verona, 1732, p, 114 sgg. (4) Nell’ Elogio di L. Salvi, in Opere compiete del P., Napoli, 1851, p. 196. — Il Pindemonte, riassunta la Dissertazione del Salvi, aggiungeva che quegli argomenti contro 1’ uso della mitologia eran « cose che poi molti dissero e dicono, ma di cui egli parlò di proposito forse il primo in Italia »; il che non è esatto. Fu anche detto che il Salvi volle persuadere il Tirabosco e lo Spolverini a rinunziare alla mitologia ne’ lor noti poemi didascalici; ma non so con qual fondamento. Cfr. C. Cantù, L’ Abate Parini ecc., Torino, Unione tip. 1865, p. 585. GIORNALE STORICO E LETTERARIO DELLA LIGURIA Pacchie lezioni accademiche intorno all’uso della mitologia, s e inedite, di cui il Tiraboschi ci diede sommariamente il "ore (i), sia che indulgessero al gusto ancor predominante enessero nell arte via diversa da quella segnata nella critica, me ,1 Bettinelli, che in certo luogo dell 'Entusiasmo (2) dichiarava^ contrario all’uso della mitologia, non solo per rispetto a a re ìgione cattolica, ma per rispetto anche alla « filosofia > alla « ragione », alla « critica », alla « verità » ; sicuro, per rispetto a quel nudo Arido vero che dei vati è tomba in cui il Monti doveva poi ravvisare, con tanto rammarico, il nemico del « bel regno ideal » dileguante. Ma nel 1769 non rammancavasi punto il Bettinelli di predire (e non rammaricavasi solo forse perchè la predizione era ancor lontana dall’avverarsi) che « tutte ormai le finzioni poetiche perderanno a poco a poco di lor possanza sul cuore umano a fronte della filosofia dominante ». Più tardi ancora la mitologia trovò ne! settecento nuovi avversari; e per citarne uno, ricordo Giuseppe Compagnoni, che non aspettò, per combatterla, pur non essendo romantico, l’occasione di rispondere in brutti versi, sotto il pseudonimo di Antonio Belloni, al Sermone del Monti, ma le fece il viso del-l'armi fin da giovane, quando, oltre quarant’anni innanzi al '25, compilava a Bologna, collo Zacchiroli e il Ristori, le Memorie Enciclopediche. Ma 1 avversano più baldo e animoso che la mitologia abbia trovato nel sec. xvm fu un ligure, del quale lo Spotorno (3) registrò appena il nome e i titoli d’ alcune tragedie, senza nemmeno aggiungere quando nascesse e morisse; voglio dire il so-masco, di Novi, Francesco Maria Salvi (1727-1810). Cotesto nostro Salvi probabilmente nulla seppe del suo omonimo veronese e degli altri italiani che prima di lui avevano condannato l’uso delle favole pagane; unico autore della cui autorità si faccia forte è il giansenista Rollin (4) ; ma chi veramente (1) Biblioteca Modenese, t. V., p. 4-6. (2) Opere del Bettinelli, Venezia, Zatta, 1780, vol. II, pp. 300-303. (3) Storia letteraria della Liguria ; V, 79. (4) Carlo Rollin, Io storico (1661-1741). L’opera del R., a cui il Salvi si riferisce, dandone un brano tradotto, è il Traité des études. 88 GIORNALE STORICO E LETTERARIO DELLA LIGURIA avevagli ispirato il disprezzo dei miti ellenici e mostrato che fuor d’essi la fantasia non è impotente a dipingere cose ed affetti, fu * un uomo vissuto in luoghi selvaggi e in un secolo rozzo.... un uomo cui non offrivasi che il semplice aspetto della natura » : Ossian, il gran bardo. E se — diceva il Salvi nella Dissertazione diretta alti signori accademici Industriosi di Genova su La fantasia del poeta risorta dal suo avvilimento (i), « se tanto ha potuto in quest’uomo la forza della fantasia senza la nozione e l’uso delle favole, che non potranno i poeti d’oggidì in faccia alla natura resa per nuove scoperte agli occhi nostri più gentile, in mezzo alla varietà e vaghezza di tante bell arti, di tante utili scienze.... Che non potranno? E vi sarà, dopo queste riprove, chi s’ostini a credere ancora che non si può vivamente poetare senza servirsi delle mitologiche finzioni, o che almeno senza queste non può ornarsi ed abbellirsi la poesia? ». Pregiudizio vergognoso cotesto, mantenuto in vita solo dalla forza dell’uso (p. io) e dalla poltroneria di quelli che servendosi dello stantio materiale poetico dei classici « vogliono fare il poeta senza fatica » (p. 11), valendosi di quel repertorio stucchevole di frasi fatte che la mitologia somministrò, p. es., troppo spesso anche al Chiabrera e al Frugoni, « insigni poeti », i quali (fosse pigrizia, fosse timidità) seguendo l’andazzo, non s’ accorsero del « torto che così facevano alla capacità immensurabile della loro imaginazione » (p. 20). Non ho voluto — ripeto — raccogliere tutti gli argomenti e tutti i nomi degli accusatori della mitologia sorti nel seicento e nel settecento; ho voluto solo ricordarne alcuni e formarne una piccola serie cronologica, la quale dimostra sufficientemente, parmi, come nel corso di due secoli essi vennero succedendosi quasi senza interruzione e non senza progressione d idee. Ebbene; tutti costoro non scalzarono certo l’uso letterario di cui più o meno furono nemici; ma chi negherebbe che i loro esempi e le loro parole non contribuissero almeno ad avviare l’opera demolitrice che fu compiuta in seguito da altri? E chi negherebbe che a preparare la rovina della mitologia classica non contribuisse in qualche modo e misura la diffusione grandissima di poemi non italiani, come il Paradiso Perduto e il (1) Genova, Caffarelli, 1783, PP- 19-2°· GIORNALE STORICO e LETTERARIO DELLA LIGURIA 89 Riccio Rapito, dove angeli e demoni o gnomi e silfi, componendo macchine di un mirabile insolito, divezzarono in certa guisa le menti dal consueto mirabile pagano e le predisposero a ripudiarlo? (i). Non credo che sia stato fatto, e pure avrebbe qualche attrattiva e sicura utilità, uno studio sulla poesia cosidetta biblica, che in Italia sembra allargarsi specialmente verso l’età in cui appare, meteora torbida e luminosa, la poesia del falso Ossian, che venne anch’essa, come abbiamo veduto toccando di F. M. Salvi, a minacciare la futura « strage di numi » onde s afflisse, da vecchio, il Monti. Eppure tutti sanno che negli anni suoi migliori il futuro autore del Sermone s’imbevve del- 1 una e dell’ altra, e riguardò con sincera ammirazione anche le mediocri Visioni con cui il Varano intese di smentire la sentenza del Voltaire (2), secondo il quale i Cristiani non posson trarre dalle lor credenze que' vantaggiosi partiti estetici che gli antichi trassero dal loro vario e plastico politeismo antropomorfico. III. Il Voltaire mi riconduce finalmente al Monti; il quale, se per caso avesse mirato ad abbattere la mitologia, avrebbe potuto giovarsi del molto che contr’essa s’era detto in Italia da tanti, come s’è visto, così per tempo; mentre a difenderla, innanzi che i romantici la battessero in breccia, quasi nessuno aveva atteso. Chi sa? Forse parve che la difendesse già a sufficienza l'uso presso che generale inveterato (ed era appunto quell’uso il suo peggior nemico); forse, come spesso in Italia, le idee novatrici, pronte a sorgervi, tarde a propagarvisi, caddero nel vuoto, nè destarono ire e sospetti, tanto salda e inconcussa pareva la tradizione classica da cui deviavano ; fatto sta che i (1Ί Accenno semplicemente, tralasciando fatti e considerazioni che non si potrebbero oinmettere trattando di proposito 1’ argomento; ma voglio aggiungere che il primo traduttore italiano del Riccio Rapito, in una lettera famosa, ove discorre anche del più alto e legittimo mirabile poetico, esaltava il mirabile cristiano del Milton, contrapponendolo al classico, e concludeva « que le Dieu des Juifs et des Chretiens peut fournir d’infiniment plus belles et plus grands images que les idoles du paganisme, et que la poesie orientale est infinement plus nobles qne la latine ët la greque » (A. Conti, Lettre à Madame la Président Ferrant, in Prose e Poesie, Venezia, 1746, vol. II, pagine xcv-xcvi). (2) Vedasi la prosa premessa dal Varano alle Visioni, riprodotta in quasi tutte le edizioni. 90 GIORNALE STORICO E LETTERARIO DELLA LIGURIA paladini di cotesta tradizione cominciarono a cercar ragioni ed esempi per farne scudo alla mitologia pericolante solo quando la sedizione romantica era già scoppiata e ormai quasi vittoriosa. E se per lo innanzi qualcuno de’ nostri, come il Gravina, che più su abbiamo ricordato, stese qualche periodo di prosa per mantenere i diritti della veneranda Mitica Dea, nessuno de’ nostri, per quanto io so, aveva pensato collo stesso fine a comporre dei versi, come già molto presto erasi fatto in Francia (i). Primo da noi a pensarci fu il Monti; ma come? Donde gli venne il pensiero? Il pensiero veramente non è tale che non potesse sorgere spontaneo nella mente dell’autore del Sermone, senza ch’egli fosse condotto a concepirlo da qualche precedente letterario a lui noto; ma certi particolari indizi, su cui richiamerò tra poco l’attenzione del lettore, mi paiono sufficienti a dar per molto probabile, se non per provato, eh’ egli compose il Sermone ricordando qualche passo delle opere del Voltaire, e specialmente certi versi intitolati: Apologie de la fable. Il Sermone non è tal opera che meriti per sè una faticosa ricerca di fonti ; non fa meraviglia quindi che la critica non siasi mai fin qui dato carico di accertarsi se per caso vi fosse in quel componimento qualche cosa di derivato da altri; ed io non avrei mai pensato a derivazioni concrete di sorta se il Missirini (2) con poche parole d’un vecchio suo articolo sepolto nella Bi- (1) Cioè, fin dagli inizi della guerra tra i fautori degli antichi e i fautori de’ moderni, difesero in versi la mitologia, oltre al Boileau, il Corneille e Giambattista Santeul. Cfr. Rigault, op. cit., p. 98. (2) Di Melchiorre Missirini (1783-1840), scrittore di molta e varia operosità, diede, or non è molto, qualche notizia biografica e molte notizie bibliografiche il professore Abd-el-kader Salza {Dal Carteggio inedito di Alessandro Torri, ecc., Pisa, Nistri, i897> PP· 98_ioo)> L' opera forse del Missirini, che il Salza non ricorda, è la versione delle Satire di Quinto Settano, della quale si hanno due molto diverse edizioni : e de’ vari scritti del Missirini, disseminati ne' giornali e non richiamati dal Salza, ha speciale importanza il Ragionamento della vera eccelleìiza delle lettere, di cui si fa cenno nella nota seguente. GIORNALE STORICO E LETTERARIO DELLA LIGURIA 91 blioteca Italiana del '34 fi), non me ne avesse ispirato più che '1 sospetto. Sospetto legittimo del resto; perchè intanto non v’ha dubbio che il Monti conoscesse l’opere del Voltaire, e che da una speciale circostanza, notabilissima, fosse condotto a considerare le idee sulla mitologia in esse contenute. Egli infatti tradusse, come a tutti è noto, la Poucelle\ ed ai versi della fine del canto xvi di quel poema: Et quand Phosphore, au visage vermeil Eut précédé les roses de l’Aurore, Quand dans le ciel on attelait encore Les beaux coursiers que conduit le Soleil, ecc., si riferisce una nota, dove 1' empio e maligno Filosofante, eh’ or tra’ morti è corbo E fu tra’ vivi poetando un cigno (2), fermò un articolo molto importante del suo credo poetico. La nota dice: « Tout était animé, tout était brillant dans 1 ancienne mythologie. On ne peut trop en poesie deplorer la perte de ces temps de génie, remplis de belles fictions, toutes allégoriques. Que nous sommes secs et arides en comparaison, nous autres remnés des barbares! » (3) ; e su per giù esprime l’ammirazione e il rimpianto stessi che il Monti sfogherà nel Sermone. Anche in altri luoghi dell’opere sue il Voltaire espresse analoghi concetti intorno alla mitologia, di cui si fece paladino; ma basterà soltanto richiamare l’articolo del Dìctionaire Philosophique (uno dei libri del Voltaire più divulgati) intitolato : « De quelques fanatiques qui ont voulu proscrire les anciens fati) Vol. LXXIII, p. 213. — Il Missirini ivi afferma che il Monti nutri il Sermone del succo di certi versi del Voltaire, di cui non dà il titolo, ma dà la traduzione: O saggia antichità, che rinnovelli Come più invecchi le bellezze tue, ecc. uè altro occorreva per indicare appunto quel brevissimo poè'me del Voltaire (P Apologie de la fable) che incomincia : Savante antiquité, beauté toujours nouvelle, pubblicato fin dal 1765 (Cfr. Bengesco. Voltaire, Biographie de ses oeuvres, vol. I, p. 161), il quale meglio che poème andrebbe chiamato discours en vers, come si chiamano altri componimenti a cui va unito nel t. xii delle Oeuvres Complétés de Voltaire (Imprimerie de la Société littéraire, 1784) che ho sott’ occhio. (2) Bassvilliana, c. ili; vv. 259-261. (3) Oeuvres, ed. cit., t. xi, p. 307. 92 GIORNALE STORICO E LETTERARIO DELLA LIGURIA bles » (i), che ha, come il Sermone del Monti e XApologie, intenzione polemica. I nemici della mitologia che il Voltaire volle confondere non erano ancora i seguaci dell’ « audace scuola boreal » ; erano invece alcuni rigidi giansenisti (2), teste dure e vuote, il cui pietismo s’adombrava di tutto ciò che non fosse d’origine cristiana, e avevano per giunta il mal gusto di preferire « San Prospero a Ovidio » ; od erano filosofi più severi che saggi, i quali guardavano con disdegno le belle favole, perchè la favola non è il vero. Eppure quelle vaghe favole antiche erano più filosofiche che non fossero filosofi i lor nemici, così ciechi da non accorgersi della sapienza riposta ch’esse contengono, così stolti da ripudiare, per amore del vero, alcune delle più belle verità a cui l'umano pensiero si sia mai levato; verità eterne, atte ad ammaestrare perennemente con dolce e leggiadro magistero. Questa considerazione, già inchiusa anche nella nota alla Poucelle che ho riferita, non ricorre del pari nell 'Apologie, ma ricorre invece nel Sermone. I tempi sono mutati; i romantici contro i quali il Monti s’accampa non sono i filosofi del secolo xviii dai quali discordava il Voltaire, ma la dottrina degli uni rassomiglia alla dottrina degli altri ; gl’ immortali egualmente « fulminati dal senno » di costoro, divengono Nomi e concetti di superbo riso Perchè il ver non v* impresse il suo sigillo, E passò la stagion delle pompose Menzogne achee ; il grido di guerra dei vecchi e de’ nuovi iconoclasti è sempre il medesimo : Fine ai sogni e alle fole, e regni il vero; e il Monti lo raccoglie, per ribatterlo come l’aveva ribattuto il Voltaire. Regni il vero?.... Specioso argomento, « magnifico (1) Oeuvres, ed. cit., t. xl, p. 187 sgg. (2) Uno ne nomina il Pluche, che « à la fin de la fable du ciel, intitulée Histoire, fait une longue dissertation pour prouver qu’ il est honteux d’ avoir dans ses tapisseries des figures prises de métamorphoses d’ Ovide », ecc. L’ab. Natale Antonio Pluche (1688-1761), autore, tra Γ altro, d’ una Histoire du ciel (1739) in cui a lungo discorre di mitologia, fu un giansenista militante, e l’opposizione da lui fatta alla bolla Unigenitus, gli costò la cattedra d’ umanità e rettorica eh’ egli copriva a Reims, sua patria. GIORNALE STORICO e LETTERARIO DELLA LIGURIA 93 parlar! » ; ma i fanatici che così gridano non sanno come le fole da lor dileggiate del piacere ai dolci Fonti i mortali conducean, velando Di lusinghieri adombramenti il vero; e il nuovo difensore della mitologia, nella quale bellezza e verità risplendono congiunte, la richiama dall’ingiusto esilio ad esercitare il doppio ufficio benefico di ricreatrice e maestra: Riedi, e sicura in tua ragion, col dolce Delle tue vaghe fantasie Γ amaro Tempra dell’aspra verità. No ’l vedi? Essa medesma, tua nemica in vista, Ma in segreto congiunta, a sè t’invita : Chè, non osando timida ai profani Tutta nuda mostrarsi, il trasparente Mistico vel di tue figure implora..... Il De Sanctis ravvisò nel Sermone la semplice riproduzione o ripetizione d’un concetto che una stanza famosa della Gerusalemme Liberata ha divulgato. « È un pensiero comunissimo esposto dal Tasso, che il vero persuada quando sia condito in molli versi. Era questa la badiale (sic) obbiezione che si faceva ai romantici in tutte le conversazioni, e il Monti la raccoglie dai trivi (sic) e ce la imbandisce tre o quattro volte » (i); ma il critico non colse nel segno; perchè ne’ versi che siamo venuti citando è giusto piuttosto ravvisare la ripercussione del concetto alquanto diverso propugnato nella prosa del Voltaire. Non si tratta infatti di ciò che può rendere più persuasivo il vero; si tratta piuttosto d’un bello che alcuni vorrebbero sbandito perchè falso, mentre intrinsecamente è vero: l’intrinseco vero suo proprio che la favola inchiude e vela di « lusinghieri adombramenti ». Ma dove più chiaro spicca il vincolo intellettuale tra il Monti e il Voltaire di fronte agli avversari della mitologia, è nelle analogie e nelle coincidenze notevolissime del Sermone coll’Apologie. Analogie d’intenzione e di procedimento, coincidenze d’argomentazione. Fatta ragione dei diversi momenti in cui il Sermone e XApologie furono composti, essi ci appaiono concepiti e condotti col medesimo disegno. Il Voltaire, che ne’ suoi versi d'- (1) Op, cit., p. 53. Quanto al numero delle volte, il De Sanctis esagera. 94 GIORNALE STORICO E LETTERARIO DELLA LIGURIA mentica o trascura coloro che alla mitologia si ribellavano sol perchè favola e per rispetto al vero, si volge invece contro quelli che al mirabile pagano (favola, se vuoisi, ma splendida favola) volevano sostituire certi parti della fantasia cristiana, non più degni di fede, e nello stesso tempo brutti, anzi mostruosi e ridicoli : Vantez vous maintenant, bienheureux légendaires, Le porc de saint Antoine et le chien de saint Roch, Vos reliques, vos scapulaires, Et la guimpe d’Ursule, et la crasse du froc ; Mettez la Fleur des saints à coté d’ un Homère, Il ment, mais en grand-homme ; il ment, mais il sait plaire ; Sottement vous avez menti..... E il Monti alla sua volta che fa? Cerca il mostruoso e il ridicolo nelle finzioni de’ romantici, che schifano le « pompose menzogne achee », e vi sostituiscono — « di fe’ più degna cosa »! — le macabre fantasie dell’ Eleonora del Biirger, e lemuri e streghe e spettri : ecco, ecco il vero Mirabile dell* arte, ecco il sublime ! Di contro al deforme, allo squallido, al grottesco del mirabile anticlassico il Voltaire e il Monti spiegano — vantaggioso contrapposto — la ricchezza leggiadra e ridente della mitologia, fanno sfilare la plastica schiera degli dei, semidei ed eroi pagani ; e se difetto è — come parve al De Sanctis — quella litania di nomi e d’erudizioni mitologiche, che il Monti interrompe e riprende più volte, con varietà di tòni degna di quel gran virtuoso eh’ ei fu, se pare ch’egli trascorra nella impoetica pesantezza delle enumerazioni, s’osservi che lo stesso procedimento (i) tenne il Voltaire; il quale tratteggia, gli uni dopo gli altri, i miti di Ati e Cibele, di Giacinto e d’Apollo, di Zeffiro, di Pomona, d’Atteone, di Teti, di Venere e Adone, di Andromeda e Perseo, e di Filomela: Du chantre de la nuit j* entends la voix touchante; C’ est la fille de Pandion, C’ est Philomèle gemissante ; e qui, a mostrare come non solo nel carattere più generale del procedimento logico ed artistico, ma anche in qualche particolare (i) Solo che Γ enumerazione del Voltaire è molto più breve e più arida. GIORNALE STORICO E LETTERARIO DELLA LIGURIA 1 due scrittori s’incontrino, ecco il modo non molto diverso con cui alla sua volta il Monti allude alla favola di Filomela: Il canto che alla queta ombra notturna fi vien sì dolce da quel bosco al cuore, Era il lamento di regai donzella Da re tiranno indegnamente offesa. Ma qual è 1 argomento principe del Sermone, qual’ è il concetto fondamentale che lo ispira? Ognuno lo ricorda: è quello stesso che il Voltaire pose innanzi nella nota alla Poucelle: « tout était animé, tout était brillant dans I’ ancienne mythologie »; quello stesso ch’egli esemplificò, ripetendolo, in versi: Monumens du génie, heureuses fictions, Vous savez animer P air, la terre, et les mers ; Vous embelissez P univers..... Il principal pregio della mitologia, pel Voltaire e pel Monti, è dunque il medesimo: essa vivifica ed anima, personificandola, tutta la natura ; e perciò appunto i laghi, i fiumi, Le foreste, le valli, i prati, i monti, E le viti e le spiche e i fiori e 1’ erbe E le rugiade, e alfin tutte le cose (i) Da che fùr morti i numi onde ciascuna Avea nel nostro imaginar vaghezza Ed anima e potenza, si dolgono del soffio vitale che, coi miti, fu loro tolto. Sbandite le leggiadre favole, l'universo si scolora, intristisce sotto il rigido impero della scienza, diventa congerie di materia bruta ed inerte, che non parla alla fantasia di chi la contempla, come parlò alla fantasia degli antichi: Tempo fu già che, dilettando, i prischi Dell’ apollineo regno archimandriti Di quanti la natura in cielo e in terra E nell’ aria e nel mar produce effetti (2) Tanti numi crearo, onde per tutta La celeste materia e la terrestre Uno spirto, una mente, una divina Fiamma scorrea, che 1’ alma era del mondo. Tutto avea vita allor, tutto animava La bell’arte dei vati..... (1) Il Voltaire aveva nominato aria, terra <■ mari; il Monti diluisce il concetto per renderlo più pittoresco, e gli occorrono ben dodici nomi per esprimere in fondo la slessa cosa. 1 _·) I·, qui la paiola del Monti consuona colla parola del Voltaire fedelmente. gô CIORNALE STORICO E LETTERARIO DELLA LIGURIA Orbene, tutto ciò, eh’ è la parte sostanziale del Sermone, si riduce ad essere, più che svolgimento, semplice amplificazione del concetto ricorrente nella prosa e ne’ versi del Voltaire. Capisco che a quel concetto il Monti avrebbe potuto arrivare anche da sè, o attingerlo, perchè non era esclusiva proprietà del Voltaire, magari altrove; ma sarebbe temerario il supporre che non si sia cancellato nella sua mente il ricordo di pagine che certissimamente egli aveva lette? o che, volendo difendere in versi la mitologia, come già s’era fatto dall’autore di quelle pagine (poeta da lui tenuto in gran pregio) abbia sentito il desiderio di rileggerle per farne tesoro ? Il Missirini, che non era un cacciatore di fonti, e aveva buon naso, ed era magari in grado di saper qualche cosa, e non per semplice congettura, della preparazione prossima o remota del Monti, non esitò ad esprimere in modo reciso l’opinione che il Sermone derivi da\V Apologie; ed io qui, rincalzandola di qualche considerazione analitica, ho inteso di dimostrarla — come già dissi — molto probabile. Emilio Bertana NUOVA RACCOLTA DI DOCUMENTI GENOVESI Il chiarissimo prof. Jorga dell’Università di Bucarest ha raccolto in due volumi, sotto il titolo : Notes et extraits pour servir à l’histoire des Croisades au XVe Siècle (Paris - Leroux édit., 1899) gl> spogli di numerosissime filze degli archivi di Stato italiani, e specialmente delle città marinare, che si riferiscono a quel larghissimo movimento politico di tutta l’Europa occidentale contro i Turchi, che si manifestò nel secolo xv, prima e dopo la caduta di Costantinopoli. Una parte di questi documenti era già stata pubblicata nella Revue de ΐ Orient Latin-, ma ora, insieme riuniti, formano un complesso storico veramente notevole, e dal quale un futuro narratore potrà trarre molto vantaggio. GIORNALE STORICO E LETTERARIO DELLA LIGURIA 97 . bbiàm perciò creduto opportuno di segnalare ai nostri lettori questa pubblicazione, e di fornir loro un sunto dei principali ocumenti genovesi registrati nei due volumi del prof. Jorga. I. La parte genovese è assai ricca, perchè l’A. con larga concezione, veramente lodevole, non s’è limitato alle ricerche esclusivamente politiche, ma ha allargato le sue indagini anche al campo finanziario, spigolandovi notizie, che da vicino o da lontano potessero riferirsi alle Crociate. Quindi egli ha sottoposto ad esame i conti delle colonie genovesi di Caffa, di Pera e di Famagosta, e v’ha trovato ricordi e menzioni di ambasciate, di spedizioni navali, di trattative diplomatiche d’ ogni specie-, o intieramente ignorate, o mal note fin qui. Per la colonia di Caffa, o di Crimea, le ricerche cominciano dall anno 1374, e meritano d’essere segnalati i seguenti documenti. 1° - Il ricordo d’un’ambasciata di Raffaele di Travi, spedito nel 1375, con larghi doni al chan dei Tartari, forse per rinnovare il trattato di buona amicizia e di vicinanza; 2° - L’accenno all’armamento d’una galea (anno 1375, pagina 9) contro il principe bulgaro Dobrotic, che s’ era formato una piccola signoria indipendente a Kaliacra sul Mar Nero. La galea era stata armata anche 1’ anno precedente a spese della comunità sotto il comando dei patronus Martino de’ Mari ; e nell’anno 1375 fu comandata da Paolo De Reza (pag. 9-10); 3° - Il ricordo dell'armamento (1381) d’una barca da guerra per impedire, in virtù dei patti della pace di Torino, che le galee genovesi navigassero alla Tana (pag. 11); 4° - Brevi notizie sull’ambasciata di Corrado di Goarco (non Goasco) e di Cristoforo Della Croce, spediti nel 1382 all’imperatore dei Tartari, non appare a quale scopo (pag. 11-17); 5° - Frequenti accenni a visite, a banchetti, a doni scambiati nel 1382 fra il console di Caffa e l’emiro di Surgat, ed alla conclusione di accordi daziari (pag. 14-17) ; 6° - Ricordo dell’ ordine dato dal console a Teofilatto Si-gnorita nell’anno 1381 di uccidere un tal Elia saraceno di Solgat, mimicum hominum et communitatis ac tocius universitatis Caffè. gS GIORNALE STORICO E LETTERARIO DELLA LIGURIA Per questa bella impresa, deliberata in pieno consiglio, il sicario ebbe 50 sommi, cioè secondo lo Schlumberger (Numismatique de l’Orient), 425 once di Genova (pag. 17); 7° - Notizie di un trattato (cioè di un complotto) ordito da quei di Soldaia, nel 1410, a danno della colonia e rivelato da una vagabonda (pag. 19); 8° - La notizia dell’acquisto fatto in Valacchia di molte campane, destinate alle mura di Caffa, di Soldaia, di Cembalo etc., per ragioni di difesa nell’anno 1410 (pag. 20); 90 - Cenno d'un’ambasciata gratulatoria spedita nel 1411 al nuovo khan, Timur, e d’un’ ambasciata spedita poco dopo dallo stesso khan al console genovese (pag. 21); io° - Memorie frequenti (1410) di relazioni, messaggi, ambasciate scambiate col principe Aladino di Karaman (uno dei più potenti rami in cui s’era spezzata la dinastia dei Turchi d’Asia Minore) e coi signori greci, noti col nome di conti de’ Theodoros (pag. 23); no - Ricordo del commercio di schiavi, tratti da Sinope, da Bursia (Borussia), da Samos, e sul quale la Masseria prelevava un’imposta, detta introitus Sancti Antonii (anno 1410) (pag. 24-27;; 12° - Nuove ambascerie dei conti di Theodoros, dei principi di Lituania, dei khan di Tartaria, del signor di Sorgat etc., alla colonia di Caffa nell’anno 1420 (pag. 25); 130 - Ambasceria di Babilan Saivago e di Pellegro di Promontorio al khan Becsoffo (?) nel 1420 (pag. 26); 140 - Ambasceria di Baldo di Goarco e di Giovanni Lercari al signor di Simisso, occasione rehabendi locum nostrum amissum sub tanto infortnnio ignis aprensione, anno 1421, (Dell’ incendio di Simisso non abbiamo altra notizia) (pag. 26) ; 150 - Notizia dell’armamento d’un brigantino per la guerra coi Signori di Theodoros (1423) e dell’ ambasceria di Giovanni di San Donato e di Percivalle Fieschi, inviati in quell'occasione a Sorgat (pag. 27); Questa guerra, scoppiata a causa di questioni commecriali diede luogo ad altre ambascerie, di Giovanni Spinola, di Carlo di Romeo, di Pietro da Ronco, di Nicolò da Bassignana al Signore di Sorgat; ad armamenti straodinari, fra i quali di una galeotta di Marco Spinola, mandata a difendere Soldaia e Cem- GIORNALE STORICO E LETTERARIO DELLA LIGURIA 99 baio; ad una richiesta di 60 mila aspri da parte di Devletberdi, nuovo khan, al quale sembra si rifiutassero i denari e si inviassero invece altri ambasciatori, Leonardo Adorno, Galeotto Gentile, Carlo di Romeo, Corrado Cigala, e poi ancora e sempre nello stesso anno Gian Battista Spinola e Battista Panizario (anno 1423) (Pag· 29-31-34); 16° - Notizia di nuove fortificazioni fatte a Cembalo ed a Simisso per impedire che cadesse in mano del conte di Theodoros (1423) (pag. 31); 170 - Notizia dell’assunzione al trono di Vulon Mohammed, imperatore della Grande Orda e dei tributi e dei doni offertigli dalla colonia (1424-25) per mezzo di Giovanni Lercari e Antonio di Sant’Ambrogio (pag. 33-34); 180 - Doni ed ambasceria di Giovanni di Reinaldo e Francesco Fieschi al nuovo khan Agi-Kerai (anno 1442) (pag. 35); 190 - Notizia di un trattato di navigazione conchiuso tra i Genovesi di Caffa e il khan dei Tartari, per regolare special-mente il trattamento delle navi genovesi, che naufragassero sulle coste della Tartaria (anno 1447) (pag. 39). Tutte queste, ed altre notizie, che per brevità abbiamo omesso, servono a completare il Codice diplomatico delle colonie tauro liguri del nostro p. Amedeo Vigna, e contribuiscono a darci un’idea più completa e più esatta della politica di Genova rispetto ai Tartari ed alle alleanze contratte con loro, quasi sempre ai danni dei Turchi. Su questo argomento sapevamo assai poco fin qui; e il p. Amedeo Vigna aveva solo abbozzato un disegno generale, sul quale poi Guglielmo Heyd, colla sua larga conoscenza delle fonti orientali, ha delineato uno dei più bei capitoli della storia del commercio di Levante. Ora però quel capitolo è tutto, o quasi, da rifarsi; o almeno le aggiunte e le modificazioni sono numerose molto, tanto più che, grazie ai documenti genovesi, molte lacune della storia tartara, molte questioni rimaste insolute, potranno essere completate. II. Da pagina 40 a pag. 75 segue nel volume primo del Jorga uno spoglio di registri di conti della colonia di Pera. Ricorderanno i lettori che di questi registri s’era giovato il Belgrano 100 GIORNALE STORICO E LETTERARIO DELLA LIGURIA per la sua Prima e Seconda Serie di Documenti riguardanti la colonia genovese di Pera, e che io stesso nelle Relazioni di Genova coll’Impero bizantino ho avuto più volte occasione di citare e di illustrare quei documenti. Ora lo Jorga ripiglia gli stessi registri esaminati già dal Belgrano, e vi spigola molte notizie da lui lasciate da parte, aggiungendovi poi il contenuto di un volume, che era sfuggito all’attenzione del Belgrano e che contiene i conti dell’anno 1402-1403. Riassumerò, come per il precedente gruppo di documenti, le notizie nuove e più importanti, che risultano da questo spoglio : i° - Menzione d’una ambasceria mandata da Domenico D’Oria podestà di Pera al sultano Bajazet, e ricordo di una ambasciata precedente. L’ ambasciatore questa volta era Giovanni Draperio. Gioverà rammentare che questa ambasciata ebbe luogo l’anno dopo la battaglia di Kossovo, e quindi sul principio del regno di Bajazet (1390). E subito dopo si trova ricordo di altro ambasciatore, Giovanni di Mentone, con doni di zucchero; di altro ambasciatore, Tedisio Pasteca, anch’ esso inviato al sultano, e poi ancora di Nicolò Fieschi e Nicolò Bonavei, mandati con un interprete dal podestà all’imperatore, o della venuta di un chiaus, di un cadì, e d’un ambasciatore turco a Pera, che probabilmente fu Demetrio Leontario. Quali fossero le trattative corse allora, non appare ben chiaro; ma, non ostante i donativi e le cortesie, v’ha fondata ragione di credere che esse fossero piuttosto sterili di risultati, perchè subito dopo (1392), come già ebbi occasione di osservare nelle Relazioni (in Atti Soc. L. S. P., xxvm, pag. 720 sSS-)> s* venne ad aperta rottura fra i Peroti e i Turchi. Del resto nel 1391 si trova ricordo d’un’ambasceria, che finora c’era sconosciuta, di Melchiorre Spinola e di Nicola Carena, inviati dal Comune di Genova allo stesso sultano (pagine 41-46); 20 - Ricordo d’un Antonio Garibaldo, console genovese a Sinope prima del 1390, e di un Raffaele D’Albaro console nello stesso luogo nel 1392. La notizia è importante, perchè finora non si conoscevano consoli a Sinope prima del 1423 (pag. 48-55); 3° - Nello stesso anno e nel successivo (1391-92) si incontrano ancora numerosissimi ricordi di spese fatte per doni ai nuncì del Sultano, per nuove ambasciate, per messaggi etc., GIORNALE STORICO E LETTERARIO DELLA LIGURIA nel tempo stesso in cui i Genovesi restavano fedeli alla lega conchiusa contro i Turchi nel 1388, e quei di Pera davano un banchetto al capitano delle galee dell’ordine di Rodi, comandante le forze riunite della lega. A che dunque tante ambasciate in così breve spazio di tempo? Non sembra audace congettura il supporre, che si dibattesse fra i Peroti e il Sultano la vessata questione di una rinnovazione'di quell’accordo ai danni del- 1 impero greco, che io ho messo in luce nelle mie Relazioni {Atti cit. p. 718 sgg.). Di una ambasceria conosciamo anche lo scopo, perchè il computista nel registrare le spese sostenute, vi aggiunge (caso strano) queste parole pro recuperatione rerum coche Galcacn de Pinu, naufragium passe (pag. 51-52): ma non e presumibile che un così notevole andirivieni di ambasciatori, di messi, di cadì, di chiaus, che nello spazio di tre anni (1390-1392) superano la trentina, non si riferisca a qualche importantissima trattativa politica, che a noi resta ancora ignota, ma che potrebbe da un giorno all’altro trovarsi menzionata in qualche carta, in qualche documento notarile del nostro archivio. E che, mentre si trattava, si stesse sul piede di guerra, appare da un breve passo, nel quale si ricorda la custodia gallearum Communis, occasione novarum Turchorum (pag. 54), e da altri accenni di spese fatte pro habendo nova de Turchis (pag. 48-54); 4° - Una notizia politica stranissima, e che ci svela una parte oscurissima della storia genovese Troviamo infatti che nel 1392 si spesero 30 iperperi per mandare a richiedere al Sultano Giacomo di Campofregoso. Ed è molto probabile che questa requisicio si riferisca alla fuga del Campofregoso presso il Sultano dei Turchi, in conseguenza della rivoluzione accaduta a Genova nell’anno stesso 1392 e per la quale vennero al potere gli Adorno. Nè è improbabile che questo Giacomo sia quel medesimo che, eletto doge nell’agosto del 1390, depose poco dopo l’ufficio per opera di Antoniotto Adorno. Ma quel che facesse egli presso il Sultano dei Turchi e perchè fosse richiesto dal console di Pera, noi noi sappiamo (pag. 55); 5° - Come è noto sul principio del sec. xv scoppiò la guerra tra Genova e i Turchi; e nei conti dell’anno 1403 troviamo un imprestito fatto prò subsvencione gallearum tunc exi-stentium ad custodiam urbis CUf; e così pure l’accenno ad un’ambasceria di Tamerlano, che, come è notissimo, venne prò- 102 GIORNALE STORICO E LETTERARIO DELLA LIGURIA clamato nell'anno 1402 protettore di Pera, sulle cui mura fu innalzata in quell’anno la bandiera del grande conquistatore tartaro (pag. 57); 6° - Notevolissima, perchè conforta la nostra opinione, è la memoria di sovvenzione data alle navi genovesi tempore quo fiebat transitus de Turchia in Graeciam, cioè il passaggio delle milizie turche, vinte alla battaglia d’Angora dall’ esercito dei Tartari. Si sapeva già che dei malvagi cristiani avevano aiutato i Turchi a sfuggire dall’inseguimento dei vincitori, e il Sanuto aveva apertamente accusato i Genovesi d’aver preso parte a questo passaggio. Ora questo accenno della Masseria conferma le accuse del Sanuto, e ci fa conoscere inoltre il nome di uno di questi malvagi cristiani, Nicolò da Monleone, il quale ricevette 8 iperperi dalla colonia pro certis expensis per eum factis. Se ne conclude che il podestà di Pera fosse d’ accordo con lui; onde l’accusa contro i Genovesi prende sempre maggior fondamento (pag. 58); 7° - Ugualmente notevole è nello stesso anno ed a pochi giorni di distanza la nota di pagamento a Lavagnino De Murta, notaio della curia di Pera, per una copia del trattato di pace, inite inter serenissimum imperat irem et Commune nos'rum cum Liga ex una parte et il'ustrem d>minum Mosorman Ikalabi, Tur-chorum dominum in Graecia. Sappiamo infatti, che l’impero bizantino, approfittando della lotta fratricida fra i figliuoli di Baiazet, caduto prigione dei Mongoli, strinse un accordo con quello di loro, che aveva assunto il potere in Europa, cioè con Solimano, e che a questo accordo aderirono Genova, Venezia e i Cavalieri di Rodi. Ma il trattato era senza data, onde il primo editore, che fu il Hammer, nella sua Storia dell' impero Osmano, aveva proposto di assegnarlo all’anno 1408; ora il cenno del registro di Masseria viene a dar ragione all’ ipotesi sostenuta dal Mas Latrie, nel suo opuscolo Commerce et expéditions militaires de la France et de Venise, che poneva la data della lega fra il 1403 e il 1404. Ora se già il 20 febbraio del 1403 veniva pagato il notaio per la scrittura dell’atto di alleanza, noi possiamo a ragione ritenere che la data sia anche anteriore al 1403, e che possa fissarsi senza timore alla fine dell anno precedente (pag. 58). Del resto la politica dei Pcroti in questa congiuntura ci appare improntata alla maggiore in- Giornale storico e letterario della Liguria 103 decisione; chè, non solo con Soliman, ma altresì coi suoi fratelli lvirigl ( Chiriihi) signori delle provincie asiatiche e Isa, e collo stesso Tamerlano (Tymir-bey) essi mantennero relazioni durante l’anno 1403, ricevendo e mandando ambasciatori e scambiando donativi (pag. 59-61). 8° - Nel medesimo registro, e sotto la data del maggio trovasi ricordata una spesa per festeggiare la vittoria Portus Longi. Ora, come giustamente osserva lo Jorga, la battaglia conosciuta col nome di Porto Longo risale a mezzo secolo innanzi; nè è presumibile che col nome di Porto Longo si voglia indicare lo scontro di Modone, sia perchè esso accadde nell'ottobre del 1403, cioè cinque mesi dopo la menzione che se ne ha nel registro; sia e più specialmente perchè del combattimento di Modone, terminato colla vittoria dei Veneziani, ben poca ragione avrebbero avuto da rallegrarsi i Genovesi di Pera, ben poca occasione di festeggiarla. A meno che non si tratti dell'incontro avvenuto fra Genovesi e Veneziani fra i porti di Modone e di Porto Longo nell’aprile dello stesso anno; ma che da tutte le nostre fonti (vedi il mio articolo: Lo scontro di Modone - in Rio. Mariti., novembre, 1897) ci appare un incontro pacifico ed amichevole, quantunque minacciasse in sulle prime di divenire ostile. Or potrebbe ben darsi che a Pera ne fosse giunta una notizia falsa e che perciò si deliberasse di celebrare la pretesa vittoria del Boccicaldo con pubbliche feste. E che non possa riferirsi allo scontro di Modone quel ricordo, lo prova il fatto che nelle pagine successive del registro si trovano ricordi di spese per armamento di legni inviati al Boccicaldo a Rodi (pag. 62). III. Con queste note terminano i registri della Masseria di Pera, nel momento appunto in cui ci sarebbero stati più utili per conoscere la storia esterna ed interna di quella colonia. Ma in compenso abbiamo ancora due volumi di Syndicamenta, cioè di interrogatori e di processi verbali, compilati da una commissione di revisori dei conti della Masseria, nominati per l’anno 1403 e incaricati di procedere ad un’inchiesta suH'amministrazione finanziaria della Colonia di Pera. Da questo registro non solo vengon 104 GIORNALE STORICO E LETTERARIO DELLA LIGURIA fuori alcune accuse di mangiarla, o di corruzione, contro gli amministratori; ma anche la prova evidente che nel 1400 vi fu guerra aperta fra i Turchi e i Peroti. C’è infatti la testimonianza d’un tal Ambrogio Bernichone di Arenzano, il quale afferma di aver avuto ordine nel 1400 di armare una sua barca, causa damnificandi Tureos praedictos e di aver perduto uno schiavo, preliando cum Turchis (pag. 70). E subito dopo troviamo la testimonianza di un Enrico Baldinello, che parla di un suo viaggio in Grecia, tempore quo vigebat guerra inter Commune Peyre et dictos Turchos (pag. 71); e finalmente le deposizioni dei marinai del legno di Bernichone, i quali affermano che esso legno cum certis galeis andarono a danneggiare i Turchi ad Atira (pagine 71-72)· In una parola i due registri dei sindacamenta, se da un lato ci fanno conoscere la corruzione (o almeno il sospetto di corruzione) dei magistrati genovesi, servono a dimostrarci che nel 1400 o in quel torno (come già per molti indizi io aveva sospettato nelle mie Relazioni (1. c. p. 724) vi fu un periodo di ostilità fra Peroti e Turchi, prima ancora che si stringesse la lega coi Veneziani, e prima che la spedizione franco-genovese giungesse a Costantinopoli. IV. Non minore importanza hanno i registri finanziari di Cipro, che ci sono conservati per un certo numero d’anni. Essi, oltre alle notizie d’indole finanziaria, contengono anche accenni non infrequenti ad avvenimenti politici, ad ambasciate, a relazioni con altri Stati, e giovano così ad arricchire le nostre cognizioni, abbastanza limitate sui fatti, dei quali fu teatro dal 1374 al 1464 quell’isola, cioè durante la dominazione, più o meno larvata, di Genova. Abbiamo nei conti del 1391, i primi che ci siano conservati, le prove di relazioni frequenti ed amichevoli (almeno in apparenza) fra i capitani Genovesi di Famagosta e il re di Cipro, Giacomo I (pag. 79*82), e nel tempo stesso l’accenno ad un admiratus di Tripoli che in quell’anno avrebbe cercato ricovero a Famagosta presso i Genovesi, e da loro sarebbe stato condotto a Beyruth (pag. 81-82). Su questa fuga io ho cercato invano notizie nelle fonti e negli scrittori genovesi; ma, ripen- GIORNALE STORICO E LETTERARIO DELLA LIGURIA 105 sando che l’anno innanzi (1390) i Genovesi e i Francesi avevano tentato un colpo di mano sopra la città di Mehedia nella Tunisia, non mi sembra improbabile la congettura che essi avessero stretto qualche accordo anche in Tripoli con qualche poco fedele ufficiale di quell’emiro, e che, fallita miseramente la spedizione di Mehedia, il traditore per timore d’ essere scoperto riparasse a Famagosta, dove, come ci apprende il registro della Masseria, gli furono fatte le spese, per un valore di oltre 300 bisanzi. Dal 1391 mancano i conti fino all’anno 1407, nel quale anno riarse la guerra, sopita nel 1402 grazie all’opera del maresciallo Boccicaldo. Ed ecco notate le spese di spionaggio, le spese di riparazione alla torre di Simisso, quella per assoldare un tal Rolando Francigeno (certo Francese), quia debebat preliare cum uno domini regis, cioè in singolare tenzone, e poi certe indennità pagate ad un tal Antonio di Nicolino, qui fnit ferutus et vulneratus ad scharamizam factam cum illis domini regis, cioè certamente durante l’assalto dato a Famagosta dai Cipriotti (pagine 82-83). Meno ricche sono le notizie per gli anni successivi ; tuttavia nei registri posteriori al 1441, troviamo frequenti accenni alla guerra Catalanorum, cioè a quell’assalto che un celebre pirata catalano, d’ accordo coi partigiani del re di Cipro, diede in quel-1’anno alla città di Famagosta. Fra le spese registrate troviamo quella d’un vestito {prò gona panni viridis schuri, caputeo uno, iupono uno et pari c allegarunt) donato ad un Domenico di San Remo (de Sancto Romulio) e ad un Giovanni di Siviglia, scappati dall’ armata dei Catalani e venuti (forse a nuoto) ad informare il capitano di Famagosta delle intenzioni dei nemici. La spesa è registrata nel 1442, ma è certo da riferirsi all’anno precedente. Cosi pure si ha notizia dell’affondamento, certo volontario, d’un grippo (g riparia) alla bocca di Santa C aterina nel porto di Famagosta e del rimborso della somma, veramente tenue, di 28 bisanzi, a Nicolò Spinola, suo proprietario (pag. 87-88). L’anno appresso il sultano d’Egitto attaccava 1 isola di Rodi, e i Genovesi di Cipro decretavano spese straordinarie per la difesa di Famagosta, occasione classis Soltani; e fra queste 1 assodamento di Leone Spinola con un suo legno da guerra e di Ιθ6 GIORNALE STORICO E LETTERARIO DELLA LIGURIA due altri capitani Genovesi, Oberto Grimaldi e Giacomo Isnardi. La somma delle spese salì a parecchie migliaia di bisanti, per pagare i quali si fecero delle lettere di cambio a Genova (pagina 89). Ma lo strano è, che pur avendo delle navi a loro disposizione, i Massari di Famagosta venivano a patti coi pirati che infestavano i mari, e spendevano 57 bisanzi per offrir vino e commestibili ad un Catalano, Gabriele Saplana, il quale aveva dato salvacondotto ai Genovesi perchè potessero navigare senza molestia da Famagosta a Rodi. Saremmo tentati di non credere a simile umiliazione della potentissima colonia, tanto ci par strano questo patteggiare con un corsaro, ma la cosa si spiega pensando all’abbandono in cui, a causa delle discordie intestine, venivano lasciate tutte le colonie ed i domini Genovesi, compresa Pera, di* tutte la più importante. E che meraviglia, se abbandonati dalla madre patria e senza mezzi di difesa, i mercanti Genovesi ricorrevano al denaro per assicurarsi quella pace che avrebbero potuto ottenere sterminando i pirati ? (pag. 91). * * * E con questi documenti ha termine la prima parte della raccolta di documenti del Jorga, desunta esclusivamente da registri Genovesi. In un prossimo fascicolo daremo nuova di altri documenti, o genovesi, o che interessano Genova, da lui raccolti in altri archivi. Camillo Manfroni LA RISCIACQUATURA IN ARNO DE’ « PROMESSI SPOSI » Λ PROPOSITO D’ UNA RECENTE PUBBLICAZIONE (1) Da quando Ruggero Bonghi nel 1883 imprendeva la pubblicazione degli Scritti inediti o rari di Alessandro Manzoni, che doveano essere i documenti di quello che egli stesso diceva, (i) Scritti postumi di A. Manzoni pubblicati da Pietro Brambilla a cura di Giovanni Sforza, Voi. i, Milano, Rechiedei, 1900, in 8, di pp. 420. GIORNALE STORICO E LETTERARIO DELLA LIGURIA 107 che cioè « nessuna cosa ha egli (il Manzoni) stampata nel modo che 1’ ha scritta » (i), si formulò tra gli eruditi e gli studiosi una domanda: « Ma che cosa gioverà tutto questo alla gloria del Manzoni?». E accanto a questa ne sorgeva anche un’altra, che, sebbene avesse la forma interrogativa, implicitamente valeva quasi una risposta a quella : « Se il Manzoni, che ebbe tanto senso d’ arte, confinò tra le tenebre dell’ oblio ciò che non condusse alla periezione di quelle opere, che formano davvero la sua gloria, perchè, contro il volere di lui, tutto questo si rimette alla luce del sole?». Tale * argomento », posto innanzi con 1’ aria più semplice e più naturale del mondo, nascondeva, forse contro voglia di coloro che 1’ aveano posto, un pochino di « veleno ». Nella lotta allora accesa tra Manzoniani e Antimanzoniani, quando i primi si lasciavano andar, se vogliamo, all’ idolatria, e i secondi tentavano in tutti i modi di sfrondare quella corona di alloro, che un consenso presso che universale del pubblico, il quale, senza far della critica, leggeva gustando e ammirando, intrecciava intorno al capo di quel grande ; quando gli uni tentavano di alzarlo a ogni costo, quasi segnacolo in vessillo per l’avvenire dell’ arte italiana, e gli altri lo attaccavano sotto tutti gli aspetti, dal lato delle idee letterarie e artistiche, degli ideali che esse risuscitavano, perfino dal lato della fede, perfino da quello del patriottismo; quando, non sapendo come combattere quel suo cattolicesimo bonario e umano, che cominciava col rifuggire da tutto quanto sapeva di settario, di ascetico, di convenzionale, di intransigente, e finiva con 1’ accoppiarsi con 1 amore verso la patria, con lo spirito della sua rivoluzione, con 1 amore grande, immenso, infinito verso tutto il genere umano, valicando barriere e confini e stringendo tutti gli uomini in un amplesso, perchè figli tutti d’ un solo riscatto, si volle sfolgorarlo d’ una luce che dovea essere la sua condanna, in nome di un classicismo nuovo, novamente concepito, vivificato della vita e del presente, rispondente ai bisogni delle (i) Rugükro Bonghi, Inaugurazione della Sala Manzoniana nella Biblioteca Nazionale Bra,dense, alla presenza delle LL. MM. il Re e la Regina e di S. A. R. U Principe di Napoli ; in Morandi, AhI. della Crii. lett. mod., p. 636. IOS GIORNALE STORICO E LETTERARIO DELLA LIGURIA giovani generazioni e della giovane patria, per poter conchiu-dere che il Manzoni, per quanto grande, era ormai vecchio di qualche secolo, e che non poteva più parlare, nè commuovere, nè infiammare i presenti; quella domanda e quella risposta mascheravano, diciamolo pure, col massimo rispetto verso di tutti, ma anche con la massima sincerità, un desiderio di attenuare, se non altro, ogni nuovo rumore, ogni nuova discussione che potesse sembrar un tentativo di rimetter sull’ altare Γ idolo che si credeva ornai detronizzato, o, al più, collocato nel museo dei grandi della patria a figurar come statua e nuli’altro. Giacché, francamente, senza ammetter questo, non si saprebbe comprendere come un senso che minacciava di diventar comune, volesse romperla così in visiera contro il buon senso, il quale s’ accontentava di ripetere con la franchezza e con la modestia che gli son proprie, che il fine che si volea conseguire era ben differente. Siano state però o non siano state le cose così, dato il modo tenuto dal Bonghi nel pubblicare ciò che di inedito o di raro avea lasciato il Manzoni, il dubbio, se non altro, era ancora possibile e spiegabile. Il lavoro del Bonghi, a chi l’osservi anche superficialmente, e più a coloro che potessero dare un’ occhiata alle carte manzoniane, deve apparire, qual’ è, difettoso da molti lati, forse per causa della fretta geniale, che in un lavoro come quello 1 illustre Uomo avrebbe dovuto assolutamente lasciar da parte, per dar luogo invece alla santa pazienza del trascrivere, ordinare e indagare. Ora però che altra mano ha riprese quelle carte ed altra tempra di studioso le discerne, le vaglia, le ordina, il dubbio, speriamo, non sarà più possibile. Il Tommaseo, in non so più quale suo scritto, lasciò presso a poco queste parole : « Lo studiare sulle correzioni proprie fatte dagli autori, ritengo essere buono esercizio di lingua e di pensiero ». E ha ragione, tanto più quando si tratti di autori, nei quali la parola e il pensiero sono una cosa sola, e mutar la prima equivale in modo assoluto a mutare o a modificare il scendo. Uno di questi autori è il Manzoni, e in ciò che ab-biam detto sta la ragione prima della pubblicazione delle opere postume manzoniane, che lo Sforza (uomo che non ha bisogno di presentazione o di soffietti) ha cominciato con questo primo volume a fare proprio di suo, dopo un lungo studio e un grande amore, e con dei criteri criticamente molto esatti. GIORNALE STORICO E LETTERARIO DELLA LIGURIA IOÇ Esaminiamo questa pubblicazione, fermandoci, per ora, sul Romanzo. E prima di tutto distinguiamo i° il contenuto, la tela, gli episodi, ecc. (i); 2° l’arte, considerata come forma, ossia, la parola. Il i/ settembre 1823 il Manzoni scriveva la parolay*«i? sotto quello che lo Sforza chiamò giustamente il primo sbozzo del romanzo (2), battezzato da prima col titolo di Fermo e Lucia, mutato poi in quello di Sposi Promessi, e infine nell’ altro che è rimasto: Promessi Sposi: il romanzo fu cominciato a stampare solo il '25. Da principio, ciascun de’ capitoli portò un titolo suo proprio: Il Curato di....', Fermo; Don Rodrigo; Il Causidico; ecc. ecc. ; dovea essere spartito in quattro tomi e fu ridotto poi in tre, e dal terzo in giù, il Manzoni « smise Γ uso d'intestare i capitoli e dette di frego alle intestature già latte » 13 ). Cominciamo dalle mutazioni di minor conto. Fermo Spelino, che diventa Renzo Tramaglino ; Lucia e Agnese di Tirella, che si mutano in Monde/la ] il Dr Pèttola o Dottor Duplica, che danno origine al dottor Azzecca-garbugli, il Padre Galdino, che diventa Padre Cristoforo; fra Canziano, poi fra Confidenso che si trasforma in fra Galdino, e via discorrendo, segnano un certo immegliamento anche, se si voglia, nell’ accessorio; in un accessorio però, che diventa ben presto essenziale specialmente per il lettore d’ un romanzo, che, una volta incontrati i suoi perso-naggi, s’ accompagna con loro e non li lascia più, se non dopo che ha letta 1' ultima pagina, e spesso, se gli han fatto grande impressione, li tiene con sè ancora, finché 1 impressione artistica rimanga in lui e lo domini. Ora, conoscere gli antecedenti di quei personaggi, il loro primo nome di battesimo, 1 apposizione che li determinava, quando uscivano, poco più che sbozzati is’intenda discretamente questo vocabolo) dalle mani dell autore, è e deve essere, non dico, forse, per tutti i lettori, ma per coloro che fanno professione di buon gusto, qualche cosa di più che una semplice curiosità, anche perchè pur tali mutamenti sono una rivelazione di quello spirito, gigante fino dal (,) Intorno a quasto non molto possiamo dir, ora; a sarà natissimo da studiare e da dire, quando 1 edtóone critica dei Prassi S>os, sarà un fatto compmto^ „) Vedi UMime dell. Risciac^ura in Amo, voi. et. pag. e po. fius*. per le altre notiae, che ripetiamo Iraendote di 1». (3) Ibidem, pag. 116. - ΧΙΟ GIORNALE STORICO E LETTERARIO DELLA LIGURIA suo affacciarsi alla palestra dell’ arte, ma che, pur troppo, al principio, per la prosa, trovava una materia, la lingua, sorda a rispondergli. E c’è di più. Un capitolo sugli untori, che diventa un libro: La Colonna Infame; le descrizioni della guerra e della peste che si abbreviano per ottenerne L’omogeneità senza tradire o annebbiare la verità storica; un romanzo dentro al romanzo: La Signora o la Monaca di Monza, che è ridotto sapientemente alle proporzioni d’un episodio; un finale melodrammatico, ricercato, poco verosimile, la morte di Don Rodrigo (i), spostato, resecato, posto in iscorcio, ma in un’ ombra piena di misteri e gravida di significato : sono tali mutamenti che mostrano chiaro nel Manzoni Γ affetto, non già per l’opera propria, ma per l’arte, non già per quello che aveva fatto, ma per quello che doveva fare, e nel tempo stesso una inquietudine artistica, un’incontentabilità, nella quale il grande Leonardo da Vinci (2) trovava i segni della perfezione dell' arte e della grandezza vera dell’ artista. Ma annunziar tutto questo è, si può dire, nulla. L’importante è averlo sott’occhio, notarlo, seguirlo, studiarlo, meditarlo, tanto più che col materiale che ora a poco a poco viene alla luce, tutta la strada si illumina, strada lunga, erta, difficile, spinosa, seminata, si potrebbe dir, di cadaveri, di tutto quello, cioè, che a quel medico inesorabile sembrava meritevole d’ esser tagliato e buttato da un canto. Certo non di tutti i classici è cosi, anzi, non di tutti i classici è utile pubblicare l’inedito o ripubblicare il raro; ma di alcuni, di quelli, cioè, che per giungere alla perfezione hanno seguita razionalmente una via, che ha un p; incipio, un mezzo, un fine, io credo che pubblicare i tentativi, gli sforzi, anche gli errori, anche i traviamenti, abbia un’utilità indiscutibile, utilità che si farà maggiormente manifesta se considereremo ora l’arte in quanto è forma, ossia parola. La lingua fu il vero tormento del Manzoni fin da quando cominciò a scrivere. Lo confessava egli stesso nella lettera al Fauriel del 3 novembre 1821 (3), nella quale si lasciava scappare, guardandosi prima attorno che nessuno lo udisse, che la (1) Ibidem, pag. 121 e segg. (2) Trattato detta Pittura, cap. VII. (3) Ibidem, 125 e segg. GIORNALE STORICO E LETTERARIO DELLA LIGURIA III lingua italiana era povera, che, a differenza del francese, non era parlata da tutta la nazione, che nemmeno si trovava per una convenzione fatta tra chi scriveva e chi leggeva, che era impossibile che servisse a tutti i bisogni o la lingua de’ classici o quella dei Vocabolaristi della Crusca, conchiudendo che « il y a « aussi pour nous une perspective approximative de style et que « pour en trasporter les plus possible dans les écrits, il faut penser « beaucoup à ce qu’on va dire, avoir beaucoup lu les italiens * dits classiques, et les écrivains des autres langues, le fran-« çais sur tout, avoir parlé de matières importantes avec ses « concitoyens, et qu’ avec cela on peut acquérir une certaine « promptitude à trouver dans la langue qu’ on appelle bonne « ce qu’ elle peut fournir à vos besoins actuels, une certaine « aptitude à l’entendre par 1’ analogie, » ecc., ecc. £ molto più tardi, quand’era già vecchio, riandando con la mente il passato, non poteva dimenticare il « travaglio » sofferto da giovane per questo stesso motivo, allorché, non essendo toscano, e avendo il serio proposito di comporre il romanzo in una lingua viva e vera, « non c' essendo dove trovar raccolta quella lingua « viva che avrebbe fatto per lui; e non si volendo rassegnare, « nè a scrivere barbaramente a caso pensato, nè a esser da « meno nello scrivere di quello che poteva essere nell’ adoprare « il suo idioma, s'ingegnava a ricavar dalla sua memoria le lo-« cuzioni toscane che ci fossero rimaste dal leggere libri to-« scani d' ogni secolo, e principalmente quelli che si chiamano « di lingua; e riuscendogli 1’ aiuto troppo scarso al bisogno, si * rimesse a leggere e rileggere, e quelli e altri libri toscani, « senza sapere dove potesse poi trovare ciò che gli occorreva < appunto, ma supplendo, alla meglio, a questa mancanza col « leggerne molti, e con lo spogliare e rispogliare il Vocabolario « della Crusca, che ha conciato in modo da non lasciarlo ve-« dere » ; allorché, nemmeno questo essendogli sufficiente, « doveva far faccia tosta coi cortesi Fiorentini e con le gentili « Fiorentine, che gli dettero nell’ unghie, e domandare: si dice ancora questo, o come si dice ora? e come si direbbe que- * st’altro che noi esprimiamo così nel nostro dialetto ? e simili. » (i) (r) Manzoni. Appendice alla Relazione intorno alt’ unità della lingua e ai mezzi di diffonderla, cit. «lallo Sforza, a pagg 128-130. CIORNALE STORICO E LETTERARIO DELLA LIGURIA Ora tutto questo lavoro minuto, paziente, diligentissimo, costante pur di ottenere il fine propostosi, non è già solo nella parola del Manzoni, ma riesce chiaro ed evidente da ciò che di lui restava di inedito e che ora si pubblica. Quando (e auguriamoci che sia presto) uscirà alla luce il volume delle Appendici, allora le postille del Manzoni al Vocabolario degli Accademici della Crusca, al Dizionario militare italiano del Grassi, ed alle altre opere già annunziate nel programma di questa pubblicazione, saranno come tanti documenti a quella parola, nello stesso modo che nel volume ora pubblicato le servono di documento le Parole o frasi del popolo di Firenze da lui raccolte, i Bigliettini di lui alla marchesa Marianna Rimiccini Tri-vulzio e le risposte di questa al Manzoni, i Bigliettini dell’ Emilia Luti allo stesso, e poi le correzioni proposte dal Dottor Gaetano Ctoni alla Prima edizione dei Promessi Sposi, le Correzioni proposte alla stessa da G. B. Niccolini; bigliettini e proposte che, insieme con gli studi che il grande milanese andava, comunque, facendo per conto suo, fruttavano le correzioni, le ricorrezioni, i pentimenti, le cancellature, i rifiuti, onde erano, si direbbe quasi, martellate le pagine del romanzo. Con tutto questo materiale vagliato e ordinato può ora lo studioso e il critico seguire l’evoluzione della parola e della frase manzoniana da quando tutto o quasi poteva essere giustificato con la Crusca alla mano, e pareva che il romanzo fosse pieno zeppo di lombardismi, a quando tutto parve risorto dalla morte alla vita, e il romanzo parve un modello fin troppo sincero di lingua viva ed efficace; da quando lo scrittore si formava crisalide nel bozzolo della lingua morta e degli scrittori, a quando usciva farfalla iridata e svolazzante a cogliere il dolce e il profumo dai fiori che crescevano nei giardini e nei prati delle sponde del- 1 Arno. E da esso deriva anche un' altra cognizione, più importante, forse, sotto un certo rispetto, di questa, la cognizione della sincerità, dell’ onestà, della dignità dell’ arte manzoniana, della bontà di quell’uomo, nel quale nulla ci fu mai di sottinteso, o di convenzionale, o di architettato, o di falso, e che, non solo per 1’altezza dell’ingegno, ma anche per tale scrupoloso senso della verità merita d’ essere proposto come maestro a tutti coloro che, accostandosi all’altare dell’arte, devon sa- GIORNALE STORICO E LETTERARIO DELLA LIGURIA 113 pere come sia necessario accostarvisi prima di tutto con le mani pure, e con la coscienza scevra di qualunque macchia. Studiando il Saggio delle correzioni fatte da Alessandro Manzoni in margine ad un esemplare della prima edizione del romanzo e poi da lui rifiutate ci sarebbe da scrivere un libro, che, per il nuovo materiale offerto allo studioso, diventerebbe più completo di quello già bellissimo e conosciutissimo di Francesco D’Ovidio, tanto più che lo Sforza riporta sapientemente accanto ad esse il brano del testo definitivo del 1840. Proviamo a spigolarne qualche saggio, e sarà prezzo dell’ opera il farlo, e ribadirà la tesi che fin dal principio ci siamo proposta (1). (I, io) quando egli ingrossa. — quand’ egli ingrossa. (io) quando questo ingrossa. La seconda frase, apostrofando 1’ avverbio, era più snella; ma rimaneva il pronome personale riferito a cosa, mutato giustamente nell edizione definitiva nel dimostrativo. # # (I, 13) Dopo la rivolta la strada correva diritta. — Volto il canto, la strada correva diritta. 1 (12) dopo la voltata, la strada correva diritta. È accettata la proposta giustissima del Dott. Cioni. # * # (I, 13) sur un fondo grigiastro. ~ sur un fondo bigerognolo. (12) sur un fondo bigiognolo. Bgerognolo era più di maniera che grigiastro·, bigiognolo più vivo. * # # (1, 20) e vergendoli venire proprio alla sua volta. — e vedendoseli venir proprio inverso se\ (17) e, vedendoseli venir proprio incontro. Lasciamo da parte il veggettdoli, meno usato, mutato in vedendoli, che è dell’ uso vivo; ma non è chi non veda che alla sua volta era troppo; inverso se era una zeppa; proprio incontro dice la cosa com’ è. (1) Riporto Γ Avvertenza dello Sforza per comodità dei lettore: « Il primo brano è il testo dell’ edizione principe, e i numeri romani e arabi, tra’ segni (), ne indicano il tomo e la pagina: il brano seguente, preceduto da’ segni - —> è quello corretto dal Manzoni; e le parole stampate in carattere corsivo son le correzioni che poi rifiutò, il terzo brano L· il testo dell' edizione definitiva del 1840, e il numero ne indica la pagina ». Gior. St. c Lett. de la Liguria s 114 GIORNALE STORICO E LETTERARIO DELLA LIGURIA * * * (I, 25) e§l' aveva dovuto accorgersi che la situazione li più impacciata a quei tempi. = aveva dovuto comprendere che la condizione la più grama e la più impacciata in quell' avvenimento di cose. (20) aveva dovuto comprendere che la peggior condizione, a que’ tempi. La prima frase offende la sintassi con un francesismo; le seconda 1’ offende con lo stesso francesismo, per giunta ripetuto ; la terza acquistava il merito della maggior semplicità ed evidenza. *** (I, 27) al volere arbitrario di mille magistrati ed esecutori. ~ al volere arbitrario di ufiziali d’ ogni genere. (21) al volere arbitrario d’esecutori d’ogni genere; Chi non vede che il « magistrati » era un di più e non corrispondeva alla realtà delle cose, e che ufiziali era cruschevole ? *** (I, 27) un petzo di carta affisso agli angoli delle vie. — un pezzo di carta affisso su pei canti. (21) un pezzo di carta attaccata sulle cantonate. La seconda frase era forse peggiore della prima ; la terza la sola propria. *** (I, 29) con un drappello di bravi. = (con (un accompagnamento) uno stuolo) con attorno uno stuolo di bravi. (23) con intorno uno stuolo di bravi. Il luogo, come si vede, è corretto e ricorretto : drappello, accompagnamento, stuolo, la più propria delle tre voci, giacché la prima dà 1' idea di gente scelta e ordinata ; la seconda è generica; la terza indica ogni quantità di gente, ma nel senso militare, o press’ a poco, aggiungeremo noi, di gente disposta a combattere, com1 erano i bravi. ** * (I) 3°) dalle contese allora frequentissime tra il clero e le podestà laiche, dai contrasti pure frequentissimi di ufiziali e di nobili, di nobili e di magistrati, di bravi e di soldati, fino alle baruffe tra due contadini. dai contrasti allora frequentissimi tra il clero e le podestà laiche, tra il militare e il civile, tra nobili e nobili, tra magistrati e magistrati, tra borghesi e bravi e soldati, tra tutti insomma, fino alle, ecc. (23) dalle contese, allora frequentissime, tra il clero e le podestà laiche, tra il militare e il civile, tra nobili e nobili, fino alle questioni tra due contadini. GIORNALE STORICO E LETTERARIO DELLA LIGURIA 11 5 L' ultima enumerazione è più comprensiva, più esatta e meno farraginosa della seconda; la sostituzione di questioni a baruffe ci dà la stessa idea, ma più larga; giustamente ripudiato il contrasti. (I, 33) un passo stretto, scabroso da attraversare, un passo del quale non si vedeva la uscita. una stretta da passare, una stretta della quale non si vedeva 1’ uscita. (25) un passo dal quale non si poteva veder come uscirne. Qui basta leggere e confrontare: è una frase di maniera mutata in una frase vivissima. * * (I, 39) Quando mi fosse toccata una schioppettata nella schiena. r= Quando mi fosse toccata un’ archibugiata nella schiena. (29) quando mi fosse toccata una schioppettata nella schiena. L’ arcliibugiata o archibusata la volea il Niccolini, (i) e il Manzoni pare che si proponesse d’ ascoltarlo; ha fatto bene poi a lasciar da banda la sua correzione. *** (I, 40) la doveva venire in capo proprio a me! ~ la doveva venir proprio addosso a me! ~ la doveva toccare per 1’ appunto a me! (29) la doveva accader per 1’ appunto a me! Sarei incerto se preferire il toccare o 1’ accadere; 1’ uno o 1’ altro però sostituisce egregiamente il venire in capo o il venir addosso. Il toccare gliel’ avea suggerito il Niccolini. * (I, 40) questo le racconcia sempre lo stomaco 33 questo le aggiusta sempre lo stomaco. (29) questo le rimette sempre lo stomaco. Il più vivo e il più dell’ uso è certo il rimette. Altra correzione del Niccolini. Il Manzoni fu incerto se accettarla o no, tanto è vero che in margine al foglio del suo correttore scrisse : aggiusta. * * * (I, 42) il partito che gli parve il migliore fu di guadagnar tempo, dando ciance a Renzo. = il partito che gli parve il migliore o il men male, fu di guadagnar tempo, tenendo a bada Renzo con cianee, (1) Cfr, op. cit,, 311. Il6 CIORNALE STORICO E LETTERARIO DELLA LIGURIA (32") quello che, per ogni verso gli parve il meglio o il men male, fu di guadagnar tempo, menando Renzo per le lunghe. Il Cioni gli aveva suggerito da sostituire a dando ciance, menando / oche a pastura. Era peggio che andar di notte. E via discorrendo, giacché ci sarebbe davvero da esami- ’ o nare, da notar tutto, e potrebbero farsi osservazioni svariatissime, 1’ una più utile dell’ altra, e che sarebbero un testimonio di più per provare all’ evidenza sotto quanti punti di vista il Manzoni avesse preso a osservare il prisma della lingua, che, quanto più egli riguardava, tanto più gli presentava un numero sempre maggiore di facce e d’aspetti. Forse questo farò in seguito in altro lavoro, il più completo che mi sarà possibile, quando anche altri materiali saranno venuti in luce nei volumi seguenti. È possibile però risponder subito a un’altra domanda, in questo lavoro di correzione e di ricorrezione si può valutare, approssimativamente almeno, quello che al Manzoni è venuto dagli altri e quello che è propriamente opera suar Uno dei dati manca in gran parte, ossia ciò che di parole e di frasi vive del popolo di Firenze egli stesso raccolse, giacché, come ci avverte lo Sforza, moltissimi di quei fogliolini, su’ quali le andava notando, sono andati distrutti o dispersi. Anche però da quel poco che lo Sforza ci ha dato ci possiamo formare un’ idea del come il Manzoni andasse innanzi in questo lavoro, che era la sua mira costante, il pensiero per lui di tutte le ore, e che gli destava il massimo interesse. Sono sfilate di frasi fiorentine o sole o poste accanto a frasi corrispondenti del milanese, o osservazioni sul si dice o sul non si dice. Restano invece i bigliettini della marchesa Rinuccini Tri-vulzio, quelli dell’ Emilia Luti, le correzioni del Cioni e quelle del Niccolini. Non molti sono i bigliettini della Trivulzio, ma interessanti per le frasi e per le voci proposte; molto più numerosi e più interessanti ancora quelli della Luti, tra i quali degnissimo di nota quello a pagina 413. Il Manzoni le avea chiesto « Scala a mano, o scala a pioli? e i due legni ne’ quali sono incastrati gli scalini o pioli, si chiamano staggi, o come? » E la Luti: « La scala a jnano è questa: > (e ne dava il disegno) « la scala a pioli è quest’ altra » (e ne dava il disegno). « I due legni « laterali della prima scala A chiamansi staggi, e la seconda GIORNALE STORICO E LETTERARIO DELLA LIGURIA I I 7 « B si dice stile o ritto. Di questa seconda scala se ne servono « massimamente i nostri contadini, nelle faccende campestri. « N. B. - Si chiama pure volgarmente qui, scala a pioli e scala « a mano quella di lettera A quando invece di staggie orizzon-« tali ha dei bastoni tondi per scalini. » Lo Sforza stesso rileva in parecchie note quel tanto che delle risposte della Luti passò nel romanzo, ciò che dispensa assolutamente me dal parlarne. Piuttosto esaminerò brevemente le proposte del Cioni e del Niccolini. Quelle del D.r Cioni sono, se non ho errato contandole, 178 e si riferiscono fino al vol. II, pag. 99 del romanzo; in genere sono felici, sebbene, francamente, rare rispetto al bisogno; talvolta fuori di luogo affatto. Per esempio, quando il Cioni corregge: se avessero esistito in se fossero esistiti; la rivolta della strada in la voltata; che l’aspettato era egli in che Γaspettato era lui; codesti signori in lor signori; picciol fiasco in fiaschette; fornito bastantemente di scorte in bastantemente provvisto; ci panno in ci possono; pressa in furia; levando gli occhi in alzando gli occhi; barbugliò in balbettò; rage in fandonie; s' era posto giù in s’era messo a letto, e via discorrendo, corregge benissimo. Non così quando propone paese per riviera; aggranchiate per ingranchite; menando l'oche a pastura per dando ciancie; nei nostri piedi per nei nostri panni; è una cima d’uomo per quegli è un uomo; nella di lui assenza per nella sua assenza, ecc. ecc. qui la frase suggerita non ha nessuno o poco merito dinanzi a quella che si vuol correggere e non merita una preferenza assoluta, ciò di che s’ accorse più volte lo stesso Manzoni, al quale le proposte del Cioni, come, del resto, anche quelle del Niccolini, servirono più volte come indirizzo alla correzione, ma nulla più. Le proposte del Niccolini sono, salvo errore, 326; parecchie di esse concordano perfettamente con quelle del Cioni, con un po’ più di concessione al gusto classico, e d’ una certa forma doita come: dirizzar in addirizzar; schioppettata in archibusata; fatto un marrone in preso un granchio a secco; andò prima del ricolto in andò in quel cogliere; trasalire in palpitare; gli anni discreti in le annate ragionevoli, ecc., ecc., e furono anch’ esse di grande aiuto al Nostro, il quale più tardi, non accontentatosi più di ricorrere al consiglio altrui, andò in Toscana, e fece da ΙΤ8 GIORNALE STORICO E LETTERARIO DELLA LIGURIA sè e fece bene, sceverando 1’ oro dall' orpello, con quel senso della verità e della misura e con quel fine discernimento dialettico, che furono suoi propri ed esercitarono la sua pazienza, come poi formarono la sua gloria. E oltre a tutto questo, chi si fermi a esaminare le minute dell’ Introduzione, e le correzioni spesso affannose, spesso cancellate, rifatte, ricancellate, la vedrà finalmente uscir fuori questa benedetta prosa manzoniana, arte nella lingua, arte nello stile, romantica, se si vuole, nel senso che ricerca il palpito, la vita vera, la vera popolarità, ma classica in fondo, se per classica s’intenda un’arte elaborata, riflessa, studiata paziente-mente, prosa che, in mezzo al manierismo e al preziosismo del quale pur troppo parecchi innamorati si sentono oggi andare in visibilio, è ancora ciò che di più vivo abbia dato la nostra letteratura, dopo che, per l’umanesimo, staccatasi dalle tradizioni popolari del trecento era andata o anfanando dietro a un periodo latino che riusciva stucchevole, o fiorettando o impiccinendo, o imbarbarendosi anche, o rimanendo troppo classica per il popolo, ossia per tutti coloro che avrebbero voluto leggere per diletto e non per studio. A chiarire, o meglio, ad aprir la strada al lettore per inoltrarsi nei viali e nelle stanze, quasi, dell’ edificio manzoniano, servono le due prefazioni dello Sforza, colui che, oggi, in Italia, e per le carte manzoniane che ha e può studiare, e per le notizie che raccoglie con tutti i mezzi possibili e dalle fonti più sicure, sul Manzoni si può dir ne sappia più di tutti. Per la seconda specialmente di esse veniamo a conoscere con esattezza matematica le idee manzoniane intorno alla lingua e le successive modificazioni, ponendosi così termine alla disputa sostenuta dal D’ Ovidio e dal Morandi in proposito; acquistiamo una nozione esatta di tutti coloro ai quali il Manzoni ricorse o coi quali si trovò a contatto, o che s’occuparono direttamente o indirettamente dell’ opera di lui; e finalmente abbiamo la storia reale e perfino anche aneddotica del lavoro manzoniano. Lavoro che, quando sarà pubblicato tutto, svelerà la più importante delle tante facce del Manzoni, quella per la quale si sfaterà un’ altra leggenda sul suo conto, che, cioè, egli abbia prodotto relativamente poco. Il Manzoni produsse, è vero, poco; ma lavorò infaticabilmente; non riposò mai sugli allori, e GIORNALE STORICO E LETTERARIO DELLA LIGURIA II9 solo una perpetua incontentabilità potè renderlo avaro. Il tesoro nascosto ora si pubblica: ci sarà ancora qualche italiano che vorrà chiamarla una pubblicazione inutile? Gildo Valeggia DI ALCUNI DOCUMENTI POCO NOTI DELL’ARCHIVIO DI GENOVA Da assai tempo assiduamente mi occupo di una minuta indagine negli atti notarili dell’ archivio di Stato di Genova, per sceverare quelli che, a parer mio, hanno importanza storica, al-l’oggetto di riunir poi tali indicazioni a vantaggio degli studiosi, nella speranza che invoglino altri a sottrarre quegli importanti cimelii al progressivo deperimento, ed anche al pericolo d’una perdita totale. Fra i documenti da me esaminati parecchi anni sono trovansi alcuni volumi, i quali non sono collocati nella sezione notarile, ma nel cosi detto archivio secreto, coll’indicazione di atti diversorum notariorum. Figurano nella pandetta dei MSS. e libri rari coi numeri 102, 103 e 104. Il titolo generico, che farebbe supporre trattarsi d’atti d'interesse privato, fu forse cagione che sinora pochi avvertirono la singolare importanza di quei documenti storici. Solo, eh’ io sappia, gli compulsò il Caro e ne trasse materiale pei suoi eruditi lavori sulla storia di Genova (^accennandone poi l’esistenza nello elenco di documenti posto in appendice, di guisa che è probabile che, dietro le sue indicazioni, altri possa ora farne suo prò, mentre innanzi non ne avrebbe neppur sospettata l’esistenza. Ma poiché l’opera del Caro è limitata all’anno 1311, nè porge una notizia piuttosto larga di que' manoscritti, io ritengo possa esser utile indicar qui sommariamente il contenuto dei principali documenti in essi tra- (1) Gkorc. Caro. Die Verfassung Genua' s zur Zeit der Podsstat’s {i 190-1257) Strassburg, Heitz und Mundel, 1891 — Gcnua und die Màchie am Mittelmeer> Halle a. S., Max Niemeyer, 1895-1899. È un peccato che l’autore abbia arrestato il suo bel lavoro al 1311 ; forse sarebbe stato più logico comprendervi il seguito della storia di Genova coll'ultimo doppio capitanato di Raffaele Doria e Galeotto Spinola; con esso veramente si chiude il movimento democratico che, ottenuto un primo trionfo col capitano Guglielmo Boccanegra, riesce ad una vittoria definitiva col doge Simone Boccanegra. 120 GIORNALE STORICO E LETTERARIO DELLA LIGURIA scritti, affinchè riescano meglio noti a chi s’occupa di studi sulla storia di Genova nei secoli xiii, xiv e xv. Aggiungerò la speranza che, vista la singolare importanza di taluni di quegli atti, 0 la nostra Società di Storia patria o la R. Deputazione ne promuovano la stampa. Infatti, sotto la modesta indicazione d atti di notari diversi, apposta ad essi non so perchè, quei volumi, specialmente i numeri 103 e 104, il 103 sopratutto, formano una specie di continuazione del Liber Iuriutn pubblicato nei Monumenta historiae patriae, ed i documenti che contengono probabilmente non son che parte di quelli trascritti nella parte ancora inedita dell’ insigne raccolta rimasta a Parigi, e che sarebbe pur tanto utile possedere almeno in copia, quanto e forse più che non la riproduzione fotografica degli annali di Caffaro (1). Indicherò ora brevemente il contenuto di quei volumi. Per non dilungarmi troppo accennerò solo sommariamente al contenuto del voi. 102, dove si trovano atti della fine del secolo xii e del principio del sec. xiii 1149-1195-98-1200-2 ro&at* parte a Sori, da un notaro di quel luogo, e parte a Genova. 1 primi, sebbene d’indole privata, hanno tuttavia qualche interesse per le indicazioni sull'amministrazione dei consoli locali, che precedette nella Liguria quella dei podestà nominati dal-l’autorità centrale. Assai notevoli sono poi alcuni atti riguardanti : i signori di Lagneto ed il vescovo di Brugnato; quelli degli Embriaci per le spedizioni di Sicilia (c. 132); e gli altri da essi stipulati coi D’Oria (c. 185), coi marchesi di Ponzono per l’acquisto di parte di Varazze (c. 179), coi Malaspina intorno ai pedaggi di Val di Trebbia e di Val di Borbera. Inoltre, il testamento di Guglielmo Embriaco (c. 232); gli istrumenti dei consoli del Comune per l’armamento delle galee (c. 193), di Erode de Mari col nuncio del re di Sicilia (f. 192), dei Malaspina con Balduino de Centonio, con Oberto de Montecucco e con Odone de Moreliono, per pedaggi e per feudi, con accenni alle loro attinenze coi marchesi di Monferrato e coi marchesi di Este carte 262-63). ΡεΓ mala ventura alcuni fogli, e specialmente gli (1) Dei nostri, ch’io sappia, poti: esaminarli soltanto il compianto Desimoni; egli dissemi aver estratto nota di tutte le cose più importanti, ma ignoro ove sicno ora quei suoi regesti. Più tardi esamini quei volumi anche il Dott. Heinrich Sievcking che se ne valse |>er i suoi dotti lavori: Genuesrr Finanzjursein e Die Casa di S. Giorgio, {Freiburg i. B., 189S-1&99). GIORNALE STORICO E LETTERARIO DELLA LIGURIA 121 ultimi in carta bambagina contenenti i documenti Malaspina, erano già, allorché li vidi, cinque o sei anni or sono, tanto mal ridotti, che in breve non saranno più leggibili. Più importante, perchè composto quasi esclusivamente di atti governativi, è il volume che porta il N.° 103. Allorché lo esaminai le carte non erano numerate che in parte, sicché non potrò sempre accennar con precisione la posizione dei singoli documenti. Ecco in modo sommario Γ indicazione dei principali atti quivi contenuti : Da cc. i a 5, atti (1247-48) del podestà Rambertino Guidono de Bo-narello, bolognese. A cominciar da c. 6 si leggono gli atti del primo doppio capitanato Doria-Spinola ; non potendo qui dare il sunto di tutti riferisco il contenuto d’ alcuni, che sarà sufficiente per fornir un concetto della loro importanza. C. 6, 1272, 28 Marzo: — I capitani incaricano W... e Giacomo Doria di risarcir i danni recati da genovesi a mercanti dipendenti dai re di Armenia, di Cipro, dal Signore dei Tartari ed altri potentati d’Oriente, coll’indicazione delle rispettive quote. C. 8, 1272, 13 Aprile — Contratti dei capitani con privati per appro-vigionar la città con grani da Garbo della Signoria di Agamarosem, c dominium Tremoseni » (Tlemcem?). C. 10 r. — Oberto Doria di Pietro nomina un procuratore per prendere in enfiteusi perpetua delle terre dei Monaci dell’isola Gallinaria nella diocesi di Ajaccio, in Corsica. C. il r. — Atti circa i condannati come complici dell’ammiraglio Lanfranco Borbonino per la perdita della squadra di 27 Galee armate contro i veneziani; testo della sentenza del 25 luglio 1266 pronunciala in contumacia contro lo stesso ammiraglio. C. 14 — Un atto con cui il cap. Ob. Doria e gli anziani autorizzano 1’ altro capitano Ob. Spinola co’ suoi eredi a deviar acqua dal civico acquedotto pel loro palazzo di Luccoli. C. 17 — Tre atti (uno in un foglietto sciolto intercalalo) del settembre 1273 circa il matrimonio del nob. Orlando de Sala, corso, con Andriola del q. Nic. Calvi (1) ; procuratore del de Sala è un Bonifacio Bortivacha. — Pagamento di 2[m tornesi da parta dei veneziani. C. 17 — Rappresaglie accordate a vari di Gavi contro gli uomini di (1) Il Caro ci da un sunto di quest’atto, interessante perchè riflette un feudatario corso di cui non fanno cenno nè i nostri annali nè la storia del Filippini. Eppur dovea esser persona di grande importanza se il governo di Genova s’interessava tanto del suo matrimonio con una zitella genovese, come quello che potea esser di grand! utile al Comune, da garantii' il pagamento della dote. 122 GIORNALE STORICO E LETTERARIO DELLA LIGURIA Tagliolo, contro i Qualia, i Gualchi e contro Corrado e gli altri Marchesi del Bosco ; eccezione in favore di Donna Agnesina, di Tomaso e figli e di Lancellotto del Bosco, perchè amici del popolo genovese (i274i S’u8no e luglio) (1) — Rappresaglie contro Tortonesi e contro Lucchesi. C. 25 — Decreto del 1273, ir settembre, dei Capitani e Anziani per indennizzare due di Carpena danneggiati da Nicola Fieschi che allora ne occupava il Castello. C. 14 r. e 25 r. — Creazioni di notari fatta dai capitani. C. 27 — Amnistia ai forestali.prima della presa del Castello di Godano. Ivi — Convenzioni cogli uomini di Trebbiano, Lerici e altri luoghi vicini. Segue agli atti dei capitani una serie importantissima di atti del ducato di Giovanni da Murta, e fra essi anzitutto notevoli quelli che riflettono la Corsica. Dalle cronache di Gio Villani (2) sapevamo che nel-l’Agosto del 1347 « i genovesi ebbono la Signoria di tutta l’isola di Corsica con volontà quasi di tutti i Baroni e Signori di Corsica » ; ma nè lo Stella nè il Filippini ci dicono nulla di preciso in proposito. Ora qui troviamo gli atti di sottomissione di tutti i cinarchesi (3), i più potenti di quei feudatari ; con essi, a rogito del notaro Raffaele Foacia, ognuno delle varie famiglie fa omaggio dei propri castelli al podestà di Bonifacio, Nicola da Levanto notaro, ricevendoli poi dallo stesso in feudo; c con i successivi il duce Giovanni de Murta conferma la concessione. Precede a tutti i documenti del ducato di Giovanni de Murta, coi feudatari cinarchesi (a c. 35, colla data di Bonifacio, nella Chiesa di S. Maria in quel castello 1337 ind. IV, tertia idus madti) (4), un atto con cui il vicario in Corsica investe Enrico de (1) Il Desimoni ne’ suoi Annali di Gavi non fece alcun cenno di questi atti ni· delle ostilità dei Qualia (V. Lib. Jur.t cessione
  • di papa Giulio II, della quale, appunto, avevo allora in mente il disegno; un disegno rimasto poi al par di tanti altri — dovrei dir di troppi altri — allo stato di progetto senza esecuzione. Titolare di questa medaglia coniata « in memoriam » di papa Giulio II, è Gerolamo Arsago, vescovo di Nizza; un personaggio poco men che sconosciuto al di là dei confini della GIORNALE STORICO E LETTERARIO DELLA LIGURIA 12 7 storia ecclesiastica. Costui mi ha tutta l’aria d'aver voluto, onorando il pontefice, fare un po’ di réclame a sè stesso ; giacché è riuscito, dopo tutto, a raccomandare ai contemporanei, non solo, ma ai posteri un articolo di valore assai limitato, quale è quello costituito dalla sua effigie e dai suoi titoli, appiccicandovi, come dicono in commercio, una marca di prim’ ordine. Ecco intanto la descrizione del conio in parola, che desumo dagli appunti consegnati ai foglietti del mio taccuino, non essendomi più occorso di poter riscontrarli con altro esemplare. Dritto: hier, arsagus. eps. nicien. ivlii. ii. alvmnvs. Mezzo busto di profilo a sinistra del vescovo Girolamo Arsago, imberbe, i capelli spioventi a frangia tutt’ intorno alla larga chierica, vestito del rocchetto a cappuccio. Rovescio: post | ivlii. ii | cineres | mdxiii su quattro righe, nel campo: all’ esergo una fogliolina. Tanto il diritto quanto il rovescio hanno un contorno di globuli o perline. Diametro della medaglia: o, 045. Dirò poche parole di questo prelato, a cui 1’ Ughelli (1) dà il nome di de Amago, e il conte di Mas Latrie (2) quello ancor più disforme di Aragi. Egli era patrizio milanese, « ex capitaneis de Arsago », e apparteneva all’ ordine monastico di S. Benedetto. Prima della sua assunzione alla cattedra episcopale di Nizza (18 novembre 1511), rimasta vacante per la morte del cardinale Gio. Stefano Ferrerò, era stato preposto della Mirandola, capitale del piccolo Stato omonimo dei Pico, e abate di Breme. Fu soprannominato dalla Mirandola, a motivo, appunto della prepositura da lui anteriormente esercitata in questa terra, la quale egli amò costantemente come una seconda patria; tanto che, da dieci anni vescovo di Nizza, ancora provvedeva del suo alla spesa delle colonne per la cattedrale mirandolese, secondo che ne fa fede l’infrascritta lapide murata in detta chiesa: Hier (ommus\ ex capitaneis de Arsago | Mediol (ancnsis) patritius—epis-c(opus) Niciae | templum hoc incur(ia) pene collap(i7<»j) pilis communivit MDXXI. Fu durante la sua prepositura che avvenne la storica espugnazione della Mirandola per parte delle truppe di Giulio II (1) Italia Sacra, voi. 1^ p. 1114, \2) Trésor de ctirano/. et d' hist., c. 1456. 128 GIORNALE STORICO E LETTERARIO DELLA LIGURIA (20 Gennaio 151 o); quando nel cuor dell’ inverno >' P° es" sendo gelato^ e la neve alta due braccia e mezzo il fiero pontefice, coll’ elmetto in capo, giunto dinanzi alla porta, c non potendo entrarvi perchè ostruita da terrapieni e ingombra di macerie, penetrò nella piazza scavalcando le mura mediante una scala a piuoli : energia che sembrerebbe incredibile se non fosse attestata dai contemporanei, trattandosi d' un vecchio ottuagenario e per sopraggiunta ammalato. Intervenne al XIX Concilio generale lateranense aperto il 4 maggio 1512. Sotto il suo episcopato ebbe luogo in Nizza il convegno fra Carlo V imperatore, Francesco I re di Francia e Paolo III papa, col risultato della famosa tregua triennale fra i due primi. Morì nel 1542. Questi i punti più salienti della vita di Girolamo Arsago. I rapporti personali dell’ Arsago con papa Giulio, ai quali allude la parola « alumnus » nel dritto della medaglia, non sono ben chiari. Certo, l’Arsago non dovette esser famigliare del papa ; giacché, se tale egli fosse stato, questi non avrebbe mancato di adoprarlo in qualità di legato o d’agente subalterno nel disbrigo di alcuna delle tante pratiche ufficiali a cui diede corso durante il suo operosissimo, per quanto breve, pontificato; mentre egli visse sempre « extra Romanam curiam », come afferma l'Ughelli. La parola « alumnus » non può dunque aver qui altra significazione che quella di favorito o beneficato', e tale, invero, si professa 1* Arsago non senza una certa compiacenza, ostentando di voler con questa medaglia quasi sciogliere un voto di riconoscenza e di devozione alla memoria del suo benefattore, della cui particolare protezione si fa in certo qual modo un titolo di merito. Vittorio Poggi GIORNALE STORICO E LETTERARIO DELLA LIGURIA I29 BULL ETTI NO BIBLIOGRAFICO. Claretta Gaudenzio — I marmi scritti della citta di Torino e de' suoi sobborghi (Chiese - Istituti di beneficenza - Palazzi ecc.) dai bassi tempi al secolo xix con copiose annotazioni storiche, biografiche e necrologiche. Torino, 1899, G. Derossi; in 8°, di pp. 776 Tutti sanno di quanta utilità riescono le raccolte di iscrizioni che si trovano nelle chiese, ne' palazzi, in pubblici istituti, perche costituiscono una fonte importante per la storia, e sarebbe inutile ricordare qui le grandi collezioni e i servizi che hanno reso e continuano a rendere agli studiosi. Ci piace tuttavia far menzione delle iscrizioni di Roma e di Milano pubblicate dal Forcella e dal Seletti. E se gli studiosi accolsero con tanto favore quelle speciali raccolte prive di illustrazioni, dovranno far buon viso a maggior ragione a questi marmi scritti torinesi, i quali costituiscono un' opera organica e originale a cui le iscrizioni hanno dato argomento. Infatti le chiese, i palazzi, gli istituti e altri pubblici edifizi che prestano il loro contributo a questo ampio volume, hanno qui riassunta la loro storia, tratta dalle fonti migliori, e qualche volta arricchita di nuovi documenti. Così si dica delle famiglie o dei personaggi nominati in quell lapidi, poiché 1’ autore non trascura opportunità per esporre, con maggiore o minor larghezza, secondo convenienza, le notizie che riescono più agevolmente ad appagare la curiosità del lettore. Il quale troverà non solo que’ tocchi biografici o genealogici che riguardano il personaggio e le famiglie, ma certi aneddoti e rilievi affatto sconosciuti e assai curiosi La diligenza poi con la quale il C. si è curato di compulsare parecchi archivi chiesastici, gli ha dato modo di pubblicare, dagli obituari, gli elenchi de’ morti che nelle rispettive chiese ebbero sepoltura; documenti, come ognun sa, di non poco valore. Cresce pregio al-1’ opera presente la produzione di parecchie epigrafi disperse, o perdute in demolizioni, rifacimenti e restauri, il testo delle quali venne desunto da memorie per lo più manoscritte. Nella parte prima si trovano le iscrizioni delle chiese di Torino; nella seconda quelle delle chiese suburbane; nella terza quelle degli istituti di beneficenza; e finalmente nella quarta tutte le altre de’ pubblici edifici, opere pubbliche, e palazzi privati. Una larga appendice sopperisce alle ommissioni, e reca innanzi notevoli giunte raccolte sopra lavoro. Il volume si chiude con un indice analitico dei nomi, veramente necessario per le ricerche; ma è dei soli nomi, e sarebbe riuscito assai più proficuo se si fosse allargato ad indicare le materie. Ci piace tener nota di alcune notizie riguardanti in qualche modo la nostra Liguria, e che ci sono occorse scorrendo le Gior. St. c Leti, del,a Liguria 9 130 GIORNALE STORICO E LETTERARIO DELLA LIGURIA pagine di quest’ opera. Nella chiesa del Carmine, detta ancora Beato Amedeo, il 15 dicembre 1752 venne deposta la salma di Emilia Ottavia D’ Oria di Dolceacqua, vedova di Amedeo Valperga conte di Masino, nel cui castello il dì appresso fu trasportata (p. 47 e 588). Nel 1691 in S. Giovanni si depose Girolamo D’ Oria cavaliere dell’Annunziata e marchese del Maro e di Ciriè (p. I5°)> e nel 1797 il conte Giambattista Oderico ministro genovese presso il re di Sardegna, morto il 17 febbraio di circa 62 anni, sepolto poi nel cenotafio della Dora (p. 158). Un Lorenzo l· ru-goni, forse genovese, fonditore d’ artiglieria fu sepolto nel 1661 nella chiesa della Madonna degli Angeli, dove pure giacque nel 1671 Luca Assarino (p. 207). Si nota nell’ obituario di S. Mar-tiniano : « Carlo Tassorello nobile patrizio genovese quondam Gio. Andrea marito di Anna Vittoria Frugona residente in questa città della Repubblica di Genova, d’ anni 70, morto d' accidente il primo novembre 1739 »; abitava nella casa Bianco S. Secondo (pag. 244). Ne’ libri mortuari de’ SS. Martiri è notata al 1694 la marchesa Giovanna Maria Grimaldi di Monaco, moglie di Giambattista Carlo di Simiana marchese di Pianezza (p. 251). Largitore di sue sostanze all’ Ospizio generale di Carità, si ricorda in una iscrizione quivi esistente Giambattista Marcello Ricardi di Oneglia, morto il 27 novembre 1732 (pag. 413). Al 30 novembre 1638 è notata l’inumazione nella chiesa di S. Agostino di Gerolamo D’ Oria genovese, mastro di Campo e cavaliere di S. Jago, morto nelle carceri senatoriali (pag. 570). A titolo di curiosità rileveremo che il 10 febbraio 1724 moriva in Torino il cavaliere Francesco Bonaparte fiorentino d'anni 71, di quella famiglia dalla quale si pretese disceso Napoleone (pag. 153). E riprodurremo in fine il curioso epitafio d'un corso sepolto alla Madonna degli Angeli: QUI GIACE IL NOBILE SIGNORE DELFINO DI LECA CORSO COLONELLO d’ INFANTERIA E CAPITANO IH UNA COMPAGNIA d’ ARCHIBUGIERI A CAVALLO VER S. A. R. VERO DELFINO QUALE IL 12 DI MAGGIO E Dt ANNI 41 DELL’ETÀ SUA DA QUESTO TEMPESTOSO MARE È STATO (?) NEL PORTO TRANQUILLO PREGATE PER LUI 1642. A. N. Rosi Michele — Storia delle relazioni fra la repubblica di Genova e la Chiesa romana specialmente considerate in rapporto alla Riforma religiosa. Roma, Salviucci, 1899; in 40, di pp. 65 (Estratto dalle Memorie della classe di scienze morali storiche e filologiche della R. Accademia dei Lincei; ser. 5“, voi. vi). L’ autore si è occupato per il primo della riforma in Liguria, e il frutto delle sue ricerche ha messo in luce cosi in una speciale monografia assai notevole che tratta direttamente Γ argo- GIORNALE STORICO E LETTERARIO DELLA LIGURIA mento, come in lavori laterali, ricchi anch’ essi di notizie o poco conosciute o affatto nuove, sui costumi, sui conventi, sulle monache, sulla educazione iemminile, sulle streghe, di che i nostri lettori hanno qualche cenno nel precedente e nel presente fascicolo. Ma se in tutti questi scritti ebbe necessariamente a toccare delle relazioni intervenute fra il governo genovese e la Curia romana, per ciò che ha tratto alla politica ecclesiastica, non aveva anche svolto l’importante soggetto per sè stesso, con esposizione metodica atta a lumeggiare gli aspetti e gli atteggiamenti delle due autorità ne’ conflitti giurisdizionali, insorti per l’invadente audacia del potere chiesastico e l’acquiescenza, pur mal tollerata, della repubblica; donde la supremazia di quello su questa con evidente mancanza della dignità propria a virile e ben ordinato governo. Senonchè le condizioni generali degli stati italiani, e quelle speciali di Genova non consigliavano una politica di resistenza, e d’ altra parte la cura indefessa per mantenere puro da ogni inquinamento d’ eresia il sentimento religioso e la confessione cattolica, producevano la remissiva ubbidienza ai voleri di Roma, anche quando i diritti dello stato erano in giuoco. Le molteplici prove recate innanzi dal R. nelle varie e frequenti contingenze in cui i rapporti fra Genova e Roma ebbero maggior campo di esplicarsi, rispecchiano assai bene 1’ ambiente politico e morale; la condotta delle due autorità; i destreggiamenti, le timidezze, le remissive osservazioni da un lato; i fermi propositi, il rigore del metodo, le astute blandizie dall’altro. Se la repubblica combatte in casi speciali con lunga insistenza, finisce poi sempre coll’acconciarsi al prevalere della Curia, la quale sa come in definitiva stia per sè la vittoria, e quando mostra allargare la mano a qualche concessione, s' apre abilmente la via a far sentire più vivo il peso della sua autorità. Guidato da sì fatti criteri generali 1’ A. ci ha dato in quattro capitoli la storia.delle relazioni fra la Curiae la repubblica, limitandosi a quel complesso di fatti che hanno speciale riguardo al buon costume, alla religione, ed alle dottrine dei novatori. Si ferma nel primo a ragionare dei modi onde il governo genovese provvide alla conservazione ed alla correzione de’ costumi, specie per ciò che concerne le monache e i frati, e la parte che necessariamente v’ ebbe 1’ autorità della chiesa. Col secondo si entra più direttamente nella materia della eresia, e de dibattiti a cui i processi con le loro modalità diedero luogo, singolarmente durante il pontificato di Pio V, allorquando l’Inquisizione salì a sì alto grado di potenza che divenne intollerabile ed eccessiva anche per i più timorati. Di qui i dissidi sorti fra i due poteri (svolti nel capitolo terzo) nell’intento di mettere un argine alle esorbitanze dell' Inquisitore, il quale però, forte dell’appoggio di Roma, continua imperterrito nel suo stile, e lo stato non riesce a far prevalere nessuno de’ suoi CIORNALE STORICO E LETTERARIO DELLA LIGURIA diritti che non sa o non vuole, per ragioni di politica accomodante, neppur sostenere virilmente e senza ambagi. Il che si manifesta del pari nei rapporti della repubblica con la durante il rimanente del secolo xvi dopo la morte di io rispetto agli eretici ed ai processi d’ eresia, per cui insorsero conflitti di giurisdizione (è Γ argomento del quarto capitolo), donde meglio apparisce la remissività del governo genovese verso la Curia, desideroso di starsene stretto all amicizia col papa, e n'on urtare la Spagna alla quale era per tante ragioni legato. Sarebbe assai rilevante uno studio comparativo in questa meteria, fra la politica ecclesiastica seguita dalla repubblica di Genova nel periodo illustrato dal R., e i tempi successivi, lungo cioè i secoli xvn e xvm, ne’ quali fu consigliata la creazione della Giunta di Giurisdizione, de’ consultori teologi, e furono si frequenti e clamorose le cause di profondo dissidio con Roma. Il lavoro che annunziamo non può essere pienamente inteso se non si prende esatta cognizione degli scritti precedenti del R., ai quali egli sovente rimanda il lettore. E pojchè ha voluto pubblicarlo separato e come per sè stante, la necessità lo ha condotto a ripetere spesso, specie ne’ primi capitoli, cose già dette e osservazioni già fatte. Si vantaggia è vero di alcuni nuovi documenti o citati o riprodotti in appendice; ma 1 impressione che produce è quella di esser parte d opera maggiore, e di costituirne quasi la conclusione. Perciò ci auguriamo che l’autore (e niuno potrebbe farlo meglio di lui), riprendendo quando che sia questi suoi studi, li disciplini e li coordini in guisa da metterci innanzi un quadro ben organato e disposto della materia, dove la fusione delle parti cooperi ad un tutto omogeneo e geniale. Allora potranno forse aggiungersi altre notizie che gli archivi ci porgono sulle eresie manifestatesi a Novi, a Sestri, a Savona; allora potrà vedersi quale influenza esercitò Erasmo mercè la sua amicizia col medico Giambattista Boeri di Taggia, i cui figli furono affidati alla sua educazione, e condusse seco in Italia; allora sarà utile ricercare se Giulio Cesare Vanini, che dimorò in Liguria in ufficio di maestro, lasciò traccia del suo apostolato. Speriamo che il R., il quale ha dato sì buone prove d’ esser cercatore diligente ed espositore coscienzioso, vorrà tradurre presto in effetto il nostro desiderio. A. N. Statuti di Sarzana dell’ anno MCCLXIX (Monumenti di stona patria delle provincie modenesi - Serie degli statuti - I . tv, fase. I,° Modena, Vincenzi, 1893; in 40, di pp. 123 (1)). La stampa di questi statuti è dovuta alle cure di monsignor Luigi Podestà, il quale v’ ha fatto precedere una notizia in cui espone con chiarezza e piena conoscenza della materia, 1 ori- (1) Sebbene rechi la «lata del 1H93 pure la pubblicazione avvenne nel dicembre del 1899. GIORNALE STORICO E LETTERARIO DELLA LIGURIA 133 gine del primo e più antico codice legislativo del comune di Sarzana. Certamente prima di questa raccolta di provvedimenti, che venivano consacrati solennemente sotto forma di giuramento, esistevano patti e convenzioni, le quali stabilivano, più che altro, le relazioni giuridiche fra il vescovo e i borghesi, e le testimonianze si trovano ne’ documenti che a conforto ed a corredo dell’ opera sua, 1’ editore pubblica per intero o per estratto; ma li statuti presenti determinano per la prima volta i diritti del comune, e ne regolano tutta 1’ azienda civile e criminale, in guisa da ritenere ormai stabilita la autonomia sua rispetto al-i’ autorità del vescovo. Perchè, se è vero che questa si riconosce ancora, bisogna però confessare che esiste più di nome che di fatto, e manifesta, pur nel modo come viene stabilita, una aperta e spiccata tendenza da parte dei sarzanesi a sottrarsene. D’ altra parte eravamo ormai in condizioni che al vescovo conveniva non mostrarsi troppo esigente, a fine di non perdere ogni privilegio, a cui il suo alto ministerio gli dava diritto, e per antica consuetudine, e per tradizionale venerazione. Questi ordinamenti, che appariscono dettati come un finale e stabile componimento fra il comune ed il vescovo, vennero certamente preceduti da un periodo di lotta lunga ed insistente, nella quale da un lato c’ è la tendenza conservatrice nel voler mantenere con tenacia 1' impero del feudatario, mentre dall’ altro si fa sempre più vivo 1’ ardito proposito di togliersi quel giogo dal collo; donde i dibattiti, le contese, le ribellioni, i continui strappi al vecchio e preteso diritto di assoluto dominio. Chi legge attentamente l’importante e curiosissimo lodo di Bandino de’ Gaetani del 1219, si persuade agevolmente come fin da quel tempo durasse acerba la tensione fra il vescovo e i sarzanesi, di che son prova non solo i diritti pretesi da questi per bocca del loro rappresentante, ma la fermezza delle costui opposizioni e negative nel contradditorio con il procuratore del vescovo. Dopo la qual sentenza, riuscita favorevole al vescovo, ci fu tregua, non pace fra i contendenti; ma tregua, direm così, sempre armata fino al punto da costringere il signore a concedere la determinazione di leggi scritte volte a regolare i rapporti delle due autorità, e a stabilire in un tempo la vera e propria legge del comune. L’editore lamenta a ragione che manca in questi statuti l’ordine c la divisione delle materie; ma, cosi come, sono rispecchiano la condizione del tempo ed un momento storico importante. Preesistevano una quantità di ordinamenti già accennati nella convenzione del 1201 (data anch’essa dal solerte editore per esteso) e da questa derivanti, o venuti man mano in un modo o in un altro a far parte del diritto consuetudinario (1); ora tutti questi elementi in gran parte non consegnati alla carta, tra- (1) A pag. 59, a proposito dei diritti spettanti al marito sulla dote della moglie, si accenna a disposizioni emanate la prima volta a questo riguardo, nel novembre del 1243. 134 GIORNALE STORICO E LETTERARIO DELLA LIGURIA passano negli informi statuti in quel modo incondito e disordinato, onde dai deputati delle parti a stenderli erano via via ricordati. Nè basta, chè l’enunciazione d’ alcuni di essi fa sorgere il pensiero di aggiungere provvedimenti atti a prevenire eccezioni o inconvenienti, e a chiarirne la portata nella applicazione. E perciò qui si determina senz’ altro la legge scritta come vien viene, lasciando il compito ai futuri riformatori di partire e disciplinare la materia. Il che sarà fatto più tardi nel secolo successivo, quando nel 13 31 gli statuti verranno in nuova forma redatti. Intanto, affinchè il lettore abbia agevolezza di ritrovare le sparse disposizioni che riguardano le singole materie, l’editore, con ottimo senso pratico, ha compilato un indice per voci, che sopperisce in gran parte al lamentato disordine. E aggiungeremo che il P. ha del pari provveduto opportunamente alla interpretazione di certe parole peculiari con un glossarietto, redatto col sussidio del Du Cange. E quando Girolamo Rossi ci darà una nuova edizione riveduta e corretta del suo Glossario medioevale ligure, troverà nel presente statuto vocaboli da aggiungere, e interpretazioni da rettificare, avendo dinanzi un testo senza forme o pretese letterarie, come in generale è quello della stampa di Parma (1529) di cui egli si è servito. L’ editore confessa di aver assai penato nel trascrivere dal codice alcune pagine, nelle quali l’inchiostro è cosi sbiadito che rimangono dei segni debolissimi, e chi ha veduto quell’ insigne manoscritto facilmente se ne persuade ; onde maggior lode gli va compartita per la felicità con cui è riuscito a cavar fuori da quei punti così scabrosi un senso plausibile e un testo abbastanza esatto. Ei dice modestamente d’ aver cercato d’indovinare, ma noi dobbiamo soggiungere invece che ciò si deve alla sua competenza in sì fatta materia. L’ esempio che egli ha dato vorremmo, e ce lo auguriamo vivamente, servisse di sprone a pubblicare gli statuti del secolo seguente. Allora uno studio comparativo potrebbe mostrare qual sia stata la genesi di quell’ ultimo statuto che fu dato alle stampe nel 1529, le riforme, le modificazioni, le aggiunte, fino alle più vicine a noi mandate fuori nel 1704. Allora riuscirà agevole, in confronto de’ tempi, rilevare la ragione di certi ordinamenti, e perchè o furono abbandonati o si mutarono in parte od in tutto; si potranno riconoscere le condizioni politiche ed amministrative del comune nel volgere de’ secoli; molti e curiosi particolari rispetto all’ ambiente morale e materiale; agli usi e costumi, alle relazioni pubbliche e private, a tutto quanto infine ha pertinenza al vivere sociale. A. N. GIORNALE STORICO E LETTERARIO DELLA LIGURIA Heinrich Sieveking — Genueser Finanzwesen mit besonderer Berücksichtigung der Casa di S. Giorgio 2 Hejt. Die Casa di ò. Giorgio. Freiburg, i. B. 1899. I. C. B. Mohr. edit. Il primo volume del prof. Sieveking studiava 1’ ordinamento finanziario di Genova dalle origini del comune fino al 1400, e con larga dottrina e profonda conoscenza delle fonti edite ’ed inedite esaminava le prime origini delle Compere, delle Maone, la partizione dei tributi e il sistema di ammortamento dei debiti! In questo secondo volume egli studia l’organamento del Banco di S. Giorgio dalle origini fino alla liquidazione definitiva avvenuta nel 1823. E’ inutile dire che egli s’è giovato largamente di tutte le pubblicazioni precedenti e specialmente del Lobero, del Cuneo, e dell’ Harrisse; ma la maggior parte del suo lavorò è condotta sopra le fonti prime, edite ed inedite, e fra queste ultime specialmente su quella parte del Liber jurum R. L, che ancor inedito si conserva al Ministero degli Affari Esteri di’ Parigi, sui Registri Diversorum regiminis et Cancellariae del nostro Archivio di Stato ; sui Libri magni contractuum, sul Liber parvus regularum e decretorum dell’Archivio di S. Giorgio, sui Libri delle Colonne e sui Cartularii dell'Archivio stesso, e su numerosi manoscritti delle biblioteche Civica ed Universitaria, senza contare poi il prezioso codice Wolf della nostra Società di Storia Patria. Con questo immenso materiale, coscienziosamente spogliato, i A. si è posto all’ opera, dividendo il suo lavoro in tre parti o capitoli, nel primo dei quali si studia la fondazione della Casa di S. Giorgio per opera del Buccicaldo e si esaminano gli ordinamenti e i procedimenti seguiti dall’ epoca della fondazione in poi, fino alla riforma compiuta nel 1444, resa necessaria dalla abolizione delle operazioni bancarie decretata dai Protettori. Il secondo capitolo studia 1' ordinamento della Casa di San Giorgio dalla metà del sec. xv alla metà del xvi, e più precisamente dall’anno 1447, in cui i Protettori di San Giorgio presero possesso di Famagosta e cominciarono cosi ad avere una vera e propria signoria, accresciuta poi della Corsica, e delle colonie tauriche, fino al giugno 1562, quando i possessi territo-ntoriali della Casa, che ancora le erano rimasti, cioè Levanto la vai d’ Arroccia, Ventimiglia, Sarzana e la Corsica furono dì nuovo ceduti alla Repubblica. 1'. questa senza dubbio la parte più importante di tutto il lavoro, nel quale merita una speciale considerazione un bel capitolo di raffronto tra la politica coloniale di Venezia e quella di Genova (Vergleich zwischen Genuesicher und Venetianischer holonialpolitik) e un altro, egualmente notevole, nel quale si raffrontano le amministrazioni finanziarie di Genova con quelle di Firenze. La terza parte studia la storia della Casa di San Giorgio 136 GIORNALE STORICO E LETTERARIO DELLA LIGURIA dalla riforma del 1562 fino alla catastrofe del 174^' cjuancio c'°^ il continuo aumento dell’ agio, giunto fino al 16 °/0, fi'a la IT)°' neta corrente e il denaro di banco, cessò ad un tratto; e 1 invasione degli Austriaci e le imposizioni di guerra gravissime, costrinsero il governo a servirsi dei depositi del banco, il quale fu costretto a sospendere i pagamenti ai privati onde il valore delle obbligazioni scese al 6S % negli anni successivi. I provvedimenti presi coll’ istituzione dei due monti, Paghe e Conservazione, salvarono il Banco dalla rovina, ma il credito era scosso, e d’ allora in poi la Casa visse d’ una vita stentata e misera finché la costituzione democratica del 1797 portò il colpo finale alla istituzione secolare. Tale nelle sue linee generali lo studio del Sieveking, che sarebbe impossibile esaminare partitamente, senza discendere a minutissimi particolari, perchè soltanto dall’ esame dei singoli documenti apparirebbe chiara la diligenza e l’acume critico dell’autore. Di questi documenti pochi soltanto, per ragioni facili a comprendersi, sono stati pubblicati nell’ appendice, e fra questi tengono il primo luogo alcune lettere di cambio del sec. xiv, il decreto di Giano Campofregoso del 1447 rispetto al corso ed al valore delle monete, alcuni verbali d’ asta di gabelle, bandita dai Protettori di S. Giorgio, un estratto del testamento di Ben-dinelli Sauli del 1481, col quale affidava alla Casa di S. Giorgio 250 luoghi per 1’ erezione d’ una Chiesa e di due ospedali, e finalmente gli Statuti del Banco dell’ anno 1675. In conclusione il diligentissimo lavoro è degno della fama che già col primo volume s’ era meritamente acquistata 1’ egregio professore dell'Università di Friburgo. C. M. Giuseppe Manacorda. Professori e studenti piemontesi, lombardi e liguri nell'Univers tà di Pisa - (14J0-1600) - Studio storico e statistico - Pisa, Vannucchi, 1899, in 40 di pp. 127. Tre sono gli archivi dai quali 1’ autore ha tratto la nota degli studenti, i documenti, e le notizie dei professori ; e cioè quello di Stato, dell’ Università, e Γ Arcivescovile. Ma le carte quivi conservate presentano delle lacune che non è possibile colmare. In ogni modo quel tanto che ci vien dato in questa monografia costituisce un materiale assai pregevole per la storia dell' istituto, e degli studenti che vi convenivano. Il M. rileva le cause per le quali se ne trovano ben 492 liguri in confronto di 105 piemontesi, e 134 lombardi, e le trova nel fatto che questi avevano nella rispettiva regione studi già fiorenti, mentre a Genova Γ Ateneo tardò molto a mettersi in grado di sopperire ai bisogni del dominio, nè acquistò quella fama che alcuni altri d'Italia s’ erano procacciata, onde non v’ erano attratti i giovani degli GIORNALE STORICO E LETTERARIO DELLA LIGURIA altri stati. La vicinanza poi della Liguria a Pisa, e i più frequenti e diretti contatti commerciali con la Toscana davano agevolezza a scegliere di preferenza lo Studio pisano. Genova sola sopra il numero innanzi riferito dà 297 studenti, e i patrizi si veggono ben rappresentati. Il M. osserva non senza ragione che « fra tanti nomi di giovani piemontesi, lombardi e liguri, i quali per più di un secolo dettero opera agli studi in una celebre Università come quella di Pisa, se si eccettua Filippo Decio, non si trova un nome che sia poi salito a bella fama nelle scienze, nelle lettere, nelle arti o nella milizia ». Tuttavia Γ esame de’ nomi degli studenti liguri ce ne ha fatto cadere sotto gli occhi alcuni, che pur hanno lasciato memoria nelle storie locali. Nicolò Senarega (n. 9) che nel 1522 viene eletto consigliere per i lombardi, lasciò fama di giureconsulto famosissimo, anzi il primo che allora fosse in Genova (Spotorno - Stor. Lett. Lig., in, 184-185). Marcello de Nobili (n. 32, non Martellus) figlio di Laudivio, divenne canonico della Vaticana, e prelato domestico di Clemente vili; ricusò per eccesso di modestia il cardinalato; si distinse negli studi del diritto canonico ; scrisse versi latini (Centi - Cenni storici di Vezzano ligure, Genova, 1898, p. 26). Pier Francesco Pallavicino (n. 31), creato vescovo di Aleria, fu presente al Concilio di Trento, e morì avvelenato (Spotorno -op. cit., ni, 168). Il Domenico Leoni (n. 41) « de riparia ianuae », quantunque matricolato in legge, sarà quel Leoni di Zuccano ne’ pressi di Sarzana, che fu poi lettore di Medicina assai pregiato in Bologna e scrisse alcune opere mediche di qualche valore (Pescetto- Biografia medica ligure, Genova, 1846, p. 140). Infatti mentre s’immatricola a Pisa nel 1548, undici anni dopo, il 30 agosto 1559, riceve la laurea a Bologna in filosofia e medicina, e quivi è ripetitore di rettorica nel 1559-60, e dal 1561, lettore di medicina pratica (Accame - Notizie e documenti ptr servire alla storia delle relazioni di Genova con Bologna, Bologna, Garagnani, 1898, p. 41, 53, 55, 59). E quel Ventura Venturini detto nelle carte di Fosdinovo (11. 44) non sarebbe forse da identificarsi con 1’ omonimo di Sarzana lettore di anatomia a Pisa? (Pescetto -op. cit., p. 116). Un Giambattista Spina di Sarzana (n. 98) stampò a Roma per il Biado un’ erudita allegazione : In feudalibus responsum. Maggior fama raccolse Giambattista Pinelli (n. 118); eletto accademico della Crusca; elegante poeta latino; amico del Tasso, del Rargeo, del Chiabrera, del Cebà e d’altri parecchi (Spotorno - op. cit., iv, 151). Giulio Pallavicino (n. 134) fu promotore dell’ Accademia degli Addormentati; mecenate di letterati ed artisti; raccoglitore di una ricca biblioteca, le reliquie manoscritte della quale, dopo la dispersione, furono acquistate dal Municipio di Genova. Gioffredo Lomellini (n. 145) scrittore di cose filosofiche e di patria istoria, che si conservano manoscritte (Spotorno - op. cit., in, 49; iv, 18). Sebbene Giulio GIORNALE STORICO E LETTERARIO DELLA LIGURIA Guastavino (n. 248) figuri matricolato in legge, pure a noi sembra da identificarsi con quegli che fu medico e lettore a Pisa; amico del Tasso, lo difese; commentò la Gerusalemme, scrisse orazioni, poesie italiane e latine, commentari sopra Aristotile, operette mediche; tradusse alcune scritture storiche del Foglietta (Pescetto - op. cit., p. 1S3). Gerolamo da Pozzo della Spezia (n. 266) dopo aver avuto ufficio di Vicario del vescovo di Lucca Alessandro Guidiccioni, fu eletto a sua volta vescovo di Marianna in Corsica (Gerini - Uomini Must, di Lunigiana, i, 285). Riconosciamo finalmente in Ambrogio Salinero da Savona (n. 254) quegli che ebbe poi a maestro Speron Speroni; uomo di varia erudizione e scrittore; amico intimo del Chiabrera che ne fa grandi elogi. De’ due unici professori liguri di cui il M. ha trovato notizie nei documenti da lui compulsati, il Battista da Genova è quel medesimo che fu anche lettore nello studio di Ferrara, dove da Federico in venne insignito del titolo di cavaliere (Spotorno, op. cit., 11, 159, e Pescetto - op. cit., p. 53); 1’ ebbe caro Parisina Malatesta di cui era medico particolare (Foucard - Doc. star, spettanti alla medicina, chirurgia, ecc., Modena, 1885), e lesse lunghi anni a Bologna prima d’essere chiamato a Pisa (Accame -op.&cit., p. 38, 53); l’altro, Martino da Genova domenicano, è da identificarsi con Martino Centurione (Vigna - Domenicani illustri di S. M. di Castello, pp 20, 172, 234, e Monumenti storici di S. M. di Castello in Atti Soc. Lig. Stor. Pat., xx, p. 70). Fra i documenti che si riferiscono agli scolari, due riguardano i liguri; il iv ed il xxi. Notevole questo secondo in singoiar modo, perchè reca l’inventario delle cose appartenenti a Nicolò Centurione, esistenti presso Pietro di Pastina, fatto per commissione di Gerolamo Spinola curatore del Centurione. Vi sono notati, oltre le vesti e la biancheria, alcuni libri di giurisprudenza, e fuor di questi, un Calepino, la rettorica di Aristotile, l’Orlando Furioso, il nuovo testamento, e un offizio della madonna. Non ha data ma deve essere del cadere del cinquecento. Indichiamo per ultimo alcune correzioni: n. 135 Nicolaus barianus = balianus; n. 143 Hieronimus Moscardus = Mascardus; n. 170 Michelangelus Manarus = Maranus; n. 173 Hieronimus canovarius = Canevarius; n. 236 Rocchus Vinzonius de Monsa-retto =r Montaretto; n. 269 Sebastianus Cattrega = Carrega; n. 275 Nicodemus fagninus = Fagionus; n. 283 Bartolomeus Magella = Maghella. A. N. GIORNALE STORICO E LETTERARIO DELLA LIGURIA I39 Gaspare Ungarelli — Dante in Val di Magra, in Natura ed Arte, anno ix, num. 8, 15 marzo 1900, pagg. 654-663. Che in un periodico come « Natura ed Arte », fatto del resto egregiamente, per le famiglie e per tutti coloro che nella lettura vogliono unire al diletto Γ utile, non possa e non debba trovar posto la critica molto seria e rigorosa, si comprende; ma che vi si debba leggere un articolo così zeppo di spropositi come questo del Signor Ungarelli intorno a Dante in Val di Magra, pare abbastanza strano. Prima di tutto egli dice di aver visitati i luoghi che descrive, anzi d’ avervi colto di sulla bocca del popolo qualche leggenda; ma come mai, se c’è stato, fa sboccare la Magra nel Golfo di Spezia (pag. 655), anzi, non solo questo, ma illustra questo solenne sproposito col titolo d’ un4incisione a pag. 661 « Panorama della Spezia e dintorni dove sbocca la Magra »? Come mai non sa dire se al Castello di Mulazzo diano o dessero accesso più porte (pag. 658)? Fonte poi di tutte le notizie che dà par che sia il Branchi, Storia della Lnnigiana feudale, Γ esattezza del quale il Sig. Ungarelli si guarda bene dal controllare, digiuno come si mostra e di studi danteschi in genere e di studi, se così vogliam dirli, lu-nigianesi in ispecie. Cominciamo da capo e cogliamo il fior fiore, non preoccupandoci delle minuzie, le quali da sè sole formerebbero una piccola catasta. Desidereremmo conoscere i documenti in base ai quali si possa dire che Dante sia venuto in Lunigiana « per la via di Mantova, Parma (città ghibellina), Fornovo e Pontremoli » (pag. 6541, e di sapere anche come il signor Ungarelli accetti la strana notizia che il poeta abbia fatta « in questo viaggio una breve diversione per ispiegare come egli abbia veduto l’inaccessibile Pietra di Bismantua »; come possa attestare con una sicurezza tanto meravigliosa che il canto IV del Purg. sia stato « scritto fra 1’ anno 1307 e 8, e si capisce troppo bene per l’impressione recente », e che < quindi è probabile che 1’ abbia veduta quando è andato la seconda volta in Liguria, dopo essere stato presso gli Ordelaffi. Tanto più che a Pontremoli la Magra, ch'egli mostra conoscere assai bene, quando dice che per cammin corto Lo Genovese parte dal Toscano, gli indica già il percorso che deve tenere » (Ibid.). Qui non c’ è davvero che da calcare un grosso punto interrogativo. E andiamo avanti. Dunque Pontremoli ebbe il suo nome da Pons tremulus (Ibid.): non sa il signor Ungarelli che questa non è nè più nè meno che una leggenda? Avanti ancora. A pag. 655 prima di tutto confonde Val di Magra con Lunigiana; poi dice: GIORNALE STORICO E LETTERARIO DELLA LIGURIA « Già dimora di etruschi, divenne soggetta a’ romani, dopo la sconfitta inflitta a quelli nell’ a. di Roma 444. 1 rima 1 liguri così detti apuani, perchè sbucati da quelle gole alpestri, la tennero fino al 575: e vinti questi pure fino dal tempo del terzo re dei Longobardi Autari, famoso fondatore di signorie feudali, ebbe forse anche la Lunigiana il suo duca ». Via, dire che gli Apuani abbiano mandati via i Romani è grossa, quasi altrettanto come non sapere che la Tuscia lunensis fu conquistata da Rotari, fatto così noto, che, per saperlo, non occorre scartabellare «rossi volumi o memorie speciali, ma aprire qualunque manuale di storia fatto con un po’ di giudizio. E grosso errore è pure quello di affermare (pag. 656) che « per le insorte fazioni guelfa e ghibellina, pervenne Castruccio ad esercitare influenza nella provincia ». Castruccio s’impadroni della Lunigiana, come di altre terre, perchè era un conquistatore, non per pera delle fazioni guelfa e ghibellina; prova ne sia che ne ebbe l’investitura da Lodovico il Bavaro. Legga intorno a ciò il signor Ungarelli il lavoro dello Sforza, Castruccio.in Lunigiana. Avanti ancora. Dante nel c. Vili del Purgatorio ricorda proprio con benemerenza Corrado I' antico> (Ibid.) Ecco i versi di Dante : Chiamato fui Currado Malaspina; non son l’antico, ma da lui discesi [118-119]. Il Vapor di Val di Magra ha dunque battuti i Bianchi nella battaglia di Campo Piceno del I3°3r (Ibid.) Badi il sig. Ungarelli che non tutti ammettono che si tratti di quella battaglia, e dia un' occhiata agli studi del Basserman. E poi ci dica chiaro che cosa ha voluto intendere con questi suoi due periodi (Ibid.): « Da questo Moroello ebbe pure origine in Firenze il rovescio operato da Corso Donati e da Carlo di Valois, nel quale andò travolto anche il nostro poeta. Ma benché guelfo accanito, non gli fu meno cortese di ospitalità ». ( i dica come possa affermare (Ibid) che Dante « nomina.... con particolare devozione al canto xix del Purgatorio la di lui moglie Alagia », per ricambiarlo dell’ospitalità avuta, e dimostri che hanno torto il sottoscritto e molti altri nel credere che sia invece nominata in odio ai Fieschi. Ci dica come mai non si sia accorto della pochezza delle argomentazioni del Branchi per sostenere che i tre cugini Malaspina erano radunati a Mulazzo « per ragioni de’ lori interessi, con tanta cordialità che maggiore non poteva desiderare » (pag. 657) i dove ha pescato 1 enorme corbelleria (m' è scappata!) che dell' ospitalità degli Scaligeri 1 )ante abbia potuto dire che < sapca di sale »; come la frase sconcio sasso sia dantesca; che cosa intenda per quei « montanari » che sanno Dante a memoria; e gli perdoneremo se accetta la notizia della famosa casa di Dante, ora posta in vendita e perciò divenuta di moda, e che ha sollevate per ciò le ire dei cento GIORNALE STORICO E LETTERARIO DELLA LIGURIA I4I e cento, che pur troppo non sanno che di casa di Dante non si può affatto parlare; gli perdoneremo anche se crede di aver sentito da terrazzani (sic) di colassù una « infinità di aneddoti » (658) della vita del Poeta; se a pag. 659, dimenticando ciò che ha scritto a pag. 657, dice (sia pur compendiando una tradizione) che ospite di Dante fu Moroello; se sottoscrive ancora all’ opinione che il Purgatorio sia dedicato allo stesso Moroello, e se, non conoscendo 1’ arguta dimostrazione dello Zingarelli nella sua Rassegna critica della letteratura italiana (veramente è troppo recente perchè potesse cadere sotto gli occhi dell’Un-garelli) parla dell’Epistola di Dante a Moroello e dell’incontro del Poeta con la montanina. Ma, senta il signor Ungarelli, anche dire a pag. 660 che « I vescovi di Luni godessero grandissimi privilegi fin dal tempo degli imperatori carolingi » è un’enormità imperdonabile; parlare di atti della pace col vescovo di Luni del 6, 13 e 14 ottobre, mentre i due atti sarzanesi sono solo del 6, dire che si conservano nell’ufficio del Registro a Lucca, trasferendo colà i notulari di Parente di Stupio, mentre si conservano a Sarzana, dinota mancanza assoluta di cultura soda sul-1' argomento; affermare che Dante rimase due anni in Lunigiana, che in quel tempo compose quasi tutta la cantica dell’ Inferno e fors’anche una parte del Convito; che nel c. xx dell’inferno è descritta con evidenza la grotta dei Fantiscritti, è leggerezza fuor di misura; dire (pag. 660) che « nel canto xxi (Inferno) Dante trae partito da un pio costume di cui è ancora ricordo a Collasuccisa (nel Pontremolese), dove esiste tuttavia una chiesa dedicata a S. Zita, per denominare Lucca e i suoi magistrati : Ecco un degli Anzian di Santa Zita » è davvero coraggioso; altrettanto coraggioso come dare la peregrina notizia che il Serchio scorre nella Lunigiana, mentre nasce dalla Garfagnana, come dare un nuovo itinerario sicuro, sicurissimo d’un secondo viaggio di Dante nei luoghi già detti; come asserire, per Bacco!, che nel Purgatorio comincia la parte teologica del Poema, e che dopo il 1308 Dante andava a Parigi per udire Sigieri di Brabante, già da lui incontrato nel 1300 nel cielo del Sole (Cfr. Parad. X, 133-138); come (e ciò diciamo per finire) scrivere un articolo simile per una rivista che si rispetta, senza saper nulla nè dei lavori di Giovanni Sforza, nè delle ricerche del Prof. Luigi Staffetti, ambedue indagatori e illustratori eruditi e pazienti dei fatti della loro regione. Gildo Valeggia 142 GIORNALE STORICO E LETTERARIO DELLA LIGURIA ANNUNZI ANALITICI Ferdinando Martini. Simpatie (Studi e Ricordi). Giuseppe Giunti — Il Giusti studente — L' onorevole Giuseppe Giusti Niccolò Puccini Carlo Goldoni — Tommaso Gherardi del Testa — I.a profezia di Cazotte — Per Giuseppe Montanelli — Per Luigi Ferrari, l· irenze, Bemporad, 1900; in 8,° di pp. 409. — Queste simpatie sono davvero simpatiche (ci si passi il bisticcio), tanto per la materia, come per il modo olili’ essa è presentata e svolta da una penna acuta ed elegante. L’ e-sperto e illuminato editore ha provveduto egregiamente coll’ arricchire di questo bel volume la sua collezione, già notevole per importanti produzioni letterarie, opportnnamente scelte. Gli studi e i ricordi qui raccolti non sono ignoti agli studiosi, come quelli che innanzi comparvero separatamente in periodici, ma è utile poterli aver con facilità sotto gli occhi, e rileggerli insieme, essendo i più o legati per via diretta ad un medesimo argomento, o per via indiretta volti ad illustrare soggetto affine, le cni relazioni appariscono manifeste e ben rilevate. Se 1’ acuto studio critico intorno alla singolare profezia «li Cazotte può ritenersi quasi dagli altri appartato, e per sè stante, il ricordo affettuoso del Montanelli, e quello più ampio del Puccini ci richiamano ai tempi fortunosi in cui si preparava il risorgimento italiano, donde 1’ ideale collegamento ai quattro studi cni porge geniale materia Giuseppe Giusti, che è quanto di meglio fu scritto iutorno al poeta e acuisce il desiderio di quel libro definitivo che il M. solo sa prebbe fare. A giusta ragione sì fatti studi tengono la parte principale del volume; perchè sono importanti così per la piena conoscenza dello scrittore pesciatino, come de’ tempi in cui visse e fiorì. Al teatro si riferiscono i due scritti sul Goldoni e sopra Gherardi del Testa, i quali non sono in relazione fra loro soltanto perchè tutti e due dettero alla scena delle commedie, ma perchè il secondo deriva evidentemente dal primo nella impostatura della favola, nella rappresentazione de’ caratteri, nella vivezza del dialogo. Dire cbe 1’ antore ha il gran segreto di farsi leggere con piacere, è ripetere cosa notissima; rileveremo piuttosto come abbondino le giuste osservazioni, i giudizi veri e ponderati, notevoli per equità e saviezza. Anche là dove il lettore non senta di poter convenire qualche volta con Ini, deve pur riconoscere l’acutezza dell’ iugegno che ha prodotto certi rilievi, e la profonda competenza della materia trattata. GIORNALE STORICO E LETTERARIO DELLA LIGURIA 143 Arturo Ferretto. Regesti delle relazioni pontificie riguardanti la Pieve di Rapallo e i rapailesi dal 1199 al 1320. Genova, Tip. della Gioventù, 1899; in 8,° di pp. 89 — La pievanìa di Rapallo comprendeva un ambito assai largo, poiché muovendo da Portofino si allargava fino a Rovereto ne’ pressi di Chiavari, ed aveva sotto la sua giurisdizioue parecchie chiese. Essa a sua volta appartenne per pontificie concessioni alla chiesa milanese, e poi all’ archidiocesi di Genova. Le relazioni cou i Pontefici muovono qui dal cadere del secolo XII, poiché delle antecedenti aveva dato notizie il Desimori ne’ Regesti da lui compilati e posti in luce, i quali s’ arrestano appunto ad Innocenzo III; ma al F. venne fatto di ritrovare alcuni altri documenti atti a riempire le lacune di quel, pur diligentissimo, lavoro. E seguita quindi la serie, per ciò che si riferisce a Rapallo, fino al pontificato di Giovanni XXII, producendo nel testo originale parecchie delle carte più notevoli, mentre delle altre indica il conteunto. Utile contributo alla storia ecclesiastica e civile della regione, convenientemente illustrata in ordine ai documenti per questo periodo, mediante una prefazione assai ben condotta, e ricca di notizie non conosciute. Rileva giustamente 1’ autore 1’ importanza dei documenti ne’ quali è menzione di Marchesino da Cassino, giureconsulto di grido, prosecutore degli annali di Caffaro, ambasciatore più volte per Genova a papi ed a principi. I lamini Francesco. Girolamo Ramusio (1450-1456) e i suoi versi latini e volgari. Padova, Randi, 1900; in 8°, di pp. 41 (Estratto dagli alti e memorie della R. Accademia di scienza, lettere ed arti di Padova, vol. XVI). — Seguitando il F. le sue acurate ricerche intorno ai lirici del quattrocento, ci dà notizie, con questa diligente e ordinata monografia, di Girolamo Ramusio, il quale sebbene sia forse nato a Rimini, a cni appartenne la sua famiglia donde trasse 1’ origine il celebre autore delle Navigationi et viaggi, può dirsi tuttavia padovano, essendosi trasferito nell’ adolescenza in questa città, dove fece i suoi studi. Così si va crescendo il manipolo assai scarso dei rimatori veneti, e tra essi il Ramusio assume un posto notevole. L’ autore 11e divisa le vicende giovanili e chiarisce nel modo più attendibile 1’ equivoco di coloro che vollero riconoscere nella Catte, da lui amata, una figlia di Erasmo Gattamelata da Narni, mentre era invece di questi nepote. E neppure fe a credere che intrapreudesse i viaggi iu Oriente, sollecitato dal fratello Paolo, per sottrarsi al pericolo d’ un processo e del carcere, come complice dell’ avvelenamento d’ una figliuola del Gattamelata; ina, come giustamente opina il F., andasse colà desideroso d’ apprendere la lingua araba ed accrescere le sue cognizioni. Morì di 36 anni il 0 giugno 1486 nel viaggio da Damasco a Beirut. Si esamina quindi con acutezza 1' opera poetica del Ramusio, le poesie latine 144 GIORNALE STORICO E LETTERARIO DELLA LIGURIA e le volgari ; quelle in grau parte già pubblicate nel passato secolo, queste inedite. Sono conservate in due codici; 1’ uno di Napoli, l’altro della Marciana (e fu già dello Zeno) di Venezia. Di esse rime dà sicuro giudizio il F. e alcune ne riporta in appendice. Reca in fine 1’ iudice con i capo versi delle poesie che nei due manoscritti citati si trovano. Lapini Agostino. Diario fiorentino dal 252 al 1596 ora per la prima volta pubblicalo da Gius. Odoardo Corazzisi. Firenze, Sansoni, 1890; in 8°, di pp. XXVII - 384. — Le diligenti ricerche dell’ editore lo hanno condotto a stabilire da quale delle famiglie Lapiui derivasse l’autore del Diario; il quale nacque il 28 di ottobre 1515, da Iacopo fornaciaio, nel popolo di S. Frediano. Fu cappellano dell’Opera di S. Maria del Fiore, ebbe altri benefici e rendite chiesastiche, ed appartenne alla Cappella Ducale de’ musici, come basso. Morì il 18 settembre 1592. Scrisse un’ottava giocosa riferita dal Magliabechi, e pare fosse nomo piacevole. Del Diario si conoscevano tre copie; uua all’Arcliivio; l’altra nella raccolta Capponi passata poi alla Nazionale; la terza esulata in Inghilterra, donde tornò con parecchi compagni, alcuni anni or sono, per trovar più conveniente dimora in Laurenziana. Quest’ ultima è la stesura autografia, riconosciuta dall’ editore confrontando il carattere del Lapini, di cui si hanno sicuri esempi nell’ archivio dell’ opera dei Cappellani. Per la parte più antica compendia i Villani; poi tieue dinanzi il Diario del Landucci (pubblicato pure presso il Sansoni da Iodoco del Badia nel 1883) e del sno continuatore. Qualche cosa incomincia ad aggiungere di sno alle notizie che dà 1’ ignoto scrittore dal 1536 in qua, quando cioè egli contava più di 20 anni e la memoria dei pubblici avvenimenti meglio lo soccorreva; poi dal cadere del 1542 il diario può dirsi affatto originale. Contiene molte notizie curiose e importanti per tutto il periodo che si chiude col 1592. Pochissime memorie aggiunsero altri della famiglia per gli anni 1594, 1595, 1596, 1705. Un’ appendice contiene la * Nota di più cose del Magistrato dei SS. X di Libertà e Pace della città di Firenze », e sono spese e provvedimenti fatti nel 1529 per la difesa della città. Un indice alfabetico dei nomi e delle materie compie il volume e agevola le ricerche. Alcune note recano riscontri o chiariscono il testo, e dimostrano l’opera accurata e diligente che intorno a questo diario ha speso 1’ editore. Il quale giustamente rileva come certe volute omissioni dimostrano chiaramente che il Lapini, ossequiente a’ serenissimi padroni, non voleva compromettersi. Tuttavia certe espressioni, sebbene riguardose, qua e colà, manifestano eh’ ei non voleva contravvenire alla verità. Tace in generale di quelle che si sogliono oggi chiamare tragedie medicee, nelle quali se v’ hanno leggende non mancano i fatti veri, e comunque si voglia, non scusabili. Pare che certe postume apologie, certe attenuazioni non vadano u sangue al Corazzi ni; e non ha torto. Se questo GIORNALE STORICO E LETTERARIO DELLA LIGURIA I45 fliario nel primo periodo non ha importanza; quando diventa narrazione di fatti contemporanei riesce utilissimo per le molte particolarità che vi si veggono registrate. Cimati Camillo. Gli artisti pontremolosi dal nevolo XV al XIX. Parma, Battei, 1899; in 8U; di pp. 15, (Estr. dall’ Archivio storico pelle provinole parmensi, Vol. IV). — Sono, come l’A. stesso le chiama, compendiose spigolature, per raccogliere i nomi e dare qualche uotizia degli artisti che, nati a Pontremoli, si sono applicati con qualche riputazione all’ arte. Per la maggior parte si tratta di pittori che lavorarono anche in patria, ma vissero specialmente fuori, come Gerolamo da Pontremoli, Giacomo Costa, Iacopo Cortesi, che ebbero dimora in Roma nel ’500 e nel ’600; Francesco Natali, valente dipintore di prospettive, che lavorò nel palazzo ducale de’ Cybo a Massa, in quello degli Estensi a Modena, e lasciò opere commendevoli a Livorno, alla Certosa di Pavia, a Piacenza e a Modena, nel sec. xvn ; G. Battista Natali, che fu alla Corte napoletana di Carlo III; Nicolò Contestabili che dipinse a Firenze anche nel Palazzo Pitti; Giuseppe Ricci che si perfezionò a Parma alla scuola di Gaetano Gorlani, e i fratelli Giuseppe e Giovanni Bottaui, tutti del secolo xvm. Ma degni, fra gli altri, di maggior lodo furono Pietro Pedroni uel secolo xvill, dov’ ebbe insigni pittori per allievi quali il Sftbatelii e il Beuveuuti, e Pietro Cocchi morto appena ventenne quando dava di sè le più belle speranze, e sepolto a spese dello Stato nel Chiostro di S. Maria Novella nel 1846. Fra gli altri artisti merita speciale ricordo Fraucesco Battaglia di Migueguo, sobborgo di Pontremoli, frate Agostiniano che impiegò otto anni a intagliare i lodati armari e banchi della Sagrestia della SS. Annunziata nel borgo ouiouimo in fondo a Pontremoli, e li compì uel 1676. Volendo teuer conto anche di coloro che trattarono le arti minori dove entra il disegno, il C. ricorda Pietro da Pontremoli e G. Batt. Grossi, fonditori di campane, Sebastiano da Poutremoli valentissimo tipografo de’ primi tempi deli’ arte della stampa; Francesco Righetti, spadaro, Cristoforo Zucchi, archibugero, G. Maria qd. Meuichelli vavcellai ius, tutti e tre dimoranti in Roma nel Secolo XVI, e Francesco da Pontremoli, « tenuto grande ingegnere et che fece uu suo modello del Ponte di Cesare» al re Fraucesco Idi Fraucia. (L. Staf-FBTTl). Girolamo Rossi. I Grimaldi di Vmtimiglia. Torino, Paravia, 1899; in 8° di pp. 38 (Estratto dalla Miscellanea di Stoì'ia Italiana, Ser. Ili, vol. V.) — Monografia notevole, ricca di numerosi documeuti, comunicati al R, dall’ illustre Gustavo Saige, notissimo per il Codice Diplomatico della casa Grimaldi. Tali documenti in gran parte rac- Gior· St. f Lett. del'a Liguria io GIORNALE STORICO E LETTERARIO DELLA LIGURIA colti nell’ Archivio di Stato di Genova, di Torino e di Milano vanno dal 1251 al 1502, e sono largamente illustrati da una predizione storica, (p. 26), nella quale 1’ A., rifacendosi dal vescovato di Azone Visconti eletto uel 1251, iu mezzo al tumultuare delle fazioni guelfa e ghibellina tratta della podesteria conferita nel 1269 a Lucchetto Grimaldi, che fu il primo di quella nobile famiglia, che da quel momento in poi prese nella città una sempre maggiore influenza. Quando i Grimaldi s’ impossessarono di Monaco (1303) anche Veutimiglia per poco soggiacque alla loro signoria ; e 1’ ammiraglio Carlo Grimaldi diede principio a quella politica secolare della sua famiglia, che per quasi due secoli si propose lo scopo di assicurarsi il domiuio o la supremazia di Veutimiglia, sottraendola al governo di Genova e ponendola sotto la protezione della famiglia d’Augiò. Interessantissimo è il doc. N. 5 che contieue la convenzione stipulata uel 1335 fra \entimiglia e il re Roberto, col conseuso del Grimaldi. Come Genova nel Xiv secolo tentasse più volte di riprendere la città è noto; ed è noto pure come finalmente nel 1357 il doge Boccanegra riuscisse a rioccuparla stabilmente, ed a privarla della Vicaria, istituita dagli Angioini. Nel xv secolo Filippo M. Visconti, signore di Genova, concesse Veuti-niiglia a Carlo Lomellino (a. 1427,), come nuovi documenti pubblicati ora ampiamente confermano; ma alla sua morte, seguita iu Crimea (1434), tornarono i Grimaldi a riacquistare influenza nella citta, e Giovanni Grimaldi tenne per qualche tempo 1’ ufficio di commissario, e suo figlio Catalano continuò nell’ ufficio. Lamberto Grimaldi, suo genero, tentò di farsi assoluto siguore e nel 1463 si fece proclamare tale; ma allorché Francesco Sforza fece valere i suoi diritti sulla Liguria, Lamberto si sottomise, accontentandosi dell’ ufficio di governatore (1464,). Se non che, scaduto il termine della sua carica 1469, non volle cedere la fortezza che perdette per opera di un esercito sforzesco. Ventimiglia tornò agli Sforza; ma i partigiani del Grimaldi ripresero Ventimiglia nel 1477, e Lamberto nel 1479 veniva rieletto Governatore della città. Rappacificatisi i Grimaldi coi D’ Oria di Dol-ceacqua, cessarono per qualche tempo i torbidi, finche morto il Grimaldi nel 1494, gli successe il primogenito Giovanni, che dal re Luigi ebbe conferma nel 1500 del governo. Ma egli fu ucciso uel 1504 e con lui si estingueva la dominazione dei Grimaldi in Ventimiglia. Questa in brevissime linee la narrazione del Rossi, suffragata da numerosi documenti. (C. M). Emilio Bertana. Prelezione al corso su, la tragedia italiana del secolo XVIII professato nell’ anno accademico 1899-1900. Mouselice, 1899, Lugo; in 8,° di pp. 29. — L’ argomento che il B. si propone di trattare è in gran parte nuovo, perchè sebbene si abbiano lavori particolari GIORNALE STORICO E LETTERARIO DELLA LIGURIA 147 che riguardano 1' opera di questo o quel poeta, nou esiste un’ opera complessiva ohe valga a cousiderare in ogni sua parte, iu ogni atteggiamento, sotto tutti gli aspetti la materia. L’autore divisa qui, senza fronzoli e senza rettorica, in qual guisa svolgerà il tema propostosi, ne accenna i principii, e ne determina i confini. Come fondamento delle sue lezioni ei pone 1’ analisi di molte tragedie, specialmente di mediocri ed anco spesso d’ ignoti o di obliati, donde sarà agevole assorgere alle osservazioni sintetiche, mercè le quali si fermano i principi generali a cui s' informa il fatto letterario preso a trattare. L’ esposizione chiara, semplice, perspicua attrae e persuade, e perciò quando indica le cause per le quali nacquero iu Italia sì gran numero di tragedie nel settecento, noi dobbiamo convenire nella giustezza delle sue illazioni. Da queste lezioni verrà forse fuori uu libro? Speriamolo; chè Γ impostatura noi la troviamo già nella presente prelezione, e desideriamo che il B. lo pubblichi, come geniale e sapido frutto delle sue ricerche, e de’ suoi studi. E. Maddalena. La serva amorosa del Goldoni. Zara, Artale, 1900; iu 8°, di pp. 16 (Estratto dalla Rivista Dalmatica, A. I. fase. V) — Nuovo contributo alla critica goldoniana; nè abbiamo bisogno di aggiungere che è ottimo, poiché ormai tutti riconoscono nell’autore competenza grande, e padronanza della materia. Questa commedia, che nou è delle migliori, ha avuto fortuna; venue applaudita quaudo fu da prima iappresentata, e ritornò e torna qualche volta in teatro a’ tempi uostri, ancora accetta al pubblico. Non le maucarouo le critiche in 1* rancia dove trovò un traduttore, che la modificò alquanto; e neppure si tacque che ricorda assai da vicino alcun tratto del Malade imaginaire del Molière. Qui ne abbiamo la prova manifesta mercè un acuto confronto. È curioso il notare come il Goldoui, che s’ indugia sovente con miuutezza negli estratti delle sue commedie, per questa sia d’ una sobrietà sospetta; si direbbe uu testimonio reticente. Il M. ha dato ormai uu numero notevole di monografie critiche sul Goldoni; non sarebbe opportuno che le raccogliesse in volume a beneficio degli studiosi ί [utanto sappiamo che attende ora ad un lavoro sulle varie commedie, alle quali hinno dato argomento episodi della vita del poeta veneziano. Quattro lettere d’ illustri toscani. Giusti. Guerrazzi. Guadagnoli. Per nozze. Firenze, Laudi, 1900; in 8,° di pp. 23. - Sono pubblicate con brevi annotazioni da Pietro Bologna, che ne possiede gli autografi. Quella del Guerrazzi è del 10 marzo 1866, e diretta al Ministro della Pubblica Istruzione, Domenico Berti, al quale raccomauda la cessione di alcuni conventi chiesta dal comune di Livorno per allogarvi le scuole: scritta, al solito, con quella atticità piacevole oud’ ei si com- 148 GIORNALE STORICO E LETTERARIO DELLA LIGURIA piaceva. Ne segue un’ altra del Guadagnoli datata da Pisa il 21 luglio 1841, e indirizzata al ben noto Carlo Pigli, allora professore all lini versi tà. Erano compaesani e intrinseci molto. Scritta con quel sapore giocoso che rispecchia 1’ indole dell’ uomo, il quale scherza anche in mezzo ai guai, e desidera che 1’amico pensi « qualche volta a questa mosca senza capo, a quest’ uccello seuza frasca, a questo pulcino senza chioccia ». Più notevoli sono le due del Giusti, lutte due dirette a suo padre, prendono posto tra le familiari edite dal Babini-Giusti; la prima dopo quella che reca il n. 318, essendo del 23 febbraio 1849, e 1’ altra, 1’ ultima delle conosciute scritte al padre, dopo il n. 327, recando la data del 14 febbraio 1850. Nell’ una si mostra disgustato delle voci e delle calunnie levatesi sul sno conto per opera di malevoli suoi compaesani, di che è parola uella lettera 319 delle familiari, e perciò mette da parte il proposito di tornare a Peeoia; nell’altra rende conto lepidamente della malattia ond’era afflitto, della cura con le mosche di Milano e del trovarsi costretto a stare iu casn, e ciò non gli «dispiace punto», aveudo libri ed essendo disusato da teatri e da adunanze. «Certo», seguita, «se fossi un Ministro di Stato, oppure un Maggiordomo, mi rincrescerebbe di stare qui chiuso, senza potere avere 1’ alta consolazione di vedere i Tedeschi, i quali sono qui appunto per fare da mosche di Milano al paese, vale a dire, a sgravarlo degli umori peccanti e di qnei pochi quattrini che rimangono ». Concetto espresso poi da lui quindici giorui dopo nella chiusa di una lettera all’ Allegretti (hptitol., ed Frassi, vol. II. p. 452 53) e svolto nel sonetto: «Signor mio, Signor mio, sento il dovere» scritto certamente iu questi giorni. « A questo proposito », seguita ancora la letti ia, «dicono che su’Altezza non gli vorrebbe più, e che essi uou vorrebbero più lui. Questa cosa mi fa rammentare un sonetto del Berni che dice. Ser Cecco non può star senza la Corte Nè la Corte può star senza Ser Cecco, ma in questo caso audrebbe detto : Il Granduca è nojato dei Tedeschi, I Tedeschi nojati del Granduca: Ma i Tedeschi son qui per il Granduca, E il Granduca sta su per i Tedeschi ». Ecco una variazione del noto tenia 'che produsse il sonetto Granduca e Tedeschi, uno degli ultimi suoi e che si piaceva lar leggere agli intimi, nelle frequenti visite al povero ammalato. Il gustoso libretto, adorno d’ una bella ed elegante veste dall’ intelligenza di Salvadore Landi, fu tirato a soli cento esemplari. GIORNALE STORICO E LETTERARIO DELLA LIGURIA I4Q Michele Rosi. Le streghe di Trioia in Liguria. Processi di stregoneria e relative questioni giurisdizionali nella seconda metà del secolo XVI. — Un confortatorio per i condannati a morte conservato in un codice genovese del secolo XV. (Estratti dalla Rivista di discipline carcerarie) Roma, Tip. delle Mautellate, 1898-1899; in-8; di pp. 80 e 26. — Il primo di questi studi, che è anche il piìl importante, fondasi su parecchi documenti del nostro Archivio di Stato, che riguardano certi processi contro le streghe di Triora colà iniziati nel 1587 dal vicario del vescovo di Albenga (Triora era podesteria in territorio di San Remo e diocesi di Albenga), e dal vicario dell’ inquisitore genovese, proseguiti e allargati nel 1588 da quelli stessi, e poi da Giulio de Scribani commissario straordinario mandato a quest’ uopo tra quelle balze dalla Serenissima. Se non che il vicario dell’ Inquisitore fece opposizione quando si parlò d’ eseguire le crudeli seutenze pronunciate dal commissario, e il processo fu richiamato a Roma presso la Congregazione del Santo Uffizio. Con probabilità questa propose una mitigazione di pena (cosa abbastanza singolare!), certo il commissario fu colpito di scomunica; da questa però assolto non molto dopo, avendolo umilmente egli chiesto, ed essendosi interposto il cardinal Sauli e gli altri cardinali geuovesi. « L’arrendevolezza della repubblica che fa di tutto per accomodarsi coll’autorità ecclesiastica, cedendo alle esigenze di questa », 11011 meraviglia 1Ά. che l’ha già osservata iu altri suoi studi, specialmente in quello intorno a Bartolomeo Bartoccio ; il dolore e 1’ orrore che F A. confessa d’ aver provato leggendo le carte e i costituti processuali ci si comunicano invincibilmente. Il documento vii: « Costituto dei tormenti dati a Fran-chetta Borrello supposta strega iu Badaluco, 19 Settembre 1588 », non può leggersi seuza un brivido, e il v: « Lettera scritta da Giulio Scribani commissario al doge ed ai governatori per spiegazioni sulla- morte di Luchina Rossa, per 1’ invio di due sentenze coutro streghe e per i pro-cedimeuti contro una vecchia ricca stimata strega, Badaluco 30 Agosto 1588 », ci richiama al pensiero le vibrate pagine del Manzoni contro i giudici milanesi nella Storia della colonna infame. Raccomandiamo poi al lettore 1’ assicurazione che dà il commissario al governo verso la tìne della sua relazione: « tutto si faria seuza dispendio dell’istessa Repu-bliea per le molte confiscationi che seguirebbero»; ciò appariva tanto più opportuno perchè la relazione ha un poscritto del seguente tenore: « Mi ero scordato dirli che si manda a VV. SS. Ser.me il rollo di cotesto barriceUo et famegli per la loro paga del mese venturo ». Auche la lettera dei tre anziani di Triora Tauuer, Vozella e Gandolfo (doc. 1) presenta una particolare importanza ; essa traspira un criterio ed uua moderazione che souo poco comuni iu siffatti argomenti. Abbiamo indicato che questo è il primo documento, uia se il lettore farà al par di noi, cioè dopo letto uua prima volta 1’ iute.ressaute studio, lo ri- i GIORNALE STORICO E LETTERARIO DELLA LIGURIA leggerà, riserbi per ultima questa lettera; gli sembrerà d’uscire da una fetida grotta all’aria pura. — Nel secondo opuscolo il R. ci dà notizie della Compagnia della Misericordia in Genova, che viene spesso designata col nome di Jesus Maria succurre miseris, e, dopo il 1492, de redemptione. Essa durò nel pietoso sno ufficio di assistere i condannati a morte, fino al 1797 ; nel 1825 venne ricostituita da Carlo Felice mentre nell’ intervallo subentrò a tale scopo l’Arciconfraternita della morte e sepoltura di Cristo in S. Donato. Come rammentano i più vecchi tra i nostri contemporanei, l’archivio della Compagnia ricostituita uel 1825 deve serbarsi alle carceri giudiziarie di S. Andrea ; come quello della più antica era « iu piccolo oratorio segreto vicino all oratorio di S. Ambrogio nelli orti di S. Audrea ». Così si legge uel Codice della Bibl.a Univ.* genovese ora segnato G ni 2; si tratta del confortatorio esaminato appunto dal R. nella attuiile pubblicazione. Esso è diviso in 58 capitoli di cni il R. trascrive le rubriche e fa una breve analisi « per capire come i buoni fratelli della Misericordia nel compiere il loro pietoso ufficio s’ inspirassero alle massime del Vangelo, e uel tempo stesso traessero profitto dalla propria esperienza e dalle osservazioni che altri avevano fatte intorno alla natura ed ai bisogni del cuore umano ». A quest’ uopo si può confrontare il cap. 42: « De quelli chi se lamentano che tassiano li figliuoli abandoue », col 57: « Del modo che tu debi tegniere quando colui chi de morire se inzenogia ». Oltre ai conforti religiosi vi si trova un’opportuna indicazione del modo come il fratello deve dar da baciare al paziente la tavoletta colle sacre immagini a ciò destinata, e tenergliela presso la bocca affinchè possa il carnefice più rapido e con minor dolore dell’ infelice compier 1’ opera sua. Non sarebbe completo questo annunzio se non aggiungessimo che, discutendo criticamente le asserzioni del Giscard), dell’Accinelli e di Battistina Vernazza il R., nella prima parte del suo scritto, ferma 1’ origine della Compagnia al 1494, e la data del primo Statuto tra il 1492 e il 1501. Il secondo Statuto è, questo sappiamo per certo, del 1638 ed ambedue serbansi uel nostro Archivio di Stato. Quello che sarebbe utile oltremodo esplorare è 1 archivio della Compagnia stessa ; al R. non fu dato finora, speriamo lo sia a lui o ad altri che lavori seriamente come lui. Per la storia di Genova e della Lignria, come pure per la storia del costume e dei sentimenti in Italia nei secoli andati, quando le pene capitali erano così stoltamente frequenti, sarebbe importante non meno di quello che siasi mostrato a Roma l’archivio della Confraternita di San Giovanni Decollato. (Guido Bigoni). F. Podestà. Val di lìisagno. Marassi, Quezzi e Paver ano. Genove, Peli is, 1899: in 16. di pn. fi3. — / genorexi e le pescherie di corallo nei muri di Sardegna. Torino, Paravi» 1900; in 8,u di pp. 12 (Estratto dalla GIORNALE STORICO E LETTERARIO DELLA LIGURIA Miscellanea di storia italiana, s. Ili, t. vi). — Già per il passato 1’a. aveva mostrato qual fosse il frutto ch’egli avea tratto, per la conoscenza dei dintorni di Genova, dallo studio delle antiche carte, e dalle insistenti sue ricerche uegli archivi. Ricordano infatti gli studiosi le sue Escursioni archeologiche e L’acquedotto, lavori pubblicati alcuni anni or sono. Ora, in forma, secondo dicesi, popolare, discorre nel primo opuscolo intorno a buona parte di quel tratto ad oriente della città che prende nome dal Bisagno, e si innalza fino alla sommità dei contrafforti appenninici. Quivi al lume dei documenti sono illustrate le diverse località, e mentre si rileva la storia di edifìci anche oggi esistenti, si fa opportuno ricordo di quelli scomparsi. Utile contributo alla toponomastica genovese, poiché s’impara la ragione di certi appellativi che anche oggi sussistono, e si vede l’igno-rauza di chi, non intendendo certe denominazioni, sia pure scorrette o contaminate da forme dialettali, ha eletto dar di frego a ogui cosa ed applicare a vie ed a luoghi nomi di bestie o di vegetali. L’altro lavoro è un nuovo capitolo che appartiene alla storia della pesca del corallo esercitata dai genovesi. Diciamo nuovo, iuquantochè prima d’ora iu altre pubblicazioni 1’ a. ha parlato a più riprese della, pesca del corallo a Marsacares, nell’isola di Tabarca e nelle acque circostanti. Qui specialmente si tratta della pesca nei mari di Sardegua, di cui si hanuo sicure notizie a incominciare dal secolo xrv ; da questo punto 1’a. vieu divisando le vicende storiche ed economiche, che si riferiscono a sì fatto argomento, sempre rispetto a quei liguri che esercitarouo l’industria allora tanto rimuneratrice, ed al governo della repubblica dal quale si rinnovarono frequenti disposizioni atte a regolarla e a proteggerla. V. Podestà. La campana. Carme colla versione latina di Angelo Sommariva. Genova, tip. della Gioventù, 1900; in 16, di pp. 15 (Nozze Arata-Pozzo). — Sta in luogo di prefazione una garbata lettera al padre della sposa, nella quale il traduttore latino accenna a poesie di uguale argomento, e si ferma più specialmente su quella dello Schiller: Das Lied von der Glocke, e sull'altro poemetto del Piudeinoute: Il colpo di martello. Certo il carme del Podestà non ha la pretesa di assorgere a cimentarsi con que’ due, nè per vivacità d’immagini, nè per ampiezza di svolgimento. È poesia semplice che risponde efficacemente al senso intimo che uatura induce nell’animo umano al suono diversamente at-teggiato della sacra squilla. Il Somuiariva ha voltato gli endecasillabi delle sette ottave in altrettanti esametri di buona fattura. Era certamente arduo seguire il proposito di mantenersi nel numero dell’originale; facile quindi per l’indole della lingua cadere iu sovrabbondanza e iu superfluità. In questo vizio non è caduto il traduttore, i cni versi nou appariscono tirati per forza a misura, ma hanno il doppio pregio della fedeltà e della spontaneità. Anche certi partiti che il poeta italiauo ha GIORNALE STORICO E LETTERARIO DELLA LIGURIA volato trarre dall’armonia del ritmo, si riscontrano pei lo più nella versione; esempio, gli esametri ond’è riprodotta la seconda ottava, a nostro giudizio, veramente felici. Anche qui c’è quella € forza e codili zione ragionata della grande poesia latiua » che il Carducci riconosceva nel Sommariva quando tradusse l’ode: Bicocca di San Giacomo. Emilio Bertana. La paura nei « Promessi Sposi». Spezia, Iride, 1900 (Rocca S. Casciauo, Cappelli); in 16, di pp. 47. - In questo studio che è un nuovo ed utile contributo alla illustrazione psicologica del romanzo, 1’ autore rileva con il consueto acume tutti i diversi atteggiamenti, con i quali il Manzoui rappresenta gli effetti della paura. La quale si vede qui nell’atto reale e balza fuori cou sovraua naturalezza dal carattere dei personaggi, dalle condizioni momentanee e transitorie in cui si trovano, dall’ambiente in mezzo al quale si agitano e vivono. Donde sempre meglio apparisce manifesta 1’ arte somma del gran u scrittore, che sa opportunamente trar suoni diversi dalla medesima corda, a seconda del magistero con cni gli vien fatto dì toccarla a suo uopo. Ed è vero, come conchiude il B., che « la paura è uno de motivi estetici e psicologici più spesso ricorrenti nei Promessi Sposi » ; ma giudicherebbe tortamente chi volesse trarre da codesta « perfetta oggettività di rappresentazione » argomento a « riscontrare altrettante paure soggettive dell’ artista nelle infinite panre meravigliosamente dipinte». Costui chiuderebbe gli occhi al vero, non volendo considerare che il Mauzoni « di tante paure fa insieme il ritratto fedele e la satira ». Annibale Campani. Una insigne collezione di autografi. (Carteggio, Angeloni, Rolandi, Giannini). Notizia e catalogo. Milano, Albnghi Segati e C , 1900; in 8, di PP. xv-42. - Illustrazione piena e assai ben fatta di nna raccolta poco conosciuta, e nella quale si trovano scritti, lettere e carteggi di non piccola importanza. Il C. ha reso ufi buon servizio agli studiosi, i quali potranno attingere da quelle carte rilevanti notizie intorno ad nomini e cose nel periodo più fortunoso del nostro risorgimento. Non staremo qui a indicare i nomi che ci paesano dinanzi scorrendo queste pagine; basti il dire che sono dei più venerati ed illustri. Anche la nostra Liguria v’è rappresentata. Del Mazzini v’ lia un bel manipolo di lettere. Una lettera dell’Angeloni, 25 giugno 1836, accompagna a Gerolamo Serra Γ opera sopra Guido d’ Arezzo ; il Serra era già in ottimi rapporti coll’Angeloni, come è manifesto da tre lettere «ne del 1812, 1814 e 1819, nella qnale ultima singolarmente si rallegra che uu italiano da tanti anni lontano «più e’affatichi in prò della comune patria, che non tanti altri letterati viventi nel di lei seno non fanno e forse non possono fare.... dove la comunicazione delle idee è inceppata». Vi è una curiosa lettera di Michele Giuseppe Canale a Sil'io GIORNALE STORICO E LETTERARIO DELLA LIGURIA 153 Giannini, e parecchie d >lla Bianca Milesi-Mojon nel periodo della sua residenza in Genova, non inutili alla conoscenza della società, di quei tempi (1825-1830). P. Giusrppb Bofpito B. Perche fu condannato al fuoco V astrologo ascolano Cecco d' Ascoli? Roma, tip. Poliglotta, 1900; in 4, di pp. 28 (Estratto dagli Studi e documenti di storia e diritto, xx, 1899). — Per rispondere al quesito formulato dall’a., conveniva innanzi tutto esaminare le opiuioui di coloro che hanno parlato di Fraucesco Stabili, ed accennato più o men largamente alle ragioni del suo supplizio. Il B. muovendo dal libro del Castelli, che è 1’ ultimo in ordine di tempo (^1892), risale man mano alle fonti contemporanee, fermandosi in ispecie sulla narrazione di Giovanni Villani, che in definitiva crede la meglio attendibile. Onde l’ascolano sarebbe stato condannato regolarmente e giustamente dalla Chiesa, per le dottrine astrologiche superstiziose ed ereticali esposte nelle sue opere, e forse da lui bandite dalla cattedra, per le quali si incorreva nella censura, e nella giustizia punitiva della Inquisizione. Dalle opinioni degli scrittori rileva il B. come l’intenzione apologetica apparisca in generale manifesta man mano che ci allontaniamo dal secolo xiv lino ai tempi nostri, iu cui il Castelli ha prodotto una difesa che turba e corrompe la severità e l’imparzialità della storia. Senonchè si potrebbe osservare che Γ animadiversione dei contempo-rauei, e di quelli più vicini ad essi, non fosse così serena da escludere in modo assoluto la passione e l’invidia da parte di «muli; conveniva perciò ricercare direttamente nelle opere dell’ascolano se le accuse erano giuste, e quindi giustificato del pari il castigo. Ciò ha fatto il B. con molta cura, recando innanzi raffronti eruditi e rilievi acutamente ingegnosi; ma non ci sembra abbia raggiunto una dimostrazione suffragata da prove inconcusse, oude egli pure uel concludere si tiene in un certo riserbo consigliato dalla prudenza. Infatti anch’egli di fronte ai testi, che nou possono dirsi dirittamente incriminabili, ha dovuto ricorrere a delle ipotesi, plausibili in vero, ma che non costituiscono prove se non relative. Cosi dicasi del dubbio sulla autenticità delle seutenze o sunti che vogiiausi dire, soli documenti rimasti del processo a carico di Cecco. E perciò auchc noi, cou 1' autore « aspettiamo la luce di nuovi documenti». Resta sempre iu ogni modo 1’euormità e la inumanità del supplizio. P. Giuseppe Bofkito B. Un poeta della meteorologia. Gloriano Pantano. Napoli, Tessitore, 1899; in 4, di pp. 16 (Estratto dagli Atti dell’Accademia Pontaniana, voi. xxixj. — Il B. esamina il carme del Pontano oh’ ebbe titolo di Urania od anche delle meteore, e ue rileva ciò che vi si trova di singolare rispetto alla scienza. Addita opportunameute I 54 GIORNALE STORICO E LETTERARIO DELLA LIGURIA alcuni passi d’Aristotile donde attinse il poeta, che qua e là manifesta alcune divinazioni degne di nota. Leggendo questa garbata memoria, ci è tornato alla mente, che anche il Chiabrera si è compiaciuto di descrivere il cielo e i fenomeni atmosferici ne’ due poemetti Le meteore e Le stelle; il qual’ ultimo comparve nel 1616 cou il titolo : Urania. Il carme del Pontauo ci sembra possa essere stato una delle fonti ispiratrici del savonese. A. Fr. Trucco. Novi e Napoleone Bonaparte. Novi-Ligure, Tipografìa Sociale, 1898; in-8; di pp. 53. — lu questa dissertazioue, dettata per il conseguimento della laurea, l’A. ricerca le canse per le quali Bonaparte in alcune sue lettere edite nella Correspondance, tratta Novi, i suoi cittadini, e i governanti in uu modo più che severo, sconveniente, e, mercè la preduzioue e la illustrazione di parecchi documenti, intende provare che adoperando di tal guisa con i novesi, e il Governatore Lercari, voleva rispondere colla violenza alle giuste rimostranze del governo geuovese, e mirava sopra tutto ad abbattere questo, già minato dal lavorio del Faiponlt. A questo proposito e come fedele specchio de’ tempi ci piace trascrivere un brano dell’autobiografia di Giuseppe De Ambrosie di Novi, ch’ebbe poi emineuti uffici nella Repubblica Ligure. Dopo aver accennato alla rivoluzione francese ed alle sue conseguenze in Europa, tocca della guerra fra l’Austria e la Francia in Italia, per la quale l’esercito tedesco si condusse al contine genovese ne’ pressi di Novi. « Vedendo minacciata dalle truppe tedesche la proclamata neutralità (il governo di Genova) delibera, e sceglie me Commissario presso il Generalissimo Beaulieu, per ottenere da Ini 1’ ordine alle sue truppe di rispettare la neutralità del territorio genovese, che forse per apparenza l’Aristocrazia voleva dimostrar di sostenere. Fu: ben accolto in Alessandria, e ben trattato da lui per vari giorui suo commensale; ma senza nulla conchiudere, perchè forse aveva la chiave del segreto. Iufatti avanzatosi da Alessandria verso Acqui e Moutenotte, in men di tre giorni passò da Novi iu ritirata battuto e sconfitto. Scesi li Sans-culottc de. Moutenotte, condotti dal giovine Generale Bonaparte in Lombardia, assai presto trovarono da vestirsi e da sfamarsi. Mi segni tri» allora la Commissione del trepidante sbigottito Governo di Genova di simnlata felicitazione verso del novello Generale, terrore d’ Italia. Fui cou grande apparato accolto in una gran sala, circondata da molti spaventati Deputati dei circonvicini Comuni piemontesi, e senza darsi pena di leggere il mio dispaccio, nè di sentirmi, proruppe in accuse forti, e tremende minacce contro del mio Governo, e concludendo col terribile detto: Je mis l’Ange exterminateur, impose di dover far presentare a lui il Governatore di Novi, e senza replica mi congedò. Ed io fui pronto ad inviare lettera al Governatore portatrice del fiero invito, che fu su- GIORNALE STORICO E LETTERARIO DELLA LIGURIA 155 bito secondato, e promettitor di buon successo. Senza intrometter ritardo corsi in Posta nella stessa notte a riferire il poco lieto risultato, di cui ottenni approvazione e lode anche per il Governatore » (Da uis. nella Bib. Univers, di Genova). SPIGOLATURE E NOTIZIE. In un articolo di Raffaello Bariuera intitolato : Carlo Bini ne’ suoi scritti e nei processi inediti della Giovine Italia (Illustrazione italiana, xxvii, n. 10, 11 marzo 1900) si riferisce, dall’Archivio di Milano, uu brano d’interrogatorio a cui fu sottoposto nel 1831 Elia Benza di Porto Maurizio, allora abitante in Genova, dal commissario di polizia Giuliano Pratolongo. Ciò fu in seguito a rapporti della polizia austriaca, la quale avendo arrestato un carbonaro, gli cavò di bocca delle propalazioni e dei nomi. Fra gli altri quello del Beuza e del Bini di Livorno, donde la sorveglianza della polizia genovese alla posta, e il sequestro di lettere del Bini dilette al Benza, la chiamata di questi, e le spiegazioni che gli furono richieste sopra certe frasi misteriose, le quali riguardavano la prigionia del Mazzini. *** Vedrà presto la luce uu’opera di L. Migliorini col titolo: Gli uomini illustri garfagnini, della quale abbiamo ora un saggio che è buona promessa dell’ intero lavoro (Castelnuovo di Garfagnana, tipografia Rosa, 1899). * * * Segnaliamo 1’importante opera di Feux Bouvier, Bonaparte en Italie, 1790 (Paris, Cerf, 1899) per le numerose notizie che riguardauo la Liguria, singolarmente quella parte dove si svolsero i fatti di guerra. Nel capitolo terzo si legge una sobria, ma efficace ed esatta esposizione delle condizioni politiche di Genova rispetto alla Francia ed all Austria, confortata eziaudio da notizie attiute da documenti d’archivio. 1 capitoli poi iv, v, vi, vii, vili ci fanuo assistere passo passo aH’azione militare di Bonaparte ne’ suoi preliminari e negli avvenimenti che prendouo nome da Voltri, da Monte Legino, da Mon-tenotte, da Millesimo, da Cosseria, da Dego, con pieua conoscenza della materia e grande competenza di esposizione e di critica. Vi sono 156 GIORNALE STORICO E LETTERARIO DELLA LIGURIA giudizi iutoruo alla parte che la repubblica di Genova ai assunse in questo periodo, e la politica da lei seguita, assai equanimi e veritieri. & * * Alcuni documenti che si conservano nell’ Archivio di Stato di Milano, sfuggiti, per trovarsi fuori posto con date inesatte, agli storici che trattarono largamente il periodo storico di Carlo Vili e della sua discesa in Italia, porgono opportunità a Leon G. Pei.issier di pubblicarli convenientemente illustrati, col titolo: Sur quelques épisodes de V expédition de Charles Vili en Italie ( in Ré vue historique, mars -aprii, 1900, pp. 294-313 ). Iu uua istruzione al comandante dell’ armata, Francesco di Lussemburgo, sono indicati i luoghi dove s’aveano a raccogliere le navi, e condnr soldati, vettovaglie, artiglierie. Fra questi è la Spezia dove aveauo a sbarcare in buon numero le truppe al comando di Gilberto di Montpeusier. In un rapporto che si riferisce al 1496 si trova menzione de « la consignatioue de Sarzana », che « ha forte perturbato el Re e tuto el consilio, reducto in gran malignità le cose de Geuua e del Duca de Milano » al quale vengono at tribuiti sì fatti avvenimenti. Ë noto che Sarzana pass») in dominio del Banco di S. Giorgio, dal quale fu acquistata per danaro. * * * Manoscritti di Filippo Casoni — Uua serie importante di volumi manoscritti dei secoli xvii e xvm, rimasti in casa Brignole De Ferrari, sono passati alla biblioteca municipale Brignole. Nella massima parte riguardono la storia genovese, e parecchi appartennero all’ istorico Filippo Casoni, del quale vi sono gli origiuali dei suoi annali, parte di sua mano, parte di mano di copiatori, e fra questi apparisce più volle la nota calligrafia di Bonaventura de Rossi. Nè basta, chè ci è messo qui dinanzi il materiale di cui lo scrittore si giovò per il suo lavoro ; miscellanee di relazioni, di decreti, di note desunte da documeuti ufficiali, le compilazioni storiche, fra le altre, dello Schiaffino e del Pallavicini ; dissertazioni giuridiche, estratti, appunti ecc. ecc. E di più alcune altre operette eh’ egli disegnava, delle quali esistouo de’ frammenti notevoli ; singolare una relazione dello stato e condizioni di Genova al tempo suo, con rilievi sugli usi e costumi ed altre curiosità. Quegli autografi degli annali che si con servano nella nostra biblioteca civica, e che dettero argomento allo Scarabelli di una importante notizia inserita nell’Archivio Storico Italiano, se ben si guarda, dovettero un tempo far parte de’ manoscritti di cui ragioniamo. Evidente ne è 1’ intima relazione con essi, cosi per la disposizione usata dall’ autore, pel metodo di materiale scrittura, e per la mauo de’ copiatori da’ quali si fece aiutare, quella in ispecie del ricordato De Rossi. GIORNALE STORICO E LETTERARIO DELLA LIGURIA I 57 Umberto Dallari iu una erudita monografia espone il frutto delle sue ricerche intorno ad un vescovo di Reggio, il cui cognome non è ben conosciuto (Atti della r. L)ep. di Stor. Pat. di Modena, Ser. iv, vol. IX, p. 253). È Gio. Luca da Pontremoli ascritto da alcuni alla famiglia Pozzi o dal Pozzo, da altri, e più ragionevolmente, alla famiglia Castellini. Infatti appartiene certamente a quest’ ultima, come provano i documenti. Le notizie della sua vita, monche, incerte ed incompiute presso gli scrittori che di lui trattarono, sono qui narrate con cura, e suffragate da prove sicure. Visse uella seconda metà del sec. xv, e morì iu Bologna il giorno 11 ottobre del 1510. * * * Intorno a La uccisione di Galeazzo Maria Sforza ha prodotto alcuni documenti fiorentini Eugenio Casanova (Arch. Stor. Lombardo, Ser. 3.a fase, xxiv, p. 299), nei quali è ricordo di cose liguri e luuigianesi. Infatti in più luoghi si aocenua alle condizioni iu cui era rimasta Genova dopo la morte violenta del duca, ed ai fatti che iu essa seguirono quando 1’ anno successivo volle torsi di dosso la signoria di Milano; donde le cagioni prima delle diffidenze, poi dell’aperta rottura con i fiorentini, sempre stretti alla parte milanese. E perciò essi sì prestauo volenterosi, dimentichi delle offese ricevute dai genovesi, alle richieste della reggente Boua di Savoia, per tenere in fede quella repubblica, sempre pronti a secondare la duchessa in ciò che « apartengha a conservatione dello stato sno ». Ma le cause delle differenze nou cessano, e il malauimo dei genovesi si mauifesta sovente, anche nelle piccole conteso. Nè le molestie a questo solo si arrestano, chè Teodoriua Malaspina, douua di forte animo intende rivendicare diritti, c vi riesce, sopra terre feudali già pertiuenti alla eredità del marito defunto, e allora tenute dai fiorentini. Di che è a vedere la Storia della Lunigiana feudale del Branchi (voi. 11, p. 75 e segg.). APPUNTI DI BIBLIOGRAFIA LIGURE. Ai.hkrtoni Silvia — Portovenere. (/ride, Rocca S. Casciano, anno IV, n. 43 |>p. 490-495)· Airou G. I·'. — Di alcune ingiuste accuse mosse a Cristoforo Colombo, (/{assegna Nazionale, Firenze, 1900, vol. Ili, pp. 251-287). Baccelli (Ai.frbuo) — Notte in riviera - versi - In Nuova Antologia, i marzo 1900, pp, 87-88. Ckrvktto L. A. — Le famiglie liguri. (// Cittadino 1900). Cicala n. 1. Chrvktih L. A. — Memorie patrie. (// Cittadino 1900). - Genova cent’anni fa, n. 6, S, 12, 19, «9. - Inverni ligiili ed influo/.II, 11. 52, 54. 158 GIORNALE STORICO E LETTERARIO DELLA LIGURIA Colombo Christophk — Lettela rarissima sur la découverte de la terre ferme, accompagnée de Γ iteneraire de Diego de Porras et d’une partie de la relation de Diego Meu-dcz. Traduction nouvelle, extraite des Documents de la Colombie, Angers imprimerie Burdin (1900) 4. p. 42. Dallari Umberto — Di un vescovo di Reggio il cui cognome non è ben conosciuto (Gio. Luca da Pontremoli). (Atti e Memorie ditta R. Deputazione di storia patria per le provincie modenesi. Modena, 1S99, ser. IV, vol. IX, pp. 253-265). Effe Erre (F. Rezasco) — Avanzi napoleonici a Genova (in Caffaro, xxyi, 11. 92, 2 3 aprile 1900). Flechia Giuseppe — Postille al Glossario medioevale Ligure di Girolamo Rossi, Nervi, J. Gartner edit., 1900. Gagliardi F. — Carrara (Die Nation, xvii, 14^. Gavotti G. — Battaglie navali della Repubblica di Genova. Appendice alla « Tattica nelle grandi battaglie navali ». Roma, Forzani e C. 1900, 8, p. 222. Giovinezza (La) di Giuseppe Mazzini. (Il Secolo, Milano 1900 11. 12172). Imperatrice (L’) Federigo in Italia - San Terenzo - La villa Pearse. (Illustrazione Italiana. Milano, 1900, anno xxvn, n. 3). (Isengard (d’) G. B.) — L’ edilizia sacra alla Spezia e I’ antica parrocchia abbaziale di Santa Maria. (Il Cittadino 1900, 11. 24). Lastri Alfredo — Genova dal 1797 al 1800. Appunti storici, Genova, tip. Operaia 1900. Leonardis (De) Giuseppe — X Marzo o visita a Stagliene: cauto. (IlSecolo Illustrato della Domenica, 1900 n. 530). Manfroni Camillo — Sulla battaglia dei Sette Pozzi e le sue conseguenze (in Rivista Marittima, Roma, 1900, Febbraio, p. 226-249). Memoria (In) di Sante Bastiani (abate di Monti in Lunigiana). (Discorsi ed elogi funebri di vari). Spezia, Zappa, 1900, in 8, di pp. 30. Mazzini Giuseppe — Lettera a Giuseppe Gaiibaldi (11 novembre 1S51). (Il Secolo XIX, Genova 1900 11. 69). Mazzini Giuseppe — Lettere iuedite ad Aurelio Saffi, alla madre, a Giorgio Sand (1849). (in Rivista d' Italia, Roma 1900, fase. 3 p. 397-406). Mazzoni Guido — Nella riviera rii Levante (Rivista ιΓ Italia, 15 febbraio 1900; pagine 220-227). Sono quattordici sonetti: - I. Di galleria in galleria - II. RivaTrigoso- III. Sestri -IV. Lavagna e le Cave d' Ardesia - V. San Salvatore - VI. La fiumana bel'a - VII. Pel monumento al Mazzini in Chiavari - Vili. Un voto - IX. Portofino - X. Il Semaforo-XI. Da Santa Margherita a San Fruttuoso - XII. Ruta - XIII. Nervi e Quarto - XIV. Alla Liguria. Michelet F. — Origine des Bonaparte: avec des illustrations d' après des documents historiques. Paris, Colmann Lévy, 1900. Podestà Francesco — I Genovesi e le pescherie di corallo nei mari dell' isola di Sardegna. Torino, stamp. Reale G. B. Paravia e C. 1900, 4. p. 12 (F-str. dalla Miscellanea di Storia Italiana, Ser. III, Tom. VI). Professore (II) Tammar Lnxoro (necrologia di) A. (Rassegna Nazionale., Firenze 1900, Voi. in pp. 389-394). Ricordi Mazziniani [ Lettrradi Maz zitti ad Antonio Mosto).(ilGiornale Genova 1900 n. 92). GIORNALE STORICO E LETTERARIO DELLA LIGURIA I 59 Rossi Girolamo — I nobili delle città subalterne della Liguria. Ascrizione allifnobiltà di Sarzana (in Giornale Araldico-Genealogieo-Diplomatico, a. xxvm, N. S. 'Γ. vili, Luglio Agosto 1899, n. 7-8; Bari 1900). Viale Eugenia — Giuseppe Mazzini: La sua vocazione artistica. (Supplemento al Caffaro, 1900, n. 69). Zaccagnini Guido — Bonaccorso da Montemagno il giovine. (Studio biografico con notizia delle « Prose »). (Estr. d. Studi di letteratura italiana, I, pp.'339 e segg. Napoli, Giannini, 1900, pp. 51). Si parla - fra Γ altro - d’ una ambasceiia del Montemagno nella Lunigiana e a Genova. 11 barone Gaudenzio Claretta si è spento a Roma il 17 febbraio. Era nato a Torino nel 1835, dove, seguito il corso di giurisprudenza in quell’ Ateneo, venne laureato nel 1857. Ma la inclinazione per gli studi storici gli fece mettere da parte i codici e le pandette, per darsi interamente alle ricerche ne’ pubblici e ne’ privati archivi, donde trasse una grandissima quantità di documenti, che opportunamente classificati e raccolti in volumi, gli· servirono per le opere molteplici eli’ ei compose, e che mandò in luce. La storia piemontese deve assai alla sua grande operosità, perchè 11e illustrò alcuni periodi in modo largo ed efficace, e basta ricordare le due istorie della Reggenza di Cristina, e di Carlo Emanuele II per rimanerne persuasi. Se non che altri e numerosi volumi ei produsse; a’ quali conviene aggiungere una serie notevolissima di scritture più o meno ampie, che vennero inserite o in Atti accademici, o in que’ periodici, a cui prestò volenteroso la sua cooperazione. Non v’ ha, si può dire, effemeride storica e letteraria pubblicatasi negli ultimi trent’anni, incominciando dalla Rivista Europea e dall’^ir-chivio storico italiano, venendo fino alla Gazzetta Letteraria e ad altri giornali della domenica, che non conti qualche suo scritto. E in tutti volle e seppe portare sempre qualche cosa di nuovo e di notevole, aggiungendo osservazioiii, parche in generale, ma logicamente acute. L’ ultimo poderoso volume che ci donò egli stesso un quindici giorni prima della sua morte, è quello de’ Marmi scritti, di cui abbiamo fatto parola in questo fascicolo, e sembra in vero fatale che le ultime sue scritture fossero di morte, poiché aveva commemorato poco innanzi all’ Accademia torinese Cornelio Desimoni, e si apprestava a commemorare con maggior larghezza Domenico Ferrerò. Alieno da ogni esteriore vanità, sdegnoso delle adulazioni, e delle lodi di accatto, non ebbe ambizione, salvo che quella nobilissima di accrescere il patrimonio delle sue cognizioni per giovare agli studi e singolarmente alla storia della sua patria. Uomo di gran rettitudine, di alti sentimenti, di spirito franco e leale, non conobbe ambagi, 11011 venne mai meno alla verità, nè ebbe timore di dirla aperta ed intera, anche quando avesse sapor di forte agrume. Non usc\ dalla abituale modestia per vaghezza di onorificenze e di uffici : ma gl incarichi che gli furono affidati sostenne con rigida coscienza, e con severa osservanza. La morte lo colse appunto fuor delle mura domestiche, quando prestava 1’ opera solerte alla religione del dovere. All’ antico collaboratore del Giornale Ligustico, al collega, all’amico era debito per noi il consacrare questo mesto ricordo. (A. N.) Il cav. avv. Arsenio Crespellani moriva, improvvisamente, a Modena, il 14 marzo pochi giorni appena dopo aver presieduto, pieno di vita e con giovanile energia, la commemorazione solenne del xl anniversario della R. Deputazione modenese di Storia patria. Nato a Modena il 14 dicembre 1828, di una famiglia savignanese in cui era tradizionale V amore all’ archeologia, si laureò in entrambe le leggi il 1853, senza però esercitare Γ avvocatura. Ma i suoi studi prediletti furono gli storici, gli archeologici e i numismatici, ne’quali seppe mostrarsi presto degno seguace di due illustri maestri emiliani: Celestino Cavedoni e Giovanni Gozzadini. Alla scuola bolognese di quest’ ultimo può ricongiungersi per gli studi paletnologici, lodatissimo saggio de’quali dette nello scritto, piccolo di mole, ma affatto originale e denso di acute osservazioni e di preziose notizie sulle Alarne modenesi e monumenti antichi lungo la Strada Claudia con cui rivelò preziose reliquie dei periodi preistorici, etrusco, romano e medioevale, trovate da’ suoi antenati e da lui in scavi compiuti in diverse epoche alla base delle colline modenesi vi). Da quel primo saggio in poi attivissima fu la sua opera come ricercatore di monumenti archeologici ; promosse scavi, e molti ne fece per proprio conto, senza badare a spese e a fatiche, appagandosi del contributo che recava alla patria e alla scienza. Il Museo del Comune di Razzano riconosce la sua fondazione e il suo ordinamento dal Crespellani, che, nel 1887, compilò anche il catalogo delle sue collezioni. Un monumento perenne del suo sapere Γ ha lasciato nelle magistrali opere sulla zecca (1) Modena, tip. di Antonio ed Angelo Cappelli, 12 aprile 1S70; in 4, di pp. 24 con 10 tavole litogr. e 1 carta tipografica. ΐ6θ GIORNALE STORICO E LETTERARIO DELLA LIGURIA di Molina e sulle medaglie degli Estensi e degli Austro-Estensi (i); opere che sono il frutto di lunghe e pazienti ricerche e nelle quali alla profondità della dottrina e del pensiero si unisce la sobrietà e il garbo della esposizione. .Questo suo valore gli meritò onorevoli uffici, che seppe tenere con scrupolosa cura e con amore indefesso. Modena gli affidò, con la direzione del Museo lapidario e di quello Civico, quasi tutto il suo ricco patrimonio estetico, eh’ egli accrebbe coi frutti delle sue indagini e col generoso regalo di superbe·collezioni formate a sue spese. 11 Governo del Re lo volle custode de’ tesori della Galleria e del Medagliere Estense ; e anche il prezioso Medagliere della R. Accademia modenese di scienze, lettere ed arti venne posto sotto la sua direzione. Per tutto ciò nessun compenso pretese, pago soltanto che il suo nome fosse perennemente congiunto a que’ ricchi depositi che molti stranieri c’ invidiano. Fu R. Ispettore degli scavi e de’ monumenti d'antichità della Provincia di Modena, Presidente della Società Vignolese di Storia patria, e degnamente successe al Bertolotti nella presidenza della R. Deputazione di Storia patria delle Provincie Modenesi. D’ inesauribile amabilità, sempre cortesissimo verso gli studiosi, era così affabile con tutti, che quanti lo conobbero gli portarono cordiale e sincera amicizia. Onesto fino alio scrupolo, incrollabile nella brama della giustizia, ebbe, nel cuore e sul labbro, il vero, che disse apertamente senza alterigia, ma senza paura. Per molti anni fu Sindaco di Savignano sul Panaro, residenza estiva della sua famiglia, sede prediletta de’ suoi studi archeologici, dove era amato e venerato come un padre. Fornito di censo, lo vmse a beneficare i poveri ed i volenterosi, ed un giovane scultore, speranza d’ Italia, Giuseppe Graziosi, deve a lui la sua vita d’artista. Tante belle doti, così preziose virtù rendono più amara la irreparabile perdita. La cara e buona immagine paterna di lui che, appena un mese fa, s’ allietava giocondamente per la bella riuscita della festa commemorativa della R. Deputazione di Storia patria, ci rimarrà scolpita, profondamente, nel cuore. (Luigi Staffetti). Il conte Emilio Lazzoni nella grave età di ottantotto anni il 21 di marzo cessò di vivere a Carrara. Fu segretario e professore emerito di storia e di estetica nella patria Accademia di Belle Arti. Era il decano de’ soci della R. Deputazione di Storia patria pei le Provincie Modenesi, essendo Γ unico superstite di quelli nominati dal Dittatore Parini, il 10 febbraio del 1S60, quando la istituì. Dal 1849 al 1859 ^ Lazzoni fu, a Carraia, il capo del partito liberale, e nel 1859 rappresentò la nativa città all’ Assemblea costituente di Modena. Attese poi, sempre, all’insegnamento, finché, pel crescer degli anni, la mente non gli servì più, nè all’ancor valida forza del corpo rispondea quella dell intelletto. Appartenne alla Reale Insigne Accademia di S. Luca in R.oma come membro onorario. Oltre alcuni discorsi di occasione e varie commemorazioni funebri, mise alle stampe i lavori seguenti: Un episodio della mala signoria degli Estensi da servire di documento alla jutura storia d’ Italia. — Carrara e gli. stati d’ assedio ovvero un anno di sofferenze (li Domenico Scopsi nelle carceri della Commissione Militare, Massa, tip. Frediani, 1860;m b. Carrara e la sua Accademia di Belle Arti, riassunto stòrico, Pisa, tip. de Fb. JNistri, 1869; in 16. .... Γ' Λ/Tcir Michelangioìo Buonarroti, sue relazioni colla città di Carrara, Carrara, tip. martini e Martinelli, 1875; in 8. (L. S.). (1) La Zmcca di Modena nei periodi Comunale ed Estense, corredata di tavole e documenti, Modena, tipi di G. T. Vincenzi e nipoti, 1884, tn 4t di pp. VI-377) con XVII tavole. - Conii e punzoni numismatici della R. Biblioteca Estense, Modena, Società tipografica, 1887: in 4, di pp. LIX-99 con due tav.; estratto dalle Memorie della R. Accademia di Scienze Lettere ed Arti di Modena, serie II, vol. V. [/ pubblica il Bertelli un nuovo contributo di studi « sull’uso topografico e astronomico della bussola fatto anticamente in Italia ». Egli conferma l’opinione, da lui espressa fin dal 1893 intorno ad un antico prototipo cartografico medievale, la conferma per gli studi fatti intorno alla disorientazione delle carte, fra le quali non ha naturalmente omessa la corsiniana del nostro Dall’Orto ; viene poi a concludere che la prima carta marina deve farsi risalire alla seconda metà del xn secolo (1) eh’ è come dire al tempo — approssimativamente — in cui s’introdusse nel Mediterraneo l’imperfetta bussola cinese ad ago galleggiante (2). Molte altre utili (1) Significherebbe circa un secolo prima di quel che comunemente si crede V. Manfroni, Op. cit. p. 482 e tutti i numeri 5-8 dì quel capitolo. (2) In alcune Note sulla bussola cinese, pubblicate a Firenze per nozze nel 1894, il I7Ò GIORNALE STORICO E LETTERARIO DELLA LIGURIA ricerche contiene l’articolo del dotto barnabita che è quegli — giova ricordarlo — che rivendicò al Colombo la scoperta della « declinazione magnetica » (i) ma a noi basterà desumerne questo : ch’egli pure s’associa al Fiorini ed al Marinelli nel respingere l’origine catalana del prototipo cartografico e le loro ragioni conforta con accurato esame dei passi lulliani succitati i quali rivelano: i° che le carte nautiche erano di uso abituale quando Raimondo Lullo ne faceva parola ; 2° che il Lullo storpiatore de’ nomi dei venti che son d’origine eviden-' temente italiana, era delle cose marinaresche meno dotto e pratico di quello che il Nordenskiold lo creda, onde, concesso per un momento che il prototipo cartografico fosse catalano, non potrebbe in ogni modo, essere a lui attribuito. Ed ora sì che la parola è veramente ai lettori. Guido Bigoni CASOLA DI LUNIGIANA SOTTO IL DOMINIO DE’ LUCCHESI. Casola di Lunigiana risiede nell’ estremo lembo meridionale dèli’ appennino di Mommio, sopra un piccolo rialto pianeggiante, bagnato a oriente dal Tassonara e a occidente dal-l’Aulella; e si trova tra il grado 270 di longitudine e 440 12’ di latitudine. Lo Zuccagni-Orlandini così la descrive: « il giro delle sue vecchie mura castellane era angusto, ma duplice. L’antico castello ebbe a difesa due rocche ; una di queste serve ora di pubblico orologio e di campanile alla parrocchia. Contiguo era un bastione, che fu ridotto a giardino. La chiesa è di mediocre grandezza, ma fregiata di marmi ; ha lateralmente due piazze. Di decente aspetto sono i fabbricati; ben selciate e pianeggianti le vie. Una gora ricinge il sobborgo, posto su pendice inchinata » (2). Il Repetti, che pure la de- mio caro collega B. Frescura ha trattato a lungo l’argomento e sostenuta, contro il Bertelli, l’opinione del Puini: cioè che i Cinesi conoscessero la declinazione prima e certo indipendentemente dal Colombo. V. in dette note anche la lettera dello stesso Puini. (1) V. la memoria speciale in Voi. n; Parte iv; Cap. in della Raccolta Colombiana. (2) Zuccagni-Orlandini A. Corografia fisica, storica c statistica dell'Italia e delle sue isole ; ix, 758. GIORNALE STORICO E LETTERARIO DELLA LIGURIA scrive, è più ricco di particolarità. « Casola » (son sue parole) « conserva tuttora dal lato meridionale un resto delle sue mura castellane e una porta all’ estremità del borgo maggiore, fiancheggiato da mediocri abitazioni ; mentre nklla parte settentrionale esisteva un fortilizio a guisa di torre rotonda, sulla quale fu innalzato in forma ottagona un massiccio campanile. Poco lungi di là è la chiesa parrocchiale di S. Felicita, riedificata nel secolo xvm, a tre navate, con tre altari di marmo, bensì con poca castigatezza di disegno e minore solidità, talché la sua soffitta e tribuna minacciano rovina dopo una lieve scossa di terremoto, sentita nel 1817 » (1). Il 15 gennaio del 1820 il verde-ghiaccio quasi sperperò i ricchi oliveti di Casola. Furono 4316 le piante svelte, o rotte sulle ceppale; 5402 gli olivi spogliati affatto dei rami; 18,202 quelli in parte privati dei rami (2). Il terremoto dell’11 aprile 1837 le recò un incalcolabile danno. La maestosa guglia del vicino Pizzo d’Uccello fu veduta scuotersi con incredibile impeto e scagliare lungi da sè le sue nevi (3). Casola è il capoluogo : il Comune si spartisce in otto Frazioni, ciascuna delle quali forma parrocchia, e sono : Argigliano (S. Maria Assunta, rettoria); Casciana Petrosa (S. M. Assunta, rettoria); Codiponte (SS. Cornelio e Cipriano, pieve); Lusignano (S. Martino, rettoria); Offiano e Castiglioncello (S. Pietro, pieve); Regnano (S. Margherita, rettoria) ; Reusa (S. Bartolommeo, rettoria); e Uglian-caldo (S. Bartolommeo, rettoria). L’ intiero Comune contava 2062 abitanti nel 15 51, che scesero a 1874 nel 1745. Erano 2568 nel 1833; e 2584 nel 1845. Ora sono 3608 (4). Il Repetti ritiene che « la più antica memoria superstite » di Casola sia « quella indicata da un placito dato in Guastalla il 26 ottobre 1105 dal cardinale Bernardo degli Uberti, Legato pontificio in Lombardia, che concede in commenda all Abate di Canusio la chiesa e monastero di S. Michele in Monti della diocesi di Luni, previo il consenso dei figli di Bosone e dei nipoti di Rodolfo da Casola, con tutti i beni e le chiese dipen- (1) Repetti E. Dizionario geografico, fisico, storico della Toscana ; i, 514. (2) Calendario Lune se per V anno 1835; pp. 70-72. (3) Gargiolli G. Terremoto nella Lunigiana ; nel Giornale agra7~io tosca?io ; volume xi (1837), pp. 207-216. ^4) Lettera del Sindaco di Casola del 14 marzo 1900. 172 GIORNALE STORICO E LETTERARIO DELLA LIGURIA denti da quel monastero, fra le quali si notano la chiesa di S. Prospero a Monzone e di S. Giulia a Noceto sopra Ba-gnone » (i). Di più, aggiunge: « il castello di Casola sino dal 1275 era dominato dai Marchesi Malaspina del ramo della errucola di Fivizzano, e fu loro tolto dai Lucchesi, i quali sul principio del secolo xv destinarono Casola capoluogo di una Potesteria, siccome lo provano alcune lettere scritte nel 1404 a Paolo Guinigi, Signore di Lucca, da Giovanni Serniccolai Potestà di Casola. Ai Lucchesi subentrarono in Casola i Fiorentini allorché nel 1429 mossero guerra al Guinigi, e tosto aggregarono questo paese al Vicariato di Fivizzano, di cui Casola seguitò i destini » (2). E quanto, fino a qui, si conosce della storia di Casola; del resto, assai modesta. Nello Statuto di Lucca del 1308, tra i paesi che, in segno di riconoscimento e di soggezione verso la Repubblica, dovevano mandare, ogni anno, una rappresentanza alla processione di S. Croce e offrire un cero al Volto Santo, si trova Casola, la quale allora formava Comune insieme con Novella, e da Lucchesi era detta oltre giogo ; denominazione che si estendeva alle quattro terre garfagnine di Novella stessa, di Pugliano, di Albiano e della Pieve S. Lorenzo. « Comune Albiani » (cosi lo Statuto), « Comune Pulliani, Comune plebis Sancti « Laurentii, Comune Casole et Novelli, que Comunia sunt ultra « giovam (sic), unum candelum librarum quindecim » (3). Dopo la morte di Castruccio, Casola tornò in potere dei Malaspina, e rimase nelle loro mani fino al principio del 1372; nel qual anno, il giorno 21 aprile, i sindaci di essa iecero solenne atto di sommissione e giurarono obbedienza ai Lucchesi; 1 quali per dieci anni la esentarono da ogni onere reale e personale e le accordarono altri privilegi (4). Venne incorporata alla Potesteria di Minucciano, ma diventò il capoluogo, giacché il Potestà fece di Casola la sua ordinaria residenza, e in Casola tenne il suo tribunale, sia per le cause civili, sia per (1) Repetti E. Supplemento al Dizionario ; p. 57, (2) Repetti E. Dizionario cit.; 1, 514. (3) Memorie e documenti per servire alla storia di Lucca ; tom. in, part, in, p. 40. (4) Documento 1. GIORNALE STORICO E LETTERARIO DELLA LIGURIA I 73 quelle criminali. Il più antico registro de’ suoi atti comincia col giorno 23 luglio 1376 e ha questo titolo: In nomine Domini, amen. Hic est liber, sive quaternus Curie Caxulis, Minucciani et Comunis plebis Sancti Laurentii reclamorum solennium et simplicium, intesimentorum, inquisicionum, requisicionum, processuum, responsionum, oppositionum predictarum et relationum predarum, condepna-tionum et aliarum quam plurium diversarum scripturarum Curie Potestarie terrarum ultra giugum ultimorum sex mensium A. N. D. partim in Mccclxxvj et partim in Mccclxxvij, partim indicione xiiij et partim indicione xv, diebus, horis et mensibus infrascriptis, scriptus manu mei Johannis filii Nicolosii Bartholomey de Luca notarii et Potestatis Caxuli, Minucciani et aliarum terrarum ultra jugum pro Comuni et Populo civitatis Lucane. La Potesteria adunque non pigliava il suo nome nè da Mi-nucciano, nè da Casola, ma si diceva delle Terre oltre giogo; il che è confermato anche dal secondo registro, che incomincia col 3 agosto del 1378. Ne trascrivo il titolo perchè ha delle particolarità degne di nota. Adsit principio Virgo Beata meo. In nomine Domini, amen. Hic est liber reclamorum solepnium, libellorum, licentiarum, predarum et aliarum dependentium receptorum ex officio Curie Potestatis Potestarie Terrarum ultra jugum prò tempore ultimorum sex mensium anni Domini Mccclxxviij, indictione prima, inceptorum kal. julii et finiendis in kal. januarii proximi venturi, tempore mey Nicolay Colucci Upethini de Petrasancta Potestatis dictarum Terrarum ultra jugum pro Populo et Comuni Lucano, et scriptus per me Nicolaum Potestatem suprasriptuin, per ordinem ut inferius continetur. Que quidem Curia detinetur et residet in terra Casule, in domo Jacobi Amati de Casula, iuxta domum Valentini Pinelli, viam publicam et iuxta domum domine Margarite relicte Actolini de Casola predicta. La curia venne poi trasferita « in domo Valentini Pinelli « de Casuli, que coheret ab una parte muro castellano, ab « alia domo Jannis Cecchini, ab alia via publica ». Tra gli altri ne fu Potestà Francesco Ser Stefani de Massa Lunense, nel primo semestre del 1390; il cui figlio Leonardo lasciò manoscritto un curioso libro di ricordi, che si conserva nell’ Archivio Capitolare di Lucca (1). Verso la fine del secolo xiv al Potestà di Casola, o per (1) Sforza G. Saggio d' ima Bibliografia storica della Lunigiana ; part, u, n. 175. 174 GIORNALE oi'ORICO E LETTERARIO DELLA LIGURIA meglio dire delle Terre oltre giogo, vennero tolte le cause civili ; e di queste, d’ allora in poi, sentenziò il Vicario di Cam-porgiano. Ma Paolo Guinigi, Signore di Lucca, avvistosi come fosse troppo grave a quegli abitanti il doversi trasferire, « prò « qualibet re minima ad causas civiles spectante », a Campor-giano, « ordinò, il 14 novembre 1404, che il Potestà di Casoli « potesse definire di nuovo le cause civili fino alla somma di « dieci lire ; anzi nel progresso del tempo gli fu concessa auto-« rità assoluta sopra tutte le cause civili vertenti tra gli uomini « della Potesteria, ed anche giurisdizione in materia criminale « alquanto maggiore che agli altri Potestà » (1). Scoppiata la guerra tra Firenze e Lucca, Casola fu occupata dal Marchese Antonio Alberico Malaspina di Fosdinovo nel 1437; e i Lucchesi non la riebbero mai più, giacche dalle sue mani passò in quelle de’Fiorentini, che l’aggregarono alla loro Vicaria di Fivizzano (2). Gli atti criminali del Potestà di Casola, durante la dominazione lucchese, terminano col giugno del 1434 ; quelli civili col giugno del 1436, (3). Hanno questo di singolare: alcuni sono scritti in lingua volgare. Ne copio i titoli, serbandone con fedeltà l’ortografia. A.) In nomine Domini, amen. Ad reverenda et honorem Omnipotentis Dei salvatoris nostri, et gloriose Virginis Marie, et venerabili Vultus Sancti de Luca et gloriosi confessores Sancti Martini et Beati martiris Sancti Paulini (4). In questo libro che hrise io Sandoro de Flammi da Luca al prezente potestà di Casola oltral giovo eletto per mesi vj seguentis cioè incominciando a di primo Luglio anno Mccclxxxxj infine a di ultimo dicienbre quelle cose chessi aparterra a schrivere come per innanti si troverà. In-4.0 di cc. xxiiij. Va dall’ 8 luglio al 22 dicembre I391· B.) Al nome di Dio ame. Questo e lo libro delli richiami e piati che si farano perlla Podestaria di Casoli otra giovo per vj mesi eoe cornicando a di primo luglio in 1392 e finendo in calende gienaio sic chôme dira apresso cioè in tempo di Johanni Tedaldini Podestà per lo Comune di Luca. In-4.1’ di cc. 24. Va dal 6 luglio al 9 dicembre 1392. (1) Bongi S. Inventario del R. Archivio di Stato in Lucca; II, 384. (2) Tommasi G. Sommario della Storia di Lucca; p. 324 e 331. (3) Si conservano nel R. Archivio di Stato in Lucca. Quelli civili son compresi in 31 volumi ; in 40, quelli criminali. (4) Gli spropositi di grammatica son farina del Potestà Flammi, che forse s’indusse a scriver gli atti in volgare, visto e considerato che la lingua latina non era il suo forte. GIORNALE STORICO E LETTERARIO DELLA LIGURIA 175 C.) Quaderno di condanagioni fate per me Johanni Tedaldini Podestà di Casoli et tere utra giovo per li seghondi vj mesi eoe cornicando in calende luglio ano di Mocci xxxxij. Vacchetta in · 4.0 di cc. 8 n. n. Va dal 30 dicembre 1392 al 15 gennaio 1393. D.) Mccclxxxxrij. Questo libro e quello della Corte di Casoli dell’anno soprascritto per li primi sei mesi inchomicando a di primo gienaio per mano di Horso Johanni Ser Orso di Luccha Podestà per lo Comune di Lucca di Casoli predetto etc. Vacchetta di cc. 38 n. n. Va dal lo gennaio al 28 giugno 1393. E.) Mccclxxxxmj chominciando in chalende gennaio. Richiami fatti per la Chorte della Podesteria di Casori oltra giova in tempo di me Johanni Pargbia Podestà in ditto luogho per lo Chomune e popolo della città di Lucha in del nome di Dio amen. In-4.0 Va dal 9 gennaio al 23 giugno 1394. F.) Libro de segondi sei mesi della Podesteria di Chasoli anno Mccclxxxxv fatto per Agustino da Chiatri. In-4.0 di cc. 14. Va dai 9 luglio al 10 dicembre 1395· G.) 1396. Al nome di Dio amen. In questo libro scriveroe io Paulo Ser Nicolozi Micheli Podestà di Chasole terre oltra giovo per lo Comune di Luca per li primi sei mesi 1396 tucti richiami, liti et chistioni che verranno per li sopra scritti sei mesi come diroe apresso. In-4.0 di cc. 24. Va dal [5 gennaio al 19 giugiio 1396. Salvatore Bongi nel 1890 mise fuori un « saggio di lingua parlata nel Trecento », cavandola da’ « libri criminali » del-l’Archivio Lucchese; e raccolse le « ingiurie », gli « improperi » e le « contumelie » che si trovano scritte in volgare ne’ processi compilati in latino (1). Tra’ libri criminali a cui attinse, vi furono anche parecchi registri della Vicaria di Massa di Lunigiana, la quale era allora sotto il dominio della Repubblica di Lucca. La lingua viva che il Bongi cavò da’ registri massesi era veramente la lingua che nel Trecento sonava in bocca agli abitanti di Massa? La sostanza della lingua era quella, ma la sua forma genuina, nel passaggio che faceva sulla penna del notaio, il quale salvo poche e rare eccezioni era un lucchese, pigliava il colorito del parlare lucchese e perdeva le sue ori- li) Bongi S. Ingiurie, improperi, contumelie ecc. Saggio di lingua parlata del Trecento cavato dai libri criminali di Lucca ; nel Propugnatore, di Bologna, nuova serie, voi. in, fase. 13-14, gennaio-aprile 1S90, pp. 75-134. 176 GIORNALE STORICO E LETTERARIO DELLA LIGURIA ginarie fattezze. Questi brani sono dunque un’ ottima fonte per chi voglia attingervi la lingua che si parlava a Lucca nel Trecento, ma non per chi voglia studiare la lingua che si parlava a Massa in quel secolo. Lo stesso, anzi maggiormente, è da dirsi de’ registri di Casola. La lingua di que’ registri è la lingua che parlavano e scrivevano nel Trecento i suoi Podestà, non è la lingua che parlava il popolo di Casola. Massa di Lunigiana, 10 marzo 1900. Giovanni Sforza DOCUMENTI. I. 1373, xr, api-ile, 21. Il Comune e gli uomini di Casola ■prestano obbedienza alla Repubblica di Lucca. [R. Archivio di Stato in Lucca. Consiglio Generale, Riformagioni pubbliche, registro 4, carta 59 tergo e 60.] Anno Domini mccclxxiij, indictione 11, die XXI aprilis. Juramentum illorum de Casoli. Costituti in presentia magnificorum virorum dominorum Antianorum et Vexilliferi— Luce.... in sufficienti numero congregatorum, Cecchinus Fagiuoli Guassus ser julii Alduynus Cecchini Vannes Ugolini Ceccbus Ursarelli, omnes de terra Casoli, sindici et procuratores universitatis dicte terre Casoli, habentes, ut dixerunt, publicum, generale ac solenne mandatum ad infrascripta omnia et alia, scripta manu providi viri Ser Lapi de Pistorio notarii, scripta hoc presenti anno et mense aprilis, tamquam sindici et procuratores dicti Comunis et sindicario nomine ipsius universitatis et Comunis Casoli, ac etiam suis propriis et privatis nominibus tamquam singulares persone dicte terre ; et Juncta Venturi et Symon Talenti de dicta terra Casole, suis propriis et privatis nominibus, omnes, nominibus antedictis, sponte et ex certa scientia, nullo errore ducti, sed potius animati fervore devotionis et obedientie civitatis Lucane, quam matrem et dominam recognoscunt et dudum recongnoverunt sicut veri comitativi districtuales comitatus Lucani, iuraverunt corporaliter sigillatim ad sancta Dei evangelia, manu tactis corporaliter scripturis, in manibus honorabilis viri Johaunis Mingogii Vexilliferi Justitie Populi Co- GIORNALE STORICO E LETTERARIO DELLA LIGURIA 177 munisque Lucani, recipientis vice et nomine Popnli et Comunis Lucani collegii dominorum Antiaiiorum presentium et futurorum, se esse perpetuo, prò se ipsis et suis heredibus et quibuscumque terrigenis dicte terre Casoli presentibus et futuris, fideles, devotos et obedientes Populo et Communi Lucano et dominis Antianis et offitialibus ipsius Communis Lucani ; et tenere, salvare et custodire dictam terram Casoli, cum suis villis, ad obe-dientiam et mandatum Populi et Comunis Lucani, et non permittere tacite vel expresse quod dicta terra Casoli, ville et ejus pertinende submittantur occupentur ab aliqua persona, communi, collegio vel universitate quacumque dignitate et nomine fungentibus, sed potius ipsi et heredes ipsorum se opponent, contradicent et decertabunt, posposito timore perditionis bonorum et personarum ipsorum, ut ipsa terra in obedientia et fidelitate Populi et Communis Lucani perpetuo perseveret. Et quod ipsi et quilibet ipsorum perpetuo favebuut et assistent offitiali et castellano, deputatis et deputandis pro Comuni Lucano, in omnibus que erunt honoris et status Populi et Comunis Lucani, et mortem aut perditionem membri alicuius ipsorum non consentient, aut expulsionem et captionem ipsorum qui minime resistent et notum facient eisdem et dominis Antianis quam citius fieri poterit ; et tractabunt et tenebunt amicos Lucani Populi et Comunis pro amicis, et inimicos pro inimicis ; et generaliter omnia alia et singula pure et fideliter facient, dicent et observabunt et adimplebunt que alii fideles et devoti quarumcumque aliarum terrarum et locorum suis dominis et civitatibus observare tenentur de probatissima consuetudine ac de jure, sub pena proditionis rebellionis ac exterminii loci illius. Quae omnia et singula ipsi et quilibet ipsorum, nominibus antedictis, bona fide, sincero zelo et sine fraude facere et observare promiserunt et iuraverunt, remotis hodio, amore, timore, pretio, precibus, lucro, danno suo vel alieno, ac etiam partialitate et omni animositate posposite; et insuper promiserunt predicta omnia ra-tificari facere per publicum istrumentum in eorum parlamento et publico consilio infra mensem, presentandi cancellarie dominorum Antianorum, sub pena florenorum centum auri. Actum Luce in palatio de cortina residende dominorum Antianorum et Vexilliferi suprascriptorum, etc. Ego Nicolaus filius Ser Opithii Dombellinghi de Luca, imperiali auctoritate iudex ordinarius atque notarius et nunc cancellarie Lucani Comunis pro ipso Lucano Communi cancellarius, prediciis omnibus publice me subscripsi. II. 1391, luglio 8-22. Saggio degli atti civili della Potesteria di Casola scritti in lìngua volgare. [R. Archivio di Stato in Lucca. Potestà di Casoli oltre giogo, registro n. 6.] Gior- St. e Lett. della Liguria I2 178 GIORNALE STORICO E LETTERARIO DELLA LIGURIA -f- Anno MCCCLXXXXi. + A di vili luglio. Iacopo Amati di Chasoli si richiama di Stefano Ciecchini da gugliata. Fatto richiamo per Iohanni Messo a di XIII Luglio per di X. A di x compariono le lj parti a ora competente. Lo soprascritto Iacopo dicie avere comprato lerba che e chresciuta questo prezente anno in sue uno prato del ditto Stefano, posto lo ditto prato in del territorio.... (i) in luogho ditto a prugneto. Le ditte parti funno dacordio avere ciascheduno la meta. A di x Luglio. Piero da Pugliano si richiama di Giettino dalbiano. Fatto lo richiamo per Iohanni messo a di x luglio per di xj. A di xj luglio compariono le ij parti a ora competente. Lo soprascritto piero debbia avere dal ditto gettino fiorini xiii et grosetti' xxvi per resto di fiorini xim e grosetti xxvj per vendita fatta al ditto Giettino di staja di xvlij di grano di formento per grossetti xxxi lo staio;, e lo ditto giettino confesso. Dato termine a di x prossimo a pagare a di xxiiij luglio, pagho lo ditto Giettino al ditto piero in mia prezensia fiorini xllj doro et grossetti xxvi. A di xxij luglio. Antonio.... (2) da Sermezzana si richiama di Micho di Guiglielmo da Sermezzana. Fatto lo citamento a di xxjj luglio per Johnnny messo per di xxiiij luglio. In MCCCLXXXXJ. A di XI luglio. Guido d upessino dalla pieve sancto lorenzo venne alla Corte dinanzi da me diciendo chôme avea ricievuto danno e guasto da cierte bestie grosse intorno di numero Yl intralle quali diciesse uno vicino in uno suo campo aratorio la vera formento in dello territorio del Comune d Argiola a suo parrere. A di (3) luglio feci venire alla corte Petro Guiducci dargiola e consolo del ditto Comune, e iuro che non funno suoi bestie. E poi feci giurare delli homini del ditto Comune: non trovammo neuno che sapiesse di chui fusseno quelle bestie. Ancora a di vi Ogosto mandai lj Iurati, ciò funno 1’ uno Martino Vannuccio da Bugliatico e l’altro Pinotto da Rensano, a stimare lo ditta danno. Raportorno intorno mezzo stajo a questa misura, che verre circha uno stajo al luchese. (x (2) e (3) Lacune del testo originale. GIORNALE STORICO E LETTERARIO DELLA LIGURIA A di xxi.T luglio. Antonio da Sermezzana richiese che io faciese citare dinansi da noi Micho di Guilielmo da Sermezzana. Ditto di xxij luglo Iohanni messo ra-porto avere citato lo detto Micho per di xxiu luglio. Contumaci li detti due. NUOVA RACCOLTA DI DOCUMENTI GENOVESI V. Fra i documenti veneziani, dei Misti-Senato, che in gran numero il Jorga ha riprodotto, o riassunto, ve ne hanno alcuni, che parlano di Genova e della sua politica e che servono a colmare alcune gravissime lacune delle fonti e degli archivi genovesi. Verremo enumerando ed illustrando brevemente quelli fra essi che presentano maggior importanza, segnalando anche i pochi documenti genovesi che, frammisti a questi, sono stati pubblicati dal collettore. i° — Nell’anno 1401, allorché Costantinopoli pericolava, minacciato dai Turchi, il Senato veneto deliberava di concedere a Francesco Foscarini, vice bailo a Costantinopoli, la facoltà di trattare un’ alleanza coi Genovesi di Pera per la difesa della città. Ciò avveniva quasi alla vigilia di quella famosa battaglia d’Angora nella quale il sultano turco, Bajazet, cadde prigione di Tamerlano (pag. 106). 20 — Nel medesimo anno, un genovese, Giacomo de Orado, riferisce ai magistrati veneziani di Creta alcune notizie da lui apprese nel suo viaggio a Costantinopoli e ricorda che di comune accordo Greci, Veneziani e Genovesi trattavano di pace coi Turchi. Ambasciatore genovese era Kirsus (Ouirico?) de Tadeo, che a nome dei Peroti aveva offerto una somma annua di 5000 iperperi, non prò tributo, sedprò dono. Aggiungeva anche che una galea genovese aveva condotto a Pera due ambascia-tori di Tamerlano, uno dei quali era un frate francescano, ad invitar quei coloni a non far pace, promettendo che Tamerlano post colectionem bladorum avrebbe senza fallo mosso guerra ai Turchi. Il genovese ignorava però la risposta che i Peroti avevano dato. (Veggasi a questo proposito ciò che fu scritto nelle mie Relazioni in Atti cit., pag. 725). ΐ8θ GIORNALE STORICO E LETTERARIO DELLA LIGURIA 3° — Ad un’ ambasciata dell’ impe Emanuele, che chiedeva 1’ aiuto della Repubblica nella guerra contro i Turchi e la sua mediazione, insieme a quella di Genova, presso il Re di F rancia, i Veneziani rispondono che, se Genova e il re di Francia faranno qualche cosa a vantaggio dell’impero, anche i Veneziani faranno altrettanto (pag. 118-119). 40 — Un piccolo gruppo di documenti si riferisce alla breve campagna navale, fatta di comune accordo fra i Genovesi e i Veneziani nel 1403 per la difesa di Costantinopoli contro i Turchi, durante 1’ assenza dell’ imperatore venuto in occidente a cercar soccorsi; ed alla fiera lotta scoppiata fra Genovesi e Veneziani per opera del Boccicaldo, e terminata, dopo lo scontro di Modone, colla mediazione di Amedeo Vili. (Vedi il mio Scontro di Modone in Riv. Mariti., Nove 1897). Di questi documenti sono specialmente notevoli, un’ offerta di mediazione fra le due repubbliche, fatta dall’ imperatore greco, dopo le prime violenze genovesi nelle acque di Cipro (1402); e una deliberazione del Senato contro il gran Maestro di Rodi, i cui Cavalieri avevano aiutato il Boccicaldo nelle sue imprese piratiche a danno di Venezia (pag. 131 e 142). 50 — Alcuni processi, fatti a Venezia contro i sopracco-miti Bertuccio Diedo e Zanachi Cornaro dimostrano che questi due capitani, imitando Γ esempio dei Genovesi, dopo la rotta toccata a Bajazet per opera di Tamerlano, spe lucri et utilitatis consequendae, traghettarono sulle loro galee un certo numero di Turchi. Di guisa che 1’ accusa, rivolta ai Genovesi, d’ aver tradito gli interessi cristiani, viene ora ad estendersi anche ai Veneziani (pag. 134 e 140). 6° — A proposito dell’occupazione di Tenedo, che si diceva fatta, o tentata dai Genovesi nel 1406 e che i Veneziani volevano invece per loro conto occupare, troviamo rigorose istruzioni al vice capitano del golfo Giorgio Loredano, e calde discussioni in Senato, dalle quali traspira tutta 1’ animosità di Venezia contro Genova, colla quale in quel tempo ancora era in lotta, diplomatica se non militare, per il fatto di Modone. Anzi, invitata dall’ imperatore greco a provvedere d’ accordo con Genova alla difesa di Costantinopoli, la Signoria risponde che non le sembra nè conveniente, nè onesto aprire nuove trattative, mentre ancora pende un arbitrato per le antiche ingiurie; GIORNALE STORICO E LETTERARIO DELLA LIGURIA I 8 I e poco dopo (1409) fa scortare le sue galee di Romania metu Januensium (pag. 150, 156, 174). 70 — Notevole, fra i pochi documenti genovesi, un ordine del luogotenente del Boccicaldo, per esonerare Emanuele Cri-solora, ambasciatore greco, che si trovava a Genova, dalle tasse di compera dei cavalli (a. 1408, pag. 162), e una efficace descrizione di quella fin qui poco conosciuta battaglia, vinta dai Genovesi nelle acque di Alessandria nel 1411 contro i corsari catalani, comandati da un tal Fugazoto. Le poche notizie dateci dallo Stella sono ora largamente arricchite dal nuovo documento, che pur troppo, il Jorga ha nella massima parte riassunto, e solo riportato integralmente per brevissimo tratto (pag. 202-203). 8° —- Assai strana è una lettera scritta, a nome di Teodoro di Monferrato, signore di Genova, nell’anno 1412, all’imperatore Sigismondo per invitarlo a scendere in Italia per poi procedere contro gli Infedeli. È una tirata retorica, nella quale si evocano i ricordi delle aquile vincitrici di Pirro e di Annibaie, e le memorie delle conquiste di Alessandro (pag. 204-205). 90 — Estranea all’ argomento delle Crociate, ed agli affari d’Oriente, ma tuttavia meritevole d’attenzione è una circolare dello stesso marchese Teodoro (a. 1412) a tutte le autorità rivierasche, per avvertire che da Bugia erano giunte notizie dell’ armamento di quattro fuste corsare dirette in Riviera e comandate da un rinnegato, il quale aveva promesso all’emiro di portargli una settantina di signore genovesi, ita qitod illa quae se recatabit minus, recatabit se decem millia fiorenos. Lo strano è che il governo raccomanda, specialmente alle monache, di vigilare notte e giorno, ma non accenna a provvedimenti militari presi per sorprendere e debellare i pirati (pag. 207-208). io0 — Pochi anni dopo (1416) l’imperatore di Trebisonda reca grave offesa ai Genovesi, sorprendendo il castello di Trebisonda, da loro occupato: e s’ha una deliberazione degli Anziani e dell’ Ufficio di Previsione per vendicare 1’ affronto rice-cevuto ; oltre a parecchie notizie intorno a quella guerra (pagine 224 e 268). Come è noto, fu mandato colà con alcune galee Cosma Tarigo, il quale colle minacce ottenne dall’imperatore, che era Alessio IV, la promessa d’ una indennità in denaro e in merci ; ma non essendo stata pagata in tempo utile, si venne i82 GIORNALE STORICO e LETTERARIO DELLA LIGURIA ad un arbitrato fra Genova e l’imperatore, che fu condannato al pagamento (pag. 272 e seg.). ii° — Oltre a molti e interessanti documenti sulla campagna navale di Pietro Loredano nel 1416 (che però non interessano Genova), si ha nel 1417 un disegno di alleanza navale contro i Turchi, alla quale avrebbero dovuto prender parte i feudatari genovesi di Chio e di Lesbo, ciascuno con una galea (pag. 259). 12° — A proposito della caduta di Tana per opera del Khan Kerimberdi nel 1418, fa capolino 1’ accusa contro i Genovesi, che avrebbero tradito i Veneziani, appiccando o almeno diffondendo l’incendio alla città (pag. 279, nota). 130 — Lettera dei Protettori del Banco di S. Giorgio al re di Cipro (agosto 1468) per eccitarlo a saldare i suoi debiti verso la Maona di Cipro, e per metterlo in guardia contro i pravi consigli di coloro che lo eccitano a non pagare (pag. 283-84). 140 — Nell’anno 1423 merita menzione un decreto col quale viene proibita l’importazione di qualsiasi mercanzia nel regno di Tunisi senza una speciale licenza, che non potrà essere rilasciata se non direttamente dal governatore di Genova (pag- 349)· 150 — Nel successivo anno troviamo un decreto del governatore e dell’ Officium Romaniae, che provvede alla nomina di alcuni magistrati nelle colonie di Crimea, di un console a Simisso, di uno a Sinope, di un custode della darsena a Caffa etc. Altre lettere contengono parecchie notizie importanti sulle colonie d’ oltre mare, sul mercato degli schiavi etc. Notevole sopra tutte un’ istruzione data a Jacopo Adorno, potestà a Foglie Nuove (Focea), perchè si faccia mediatore di pace fra il sultano e l’impero greco, per timore che, abbandonato a se stesso, l’imperatore possa cedere Costantinopoli ai Veneziani. Allo stesso anno appertengono altresì alcune lettere circolari inviate ai capi delle colonie genovesi del Mediterraneo, perchè si guardino dall’armata catalana, uscita in corso coll’intenzione evidente di danneggiare i possedimenti della Repubblica (pag. 354, 359, 361, 369). 160 — A questo stesso gruppo di documenti appartengono due lettere del duca Filippo Maria Visconti, signore di Genova; l’una diretta all’ imper. Giovanni per protestare contro certe violenze commesse dai sudditi greci a danno dei Peroti, e 1’ altra ai Peroti per invitarli a non sopportare violenze dai Greci, ma GIORNALE STORICO E LETTERARIO DELLA LIGURIA 183 a comportarsi verso l’imperatore con moderazione e riguardo. A queste due lettere se n’ aggiunge poi un’altra del governatore di Genova al podestà di Pisa, raccomandandogli di servare pacem et quietem sine derogatione tamen iurium Communis Janue (pagine 357-380). . 170 — Un altro gruppo di documenti genovesi si riferisce per gli anni 1425 e 1426 alle solite trattative col re di Cipro per indurlo a pagare, ed alla liberazione di alcuni genovesi, fatti prigionieri dagli Egiziani nell’ assalto di Cipro nel 1425. Più tardi, quando il re si rivolse per aiuto ai Genovesi, essi abilmente si schermirono, e solo, quando il re Giano fu vinto e portato prigione in Egitto, Genova s’indusse a mandare una nave a Famagosta; e poi con una retorica lettera ai cardinali, deplorò che nessuno lo avesse aiutato! Irrisione della politica! E anche dopo la liberazione del re; non si sapeva far altro che mandare cento soldati e un commissario con facoltà di trattar la pace fra lui e il Sultano. E si noti che quegli stessi Genovesi, che così scrivevano ai cardinali, permettevano ai loro concittadini della Maona di Chio di armare galee in servizio dei Turchi, tanto che nelle istruzioni al capitano generale Fantino Michiel (pag. 393) il Senato veneto gli imponeva di invitare i Genovesi ad abbandonare 1’ assedio di Psili, che essi avevano intrapreso per conto del sultano, e in caso rifiutassero di trattarli come nemici (pag. 393, 417, 421, 435, 444,448,457, 533). 180 — Alla storia delle relazioni di Genova con Cipro appartengono anche numerosi altri documenti dell’ anno 1428, per la liquidazione dei debiti contratti dal re Giano colla Maona Nuova; il re oppresso da tante calamità; chiedeva una proroga, e il suo debito, consolidato in 150.009 ducati, fu convenuto dovesse estinguersi in dieci anni, in rate progressivamente crescenti (pag. 466 e seg.). 190 — Numerosissime lettere del governo genovese al console genovese a Tunisi, od ai magistrati tunisini, ci fanno conoscere una serie di piccoli avvenimenti, di contestazioni, di questioni commerciali, di interessi vari. Notevoli, fra le altre, le lettere scritte in favore di un tal Vernazza, infaticabile liberatore di schiavi, arrestato poi in Inghilterra sotto 1’ accusa di falso (pag. 469, 484, 498, 501, 530, 538, 555, 556, 559, 564, 567 e seg. 567, 571). 184 GIORNALE STORICO E LETTERARIO DELLA LIGURIA 20° — Merita speciale attenzione una protesta del re Giovanni di Caatiglia contro i mercanti genovesi che soccorrono di armi e di viveri i Mori, coi quali egli combatte, e una velata minaccia di sospendere le franchigie di cui godono i genovesi nei suoi stati, se il governo continuerà a tollerare qnesta palese e vergognosa violazione delle promesse (anno 1431). Il governo risponde promettendo di provvedere, ed emana un un decreto pel quale viene ordinato ai consoli genovesi di Siviglia di sospendere ogni commercio coi Saraceni di Granata. Alla loro volta i Genovesi reclamano per certe violenze commesse dai Castigliani (pag. 539-545). 2i° — Veramente poco onorevole per le nostre repubbliche, e sintomo evidentissimo della loro decadenza, è una lettera del governatore di Genova, scritta a nome del Visconti e del provveditore di Romania, per indurre Murat, sultano dei Turchi, ad impedire con tutte le sue forze, per vantaggio comune, le fortificazioni di Tenedo, che i Veneziani avevano in animo di costruire per impedire il fatale e minaccioso dilagare della marineria turca nell’Egeo. I Veneziani vi sono dipinti eome violenti e superbissimi. L’ ambasciatore che il governatore manda a Murat, Benedetto Folco di Forlì, ha incarico di esporre oratenus multa quae literis mandari non possunt. « Questa lettera del 31 Ott. 1431, è seguita da molte altre nelle quali il governo di Genova apertamente annunzia ai suoi agenti e governatori d’aver contratta un’alleanza coi Turchi a danno di Venezia, e si invitano a rivolgersi al sultano in caso di pericolo. Di questa alleanza, durante le ostilità Veneto-Genovesi, che erano poi un episodio della grande lotta fra il Visconti, signore di Genova, e Firenze e Venezia insieme collegate, noi non avevamo quasi notizia; ed ora grazie a questi documenti ci si svela tutto un lato, certamente non bello, della diplomazia vi-scontea-genovese, che non isdegnava neppure (alla vigilia della caduta di Costantinopoli!) d’invitare l’imperatore greco a prendere le armi contro i Veneziani per la riconquista di Creta, di Modone, di Corone, etc. (pag. 546-551). A tutti è noto 1’ esito che ebbe questa guerra, il mancato assalto di Chio, fatto dai Veneziani, 1’ attacco di Corfù fatto dai Genovesi e così pure il saccheggio di Andro, di Naffo etc. Ma GIORNALE STORICO e LETTERARIO DELLA LIGURIA è strano, ed al tempo stesso doloroso, che in una lettera del governo genovese al Visconti, si ricordi con compiacenza 1' aiuto dato dai Turchi ai Genovesi per la liberazione di Chio (pag. 552). 22° — Sommamente notevole è la lettera che i Genovesi scrissero nel 1434 al pontefice Eugenio IV, per scagionarsi dell’accusa di far commercio di schiavi coll’Egitto. I Genovesi ammettono di aver concluso dei trattati pel commercio degli schiavi; ma narrano le minute precauzioni che si prendono per impedire che i cristiani cadano nelle mani degli Infedeli. Narrano, fra le altre cose, che il vescovo di Caffa, prima che le navi cariche di schiavi escano dal porto, interroga ad uno ad uno quegli infelici, e se ne trova dei cristiani, o disposti a convertirsi, li fa sbarcare e vendere ad un padrone cristiano (!) (pag. 566). VI. Nel secondo volume del professor Jorga sono raccolti i documenti o i sunti dei documenti, relativi alle Crociate, trovati negli Archivi di Napoli, di Firenze, di Roma (Vaticano), di Vienna e di Ragusa. Rispetto a Genova c’ è veramente molto poco ; qualche menzione d’atti di pirateria commessi o sofferti da cittadini genovesi in Levante, (pag. 50, 54, 55), un curioso inventario d’una nave genovese, la Squarciafica, catturata da due navi aragonesi condotte da Giovanni Lullo nel 1453; il ricordo di frequenti navigazioni da Porto-Venere a Tunisi (accadde specialmente nel 1420 la cattura d’ un legno di quei paesi carico di stoffe napoletane); qualche notizia su armamenti genovesi, su questioni doganali insorte tra Firenze e Genova, o su trattati commerciali fra queste due città per il trasporto dei drappi e dei panni (pag. 256 e seg.), su altre questioni con Ragusa a proposito di violazione della neutralità di quel porto (pag. 380). V’ è pure una lettera della città di Ragusa ai Genovesi (anno 1445) a proposito d’una nave di Antonio Cebà, carica di schiavi, che si erano ribellati, e che era stata ricuperata dai Ragusini; un privilegio di Eugenio IV (a. 1447) ai Genovesi per trasportare pellegrini in Terra Santa (pag. 421); una serie di lettere, che si riferiscono a trattative corse nel I4$2 fra Firenze e Genova per far sì che le navi genovesi tocchino Porto Pisano, per impedire ai Veneziani di far loro il traffico della Toscana ι86 GIORNALE STORICO E LETTERARIO DELLA LIGURIA (pag. 163 e seg.) e per danneggiarli con navi corsare; alcuni brani del carteggio di Nicolò Soderini inviato dai Fiorentini a Genova per indurre questa città a stringer lega con loro contro Venezia e il re di Napoli (pag. 479 e seg). Questo carteggio è importantissimo perchè mostra che i Genovesi si preoccupavano della sorte di Costantinopoli, ma che i Fiorentini cercavano di persuaderli a non pigliarsi pensiero del Levante ed a rivolgere tutte le loro forze contro Venezia e Napoli, e ciò nel 1452, alla vigilia della caduta di Costantinopoli! Quando giunse la notizia dell entrata di Maometto II in Costantinopoli, il Soderini ostentava di non crederla, e s’ adoperava a trascinare il governo a concludere per la guerra. Le lettere del Soderini sono importantissime perchè ci fanno conoscere lo stato degli animi di Genova, le opinioni dei magistrati, i timori e le speranze suscitate dagli avvenimenti impreveduti del Levante. In appendice si trova una narrazione tedesca della presa di Costantinopoli in cui si parla naturalmente, e con poca simpatia, dell’ opera dei Genovesi di Galata; e una lettera del doge Pietro di Campofregoso al duca di Milano in cui si dice: « Et chi dice male di Zenoesi, mente ». Merita infine speciale menzione un estratto dell’ Ascenstis Barcoch del senese Bertrando Mignanelli che narra la storia di Tamerlano. Quantunque non vi si parli di Genova, il racconto è assai importante e merita d’ essere studiato. Camillo Manfroni. ESCURSIONI ARCHEOLOGICHE. ANELLI ANTICHI INEDITI. I. Fra i molti oggetti d' arte e d’antichità posseduti da quel- 1 appassionato e intelligente collettore di cimelii che fu in Genova il cav. G. B. Villa, di buona e cara memoria (1), ricordo un (1) Gli amici e i colleghi lo chiamavano il pittore, non già perchè egli esercitasse la pittura che avea, del resto, appresa e trattata in gioventù a Firenze — ma per distinguerlo dal suo omonimo cav. G. B. Villa, scultore, anch’esso mancato ai vivi da poco tempo e che colgo 1’ occasione di qui ricordare honoris causa, come iliustr e artista e competente cultore delle patrie antichità. GIORNALE STORICO E LETTERARIO DELLA LIGURIA 187 anello d’ argento rabescato di fiorami a niello, sulla pala del quale è incastonato un intaglio in plasma di smeraldo rappresentante un busto femminile di profilo a destra, mentre tutt’ intorno al castone corre Γ iscrizione ΚΕΒ0ΗΘΗΒΑ0ΗΛΗ0ΥΑΜΗ1 La tecnica e lo stile della decorazione, come la paleografia e l’ortografia della leggenda offrono bensì i caratteri dell’epoca bisantina: ma 1’ iscrizione essendo circolare e senza intervallo o punteggiatura di sorta fra una parola e 1’ altra, non riesce a tutta prima agevole fissarne la lezione. In questo, come in tanti altri casi, la sfragistica trova una preziosa alleata nella numismatica ed è a questa che dovremo chiedere i dati occorrenti per determinare con sufficiente approssimazione la cronologia dell’ anello e l’interpretazione del-1’ epigrafe. Un primo confronto, che ci permette di fissare per analogia il punto di partenza, ossia il principio dell’ epigrafe ές κύκλον dell’ anello, lo troviamo intanto nella numismatica dei Principi d’Antiochia; dove una moneta in bronzo di Tancredi, reggente il principato durante la prigionia di Boemondo I (1100-1103) e la minorità di Boemondo II (1104-iin), porta la leggenda KEBOI II ΘΗΤΟΔΩ II AOCOYT II ANKPI, che viene decifrata in Κύριε βοήθει τφ δούλψ σού Τανκρίδι = Domine salvum fac famulum tuum Tancredum (1). La formola epigrafica qui espressa trovasi anche sulle monete del principe Ruggero, succeduto a Tancredi nella reggenza durante la minorità di Boemondo II (1112-1119), ma appartiene alla numismatica bisantina. E nota, infatti, la bolla di piombo dell’ imperatore Alessio I Comneno (1081-1x18), anteriore alla perpetrata usurpazione del trono, colla scritta sul retro: ^ KEBOH || ΘΕΙΑΛΕΞΙΩ Il ΣΕΒΑ.ΟΤΩΚΑΙ || ΔΟΜΕΣΤΙΚΩ || ΤΗΟΔΓΣΕΟΟ || ΤΩΚΟΜΝΗ d N2 = Κύριε βοή-9-ει Αλεξιψ σεβαστώ καί δομεστικψ της δύσεως τφ Κομνηνφ (2); come è notissima (1) J. B. A. A. Barthélémy, Nouveau manuel complet de numismatique du moyen âge et ?noderne, p. 392. (2) È riprodotta dal dott. G. F. Hertzberg nella sua Storia dei Bizantini e del-V Impero Otto?na?io sin verso la fine del XVI secolo, p. 393. 188 GIORNALE STORICO E LETTERARIO DELLA LIGURIA la moneta dello stesso imperatore colla stessa invocazione (i). Questa formola apparisce, anzi, essere stata, anche in epoca anteriore, di carattere ufficiale e aulico, trovandosi segnata in un dittico d’avorio colla rappresentazione allegorica del matrimonio fra l’imperatore occidentale Ottone II e la principessa greca Teofano nipote di Tzimisce, lavoro bisantino del secolo X oggi nel museo di Cluny. Essa, dopo tutto, non è neppure estranea alle produzioni della glittica bisantina. Mi basti accennare alla famosa gemma del Gabinetto delle Medaglie di Parigi, la cui parte antica, condotta a cammeo, esprime l’Annunciazione di Μ. V.; mentre la postica è lavorata ad intaglio colla rappresentazione del Cristo fra la Madonna e S. Giovanni. Su quest’intaglio, appunto, oltre i nomi compendiati delle tre figure, leggesi l’epigrafe Φ ΘΕ.Ε ΒΟΗΘΙ THX ΔΟΥΑΙΝ c ANA = Dio Signore proteggi la tua serva Anna; forse Anna Comnena, autrice dell’Alessiade (2). Dai dati fin qui proferti parmi risulti abbastanza provata 1 attribuzione bisantina dell’ anello, la scompartizione dell’ epigrafe in quattro membri KE ΒΟΗΘΗ BACH AHO Y AMHI e l’identificazione dei due primi colla ovvia invocazione χυρίε βοηθ’Βί. =: Signore proteggi..... relativa ad un personaggio indicato nel terzo membro, evidentemente il latore dell’ anello o colui al quale 1’ anello stesso era stato dedicato. 11 nome di questo personaggio, ad onta della erronea ortografia, sembra potersi identificare con quello di Basilio, che, avuto riguardo al carattere ordinariamente ufficiale dell’ acclamazione di cui è il soggetto, potrebbe riferirsi con pari probabilità tanto a Basilio I Macedonico (867-878), quanto a Basilio II (1041-1054), non essendovi ragioni particolari che militino a favore dell’una piuttosto che dell’altra supposizione. Circa al-l’interpretazione dell’ ultimo membro della leggenda, preferisco non arrischiare congetture, almeno per ora, riserbandomi di ritornare un’ altra volta sull’ argomento. (1) Id. ibid. p. 259, tv. (2) Chabouillet, Catalogue général et raisonné des carnées et pierres de la Biblio-teque imperiale, n. 264. Il Garrucci nella sua Storia dell’ Arte cristiana, vol. VI, tv. 478,11. 29, ha pubblicato la sola parte anteriore di questa insigne gemma, ossia il cammeo coll’Annunciazione della Vergine. Sono invece riprodotte ambedue le faccie nella monografia di E. Babelon, La gravure en pierres fines. Camées et intailles) p. 191, fig. 144. GIORNALE STORICO e LETTERARIO DELLA LIGURIA l8g II. Dall’ impero orientale passiamo all' occidentale, e troveremo non esser più rari in questo che in quello gli anelli col ritratto o col nome dell’ imperatore regnante. La glittica esercitava presso gli antichi un ufficio che ha molte affinità con quello a cui nella civiltà odierna adempiono la calcografia, la litografia e altre stampe congeneri. Come i ritratti dei sovrani pendono alle pareti dei nostri uffici governativi, così allora, mentre i busti imperiali in marmo o in bronzo decoravano gli edifici pubblici e i palazzi dei signori, 1’ effigie del monarca, lavorata a cammeo o ad intaglio, brillava sugli anelli dei funzionari,dei clienti e degli altri aderenti della domus Augusta. Fin dal 1831, il ch. p. G. B. Spotorno dava notizia d’un anello esumato dalla zappa d’ un contadino nell’ agro di Cairo Montenotte (1) e portante la leggenda IOVINIANO intorno ad una testa barbata incisa a cavo su gemma giudicata un topazio bianco. L’acconciatura dei capelli, il taglio della barba e sopratutto lo stile e la tecnica del lavoro inducono ad assegnare questo intaglio al secolo costantiniano: però l’assenza del diadema rendea peritante il p. Spotorno a riferirlo all’imperatore omonime. Ciò che più importa di qui rilevare è che, mentre il p. Spotorno lesse e trascrisse IOVINIANO, il compianto amico e collega prof. Gaspare Buffa, eh’ ebbe più volte in mano 1 anello, essendo del paese e per di più parente del possessore, mi assicurò ripetutamente e nel modo più positivo che 1 iscrizione diceva invece : IOVIANO Antichissima è, del resto, la confusione fra i nomi Gioviano e Gioviniano nei codici e nei libri, e data da Rufino (2), che chiama appunto col nome di Gioviniano 1 imperatore Gioviano, proprio come nel caso in esame. (1) Nuovo Giornale Ligustico di lettere, scienze ed arti. 1831, pgg. 22 e 103. (2) Hist. cccles. II. i. % iço GIORNALE STORICO E LETTERARIO DELLA LIGURIA III. Nell Ottobre del 1893, in un campo della R. Scuola di Agricoltura detto « La Bornata » a circa due chilometri da Brescia, sul percorso della antica via Emilia, alcuni sterri misero allo scoperto una tomba dell’epoca romana, in cui fra pochi altri oggetti si raccolsero due anelli d’oro, uno dei quali, più particolarmente, d' un pregio artistico e archeologico non comuni. Quest’ anello è di forma ottagonale e porta sulle tre faccie anteriori tre smaltini neri, finissimi, di cui quello di mezzo rappresenta una Vittoria aptera, o meglio un auriga con corona e palma in biga lenta a destra, e ognuno dei laterali un cavallo gradiente verso lo scompartimento centrale; il tutto d’uno stile superbo e d’una tecnica mirabile. Seguono, parimenti in ismalto e ognuna nel centro delle altre cinque faccie, le infrascritte lettere dell’alfabeto greco: E | A | Z | Μ | N, di cui duoimi non poter qui, per mancanza di caratteri tipografici,, riprodurre 1 esatta fisionomia, specialmente per quanto riguarda la lettera E che in questa, come nelle altre iscrizioni greche sopra riportate, affetta la forma lunata. Un egregio erudito locale, interpellato in proposito, emise il parere che queste lettere corrispondessero alle iniziali dei nomi di due coniugi; opinione, del resto plausibilissima, perchè suffragata da esempi non ignoti a coloro i quali abbiano qualche famigliarità colla soggetta materia. Senonchè, avendo trovato nel C. /. L., V., 4999, la lapide inscritta Noniae Euthymiae uxori..... Marcus Nonius, si lasciò sedurre dal fatto che le iniziali dei nomi esibiti da questa lapide corrispondevano a tre delle lettere incise sull’ anello, ciò che permetteva di spiegare anche le altre due; onde imaginò che 1’ anello fosse stato un giorno posto in dito all’Eutimia titolare della lapide dal consorte Marco Nonio, e propose di leggere: « Ad Eutimia moglie vivente Marco Nonio ». Naturalmente, questa interpretazione venne accolta con poco favore. Si osservò, anzitutto, che la lapide oggi perduta, di Nonia Eutimia e Marco Nonio nulla aveva nè poteva aver di comune colla tomba in cui era stato trovato 1’ anello; provenendo essa da Dro, presso Arco nel Tirolo, che è quanto dire GIORNALE STORICO E LETTERARIO DELLA LIGURIA da una località fuori della provincia bresciana, molto distante dall’ agro ove erasi esumato Γ anello. Con pari ragione fu giudicata inusitata, non soio, ma disdicente al carattere delle iscrizioni gemmarie la formola « vivente » ; poiché se taluno pose vivente un monumento sepolcrale a sè od ai proprii congiunti, è chiaro che un anello non si dona nè si riceve da un morto. Un altro erudito locale, il nob. sig. Pietro Da Ponte, di cui son del resto notissime l’intelligenza e la coltura, credette di poter giungere per diversa via alla soluzione del problema, ossia all’ interpretazione delle cinque lettere singolari incise sulle faccie postiche dell’ anello in questione. Partendo dal principio che le lettere segnate sull’ anello possano essere iniziali di altrettante parole il cui complesso costituisca un motto od epigramma greco appropriato all’oggetto a cui si riferisce, riuscì a mettere insieme, mediante ingegnose combinazioni di parole le cui iniziali corrispondono alle singole lettere dell’anello, una serie di motti, alcuni dei quali non senza carattere e sapore di buona antichità. Ebbi occasione di aver sottocchio una parte di questi, che chiamerò componimenti acrostici, ma credo inutili riportarli, perchè mentre attestano un’invidiabile spigliatezza e disinvoltura di spirito in chi li ha compilati e danno una misura di quanto si possa ottenere in questo genere di letteratura, non apportano tuttavia un contributo attendibile alla soluzione del-l’enigma epigrafico. Del resto, anche nelle anzidette esercitazioni acrostiche del Da Ponte ricorre sovente il nome d’un Nonio, che non sarebbe però il M. Nonio marito di Eutimia, di cui nella lapide di Dro, bensì un altro, titolare della seguente iscrizione: SILVANIAE [|FLORAE NONIVS || LIBERALIS CON ( IIVGI QVAE VIXIT | ; MECVM ANN. X u B· M- P-, emersa, anni addietro, dallo stesso campo in cui ultimamente fu scoperta la tomba contenente 1’ anello in questione. Ora è evidente che se la lettera N dell’ anello dovesse riferirsi ad un Nonio, questo non potrebbe a verun patto identificarsi con quello del-Γ oradetta lapide, perchè nè l’iniziale del cognome di lui, nè quella del nome e del cognome della consorte trovansi nelle altre lettere segnate sull’anello. La verità è che ambedue gli interpreti battevano una falsa via; il primo intestandosi a voler trovare un rapporto nella ig2 GIORNALE STORICO E LETTERARIO DELLA LIGURIA coincidenza affatto casuale delle lettere incise sull’ anello con alcuni nomi inscritti su di una lapide di lontana provenienza; Γ altro torturandosi il cervello per mettere insieme delle combinazioni ingegnose ma destituite di base positiva. La stessa facilità con cui egli, servendosi delle medesime iniziali, riuscì a combinare una quantità di motti d indole morale od erotica di senso diversissimo 1’ uno dall’ altro, è una prova lampante della fallacia del metodo da lui adoperato, giacche si può con esso riuscire a delle interpretazioni le più disparate d’ uno stesso soggetto. Non è già che iscrizioni del genere di quelle escogitate dal nob. Da Ponte disdicano per sè stesse in modo assoluto al carattere della serie annulare; serie, del resto, interessantissima, e non ancora studiata a fondo, come pur meriterebbe. Ecco un esempio inedito d'iscrizione congenere, che desumo da un cammeo in sardonica di proprietà della contessa Bon Compagni, nata Pullini, di Torino, ove, incisa a caratteri bianchi su fondo nero, spicca in rilievo la seguente leggenda: ΚΑΛΗΙ. ΦΥΛΥΑ ΠΥΣΤΥΣ ΑΥΔΥΟΣ leggenda che, non tenendo conto delle forme ortografiche ri-specchianti piuttosto la pronuncia dialettale di chi 1’ ha scritta, parmi esprimere appunto il concetto: < belle cose (sono) 1 amicizia, la fedeltà, il pudore! ». Potrei citare altri esempi, ma non ne vedo il bisogno, bastando all’ uopo sfogliare qualche silloge di iscrizioni gemmane — a prescindere anche da quella del genovese Fortunio Liceti, perchè compilata in base a materiali per la massima parte spurii — per rilevare che non mancano sugli anelli i motti erotici e le acclamazioni epitalamiche. Su di una cosa parmi tuttavia poter insistere, ed è che se queste iscrizioni fossero state indicate colle sole lettere iniziali d1 ogni parola, niuno sarebbe oggi in grado di ricomporle. In materia epigrafica non è lecito inventare o giuocar di GIORNALE STORICO E LETTERARIO DELLA LIGURIA 193 fantasia. Si possono bensì formulare delle ipotesi, ma è d’uopo che queste siano confortate, almeno, da argomenti dedotti dal-1’ analogia. Se noi traduciamo con sicurezza le lettere S· T· T' L· nel-Γ ovvia formola SIT TIBI TERRA LEVIS, o quelle Η· Μ· V· S· P· nell’altra HOC MONVMENTVM VIVENS SIBI POSVIT, gli è che queste parole si trovano in extenso su qualche nota lapide. Altrimenti, le combinazioni possibili sarebbero infinite; che è quanto dire, di attendibili nessuna. Arrogi che ogni serie monumentale ha le sue sigle e le sue formole proprie; nè potrebbero a verun patto applicarsi alla serie gemmaria certe sigle e certe formole proprie, pogniamo, della serie sepolcrale o della giuridica, e viceversa. Nel caso concreto sembra che la congettura più plausibile avrebbe dovuto essere la più ovvia, quella, cioè, di ritenere le due prime lettere quali iniziali del nome e del cognome della sposa, le due ultime quelle del prenome e del gentilizio dello sposo, secondo il costume romano, trattandosi di tomba romana come e accertato dal contenuto; e nella lettera di mezzo la sigla 0 nota dell’ovvia acclamazione ZESES = zwa/ la quale potrebbe anche leggersi zesete al plurale; sebbene le parole zeses e nica — usitate all’ epoca di quest’ anello anche in iscrizioni romane, per quanto greche — non cambiano di numero quando sieno relativi a due o più nomi propri. Vittorio Poggi. Gior' St. e Lett. della Liguria 13 IQ4 GIORNALE STORICO E LETTERARIO DELLA LIGURIA NOTE SU TRE STATUTI LUNIGIANESI (TREBBIANO, CAPRIGLIOLA, ARCOLA) I. Una copia dello Statuto di Trebbiano faceva parte della raccolta di Statuti italiani, posseduta dall’ avvocato Ferro,, della quale fa cenno l’abate Giambattista Gonetta di Lerici a pag. 225 del suo Saggio istorico della diocesi di Luni-Sarzana edito nel 1867; raccolta che fu acquistata dalla Biblioteca del Senato, come ricorda lo Sforza in una nota alla prefazione del suo Saggio d’una Bibliografia storica della Ltmigiana (1). Non avendo veduto la luce il secondo tomo della Bibliografia, non potè il chiaro autore descrivere in un’ appendice, com’ era suo intendimento, gli statuti di quella raccolta che appartengono alla Lunigiana. Li descrisse però nei suoi Statuti della Liguria il Rossi (2), il quale dello Statuto di Trebbiano fa cenno con queste parole: « Di questo antico Comune, soppresso con R. Decreto del 23 marzo 1870 ed aggregato a quello di Arcola, possiede la Biblioteca del Senato in Roma un esemplare di Statuto, dal quale cavava le seguenti note il signor Giacinto Menozzi >. E riporta tutto il proemio, in volgare, che precede lo Statuto, il quale è, evidentemente, tradotto. Credo opportuno dare notizia di un codice contenente l’originale latino di quello Statuto (3), non solo per far nota la esistenza di esso, ma anche per prendere occasione di chiarire con certezza il tempo della compilazione, 0 riforma, dello Statuto-stesso — errato secondo il codice del Senato e il mio — e per riprodurne le rubriche degli 89 capitoli, che, secondo il Rossi, non sarebbero che 88 nel codice del Senato. Da due passi del Proemio riportati dal Rossi pare indubbiamente che lo Statuto sia del 1480. Infatti, sarebbe del-1’ 11 febbraio 1480 l’atto con cui sono eletti i deputati alla ri- (1) Tomo I (solo pubblicato) pag. 7. (2) In Atti della Società Ligure di Storia Patria, voi. xiv, Genova, Sordo Muti, 1878. (3) Il codice è presso di me, donatomi dal sig. Ciro Paganini. GIORNALE STORICO E LETTERARIO DELLA LIGURIA I95 forma del vecchio Statuto ; e in fondo di capitoli sarebbe notato: « Il fine delli capitoli, 14.80 a di 28 ottobre. Il mio codice fa invece risalire all’11 febbraio del 1450 l’atto sopraddetto. Ma è facile vedere come l’una data e l’altra siano errate. E detto, in fatti, alla fine del Proemio riferito dal Rossi : A laude et gloria e riverenza et honore del Signore Iddio..... et ad honore e pacifico stato e perpetuo trionfo dell’ Ill.mo Principe Galeazzo Maria Sforza, vicecomite, Duca di Milano e di Cremona Signore etc. » Ora, si sa che il tempo del primo dominio degli Sforza in Genova corre dal 1464 al 1476, anno in cui Galeazzo venne ucciso. Quindi lo Statuto non potè essere riformato che in quel tratto di tempo, e, più precisamente, dal 1466 al '76, giacché appunto per tanti anni ebbe Galeazzo la signoria di Genova. Ma abbiamo un altro dato, che ci permette di fissare la data precisa. Nello stesso Proemio è detto: Congregati e convocati.... di commissione e comandamento dell'Aspettabile et egregio dell’ima e dettaltra legge dottore, il signor Thoma Ciriolo di Cremona vicario del magnifico e generoso signor Principale Lam-pugnani ducale capitano e commissari della Spetta. .. » Princivalle Lampugnano fu capitano della Spezia e commissario della Riviera di Levante nel 1475, e nello stesso anno il dottore Tomaso Cirialo, o Cariolli, di Cremona, fu suo vicario, come rilevo dal libro delle Deliberazioni, debiti e crediti della comunità della Spezia di quell’anno; libro che si conserva in questo archivio municipale (1). La data dello Statuto di Trebbiano, di quello almeno che ci resta, si può dunque fissare al 1475. Il codice è cartaceo in-4, legato in cartone. Si compone di i54 pagine, delle quali 4 in principio bianche e senza numerazione; ne seguono 104 numerate, contenenti i capitoli; quindi altre 45 non numerate, delle quali 16 comprendono l’indice, 2 contengono un'intimazione (del Senato genovese) agli ufficiali di ° m° (1) « In nomine domini amen. Anno a notivitate eiusdem Mcccclxxq.nto die viij Januari Congregatis sindici et consiliariis terre Spedie anni proximi preteriti In ecclesia sancte Marie de Spedia, In publico et generali parlamento, Simul cum Magnifico et prestanti domino princivalo Lampugnano ducali Spedie Capitaneo, et Ripparie orientis Commissario Generali, et Spectabile doctore domino Thoma de cariollis de cremona vicario prefati domini capitane!..... » IQÔ GIORNALE STORICO E LETTERARIO DELLA LIGURIA sanità circa lo spurgo dei fossi d’acqua stagnante, 5 bianche, 2 in cui sono trascritte alcune strofe d una laude, e le u time 20 bianche. Precede un frontespizio, così : Statuto municipale e \ aese di Trebiano uno \ de' antichi Castelli del- | la Serenissima e publi- \ ca di Genova vicino al | Fiume Magra. \ Estratto, era-copiato da al- I tra simile copia autentica | come si può vedere in fine | « carte. 104. Not.» Germi | A spese dime Antonio Ma | Tonozzi di Trebiano | Vive Jesu — Vive Maria \ alla corte ce leste lode sia. Segue un Prohemium che evidentemente manca nel codice del Senato, e il cui tenore è il seguente: « IHS. M. Antiquis temporibus pro temporum varietate et rerum mutabilitate supradicta capitulorum reformatione remedium, per quosdam p dentes viros iuxta viventium mores et consuetudines praebuitum est , cum venerit quo iunior et perspicatior aetas nostra novos et subtiliores mores, sicut in multis aliis ita in capitulorum quo uarietate se conferens , oportuit, ut antiquis commissis ritibus, non tamquam quos reiciamus uel iudicemus erraticos, uel iuri contrarios ; sed ut quodam modo alienos et in paucis, u nullis subtilitatibus congruentes modernorum nouam [quem admodum, quasi in ceteris facimus ita in copitulorum seu decretorum, dispositionibus et modis] nostri formam temporis immitemur, nostrae utamur aetatis moribus, et vitae observantia reformemur, et privilegis muniti pacifice vivemus. » A questo proemio tengon dietro quattro capitoli aggiunti allo Statuto in diverso tempo, e cioè : 1) Disposizioni circa i proprietari di suini, e divieto di deramare nec j-emondare salices nec vineas alienas (1589). 2) Tassa sul bestiame (7 ottobre 1612, confermata dal Senato genovese il 19 maggio 1638). 3) Disposizioni circa il Podestà di Trebbiano (29 giugno 1Ó16). 4) Che nessuno, eletto in ufficiale, possa rifiutare la -carica (29 giugno 1616). A questi capitoli fa seguito lo Statuto, cui precede questa invocazione : Adsit Virgo nunc Cri \ stus, principio semper | opere in isto toto quo \ que Maria meo, ed il proemio che il Rossi riporta, al luogo citato, nella versione italiana. In fondo, prima della tavola, l’autenticazione della copia: /77/, die 2$: Martij — Extractum in omnibus ut supra ex consimili copia autentica et 'licet et salvo etc. — Carolus Franciscus GIORNALE STORICO E LETTERARIO DELLA LIGURIA I97 de Germis notarius. Alla quale fa seguito l'ex libris : Questo statuto è di Me Antonio Tonozzi di Trebiano, quale se mai Io perdessi prego, chi lo troverà a restituirmelo. Redite ergo quae sunt Caesaris Caesari. Gli 89 capitoli si seguono nell’ ordine con cui qui sotto trascrivo le rubriche : I. De modo et ordine inueniendi consilium, consules et alios officiales. II. De iuramento domini potestatis Trebiani. III. De iuramento scribe curie Trebiani. IV. De salario domini potestatis Trebiani. V. Quod dominus potestas non possit officium scribaniae exercere. VI. De curia tenenda. VII. De officio Consilii. VIII. De officio Massarii. IX. De Sindicorum officio. X. De partito faciendo inter principales personas. XI. De oblatione libelli offerì non debet. XII. Quod preceptis factis in curia detur plena fides. XIII. De termino dando in iudicio debitum confitentibus. XIV. In quibus causis procedatur summariè. XV. De modo procedendi contra principalem ad petitionem fideiussioris. XVI. De saximentis fiendis. XVII. De compromissis fiendis. XVIII. De officio Ministralium et eorum salario. XIX. De officio aestimatorum et eorum salario. XX. De releuatoribus et salario eorum. XXI. De antifato petendo. XXII. De arboribus plantandis in destrictu Trebiani. XXIII. De arboribus inxta Macram non incidendis. XXIV. De modo procedendi in extraordinariis; De luxiorioribus (sic) et eorum poena. XXV. Quod ultra unam horam noctis Tabernarii non vendant. XXVI. De armis non portandis. XXVII. Quod aliquis quam per portam non intret, nec exeat de Trebiano. XXVIII. De piscatoribus et eorum ordine. XXIX. De his qui de nocte steterint extra Burgum Trebiani. XXX. Quod ad molendinum venientes cicius niollant. XXXI. De Lignis, et Lapidibus in nemore Trebiani faciendis, nullam extraneus habeat potestatem. XXXII. De his qui in nemoribus ignem imponent scilicet communis. XXXIII. Quod aliquis non possit olilicium communitatis refiutare. XXXIV. Quod contra ignem in nemoribus positum omnes currant. 198 GIORNALE STORICO E LETTERARIO DELLA LIGURIA XXXV. Quod nemo laboret diebus festivis. XXXVI. Quod quilibet coram habitatione sua scuppare teneatur. XXXVII. De immunditiis non imponentis in Platea Trebiani et in locis aliis publicis. XXXVIII. De Fornariis et eorum poena. XXXIX. De mobilibus inventis et eis restituendis. XL. Quod nuntiis Domini Potestatis pignora non vetentur. XLI. De his qui non venerint ad Parlamentum. XLII. Quod consiliarii ad consilium venire teneantur. XLIII. De his qui ad custodiam non venerint. XLIV. Quod omnes in Trebiano teneantur solvere avarias similiter habentes bona. XLV. Quod omnes et singulae condemnationes factae per dominum Praetorem Trebiani sint communitatis dicti Trebiani. XLVI. De advenis accusatis in territorio Trebiani. XLVII. De poena intratis in terras alienas non relevatas. XLVIII. De poena illorum qui intraverint in nemore communitatis Trebiani ad laborandum. XLIX. Quod quisquis possit tenere omne genus bestiarum. L. De laboratoribus iuvare promittentibus, et non iuvantibus illis. LI. De canalibus et Foveis faciendis a possidentibus iuxta ea in jurisdictione Trebiani tam per planum quam per montes. LU. De scaphariis et eorum salario. LIII. Quod aliquis non audeat tenere ad aliquam scapham forensem. LIV. De vituperio in fonte vel circo fontem non faciendo. LV. Quod nequis levet aqua a suo cursu. LVI. Quod aliquis forensis non ducat bestias in pasculo Trebiani sine licentia consilii. LVII. De nuntio, et eius salario. LVIII. De salario scribarum, et quantum liceat accipere pro scripturis. LIX. De modo procedendi in damnis datis et de personis damnum dantibus in terris alienis. LX. De poena incideDtium arbores. LXI. De arboribus pendentibus super terram alienam. LXII. De arboribus incidendis supra stratam pendentibus. LXIII. De poena accipientium res alienas sine licentia. LXIV. Quod omnes accusati tenean ur solvere partem communitatis. LXV. Quod detur fides saltarlo et accusatoribus, ut infra. LXVI. De damumdantibus cum bestiis grossis. LXVII. Quod omnes de Trebiano teneantur facere hortos ut infra. LXVIII. De poena blasphemantium Deum, Virginem Mariam vel Sanctos. LXIX. De poena mitentis vel eleuantis falsum terminum. LXX. De poena furantis aliquid alicui. GIORNALE STORICO e LETTERARIO DELLA LIGURIA 199 LXXI. De viis reaptandis. LXXII. De tabernariis et pizzegarolis ad minutum vendentibus. LXXIII. Quod detur et redatur a consiliariis ueteribus integra ratio consiliariis simul cum universitate Trebiani aliter non valeat. LXXIV. Quod nullus det fauorem advenis volentibus habitare in Trebiano. LXXV. De his qui procuraverint, vel contra communitatem fuerunt. LXXVI. De his qui committunt proditionem seu tradimentum, vel qui interficerint aliquem hominem Trebiani. LXXVII. De expensis per sindicum factis. LXXVIII. De singulis officiis realiter exercendis. LXXIX. Quod nemo blaphemet patrem et matrem. LXXX. De verbis iniuriosis alicui dictis. LXXXI. Quod caprae, hirci, et stambecci non possint pascolari nisi in Carpiono eundo per viam de Mortaneto et per viam de Hortara. LXXXII. Quod vacce et pecudes non possint pasculari nisi in Carpiono eundo per suprascriptas vias et a canale de Fontanabona, usque ad turrim. LXXXIII. Quod canale de Remaggeno debeat fieri. LXXXIY. De molendino transmutando, reficiendo uel collocando. LXXX V. De avaria imponenda. LXXXVI. De introitibus Communitatis singulo anno vendendis. LXXXVII. Quod Dominus Potestas Trebiani possit et debeat cognoscere etiam in criminalibus et condemnationes facere. LXXXVIII. Quod omnes habere debentes ab hominibus nisi coram Domino Potestate Trebiani non possint eos constringere alibi. LXXXIX. De poena facientibus ligna in castaneis Trebiani habitantium vel aliorum in eorum districtu positis cum uincinis. II. Caprigliola, antico castello in Val di Magra, ora frazione del comune dell’Aulla, fu una delle corti concesse da Federico I (1185) a Pietro vescovo di Luni. E come sudditi di quei vescovi e dei Malaspina, i terrazzani di Caprigliola prestarono giuramento (1202) nell’occasione di un lodo pronunciato dagli arbitri sopra alcune vertenze giurisdizionali fra i vescovi di Luni, i Malaspina e i domini di Vezzano (Cfr. Muratori, Antichità Estensi). Caprigliola si crede una delle prime popolazioni della Lunigiana che si diedero in accomandigia alla Repubblica fiorentina, la quale da quell’epoca tenne costanti presidii in Caprigliola e in Albiano (posto di fronte, al di là dal fiume) attesa l’importanza 200 GIORNALE STORICO E LETTERARIO DELLA LIGURIA del passo della Magra. A tale effetto il Granduca Cosimo I ordinò che il castello di Caprigliola fosse afforzato di mura e baluardi a guisa di fortezza. (Cfr. Repetti, Dizion.-geografico-fisico-storico della Toscana, Vol. I, ad vocenì). Forse in mezzo alla immensa quantità di codici tuttora inesplorati degli archivi fiorentini si troverà lo Statuto del Comune di Caprigliola; ma finora se n’è anche ignorata l’esistenza, giacché non n’ è fatto parola in alcuna delle bibliografie statutarie della regione. Con la speranza che non tardi a venire alla luce anche questo statuto di un comune così importante dell’antica Lunigiana, darò intanto notizia di alcuni frammenti di esso statuto, che mi son capitati tra mano. Questi frammenti, o, meglio, estratti, sono contenuti in quattro carte cucite in fondo di un volume cartaceo in-fol.. legato in pergamena, contenente una copia di Statuto fiorentino, di mano sel sec. xvii, che termina : Explicìt liber secundus statutorum Dni. I Potestatis, et Comunis Florentiae | Deo et eius Matri gratia et \ honos Amen | Die xxviii octobris Anni Domini MDcxxxij. II codice dello statuto fiorentino appartenne al sig. Ippolito Carzoli di San Terenzo, com’è detto in testa all’indice delle rubriche : Statutum Florentinum ad usum Hippoliti de Carzolijs de Santo Terentio. Ne devo la conoscenza alla cortesia del signor Basilio Pegazzano. La copia degli estratti dello statuto caprigliolese è di mano diversa di quella del fiorentino ; ma di questa stessa mano è il titolo posto nell’ultima delle quattro pagine che contengono i frammenti: Copia di alcuni capitoli del Statuto di Caprigliola. Per questa copia fu adoperato un foglio contenente una breve lettera di certo Ambrosio Fazio al sig. Baldassare Ballera cancelliere a Sarzana, e datata da Ormarella, 21 maggio 1647; il che ci permette di stabilire approssimativamente la data della copia degli estratti. Ecco le rubriche dei capitoli: 1) Statuto di Caprigliola, rubr. X, lib. 2°: Della sentenza deffinitiva, e loro (sic) esecutione. A Cte. i-recto. 2) Libro 2°: Del modo di render raggione in giorni preffissi. Rubrica prima. A Cte. 1 - verso. GIORNALE STORICO E LETTERARIO DELLA LIGURIA 201 3) Rubrica 2a: Delle Citationi. A Cte. 1 - verso. 4) Delle Dilationi da farsi a’ debitori confessi, et dell’esecutione contro di loro. Rubrica 3 * A Cte. i-verso. 5) Della presentatione dell’ Libello delle dilationi da darsi al Reo à rispondere. R. 4« (?). A Cte. 2-recto. 6) Della Cont.e della Ditte, e giuramento di Callumnia. Rubrica 6.a A Cte. 2-recto. 7) Dell’ dare le dillationi. Rubrica y.a A Cte. 2-verso. 8) Della Sentenza Interlocutoria. Rubrica 8.8 A Cte. 3-recto. 9) Della Sentenza definitiva, e loro esecutioni. Rubrica g.a A Cte. $-recto. ( È la stessa che al N. I ). 10) Delle appellanze. Rub. X. A Cte. 3-recto. 11) Delle ferie da celebrarsi così soleni come.... Rub. XI. A Cte. 3-verso. Come si vede dalle rubriche, non si tratta che di alcune norme di procedura in materia civile, dettate, o piuttosto tradotte, in volgare. Il resto, specialmente quanto concerne il diritto, si desidera. III. Di uno statuto d’Arcola ci dà notizia lo Sforza (1); il Rossi (2) alle parole dello Sforza non fa che aggiungere aver avuto cognizione dell’ esistenza di quello statuto dal sig. Giacinto Menozzi, bibliotecario del Senato. Il codice cartaceo, in-4 piccolo, che si conserva nella Biblioteca comunale di Sarzana, fu scritto nel 1532, giacché, essendo divenuto il primo codice in cui stava scritto lo statuto, « per la sua antichità, di lettura molto oscura, giudicarono bene gli abitanti d’Arcola di farne fare un esemplo di buona e chiara lettura, come infatti seguì » (3). Forse ho trovato un frammento di quel primo codice. È un pezzo di membrana, contenente quattro pagine di scrittura di mano del sec. χιν o del principio del seguente, che ha servito di coperta al brogliazzo del notaio Leonardo quondam Giuliano di Arcola, come appare dalla leggenda che fu posta sulla membrana: 14.13 in 1414 \ Instr.”1 Ser Leonardi \ "ξ" Juliani de Arcula \ Not.', in carattere del secolo xvn. Il frammento fu (r) Op. cit., pag. 10. (2) Op. cit., pag. 32. (3) Op. cit. ibid. 202 GIORNALE STORICO E LETTERARIO DELLA LIGURIA per altro adoperato assai prima per quell’uso, giacché porta altre due volte scritto Instrumenta S. Leonardi, di mano molto più antica, e forse dello stesso tabellione. La data della compilazione dello statuto, rimasta ignota, si può quindi con certezza far rimontare al secolo xiv. Il frammento costituiva le carte xi e xiii del foglio, e contiene, nelle sue, quattro facce, sei rubriche intere, e due frammentarie, e cioè: ...........(Frammento della Rubr. 27). 28. De hiis qui messes colligunt alienas. 29. Quod aliquis arbores in terris non incidat alienis. ...........(Frammento della Rubr. 34). 35· De Tabernariis (con giunte nel ?nargine inferiore,. 36. De Vendentibus panem. 37· De fornariis. [38]. De carnificibus. Le carte x-recto e xiiii-verso sono di non molto chiara lettura, giacché, costituendo la parte esterna della coperta del brogliazzo, sono logore per l’uso (1). Ubaldo Mazzini VARIETÀ DOCUMENTS RECUEILLIS SUR LES MOUVEMENTS DE 1821 PAR PONS DE V HÉRAULT C est encore de l’inépuisable fonds des papiers de Pons de 1 Hérault, bien connu de mes lecteurs, que je tire les trois documents ci-dessous publiés. Tous les trois, ils sont des réponses à des questionnaires envoyés par Pons à des correspondants restés malheureusement (et sans doute par prudence) inconnus. (1) Il volume fa parte dell’Archivio comunale della Spezia; la pergamena è ora nella Biblioteca. GIORNALE STORICO e LETTERARIO DELLA LIGURIA 203 Le premier seul, un italien qui écrit en français (et même très correctement), signe de ses initiales, B. D., la lettre d’ envoi du mémoire: « Résumé des actes du gouvernement depuis le 13 inars jusqu au 14 avril successif », que 1’ on trouvera en premier lieu. Mais pour être anonymes, ces documents, tant celui-ci que les suivants, relatifs l'un à Gênes, l’autre (plus précis et portant sur des points de détail distincts) à Gênes et Alexandrie n’en sont pas moins intéressants et curieux Ils forment un nouvel appoint à la connaissance de cette époque héroïque des précurseurs de 1’ unité italienne. Quant à l’intérêt que ces mouvements révolutionnaires avaient pour Pons, il s’explique non seulement par la sympathie que ce vieux républicain montra toujours pour la cause de la liberté, mais encore par ce fait qu’ il venait d’être expulsé de Gênes et des états Sardes comme suspect de libéralisme, précisément à la suite de ces émeutes et bien qu’ il n' y fût intervenu que pour modérer le peuple furieux, et qu' il eût contribué à sauver la vie du gouverneur de Gênes. Léon G. Pélissier LE MOUVEMENT EN PIÉMONT DU 13 MARS AU 14 AVRIL 1821. Monsieur très-estimable et très-cher ami, En exécution de la commission dont vous m’avez honoré, pour la confection de votre histoire, je ne suis empressé de faire d* abord un résumé des actes du gouvernement qui a été établi à Turin pendant Γ interrègne: mais au moment où j’ étais presque à la fin de ce travail, il m’a été possible de me procurer pour quelques jours la Sentinella Subalpina que je vous envois (sic) avec le résumé que j’avais dressé, quoiqu’il ne soit pas encore achevé. Vous trouverez dans cette feuille beaucoup de choses qui pourront vous être utiles. Je vous envois aussi quelques proclamations que vous aurez la bonté de me renvoyer avec les dites feuilles, aussitôt que vous les aurez lues et que vous en aurez tiré les mémoires qui vous seront utiles, à fin que je puisse les restituer. Je me réserve de vous envoyer les autres proclamations d’Alexandrie aussitôt que je pourrai me les procurer, ainsi qu’ un mémoire en détail de ce qui s’ est passé à Alexandrie et à Turin, relativement à cette malheureuse affaire, en y énonçant les noms des sujets qui y ont pris part, et la manière dont ils se sont comportés; mais vous m’ accorderez que s’agissant d’histoire il faut vérifier et s’ assurer de 1’ existence des faits que 1’ on écrit, et il faut avoir recours à des personnes d’un certain esprit, impartielles (sic) et qui aient été témoins oculaires de ce qui s’ est passé. A cet effet, je me rendrai dans la semaine prochaine à Alexandrie pour me procurer ces renseignemens pour être à même de vous les envoyer. En attendant, j’ai 1' honneur d’être, avec 1’ estime la plus affectueuse, Votre très humble serviteur et dévoué ami B. D. (i) Novi, le i6 juin 1821. (1 ) De la même main est le résumé des actes du gouvernement ; les autres pièces sont de mains différentes. 204 GIORNALE STORICO E LETTERARIO DELLA LIGURIA RÉSUMÉ DES ACTES DU GOUVERNEMENT DÉPUIS LE 13 MARS JUSQU’ AU 14 AVRIL SUCCESSIF. 13 mars - Acte d’abdiquation à la couronne par S. M. Victor Emanuel, par lequel S. M. a conféré tous ses pouvoirs à S. A. S. le prince Charles Albert de Carignan en le créant régent. Proclamation du prince régent qui fait connaître sa qualité. Acte du môme prince régent, pubblié le 14, par lequel, d’après l’avis du conseil, S. A. S. ordonna que la constitution d’Espagne fût promulguée et observée comme fondamentale de 1' état, sous les modifications qui auroient été adoptés par la représentance nationale, d’ accord avec S. M., dans 1’ espoir (fiducia, dit le Prince dans le même acte) que sa dite majesté, d’après les considérations exprimées dans le dit acte daignera revêtir cette délibération de son approbation souvraine. 14 Dit - Par décrets de ce même jour, S. M. S. a nommé intérinalement le premier secrétaire (sic) d’état pour les affaires de l’intérieur (M.r Da! Pozzo), le regent de la secré-tairie de la guerre et marine, et celui de la secrétairie des Finances. Il nomma aussi les membres du conseil d’état extraordinaire, et il supprima le ministère de police du royaume. Manifeste du prince régent du même jour portant : i. Pleine amnistie aux troupes pour tout fait ou adhésion politique qui avait eu lieu précédemment, pourvu que toutes les troupes fussent soumises et obéissantes aux ordres actuels. - 2. defense de dresser drappeau ou coccarde de couleur et forme différentes de celles qui ont toujours distingué la nation piémontaise sous le gouvernement de la maison de Savoie, avec commination de peine aux contreventeurs à cet article. - 3. Annonce de la pubblication de 1’ acte d’abdiquation de S. M. Victor Emanuel. - 4. On parle du jour à fixer pour le serment des troupes ès mains du dit Régent à la constitution du royaume. - 5. Ordre à toutes les autorités civiles, judiciaires et militaires, de rester à leur place et d’y exercer leurs fonctions avec zèle et exactitude. - Par décret du même jour pubblié dans la capitale le jour suivant, on nomma une giunta provisoire composée de quinze sujets, soit pour recevoir le serment à se prêter par S. A. S. le prince régent, soit pour prendre part avec le même prince à toutes les délibérations pour lesquelles, suivant la constitution, l’intervention du Parlement était requise. Par le même décret, il est dit que la giunta est en droit de délibérer en nombre de sept en cas d’absence ou d’empêchement de quelques membres. 15 Dit. - Acte par lequel on ordonne la publication du procès-verbal du serment prêté par le prince régent à huit heures du soir du même jour devant la giunta provisoire. Nomination de nouveaux membres de la giunta afin que le nombre des dits membres requis pour délibérer fût toujours complet. 16 Dit. - Décret portant que les lois et actes du gouvernement seront imprimés dans une collection intitulée Collection des lois et actes du gouvernement. Augmentation du nombre des membres de la giunta provisoire. Autre décret qui ordonne la publication de la constitution d’Espague dans la traduction italienne provisoirement adoptée par le prince régent et visée par le ministre de 1’ intérieur. Établissement d’une garde nationale destinée à maintenir la surêté publique à se faire à soin et diligence des autorités civiques et communales avec différentes prescriptions relatives. 17 Dit. - Organisation de six bataillons de troupe légère de 800 hommes chacun. Décrets destinés pour la souscription à s’ ouvrir. 18 Dit. - Déclaration du mot amnistie employé dans le décret du jour 14 précédent. Commissaire à s’ envoyer à Alexandrie pour régler les frais et les dispositions faites des fonds du trésor pubblic à 1’ appui desj ustificatious que de droit. On demande le tableau des promotions militaires d’Alexandrie. Dissolution de la giunta d’Alexandrie après la pubblication du dit décret. 20 Dit. - Nomination de nouveaux membres de la giunta provvisoire. Règlement rerelatif à l’organisation de la garde nationale de Turin. 22 Dit. - Le prince régent s’ étant évadé de la capitale dans la nuit du 21 au 22, GIORNALE STORICO E LETTERARIO DELLA LIGURIA 205 la giunta provvisoire par acte de le dernier jour a déterminé de continuer d’accord avec les personnes préposées aux différens ministères par le même prince régent dans 1’ exercice de ses fonctions et de vaquer aux soins du gouvernement pour toutes les affaires urgentes, jusqu’à ce qu’ on eût reçu les ordres relatifs ou par S. M. ou par le Prince Régent. 23 Dit. - Décret portant nomination à se faire d’un chef politique pour chaque province duquel soient dépendantes toutes les autres autorités et employés de la province pour ce qui concerne 1’ administratif et la politique. 24 Dit. - Manifeste de la giunta provisoire portant qu’il sera nommé par le premier secrétaire de l’intérieur un commissaire chargé de surveiller sur le cours et sur les dérivations des eaux de la Doire, pour assurer le service de la forge de Valdocco, delà fabbrique de poudre, de la fabbrication des monnaies (Zecca Reale)> des moulins de la ville et des manufactures du parc royal. 25 Dit. - Acte de la giunta provisoire portant pubblication des événements de Gênes dans les jours passés; création dans la dite ville d’ une commission administrative de gouvernement qui s’ est mise en rapport avec la giunta nationale. Décret portant nomination du chef de police (M.r Botto) de la ville de Gênes désignation de ses rapports. 26 Dit. - Décret par lequel on établit quelques attributions et facultés des chefs politiques de chaque province entre autres celle de pouvoir d’accord avec l’intendant faire dans les administrations civiques ou communales les changemens de personnes et de formes qui auraient été du cas. Décret portant substantiellement Γ approbation des actes ..........^1) de la giunta d’Alexandrie, et 1’ appel du membre de la même dans le sein de la giunta provvisoire. Que les frais dont est mention dans le décret du 18 même mois sont tous ceux qui regardent les approvisionneinens militaires, la paye des militaires, les fortifications et tous les autres d’autorité pubblique. Deux autres décrets portant nomination des chefs politiques de quelques provinces du royaume. 27 Dit. - Décret par lequel on prescrit que les chefs politiques nommés et qui ont des autres fonctions dans la même province oû ils sont destinés continueront dans les mêmes et les rempliront cumulativement. 28 Dit. - Désignation d’autres attributions conférées aux chefs politiques de chaque province. 29 Dit. - Décret relaiif à l’impression portant que l’éditeur, en désignant 1 auteur, et l’imprimeur, en déclarant l'éditeur ou 1’ auteur, sont exempts de la responsabilité imposée par la loi. Décret portant que le prix du sel est diminué d’un quart dans les provinces de terre ferme et conservation de tous les autres impôts et gabelles suivant les taxes établies par les tarifs en vigueur. Nominations des chefs politiques qui restaient encore à faire dans les provinces du royaume, conformément au décret du 23. Création d un conseil municipal pour la ville de Gênes composé de trois sindics et 27 conseillers. 31 Dit. - Gratification de 750 livres pour Γ arme de cavallerie et d’artillerie légère, et de 600 livres pour Γ arme d’infanterie et d’artillerie de ligne, accordée à chaque sous-officier porté au grade d’officier depuis l’époque de 1’ abdiquation de S. M. Victor Emanuel, ou qui le serait dans la suite, pour lui tenir lieu d’indemnité de son équipement. 3 Avril. - Décret relatif à la dette pubblique et prescriptions relatives en exécution de 1’ art. 7 de 1’ édit royal 24 décembre 1819 et de V article 2 du règlement pubblié par les patentes du 22 avril 1820. 6 Dit. - Actes de la giunta provisoire par lequel 011 exprime des sentiments de dévouement et de fidélité pour le jour de la naissance du roi Charles Albert. 9 Dit. - Notification par laquelle on annonce de part de la giunta provisoire qu attendre l’approche à la capitale du comte de la Tour et des troupes autrichiennes, elle (1) Un mot illisible. 206 GIORNALE STORICO E LETTERARIO DELLA LIGURIA laisse le soin du bon ordre et de le tranquillité de la population au corps décurional. Presque en même temps la ville de Turin donne un manifeste tendant à tranquilliser les habitants et à conserver le calme et l’ordre. iî. Dit. - Dans ce jour on pubblia dans la capitale deux notifications de S. A. R. le duc de Genevois. Avec !a première datée de Modène le 16 mars, il déclare que d’après 1 abdication de Victor Emanuel, il prend 1’ exercice de toute 1’ autorité et pouvoir royal qui lui compète, mais il suspendit de prendre le titre de roi jusqu’à ce que S. M., mise en état libre eût fait connaître que telle était sa volonté. Il déclare aussi qu’ il n entend d’acquiescer au moindre changement dans la forme du gouvernement préexistant à la dite abdiquation. Il annule tout acte fait ou à faire après la dite abdiquation, à moins qu’ il n’émane de lui ou ne soit par lui sanctionné expressément. Par la seconde notification datée dn 23, S. A. R. a établi provvisoirement et jusqu’à nouvel ordre trois gouvernemens généraux: le premier pour le duché de Savoie (le comte Salinous d’Audezens), le second pour le duché de Gênes (le comte de Geneys), le troisième pour les états de terre ferme (Mr. le comte de la Tour). II. — L’ EMEUTE À GÊNES. 11 nuovo sistema costituzionale proclamato in Piemonte, in Genova si accolse e si addotò colla massima calma e col più felice successo. La concordia, la festività e la pace avea coronati i cambiamenti politici occorsi in tutto lo Stato, quando in mezzo a tanta tranquillità nel giorno 21 marzo di buon mattino rumureggiò ovunque la voce che il governatore de Gênes avea ricevuto da Torino un corriere apportatore la defezione dal governo costituzionale del principe di Carignano reggente, e che lo stesso s’era messo alla testa d’una parte dell’armata per ritornar le cose all’antica politica. D’ora in ora si accreditava vieppiù tal notizia, ed infatti alle quattro ore pomeridiane, si pubblicò dal governatore un allarmante proclama che conferma i concepiti timori e sanziona colla certezza quanto dapprima era ancor dubbioso. Un cupo silenzio regna nella città, ogni volto impallidisce, ed ogni cuore o trema o freme. Sul far della notte si forman delli attruppamenti di cittadini tra quali primeggia la scolaresca. S’incomincia lo schiamazzo in contrada Balbi, in seguito alle porte dei Vacca in Piazza nuova, ed in fine il popolo dopo aver disarmati alcuni soldati più clamoroso si concentrò in Banchi, lungo le strade del ponte Reale e precisamente sotto al palazzo del governatore, sempre facendo ru-mureggiare in sono d' onda fremente viva la costituzione. Dura un pajo d ore lo strepito, alfine accorre della truppa pedona e quel poco di cavalleria che in Genova staziona. Dal popolo son tutti ricevuti a fischiate e si ripete più strepitoso il solito * Evviva »; la cavalleria urta il popolo; ma questo s’inasprisce di più. Vien disarmato l’uffiziale dei dragoni e riceve alcune ferite della stessa sua sciabola maneggiata da un cittadino. La truppa fa fuoco sul popolo, e questo si discioglie, e pochi restan feriti. Ogni uomo prudente si ritira in casa, e tutte le piazze e strade sono militarmente occupate. GIORNALE STORICO E LETTERARIO DELLA LIGURIA Così fra il silenzio trascorre il resto della notte. All’indomani orto franco, botteghe, uffizi son chiusi. Lo smarrimento e universale, le communicazioni fuor di città non son più libere, ognuno alle pubbliche porte vien perquisito. I corrieri son circondati dai gendarmi, e vengon gelosamente condotti dal governatore. Arriva la diligenza di Torino, vien scortata da truppa e carabinieri; ai viaggiatori è proibito di parlar con persona; e a .a Pr°cedere sempre più nel pubblico si confermano i concepiti sospetti che il governatore tradiva la città e che tutte le apparenze indicavano esser supposta e falsa la defezione del principe reggente e che Genova era vittima della cabala concertata col governo austriaco. Le strade eran affollate di popolo, la costernazione, lo sdegno regna ovunque; per autorità superiore la truppa riceve gli ordini i più sanguinari e si tenta di metterla in dissidenza ed irritazione col popolo, insospettin-dola che questo vuole sacrificarla. Ogni strada n’ è piena ed il tumulto aumenta. A mezz’ ora di notte si sbarran due cannonate a mitraglia dal ponte reale lungo la contrada e piazza Banchi. Per -fortuna poco vera di popolo, ma molta truppa e ne restan morti e feriti molti individui, senza che se ne possa verificare il numero, perchè di nascosto vengon sepolti e non ben si comprende il come e perchè si ordinasse di tirar sul popolo e soldati alla rinfusa. E da questo momento incomincia da vari punti della città la moschetteria che costò la vita ad alcuni cittadini. Dappertutto è innondato di truppa, ognuno si chiude in casa, e si passa una notte d’angoscia. Il giorno 23 palesa col corriere le notizie di Torino; nella capitale tutto è tranquillo senza innovazione, l’idea del tradimento si conferma, si ridesta un tumulto universale, la truppa si persuade d’essere ingannata e tradita, cangia partito e si unisce col popolo cittadino. Il reggimento legione è il primo a mettersi in movimento, e scorre tutta la città gridando ad una voce coi borghesi: Viva la Costituzione. Tutti gli altri reggimenti colla velocità del fulmine fan lo stesso ed a mezzogiorno tutti uniti militari e cittadini formano una mente ed una voce sola. Il palazzo del governatore è furibondamente innondato ; esso ebbe o la cecità o la fermezza di non fuggirne. Con severe minaccie è invitato a discendere: non si tollera dilazione o scuse, e già più non si resiste ; impetuosamente se ne spalancan le porte e si penetra addentro, popolo e soldati lo atterrano, poco mancò che venisse gittato giù dalle finestre, ma infine vien strascinato sulla pubblica strada, se gli strappa divisa, insegne e denudato il capo, lacero, lagrimoso, e col color della morte in viso lo avvicinò verso la torre di palazzo tra gli urli e gli insulti; è già in piazza Campetto, ma qui più non regge e sviene. Il furore diede luogo alla pietà e così malconcio vien a stento ricoverato nella casa più vicina. E qui firma un proclama per cui depone ogni sua autorità nel Corpo della città. Il gene- 2o8 GIORNALE STORICO E LETTERARIO DELLA LIGURIA rale d’Ison con applauso e voto universale vien nominato subito provvisorio governatore. In poche ore vengono armate tre mila guardie nazionali, e promiscuamente, ed in perfetto accordo colla truppa prestano gli opportuni servigi. Si può dire che l’intera città corre e ricorre la piazza Campetto a contemplar quell’ asilo, che racchiude la causa di tanta catastrofe, quell’ uomo due giorni avanti da tutti amorevolmente riverito e che 1’acciecamento o falsi consigli o altro che.... l’ha piombato dal più eminente grado nella più umiliante condizione. L’instante grido dell’immensa folla di tempo in tempo chiama alla finestra l’uomo infelice, che vacillante s’ affaccia, sostenuto dal generale d'Ison, e con umile saluto risponde all’ invito del popolo rumureggiante. Intanto la notte si avvicina, e l’ora è giunta che quel disgraziato fatale deve far passaggio dalla casa ospitale al pubblico palazzo. Ma come esser sicuro che non s’alzi il furibondo che nuovamente oltraggi e non attenti alla vita dell’ infelice? Saviamente si pensa che la persona dell’ arcivescovo avrebbe imposto sommissione e riverenza al furore plebeo, e desso monsignore si prestò all’ invito ed uffizio pietoso di porsi accanto dell’uomo sventurato, accomiatandolo al suo destino. Il generale d’Ison ed il prelato protestano ed arringano al popolo in senso costituzionale e ne ricevono il giuramento a nome della costituzione medesima che il povero ex governatore passerebbe a loro fianco, al pubblico palazzo, senza ulteriori insulti e subito (oh vista imponente! oh esempio!...) comparisce il lagrimevole ed interessante personaggio alla vista di tutti, framezzo alla spada ed alla croce. Scortato da doppia lunghissima fila di soldati misti colla guardia nazionale, che fra il cupo mormorio d’immenso popolo passa lentamente, ma senza udir grido d’insulto, al luogo destinato. E quivi gelosamente ed onestamente custodito attende la sua sorte dalla legge e dalla autorità sovrana. La tranquillità ovunque ritorna ed il buon ordine regna. Nessun si macchiò la mano nè di sangue nè di particolare rapina; ed ognuno reduce al proprio albergo gode quella pace e riposo che tolto e funestato gli venne ne’ due precedenti giorni angosciosi. E la successiva perfettissima calma è tale che pare impossibile che epoche sì tumultuanti e disastrose l’abbian preceduta. Ed è pur dolce cosa il rimembrare che il popolo genovese non si lordò in tal terribil frangente di quel sangue, della cui innocenza o colpa ne porterà sentenza la giustizia e l’istoria. Caro amico, che lezione alla nostra esperienza! Qual disinganno ai fumi della grandezza e della potenza!... Qual precetto, perchè l’uomo non profani il santuario dell’equo e del giusto. Eccovi il genuino, verissimo compendio d’una fatale e dolosa (sic) istoria di cui ogni parola sarebbe suscettiva di longo commento. Ma tiriamo un velo su questo lacerante quadro, la di cui causa pare sia per avere delle terribili conseguenze di ancor lunga e disastrosa durata. GIORNALE STORICO E LETTERARIO DELLA LIGURIA 209 ni. QUESTIONS SUR L’ÉMEUTE DE GÊNES. publiquVdLallTdrans°hdn^eXHandrÌe d'après la voix furent ks'pr’ V°yageUrs de la diligence de TurinÌ Gênes nement Η-ϊ™"6 TmeSUre ne fut ici adoPtée ensuite de l’éve- content des événements'mfiVét général. Paraissait Drénarer On fa' > · j ctaient passes et qui allaient se sur 1 ’ impression fait °°Τ'Γ ί™*4® VagUes et contradictoires andrie On J * t C°Ut" R°‘ de ces nouvelles d’Alex-fimtSatieÎre S Seneralement dans l'attente et même dans officielle à cet égard™’ ^ ^ V°'r PUbl‘er 3uelc}ue Pièce ις mars' nnnCrr,rÌer'Xtra0idÌnaÌre de Turin’ arrivé à Gênes le Frnarmi»î ?P°rta,la P'^ce officielle de l'abdication du roi Victor KW *Ier13 U dit^Turin Par lui> ses ministres nation à la rôll T™ QU' Y étaient Présent’ et de la »omi- Savoie et C-iriana r royaume du Pnnce Charles Albert de la ville an mm deux Piecès furent placardées dans la ville au commencement de la nuit du dit jour i ; mr lp4° ■ Aucun ordre ne fut donné depuis le 15 jusqu’au 21 ITurToT* par les autorités locales; dles nue5 fit ,^artranqu,lllté Publique fut troublée par la publication du duc rh?HUVFn,eUr, VGeneS 16 21 mars de la Proclamation du duc Charles Félix de Genevois, datée du 16 mars. Tout le monde crut mal à propos voir une surprise qu’ on avait fait au finement lui faisant avenir lapièc? don, il îagit, nennll ^lque cabale Pour détruire les espérances que le devait inh-nHner HaVait'COt'1ÇUuS par Ie nouveau système qu’on devait introduire d après les bases d’une constitution libre t,Pr0damat,0n du duc de Génévois a été répétée sur inutile d V gaZel f PtyS étrangers- et il est parfaitement inutile d en rapporter ici la teneur. La fermentation excitée par la publication dont il a été parle se manifesta le 21 ou 22, mais par les cris de quelque jeunes gens qui tantôt réunis en peu de nombre et tantôt séparément, demandaient le formation d’une garde nationale et le maintien de la constitution. La nuit du 22 au 23 fut plus orageuse que la précédente. Un craignit, et peut-être sans peu de fondement, que des atrou-pements se renouvelassent dans les divers quartiers de la ville et surtout autour du palais de l’amirauté scititué (sic) dans la rue Banchi ou demeurait le gouverneur, et prononçassent les memes cris Des coups de canons chargés à mitraille posés au bout de la dite rue au dessus de la porte qui mène au quai Gtor- St. e Lett. del'a Liguria GIORNALE STORICO E LETTERARIO DELLA LIGURIA Rovai furent tirés à la nuit tombant; 4 à 5 individus bourgeois dont on ne connati ni le nombre précis ni la condition, mais qui étaient étrangers à tonte espèce de mouvement et d opinion, furent tués par hasard. On assure que le nombre des victimes a été plus fort parmi un détachement nombreux qui étaient (sic) au dessous de la loge de’ Banchi dont l’entrée est en face de la porte du quai Royal. . D’après l’explosion de ces deux coupes de canon, toute la populace s’ enferma pour ainsi dire dans les maisons, des nombreux détachemens de troupe étaient établis dans les diverses places et rues de la ville. Les avenues du palais du Gouverneur étaient gardées par un piquet de cavalerie, sous les ordres u lieutenant marquis Sommariva et par trente carabiniers royaux commandés par leur chef Che Richeri (sic) leur colonel. Le 23 mars, le courrier de Turin arrivé, et d après les le -très rendues le 21, s’étant manifesté dans cette ville que la capitale était tranquille, que la proclamation du duc Chat es Félix n’y avait pas été publiée, que la Junte chargée du Gouvernement vaquait à ses affaires sans le moindre relâche et qu'elle appellait dans son sein de nouveaux membres, et entre autres M. Spinola Maximilien de Gênes, beaucoup de monde et des militaires se rassemblèrent au dessous du palais du Gouverneur, demandèrent à le voir à grands cris. Il descendit et fut environné par la populace qui le conduisit jusqu’ à la place^ de Campetto et apparemment sans aucun dessein; là il dût s arreter sans pouvoir plus marcher. On le fit monter, presque dans les bras de quelques braves gens dans le 3e étage d’une maison sise à Campetto occupée par le Sr. Jacques Sciaccalugue. Le même peuple s’ assembla autour de cette maison et répétait les mêmes cris de constitution et de Garde nationale. Le Gouverneur, pour se soustraire à la violence et au tumulte qui s’étaient solevés jeta du haut de la maison Sciac-caluga une déclaration écrite et signée par lui en italien et contresignée par le chevalier de Rey, colonel chef de l’état major, dans laquelle il prêtait serment à la constitution, dans la manière que le prince Charles Albert de Carignano régent du royaume l’avait fait; il ordonnait, aux commandans des forts autour de la ville de remettre ceux-ci aux autorités constitutionnelles pour les garder pour le bien de la nation, et il prescrivait à tous d’exécuter les ordres du dit prince régent, ainsi que la mise en activité de la Garde nationale. 6° - Il nomma ensuite une commission composée de douze individus pour gouverner la division de Gênes. Ces individus furent nommés et publiés du hant de la croisée du S.r Sciaccaluga, un à un, par 1’ entremise du sieur Chichisola Joseph négociant. Leurs noms suivent: D’Ison, ex commandant la division, général en retraite; Jerome Serra, ex président du Gouvernement génois de l’an 1814; Cattaneo Jerome, Molfino Mathieu, Syndic GIORNALE STORICO E LETTERARIO DELLA LIGURIA 211 de la ville, François Peloso, négociant; Chiappa Jacques, négociant; Ralbi Emanuel, Follot André, Baratta Charles, Moro Louis, Sciaccaluga Jacques, Crezea, major de la légion légère. Ils maintinrent la tranquillité dans la ville et ils se mirent en correspondance avec la junte du Gouvernement de Turin. Rien de remarquable n’ a été opéré par cette espèce de gouvernement provisoire, si ce n’est une diminution sur diverses gabelles, sel, grain, vin, etc. 7° - M. des Geneys rentra à la tête du gouvernement lors de l’arrivée du général La Tour à Turin 10 avril, qui fut connue ici le même jour, de même que l'ordonnance du Roi Charles Félix qui nommait M.r de Geneys gouverneur général à Gênes. 8° - Le 12, 13 et suivant du même mois d’avril, plusieurs officiers, parmi eux les chefs Ansaldi, Regent Saint Marsan fils Santa Rosa, Lisi arrivèrent à Gênes, où le gouvernement, à ce qu’on disait alors, leur facilita les moyens de s’embarquer pour l’Espagne, et en effet quelques navires partirent pour cette direction, ayant à leur bord des officiers et des individus étudiants qui fuyaient le Piémont et le vieux système renouvellé de son gouvernement. La commission du gouvernement fut dissoute par elle même dès le 12 d’avril. LA QUADRIREME DI ANDREA D’ORIA. Determinata la spedizione d’Africa, il D’Oria allestiva nei primi mesi del 1535 con grande attività le galere necessarie all’impresa; della quale sollecitudine operosa, oltre agli scrittori contemporanei, rendeva informato il duca di Ferrara il suo agente a Milano Ferrante Trotti, che il 12 febbraio scriveva fra l’altro: « Il sig. Principe facea fare una quadrireme, legno non » usitato, per vedere se riuscia bene, per servirsene riuscendo » molto utilmente > (1). E più tardi, quando Carlo V si decise alla partenza, Alfonso Rossetti scriveva il 31 maggio da Barcellona all’Estense: « L’Imp.re è imbarcato in la quadrireme, la » quale è la più bella galera che si possa imaginare, e a popa » li è preparata una cameretta ove dormirà esso et lo Infante » Don Luis di Portugal » ; mentre il i° del mese stesso avvisando l’arrivo del D’Oria a Barcellona aveva notato : « La » quadrireme è tale che a gran fatica non si potrebbe meglio » pingersi nè imaginarsi » (2). Nissuna speciale menzione di questa nave singolare si trova ne’ nostri storici locali contem- (1) Ardi, di Modena — Lett. 12 febbraio — Neri, Andrea D' Oria e la Corte dì Mantova. Genova, Sordo-Muti, 1898, p. 64. (2) Arch. cit. — Lett. 1 e 31 maggio — Neri, 1. cit. 212 GIORNALE STORICO E LETTERARIO DELLA LIGURIA poranei, chè il Partenopeo si restringe ad accennare ad « una quadrireme riccamente addobbata » (i), mentre ne tace il Bonfadio; del pari non ne fa menzione il Cappelloni, ed il Sigonio ce ne ha lasciato un breve ricordo. « Questo legno », egli scrive, « era con sì raro artifìcio et con tanta et sì nuova » magnificenza fabricato, et ornato così riccamente, che pareg-» giava in questo genere le spese superbissime delli antichi » Imperatori » (2). Ma chi ha discorso con particolarità maggiori di questa galera, è stato il Bizaro, con queste parole : « Haec » quadriremis adeo erat affabre extructa, ut omnes illius tem-» pestatis artifices haud parum in sui admirationem raperet. » Taceo auratum laquear et puppim caelatura atque eximia » pictura conspicuam, quae intus et extra umbraculo ex auro » purpuraque intertexto contexta erat; remigibus serica tunica, » et epibatis omnibus vestitus, atque armaturae cultu plurimum » exornatis » (3). Al che aggiunge un importante particolare il Brantôme, là dove nella vita di Andrea dice : * Au voyage » de la Goulette, dans sa Galere Generale, qui n’ estoit que » quatriesme, dont on faisoit alors gran cas, ou il portoit l’Em-» pereus, il avoit mis en son Estandart General pour devise » une Estoille à rayons, environnée de plusieurs traits et fléchés » en signe d'invoquer la conduite, l’addresse et la puissance » de Dieu, avec ces mots: Vias tuas Domine demonstra mihi » (4); Da queste fonti sono derivati i brevi ricordi posteriori. Il Casoni in fatti segue il- Sigonio (5); mentre il Guerrazzi attinge evidentemente dal Bizaro, dal quale, come egli stesso rileva, ha tolto per ultimo la notizia il Guglielmotti (6). Ma una descrizione assai più larga e davvero curiosa usciva per le stampe, proprio ne’ giorni stessi in cui la nave era stata costrutta, in un di quei libercoletti d’indole affatto popolare, come a dire le poesie e le storie ; costume non dismesso neanche oggi rispetto a certi fatti per lo più delittuosi, onde si compiacciono in singoiar modo le comari e le domestiche. Libercoli allora maggiormente divulgati in pubblico più largo, come quelli che teneano luogo delle gazzette, e perciò il nostro potrebbe altresì recarsi come esempio dei più antichi avvisi o novelle. E sì fatto carattere può tanto meglio convenire ad esso, in quanto che nell’ultima parte contiene appunto alcune notizie riguardanti la impresa d’Africa. (1) Partenopeo. Annali volg. da S. Bacigalupo. Genova, Ferrando, 1847; P· 136· (2) Sigonio. Vita et fatti di Andrea Doria trad. da Pompeo Amolfini. Genova, Pavoni, 1598; p. 172. (3) Bizarus. Senatus populique genuensis rerum, domi forisque gestarum, histonae atque Annales. Antuerpiae, Plantini, 1579; p. 502. (4) Brantôme. Metnoires contenons les vies des hommes illustres et grands capitaines estra?igers de son tenips. Leyde, Sainbis, 1666; vol. 11, p. 46-47. (5) Casoni. Annali della repubblica di Genova. Genova, 1799, Casatnara; vol. II, pagina 109. (6) Guerrazzi. Vita di Andrea Doria. Milano, Guigoni, 1864; 11, p. 308. — Guglielmotti. La guerra dei pirati e la marina po?itificia. Firenze, Le Monnier, 1876 ; voi. i, p. 410. GIORNALE STORICO e LETTERARIO DELLA LIGURIA 21 3 Eccolo nella sua integrità (i) : Copia de una Lettera uenuta da Genova. Notata adì 25 de Marzo. 1 nnclPe Andrea dorio ha fatto una Galera per la Cesarea Maìestà : quale dicono esser longa quindece palme et larga quatro più dele altre. ? tn,ele altr? uanno tre affori:ati P«r bancho I in questa ne uanno oli' r i 1 C*U1 P.reso el 1101116 de Quatrireme. In prora uano tre ga- r 1 1 c ie così gli dicono stendardi, con Bandere de damasco cremesin ; °nf,,palme uintitre luna | posti tutti in oro. In quello de mezo una stella doro col campo pieno de razi et freze atorno | con littere che dicono, las uas domine demonstra mihi. Nelle altre dui la impressa de sua aiesta , con facelle de foco | con parole che dicono. Ignis ante ipsum prece e . Λ e la bandiera della Gabbia qual pendeua fino al mare uno Angelo molto grande con littere intorno che dicono, Misit deus angelum suum ut custodiat te in omnibus uiis tuis. Ne la bandiera de la Antena un cuto I una celata [ una spada, con parole intorno. Apprehende arma et scutum I et exurge in adiutorium mihi. Tre stendardi | dui de largheza de sette pezze | laltro de otto longo palme uinticinque : laltro trenta. Nel grande II Crucifixo con freze doro senza parole Nell altri dui le arme de sua Maiesta et staranno inanzi la popa dreto lequal andera una bandiera de damasco biancho longa uintisei palmi; in mezo una pietra de littere. Arcum conteret et confriget; arma et scuta comburet igni, et per lo campo chiaue calici et croce de sancto Andrea. Dale bande duoi altre bandiere dela me-dema longeza ma rosse con le due coione con littere intagliate. Et plus ultra con limpressa di sua Maiesta. Poi si ferno uintiquatro bandiere de damascho con campo gialo messo in oro con le arme de sua Maiesta : con le frezi rosse ne li cantoni de argento con le impresse | de sua maiesta, La Camera uiene tutta intagliata de lauori bellissimi de legname messi in azuro et oro, et de più altri paramenti di tela doro e dargento. La pope uiene medesimamente intagliata de uno Cendale de Yeluto cremesino fodrato de brocato riccio sopra rìccio : et un altro di scarlato per ogni dì. La Ciurma e vestita di seta con camise lavorate di seta. Lartegliaria che e portata da ogni parte sera molta et grossa et minuta : gli homini che ce andaranno si pensa che saranno ben. vestiti et ben armati con questa et quatordece altre Galere andava in Bar-zellona | ove se intende che sera sua maiesta. Et sono opinioni che uoglia uenir in Italia unaltra uolta : pur il più crede che nò, et che il Principe pigliara li sette milia spagnoli che sono in ordine per questa impresa : et larmata de Spagna et de Portogallo et uerra in Sardegna. El signor Marchese con le altre Galere et naue che sono qui imbarcara li quatro milia Italiani et sette milia Todeschi che sono in Lombardia, et andràno a Napoli e de li in Sicilia per pigliare cinque milia spagnoli che sono li : et le galere passerano in Sardegna. Uno dei particolari, quello cioè che si riferisce allo stendardo principale, trova riscontro preciso nel cenno del Brantôme innanzi citato, il che potrebbe far credere non gli fosse rimasta ignota la descrizione data dall’opuscolo contemporaneo; se pure non ha attinto d’altronde, e forse dalla bocca di qualche te- (1) È nella Biblioteca di S. M. in Torino — Misceli, di Storia Patria. Municipi, volume vi, n. 13338-18136. Opuscolo in 8, di cc. 2 nn., con una silografia. registrato anche in Manno. Bibliografia storica degli stati della Monarchia di Savoia. Torino Bocca, 1898; voi. vi, p. 223, n. 24591. (1) Sandoval. Della vida y Hechos dell'Emp. Carlos V, in Duro. Armada espanola-vol. i, p. 224 in nota. 214 GIORNALE STORICO E LETTERARIO DELLA LIGURIA stimonio oculare, ο dalla tradizione. Ha invece strettissima parentela con quell’ opuscolo la notizia lasciataci dal San ov^ ' » Tenia esta imbarcación », sono sue parole, « 24 ban eias e » damasco amarillo con las armas imperiales por la boi a, un » pendón â media popa de tafetân carmesi que llevaba oc o » pierras y treinta palmos en largo con un crucifijo de 010, y » otro dos casi de su tamano con sendos escudos de las armas » del Emperador, y alli junto una gran bandera bianca e a-» masco, sembrada de llamas y calices y aspas de San n res » coloradas, con un letrero en latin (Salmo 4): Arcum con ei e » et confringet arma et senta comburet igni. Otras dos e a » masco colorado del mismo tamanno con Plus ultra abiede or » de las columnas. Otra en la entena de dos puntas, con una » espada, escudo y celada, y la legenda Apprehende arvia e » scutum et exurge in adiutorium mihi. Otra en la gavia que » llegaba al agua, con un ângel y el mote Misit Dotmnus n-» gelum suum qui custodiat te in omnibus viis tuis. I res ga » lardetes en lostres mâstiles de damasco colorado y mas e » cinco varas de largo con una estrella de oro, muchas llamas » de fuego y letra Notas fac mihi Domine vias tuas. La sa a y » càmera de popa estaba guarnecida de tela de piata, oroy bro-» cado de très altos, colgaduras de raso y damasco de diversas » labores, todo rico ». L’ordine, come si vede, non è precisamente conforme a quello che si riscontra nel nostro opusco o, ma la sostanza è la stessa, e qualche volta ricorrono persino le medesime parole; il che vuol dire o che il Sandoval conob e quella descrizione, oppure che questa ebbe la sorte di un vo -garizzamento spagnuolo, del quale si giovò il citato autore nel a sua Vita di Carlo V. Gli ornamenti, specialmente esterni, son tutti divisati; mancano però quasi per intero le indicazioni tecniche, contentandosi lo scrittore di toccare della dimensione, e di giustificare la denominazione di quatrireme, dal fatto che invece di « tre afforzati per bancho », se ne dovevano mettere quattro. Non è qui il luogo di fermarsi intorno alla struttura della nave, od al remeggio; gli scrittori di cose navali ne hanno parlato largamente e con piena competenza, sebbene non siano ben d’ accordo per determinare le modalità di sì fatte galere o di somiglianti, delle quali si hanno esempi poco innanzi al tempo in cui apparisce costrutta questa del D'Oria; basta ricordare la quadrireme del Picheroni, e la quinquereme di Vittore Fausto (1). Quanto è degli addobbi e dello splendore degli or- (1) Si può vedere a questo proposito: Jal. Archéologie navale. Paris, Bertrand, 1840; voi. i, pp. 374 sgg. — Guglielmotti. Storia della marma pontificia nel medio evo· Firenze, Le Monnier, 1871 ; voi. 1, pp. 176 sgg. — Lupi. Il remeggio delle navi antiche; nella Rassegna Nazionale ; voi. xxi (1885), pp. 200 sgg. — Manfroni. Stona della^ marina italiana dalle invasioni barbariche al trattato di Ninfeo. Livorno, Giusti, 1899; pp. 449 sgg. e Storia della marina italiana dalla caduta di Costantinopoli alla battaglia di Lepanto. Roma, Forzani, 1897; pp. 181 sgg. GIORNALE STORICO E LETTERARIO DELLA LIGURIA 215 namenti voleva forse il D’Oria, da privato, gareggiare con la splendidezza, onde si vide adornata due anni prima la galera reale di Francia che condusse papa Clemente a Marsiglia (i). Rileveremo finalmente un’ultima particolarità. La stampa, subito sotto la intestazione, che tien luogo di titolo, reca una silo-grafia rappresentante una galera pavesata, entro alla quale si veggono una figura con scettro e corona, quindi una donna, e per terzo, sembra, Cristo con la croce; sul ponte d’imbarco tre riguardanti, e più in alto un castello alle cui finestre un’ altra figura coronata, e, pare, una donna. Ci sembra che l’intenzione dell’ autore fosse quella di raffigurare simbolicamente la galera del D’Oria all’atto dell’ arrivo, poiché abbiamo dal Rossetti che l’ammiraglio era « expetato da S. M. et tutta la corte sopra » il mare in la spiaggia », e giunse « solennissimamente al so-» lito suo e con le galere adornate di fronde conveniente a tal » giorno » ; quindi smontato < da la sua quadrirema capitanea », andò * a fare reverentia a S. M.tà cum tre Gentilhomini; la quale » M.tà stava ad una finestra sopra detta spiaggia » (2). A. N. BOLLETTINO BIBLIOGRAFICO. Giuseppe Dalla Santa, Le appellazioni della repubblica di Venezia dalle scomuniche di Sisto IV e Giulio II. Venezia, Visentini, 1899; pp. 29 (est. dal Nuovo Archivio Veneto, t. xvii, parte II). — Dei tre appelli (non so perchè l’A. li chiami, con voce assai poco usata, appellazioni), dei quali tratta il Dalla S., i due primi si collegano alla guerra di Ferrara (1482-1484). Sigismondo de’ Conti, nel dicembre del 1482, era andato a Venezia per indurre, a nome di papa Sisto IV, la Repubblica a sospendere le ostilità contro Ferrara. Allo stesso scopo mirarono anche le bolle pontificie del giorno 11 dicembre di quell’anno; ma tanto l’ambascieria del Conti quanto le bolle del papa fallirono totalmente. Il 14 febbraio 1483, Sisto IV scrisse un’ altra volta alla Signoria invitandola a desistere dalla guerra ferrarese e dichiarandole che, ove non avesse ubbidito agli ordini pontifici, avrebbe usato « delle armi temporali e spirituali ». Da questo monitorio e da qualsiasi altro eventuale la Repubblica, il 3 marzo 1483, si appellò « ad tribunal omnipotentis Dei, summi et veri omnium rerum iudicis, et ad futu- (1) Guglielmotti. Guerra pirati cit., vol. i, p. 351. (a) Neri, 1. cit., p. 64. 2l6 GIORNALE STORICO E LETTERARIO DELLA LIGURIA rum generale ' Concilium, quod, iuxta constantiensem sancte Synodi constitutionem », doveasi tenere di decennio in decennio. La Repubblica dunque annunziava solennemente di appellarsi al Concilio prima ancora che il papa l'avesse colpita con la bolla di scomunica. La bolla d’interdetto di Sisto IV contro Venezia è del 23 maggio 1483; il 24 fu approvata in concistoro dai cardinali. Non molti giorni dopo la Repubblica potè averne qualche notizia. Il 15 giugno, la Signoria, nella sala della Quaranta criminale, alla presenza di autorevoli prelati, si richiamò all’ appello del 3 marzo ed aggiunse essere a lei pervenuta notizia, dopo quel giorno, che il papa aveva fatto pubblicare certe lettere di scomunica; a ciò essa non vorrebbe prestar fede pensando ai molti suoi meriti verso la Cristianità. In ogni modo, la Signoria conferma la scrittura del 3 marzo e nuovamente si appella a Dio ed al Concilio generale da qualsiasi monitorio già eventualmente promulgato o da promulgarsi. Di quest’ ultimo appello la Repubblica mandò a Roma tre copie. Nelle due scritture, e particolarmente in quella del 15 giugno, la Signoria dice che, stando al decreto Frequens della sinodo di Costanza, dopo il secondo concilio da celebrarsi in Italia e il terzo in Germania, nuovi concilii doveano riunirsi « de decennio in decennium.... primo in Galliis, secundo in Italia, tercio in Germania » (doc. II, p. 26). Ma il Dalla S. dimostra chiaramente che, quanto ai luoghi di riunione, in virtù di quel decreto, veniva data facoltà di designarli, alla fine dei singoli concilii, « al papa col consenso ed approvazione di quelle stesse assemblee; in caso poi di guerra 0 di contagio, avrebbe il pontefice, d’accordo coi cardinali, potuto sostituire un altro luogo, e parimenti anticipare il tempo della riunione, non però differirlo » (p. 11). E’ del 1509 un terzo appello. Giulio II voleva che Venezia restituisse al papato Rimini, Faenza ed altri luoghi, che, secondo l’affermazione di Giulio II, spettavano alla Chiesa romana. Se a co-desta intimazione la Repubblica non avesse ubbidito, il pontefice 1 avrebbe scomunicata. La Signoria dichiara illegittimo e sconveniente il modo di agire del papa, che nella questione si fa parte e giudice: aggiunge ch’egli strinse alleanza col re di Francia, nemico della Repubblica, la quale, del resto, avrebbe potuto restituire quelle città, non perchè ne fosse obbligata, ma per evitare spargimenti di sangue e uccisioni di uomini. Se non che il papa, ordinando o permettendo che fossero barbaramente distrutte terre soggette al dominio di San Marco, s’era mostrato aperto nemico di Venezia. Per codesti motivi la Signoria, non potendo nè dovendo accettare alcuna censura, si appella alla Santa Sinodo e chiede « instantissime » che questa sia convocata dal papa o da chi ne abbia facoltà. E perchè la Signoria è ben certa che il presente appello difficilmente giungerà nelle mani del papa, ne ha fatto interposizione presso onesti uomini e ne chiese l’intimazione allo stesso pontefice. Il Dalla S., confrontando questa GIORNALE STORICO E LETTERARIO DELLA LIGURIA scrittura con parecchi passi di altre scritture ufficiali di quel tempo ed esaminando i caratteri estrinseci del documento, prova eh’ esso è « una minuta della vera appellazione di Venezia in seguito alla scomunica di Giulio II » (p. 18). Il documento in discorso fu compilato, secondo l’A., negli ultimi giorni di aprile e ne’ primi del maggio 1509, « dopoché la repubblica aveva avuto ripetute sicure informazioni della mente del papa » pp. 19-20). Due corrieri portarono le copie dell’appello a Roma: essi ne ebbero incarico dalla Repubblica il 7 maggio 1509. Pare che una copia sia stata spedita in Ungheria al cardinale di Strigonia, patriarca di Costantinopoli, affinchè s’adoperasse con sollecitudine per la riunione del concilio. Questa, nelle sue linee massime, la contenenza dell’opuscolo scritto con diligente cura e con sobria erudizione. In appendice (pp. 22-29) l’A. pubblica integralmente il testo dei tre appelli. Senza dubbio, il lavoro del Dalla S. è di non poca importanza e giova assai « per conoscere minutamente la storia delle lotte veementi che in quell’età si combatterono e nel campo dei fatti ed in quello del diritto » (p. 3). Ch’esso però appaghi del tutto i lettori, non oserei affermare. Pur sapendo che non si può chiedere al Dalla S. più di quello ch’egli s’è prefisso di chiarire, mi sembra tuttavia ch'egli avrebbe dovuto fermarsi un po’ più sul momento storico in cui quegli appelli furono scritti ed esaminare il loro valore giuridico mettendoli in relazione con la politica di Sisto IV e di Giulio II. Forse diligenti ricerche presso l’Archivio vaticano potranno far conoscere nuovi particolari su quelle scritture, che hanno tanta importanza nel campo degli studi storici e giuridici. G. Cogo. Diplomatarmm Veneto-Levantinum. Pars II. Venetiis 1899; in 8 gr. [Doc. pubb. dalla R. Dep. Veneta di Storia Patria, voi. ix). La morte di Giorgio Martino Thomas, avvenuta nel 1887, troncò la pubblicazione da lui iniziata dei documenti veneziani riguardanti il Levante, e pubblicata in parte nei Fontes Rerum Austriacarum con ampie illustrazioni (fino al 1299) in parte; senza illustrazioni, negli Atti della R. Deputazione Veneta, dal 1300 al 1350. L’illustre uomo aveva bensì preparato il manoscritto, che conteneva i documenti dal 1350 al 1453, ma parve alla Deputazione che molte serie dell’Archivio non fossero state esplorate, che molti documenti potessero aggiungersi, che infine l’edizione dovesse essere più accurata e diligente. A queste ragioni deve attribuirsi l’enorme ritardo (dodici anni!) della pubblicazione, ota assunta da R. Predelli, il quale pur rispettando nelle sue linee generali il disegno del Thomas, curò la lezione e l’ortografia dei documenti secondo le più recenti 2lS GIORNALE STORICO E LETTERARIO DELLA LIGURIA norme e ci diede un’opera che, se non completa (ch’egli stesso nella prefazione accenna a numerose lacune, ad intiere serie di documenti non esaminati), quale almeno poteva ottenersi, date le circostanze e le vicende numerose, che dalla morte del Thomas in poi, ebbe la pubblicazione. Secondo il solito sistema del nostro periodico, diamo un cenno sommario dei principali documenti genovesi, che riguardano Genova. i° - Nel preambolo del trattato di alleanza stretto dai Veneziani coll’imperatore Giovanni Cantacuzeno nel 1351 > s* narra succintamente la storia della guerra scoppiata fra Genova e l’impero greco, le violenze commesse dai Peroti contro Costantinopoli negli anni 1347-1350, e della quale diffusamente parlano lo stesso Cantacuzeno e Niceforo Gregoras nelle loro storie. (Vedi, a questo proposito Heyd. Hist. du commerce (pag. 500 e seg.). In questo preambolo si dice che i Genovesi « moliuntur maria et per ipsa navigantes incessanter piraticis incursibus perturbare ». Nei patti è detto, che se si piglierà Pera, deve « dirui, prosterni et annichilari ex toto », i beni saranno divisi fra Venezia e l’impero. Gli altri paesi occupati da Genova saranno restituiti ai proprietari legittimi. Chio e Focea dovranno restituirsi all’impero. Si deve rivolgere ogni sforzo contro Pera e già si sono armati 300 cavalieri per assediarla, pagando al mese 1500 iperperi ciascuna delle due parti. Se si prende Pera, Venezia si obbliga a restituire le gioie, che ha in pegno (pag. 4 e seg.). 20 - In una formale protesta, presentata dal veneziano Marco Venier, si trova la notizia che un genovese, Ottaviano Travia, o Cravia, comandava nel 1357 una cocca saracena, e che genovesi erano pure molti mercanti e marinai della stessa. Con un’ astuzia avevano attirato a bordo molti mercanti veneziani — e specialmente il Venier — per vender loro delle spezie di Alessandria; e ^poi li avevano fatti prigionieri insieme con molti saraceni. Il Venier fu poi sbarcato su uno scoglio presso Candia (pag. 43). 3° - In una nota del notaio Andrea Domiano, scritta nel 13 59 e presentata al doge di Genova, Simon Boccanegra, si legge un lungo elenco di doglianze o di reclami, presentati dai Veneziani contro i Genovesi di Pera. Essi si dolgono che da Pera siano esclusi i sensali veneziani, contro le consuetudini, che fanno pagare il dazio sul vino ai mercanti veneziani, che vogliono esportarlo, che vogliono farlo misurare da agenti genovesi, che nelle cause dinnanzi al podestà di Pera, si fanno pagare ai Veneziani da 6 a 12 carati, mentre assai minore è la tariffa che si fa pagare il bailo veneto a Costantinopoli dai Genovesi; che il podestà se, qualche volta, condanna un suo connazionale, in processi intentati dai Veneziani, non lo condanna però a pagare le spese, che restano sempre a carico del querelante; che in caso di risse, si arrestano i Veneziani, mentre dovrebbero essere con- GIORNALE STORICO E LETTERARIO DELLA LIGURIA 2IQ segnati al bailo ; che arbitrariamente si esigeva dagli scrivani delle galee veneziane il giuramento, che non vi si era caricata alcuna merce genovese; che recentemente il podestà aveva spezzate le bilance veneziane, aveva detto villania ai mercanti, ed al bailo, che se ne lagnava, aveva risposto che aveva ordine di far così e che Pera era sua; che a Licostomo e in altri luoghi del mar Nero si vietava dai Genovesi ai Veneziani 1’ acquisto dei grani, a meno che non si mettessero in società con loro ; ma che quei pochi che accettavano il patto, venivan poi der fraudati. Il doge inviò il reclamo al podestà, intimandogli di far giustizia, « tractantes cordem venetos et tractari facientes fraterne, amicabiliter et benigne, ac taliter quod non habeant materiam iuridice conquerendi ». Ma i casi della guerra, che poco dopo seguì, resero inutili queste raccomandazioni (pag. 57-6°). 4° - Il Canale, nella sua opera Della Crimea (Documenti Tauro-Veneti) aveva già sommariamente ricordati due atti, uno del doge veneziano Giovanni Delfino, i' altro del doge Simone Boccanegra, in data 1361, pro evitatione scandalorum in Tana. Sono, in fin dei conti, le istruzioni inviate rispettivamente dai due governi ai loro consoli, ed a tutti gli altri magistrati del Levante, per impedire le discordie, le contestazioni, le^ risse, comminando severe pene agli autori di scandali e determinando la procedura da seguire in caso di disobbedienza. A questi due documenti, tien dietro una breve lettera circolare del doge Boccanegra ai magistrati genovesi, in cui con calda parola inculca la necessità di far rispettare severissimamente il decreto, « ut quos Dei et publici boni amor non revocat, saltem severitas disciplinae costringat ». Pare però che l’ordine fosse poco rispettato, perchè Vanno dopo i Veneziani mandarono Zaccaria Contarmi a fare nuovi reclami al Boccanegra, che subito rinnovò e con maggior severità, gli ordini di punire i colpevoli, e così pure fece nel 1363 il doge Adorno per Caffa (pag. 66-71-85-95). 50 - Un genovese, Pietro di Bernardo Giustiniani, aveva comprato, a nome suo e di altri suoi compartecipi, Lorenzo Gentile, Antonio Ganduccio e Cattaneo Spinola, un privilegio pontificio di inviare una nave ad Alessandria per mercanteggiare. È noto come in quel tempo il Pontefice avesse severamente proibito qualsiasi traffico cogli Infedeli, estendendo la proibizione antica — di importare ferro, legno, pece e schiavi e tutte le altre merci ; ma è noto pure che per denaro si poteva ottenere un privilegio, e i Veneziani stessi, pagando 9000 fiorini, avevano ottenuto da Innocenzo VI il permesso di inviare sei galee ad Alessandria, e una lettera del cappellano pontificio, Zenobio di Firenze (Diplom. 11, 75) ci fa conoscere che la concessione era stata ottenuta, non senza larga corruzione di molti dei prelati della corte. Ora i Genovesi sopraricordati avevano comprato per mille scudi d’ oro il privilegio da un Gherardo Rustichelli, ed ora il Doge, Lorenzo Celsi, lo comprava a sua φ 220 GIORNALE STORICO E LETTERARIO DELLA LIGURIA volta dai Genovesi. Tutto ciò appare da un atto notarile, che getta una strana luce su questo traffico di grazie che si risolveva, in ultima analisi, ad un monopolio nel commercio delle spezie. (A proposito di questo argomento, cfr. l’opera del Heyd, passim, e specialmente voi. 2,0 46 e seg.). E notisi che Urbano VI ne 1365 nel concedere la solita grazia pose fra le condizioni che il privilegio non si vendesse o cedesse (pag. 77-80). 6° - Durante la guerra del re di Cipro, Pietro di Lusignano co sultano d Egitto, gravissimi danni avevano sofferto i commerci genovesi e veneziani; ond’è che le due repubbliche inviai ono ambasciatori al re per chiedere che ponesse fine alla guerra Ambasciatori genovesi furono Dagnino Cattaneo e Pietro Kacanelli. Il re avverte le nostre repubbliche che è disposto a sce'l ^re. ad accordi, incarica i genovesi e i veneziani di farsi me ia ori e invia loro un abbozzo delle richieste che devono presentare al Sultano a suo nome. Anno 1368. , . 7 Da un documento posteriore appare che i Genovesi e ega 1 a trattare col Sultano furono Cassano Cicala e Paolo !nian°’ ai Φ13^ 'j Re rilasciò un completo memoriale con nnrif21011!1 cterm'nate· Ma l’ambasciata non concluse nulla, •ne 9 ebbe luogo una vera e propria alleanza dei Ge-γκ ,ene^ian' contro il Sultano, il quale non aveva an-rrmtrr! r,era °f 1 PrigIOnieri veneziani e genovesi fatti in Egitto, inva^n hF/1' °r.m! trattato, quando questo territorio era stato diamn rV, Γί Γ°' Pf* documenti del Diplomatarium appren-Cattanpn 6 t °^e no delegò a rappresentarlo Gabriele Lmente il J°mmaS0 dl u™0 apPare che ü PaPa diede cal' l’unione fu cK c°n®enso’c^e concesse numerose indulgenze, che di galee da ^ Ά & · stab^’to di armare un certo numero è noto Γ fmna!f1UngeJS! a quelIe dei Cavalieri di Rodi. Ma, come e i Genovesi Zien2a e re mandò a vuoto una parte del piano, Armata reale alle °Pera^oni infelicissime del- FilipDo di Maire - essa?dna! e se dovessimo credere al cronista PP ilaizenes, offrirono il loro aiuto aeli Egiziani Ma il eVXTflVT®?' li MaChairaS’ dal eoemett» di ““haut preziosa aggiunta doc""''",i veneziani costituiscono una preziosa m i documento de] L.ber juriu,,,, 7r_. nazione del rè Si Cipro”?ietrò nT°’ della cor°- Genovesi e Veneria Γ; I *· fra sc°PP>ata grave rissa fra negli averi. Stabilitasi ^Ena “α^ο™ ^ danne^iaî! Famagosta i danni sofferti Hai v Pr ’ 6 ,mPadromtasi di ond’ essi mandar"™Marco GiuïSTà ΓΓ soddisfazione Alla vigilia Heii-, ano a chiedere ripetutamente abbiamo una I^ga r£î IfdTe ?"'a “1 (*· -376), parte ammette i dannufcati ai P°'reg0S0· " Ί”81'' in pensarli, accettando la stima (t r , , 1 e Promette di com- in parte ribatte le lagnanze restrini Η& ^ d°ge di Venezia; lagnanze, restringendo i compensi a quelli GIORNALE STORICO E LETTERARIO DELLA LIGURIA soli dei Veneziani che non avessero preso parte alla guerra M ‘.(ienovesi; promettendo che coi primi redditi delia nrv?n\ Pr° saranno Pagate >e indennità, e di far diligente hi t s a Per ricercare i colpevoli. Il documento viene ora pub-Diicato integralmente per la prima volta, e, quantunque pei casi guerra non avesse poi seguito, è di singolare importanza come atto diplomatico (pag. 171-174). 9° - Finita col trattato di Torino la guerra veneto-genovese, non cessarono le violenze degli armatori privati; sicché Antonio enier, doge di Venezia, mandava il notaio Bonincontri al doge genovese Leonardo Montaldo per chiedere soddisfazione dei danni recati dal genovese De Marini a Marino Malipiero, la cui galeazza era stata sequestrata nel porto di Cerines, di Cipro, e pel se-Su5®t:i0 merci veneziane fatto dal console genovese di Caffa. ontaldo rispondeva che il Malipiero, toccando Cerines aveva vio ato uno degli articoli della pace; ma ad ogni modo ordinava a restituzione della galeazza; e quanto alle merci di Caffa, risu andò che esse erano state sequestrate tre giorni dopo la fine e e ostilità, ne ordinava pure la restituzione. Seguono ordini (pagr°86)'t0 a* di Chio e di Caffa, 9 giugno 1383 I0° - Nell’anno 1387 i Genovesi erano in guerra coi Tartari 1 oolgat, e il doge dà avviso delle ostilità al suo illustre fratello 1 doge di Venezia, avvertendolo non senza amarezza, che proibisca ai suoi sudditi di recarsi colle navi in Crimea, perchè s>cut et ipse nostis, martialis furor dum sevit, implicitas si quando reperii hostibus amicos non cernit indiscreto turbine s ümens ». In realtà i Veneziani si allontanarono; ma la guerra noij scoppiò, perchè il 12 agosto dello stesso anno Gentile Grimaldi e Giannone del Bosco stipularono la pace coi Tartari, come sappiamo da un documento pubblicato dal De Sacy (Cfr. Iìeyd, Voi. 2,0 pag. 207; nota 3). Il nostro documento trovasi a pag. 209 del Diplomatarium. il0 - in seguito ad altre querele, nel 1309, il Doge di Renova ordinava al capitano di Famagosta ed al console di -atta, di trattar bene i Veneziani, di non esigere da loro imposte 0 dazi contrari ai trattati, di non sequestrare le loro merci, raccomandando verso di loro quella fraterna amicizia, che pur troppo non era nel cuore nè degli uni nè degli altri (pag. 221). 120 - I Genovesi di Pera, in data 28 ottobre 1396, scrivono doge veneziano Venier per ringraziarlo « de bono zello et amore ostenso versus terram istam et habitantes in ipsa » dalle ai mate veneziane. Era come è noto, l’anno in cui Pera fu strettamente assediata da Bajazet, sultano dei Turchi, e già stava per cadere, quando nel settembre comparve l’armata veneziana di ommaso Mocenigo, forte di otto galee, al cui arrivo i Turchi, che correvano rischio d’esser presi fra due fuochi, si ritirarono. La lettera, piena di elogi per il Mocenigo, era già stata bre- 222 GIORNALE STORICO E LETTERARIO DELLA LIGURIA vemente riassunta dal Predelli nei Regesti dei Commemonah; ed io ne avevo fatto cenno nelle Relazioni fra Genova, i Impero Bizantino e i turchi (in Atti Soc. Lig. St. Pat., xxvm, 7 2 3)· Ora per la prima volta compare integralmente pubblicata; ma la nostra curiosità di conoscere dalla lettera genovese qualche particolare intorno a quel memorabile assedio, resta insoddisfatta, perchè Guglielmo de Bavallo, Durante Duranti e Percivallo de Porta, che si intitolano vicarii Peyre, accennano solo sulle generali agli avvenimenti, rimettendosi pel resto a ciò che narreranno coloro che se ne tornano in Italia sulle galee di mercato. Con altra lettera della stessa data, Giacomo di Cambio, podestà di Pera, col suo consiglio, il capitano e l’ufficio di guerra supplicano il Doge perchè voglia inviare vettovaglie (pag· 255-256). 130 - L’ultimo documento genovese di qualche importanza è pubblicato in Appendice (pag. 392) e riguarda la celebre ribellione di Creta del 1362 e seguenti. E’ un decreto del doge Gabriele Adorno, il quale, invitato dai Veneziani, proibisce severamente a tutti i Genovesi di toccare colle loro navi l’isola di Creta, sotto pena del sequestro della metà del carico, salvo s’intende coloro che già fossero partiti da Genova a quella volta, prima della proclamazione, che ebbe luogo il 9 novembre 1363. 14° - Vi sono poi molti altri documenti minori, come ad esempio una lettera del Doge di Venezia al Doge Adorno (18 giugno 1365) per annunziargli che un genovese Simone Cattaneo era debitore di denari spettanti ai Veneziani, e per invitarlo ad adoperarsi perchè la somma fosse pagata a Giovanni Sacco nominato dai Veneziani loro procuratore (pag· 42I)> ma di questi e d’ altri non potrà certo avvantaggiarsi la storia generale. In complesso quasi tutti i documenti erano noti, perchè lo stesso Predelli ne aveva pubblicato il regesto nei Libri Commemoriali; oggi però che son venuti alla luce integralmente, apprendiamo molti particolari, prima ignorati, e dei quali dovrà certamente tener conto chi s’accingerà (e speriamo presto) a rifare la storia di Genova nelle sue relazioni cogli altri Stati italiani. Camillo Manfroni ANNUNZI ANALITICI. Biblioteca critica deVa Letteratura italiana diretta da FRANCESCO lOKifACA — N. 31. L' « Antigone » di Vittorio Alfieri, studio di Nicoi.a I.upallo.meni. Firenze, Sansoni, 1899; in 16, di pp. 42 - N. 32. Edward Muore. Gli accenni al tempo nella Divina Commedia e loro 1 e lazi une con la presunta data e durata della visione. Versione italiana GIORNALE STORICO E LETTERARIO DELLA LIGURIA 223 di CiNo Chiarini. Ivi, 1900; di pp. 169 — N. 33. Federigo Persico. Due letti. A. Casanova e la Divina Commedia. Ivi, 1900 ; di pp. 64 — N. 34. Arturo Farinelli. Dante e Goetlie. Conferenza tenuta alla Società Dantesca di Milano il 16 aprile 1899. Ivi, 1900 ; di pp. 38. — N. 35. A. S. Barbi. Un accademico mecenate e poeta. Giovati Battista Stvozzi il giovane. Ivi, 1900; di pp. 79. — Diamo qui un breve cenno degli ultimi volumetti di questa utile Biblioteca. — (31) Con gli stessi intenti, e con il medesimo metodo onde l’a. avea altra volt i ricercate e riconosciute le fonti delle due tragedie Filippo e Polinice, si fa ora ad esaminare Y Antigone ; esame al quale è stato naturalmente condotto dallo studio sulla seconda tragedia, come quella che porge un legame di stretta parentela con la terza, che può tenersi in conto di seguito ad essa. Euripide, Sofocle e Stazio hanno trattato in diversa guisa l’argomento medesimo, e l’I. si trattiene a discorrere di ciascuno, mettendo in rilievo gli atteggiamenti, i particolari, le modalità, le relazioni, le differenze, onde ciascuno ha svolto, secondo suo uopo, 1’ assunta materia, con osservazioni comparative, drammatiche, psicologiche ed estetiche. L’Altieri, cosa notevole, pur confessando di aver tratto il soggetto della tragedia da Stazio, dichiara che è questa la prima non macchiata d’ origine esotica. Ciò nou è esatto ; perchè, come prova qui 1’ a., egli ebbe dinanzi una tragedia d’ uguale argomento del Rotrou, della quale prese conoscenza dal Théâtre des Grecs del Brumoy. Importanti sono i raccostamenti fra i due scrittori, non solo rispetto alPandamento generale della tragedia; ma e ai caratteri, ai sentimenti, alle espressioni, donde si deduce, anche da queste te-stimoniauze, con quanta verità affermava il Dejob l’influenza esercitata dal teatro francese sul nostro tragico astigiano. Influenza che, quantunque riluttante, e nolente, s’impone e pervade l’opera sua; non in guisa tuttavia da far di lui un imitatore pedestre, ma un originale e spesso geniale trasformatore. Ne è testimonianza anche questa sua Antigone, la quale, pur restando a distanza dalla bella semplicità e naturalezza dei greci, non segue il suo modello, per certi rispetti, in ciò che è manchevole, manierato e falso. Il componimento, a giudizio dell’ 1., è nel fatto dell’ arte assai debole. Il Bozzelli nella sua Imitazione tragica, facendo una comparazione fra la tragedia di Sofocle e quella d’Alfieri, senza sospettare minimamente per quali intermediari ci sia ginnto sin là, e quali altre fonti abbia avuto fra mano, lo riprende severamente per aver «guasta la favola d’Autigone che splen-dea prodigiosa nelle mani di Sofocle » pervertendone «l’idea fondamentale », a ciò tratto dalla « furente voluttà di metter carnefici e vittime sulla scena», secondo quel soggettivismo che anche l’I. qui gli rimprovera. · (32) L’operetta dell’ acuto dantista viene utilmente a far parte della Biblioteca, e si vantaggia di correzioni ed aggiunte suggerite all’ a. dalla critica, dai progrediti studi, e dal diuturno volgere le carte del poema sacro, che non lascia mai sazio di se l’erudito. I pregi del libro, che per la prima volta 8' presenta assai bene tradotto nella nostra lingua, furono già riconosciuti fin dal suo primo apparire; oggi essi souo cresciuti così nei particolari come nel complesso, perchè esce più perfetto, e meglio rispondente al suo fine. Si potrà ancora forse discutere sopra questo 0 quel puuto, su l’una o l’altra interpretazione, ma il lettore troverà qui una guida sicura alla più chiara ed ovvia iutel-ligeuza del poema, auche là dove la difficoltà sembra maggiore. - (33) La» nota similitudine dei due letti espressa in diversa guisa dal Leopardi e dal Manzoni, ha dato luogo a quella garbata e fine scrittura del P., 224 GIORNALE STORICO E LETTERARIO DELLA LIGURIA che ora ci vien messa nuovamente dinanzi. Ad essa, che è in forma di lettera diretta ad Alfonso Casanova, segue 1’ altra intoruo alle conversazioni dantesche che si tenevano da amici in casa di questo letterato, dove con genialità si discorre degli iutendimenti di lui sullo studio della Commedia, e si tocca della critica in generale. - (34) La conferenza del F. pur restando nella sua primitiva forma, conveniente al luogo, al tempo, all’opportunità, tratta il bello e grave argomento con densità sostanziale, ricca di vitale nutrimento. Succosa e piena la prima parte, dove della fortuna di Dante in Germania si discorre; via naturalmente aperta a rilevare quando, e come e quanto, il poeta italiano fu, e divenne, argomento di studio al Goethe, per quali transizioni ed elaborazioni si formò a poco a poco il giudizio suo intorno a a grande opera, ed in qual guisa e in quanta misura questa esercitò nna qualsiasi influenza sull’arte del creatore di Faust. Notevole infine i parallello che compie la conferenza ; come quello che ci introduce ne o spirito de’ due poeti, e ci scorge a riconoscere la ragione suprema onde si mostrano guidati, per la quale naturalmeute si riaccostano e s intendono. Non occorre aggiungere di quanta importanza siano le +r?t ' θ /q?6 ‘}^strative, che suffragano osservazioni o riferimenti del esto. - l35) Diligente monografia intorno a Giambattista Strozzi il giovane, ci dà il B., il quale non ha trascurato nulla che potesse tornare opportuno a dar rilievo alla figura del mecenate e poeta fiorentino, di cui sono qui divisate con cura le particolari vicende della vita, ed è par a o con larghezza dell’opera del letterato e dello scrittore. Pagina impor ante della coltura in Firenze sul cadere del cinquecento e nel primo periodo del secolo successivo, mercè la storia di quella accademia eg i Alterati ch’ebbe stanza nel palazzo Strozzi e di cui Giambattista u si gran parte. Delle prose sue e delle rime, parte stampate e ine-ì e e Più. rende ragione e dà equanime giudizio il B., rilevando giu-amen e a felicità e 1’ eleganza de’ suoi versi, specie nei madrigali. πιι& ff1 anjlci molti ch’egli ebbe notiamo il Chiabrera, il quale ne lasciò * e TU0S0 elogio, e della cui corrispondenza con lui rimangono due jl ’ "na del 2 lngli° 1620, l’altra del 28 giugno 1623 (Rime e c tt Z * .P? ,· da °- Varald0’ Savou;‘ 1888, pp. 46-48). Il B. ne acc f p g 1620 δ8) dal “S1· vnr, 1399, nella quale si dati) /i i o en ’ cre^'aul0 sia la stessa prodotta dal Varaldo colla cntor« 6ηβΐpoi c*le Chiabrera ha fatto lo Strozzi interlo-intoriK al m °9 to su Faenze (p. 62) ; si tratta invece del dialogo inedite e βΓ,°10^ (Lettere di G. C. sec. ediz. colla aggiunta d’altre delle lett«r ?PUSC0\1’ Genova, 1829, p. 155) di cui parla nella seconda fra le sue mnan^‘.0Itata· Si può aggiungere che allo Strozzi si trova ira le sue rime .nd.nzzato un sonetto. per le vi-ovinrip ',enera^e della li. Deputazione di Storia Patria per festeania · 7 ’ %ie e Massa, tenuta I’XI Febbi 'aio MDCCCC lesse all'adunanza Giovanni *£. μ' T qUe8t° diec0r80che e di cerimonia · Ko i ^ sforza. Ma non è un de’ soliti d’occasione dello svolo-imento Η·0*1 ? 8,toria genuina ed esatta della istituzione e Seguiamo ouinHi nnn * Asione organica in ogni singola parte, quale la deputazione !)ThT tutto.qnauto 11 movimento storico, al così nell’onera deo-li · · u lnoomiDclameDto e illuminato indirizzo, opera degl, nomm, che man mano vennero chiamati a dirigerla, GIORNALE STORICO E LETTERARIO DELLA LIGURIA 225 testimonianza*^«collettivo consegno negli Atti e nei Monumenti, insigne cato Zlì ?t^ na T Ï de’.8U0Ì hltenti’ 6 del lar8° contribnto rerilievo dal ™Ϊ··^““η·Γ0 Γ- d,sposto ed armonico, che riceve lume e illustrazione λ* +' “,? ! ® docameuti> °he son prova insieme ed isirazione di quanto 1’ a. è venuto esponendo. araùc 'o ' ™,Z*C°A GN1 ' Romccono da Montemagno il giovine. Studio bio-PP SI (ZtnTta, f « ‘ Pr°8e ’· NaPoli> Giannini, 1900 ; in 8, di Hn 0 dag·1 studl dl letteratura italiana, voi. i). — L’a porse stabiliri" UtllÌ U°tÌZÌe ÌUt0rn° alla fa'ui8,ia di Bohaccorso, a fine dì nrfifpr COa esattezza la discendenza e la condizione; e si ferma di Ron„I S°?ra Giovanui Padre di lui, e figlio a sua volta di uu altro del 'i 1 S0’ £lurec°nsulto e poeta (che spesso venne confuso col nipote) in ,Γ 6 ^ni ^Qr S' discorre sulla testimonianza dei documenti. L’anno uni nacque Bonaccorso il giovine non si sa, ma giustamente ritiene œS6.fra 11 1391 0 H 1393· Sul fior dell’età ebbe subito im-e t t * +■01 Pubblici’· 6 trasferitosi a Firenze vi trovò tanto favore 1’ a*1*3 ■ Γ S-1Wa da eS8er chiamato a leggere in quello Studio. Ritiene . c le ie sue prose siano sufficiente prova della fama acquistata, e e esamina, sceverando quelle che a lui veramente non appar-engono, e che già vennero stampate come sue, vogliam dire le ora-ιοηι, e le risposte ai protesti che sono riconosciute per universale i ’ uso c i più. codici spettare a Stefano Porcari. Morì in Firenze in piena virilità nel dicembre del 1129. Il penultimo anno della sua vita sostenne un’ importante ambasceria per la repubblica di Firenze al ,*.1 Lucca, e nella riviera di Genova, affinchè avessero pieno igore *1 effetti della pace di Ferrara la quale favoriva i signori e eu a ari della Luuigiaua e della Liguria che a ve vauo trovato di loro nteresse accostarsi ai fiorentini e porsi sotto la loro protezione ; mentre erano sorte contestazioni e conflitti rispetto a delimitazioni di confini, o a restituzioni di castelli, ancora tenuti dagli adereuti ai Visconti. i noi abbiamo rilevato 1’ esistenza dei documenti che ci fanno conoscere codesta ambasceria, additata dal Flamini (Giornale, i, 70), ma qui sono pubblicati per esteso ed illustrati. L’ a. a proposito dei Ma-ispina e delle loro accomaudigie coi fiorentini, cita il Gerini e gli spogli manoscritti del Branchi, autore della Storia della Lunigiana jeuaale, opera certamente imperfetta e arretrata, ma non disutile ; mentre la fonte più diretta e sicura ei l’avrebbe trovata ne’ I Capitoli del Comune di Firenze - Inventario e Regesto Firenze, 1866, tom. i, pagine 666 e seg.). Ct. B. Ristori. I savonesi cittadini fiorentini e i fiorentini savonesi. Dooumenti e ricerche. Firenze, Pineider, 1899; iu 8; di pp. 68. — L’argomento non è nuovo, perohè veune trattato già da Giovanni Filippi uel Giornale Ligustico (xvi, 161); ma il R. iu questa nuova trattazione ha prodotto i documenti secondo gli autentici originali, ed allargando le ricerche, ha cou maggior ampiezza approfondito quel singolare episodio delle relazioni fra i savonesi ed i fiorentini. Le quali hanno lor fondamento da un lato nella gelosia e rivalità de’ secondi coi genovesi per ragioni politiche e commerciali, dall’altro nell’odio che Savona doveva per necessità nutrire contro Genova. Quindi è che questo fatto, non riferito cou esattezza dagli storici locali, e ne’ moventi e ne’ fini peculiari, poco o malamente sviscerato e conosciuto, si riannoda alle vicende fortunose di quel fatale 1477, quaudo si ridestarono in Genova, Gior- St. e Lett. iella Liguria 15 226 GIORNALE STORICO E LETTERARIO DELLA LIGURIA dopo Ir- morte violenta del duca di Milano, con bau o v,§ prande sangue le fazioni, e dalla diligenza del E. riceve nuovo nm diede •vantaggio della verità storica. Delle pratiche diploma io luogo la rappresaglia dei genovesi nel porto d, Savona mercantili fiorentine, abbiamo qui per la prima volta la menzionee^le prove documentarie ; così de’ provvedimenti presi a i e ■uesta vigazione dalla repubblica di Firenze, la quale suffraga q guisa le rimostranze mosse alla signoria di Genova, per . . ·, speciale ambasciatore Simone Grazziani, di cui a o er carteggio tenuto da lui in questa opportunità, sebbene le missive del governo spieghino abbastanza la portata e an 0 1 . fiche. Savona nelle rivolture del 1477 s’ era sottratta a Genova tenendosi fedele al duca di Milano, e perciò porse aiuto alle:“5?*“ fiorentini per liberarsi dall’ aggressione de’ genovesi. D. * volle esser grata a quella città, e sì fatta gratitudine »on mancia della sua ragione politica, conferendo, con larga e 01101 p(rat0 il razione, la cittadinanza fiorentina ai savonesi. Già aveva negato> il Filippi l’asserzione degli storici locali circa al contraccambio P di Savona della cittadinanza; ma qui nuove prove e nuovi »r®°“®nt si recano a sussidio di quel giusto rilievo; tuttavia, se e v cittadinanza savonese non fosse concessa in quel subito ai fiorentini, il R., pur non avendo trovato il privilegio, da altri non meno sicuri documenti, ci fa conoscere che la cosa, ebbe veramente effetto ne lo07. Documento poi importante, e che costituisce la conclusione delle deferenze insorte tra fiorentini e genovesi, si è 1’accordo del 6 novembre 1477 stipulato dai due rappresentanti di Firenze, Tommaso Sederi ι , di Genova, Francesco Marchesio (non Marcosio), il noto illustre giureconsulto e politico, presso il duca di Milano, di cui il R. reca un largo sunto con opportune considerazioni. Nell’ ultima parte di questa diligente scrittura reca innanzi 1’ a. altri documenti in ordine alle accennate relazioni fra Savona e Firenze, quasi come dipendenza e corollario dell’ anzidetto, reciproca cittadinanza ; dove sono notevoli gli uffici caldissimi da parte degli anziani savonesi a prò del cardinale Antonio Ferrerò, quegli che caduto in disgrazia di Giulio II mori nel lo08 non senza sospetto di veleno; e la lettera del Comune a Cosimo I, in data 15 ottobre 1550, alla quale venne dato iavorevole riscontro con rescritto del 7 novembre, donde si può correggere quanto scrissero gli storici savonesi sulla conferma concessa da quel duca al privilegio del 1477 Buone ed accettabili considerazioni chiudono opportunamente la monografia offerta dall’ a. al nuovo arcivescovo di Firenze. Attilio Butti. Vita e Scriiti di Gaudenzio Merula. Milano, Faverio 1899, pagg. 106. — In questa diligente monografia il valente professore del liceo di Voghera illustra ampiamente ia vita e 1’ opera letteraria e dottrinaria di Gaudenzio Menda, umanista novarese, fiorito tra il 1500 e il 1555. L’ aver avuto nu omonimo (che fu Giorgio, suo parente) tanto maggiore di lui di merito e di fama, e 1’ essere vissuto quando ben altrtT fioritura di pensiero e di scritti produceva 1’ età dell’Ariosto, del Machiavelli e del Bembo, furono cagione che la nominanza di questo Merula minore rimanesse anzichenò oscura. Ma a’ suoi tempi egli godette riputazione di dotto ed onesto maestro, e la città di Vigevano, che 1’ ebbe più anni, si dolse di doversi privare de’ suoi servigi per ragioni di economia. La varia e molteplice opera letteraria e didattica GIORNALE STORICO E LETTERARIO DELLA LIGURIA 227 di Gaudenzio, col sussidio di documenti inediti è con molta dottrina e intelligenza rappresentata dall’autore di questa monografia, la quale è modesta per l’argomento, ma utile agli studiosi di quelli che si potrebbero dire i sottostrati letterari del secolo xvi; ed è documento di nou comune attitudine alle ricerche erudite ed alle ricostruzioni geniali. — G. F. SPIGOLATURE E NOTIZIE. Nella Rivista Dalmatica (A. I. fase. 6) S. Mitis, pubblica due documenti della biblioteca d’Arezzo, che riguardano la celebre guerra fra cristiani e turchi negli anni 1570-71. Il primo è la relazione d’ uno schiavo cristiano che si trovava a bordo della galea di Ungh Alì ; egli ci fornisce un breve diario della campagna. Importantissima, specialmente per la fonte da cui deriva, la notizia della cattura di una fregata cristiana, con lettera di Spagna, che 1’ autore del diario fu chiamato a leggere e a tradurre. Vi troviamo questo periodetto, che riguarda cose genovesi : « Come il Re ha comprato le galere di Andreetto Doria (Gian Andrea) per centottanta mila scudi, et questo perchè dice che questi capitani che tengono galere sue particolari, quando si trovano in qualche fatione, voltano le spalle per salvarsi ». Che ne dice 1’ ammiraglio Gavotti che così poco opportunamente ha ritentato iu questi giorni uua nuova difesa, od apologia che dir si voglia, di Gian Andrea? Il secondo documento è uua breve relazione sull’ attacco di Corfù tentato dalla squadra turca. * * * Vittorio Ciau nella recensione al libro del Salza sulle commedie di Lodovico Dolce (Giornale stor. e lett. ital., xxxv, p. 430), toccando in una nota del tipo comico del Pedante così comune nel secolo xvi, rinfresca la memoria di uu poeta lunigianese del tutto dimenticato, Scipione Metelli; citando alcuni brani di un suo curioso ternario quasi fidenziano sul proposito dei precettori, che si potrebbe dire soggettivo, essendo egli stesso del novero. Ei lo trae dal raro voluni6tto : Della scelta di rime di diversi eccellenti autori di nuovo data in luce, Parte prima, stampato a Genova dal Belloui per le cure di Cristoforo Zabata uel 1582. Questo ternario era già comparso nella anche più. rara, e, crediamo, introvabile, Nuova selva | di varie cose | piacevoli | di molti nobili | ei elevati ingegni, | non piti per V adietro veduta, \ e pur hora data in luce. — In Genova appresso | Antonio Bellone | mdlxx. Libretto citato dal Giuliani (Notizie sulla tip. lig. in Atti soc. lig. st. put., ix, 116; sulla fede del Soprani, del quale ho dinanzi una copia disgraziatamente mutila. 228 GIORNALE STORICO E LETTERARIO DELLA LIGURIA Quivi al ternario ricordato segue una curiosa lettera dello stesso Me telli intessuta di locuzioni provverbiali e di provverbi italiani e spa gnuoli ; fiera invettiva contro le corti, i cortigiani e gli adulatoli, dove apparisce ben chiara la uota personale. Alcune lettere facete di questo scrittore si leggono iu un codice della Nazionale di Parigi, e, in copia moderna, nella Universitaria di Genova. È comparso il primo volume de La rivoluzione francese nel caiteggio di un osservatore italiano (Paolo Greppi) raccolto e ordinato da Giuseppe Greppi (Milano, Hoepli), nel quale si tocca più volte delle cose poli tiche riguardanti la repubblica di Genova. Troviamo nel capitolo quarto alcuni particolari notevoli intorno alle violenze commesse dagli inglesi a danno della fregata francese la Modeste, e sul modo com ebbe a com portarsi il governo della repubblica in quel difficile momento. Così nel successivo si discorre dell’avanzarsi de’ francesi dalla parte di Nizza, dei loro propositi, della invasione del territorio ligure, delle conse guenze di questo fatto, e nell’ ottavo è parola del piano presentato da Bonaparte, e della sua venuta a Genova. *** Le Nuove Curiosità Livornesi trovate e raccolte da Francesco Pera (Firenze, tip. Cenuiniana, 1899) ci porgono parecchie notizie che riguardano Genova e la Liguria. Nel 1494 si accenna all’ * armata, la quale si dice mettersi a ordiue » in Genova, « per porre iu terra » a Livorno « buon numero di fanterie e anche cavalli assai ». Si faceva però « iudicio per qualcuno che intende che i nemici abbiano aspettare il tempo fatto, e in prima andare alla oppressione di Sarzana » a fine di distrarre le forze dei fiorentini, « e di poi in una velata venirsene » a Livorno, del quale, essendo sprovveduto, riuscirà agevole la presa. Ma per allora 1’ armata s’ era fermata a Portovenere. È fatto cenno uel maggio 1496 dei turbamenti avvenuti iu Genova, a proposito della processione del Corpus Domini e della Croce de’ Zaccaria ; e nell ottobre della partenza da Genova dell’ Imperatore con la nave Grimalda, avviato a Livorno; ma con poca gente e senza denaro. Nel novembre « le galee della Cristianissima Maestà » venivano « alla volta di Savona », e presero « quattro galeoni de’ genovesi carichi di grano ». Poi « il campo degli inimici si è levato dall’ impresa di Livorno, e ridottosi intorno a Pisa con lo imperatore», l’armata « per gran fortuna sbaragliata », e « la Caracca Selvaggia di Genova dato a traverso dirimpetto alla Rocca nuova con tutte le genti, artiglierie e cose che vi erano su ». V’era notizia nel febbraio del 1497 che « a Genova si attendeva » il Duca « la prima settimana di quaresima » GIORNALE STORICO e LETTERARIO DELLA LIGURIA 229 con ottocento cavalli e fanterie; già eransi preparati gli alloggiamenti, e per sopperire alle spese a posto un dazio a’ circustanti di scudi 40 mila » di mala voglia sopportato perchè asseriscono di « essere franchi ». Ecco ora un manipolo di notizie riguardanti Andrea D’Oria; e prima la lettera seguente : Magni.ci Domini mki obser.mi Nella venuta del Magnifico Andrea Doria, quale è comparso questa sera, e giunto in questo porto con sei galee e due brigantini ben armati e muniti, si è eseguito quanto per piìl lettere di V. S. mi è stato commesso, e si è ricevuto molto gratamente e secondo il luogo onorato, quanto si è giudicato convenirsi, e in nome di V. S. si è fatto le debite offerte. E voluto Sua Signoria venire in terra, me è parso mio debito trattenere e convitar quella come uomo pubblico. E ancora che Sua Signoria non sia solita posare in terra, posò e con alcuni suoi capitani e gentiluomini fa gratamente ricevuto; ed informandomi Sua Signoria voler partire questa notte, me parse subito far qualche segno di gratitudine, e presentai Sua Signoria di vino, confezioni, pollami, carne, ed altro, secoudo me parse a proposito : che in tutto è stata una spesa di dieci ducati, poco meno : quali V. S. non vorranno gli abbia messi di mio, perchè questa spesa è stata limitata e si è in tutto rattenuto. Nel conferire ritraggo Sua Signoria esser molto devota di V. S., pensando con animo intrepido superare ogni opposizione, risolvere ogni difficoltà e sortir felicemente ogni espedizione, benché parla consideratamente, e molto pesa le parole. Il prefato capitano aspirava con una galera veder la patria, e n’ ebbe intenzione per dar forma alle sue cose familiari; ma la gelosia e le fazioni, con segni poco grati e da allontanarsi, lo fecero mutar proposito, perchè a Genova suspicorno d’intelligenza scritta e di cura tentativa per rivoluzione, reputando una chimera e favola finta la partenza dal.....e venir a militare sotto il vessillo di Santo Piero: ma che fosse conventicula per tumultuare, e per questa nuova suspicione avevano aggiunto 900 fanti alla guardia e vigilando le mura, le artiglierie posero sopra quattro navi e per parerne dimostrazione che gli dettero causa passar avanti, come fece. La spesa fatta in onorare il Magnifico Messer Andrea ascende in tutto alla somma di ducati 9 1\2 e computato il mandato della presente, quale si manda apposta, monta in tutto a ducati dieci. V. S. saranno contente a farmeli buoni e farli pagare a Francesco Del Nero, perchè ancorché la spesa sia stata minima, testifico V. S. il prefato capitano essersi partito ben soddisfatto: e di sorta che appresso a V. S. ne potrà rendere buona relazione. Sono partite le galee questa mattina con buon vento un’ora avanti gioruo. Tutto per avviso a Y.S., 230 GIORNALE STORICO E LETTERARIO DELLA LIGURIA alle quali quanto più posso mi offro e raccomando. Che felicissime valeant. Liburni die x Maj mdxxvi. Cristophoro Ternigio Cap. et Com. Il 16 luglio un brigantino del D’ Oria prende » due leuti carichi di circa 30 spaguuoli » e li conduce a Livorno ; fra essi è un messer Giovanni de Vega, molto raccomandato. Per uffici del governo di fi-renze, riebbero le loro robe, lieti di essere . — Il governo granducale nel dicembre 1635 richiama l’attenzioue sul gran numero di Crocioni di Genova che si spargono sul mercato, secondo avvertiva il governatore di Livorno, e ritiene che tale novità « proceda dall’avidità dei mercati genovesi e di chi contratta con loro, quali tutti si accordano a spacciare le dette monete a maggior prezzo del loro intrinseco valore ». Finalmente si ricorda che nel luglio del 1847 si rappresentava al teatro di Livorno l’opera in musica L’assedio di Corinto, nella quale « Belletti fa fanatismo ». Era Giambattista Belletti di Sarzana di cui il Regli ci ha lasciato un cenno biografico. * * * Nella Illustrazione italiana (xxvn, n. 17, 29 aprile, 1900) è riprodotta una lettera della signora Jessie Mario nella quale, rettificando alcune asserzioni di fatto del Barbiera nel suo articolo: Carlo Bini ne’ suoi scritti e nei processi inediti della Giovine Italia, pur da noi additato (Giornale, I, 155), si trattiene iu ispecie sui casi e sull’ opera di Elia Benza, citando e recando alcuni notevoli documenti inediti. * * * La figura di santa Caterina da Genova è studiata e delineata da Friedrich von Hugel iu una monografia dal titolo: Caterina Fiesca Adorno, thè saint of Genova 1447 - 1510, comparso in The Hampostead Annual, edited bg Ernest Bhys (1898, pp. 70-85), corredata di uu bel ritratto. * * * Nello Svegliarino di Carrara (xxv, n. 15, 15 aprile 1900), a proposito della conferenza dautesca tenuta all’Aulla. in cui venne illustrato 232 GIORNALE STORICO E LETTERARIO DELLA LIGURIA il canto XXXIII dell’ Iuferno, troviamo questa notizia : ■« Si ritiene che la moglie del conte Ugolino venisse sepolta a Bibola, antichissimo paese, ora frazione di questo capo luogo (di Aulla). La tomba trovasi davanti all’ altare della Concezione, ed in detta chiesa vengono celebrate, da tempo immemorabile cinque messe all’ anno, quattro piane ed una solenne in suffragio dell’anima della contessa. L’obbligo delle messe trovasi scritto nei libri parrocchiali ». Aspettiamo con desiderio la promessa illustrazione di questa tomba. * * * Nel Cittadino (xxvn, n. 122, 3 maggio 1900) a proposito di un riferimento che si trova nel recente libro Genuati e Viturii di Gaetano Poggi, viene pubblicato da Carlo Navone un documento tratto dal-l’Archivio di Stato, che è un lodo arbitrale pronunciato nel 1585 per deffinire le quistioni di confine insorte fra gli uomini dell’ Università della Polcevera e quelli di Busalla. *** Sotto il titolo L’incanto della casa di Dante leggiamo una corrispondenza da Mulazzo di Lunigiana, inserita nel Secolo XIX (xv, n. 118, 29-30 aprile 1900), nella quale si dà la notizia che la casa cosi detta di Dante venne acquistata dall’ industriale del luogo Lorenzo Ghelfi. Senza entrare nella curiosa erudizione che spiega il corrispondente mu-lazzese, con la relativa tirata al governo, incurante « dei ricordi e dei monumenti nazionali » in generale, e in ispecie della « casa in parola, una delle reliquie della notetra grandezza », rileveremo che, secondo lo scrittore, quivi esiste « un camino che risale al tempo dell’ esilio Dantesco e l’ambiente che serviva per studio, oltre a diverse iscrizioni che sarebbero degne dell’ interpretazione laboriosa di un archeologo ». Peccato che fino a qui nessuno di coloro che hanno parlato di Mulazzo, si siano accorti della esistenza di sì fatti cimelii, e tra i « forestieri che ogni anno accorrono come in pio pellegrinaggio a quella casa », non abbia mai dato una capata colassù un archeologo qualunque per spiegare le iscrizioni e descrivere tante belle cose. L’erudito corrispondente afferma poi che fra le « molte leggende » (meno male!) sulla casa di Dante c’ è quella che il poeta lasciasse ad una vecchierella « un foglio, una carta, un che di scritto » dicendole « con aria profetica che fortunato sarebbe chi un giorno 1’ avesse conservato ». È meraviglioso ; ma più ancora ciò che vi accoda 1’ autore : « Chissà che non esista àncora quel foglio e che realmente, come affermavano i nostri vecchi, non esistano tuttora ignorati pregievoli documenti del melanconico soggiorno Dantesco?». Quel « solitario » che scrive dovrebbe mettersi lui, da buon segugio, in busca delle carte misteriose ! E la notizia non s’è fermata in Italia; ha passato le Alpi. La tro- GIORNALE STORICO E LETTERARIO DELLA LIGURIA 233 viamo servita ai lettori francesi dal Gaulois del 3 maggio, coll’aggiunta di qualche fiorettatura. Questa, per esempio : « Sur les murs, ont vit des inscriptions tracées de la main du grand poète (!!!) qui expriment la tristesse que lui causait la guerre des factions ». * * * Col titolo : La Lunigiana in Roma nel 1300 sono date da Arturo Ferretto alcune notizie di testamenti fatti in occasione del giubileo dal notaro Giovanni Bosco di Biassa. Risultano quasi tutti rogati nella chiesa di Marinasco con lasciti a chiese lunigianesi. Da una supplica poi dei 1310 esistente in un registro dell’archivio di Firenze, si rileva che Giacomo Berrettaro di Sestri Levante aveva intrapresa la fabbrica di un ponte di pietra sulla Magra per comodo dei pellegrini. Ricordiamo che intorno al 1443 un prete Antonio rettore di Castiglione Lunense fece costrurre uu poute fra Caprigliola e Albiano sul Magra (cfr. Giornale Ligustico, iv, 301-2), e siccome la tradizione accolta dagli scrittori ritiene che quivi fossevi un ponte piti antico, potrebbe credersi che fosse quello del Berrettaro, rifatto, oltre un secolo dopo, da prete Antonio. * * * Pro-Camogli è nn numero unico (senza note tipografiche) dedicato a quella città dai giovani Fortunato Marini e David Repetto. Rileviamo specialmente: Un po’ di storia di D. Repetto; Il più bel monumento di Prospero Luxardo (si tratta della chiesa plebana) ; Il Castello di Camogli. Reminescenze di Arturo Ferretto (notizie desunte da documenti inediti) ; Il nostro porto di P. Luxardo. ** * Nel voi. 2 degli Atti del Terzo Congresso Geografico Italiano (Firenze, Ricci 1899) che comprende le relazioni, comunicazioni e memorie si leggono due interessanti scritti 1’ uno del Cap. E. A. d’ALBERTIs : Priorità dei Genovesi nella scoperta delle Azorre; e l’altro del Prof. A. Magnaghi: Il mappamondo del genovese Angellinus de Dalorto (1325). Ne riparleremo, tanto piti che quest’ultima memoria, testé pubblicata, torna su alcuni fatti e questioni esposte da uno dei nostri collaboratori nel presente fascicolo. * # * La proposta particolareggiata di Una giostra d’amore nel cinquecento è pubblicata da Francesco Foffano (La Biblioteca delle Scuole italiane, ix, 21), il quale la trae da un Codice Marciano. È in forma di lettera, indirizzata a Gio. Andrea D’Oria. Questi, a quanto si rileva, avea mandato a Rinaldo Corso, noto scrittore del secolo xvi, il cartèllo per un giuoco d’armi dii tenersi a Genova, e di cui si faceva niauteuitore, lo stesso Gio. Andrea, richiedendolo del suo parere. E il Corso, giudi- 234 GIORNALE STORICO E LETTERARIO DELLA LIGURIA cando quello scritto pieno <3’ « improprietà » e di « errori », manda egli, « come esercitato in queste inventioni », l’argomento e l’ordine della giostra. Se questo giuoco d’armi avesse luogo in Genova e quando non si rileva dal manoscritto, che non reca neppure la data della lettera. Noi osserveremo che Gio. Andrea fu mantenitore di un torneo tenuto in Genova nel carnevale del 1562, (Cfr. Giornale Ligtistico,xiv, 57), il ohe vuol dire che si compiaceva di sì fatti divertimenti, il F. non sa « dire se si tratti del celebre ammiraglio » ; ma il nome soltanto lo avverte che la lettera è diretta al noto suo discendente, e successore in ufficio. * * * I nobili delle città subalterne della Liguria. Ascrizione alla nobiltà di Sarzana. è il titolo di una notizia di Girolamo Rossi, (in Giornale araldico-genealogico-diplomatico, xxvii, n. 7-8, 1899 (1900), Bari, p. 147) il quale prende argomento a discorrere brevemente di sì fatta materia dall’ ascrizione di Michelangelo Scofferi d’ Alassio all’ ordine nobile di Sarzana, alla quale era legato per vincolo di parentela, avendo sposato una Rosa Ferrari pur appartenente a famiglia nobile di quella città. Venne ascritto con deliberazione del Consiglio generale nell’anno 1711 a’ 19 di luglio. Una patente autenticata dell’ 8 giugno 1763 comprova la qualità di nobili sarzanesi a Giovanni Antonio Stefano Leonardo del suddetto Michelangelo, ed a’ suoi figli. Sarebbe stato utile ricordare che la concessione del trattamento nobile ai cittadini del primo ordine di Sarzana da parte della Repubblica di Genova, fu fatta in seguito a relativa supplica con decreto 18 marzo 1734. *** Fra i Documents inédits concernant V Orient Latin et les Croisades (XII-XIV Siècle) pubblicati da Ch. Kohler (Révue de V Orient Latin, T. vu, n. 1-2, Paris, Leroux, 1900, pp. 1-37) troviamo un istrumento dei notaro Lamberto di Sambuceto compreso nella serie ancora inedita de’ suoi notulari, col quale Polus de Anestasio attesta che Strena de Bonifante da Pisa, preso prigioniero da Corrado D’ Oria, era stato liberato dal re Carlo D’ Angiò. L’ atto è stipulato in Famagosta il 25 maggio 1301. * * * In un atto rogato ad Antiochia dal notaro Giacomo di Milano, con la data del 6 agosto 1254, e riguardante alcuni censi dell’ abbazia di Nostra Signora della valle di Giosafat in Terra Santa, compariscono i nomi di « Ianvinus (o Ianninus) Guastavinns et Iacobus de Castaniola », i quali sono assai probabilmente genovesi (Rème de VOrient Latin, vii, p. 181). GIORNALE STORICO E LETTERARIO DELLA LIGURIA 235 Nella stessa Bévue de VOrient Latin (vii, 367) leggiamo un affettuoso ricordo necrologico di Cornelio Desimoni. *** In un articolo di Ch. de la Roncierk intitolato: V invasion anglaise sous Charles VI (Bévue des questions historiques, xxxiv, p. 56 sgg.) leggiamo parecchie notizie nou prive d’importanza, intorno alla parte che ebbero in questa guerra le galere genovesi. Nella stessa Bévue in una monografia di Alfred Spont, Les français a Tunis, si tocca di Ta barca, appartenente ai genovesi, invidiata appunto come produttrice di ricchezze. *** Ci capita sotto gli occhi ora soltanto L’arte poetica, rivista di studi poetici e di poesia (Genova, tip. operaia), e vi troviamo (a. 1, n. 2, ottobre 1899) un articolo di Ascanio Latino (?) intitolato : Di un poeta ligure. Si tratta di Lorenzo Costa, del quale l’autore (con poca correttezza di stile) discorre brevemente come lirico e come epico. Sebbene lo scritto sia insufficiente, pure lo notiamo e per la bibliografia, e per qualche osservazione non inutile. Conclude il L. col farci sapere che attende ad una raccolta delle liriche del Costa. Ottimo proposito, ma che vuol essere mandato ad effetto con più maturo e competente consiglio. Delle liriche di quel nostro poeta ne sono impresse qua e colà, e in opuscoli speciali; ma il L. mostra di conoscerne poche, e di ignorare persino che uu canzoniere, ordinato dal Costa stesso, venne pubblicato dall’ unica erede nel 1892, con uua prefazione del cardinale Alimonda (Genova, tip. della Gioventù). E neppur sa che Luigi D’ Isengard ne discorse nella Bassegna Nazionale del 1894 (fase. 1 agosto) notando alcune altre poesie non accolte in quel canzoniere, e ripubblicando (credo dal Filomate del 1870) l’inno per gli insorti pontremolesi del 1848: già comparso nella Rassegna medesima del 1884 insieme all’ode per Pio IX, in un articolo aneddotico intorno al Costa. Il L. adunque troverà alla sua raccolta un buon fondamento nel citato canzoniere, e raccogliendo poi tutte le altre liriche sparse in pubblicazioni diverse, e ordinandole, quanto è possibile, cronologicamente, potrà, senza fretta e con preparazione conveniente, comporne un volume da riuscire accetto agli studiosi, e iu generale alle colte persone. * * * Nel Liber regiminum Paduae pubblicato da Antonio Bonarpi (Miscellanea di Storia Veneta, Ser. 2,» voi. vi) troviamo alcuni accenni a cose liguri. Oltre al ricordo della presa fatta da Jacopo Longo veneziano nel 1209 di sei navi genovesi, della vittoria d’Acri, meglio di 236 GIORNALE STORICO E LETTERARIO DELLA LIGURIA Tiro, nel 1258 ; alle battaglie (iella Meloria e delle Curzolari ; si nota un « Guglielmus Malaspina de Luca potestas Paduae » (p. 128) nel 1285 ο 1286 che in altro manoscritto è detto « de Obicis » (p. 178) che potrebbe essere del ramo di Villafranca dove questo nome si ripete, ma che nella incertezza delle genealogie non sapremmo con quale identificare ; al 1304 « Montanus Marinus de Janua » (p. 140) anch’ esso podestà di Padova, che si dice altrove (p. 184) sostenesse il carico « per sex menses et dimidio », aggiungendo: « Iste simplex homo fuit ». Si fa poi memoria all’anno 1281 del passaggio da Padova, insieme a Clemenza figlia di Rodolfo imperatore e sposa a Carlo di Puglia, di una nipote dell’ imperatore « sponsa et uxor unius de Alflescho de Janna », che è Carlo figlio di Nicolò a cui fu moglie Teodora, onde divenne parente di re Carlo dal quale fu eletto consigliere ; quel Nicolò a cui Rodolfo nel 1280 confermò i privilegi de’ predecessori (Federici, Famiglia Fieschi, Genova, Fammi, s. a. pagine 65-98). *** Una lettera della contessa Eleonora Colleoni Romilli, scritta da Bergamo al conte Don Luigi Silva a Milano, in data del 18 febbraio 1747 parla distesamente dei genovesi dopo la cacciata degli austriaci da Genova e li difende vigorosamente, contro gli attacchi del conte Silva, il quale, come suddito devoto di Maria Teresa, si doleva degli impeti generosi onde s’erano liberati dagli ospiti troppo incomodi. Della stessa guerra degli austro-sardi discorrono altresì altre sue lettere, i cui autografi raccolti in un volume possiede Angelo De Gubernatis, il quale ne porge notizie in un suo articolo : Lettere amorose di donne italiane nel settecento (nella Rivista d’Italia, 15 febbraio 1900 ; pp. 256-57). * * * Nell’ opera di Albert v. Berzeviczy dal titolo : Italien-Reiselbilder und Studien (Leipzig, 1899) si leggono alcune pagine che siguardano Genova e la riviera. * * * Un ampio e ben condotto lavoro di Alfredo Chiti intorno a Tommaso Baldinotti poeta pistoiese (Pistoia, Nicolai, 1898), che ora solo abbiamo potuto leggere, ci dà alcune notizie dell’ amicizia di quel poeta con Antonio Ivani sarzanese. Nelle poche rime di questi si tocca di Tommaso, e cioè in alcuni sonetti che sono di risposta a quelli indirizzatigli dall’amico, i quali si leggono nel cod. Forteguerri, donde il Chiti ne ha tratto qualche brano in servizio del suo lavoro (cfr. pp. 36 e 91). È noto che 1’ Ivani ottenne la cancelleria di Pistoia per i buoni uffici di Lorenzo il Magnifico, e vi stette nel-1’ ultimo periodo della sua vita, dal 1477 al 1482 in cui morì. GIORNALE STORICO E LETTERARIO DELLA LIGURIA 23 7 Nel carteggio diplomatico di Lodovico d’Agliè, si legge fra 1’ altro in data 26 maggio 1628, il seguente branetto : « Sovrasta a quella città (Genova) la stessa mutazione che infinite altre volte è stata dalla plebe hor tentata et hor eseguita ; necessità d’ ogni repubblica nella quale manchi, come in questa, la giustizia distributiva ne’ magistrati, la modestia nei nobili, la comunanza degli onori nei cittadini, la proporzione dei carichi nei popolari, e, ciò che più importa, la fede negli uni e negli altri s. Lo rileviamo dal bel libro di Giuseppe Rua, Poeti alla corte di Carlo Emanuele l di Savoia (Torino, Loescher (Reggio-Emilia, tip. Artigianelli) 1899, p. 100) ; dove è altresì una notizia intorno alle relazioni di Agostino Mascardi con Carlo Emanuele, e specialmente col cardinal Maurizio, dalla quale si viene a sapere che nel dicembre del 1627 il papa peusava a nominare il Mascardi lettore di umanità nello studio di Bologna (p. 142). Èd è poi accennato un suo sonetto nel quale piange Sui tumulti del Piemonte V anno 1615, esistente in un codice della Biblioteca Estense (p. 143). Aspettiamo con desiderio il seguito di questi studi importanti, poiché vi si parlerà largamente di Gabriele Chiabrera. * * * Col titolo : Partecipazioni ed accomandite nella storia del diritto romano, 1’ avvocato Germano Bosco ha pubblicato uno studio (Studi e documenti di storia e diritto, Roma, 1899, xx, fase. 3-4, pag. 205) nel quale, oltre a parecchie notizie sparse che si riferiscono a Genova, sono da segnalarsi i paragrafi 5 e 6, dove l’autore parla singolarmente della « commenda » nella legislazione di Genova e delle colonie. Non abbiamo veduto citato, nel diffuso apparato critico, il libro del Bensa sul Contratto di assicurazione del medio evo, che per una certa aftìuità della materia, e per alcun accenno diretto sull’argomento (Cap. I) non era da trascurarsi. * * * Intorno a La battaglia di Novi discorre E. Trucco (Rivista di storia, arte, archeologia della provincia d'Alessandria, 1899, ott. - die. fase. 28) esponendo ordinatamente i fatti, non senza un po’ di cornice romantica. Nuovi documenti non se ne producono, salvo due curiose note desunte dai libri parrocchiali di S. Andrea, nella prima delle quali il prevosto Boccardi segua la morte del generale Joubert (15 agosto 1799Ì, e nel-l’altra (10 maggio) il cambiamento di governo per l’ingresso delle truppe austro russe. È pubblicata altresì una breve lettera del generale Melas (17 agosto) all’ amministrazione comunale di Novi. * * * È degno di nota un riassunto sulle arti in Genova col titolo : Genova nell’ arte decorativa, inserito da Benvenuto Pesce nell’ Arte ita- 238 GIORNALE STORICO E LETTERARIO DELLA LIGURIA liana decorativa e industriale (Milano-Bergamo, 1899, a. vili, 11. 4, 5, 6). Parecchie tavole speciali, e non poche figure intercalate nel testo illustrano questo scritto. * * * Segnaliamo un articolo di Ferd. Mencick, Die Reise Maximilian II nacìi Spanie» ivi Jahre 1548 (iu Archiv für oesterreichische Geschichte, Bd. 86, 1899) nel quale riferendosi 1’ itinerario dell’ arciduca Massimiliano attraverso 1’ Italia, si discorre del suo arrivo a Genova, donde salpò poi per la Spagna. V’ è la nota delle spese, e parecchie curiose notizie sopra i ricevimenti. * * Nell’importante monografia di Ettore Verga: Le leggi suntuarie e la decadenza dell’industria in Milano (in Arch. Stor. Lombardo, ser. 8,a vol. xill, p. 49,), leggiamo alcune notizie intorno al giuoco del Seminario, specialmente per ciò che tocca Milano, desunte da documenti inediti. Intorno a questo giuoco è utile ricordare quanto ne dice il Eezasco nel suo Dizionario, e meglio in un ampia illustrazione inserita nel Giornale Ligustico, xi, 196, *** La Rivista delle biblioteche e degli archivi (xi, 27) pubblica la lettura fatta alla terza riunione della Società Bibliografica Italiana, da Ippolito Isola intitolata : La biblioteca civica Berio. L’ autore sembra disposto a non riconoscere come ligure Tommaso Parentucelli (Nicolò V); ed è mirabile, dopo il noto libro definitivo dello Sforza, le cui conclusioni furono pienamente accettate dai critici, fra quali basta ricordare iL Pastor. Non sappiamo chi altri abbia revocate in dubbio le prove abbondanti in quell’ opera prodotte ; nè su qual recente autorità, suffragata da nuovi e più attendibili documenti, sia stata dall’ autore desunta 1’ opinione enunciata. Lo Sforza pubblicherà fra breve, in queste pagine, un curioso documento contemporaneo, nel quale per incidenza è una nuova e luminosa testimonianza sulla nascita di Nicolò V a Sarzana. * * * Un interessante episodio della vita di un genovese stabilito a Napoli, ci fa conoscere F. Caraballese nel suo scritto dal titolo : Andrea Da Passano e la famiglia d'Isabella del Balzo d’ Aragona (Archivio Stor. per le provineie napoletane, a. xxiv, fase. ìv, p. 428). La corrispondeuza teuuta fra il 1504 e il 1519 dalla ex regina, e dai suoi col Da Passano, mette in chiaro la rara fedeltà di questo ricco signore, il quale nell’ avversa fortuna, si mostrò confortatore sollecito, benefico e largo sovvenitore della famiglia di quel re dal quale ottenne per fermo ne’ bei tempi del regno favori singolari eh’ ei, come molti GIORNALE STORICO E LETTERARIO DELLA LIGURIA 239 altri de’ ministri e de’ cortigiani, non volle dimenticare. E’ davvero notevole il modo delicato e signorile col quale largisce i suoi sussidi, e lo zelo onde s’ adopra a render meno grave la tristissima, la miserrima condizione in cui si trovò, in mezzo ai dolori delle morti e delle disdette domestiche, 1’ infelice Isabella. Dovette essere Andrea uomo assai stimato e tenuto in buon conto dai principi, con larghe e alte aderenze, secondo si rivela da quanto espone il Caraballese. Di questo nostro genovose, appartenente alla antica famiglia dei nobili Da Passano, derivati dal paesello omonimo che costituisce una frazione del comune di Deira, dove una propagine possiede ancora alcuni stabili aviti, ben poco sì sapeva. Quella sua lettera del 1527, citata un po’ alla sfuggita dal Caraballese e che si trova fra le Lettere et altre scritture concernenti all’ unione di Genua. In Casale, Goffij, 1615 (il rimando al Pizzamiglio del C. è sbagliato), meritava assai maggiore attenzione e per il contenuto, e perchè il Da Passano chiama fratello (ed è forse cugino) quel Gio. Gioachino che ha così gran nome nella storia politica e civile genovese. Egli deve essere lo stesso Andrea che nel 1528 comparisce aggregato all’ albergo Giustiniani. * * * Uscirà fra breve a Modeua (Namias) un volume di Giovanni Sforza, nostro collaboratore, intorno a Luni nel medioevo. Raccolta di notizie storiche e bibliografiche corredate di uumerose e notevoli illustrazioni critiche. Società Ligure di Storia patria. — Nella adunanza generale del 22 aprile il Presidente comunica i doni fatti alla Società di pregevoli collezioni di libri da parte di Marcello Staglieno e degli eredi del marchese Alessandro Pallavicini. Notevoli i primi consistenti in rare edizioni e in una raccolta di scritti riguardanti Colombo. Approvato quindi il bilancio, vengono nominati corrispondenti Geog Caro, 1’ ab. Luigi Duchesne, e Ignazio Giorgi. E' posto quindi in distribuzione il voi. xxx degli Atti che contiene lo studio di Gaetano Poggi sui Genoati e Viturii. APPUNTI DI BIBLIOGRAFIA LIGURE. — Ateneo (L’) Genovese: cenni storici. (In Annuario della R. Università degli Studi di Genova - 1899-1900, Genova, 1900, p. 7-22). — Barrili Anton Giulio. Barone Andrea Podestà. (In Annuario della R. Università degli Studi di Genova - 1899-1900, Genova, 1900, p. 127-139). — I Liguri cavernicoli: conferenza tenuta nella grande aula del Museo Pedagogico. 240 GIORNALE STORICO E LETTERARIO DELLA LIGURIA (In Gli istituti municipali di pubblica educazione e di istruzione in Genova nel- * anno içoo. Relazione ufficiale. Documenti e statistiche, Genova, tip. Scuola Arti e Mestieri, 1900, pp. xi-xix). — Bruschi Angelo. Una lettera inedita di Giuseppe Mazzini (in La Bohème, Firenze 1900, a. i, n. 1). — Cervetto L. A. Il padre Tommaso Pendola (in II Cittadino, a. xxvii, n. 121, 2 maggio 1900). — Memorie patrie (in II Cittadino, 1900) - La processione delle Ceneri di S. Giambattista, n. in - San Marco, n. 114. — Monumenti liguri, Il battistero di Albenga (in II CittadÌ7io, 1900, n. 128). Si veda anche Lettera di Alfredo D’Andrade sui restauri di questo monumento in Secolo XIX, 1900, n. 143. — Fede patria ed arte nel tempio di S. Lorenzo (in II Cittadino, 1900, n. 146). — Ehrenthal Μ. V. Genuesische Klingen (in Zeitschriff fiir historische Waffen-kunde, 11). — Colonna de Cesari Rocca. La réunion definitive de la Corse aux Etats de la Commune de Gênes en 1347, Genova, Sordo Muti, 1900, in-16, pp. 16. — Ferretto Arturo. La Lunigiana in Roma nel 1300 (in II Cittadino, 1900, n. 123;. — Genova la Superba, guida genovese artistica, storica, descrittiva, sintetica, amministrativa, commerciale illustrata. Anno. 1, 1900, Genova, E. Marini edit. (tip. della Gioventù), 1900, in-S, fig., pp. 150. — Haebler K. Quelques incunables espagnols relatifs à Christophe Colomb. {La Bibliographie moderne, 1899, 9.bre io.bre). — Haenel. Lorenzo Matielli der Bildhauer Chiavari ’s (in Zeitschrift für bildende Kunst Mit dem Beiblatt « Kunst-Cronik ». Leipzig, feb.-mar.). — Issel Arturo. Materiali edilizi e decorativi adoperati in Genova. Conferenza (in Gli istituti municipali di pubblica educazione e di istruzione in Genova nell1 anno 1900. Relazione ufficiale. Documenti e statistiche, Genova, tip. Scuola Arti e Mestieri, 1900, pp. xxiii-xxix). — Istituti (Gli) municipali di pubblica educazione e di istruzione in Genova nel-l’anno 1900. Relazione ufficiale. Documenti e statistiche. Genova, tip. della Scuola Arti e Mestieri, 1900, in-4, pp. 279, cccxxxm. — Manfroni Camillo. Il dominio del Mediterraneo durante il Medioevo (in Rivista Marittima, Roma, 1900, fase, ni, pp. 449-470). — Poggi Gaetano. Genoati e Viturii (in Atti Soc. Lig. Stor. Patr., xxx, Genova, Sordo-Muti, 1900, in-4, PP· xin-407). — Prato (Da) Cesare. Genova. Chiesa di San Siro. Storia e descrizioni. Genova, tip. della Gioventù, 1900, in-8, pp. vin, 286. — Pro- Camogli, s. n. tip. In-8, di pp. 56. Raccolta di scritti in prosa e versi. — Rembado Pietro. Sant’Agostino. Un po’ di storia. L’architetto scozzese. L’avvenire (in Secolo XIX, a. xv, n. 105). — Tonini Maria. Sulle rive del Frigido. Cirié, tip. Vassallo, 1900, in-16, di pp. 35. Poesie; alcune tolgono argomento da luoghi del massese. Giovanni Da Pozzo amministratore responsabile. PUBBLICAZIONI RICEVUTE (I) Giuseppe Lumbroso. La Bicocca di. San Giacomo. Ode di Giosuè Carducci. (Sag-gio di commento storico) Bologna, Zanichelli, 1899. LUIGI Marenco. L' oratoria sacra italiana nel Medio Ετ/o. Savona, Ricci, 1900. E. A. Dalbertis. Priorità dei Genovesi nella scoperta delle Azorre. Firenze, Ricci, 1899, Giuseppe Flechia . Postille al glossario mcdioevale ligure di Girolamo Rossi. Nervi, Giirtner (Torino, Baglionej 1900.. Vittorio Poggi. L'atto di fondazione del monastero di 6. Quintino di Spigno (4 Maggio 991)'. Torino, Paravia, 1900. Lettere famiglian inedite e quasi inedite di Giovan Battista Niccolini con schiarimenti di Gherardo Nerucci da Pistoia. Pistoia, Niccolai, 1900. Gildo Valeggia. Il primo canto de II1 inferno dantesco. Saggio di un commento scolastico alla Divina Commedia. Lanciano. Carobba, 1900. La corte piemontese e le ricerche storiche di L. A. Muratori in Piemonte. Nota di Giuseppe c Guido Manacorda. Torino, Clausen, 19ου. A. Issel. Rupe incisa dell' Acquasanta (Appennino Ligure,). Genova, Ciminago, 1899. A. IsSEL. Cenni di nuove raccolte nelle caverne ossifere della Liguria. Genova, Ciminago, 1894. Giovanni Sforza. Necrologia di Salvatore Bongi. Firenze, tip. Galileiana, 1900. Pietro Bologna. Il possesso di Pontre-moli preso in nome del Gratiduca di Toscana Ferdinando //, dal senatore fiorentino Alessandro Vettori tiel 1650. Firenze, Carnesecchi (1900). Le Icrif dans la come'die au XVIIIe siècle par Charles Dejob. Paris, (Versailles, Ceti) 1899. Luigi Piccioni. Notizie ed appunti intorno al Giornalismo Bergamasco. Con una tavola sinottica dei Giornali Ber -gamaschi (1 797-1861). Bergamo, Ist. Arti grafiche, 1 900. PIERO Sturlese. Discorso letto nella prima festa degli alberi celebrata dal r. Istituto nautico “ C. Colombo ,, in Camogli. Chiavari, Battilana, 1900. GIUSEPPE Finzi. Petrarca. Firenze, Barbera, 1900. Vittorio Turri. Dizionario storico manuale della lette?’, italiana (Ι000-1900). Compilato ad uso delle persone colte e delle- scuole. Torino, Paravia, 1900. Cesare Augusto Levi. Il Simon Mago ed altre legge/uie e visioni. Firenze, Bem-porad, 1900. (1) Si indicano soltanto quelle di cui non è fatto'cenno nel Bullettino e negli Annunzi del presente fascicolo. PREZZO DEL PRESENTE FASCICOLO LIRE DUE Bs.i ’« I 1.1 iV V- Giornale storico E LETTERARIO DELLA da UBALDO MAZZINI. z&z U. Assereto : Genova e la Corsica, 1358-1378, pag. 241 — VARIETÀ : G. Sforza : La nuora e la figlia di Francesco Malaspina, pag. 333 — G. Biconi : Il Saliceti a Genova nel 1796. Una lettera poco nota, pag. 337 — ANNUNZI ANALITICI: Si parla di G. Tononi, A. Comandini, G. B. Gerini, G. Flechia, P. G. Boffito, F. Beneducci, V. Poggi, G. Guidoni, E. A. Dalbertis, P. Sturlese, G. Sforza, C. Manfroni, pag. 343 — SPIGOLATURE E NOTIZIE, pag. 350 — APPUNTI DI BIBLIOGRAFIA LIGURE, Pag· 351 — Pubblicazioni ricevute in dono e in cambio, in copertina. LIGURIA diretto DA ACHILLE NERI e ANNO I. FASC. 7-S-Ç Luglio-Agosto-Settembre SOMMARIO " il 51 DIREZIONE Genova - Corso Mentana 43-12 LA SPEZIA Società d’incoraggiamento editrice Tip. di Francesco Zappa AMMINISTRAZIONE La Spezia - Amministrazione del Giornale AVVERTENZE. 1) Il giornale si pubblica in fascicoli mensili di 40, oppure bimensili di 80 pagine ciascuno. 2) Per ciò che riguarda la Direzione rivolgersi in Genova, al Sig. Prof. Achille Neri - Corso Mentana, 43-12. 3) Per quanto concerne 1’ Amministrazione, esclusivamente all’ Amministrazione del periodico - Spezia. 4) Il prezzo d’ associazione per lo Stato è di L. 10 annue — Per Γ estero, aumentato delle spese postali — Abbonamento speciale di favore per i soci della Società d’incoraggiamento e della Società Ligure di Storia patria, Lire sei. 5) L’abbonamento si paga anticipato al ricevimento del primo fascicolo. Si prega coloro che hanno ritenuto il giornale di spedire con cortese sollecitudine alla Amministrazione — Spezia — l’importo dell’ abbonamento mediante cartolina-vaglia. A coloro che non si metteranno in pari al ricevimento del presente fascicolo, verrà recapitata per mezzo dell’ ufficio di posta la rispettiva ricevuta gravata delle spese postali. Questo invito non s’intende esteso agli abbonati della Liguria compresi tra Voltri e Recco, giacché l’importo del loro abbonamento sarà esatto da apposito incaricato che si recherà al loro domicilio. GIORNALE STORICO E LETTERARIO DELLA LIGURIA 24 I GENOVA E LA CORSICA 1358 -1378. L’unione della Corsica a Genova — I. Precedenti — Tentativo del duce Giovanni da Murta — II. Rivoluzione contro il feudalismo in Corsica — Unione del comune di Corsica al comune di Genova — III. Governatori nel tempo del comune — Araone da Struppa — La maona. Plebs Iani magnos deprimens est agnus in agnos. Guglielmo Boccanegra. 1257 Sino quasi alla fine del secolo scorso, tanto in Corsica come a Genova e dovunque, nel trattar degli avvenimenti che nel secolo xiv condussero all’ unione di quell’ isola a Genova, tutti accettarono il racconto del Filippini, seguito anche dal Cambiagi nella sua pregevole storia della Corsica stampata nel 1770. Ma il Limperani, pubblicando a Roma nel 1779 una nuova storia della Corsica, per questo periodo se ne discostò completamente. Egli retrocesse Sambocuccio d’Alando (1) dal xiv al principio dell’xi secolo e fece votare la riunione della Corsica a Genova da una dieta di tutti i magistrati della terra di comune colla maggior parte dei conti dell’isola, una specie di vero parlamento coi suoi tre bracci, il 12 agosto del 1347; delle diverse sedute di questa dieta, delle formalità della sottoscrizione e presentazione della deliberazione porge minuti e precisi particolari come gli avea forniti delle mosse militari, della durata in ore di un combattimento, e dell’ordinamento governativo dato all’isola da Sambocuccio d’Alando, da lui trasformato da uomo di popolo in un signore feudale d’Alando. Quanti scrissero, che io conosca, in francese o in italiano, della storia di Corsica dopo il Limperani, ne accettarono il racconto senza discuterlo (2), dal Gregori che premise una introduzione (1) Pronunciare Alando, sdrucciolo. (2) Meno il Renucci che mantiene Sambocuccio d’AIando al xiv secolo ; del Friess non potei vedere che una traduzione italiana parecchi anni or sono. Gioì. SI. c Leti, della Liguria 16 242 GIORNALE STORICO E LETTERARIO DELLA LIGURIA alla ristampa del Filippini sino a quest’ultimi tempi, all’articolo Corse nell’enciclopedia del Larousse e ad un compendio pubblicato a Parigi nel 1890. Per quanto l’ingenua sincerità con cui Giovanni della Grossa raccolse le leggende e le tradizioni dell’isola sua nella cronaca (trascritta nelle loro storie sia dal Filippini che dal Ceccaldi) (1), m’ispirasse moltissima fiducia, tuttavia il racconto preciso e particolareggiato del Limperani, l’unanimità degli scrittori posteriori che ne accettarono la versione, uniti alla testimonianza autorevolissima del Villani, mi rendevano perplesso. Sei o sette anni or sono ebbi la fortuna di metter la mano su parecchi volumi di documenti (2), (sfuggiti all'attenzione di tutti, anche del Roccatagliata, del Federici, del Cicala e del Poch, diligentissimi frugatori dei nostri archivi, il Federici sovra tutto), che gettano uno sprazzo di luce su molti punti della nostra storia di Genova del xiii e xiv secolo; allora per un momento ho creduto di trovarvi il fondamento delle asserzioni del Limperani e di tutti gli scrittori che lo seguirono, e quasi meditai di farne oggetto d’una pubblicazione. Ma poscia m’ assalsero ragionevoli dubbi; mi chiesi qual fede (1) È noto che tanto il Ceccaldi (MS. Bibl. Civ. Geli.) quanto il Filippini trascrissero nelle loro storie una cronaca dettata da Giovanili della Grossa. Noto ciò perchè nel corso di questo scritto citerò indifferentemente o Giovanni della Grossa o Filippini, intendendo sempre la stessa fonte, cioè la cronaca del primo riferita dall’ultimo. Del Filippini cito sempre l’edizione di Pisa. (2) Sono quelli dei quali ho pubblicato 1111 breve sunto nel fascicolo 3-4 del Giornale Storica e letterario della Liguria·, MSS. 102, 103 e 104, Arch. St., Genova. Mi giova avvertire una volta per tutte che ogni qualvolta cito documenti senz’altra indicazione, s’intende quelli dell’Arch. di St. di Genova. Gli atti dei notari indico col nome del notaro, molte volte erroneo, col quale sono elencati nella pandetta. Il manoscritto del Federici esistente nella Bibl. dei Missionari Urbani contenente notizie sulle famiglie di Genova, in ordine alfabetico, indico Federici ABC : quello dello stesso Federici : Collectanea, gli annali del Roccatagliata esistenti nell’ Arch. di Stato, e quelli del Cicala, presso l’Arch. municipale, cito senza indicazione di volume e di carte, essendo ordinati cronologicamente, anno per anno. I volumi dcl-l’Arch. di Stato, Sala 41 (Mass, comunis, Rationalium, Sententie c Apodisie) indico col N.° progressivo, unico per le 4 serie, e la parola Mass., Rac., Sent. etc. GIORNALE STORICO E LETTERARIO DELLA LIGURIA 243 meritasse il Limperani, di qual peso fosse 1’adesione dei sei o sette scrittori che gli fecero coro. E ancora mi domandai so. veramente i documenti da me ritrovati fossero una conferma della narrazione degli scrittori moderni ed esaminandone attentamente il contenuto mi persuasi che no; altri dati che raccolsi, altri documenti che in questi anni successivi ho potuto trovare sui fatti e sull’epoca di cui tratto in questo scritto, mi fornirono la prova evidente, indiscutibile, della veracità del racconto di Giovanni della Grossa quanto alla rivoluzione del 1358. Comincio dall’ esaminar qual fede meriti il Limperani. Egli pubblicava l’opera sua nel 1779, cioè più di quattro secoli dopo i fatti di cui m’occuperò; unica base delle sue asserzioni circa alla pretesa dieta corsa del 1347 sono due righe di Giovanni Villani e altrettante del Raynaldi. Ma il Villani si limita a scrivere che « nell’agosto del 1347 i genovesi ebbono la signoria di tutta l’isola di Corsica con volontà quasi di tutti i baroni e signori di Corsica » (1), il Raynaldi dice soltanto, all’anno 1347: « aucta hoc anno admodum genuensi reipublica insula Corsica cum penes omnes paribus animis insulani proceres in id consensissent » (2). Ora il Villani contemporaneo è testimonio attendibilissimo, ma egli asserisce soltanto il fatto, di cui gli giunse nuova a Firenze, che nell’agosto del 1347 Genova avea ripreso in Corsica la posizione che vi teneva pressapoco mezzo secolo prima; di dieta di baroni e magistrati, della data del 12 agosto e di tutti gli altri particolari di cui il Limperani arricchisce la sua esposizione nessuna traccia. Quanto al continuatore del Baronio, è scrittore troppo posteriore per poterne opporre 1’ asserzione a quella del della Grossa e, come vedremo, del Cirneo ; le sue parole d’altronde non sono che una traduzione letterale di quelle del Villani. Il trasporto che fa il Limperani del Sambocuccio d’Alando ai primordi dell’undicesimo secolo è un’altra trovata, anche molto più audace, di codesto singolare istoriografo, e si noti che, pur accennandone, non rimarca che Giovanni della Grossa, contemporaneo e che per la sua posizione di vicario citra montes (1) Noto che nell’edizione del Magheri, Firenze 1823, invece leggesi; coll’ amto di tutti i baroni e signori. (2) Cito dal Limperani. 244 GIORNALE STORICO E LETTERARIO DELLA LIGURIA proprio circa in quei tempi, dovea conoscerlo personalmente, parlando in seguito deH'omonimo Sambocuccio d' Alando vicario del popolo nella seconda metà del sec. xv, dice esplicitamente ch’era nepote del primo, quello di cui ci occupiamo ora. Tutti gli scrittori che scrissero di questi fatti dopo il Limperani non fecero che ricopiar le sue invenzioni, senza nessun esame critico del loro valore, aggiungendovi qualche grosso svarione per proprio conto, per scarsa conoscenza della storia di Genova che così intimamente nel secolo xiv legasi a quella della Corsica (i). Epperciò non vai proprio la spesa di occuparsene e scompare l’effetto che a prima vista produce la loro unanimità. Nel silenzio inesplicabile degli scrittori genovesi (2) rimangono sole guide due storici corsi, Giovanni della Grossa ed il Cirneo, che vogliono essere controllati cogli annali d’Aragona dello Zurita e coi documenti inediti dei nostri archivi e biblioteche di Genova; poiché non ebbi mezzo di veder quelli d’altre città. Giovanni della Grossa scriveva a circa un secolo di distanza da questi avvenimenti, poiché nel 1455 lo trovo in Corsica vicario citra montes; corso e immischiato nella vita politica del suo paese (3), avea modo di conoscere fatti dei quali doveva conservarsi allora viva la tradizione. Il Ceccaldi ed il Filippini che ne riportano la cronaca nelle loro storie pressapoco in ter- (1) Il Jacobi, per esempio, confonde Giovanni Boccanegra governatore della Corsica con Simone duce di Genova; altri manda il primo in Corsica nel 1348 e così di seguito. (2) L’Accinelli nella seconda metà del secolo scorso scrisse una storia della Corsica che esiste manoscritta nelle biblioteche dell’ Università e dei Miss. Urb. ; ma è uno scritto polemico come tutti quelli di codesto autore e, per 1’ epoca di cui parlo almeno, senza alcun valore. Quanto agli scrittori anteriori, lo Stella non ha una parola sugli avvenimenti che ci occupano, il Giustiniani dedica due righe, pella nomina dell’arcivescovo, all’anno 135^ nemmeno parlando della pace coi Visconti, della quale trovai il trattato (v. Giornale Stor. lett. deila Liguria, fase. 3-4) e passa al 1362 dicendo collo Stella che nei tre anni 1359-60-61 gli scrittori non fan menzione di cosa alcuna degna di relazione ! (3) Nato nel 1838, notaro, cominciò a fiorire dopo la morte di Guglielminuccio d’Attala verso 1’ epoca della nomina di Leonello Lomellini a conte di Corsica (Filippini, v. II, p. 224) è con Vicentiello d’Istria contro i genovesi alla battaglia di Biguglia (ivi p. 253), commissario di S. Giorgio (ivi 329). GIORNALE STORICO E LETTERARIO DELLA LIGURIA 245 mini identici, scrivevano nel xvi secolo, erano corsi entrambi, pratici d'affari pubblici, ed il fatto che ne accettano senza obbiezioni il racconto è argomento a credere che sino a quel tempo non si avesse ragione di porne in dubbio la veracità. Del Cirneo sappiamo che nacque nel 1447, meno d’ un secolo dopo gli avvenimenti; è scrittore confuso, disordinato, da Enrico della Rocca ritorna indietro a Giudice di Cinerea con uno strano strafalcione che ne fa commettere uno altrettanto strano al Limperani e a tutti gli storici moderni che par abbiano citato il suo scritto De rebus corsicis senza neppur vederlo. La sua compilazione è una catena di racconti, (abbastanza esatti se presi isolatamente) riuniti uno all’altro talvolta in una successione arbitraria e contraria alla verità, sicché occorre staccarli e riordinarli cronologicamente. Ma per questo periodo la sua testimonianza è attendibilissima. Infatti, scusandosi di non saper dir nulla delle cose avvenute nella sua isola dopo la sottomissione generale dei corsi al dominio genovese che seguì alla disfatta di Pisa, per la povertà delle memorie scritte, ci avverte che si limita a scribere tantum quantum nobis, a lui, a maioribus relictum. Notisi ch’egli evidentemente non conosceva la cronaca del della Grossa, e pertanto la mirabile concordanza collo stesso nel delineare il carattere e le linee principali di codesta rivoluzione del 1358 è una ragione di più per far credere alla veridicità dei due storici. E poiché ho detto della concordanza del della Grossa col Cirneo, aggiungo subito che tal concordanza esiste anche per la parte cronologica. Il della Grossa segna delle date, il Cirneo non precisa le date ma inquadra il racconto di questi fatti entro fatti e uomini storici noti in modo da non lasciar dubbio. Raccontata la battaglia della Meloria, apud Lamellum insulam Pisano Portui vicinam, ci apprende che dopo i corsi aderirono all’impero di Genova, indi prosegue dicendo che post veros multos annos...... e giunge alla rivoluzione popolare di Sambo- cuccio di Alando, alla nomina dei successivi governatori genovesi, Giovanni Boccanegra, Triadano della Torre, Giovanni Ma-gnerri e, ultimi, Leonello Lomellino e Ludovico Tortorino. Ora la data della battaglia della Meloria è abbastanza nota e nota pur l’epoca dei personaggi genovesi or nominati, i quali evidentemente si seguono nella carica di governatori della Corsica 246 GIORNALE STORICO È LETTERARIO DELLA LIGURIA subito dopo alla rivoluzione accennata. Come con tutto ciò il Limperani (il quale pur assegna la data del 1365 alla moite del Triadano della Torre e nota nel 1369 l’invio di Giovanni Magnerri) possa poi citare il Cirneo in appoggio del suo immaginario Sambocuccio dell’alba del secolo xi è del tutto inesplicabile. (1). Sgombro così il terreno dalle invenzioni del Limperani, vediamo rapidamente come si sviluppò progressivamente prima l’influenza poi il dominio genovese in Corsica e qual importanza abbiano gli avvenimenti del 1347, per arrivare a ciucili decisivi del 1358, che a torto ora o si negano o cercasi ridurre a piccole proporzioni confondendoli con quelli. I. Dopoché i genovesi alla fine del secolo xn ebbero preso solido stabilimento a Bonifacio, non tardaron molto a far sentire la loro influenza sulle diverse signorie nelle quali era frazionata l’isola; i Cinarchesi ne cercarono subito l’amicizia e furono sui primordi i più validi coadiutori dell’ espandersi dell’influenza dei genovesi, che per contro trovarono successivamente nelle spiccate individualità di quella famiglia i più terribili avversari: Giudice di Cinerea, Enrico della Rocca, Vicentiello d’Istria, Sampiero. Il Filippini parla di tali sottomissioni e amicizie, di molte si conservono gli atti nell’archivio di stato; principiasi dalla cittadinanza genovese accordata a un Blancoraccio e ad un Cinarchesc fin dal 1222; troviamo che il capitano Guglielmo Boccanegra nel suo breve governo cerca assicurarsi 1’ amicizia di Giudice di C inerea e de’ suoi fratelli, preme sui signori di Corcano che induce (1) E del pari strana è l’insistenza con cui recentemente altri pubblicò, ripetendo 1’ asserzione ben tre volte, che il Cimeo collocava la rivoluzione del Sambocuccio nel xil secolo, e che, malgrado l’indeterminatezza, il suo racconto sembra accordarsi con la testimonianza del Villani. Forse fu ingannato da alcunché di simile che stampò 1’ab. Letteron. GIORNALE STORICO E LETTERARIO DELLA LIGURIA 247 poi ad accordarsi col comune (1). Ma è all’energico governo dei due primi capitanati Doria-Spinola che spetta il merito di aver impresso anche per gli affari di Corsica, un indirizzo vigoroso alla politica di Genova. Nulla trascurano per preparare il terreno, sino a favoreggiar nel 1273 il matrimonio di Orlando di Sala con una zitella genovese (2). Nel 1277 assegnano (1) La storia della Corsica nelle sue relazioni con Genova nel xm secolo è riassunta magistralmente dal Caro nella sua opera Genua und die Màchie am Mittclmeer ed in essa sono indicati tutti i documenti inediti del-1’ archivio di stato di Genova vi essa han tratto, sian atti notarili o quelli contenuti nei mazzi Materie Politiche, con minuta esattezza. Perciò e perchè d’altronde dei fatti che precedono la rivoluzione del 1358 non mi occupo che sommariamente per introduzione alla narrazione di questa, ometto pel sec. xiil in generale 1’ indicazione delle fonti (sebbene la ricerca, massime degli atti notarili, mi sia costata fatica non breve) meno per qualche raro caso in cui trattisi di documenti non citati dal Caro. (?.) La figlia di questo Rolando de Sala trovai a Genova, moglie di Iacopo Zacharia q. Simone (Not. ignoti, Fa 52 parte ia). Questo nome di Rolando de Sala fu occasione d’un piccolo incidente. Sui primi dello scorso marzo ne accennai ad un signore straniero che talvolta incontrava al!’ archivio di stato. Egli, a cui quel nome suonava nuovo, mi pregò ripetutamente di appurare se non si trattasse invece di Rollando de Lacio. Come in altre circostanze prima c dopo procurai compiacerlo e gli indicai il volume, il capitolo ed una nota del Caro (Germa and- die Machie ecc.) ove avrebbe trovato notizia di quel personaggio, accennandogli come quell’ opera fosse preziosa pure per l’indicazione delle fonti. Quel signore tenne conto delle mie indicazioni, chiese alla Bibl. Cìvica Γ opera del Caro, che appunto io aveva in prestito e che mi feci premura di restituire il 12 marzo perchè potesse consultarla a suo agio, la ritirò in prestito a sua volta (fu restituita per lui e dopo la sua partenza dal consolato della sua nazione il 26 aprile) e al punto da me indicatogli trovò la menzione del Rolando de Sala e la citazione del MS. 103 dell’ Arch. secreto, nel qual son riuniti, leggibili anche dai meno pratici, tutti i documenti del sec. xiv riguardanti la Corsica, dei quali ho pubblicato un sunto nel fase, marzo-aprile del Gior. stor. c lett. della Liguria di quest’anno, e dei quali del resto gli avea accennato e anche fornito estratti cinque o sei anni prima, allorché 11011 era ancora pubblicata la II parte del lavoro del Caro, tacendogliene 1’ origine per la ragione che allora gli dissi, che preparava io stesso un lavoro sulla storia medioevale della Corsica, pel quale raccoglieva gli elementi. E nel Caro potè veder pure (Vol. II pp. 1-9, 140-4, 147, 151,212 e 417) l’indicazione di tutti gli atti disseminati nei registri notarili che riguardano fatti della Corsica nel sec. xill, nonché il sunto di quelli conte- 248 GIORNALE STORICO E LETTERARIO DELLA LIGURIA a Giudice di Cinerea, che già s’era sottoposto a Genova nel 1258, brevi termini per venire o mandare un suo rappresentante onde scolparsi d’alcuni suoi atti, nel 1278 aggregano ( alvi sino allora degli Avogari (1), preparando così al comune, sebbene subito non 1' abbia potuta occupare, una base per 1 ulteriore espansione nell’isola. Continuando a premere su Giudice nel 1280 addivengono ad una convenzione con lui, e sul suo esempio presta omaggio il suo rivale Giovaninello ; vengono a offrirlo personalmente a Genova Enriguccio e Ranieri di Cinerea; nel 1286 Rolando di Laccio cede il suo castello di S. Angelo al comnne. Allorché colla pace stipulata nel 1288 con Pisa questa ebbe rinunziato ad ogni ingerenza negli affari di Corsica, i capitani liuti nei mazzi 5, 6, 7, 8 e supplementare, Materie -politiche (Vol. II p. 410). Allora si fece in tutta fretta estrar copie o sunti di questi e dei documenti MS. 103, 104, e con fretta anche maggiore pubblicò, e diramò qui in Genova, un opuscoletto, non posto in vendita, per annunciare la découverte (sic)... a dir vero ormai non difficile, perchè il Caro all’ esattezza nel racconto unisce la precisione nelle citazioni dei documenti, e dippiù un minuzioso indice analitico per ordine d’ alfabeto rende facili le ricerche anche per chi non ha la pazienza di legger l’opera o noi può per scarsa conoscenza della lingua tedesca. Del-l’incidente e dell’ opuscoletto, che conobbi casualmente molti giorni dopo la data appostavi, non mi sarei curato se nello stesso non fossi, proprio male a proposito, indicato per nome; ciò che mi costringe a questa spiegazione. (1) Gli Advocati o Avogari son certo la prima famiglia genovese che possedesse stabilmente in Corsica, secondo ogni probabilità sin dall’ xi secolo, perchè le tre famiglie : Avogari, Pevere e de Turca, discendono dallo stesso stipite comune, Lanfranco Advocato, già morto nel 1097 (V. tav. 23 geneal. fam. viscontili del Belgrano). Siccome tutte e tre tali famiglie possedevano beni al Capocorso nel xn e xiii secolo, è ovvio pensar che provenissero loro dall’eredità del capostipite. Più tardi, sulla fine del sec. xiii o i principi del sec. XIV si riunirono in albergo adottando il nuovo cognome di Gentiles, forse perchè in Corsica si chiamavano i nobili signori di terra gentiles homines; a tale albergo s’unirono nel 1321 i Pignolo. (L’aggregazione all’albergo Gentile dei nobili di S. Pancrazio, Falamonica, Ricci e, temporaneamente, Pallavicini, è posteriore d’un secolo circa). Col tempo i de Turca ed i Pevere si spossessarono delle loro terre a favore dei de Mari e degli Avogari, sicché a quel che pare il nome di Gentile in Corsica rimase sinonimo di quel di Avogaro colà più conosciuto. Almeno nell’ atto d’ investitura dell’isola a Leonello Lomellini e suoi soci, del 1378, è detto che il comune si riser- - GIORNALE STORICO E LETTERARIO DELLA LIGURIA 249 provvedono tosto con energia per assodarvi Γ influenza genovese; oltre al podestà che era succeduto ai castellani nel governo di Bonifacio, ora vi spediscono un vicario generale pel comune in Corsica con pieni poteri Nel 1289 è Lucchetto Doria il quale corrisponde alle intenzioni dei capitani, investendo senza posa Giudice di Cinerea, che di nuovo s’è ribellato. Prende ostaggi, nomina confalonieri e vicari, ottiene le sotto-missioni dei principali feudatari grandi e piccoli, i Biancolacci, i Cortinchi di Pietra Ellerata e di Lumeto, i signori di Loreto, che diedero a Genova il castello di Belgodere, quelli di Orezza, della Rocca di Cauro, di Bagnarla; dei Cinarchesi, del marchese di Massa. Ma già Nicola Boccanegra che gli succede nel vicariato non è egualmente fortunato contro Giudice di Cinerea, la lotta contro questo sotto i successivi vicari, carica ormai riunita a quella di podestà di Bonifacio, dura con alternative di successi e d’insuccessi, d’ ostilità e di tregue che sono un insuccesso (1) ; tuttavia alla fine anche Giudice della Rocca, non ostante la fierissima tempra, è spossato, e cieco, abbandonato da tutti, tradito dai suoi parenti più prossimi, da’ suoi figli stessi, viene a terminar tristamente i suoi giorni prigioniero a Genova. Ma allorché questa potea credere dopo la vittoria su Pisa ed il trattato del 1300, d’aver assicurato il suo predominio in Corsica, un inatteso avvenimento minaccia di farle perdere il frutto di lunghe lotte; il 17 febbraio 1297 papa Bonifacio vili vava i diritti che avea : « in terris, locis et hominibus nobilium de Avogariìs seu de Gentilibus et de Mari ». Noto incidentalmente che ancora nel secolo xvi trovo al Capocorso per parte dei Gentili di Brando delle vendite e delle compre di vassalli, numeriche e nominative. (Not. Ant. Tinello e altri). (1) Da un atto del not. Nicolò de Porta del giugno 1299 risulta che dietro alla requisizione d’ un nuncio di Branca Doria il qual si lamentava del sequestro d’ alcuni suoi fedeli per parte dei bonifacini e ne reclamava la restituzione, il vicario Odoardo Lercari, gli anziani ed il consiglio di Bonifacio rispondono che tali uomini non son più in loro potere ma in quello di Giudice di Cinerea, perchè avendo essi tregua con lui tenentur dicto Judice dare et consignare homines suos corsos____ proditores et rebelles suos qui venient in virtute hominum Boni faci salvo illi corsi qui erunt homines alicuius corsi qui sit amicus co munis Janue et dictus Judex similiter tenetur ecc. (Not. ig. F.a-6i bis). 2 50 GIORNALE STORICO E LETTERARIO DELLA LIGURIA aveva investito Giacomo d’Aragona dei regni di Sardegna e Corsica, delle quali, come della Sicilia, la S. Sede riteneva allora spettarle l’alta sovranità. Fu la cagione di quasi due secoli di guerra fra genovesi e aragonesi. Non è a dire che Genova, e Pisa per la Sardegna, s’acconciassero, non ostante gli inviti del papa, alle sue decisioni, ma sebbene i corsi avessero accettato (adheserunt, dice Cirneo) la sovranità di Genova, tuttavia per le interne condizioni di questa poco alla volta il frutto della ardita e ferma politica dei primi due capitanati Doria-Spinola fu perduto. Dal 1291 al 1339 s’alternano a Genova capitani forestieri, capitani del paese, podestà, dominio imperiale e dominio del re Roberto, guelfi e ghibellini; ma continua, implacabile v’è la guerra civile che insanguina la città e le riviere. In queste condizioni e dopo l’investitura del papa di quel regno all’Aragona era naturale che il dominio genovese in Corsica a poco a poco scomparisse. Pare che si continuasse a nominar dei vicari in Corsica, ma nel fatto si riducevano a podestà di Bonifacio; famiglie potenti come i Doria e gli Spinola (1) cercano assicurarsi, come avean fatto i Gentili ed i de Mari (2), possessi in Corsica, ma non troviamo più traccia (i) I Doria possessori d’Alghero e di vasti territori in Sardegna che già nel 1272 aveano posto piede in Corsica presso Aiaccio come enfiteu-ticari del monastero dell’isola d’Albenga, (MSS. 103 c. 10 r.), cercarono di ottenere Calvi in feudo dai re d’ Aragona; altri de Mari, oltre gli eredi di Ansaldo, i figli di Gando cioè loro cugini (BONAROTI, Gen. MSS. Bibl. Civ.), aveano acquistato diritti su Calvi (nel 1340 Conte de Mari figlio di Gando vende legnami del bosco di Calvi; Not. ig. F. 252. Vediamo parlar di diritti dei Ratti di Finale e degli Spinola, e infatti nel 1321 Argenta vedova di Corrado Spinola di Lticcoli come erede universale del figlio Opicino Spinola fa donazione all’ altra figlia, Branda, moglie di Nicoloso de Mari, di vari castelli tutti in Corsica con mero e misto imperio, fra cui Belgodere e Beguglia oltre altri di cui non potei leggere i nomi (Not. ignoti F“ 104). Secondo il Zurita, sempre citato dal Cicala, il figlio di Branca, Barnaba Doria il quale avea avuto feudi dal re d’Aragona e altri ne sperava, nel 1324 avrebbe cercato di far riconoscere la signoria d’ Aragona dal comune di Bonifacio e dai feudatari genovesi in Corsica e di ridurre tutta P isola in potere degli aragonesi. Ad ogni modo i più dei Doria noi seguirono su quella strada. (2) I de Mari che in seguito divennero i più potenti signori del Capocorso si stabilirono in Corsica solo verso la metà del sec. xiii con Ansaldo de Mari, GIORNALE STORICO E LETTERARIO DELLA LIGURIA 25 I di azione del governo genovese sino al maggio 1337, allorché hnrico di Litala o d’Attalà, in quel momento potente, fa omaggio dei suoi castelli al comune di Genova per riaverne 1’ investitura a nome di questo dal vicario di Bonifacio (1). 11 primo cenno di una ripresa di azione risoluta in Corsica l’abbiamo nel 1340, sotto il governo di Simone Boccanegra, circostanza non abbastanza notata. Due dinasti corsi, Orlando Cortinco da Patrimonio e Guglielmo della Rocca, essendosi recati a Genova per chiedere che mettesse fine all’anarchia dominante nell’ isola assumendone il governo, il comune vi spedi Gotifredo da Zoagli il quale, coadiuvato da Guglielmo della Rocca, soggiogò tutta l’isola facendo impiccar lo stesso Orlando Cortinco e sequestrandogli il castello di Patrimonio, poiché lo sospettò traditore. Poscia fece decapitare il signore d’ Ornano e d’altri castelli, i Cortinchi perseguitò, pacificò l’isola e per mezzo di Guglielmo della Rocca ne ricevette il giuramento di fedeltà in Aleria. Dopo ciò ritornò a Genova lasciando luogotenente pel comune lo stesso Guglielmo della Rocca del quale condusse seco il figlio Enrico come ostaggio (2). l’ammiraglio di Federico II, che fece il primo acquisto, per mezzo di rappresentanti, 1’ 11 giugno del 1446 di Fenoculo, Feleto e S. Colombano da Oberto Avogario q. Balduino e Ottobono de Camilla, ratificato a Pisa pridie idus Julii. 1247 (ab incanì.). Il 1° Agosto 1249 a Centuri, in Capocorso, completò la sua signoria acquistando da un Aldevrando de Campo di Luri tutti i castelli e le terre comprese fra S. Maria da Clapella e Cani-strello a levante, ponte S. Agostino a ponente, le quali Aldevrando avea comperato, probabilmente per conto del de Mari, dai Pevere, da alcuni Avogari, dal marchese di Rostino o di Massa e da altri. Per maggiori particolari sugli acquisti dei de Mari in Corsica vedere anche il MSS. Ageno (Poch) della Bibl. Civ. di Genova Vol. IV, parte 3 da c. 42 a c. 56 — Ivi trovasi pure un confalonerio e console del Capocorso del 1327, un dno Antonio de Gegeto ; altri confalonerii e raxonerii del Capocorso del 1342. (1) MS. 103, c. 35. (2) Il della Grossa narrando estesamente quella spedizione, dice che Gotifredo da Zoagli ebbe il titolo di vicario e maresciallo; credo volesse dire vicario e capitana, come è qualificato Nicola Boccanegra nelle lettere di nomina che presenta il 22 luglio 1290 al podestà di Bonifacio; egli non segna date. Il Filippini nel trascriverlo alterò il Zoagli in Lava g io ; il Gregori nella ristampa del Filippini correggendo il nome sulla fede d’un .MSS. del Canari del xm se- 252 GIORNALE STORICO E LETTERARIO DELLA LIGURIA Non pare tuttavia che questa spedizione di Gotifredo da Zoagli e la luogotenenza di Guglielmo della Rocca abbian dato grandi risultati. Già nello stesso anno, secondo lo Zurita citato dal Federici e dal Cicala, Ugo Cortinco e Lupo d’ Ornano per mezzo del vescovo d’Aleria avrebbero fatto sollecitare il redi Aragona, perchè prendesse possesso del regno di Corsica. Non par lungi dal vero il Cirneo^ quando scrive : « post multos vero annos sola Bonifacii civitas remansit in genuensium fide, ceteri vero corsi expulsis genuensibus insula inter se bellare ceperunt ». Che, sebbene Oberto Doria avesse restituito dal 2 ottobre 1294 Calvi al comune, non appare consolidato il dominio di questo sul nuovo baluardo, la Calvi semper fidelis, che con prevveggente accorgimento i capitani Oberti preparavano al dominio genovese. Cercano di appropriarsela Doria, Gentili, Spinola, un’ altra famiglia de Mari ; par che ostenti titoli anche un albergo Ratti di Finale. Secondo il Zurita, citato dal Cicala, nel 1323 il re d’Aragona l’avrebbe investita in feudo a Corrado Doria con mero e misto imperio concedendo egualmente a suo cugino Nicolò Doria di Giacomo il castello di Patrimonio. E positivo che nel 1342 se ne dividono il dominio il Conte de Mari ed i colo da lui veduto, fissa la data al 1325; gli atti notarili citati nel MSS. del Canari sarebbero decisivi se si potesse accettarne 1’ autenticità almeno per la data; a me inspirano poca fiducia. Nel 1325 Genova essendo sotto la signoria del re Roberto, non è probabile fosse scelto per ufficio così importante un popolare. S’aggiunga che in quel punto i guelfi e ghibellini si combattevano più accaniti che mai, sicché è difficile pensassero ad imprese in Corsica. Il Cambiagi più plausibilmente assegnerebbe al fatto la data del 1338· Io mi attengo a quella del 1340 che sarebbe quella indicata dal Roccatagliata, 110-tatore accurato, benissimo informato sempre perchè potè attingere a documenti ufficiali. Lo citano con dicitura quasi identica il Federici, Collcctanca, ed il Cicala pur indicando due manoscritti differenti esistenti allora uno nell’ archivio del Senato 1’ altro presso Giulio Pallavicini. Com’ è noto il primo volume degli Annali del Roccatagliata non si trova che nel MSS. rimasto a Parigi; in Genova di quel volume non si hanno che sunti in varie biblioteche ed all’arch. di stato ed in essi del fatto non è parola. Conforterebbe l’esattezza della data 134° anche un annotazione dei libri Mass, comunis ( r, c. 180 r.) dalla quale apparirebbe che Enrico della Rocca avrebbe dovuto trovarsi a Genova sulla fine del 1340. (La nota dice: Enricus de Cincrcha debet nobis L. 6, 5 tn causa expensis etc.) Ora dal Filippini sappiamo che il da Zoagli avea condotto seco a Genova come GIORNALE STORICO E LETTERARIO DELLA LIGURIA 253 figli del q. Manuele Gentile (Avogaro) (1). D’altra parte il podestà di Bonifacio ha smesso il titolo di vicario del comune in Corsica, ormai privo di senso. La luogotenenza di Guglielmo Della Rocca fu tutt’ altro che tranquilla, e la sua fedeltà al comune di breve durata. Le signorie feudali ovunque per naturale affinità s’adattano più volentieri al dominio d’un principe anziché a quello collettivo delle repubbliche, seppure rette a patriziato. Dovea esserne più il caso ora che Genova dal 1339 avea adottato forme di governo spiccatamente popolari. Alle instanze rivolte fin dal 1340 al re d' Aragona accennate sopra, molte e più numerose se ne aggiunsero più tardi, dei principali signori dell’ isola: gli eredi di Enrico Strambo, un dei quattro spuri di Giudice di Cinerea, quelli di Ugo Cortinco, Orlando d’ Ornano e lo stesso luogo- ostaggio Enrico Cmarchese della Rocca e ciò dev’ essere avvenuto nella prima metà del 1340, perche il 26 luglio Gotifredo da Zoagli era già coll’ esercito oltre giogo all’assedio di Tassarolo, il 13 settembre e 1’ 11 ottobre era a Genova (Mass. com. i°, c. 49 r, 68 r. 149 r.) e nel 1341 fu podestà di Chiavari, nel 1342 di Finale. È noto che a’ suoi tempi fu uomo importante, console a Caffa che cinse di mura, vicario successivamente nelle due riviere. (1) Nel not. Zino Vivaldi da Porta voi. 1343-60 a c. 72. Atto stipulato a Genova il 19 novembre 1342 fra Manuele de Plateis corso come procuratore dei nob. uomini Bartolomeo, Giovannino e Paolino Gentili olim Avogari da una parte e il n. u. Conte de Mari dall’ altra. Le due parti affermano che il castello di Calvi e gli uomini dello stesso sono per metà dei fratelli Gentile e per metà del de Mari, e per evitare questioni stabiliscono che dal i° del p. v. dicembre per un anno alternativamente ciascheduna delle pue parti contraenti terrà e custodirà detti castrum et fortilicia, ne riceverà tutti gli introytus, obventiones et proventus, eserciterà giurisdizione civile e criminale nel castello e nel distretto; che nessuna delle parti cercherà ottener diritti dal comune di Genova, dall’ albergo Spinola o da quello de Ratis del Finale, contro la metà spettante all’ altra. Il Conte de Mari promette ancora che il D. Giovanni de Mari q. Gandi (Gando già ammiraglio del comune) e i suoi eredi mai opporranno diritti che possano aver ottenuto dai Rati di Finale o dal comune di Genova. Nei voi. Mass. Com. c Rac. non trovo alcun podestà di Calvi pel comune prima di un Antonio de Carmo, lo segue Giovanni de Mari, di Moneglia (famiglia popolare come i de Mari di Aren-zano e altre omonime, da non confondere coll’ albergo dei nobili de Mari), che come podestà di Calvi e Balagna cominciò il suo ufficio il 4 luglio 1851 e lo tenne per 23 mesi; subentrò per un anno e giorni Filippo de Petra 254 GIORNALE STORICO E LETTERARIO DELLA LIGURIA tenente lasciato da Gottifredo da Zoagli, Guglielmo della Rocca e altri. Il re d’ Aragona non avrebbe amato meglio che d’intervenire, ma le novità che avvennero dopo ne’ suoi regni ne lo distrassero (i); si limitò pertanto a rianimarli con lettere nel maggio del 1345 assicurandoli del suo interessamento per la Corsica e promettendo dì ricompensare il loro zelo. Ma spedì truppe in Sardegna ed una flotta che nel novembre del 1346 fece molto danno all’ isola di Corsica e principalmente al porto ed al territorio di Bonifacio. Ai lamenti del duce rispose il re che il fatto era avvenuto d’ ordine suo (2). In Sardegna la guerra durava fra aragonesi da una parte, i Màlaspina e i Doria dall’altra; questi ultimi da tempo assediavano Sassari; il capitano delle forze d’Aragona dopo otto mesi d’assedio la liberò (3). Allora a Genova 1’ opinione generale si pronuncia per l’intervento; prima, come al solito, son galee armate dai particolari ; poi lo stesso governo del duce Giovanni da Murta che interviene, significando al re d’Aragona per mezzo dell’ ambasciatore Ponzo (?) de Cerreto l’intenzione del comune di occupar Sassari. Naturalmente D. Pedro oppose i diritti che gli provenivano dall’investitura papale (4). Il governo di Genova procede innanzi egualmente; gli estrinseci, cioè i fuorusciti, sassaresi fin dal 15 aprile 1348. ab incarn. (cioè 1347) in Alghero avean deliberata la dedizione della loro città a Genova, il 23 agosto il loro rappresentante Guccio de Vanne presenta l’atto della dedizione al duce ed anziani che ad unanimità decidono di accettarla, impegnandosi a difender Sassari e i sassaresi contro ogni principe o barone sicut alios cives et distrectuales Janue (5). Rubea, poi il 3 luglio del 1354 il Conte de Mari già accennato sopra come condomino nel 1342, prova che ormai avea rinunziato ad ogni suo diritto. Dopo quell’epoca Calvi, unica fra le città della Corsica, non cessò più di appartenere a Genova sino al 1768, eccetto il breve periodo dell’ occupazione aragonese nella prima metà del sec. xv della quale i calvesi si liberarono coraggiosamente da soli. (1) Zukita, Annali d’Aragona L. VII, c. 137 ediz. Saragozza, 1562. (2) Ivi, c. 167 e seg. — (3) Ivi. — (4) Ivi. (5) Not. ignoti, Filza 23. Poiché mi occorre talvolta di citare questa serie di documenti è opportuna una spiegazione. Allorché il bombardamento di Luigi xiv cagionò l’incendio parziale dei nostri archivi notarili, quanto si potè salvare degli atti già in parte consunti si raccolse alla rinfusa, si GIORNALE STORICO E LETTERARIO DELLA LIGURIA 255 Era una dichiarazione di guerra, e così la intese il governo ducale che già da mesi si preparava alla conquista della Corsica. Comincia dall’assicurarsi della sottomissione dei baroni corsi dei quali non ignora certameute le cospirazioni coll’ Aragona. Questi, visto che D. Pedro è distante e i promessi soccorsi lontani, si riaccostano a Genova; il 28 aprile ed il i° maggio del 1347 Guglielmo e Restorello de Rocca di Valle, Rolando ed Enriguello d’Ornano q. Lupo, tutti cinarchesi, fanno a Bonifacio la loro sottomissione al podestà genovese, il not. Nicola da Levanto, rassegnando nelle sue mani tutti i loro feudi per esserne rinvestiti a nome del comune di Genova; il 18 e 19 maggio il duce ed il suo consiglio ratificano le concessioni. Il fatto avea molta importanza, perchè erano dei più potenti fra i feudatari corsi e di quelli che cospiravano col re d’ Aragona; è probabile che altri baroni dell’ isola abbian seguito il loro esempio (1). Ma naturalmente il comune non si limita ad assicurarsi l’appoggio sempre molto vacillante dei feudatari corsi. Come per conto loro fanno i Malaspina e i Doria, così grandi apparecchi fa il governo di Giovanni da Murta per romper vigorosamente la guerra; riunisce grande esercito nelle riviere, molte compagnie a piedi e a cavallo per passar nell’ isola, affrettandosi per profittar dell’occasione che il re era distratto altrove (2) e procurarsi così il vantaggio del fatto compiuto. È instituito 1’ ufficio sapientium super factis insule Corsice, il 12 luglio si de- riunì arbitrariamente in filze, stracciando i volumi per piegarne i fogli dispersi a foggia delle filze, disperdendo i fogli d’ un volume stesso o d’ una filza in 15020 filze diverse nelle quali così trovansi ora documenti del secolo xil con altri del XVII secolo ; così si formarono 600 circa filze dette dei notari ignoti, parte delle quali tuttavia sono gli atti ordinati dell’ antico collegio dei notari. Allorché m’ avvidi della ricchezza di documenti importanti per la storia, del xill secolo e xiv secolo sovratutto, sparsa così disordinatamente in quelle carte trascurate, chiesi ed ottenni dalla cortesia del compianto comm. De-simoni di poterli ordinare. Alle prime 62 filze diedi un ordinamento completo, per altre mi limitai a disporre i documenti in ordine cronologico cosa che, dopo la separazione dei registri che piegati si sciupavano sempre più, parvemi la più urgente. Mi lusingo d’ aver molto agevolato le ricerche di coloro che esaminarono od esamineranno quelle filze dopo di me. (1) MSS. 103. — (2) Zurita, op. cit., ivi. 256 GIORNALE STORICO E LETTERARIO DELLA LIGURIA cide Γ invio di un esercito che sarà comandato da Tomaso da Murta, uno dei figli del duce (i), mentre l’altro figlio, Germano, assumerà il comando della flotta destinata ad agire sulle coste della Sardegna, cominciando da Sassari (2). Lettere circolari pressanti sono tosto spedite alle comunità convenzionate di Noli, Albenga e Diano (3); al marchese di Ponzone, ai marchesi del Carretto, a Iano Scarampi, ai signori della Lingueglia, tutti feudatari del comune, ed a tutte le podesterie delle due riviere e dell’ oltregiogo, perchè d’urgenza apprestino armati (4). Si prendono concerti con Giovanni giudice d’Arborea a di cui disposizione 1’ 8 novembre si mettono, due galee e trecento balestrieri (5). L’impresa è cagione di grandi spese, probabilmente molto maggiori di quelle che a tutta prima si prevedessero; per procurar denaro senza aggravare il cotitumo che già gravava nobili e popolari si ricorre al solito mezzo, instituendo il 29 novembre la compera nova acquisitionis Corsice (6). Si apre fra i cittadini un prestito per Γ impresa della Sardegna (7). Il progetto ebbe un principio d’esecuzione; nell’autunno del 1347 un esercito genovese è in Corsica (8); la squadra di (1) MSS. j-03. (2) 134"· nov. a Germano de Murta « capitanile felicis exercitus insule Sardinee » Rac. 47, c. 88. - 1347, 16 nov. « Pro D. Germano de Murta capitano galearum et exercitus felicis Sardinee (e per lui al suo scriba) et sunt pro expensis factis in tentorio galee dicti D. Capitanei - apod. 14 nov., -ibi c. 47. - 1350, 13 maggio Jac. Formica de Saona per Conrado Sansono, per somma dovuta al q. Eliano Sansono patrono « unius ex galeis alias missis in Sardiniam pro recuperatione civitatis Sassari ». Rac. 48, c. 31. (3) Non a Gavi, che non fu mai terra convenzionata. (4) MSS. 103. (5) ivi, (6) ivi e MSS. VH contractuum, c. 24 r.; nella motivazione è detto: « opportabit comuni Janue multa expendere et erogari in proxecu-tione acquisitionis et pro acquisitione dicte insule » è in data 29 novembre 1347· (7) V. elenco dei nobili che prestarono somme al comune per l’impresa di Sardegna, complessivamente L. 6292,10 in Rac. 47, c. 137; sempre nel nov. 1347· (8) 1347. 4 settembre Gio. Calegarius de Gavio promette surrogarlo a « Martino de Cetualia de Costa soldiario seu stipendiario D. Ducis ad banderiam seu conestagiam Guarvani Qualie conestagii posse Gavii et prò ipso, Dni Ducis in exercitu Corsice ». Not. Gian. Imperio (così la pandetta ma si chiamava not. Gio. Omnibono) c. 161, GIORNALE STORICO E LETTERARIO DELLA LIGURIA Germano de Murta par sia partita un po’ più tardi per la Sardegna (i). E non si trascuran le trattative diplomatiche, col papa principalmente che ha l’alta sovranità della Sardegna e della Corsica ; il 31 novembre stanno per partire ambasciatori alla curia romana in Avignone Gio. de Oliverio e Ettore Vincenzio (2). Ma se questi preparativi affrettati per una grossa guerra in Sardegna ed in Corsica appariscono dai documenti che ho indicati e dagli annali dello Zurita, nulla tuttavia conferma 1’ asserzione di Giovanni Villani, che nell’ agosto del 1347 « i genovesi ebbero la signoria di tutta l’isola con volontà quasi di tutti i baroni e signori di Corsica » (3). Dalla testimonianza del Zurita appare che i principali dinasti corsi tutt altro che favorevoli a Genova sollecitavano nel 1345 il re d’Aragona ad impadronirsi dell’isola; lo stesso annalista ci fa noto che nella difesa di Sassari alcune compagnie di corsi tanto si distinsero che D. Pedro per gratitudine, e naturalmente per calcolo, ordinò si pareggiassero nel trattamento agli aragonesi tutti i corsi che si trovavano in Sardegna. È evidente che siamo lungi da quell’accordo fra i signori e le popolazioni del- 1 isola che sulle poche parole dello storico fiorentino scrittori moderni fantasticarono come ragione dell’ unione della Corsica a Genova nel 1347. Se si tien conto dei precedenti è abbastanza ragionevole lo spiegar le sottomissioni dei Cinarchesi della Rocca e di Ornano come conseguenza della minaccia di Genova vicina mentre l’Aragona era lontana, e, distratto da altre cure, D. Pedro se onorava delle sue lettere i dinasti corsi, non parea per al-loia in caso d opporre forze pari a quelle che Genova approntava con febbrile attività. Notiamo poi che in tutti gli atti del (1) V. precedente nota (2) p. 18. (2) Mass. 4, c. 139.... ambaxatores ituri ad Curiam Romanam. (3) Si noti tuttavia che il Villani scrive soltanto le parole riferite; altri 10 cita alterandole per acconciare i fatti alle sue fantasie; per es. recentemente gli si fece dire che i genovesi « presero possesso dell’ intera Corsica col consenso del popolo dell’ isola e della maggior parte dei baroni » ora col consenso del popolo è un’ interpolazione ; sarà, se vuoisi, 1’ applicazione alla storia del proverbio: chi tace acconsente... Così a’ suoi tempi il Iacobi citava 11 Filippini, indicando anche il libro ! insieme al Villani ed al Raynaldi per provar la famosa dieta di Morosaglia del 12 agosto 1347. Gior. St. e Leti, delia Liguria GIORNALE STORICO E LETTERARIO DELLA LIGURIA governo di Genova, prima e dopo dell’ agosto, si parla di ricuperare l’isola, che evidentemente ciò dovea farsi colla forza perchè vi si manda un esercito, che non si nomina un governatore come sarebbe stato il caso se la volontà quasi unanime di baroni l’avesse messa nelle mani del comune, ma invece si destina un capitano per conquistarla, che si provvede per ingenti spese segno che si teme l’operazione lunga e difficile. La sottomissione di alcuni dei signori dell’ isola, fossero pure dei più potenti, non era per sè cosa nuova; il più importante fra essi, Guglielmo della Rocca, avea aiutato con tutte le sue forze Gotifredo da Zoagli sette anni prima, avea accettato d’essere in Corsica il luogotenente di Genova dando in ostaggio suo figlio Enrico o Arrigo. È anche possibile che altri signori abbiano seguito l’esempio dei nominati e che questo, le notizie di Sassari di cui Genova avea accettato l’offerta (fatta dai fuorusciti!) appunto nel mese di agosto e le voci degli straordinari armamenti che si preparavano nella Liguria e nella vicina Lunigiana, abbiano indotto lo storico fiorentino ad esagerarsi l’importanza dei fatti avvenuti. Sopratutto bisogna tener presente ch’egli morì di peste nel 1348, cioè poco dopo ch’ebbe scritto quelle ultime pagine delle sue cronache e perciò gli manco il tempo di controllar le notizie che avea ricevute e di rettificar le inesattezze in cui potesse essere incorso. Ma il veder che Giovanni della Grossa e il Cirneo, ii pi imo sopratutto notatore accurato di quante memorie potè raccogliere dell’isola sua, neppur si occupano degli avvenimenti del 1347, è il miglior indizio che questi non ebbero conseguenze durevoli. Il fatto è che tutt’altro che spettare a Giovanni da Murta l’onore di aver riunito definitivamente la Corsica agli stati della republica, tutto quell’apparato di preparativi, sia politici che finanziari e militari, sfumò in un completo insuccesso e allorché il da Murta nel 1350 morì avea già visto dileguata ogni traccia della sua impresa. Il Cambiagi, sempre prudente ed avveduto, pur accettando la testimonianza del Villani in quanto di vero essa contiene, nota che Genova non potè trarre allora alcun frutto da quella sottomissione di alcuni baroni dell’isola e ne accagiona la peste perchè occorreva mandar gente e non se ne trovava. La ragione è plausibile, ma mostra nello stesso tempo che il dominio della GIORNALE STORICO E LETTERARIO DELLA LIGURIA Corsica non s’era potuto conseguir nel 1347, poiché la peste non scoppiò in Toscana, in Corsica ed a Genova che nel 1348. Ma fu spaventevole; fu la gran pestilenza, quella del Boccaccio, della quale le vittime si fecero ascendere a cifre favolose. Le navi, o parte almeno, della squadra di Germano da Murta eran rientrate a Genova sin dai primi mesi del 1348 (1), il comune dovette pensare a ritirar i superstiti delle truppe che avea trasportato in Corsica nell’anno precedente (2). Forse nel 1349 qualche forza fu di nuovo trasportata in Corsica (3); ma l’impresa ormai fallita non potè più riprendersi ; quelle nuove spedizioni, se ve ne furono, dovettero aver un risultato infelicissimo come le prime, poiché trovo che il comune nell’aprile del 1350 decise il rimpatrio delle milizie superstiti per V onore e la fede del comune e perche gli stranieri non avessero ragione di lagnarsene (4). Per qualche tempo Genova conservò in Corsica il castello di Patrimonio con un piccolo presidio, un castellano e da 12 a 15 servienti; dopo l’aprile del 1351 non ne trovo più cenno; un particolare indica come quell’occupazione fosse divenuta arrischiata: i balestreri che vi son destinati mentre in circostanze ordinarie la loro paga varia da due a tre lire, pel ca- (r) t348> 5 febbraio « Galee que nuper venerunt Janue a partibus Sar-dinee ». Rac. 47, c. 158. (2) 134®! 10 sett· - L. 296, s. 10 a Enrico de Monforte e Gio de Limbres conestabili « equi timi qui fuerunt in Corsicha, prò menda equorum et runci-norum XXV perditorum et mortuorum et prò se ipsis et stipendiariis eorum et etiam pro equis q. Rodulfi etiam conestabilis in dicta insula * Apodisia 6 settembre. — 1348. 11 sett., ad Enrico di Monforte L. 625 « et sunt ad complementum tocius eius quod habere restant (sic) pro eorum serviciis per eos factis in Corsicha. (Mass. 4.0, c. 67 e 71). (3) r349> ~^ Nov. L. 407,1o a Nic. de Momecio di Recco massaro dell’ ufficio Corsice « pro certis expensis fiendis per eum, in occasione insule Corsice, equitum et peditum. — 1349. 4 dic. L. 750 dandis et solvendis equitibus ad dictam insulam presentialiter accessuris et pro faciendis de ipsis (i due massari dell’ ufficio di Corsica) aliis expensis neccessariis in dicta insula ». (Rac. 48, c. 144 r.) (4) 13S°> '5 aprile L. r02 a Scaco Gentile priore dell’ ufficio Corsice pro expendendis pro illis armigeris gentibus existentibus in insula Corsice, pro eorum redditu pro honore et fidei comunis Janue ne forenses se fiossent dç comuni Jamie conqueri (Rac. 48, c. 29 r.). 2ÓO GIORNALE STORICO E LETTERARIO DELLA LIGURIA stello di Patrimonio ricevono nel settembre 1349 quattro lire al mese, nell’aprile 1350 quelli che devono recarvisi hanno una paga di L. 5 (1). Così il progetto di ricuperazione della Corsica andò miseramente fallito, non per difetto di preparazione o per opposizione nemica, ma sovratutto forse per la peste. Come avvien sempre in casi simili, l’insuccesso delle grandi spedizioni organizzate nel 1347 da Giovanni da Murta lasciò una traccia di depressione per gli anni successivi. Genova anziché aggredire è minacciata nei possessi suoi ; par che in quest epoca siansi aumentate le fortificazioni di Calvi (2); il Cabrera attacca Alghero ed il suo territorio di cui Brancaleone Doria e i fratelli aveano venduto all’Aragona la loro partecipazione. Il 7 marzo 1353 il duce Valente avea acquistata pel comune dagli altri Doria Alghero di cui 532 cittadini giurarono fedeltà (3), ma ciò non impedisce al Cabrera d’impadronirsene poco dopo. I tempi volgono tristi per Genova; la guerra coi veneziani alleati agli aragonesi mette in gravi angustie il comune, la sconfitta di Antonio Grimaldi segue alla vittoria di Pagano Doria e a Genova nel governo interno abbiamo il breve intervallo visconteo. Le condizioni nell’isola si sono aggravate: D. Pedro si decide a venir a prender possesso dei suoi regni di Sardegna e di Corsica; il papa, col quale avea avuto qualche attrito pel ritardato pagamento del tributo, è nuovamente d’accordo con lui e per favorirne l’impresa gli concede per tre anni metà della decima di Sardegna e Corsica (4). Viene il re in Sardegna dove il giudice d’Arborea gli si era nuovamente ribellato, visita Sassari, entra solennemente in Cagliari, va e ritorna ad Alghero che progetta di colonizzar con catalani. Per fortuna di Genova le turbolenze della penisola iberica lo richiamano colà ove rientra (1) Rac. 47, c. 54; Rac. 48, c. 144 r. e 89. Successivamente vi furono come castellani Ianoto Barabino, Nicola de Bavaro e Leonardo Mezzanotte che vi si recò nell’aprile 1351 ; dopo non ne trovo più menzione (Rac. 48, c. 25, 89, 144. Rac. 49, c. 103, 147). (2) 135r, 18 luglio, a Gio Botticella di Capo Corso L. 6 per portare a Calvi 16 moggi di calce. Rac. 50, c. 117. (3) MSS. 53, (del Giustiniani), c. 485 r. (4) Da Avignone, 10 kal. die. anno II pontificat. - dal Cambiaci. GIORNALE STORICO E LETTERARIO DELLA LIGURIA 2ÔÏ il 12 settembre; poco dopo la guerra colla Castiglia lo distrae dall’intervenir attivamente negli affari di Corsica (i). D’altra parte Genova, o per meglio dir l’arcivescovo di Milano che ora ne è signore, il i° giugno 1355 in seguito ad una nuova vittoria di Pagano Doria ha concluso la pace con Venezia e riacquistata con ciò una relativa libertà d’azione (2). Ma la presenza in Sardegna di D. Pedro avea riacceso lo zelo de’ suoi antichi partigiani, Guglielmo della Rocca va a fargli atto d’omaggio; la guerra civile fra quei signorotti si riaccende più viva che mai (3). Pei genovesi il pericolo in questi anni è grave, ne vediamo l’indizio nelle misure adottate per la difesa di Calvi e per quella di Bonifacio (4). Poiché Guglielmo della Rocca col suo omaggio a D. Pedro ha tradito questa volta apertamente il comune, si imprigiona il figlio suo Enrico tuttora ostaggio dei genovesi dal-Γ epoca di Gotifredo da Zoagli e da Bonifacio ove poteva riuscirgli facile l’evasione e la sua presenza d’altronde esser pericolosa, lo si fa ricondurre a Genova (5). (1) Zurita, op. cit., L. vm. (2) MSS. 112, c. 229 e 270. (3) Filippini. ί4) T354> 3 luglio, a Filippo de Petrarubea podestà di Calvi, sono pagate le spese occorsegli per far impiumare i verretoni, per filo di baliste, costruzioni di bertesche nel castello ec. Rac. 54, c. 73 r. (il salario dei balestreri è salito a L. 4, quello dei servienti a L. 3). — 1353, spese per riparazione dei fossi nel castello di Calvi. Sentenze 65, c. 8 r. — 1356, 1 1 ottobre - vi si deve recar Gabriele Zurlo per affari del comune d’incarico del capitano. Mass. 7, c. 197· — 1356, 15 sett. Invio di legname a Calvi per L. 220. Mass. 7, c. 293. 1356* 2 die. Ad Ant. de Levanto olim capitano dei balestrieri spediti a Bonifacio - 6 m. e 10 giorni cominciati il 26 giugno 1355. Afass. 7, c. 531 ' ■ Dovette trattarsi di forza di certa importanza essendovi un capitano; le squadre minori, da 10 a 25 o 30 balestrieri o servienti, cran comandate da caporali. v5) r3S6, 1 1 marzo - A Nicola de Castello « burgense Bonifacii L. 38 s. 15 prò stipendio suo et sociorum cum una barca prò conducendo de Bonifacio in Januam filium D. Guillelmi de Rocha, quas promisse fuerunt per potestatem Bonifacii ». Mass. 7, c. 342. — Ritengo che sia da collocare al 1355 l’atto di omaggio che il Filippini dice Guglielmo della Rocca essersi portato a prestare al re d’Aragona, allorché egli era sotto Bonifacio, e in seguito al quale i genovesi che sin dal 1340 ne ritenevano in ostaggio 2Ó2 GIORNALE STORICO E LETTERARIO DELLA LIGURIA Questi gli ultimi provvedimenti adottati ancora dai capitani viscontei per la difesa dei possessi genovesi in Corsica, ridotti a Bonifacio e Calvi (i). Il 15 novembre Simone Boccanegra u-prende il potere; poco dopo riprenderà anche l’opera che forse avea già tentato nel suo primo ducato colla spedizione di Go-tifredo da Zoagli, che ritentò poi con mezzi più grandi ma infruttuosamente Giovanni da Murta. Questa volta il Boccanegra la condurrà felicemente a termini, con mezzi ed indirizzo diversi del tutto da quelli adoperati nel 1340 e nel 1347· II. È la storia di questa unione del comune di Corsica al comune di Genova, (come la chiama benissimo il Filippini, poiché vedremo che questa volta non trattasi più d’ una recuperatio et acqìùsitio come la progettava Giovanni da Murta nel 1347) quella che esporrò brevemente colla scorta del racconto concorde di Giovanni della Grossa e del Cirneo, completandolo con quei il figlio, imprigionarono questo. Egli parla d’omaggio personale, ora nel 1346 la squadra catalana devastò il territorio di Bonifacio ma il re non v era; il tradimento di Guglielmo in quell’ epoca si limitò probabilmente, anche per avere il figlio in ostaggio, a corrispondenze e maneggi di cui il governo di Genova ebbe certo conoscenza, ma che non credette prudente reprimere più severamente, limitandosi ad imporgli la nuova sottomissione del 28 aprile 1347; nel 1354-55 invece il re d’Aragona si trattenne lungamente in Sardegna, si preparava evidentemente all’impresa di Corsica ed è perciò naturale che in ima delle visite che fece a Sassari e ad Alghero, forse anche con qualche comparsa nanti Bonifacio, Guglielmo della Rocca, ritenendo ormai venuto il tempo di scuotere il giogo di Genova, che evidentemente dovea subire fremendo dopo i carteggi col re d’Aragona del 1345, siasi recato a prestargli omaggio. (1) Potrebbe tuttavia anche essere che le intelligenze fra il popolo corso ed il comune di Genova, delle quali vedremo l’indicazione nel 1357, fossero cominciate sin dall’ottobre del 1356, negli ultimi giorni del governo del capitano visconteo, Luchino Dal Verme; trovo infatti nei Mass. 7, a caite 196, alla data 1356, 11 ottobre, un pagamento in forza di apod. dell 8 d. mese a Gabriele Zurlo « ituro in Corsicha pro quibusdam negociis, de mandato D. Capitanei et ancianorum ». GIORNALE STORICO E LETTERARIO DELLA LIGURIA 263 dati che ho potuto raccogliere in questi ultimi anni su codesto interessantissimo periodo della nostra storia interamente trascurato dagli scrittori genovesi. Prima d’incominciare il racconto di questi fatti mi gioverà tuttavia esaminare: le condizioni speciali che nel 1358 (1) condussero la Corsica ad una rivoluzione tanto radicale qual non s’ebbe in nessun altra regione d’Italia; l’indole del governo di Simone Boccanegra che determinò la sua condotta verso la rivoluzione corsa, e le circostanze eccezionalmente favorevoli della situazione politica che gli consentirono di unire la Corsica a Genova senza sacrifici nè d’uomini nè di denaro e col consenso di tutte le potenze interessate, a cominciar dal re d'Aragona, re di Corsica, come s’intitolava dal 1297, al papa che se ne attribuiva, e a cui se ne riconosceva, l’alta sovranità. Comincio dalle condizioni della Corsica sulla metà del secolo XIV. Allorché col consolidarsi degli stati, comuni o principati, il feudalismo cessò di adempiere ad una funzione sociale, ovunque le popolazioni mostrarono desiderio di liberarsene, preferendo il dominio diretto del sovrano, seppure dispotico, all’esser tosati di seconda mano. E un fatto generale, nè la Corsica fa eccezione; in ciò forse la spiegazione della domanda che le popolazioni dell'isola riunite a Lago Benedetto fecero alla republica più tardi, nel 1453, d’essere assoggettate all’ufficio di S. Giorgio (2). E domande d’esser governati direttamente da Genova anziché dai loro signori troviamo anche in epoche più recenti, sebbene (1) Giovanni della Grossa inette la rivoluzione un anno dopo, cioè al r 359 ; la differenza proviene evidentemente dall’aver egli attinto a fonti nelle quali si usava la cronologia pisana « ab incarnatione », uso comune in Corsica nel xiv secolo, allorché non erano notari genovesi che rogavano, per le tradizioni di Pisa a cui era ancora ecclesiasticamente soggetta metà dell’isola. Lo stesso vedesi nell’atto rogato nel 1347 in Sardegna, ad Alghero per la dedizione di Sassari. L’ anno a Genova principiava il 25 dicembre. Quanto all’ appunto che il Gregori fa al Filippini, d’aver messo questi avvenimenti al 1459, è puerile perchè da quel che precede e dalle linee seguenti appare evidente che trattasi o d’ una svista nella trascrizione o d’ un errore di stampa. (2) Sieveking, Genucser Finanzwesett, II, p. 109. 2Ó4 GIORNALE STORICO È LETTERARIO DELLA LIGURIA il governo della republica fosse per la Corsica tutt’ altro che paterno (i). Si noti che il regime feudale in Corsica dovea riuscir più intollerabile che non nelle regioni continentali dell’alta e media Italia. Qui generalmente 1’ autorità sempre crescente dei principi, 1’ influenza di grandi e potenti comuni liberi, 1’ irradiamento di grandi centri di coltura, aveano contribuito a mitigar la crudezza del feudalismo, ad ingentilire i costumi dei signori. In Corsica invece nessuna autorità sovrana vicina, principato o republica, che frenasse i soprusi dei baroni, nessun gran centro di coltura donde penetrasse un’ aura di civiltà nei loro manieri. Nemmeno importanti le sedi vescovili (dipendenti o da Pisa o da Genova), presso le quali in molte altre regioni le plebi trovarono nei primi tempi protezione contro la tirannia feudale. Poco più di mezzo secolo prima dell’ epoca di cui tratto, Giudice di Cinerea ci porge un tipo spiccato della sua classe : astuto, perfido, orgoglioso e crudele all’eccesso; nella convenzione che stipula con Genova nel 1280 è caratterizzato meglio che noi potrebbero dieci pagine d’uno storico (2). Un secolo dopo l’epoca di cui m’occupo, nel 1464, Antonio Ivani, sarzanese, ci dipinge i signori corsi, cinarchesi o capocorsini (cioè Gentili e de Mari) e le famiglie de’caporali elevatesi da poco e dei primi già imitatori, come dediti soltanto agli esercizi violenti, alle gozzoviglie e stravizzi, vaghi di querele, abborrenti dalle lettere e (1) Vedere all’ arch. munie, di Genova MSS 919 (raccolta Pallavicini) le violenti accuse contro i signori d’Istria che Giopicone di Giovachino procuratore universale (sic) di tutti gli uomini soggetti alla signoria d’Istria muove a quei dinasti, chiedendo pei suoi rappresentati d’essere posti sotto il dominio diretto del Senato. Per incidente, è curioso che il procuratore dei signori d’Istria in questa circostanza era messer Gerolamo Bonaparte, ascendente diretto di Napoleone, il quale come parecchi altri della famiglia esercitava in Aiaccio la professione di piatese, cioè procuratore legale, a Genova allora causidico. (Devo l’indicaz. di questo doc. alta cortesia del cav. Boscassi, archivista del municipio). (2) « Treulos und verschlagen, von der hòchsten Stolz und Sebstbewusstsein erfiillt », scrive il Caro. Giovanni della Grossa narra che in un’occasione fece cavar gli occhi ai cadaveri dei genovesi uccisi e gli spedì a Genova in salamoia. Sia pur una delle tante leggende che di Giudice restarono nell’isola tuttavia prova qual memoria di crudeltà abbia lasciato. GIORNALE STORICO E LETTERARIO DELLA LIGURIA 265 da ogni coltura, oppressori d’una plebe ignorantissima e povera, ma ciò non di meno onesta d’indole, generosa di quel po’ che ha, assetata di giustizia (i). Che un secolo prima l’indole e i costumi dei baroni corsi non fossero migliori che al tempo dell’ Ivani non è difficile a credere. Una successione d’omicidi e tradimenti fra i più prossimi congiunti è la cronaca del della Grossa; ma più grave è l’autorità di papa Giovanni)|(XII che nel 1331 riputò necessario intervenire, invitando i signori corsi ad attirar nell’isola persone colte che dirozzassero la mente e i costumi dei loro figli, esortandoli a smetter di perpetrare o instigare omicidi, a non essere i tiranni dei loro vassalli (2). 1 (1) Due lettere di Antonio Ivani vicario a Biguglia nel 1463-64, pubblicate nell’Arch. Stor. ita!., 1891. Circa i caporali da lui menzionati noto che caporale nel senso di capo, caporione, troviamo usato in Toscana nel trecento; per es. Matteo Villani (Lib. 1° cap. 31) parlando dei partiti fra i baroni di Sicilia : dell’ una parte erano i Palizzi i caporali____ dell’ altra era D. Brasco d’Aragona caporale. Il REZASCO, Diz. st. amm. citando il Morbio porta : « caporale del popolo si disse primamente in Firenze il con-faloniere delle compagnie del popolo e così in Corsica tosto che quell’ isola venne a popolo » e una frase della cronaca del Malespini : « feciono trentasei caporali di popolo e levarono la signoria al podestà τ . Ora è d’ uopo ricordarsi che in Corsica la lingua toscana si parlava e abbastanza pura prima che si corrompesse con parole e modi di dire genovesi. Per contro da noi caporale è sempre usato come grado della milizia ed anzi a differenza che altrove, come il grado più basso, talora sinonimo di conestabile, tal altra a questo ancora sottoposto ; un caporale con 1 o balestrieri è la forza assegnata ai vicari delle riviere e dell’oltregiogo ; son nei castelli, per es. a Lerici, un caporale e 16 balestrieri ; talvolta eccezionalmente comandano sino a 20 o 30 balestrieri o servienti; per forze maggiori si destinano capitani, p. es. 2 capitani e 100 balestrieri a Savona nel 1356; anche lo stipendio è misero, per lo più un 50 lire all’anno, mentre un semplice balestriere ha L. 3, s. 10 al mese, cioè all’anno L. 42 ; colla parola caporale non son mai indicati da noi ufficiali civili nè in città nè nelle riviere; se in queste ne è talora spedito qualcuno è sempre con un drappello di truppa, è im distaccamento in servizio di S. P. come ora si direbbe. (Mass. 1 r, c. 66, 122 r, 129; Mass. 12, c· 43. 471 Mass. 15, c. 65 r, 73; Mass. 16, c. 73 etc.; Rac. 52, c. 74, 1 13, 13 τ ; Rac. 54, c. 136, 179 r., 191, 204, 221 etc.; Sent. 70, c. 70, 121 r, 250 r, etc.). (2) «, Magistros quoque seu viros alios eruditos in grammatica et aliis scholasticis disciplinis querere et habere in dicta insula studeatis, qui tilios vestris 266 GIORNALE STORICO E LETTERARIO DELLA LIGURIA Per peggiorare le condizioni dell’ isola, alla assenza d’ ogni autorità moderatrice, all’ indole rozza e tirannica di quel feudalismo, in questo periodo s’ aggiunge 1’ anarchia feudale. I tentativi di Giudice di Cinerea, di Guglielmo della Rocca, di fondare uno stato col titolo di conti di Corsica fallirono per l’opposizione di Genova, per l’invidia degli emuli sopratutto. La guerra civile è permanente e generale tanto che il Filippini, pur scrivendo in tempi per la patria sua infelicissimi, giudica codesti che precedettero la rivoluzione popolare anche peggiori (i). Sintomo d’un profondo malessere sociale è la setta de’ Giovanali che il della Grossa assegna appunto verso il 1354· Ne è oscura la storia ma par evidente che, come più tardi altrove, alle eretiche si appaiassero teorie antisociali; sorta per 1’opera di due bastardi d’ un di quei signori la setta dilaga rapidamente nel-l’isola, minacciosa tanto che la Santa Sede crede urgente spegnerla tosto e invia all’uopo un commissario ed armati che in Alesani ne sterminano gli adepti. E appunto in queste circostanze Enrico della Rocca evaso dalle carceri di Genova sbarca in Corsica, per raccogliere intera, per la morte di Restorello, 1’ eredità del padre ucciso in una di quelle guerriciuole tra feudatari. Riprende gli stati aviti, prepara certo rappresaglie e vendette, nuove lotte, nuovo sangue e miserie all’isola. Ed i corsi insorgono contro i loro signori. E possibile che nel Cismonti si mantenessero traccie di governo di comune (2), in grammatica instruant et moribus bonis informent et doceant ecclesiam sanctam catholicam reverere et de ipsorum cordibus ignorantie nubem expellent— Homicidia perpetrare vel perpetranda consulere modis omnibus desinetis, erga vassalos et subditos vestros humanitatem non tyrannidem exerceatis.... ». Epistola universis comitibus, marchionibus, baronibus et aliis nobilibus insule Corsice, riportata dal Cambiagi, L. V, p. 265. (1) «.... piucchè mai fossero in altri secoli restavano afflitti, se non v’eran tanti eserciti numerosi, sorgevano per 1’ opposto guerre e tanti v’ erano i popoli impiegati... Non tosto che uno s’ era fatto signore dell’ isola un altro ne sorgeva e gli toglieva in un giorno quel che avea stentato un anno a guadagnare. Così Guglielmo della Rocca » etc. (2) Il Filippini ci parla in qualche punto di terre che si reggevano a comune, il nome di terra di comune persistette nell’ isola, abbiamo memoria GIORNALE STORICO E LETTERARIO DELLA LIGURIA 267 che lo spirito democratico di ribellione dalla Liguria e dalla Toscana, le regioni colle quali i corsi avean più intimi rapporti, penetrando nell’isola vi ravvivasse tradizioni e germi lasciati dai pisani. Un’influenza dovea pure espandersi da Bonifacio e Calvi che godeano libertà comunale e privilegi; neppur potrei negare, sebben non consti, la possibilità di qualche eccitamento dal governo genovese. Ma io ritengo che la causa immediata, impellente, della rivoluzione del popolo corso stia « nella mala signoria che sempre accora i popoli soggetti ». E si noti una circostanza, la quale prova quanto asserisco, che il feudalismo in Corsica dovea riuscir più intollerabile che altrove: è che, sebbene nei secoli xm e xiv un alito di sommossa popolare commuova tutte le regioni dell’alta e media Italia ed in molte riesca vittorioso, tuttavia in nessuna s’ ebbe una rivoluzione così generale e così radicale nelle tendenze come questa di Corsica del 1358. Cum. principes tirannice imperarent, scrive il Cirneo; perciocché tutti questi signori opprimevano tanto i poveri popoli che appena poteano respirare, dice Giovanni della Grossa e trascrivono senza osservazioni, il Ceccaldi che pur apparteneva alla classe dei gentiluomini, ed il Filippini. Questa la causa della rivoluzione del 1358 in Corsica. Che, troppo deboli per resister da soli alla inevitabile riscossa dei baroni spodestati, quei popolani si rivolgessero a Genova in quel punto era inevitabile. Pisa dopo la Meloria avea smesso ogni velleità d’immischiarsi negli affari della Corsica, Genova per contro era allora floridissima. I dinasti corsi si rivolgevano al re d’Aragona contro Genova, il popolo corso chiederà Γ aiuto delle nomine di nove confalonieri di pievi fatta nel 1289 da Luchetto Doria e di due vicari costituiti sovra varie pievi riunite a gruppi : confalonieri e vicari sono corsi. Confalonieri abbiamo pure veduto al Capocorso nel 1327 e 1342. Ora il nome di confaloniere è evidentemente tradizione pisana poiché in Liguria avevamo come autorità locali anticamente i consoli, sempre più d’ uno; i confalonieri trovo di rado e solo come capi di conestagie nella città. Sotto il governo popolare dei governatori, sparite le signorie, troveremo i confalonieri estesi a tutta 1’ isola e le pievi riunite in podesterie come in Liguria. L’ elenco dei confalonieri nominati da Lucchetto Doria trovasi in un registro che il suo scriba ci lasciò (Ordo scripturarum diversomm actorum -Mat. politiche Mazzo 6) e qual Iacobo Doria incorporò ne’ suoi annali. 268 GIORNALE STORICO E LETTERARIO DELLA LIGURIA del popolo genovese contro i propri signori; è un’affinità d’indole e di tendenze che gli avvicina; un concetto comune ispira Sambocuccio d’Alando e Simone Boccanegra: plebs deprimens magnos. Plebs Iani magnos deprimens, est agnus in agnos, è la significante divisa del primo capitano del popolo (i), Guglielmo Boccanegra, che ad un secolo d’intervallo par voglia riprender per se il suo nipote Simone, ansioso questa volta di vendicar quello espulso dal governo dai nobili, 1’ avo Lanfranco da questi stessi ucciso in Fossatello (2). I Boccanegra eran d’ origine, se pure antica, umile (3), come (1) Il suggello del comune di Genova in una lettera del capitano Guglielmo Boccanegra a Desiderato Visconte, a Ventimiglia, colla data del 26 agosto 1257 è così descritto: agnus ferens vexillum cimi cruce super asta vexilli e intorno la leggenda che ho riportato. (Not. Giov. Amandolesio, Fa, la c. 9). Cfr. colla divisa del comune di Alessandria : deprimit elatos levat Alexandria stratos. (2) Tuttavia nel primo ducato salvò le case dei nobili e la vita di Ra-bella Grimaldi dall’ ira della plebe. (3) Giovanni Boccanegra macellaio nel 1214 o per li, Giovanni maestro d'ascia e suo figlio Andriolo nel 1274, 1281, 1291, Filippo pure maestro d’ascia nel 1288, Nicola mereiaio nel 1300, Ambrogio di Nicolino guainerio nel 1321, Antonio, di Arenzano, ancora macellaio pure nel 1321. È singolare la parte che i macellai presero alla prima elezione del Simone Boccanegra a duce; nell’ atto relativo fra 18 sapienti del comune figurano tre macellai (Feder., collect. e Cicala), un de primi atti del nuovo governo fu il condono ai macellai dei fitti arretrati dei loro banchi perchè : macellarii velut boni pubblici zelatores multum profuerunt ad faciendum statum presentem (Div. capituli 13421. F da notare che nelle regula capitulorum di pochi anni prima invece era detto: ....item quod macellarii sunt vel plurimum persone male condicionis statuimus quod non possit eis terminum aliquum dari vel prorogare— e si prescriveva dovessero pagar le pigioni anno per anno. Antonio Rubeo macellaro è viceduce nel 1359. Secondo un’amena versione che dà 1’ Abbate nelle sue cronache savonesi p. 296 (pubblicate da Gio. Assereto, Savona 1897) la rivoluzione del 1339 fu cagionata dalla came di castrato che Simon Boccanegra aveva imbandito ai suoi ospiti nel suo banchetto nuziale, mentre i nobili pretendevano quel cibo riserbato alle loro mense, onde avrebbero voluto far decapitare il disgraziato macellaio che gliela aveva venduta. Il Boccanegra ammazzò il boia e liberò il macellaio, il popolo prese le armi____ e così di seguito a Genova s’ institui il ducato perchè il popolo potesse mangiare liberamente del castrato. GIORNALE STORICO E LETTERARIO DELLA LIGURIA 269 i Fregoso e gli Adorno, ma ormai la famiglia cui apparteneva Simone s’era fatta ricca e potente; banchieri in Siria nel 1249 e 1250 Anfreono e Guglielmo (1), un Guglielmo, probabilmente 10 stesso, capitano del popolo nel 1257, Nicola vicario generale in Corsica nel 1290, Marino ammiraglio e architetto del molo, 11 fratello del duce ammiraglio di Castiglia; per parte della madre Ginevra Saraceni da Siena, Simone discende dai signori di Redenasco donde il nome del fratello Egidiolo; sono imparentati colle famiglie più illustri : le quattro sorelle della madre già nominata sono accasate a Genova nelle famiglie Gentile, de Mari, Lercari e Saivago, la moglie del duce, D.a Costanza, è di famiglia comitale, Giovanni, di cui specialmente dovrò occuparmi, ha per moglie Fresca Doria, una nipote sposerà uno degli Spinola di Lucoli. Ma con tutto ciò ostentano il loro carattere popolare; nell’ atto della prima elezione di Simone nel 1339 è accentuato eh’ egli è de populo et de gremio populi\ a questo forse devono la loro popolarità, ma anche il fato tragico che incombe sulla loro famiglia e la persistente antipatia che inspirarono in generale ai nobili (2). Il successore al primo ducato di Simone Boccanegra, Giovanni da Murta, sebbene non delle famiglie illustri e potenti, (1) Nelle carte genovesi della Bibl. Nation, a Parigi, docum. citati dal Papa-d’ Amico, I titoli di credito, Catania 1886, appendice. (2) In un sunto storico delle cose di Genova del sec. xvi, scritto evidentemente da mio dei nobili vecchi, (MSS. 119, Arch. st., c. 34) l’autore dopo una polemica sui nobili e popolani espone con compiacenza come questi Boccanegra fecero eterna penitenza, rammenta Guglielmo espulso, suo fratello Lanfranco ucciso dai nobili, il nipote Simone avvelenato e con vituperio sepolto, il figlio di questo eletto capitano dalla platea fatto decapitar dal Bouci-cault. Avrebbe potuto aggiunger Egidiolo fatto uccidere dal re di Castiglia (?) secondo il Giustiniani. E prosegue : Io ho conosciuti due fratelli Boccanegra ben tapini, al presente sono estinti, degli altri tutti sino agli ultimi o puochi (sic) si trovano senza qualità alcuna di grandezza, 0 non gli è, o pure si può dire non restare più dominio nè liuomini d’ autorità,. Questi tutti come si è detto erano dei primi mercanti del popolo ecc., e prosegue filosoficamente osservando che se avessero continuato a non immischiarsi negli affari pubblici non avrebbero procurato tanti disturbi agli altri, non avrebbero perduto 1’ anima e si sarebbero goduti in pace le loro case, ville, i pasti ed il sonno. 270 GIORNALE STORICO E LETTERARIO DELLA LIGURIA apparteneva tuttavia ad un albergo nobile (i), unico esempio fra i duci a vita; il successore Giovanni Valente e Simon Boccanegra stesso negli ultimi tempi del suo ducato, aveano ammesso i nobili a metà degli uffici. Ora, ripreso il potere in una sommossa sanguinosa, egli accentua subito più ancora che nel primo ducato il carattere del suo governo; è vicario generale dell impero e difensore del popolo, ghibellino e democratico e più questo ancora che quello, perchè governa con popolani guelfi e ghibellini ; un democratico violento, esclusivo. Non solo il suo consiglio si compone soltanto di mercanti ed artefici ma dei nobili i più potenti manda al bando, tutti disarma (2), tutti esclude da ogni ufficio, tutte le cariche principali devono essere date a gente de populo et de gremio populi, come lui (3)· (1) La distinzione fra nobili e popolari si è gradatamente ognora più accentuata sino a questo periodo, e dippoi è sempre rigorosamente osservata in tutti gli atti governativi e notarili, a Genova e pei cittadini genovesi, sino alla nuova costituzione del 1528? non ostante le frequentissime relazioni che, i legami famigliari, d’interessi e politici hanno stabilito fra le classi; i popolari distinti son qualificati egregi ; mi Sauli, un Giustiniani, un Kregoso od un Adorno, sia pur miles, conte palatino, signore di feudi o anche duce, riceve negli atti il titolo di egregio, domino, spettabile, magnifico, magnifico e potente, illustre, secondo i casi, mai quello di nobile. Gli alberghi che i popolari cominciarono a formar in quest’ epoca (il primo, quel dei Giustiniani, è del 1362), ad imitazione di quelli nobili, non son mai considerati come alberghi nei riparti dell’ imposta, ma i componenti ne son ripartiti come tutti gli altri popolari nelle conestagie. Per contro fra i popolari, mercanti ed artefici, tro-vansi numerosi discendenti dagli antichi arimanni e dei piccoli signori spode-destati dal comune, molti rami dei conti di Lavagna non entrati nell albergo nobile dei Fieschi etc. In realtà nobili e popolari, meno pochissime eccezioni, ancora in questo tempo aveano le stesse origini ed erano egualmente i discendenti di vigorose schiatte indigene con qualche innesto di sangue germanico. (2) 1356, 24 dicembre. Pagamento a due noncii costituiti « super armis nobilium requirendis » con apod. del giorno prima. Mass. 7> c· 34^ r* " 1359, 20 maggio. Fitto di due anni di volta ove si conservano le armi dei nobili. (3) Decreto nelle Collectanea del Federici (e nel MSS. Cicala) ove par che il dileggio s’ aggiunga all’offesa. I nobili sono ammessi a metà degli uffici ma pel bene del popolo e nel loro stesso interesse sono esclusi dagli uffici di duce, anziani, vicari nelle riviere e oltregiogo, viceduci, sindacatori, castellani dei castelli, podestà di Monaco, elettori degli ufficiali del comune, ufficiali di castellarne nella podesteria di Savona, podestà Noli, di Albenga, esclusi pure GIORNALE STORICO E LETTERARIO DELLA LIGURIA 27 I Forse nella sua violenza contro i nobili si celano ambizioni più audaci. Appena è eletto il suo consiglio e i quattro cancellieri son vestiti a nuovo ad honorem creationis D. Ducis, (i) pochi mesi dopo gli stemmi ducali erano dipinti sulle bandiere (2), i massari passano i proventi dell’ appalto del lupanare pubblico alla duchessa, così è designata, perchè gli eroghi in elemosine a zitelle povere che vanno a marito (3). E nel primo ducato avea fatto trasportar suo fratello Egidiolo in Spagna dov’era stato nominato ammiraglio, a spese dello stato sopra una galea del comune (4), s’ era fatto retribuire una somma per allora vistosa di L. 3535,12,9 per spese di rappresentanza per ricevimenti di ambasciatori di papi, re, principi, di nobili d’Italia e neccessatrie ad honorem comunis (5). Sfoggia fasto principesco, lusso di cavalli, d’argenterie, di gioie (6), fa dipingere le sale del palazzo ducale, mantiene falconi e fiere addomesticate. A tutte le cariche più importanti, vicariati nelle riviere e oltre giogo, comandi dell’ esercito e della squadra, tanto nel primo che nel secondo ducato prepone i suoi fratelli, al fratello Egidiolo anche dopo che è ammiraglio di Castiglia fa fornire assegni dal comune, ad altri parenti conferisce posti, se non elevati, lucrosi (7). È infine un contrasto che colpisce tanto nella politica interna che nelle abitudini di vita privata col suo predecessore Giovanni da Murta, temperato, modesto, Γ unico forse fra i duci a vita che abbia come si propose a modello, imitato nella condotta i dogi di Venezia. Ma ciò non di meno, non ostante la partigianeria e la violenza del suo governo nell' interno, le mal celate aspirazioni al principato, la tendenza a signoreggiare, che accumule- da ogni scribania____ Devo notar tuttavia-che in quel decreto non si legge l’esclusione dei nobili dall’ ufficio di patroni di navi, sien da guerra che mercantili, di cui parlano i nostri storici. (1) Mass. c. 7, c. 386. — (2) Mass. 8, c. 37. — (3) Rac. 52, c. 41. — (4) Mass. i c. 119 r. — (5) Rac. 45, c. 9 e 139. (6) Dalla vendita fatta dal comune di tutti gli effetti suoi sequestrati dopo la sua morte si ricavò: per cavalli L. 760,9, per argenterie L. 2975.17,5 per gioie 5310,11,6, per supellettili L. 2946,1,6, somme rilevantissime in quell’epoca. Rac. 69, c. 12 e seg. (7) Nel 1343 Ant. Boccanegra è gabellotto del sale alla Spezia. Rac. 46,0. 50. V. sopra del resto che anche il Gio da Murta assegnava comandi d’eserciti e squadre a’ suoi figli. 272 GIORNALE STORICO E LETTERARIO DELLA LIGURIA ranno contro di lui tanti odi i quali scoppieranno poi in modo inatteso appena sarà morto (i), non ostante tutti questi gravi difetti è innegabile che rivelò qualità d'uomo di stato non comuni; nei due brevi periodi del suo governo la sua politica estera abile, ardita con prudenza, energica all’occorrenza, ricorda il periodo dei due primi capitanati Spinola-Doria ed ottenne grandi risultati, fra cui questo onde ragiono, l’unione definitiva della Corsica a Genova. Coadiutore principale del Boccanegra nella politica estera è Leonardo da Montaldo, vicario del duce e la seconda persona del governo, giureconsulto, di famiglia di Gavi, figlio a Paolo da Montaldo pure giureconsulto. Già questi, nel primo ducato, il Boccanegra avea impiegato in importanti incombenze diplomatiche, nel 1340 come ambasciatore al papa, nel 1341 al re di Majorca, nel 1342 con Giovanni Garibaldo e Leonardo Em-briaco al re di Francia (2). Il figlio Leonardo si può dire che è lo strumento più attivo della politica estera del Boccanegra nel suo secondo ducato; colto, ambizioso (3), al duce devotis- (1) Appena fu morto oltre il sequestro dei beni sovra accennato e quel delle somme eli’ erano presso la vedova sua, s’ arrestarono i suoi fratelli Giovanni, Bartolomeo e Nicolò a’ quali pure si sequestraron gli effetti e si tradussero nel castello di Lerici rafforzandolo e aumentandone il presidio, un caporale e 16 balestrieri di cui sei esclusivamente per la guardia dei Boccanegra. Fu instituito un apposito magistrato di otto sindacatori per esaminarne la condotta... Al primo duce di Genova fece far poverissime esequie il comune spendendovi L. 16,5; particolare pietoso e ignorato, si fecero insieme le esequie d’ una fanciulla di lui, cuiusdam filie dicti D. Simonis, secondo ogni appa-parenza vittima di quegli odi politici e il comune vi spese L. 15,12, 6; pochi soldi meno che pel padre! Sent. 69. c. 12 e 15. (2) Mass. I c. 102, 224, 232; Racc. 45, c. 62. (3) «—Leonardus de Montaldo jurisperito q. Pauli, legista de populo gabellino valde potens in dominio dicti ducis qui suo prudenti consilio astu-toque opere ipsius duci regimini dicebatur utilis valde » cosi lo Stella ; il Boccanegra lo mandò poi console in Romania. Nel 1358 l’imperatore Carlo IV lo creò conte palatino (v. diploma in atti Not. Bart. Sambuceto, n. 1, e altrove), tentò impadronirsi del denaro colla violenza nel 1365; agì molto faziosamente anche nei due anni successivi ; finalmente ottenne il ducato nel 1 Per poco, essendo morto nell’anno seguente. È rimarchevole che egli come già il Boccanegra avea forti amicizie fra i pisani e ne conservò anche fra i corsi, numerosi fra i ribelli che nel 1366 condusse alle porte della città. (Giustiniani). GIORNALE STORICO E LETTERARIO DELLA LIGURIA 273 simo, e da questo impiegato nei più delicati maneggi; fin dal dicembre del 1356 a Savona per indurla a ritornare al comune (1); nel 1357 a Pisa, a Firenze e in altri luoghi, nel 1358 a Firenze, Bologna, Ferrara e Pisa, poi in Lombardia, al marchese di Monferrato, in Sardegna e in Corsica, come più tardi in Romania (2), è in moto sempre; delle trattative che condussero all’ unione della Corsica fu veramente l’anima. D’altra parte le condizioni della politica estera presentavano un’ occasione favorevolissima per riprender i progetti, che forse 10 stesso Boccanegra avea vagheggiato nel suo primo ducato collo invio di Goffredo da Zoagli, che Giovanni da Murta avea tentato di eseguire con uno sforzo militare straordinario. La pace che nel suo secondo ducato trovò conchiusa dai Visconti fin dal 1355 con Venezia liberava il Boccanegra dalla minaccia più molesta, Savona era ritornata sotto Genova come Roccabruna e Ventimiglia, e per un momento si credette anche Monaco, il trattato dell’8 giugno 1358 (3) avea chiuso le ostilità coi Visconti e abbandonando ai signori di Milano Stazzano e Percipiano. Genova avea ripreso il castello di Gavi tenuto sino allora dai fratelli Bernabò e Giacomo Spinola per conto di quelli. 11 Boccanegra è in ottimi rapporti coll’ imperatore Carlo IV che fu auspice della pace coi Visconti, rinnovò tutti i privilegi accordati a Genova da’ suoi predecessori e conferì a lui il titolo di vicario generale e d’ ammiraglio dell’ impero (4); già in stretta alleanza contro i Visconti col marchese di Monferrato; è in trattative col papa col quale è uno scambio continuo di am· basciadori sin dalla primavera del 1357 ; sa infine che D. Pedro d’ Aragona, abbastanza occupato dalla guerra che ha contro il re di Castiglia, non* può attendere ora a spedizioni in Sardegna ed in Corsica; già nel 1355 avea dovuto abbandonar l’intra- (i) « Iturus ad saonenses curi aliquis bonis viris » nel 9 dic. 1356 (Mass. 7, c. 296) il 21 febb. 1357 ha concluso l’accordo coi sindici di quella citta (MS(2) Per "Emissioni a Firenze, Pisa, Bologna, Ferrara, Asti etc. vedi Mass. 8. passim. Rac. 52 passim. 13) MSS. 103. È caratteristico per la posizione che alcune grandi famiglie aveano assunto allora verso il comune che il negoziatore pei fratelli Visconti fu Alaono Spinola, di Lucoli. (4) E crea conte palatino il Montaldo. MSS. 103. iS Gior. SI. e Lett. delia Liguria 2/4 GIORNALE STORICO E LETTERARIO DELLA LIGURIA presa conquista delle due isole, della Corsica sovratutto nè egli nè i suoi predecessori si addimostraron mai gran che vogliosi e ora non ha nè modo nè voglia di ritentar d’impadronirsi. S’ aggiunga una circostanza che nelle trattative coi corsi deve aver avuto molto peso, 1’ amicizia intima, reciproca, fra il Boccanegra e Pisa. Egli, toscano dal lato della madre, trovò a Pisa tranquillo asilo allorché la prima volta abbandonò il ducato, poi vuoisi i pisani 1’ abbiano aiutato a riprenderlo, giunsero persino ad unire alcune loro galee a quelle che fece comparire davanti a Savona ottenendone così la riunione alla republica; spedì poi a Monaco e decise colla minaccia i Grimaldi a pattuirne per denaro la cessione; mandò infine, sebbene con esito infelice, contro i catalani in Sardegna (i). Ora Pisa avea lasciato tradizioni di simpatia in Corsica, era la città del continente italiano con cui i corsi aveano maggiori e più facili rapporti. Era dunque il tempo propizio per osare ed il Boccanegra non si lasciò sfuggir 1’ occasione. Egli dall’esperienza si è persuaso che non potea far calcolo di appoggiarsi sui signori feudali della Corsica, nè sugli indigeni nè sui Gentile e i de Mari, che, come sempre avviene degli immigrati, col tempo s’erano assimilati ai loro pari del- 1’ isola, e d’ altronde non poteano sentir simpatia per un governo che la loro classe cercava di abbattere in ogni modo. Per conto suo, nel suo concetto di deprimere quanto poteva la supremazia dei nobili, dovea rallegrarsi di veder due alberghi nobili potenti come quelli dei Gentili e dei de Mari privi dei loro feudi della Corsica; nelle loro mani Nonza e S. Colombano avrebbero potuto diventar, come perennemente era Monaco, asilo di tutti i ribelli e nidi di corsari (2)! D’altra parte d'un vero dominio sulla Corsica Genova sino allora avea avuto la saviezza di non mostrar desiderio; popolo di mercanti e di navigatori cercava stazioni marittime e mercati, fattorie e fondaci, vantaggi e privilegi pel suo commercio, non domini territoriali oltre qualche punto d’appoggio, come le colonie d’oriente e in Corsica Bonifacio e Calvi, in Sardegna Alghero e Sassari. Avea lottato (1' Matteo Villani, lib. 7, cap. 93. (2) Anche allora: 8 nov. 1358, pagato a Luciano Fanicia e a Manuele da Recco armatori e padroni di due galee contro le galee di Giovanni Vento, dei Grimaldi e dei catalani. Rac. 52, c. 36 r· GIORNALE STORICO E LETTERARIO DELLA LIGURIA 275 lungamente con Pisa prima, ora coll’Aragona, non per assoggettar la Corsica e la Sardegna ma per impedire a quella ed a questa di assoggettarle. A Genova era più che sufficiente non un vero dominio ma un protettorato lasciando pure agli isolani la più ampia libertà locale purché altri non vi si stabilisse. Pertanto Γ intesa fra il popolo corso che volea esser libero dai suoi signori feudali e il comune di Genova retto a forme popolari dovea riuscir facile. Le trattative segrete cominciarono sin dalla primavera del 1357; due inviati dei corsi vennero a Genova a concertarsi col governo; evidentemente bene accolti, perchè trovo che furono regalati di vestiti (i). Nell’epoca stessa pressapoco trovo l’occupazione in Corsica per qualche tempo del castello di Barixii (Baricini?) che potrebbe aver relazione con quelle pratiche (2). Frattanto in Corsica è cominciata la rivoluzione; possiamo seguirne sommariamente lo sviluppo colle narrazioni che ce ne lasciarono il della Grossa ed il Cirneo. « I corsi non potendo più sopportar la tirannia dei loro signori alfine convennero a dieta insieme e facendo lor capo un certo Sambucuccio d’Alando della pieve di Bozio, uomo benché di popolo molto bellicoso, perciò da quelli grandemente reputato, popolarescamente presero le armi eon tanta furia ed ostinazione loro che non trovando opposizione alcuna divennero signori di tutta Γ isola e con felice corso occuparono quante castella erano in quella; le quali (per annullar in tutto il nome de primi signori) distrussero ìnsino dalle fondamenta, eccetto il) 13 5 7, 6 maggio. «Pro Iacobo da Canova draperio L. 22,10 et sunt pro precio panni prò inducendo duos corsos ambaxatores hominnm Corsice, ex apod. scripta heri. » Mass., 8, c. 39. Come accennai altrove potrebb’ essere che qualche scambio di vedute fosse cominciato sin dagli ultimi tempi del dominio visconteo; del resto non sappiamo precisamente quando le popolazioni della Corsica abbiano iniziata la loro guerra contro i propri signori, ma è naturale che da Bonifacio e da Calvi i genovesi seguissero con molta atten zione il movimento sin dai suoi principi. (2) 1357, 15 giugno; Illario Cardinale con 12 balestrieri custode per un mese e diciotto giorni del castello di Barixii in Corsica; stipendio del tempo c. s. che vi stettero e spesa per biscotto, fave e castagne. Mass. 8, c. 19. Si noti che il podestà di Bonifacio in quel tempo era Bartolomeo Fieschi olim Cardinale (cioè prima cognominato Cardinale). 276 GIORNALE STORICO E LETTERARIO DELLA LIGURIA Calvi e Bonifacio eh’erano della republica di Genova, Biguglia e Cinerea che lasciarono per tener ragione, e Nonza con S. Colombano di Capo Corso per prevalersi della marina. Questa cospirazione si chiamò dopo il tempo del comune, che fu nel 1359 *· Cosi la cronaca di Giovanni della Grossa; la conferma pienamente il Cirneo che traduco alla lettera: « Poscia siccome i principi (cioè i signori feudali) governavano tirannicamente, il popolo corso si sollevò e prese l'armi, proclamò la libertà e dopo essersi raccolto a parlamento a Morosaglia, elesse a governatore di Corsica Sambocuccio Alando e distrusse molti castelli. Allora i signori stretta alleanza fra di loro, mossero contro Sambocuccio e lo attaccarono mentre accampava alle Mote. Sambocuccio rifiutando il combattimento si trattenne per alcuni giorni nelle trincee, poscia, provocandolo i signori, si schierò in battaglia ed il combattimento durò da mane al vespro e la notte separò i combattenti tutti cosparsi di sangue » (i). Un racconto conferma l’altro e Io completa; quello del Cirneo aggiunge particolari molto verosimili : il luogo della dieta, Morosaglia, la riscossa dei dinasti che forti di numero, d’aderenti, bellicosissimi d’indole, non possono rassegnarsi a perdere in un giorno il lungo dominio, smettono un momento dinanzi al nuovo comune nemico le antiche gare e rancori, si uniscono, marciano alla loro volta all attacco dell esercito dei popolari ; l’esitazione del capo di questi ad accettar battaglia vista la forza degli avversari, e quando dietro alla loro provocazione insistente lo fa, la battaglia stessa lunga, accanita, san- , ____at principes percusso inter se foedere in Sanibocurìum duxerunt eumque ad flutarum castra metantem aggrediuntur. Sambociu'ium detretans proelium aliquot dies continuit se in castris et postmodum lacessentibus principibus aciem direxit et a mane usque ad vesperum certamen durai'it et inulto sanguine oblitos nox diremit. Unde miserunt legatos Genuam postulantes etc. Cosi il Cirneo nel suo latino un po’ studiatamente classico che forse è la ragione per cui molti lo citano erroneamente. Il Filippini scrive sempre castello dei Moti, ma nei documenti antichi trovo anche il feminile. I castelli Motarum e S. Columbani, e le ville di Pino, Orgiani, Luri. Lo-cagnano. Gulone, Garettollo e Conchilio, Marieta ved 26 ottobre: « Pro Leonardo de Boncella tabernario (L. 25,18) et sunt pro expensa scoti, cibi et poctus factis et solutis pro ambaxatoribus populi corsicani tunc in Janua qui venerunt ad presentiam D. Ducis et sui consilii et comunis Janue pro ordinandis et disponendis negociis insule Corsice cum cornimi Janue et propterea fuit ordinatum expensas predictas fieri dominis ambaxatoribus pro debito et honori comunis Janue » ex apod. 12 octobris, Rac. 52, c. 36 r. (2) 1339> 12 Gennaio: « Pro D. Jo Buccanigra gubernatore insule Corsice pro cornimi Janue (L. 55) et sunt pro precio unius peciei panni quam D. Dux et consilium ancianorum pro beneficio et utilitate comunis Janue donare fecerunt et dare ambaxiatoribus populi Corsice in Janue pro causa et facto concordationis dicti populi » etc. ex apod. 12 oct. 1358. Rac. 52, c. 36 r. e 38. 282 GIORNALE STORICO E LETTERARIO DELLA LIGURIA La seconda parte era la più importante, ed infatti trovo che in tutte le epoche nelle quali Genova avea cercato di stabilire il suo dominio sulla Corsica avea sempre avviato trattative colla corte romana. Così aveva fatto nel suo primo ducato Simon Boccanegra, al tempo della spedizione di Gotifredo da Zoa& i, inviando al papa, innanzi che al re d’Aragona, ambasciatoli pi ima Sorleono Cattaneo, Bellengerio Lercari, Nicola Caiena e Gio vanni Valente (i), più tardi Paolo da Montaldo (2). Del pari Giovanni da Murta nel novembre 1348 coll’ambasciata di Gio. de Oliverio e Ettore Vincentio (3), P«i con quella di Andriolo'de Mari giurisperito.. Oliverio Squarzafico, Domenico de Garibaldo e Francesco Novello nel 135° (4) e ancora ne o stesso anno coll’altra di Celesterio di Negro e Bonifacio da Camulio (5). La diplomazia del Boccanegra in questo periodo del suo secondo ducato attivissima non perde tempo nell avviai trattative colla S. Sede. Sin dal principio del 1357 troviamo l’invio di Giorgio de Nigro con altri (6), sulla fine del maggio si riceve un messo del papa (7), nel novembre altra ambasceria di Lanzaroto de Castro e Domenico Fatinanti (8), nel gennaio del 1358 gli si spediscono lettere d’urgenza (9). Il papa avea più volte, nel 1352 e nel 1356, cercato di comporre il dissidio fra il re d’Aragona ed il comune di Genova, ma avea dovuto abbandonarne per allora il progetto stretto pei una parte dalle esigenze inconciliabili di quello che avrebbe preteso la Corsica, Bonifacio compresa, per l’altra dai genovesi che all investitura papale del 1297 non s’eran mai acquetati e ritenevano indiscu- (1) 1340, 13 marzo Mass., 1, c. 6. (2) 1340, 19 settembre; ai 25 settembre Saraxino de Nigro al re d’Aragona. Mass. i, c. 232. (3) 1348, 31 novembre. Mass. 4, c. 139. (4) 1350, 8 Luglio. Rac. 49, c. 3, 27. (5) 1350, 12 novembre «.... ambaxiatores presentialiter ituri ad Avinionum prò negociis catalanorum ». Rac. 49, c. 39. (6) 1357, 5 marzo è già ritornato. Mass. 8, c. 33· (7) 1357, ib maggio: L. 25 date al nuncio del pontefice, apod. del 15» pare che il messaggio riuscisse gradito. Mass. 8, c. 39· (8) 1357, 3 nov. Mass. 8, c. 157. (9) 1358, 23 gennaio. Ad Antonio Nigro « cursore ituro statini ad curiam romanam ». Mass. 8, c. 44 r. GIORNALE STORICO E LETTERARIO DELLA LIGURIA 283 tibile il loro diritto sulla Corsica (i). Questa volta il compito è molto più facile, perchè della Corsica, nella quale i re d’Aragona non aveano mai messo piede personalmente nè posseduto sinora un pollice, D. Pietro Pedro è disposto a spogliarsi, distratto com’ è dalle ostilità della Castiglia. Da Avignone il pontefice incarica delle trattative il cardinal di S. Marco, Francesco de Attis, di Todi, più comunemente chiamato il cardinale di Firenze. Il Boccanegra spedisce sulla fine d’ottobre od ai primi di novembre una commissione, composta eccezionalmente di due nobili e due popolari, con due saettie per prenderlo e condurlo a Genova a spese del comune (2); qui egli, coll’assentimento del papa, ha vari colloqui col duce e col suo consiglio, al quale ha comunicato i capitoli che D. Pedro propone per consentir alla pace e le lettere del pontefice al governo di Genova che lo invitano ad aderirvi (3). Fin dal primo momento il re d’Aragona, pur cercando salvare in Sardegna alcuni punti, Sassari, Cagliari, Iglesias e so-vratutto Alghero, fa getto completo d’ogni pretesa sulla Corsica, rinunziando ad ogni diritto che potesse avervi per se o per chi ebbe causa da lui, offerendo di abbandonare il titolo di re di Corsica, di rimetterla alla S. Sede, perchè possa investirla in feudo perpetuo al comune di Genova (4). Nella istruzione che questo dà ai suoi negoziatori si declina per la Corsica ogni discussione col re d’Aragona, si afferma che a Genova compete il dominio sulla stessa da tempo immemorabile, s’invocano la prescrizione ed i privilegi concessi dagli stessi papi (5). Per parte sua il papa nell’invitar il duce Boccanegra ad addivenir alla pace, offre la Corsica, salvo il diritto d’alta sovranità spettante alla Chiesa, in feudo perpetuo al comune di Genova, alla condizione che questa corrisponda alla S. Sede una somma di 15 mila fiorini d’oro per l’investitura una volta tanto, ed un annuo tributo di altri mille fiorini (6). (1) Zurita, op. cit., L. Vili. (2) 1358, 28 ottobre. Rac. 52, c. 167. (3) Materie Politiche, mazzo 9. (4) Materie Politiche mazzo 8. (5) ivi. (6) Mat. Poi. mazzo 9. 284 GIORNALE STORICO E LETTERARIO DELLA LIGURIA Quindi la questione colla S. Sede, la più difficile, eia appianata; comesiastata regolata la questione del tributo non ho potuto appurare sinora, non trovo indizio sia mai stato pagato, certo il dominio della Corsica fu riconosciuto a Genova, risei -vando tuttavia l’alta sovranità del pontefice (1). Non occorie più, perchè la sanzione dell’annessione della Corsica sia deli nitiva, che la conclusione della pace col re d Aragona con cui lo stesso formalmente ratifichi le concessioni offerte per 1 intei -medio della curia pontificia. Com’è naturale il governo genovese dovea esseisi messo d’ accordo col suo alleato il re di Castiglia circa alle condizioni alle quali stipular la pace coll’Aragona; trovo infatti che gli furono inviate sui primi del settembre (2) e sui primi del novembre del 1358 (3) due successive ambascerie. Dopo son tosto avviate le trattative dirette fra Genova ed il re di Aragona; i due governi sono entrambi sinceramente desiderosi di pace, han sospeso le ostilità e sin dal principio del 13 59 (4), prima d ogni discussione delle condizioni, è cominciato lo scambio dei prigionieii, sullo scorcio del 1358 il re d’ Aragona nomina suo plenipotenziario Francesco de Perillioni; Genova ritarda alquanto, probabilmente pei negoziati che avean luogo contemporaneamente a Genova col legato pontificio, ma infine il 22 marzo nomina a sua volta il suo rappresentante che è ancora Leonaido da ([) Ciò risulta implicitamente dalla clausola che si legge nell alto d in-feudazione dell’ isola alla maona di Leonello Lomellino e suoi compagni del 27 agosto 1378 che pubblico in appendice: item quod comune Janue bona fide et posse suo dabit operam auxilium et favorem quod dic ti fendala 1 u per ambassiatores suos suis propriis expensis destinandos obtinebunt confit -niationein dicte concessionis et feudi a summo romano pontifici. È la clau sola a cui volle alludere, citando inesattamente l’atto, il canonico Salvini nella sua Giustificazione della rivoluzione di Corsica ristampata più \olte. Del resto non poteva allora diversamente regolarsi il comune di Genova perchè lo stesso imperatore Carlo IV salendo al trono avea dichiarato di ìicono-scere il diritto della S. Sede alla sovranità delle isole italiane (doc. riportato dal Cambiagi, voi. 1, p. 269). (2) 1358, 3 settembre, Rac. 52, c. 207 r. Magistro (fisico) Xforo (de Amicis) « ambaxiatore ituro » etc. (3) 135S, 7 nov. Rac. 52, c. 141. Tomaso de Levanto e socii « àmba-xiatori ituri » etc. (4) 1359, 26 gemi. Rac. 52, c. 38 e passim. GIORNALE STORICO E LETTERARIO DELLA LIGURIA Montaldo. I rappresentanti delle due parti s’accordano per rimetter la decisione nelle mani del marchese di Monferrato, (i). La scelta dell’arbitro era per se stessa un segnalato trionfo della diplomazia genovese ; il Boccanegra non aveva allora più fido alleato; un fratello del duce avea comandato i loro eserciti riuniti contro i Visconti. Lo scambio di servizi e di cortesie fra loro prima e dopo è continua. Fin dal principio del 1357 Genova imprestò forti somme al marchese (2) e prosegue anche in quest’anno 1359 ottenendone col nome di pegno il castello di Novi (3); allorché egli passò a nozze gli spedì un’ambasciata composta di Cosma Piccamilio e Giovannaccio Perrono con presenti, due bacili d’argento dorato e ricche perle, per onorar lui e la sposa (4); egli venne a Genova nella prima metà del febbraio del 1359, e vi fu naturalmente ricevuto con ogni sorta di onoranze (5). Il marchese di Monferrato accetta 1’ ufficio di arbitro, emana le disposizioni d’urgenza pel rilascio dei prigionieri, per la cessazione definitiva delle ostilità sospese; le due parti contraenti ratificano il compromesso fatto dai rispettivi plenipotenziari nella sua persona e nominano rappresentanti per la discussione delle condizioni dinanzi al marchese. Essi sono per l’Aragona: il già nominato Francesco de Perillioni, Sosperto de Tresurano e Romeo Lullo, e per Genova: Feo de Enrico giureconsulto, Gabriele Adorno e Pambello da Casali, che è poi sostituito da Domenico Fatinanti (6). Le fasi dei negoziati, lunghi naturalmente, possono essere seguite colla scorta dei documenti conservati negli archivi nostri; lo farò se potrò occuparmi altravolta più estesamente di questo periodo, per ora la natura del presente scritto non me lo consente; accennerò soltanto che il lodo dell’arbitro fu pronunziato il 27 marzo 1360, lasciando tuttavia alcune questioni in sospeso (7). Essenziale per l’oggetto di cui mi occupo la dichiarazione del marchese di Monferrato in data 2 aprile 1360: quod de negociis Corsice fiat ut ordinatum fuit inter (I) Mat. poi., marzo 8, MSS. 112 etc. — (2) 1357, 2 marzo. Mass. 7, c· 34· T357· i/ marzo. Mass. 8. c. 139. 1358, 27 marzo, ibi, c. 143. (3) MSS. 112, c. 221. — (4) Rac. 52, c. 36, 40 66. (5) Rac. 52, c. 38, 120. — (6, 7) Alaterie Poi., mazzi 809. 286 GIORNALE STORICO E LETTERARIO DELLA LIGURIA Cardinalem Florentie seu alium et ambasciatores Janue anno preterito (i). Cosi Simone Boccanegra nel 1358-60 per la volontà del popolo dell’ isola, per la rinunzia del re d’Aragona, col consenso del papa e 1’ acquiescenza di tutti gli altri potentati ha potuto compiere l’unione definitiva della Corsica al comune di Genova. Prima di proseguir la succinta narrazione degli avvenimenti sino al punto in cui comparirà sulla scena della Corsica 1 infausta figura di Leonello Lomellini, mi giova arrestarmi un momento per confrontar le due imprese, quella di Giovanni da Murta nel 1347 e questa di Simone Boccanegra nel 1358. Comune lo scopo, unir la Corsica al territorio della republica, togliendo il pericolo che l’Aragona se ne rendesse padrona, ma quanto diverse nei mezzi, nei risultati e nelle conseguenze allora prevedibili ! La spedizione militare del duce da Murta fu consigliata da ragioni plausibilissime : i maneggi dei dinasti corsi colla corte d’Aragona, la minaccia imminente pei possessi dei Doria in Sardegna, l’insulto a Bonifacio per parte del Corbera indizio evidente di prossimo pericolo per tutta l’isola appena il re d Aragona avesse un po’ le mani libere. Ma era essenzialmente un operazione militare, un’ atto di conquista. Quanto allo stato dell isola ed alla condizione del feudalismo nulla mutava, 1 investitura data dal podestà di Bonifacio ai Cinarchesi è redatta col solito formulario di tutte le investiture feudali, conferisce loro tutti i più ampi diritti (2). Poteva e doveva ferire il loro orgoglio di ricever l’investitura dei feudi aviti da un notaro di Genova, ed era una ragione di più per temer della loro fedeltà già molto dubbia, ma nel fatto lasciava intatta la loro potenza. L’impresa importava un gravissimo onere alle finanze del comune, ed altro non meno grave si potea prevedere ne avrebbe cagionato l’occupazione continuata con rilevanti forze militari, se non voleasi che poco dopo si ripetesse quel eh’ era avvenuto dopo la partenza di Gotifredo da Zoagli. (1) MSS. 112, c. 255. (2) MSS. 103. Vedi ivi i tre atti delle investiture date dal podestà di Bonifacio ai Cinarchesi della Rocca e d’Ornano col lunghissimo formulario di tutte le investiture feudali d allora, conferma d ogni diritto, giurisdizione con mero e misto imperio, etc. GIORNALE STORICO E LETTERARIO DELLA LIGURIA 287 L’operazione militare fallì, colpa principalmente un avvenimento imprevedibile, la peste del 1348 scoppiata con una violenza inaudita sino allora. Ma se anche fosse riuscita non era con ciò compiuta l’annessione della Corsica alla republica, v’era la certezza d’una riscossa da parte dell’Aragona, l’indecisione sul modo con cui avrebbe accolto il fatto la S. Sede, la qual pure conservava l’alta sovranità sulla Corsica e ne avea investito i re d’Aragona, suscitando ai genovesi quel vespaio! La quasi unanimità dei dinasti corsi nel sottomettersi alla signoria di Genova, accettata come fatto indiscutibile, non riposa che sull’ autorità di poche parole di Giovanni Villani, non confortate da nessun altra testimonianza. Anche fosse avvenuta nelle estese proporzioni accennate dal Villani, del che è lecito dubitare, avrebbe lasciato Genova in Corsica a fronte d’un sistema ripugnante all’ indole del suo governo interno, obbligata ad una lotta continua contro un feudalismo potente e sempre pronto, a cominciar da quel d’origine genovese di Capocorso, a scuotere il giogo del comune. All’ isola una prospettiva di lotte interne; la continuazione dell’anarchia feudale che la immiseriva e insanguinava dal principio del secolo. Ad ogni modo è completamente fallita, e nel 1350, pur restando gli omaggi dei dinasti che s eran sottomessi nel 1347, la Corsica era ritornata di fatto nelle condizioni di prima. L’impresa di Simone Boccanegra fu come quella di Giovanni da Murta una necessità di difesa, e anche più urgente. D. Pedro nel 1354 si è recato in Sardegna, ha 1’appoggio del pontefice, prende possesso dell isola, visita Alghero due volte, Cagliari, Sassari, alza fortificazioni, progetta perfino colonizzazioni di catalani, dalla Corsica Guglielmo della Rocca corre a fargli omaggio, la guerra civile riprende più feroce nell’isola; Enrico della Rocca fuggito dalle carceri di Genova assume 1’ eredità di Guglielmo. Simone Boccanegra, che ha ripreso il potere in tali circostanze pensa a porvi riparo, ma l’impresa a cui si accinge dieci anni dopo l’insuccesso del da Murta non è una spedizione militare, sibbene tutto un lavorìo politico. Sgombrar la Corsica da ogni signoria feudale, quelle dei Gentili e dei de Mari comprese, come il comune ne avea sgombrato la riviera di levante; sostituire a quella moltitudine di signori e signorotti turbolenti,' 2S8 GIORNALE STORICO E LETTERARIO DELLA LIGURIA rivali fra loro, oppressori dei loro soggetti e sempre vassalli malfidi, un ordinamento inspirato agli stessi principi che informavano il governo di Genova, legato a questa dalla comunanza di principi, dal bisogno d’esser difeso contro i nemici esteri, contro le reazioni del feudalismo. E tutto ciò senza sforzi guerreschi, senza gravi sacrifici finanziari. Questa l’opera che Simone Boccanegra e Leonardo da Montaldo preparano con mirabile abilità, svolgono con fino accorgimento e vedono coronata da completo successo. Allorché il Limperani sopra una frase di Giovanni Villani volle costruire il suo fantastico racconto, non potendo negar l’attendibilità della narrazione concorde del della Grossa e del Cirneo, della rivoluzione vittoriosa contro il feudalismo, retrocesse questo avvenimento a una data di tre secoli e mezzo anteriore. Era un’inaudita licenza nel trattare la storia, ma almeno era logico: non poteva altrimenti conciliare la sua immaginaria dieta di baroni e di notabili coll’innegabile movimento capitanato da Sambocuccio d’Alando. E gli scrittori posteriori lo seguirono. Ma voler, come si tentò ultimamente, amalgamar l’asserzione del Villani colla narrazione del della Grossa è assurdo. Anche dopo l’interpolazione del testo del Villani, l’alterazione della cronologia, lo scontorcere il testo del Cirneo per fargli asserir che egli pone Sambocuccio d’Alando al XII secolo, l’infelice tentativo di trovarlo d’ accordo col Villani, anche dopo tutte queste licenze poetiche nel trattar la storia, rimane un fatto irreducibile : l’impossibilità di riunire sotto un’unica data e far coefficienti dello stesso risultato 1’ asserta volontà dei baroni e signori di Corsica (così dice il Villani, proceres scrive il Raynaldi) con una rivoluzione radicale diretta appunto contro di loro ; di conciliar la sottomissione e susseguenti investiture colle quali si confermano i signori nel possesso dei loro castelli e privilegi feudali con un moto che distrugge castelli e privilegi, vorrebbe perfino scancellarne i nomi e continua a distruggerli anche dopo che è disciplinato sotto la direzione dei governatori mandati da Genova. Ormai parmi posto fuori d’ogni dubbio che l’unione definitiva della Corsica a Genova è conseguenza esclusiva della rivoluzione popolare, la data il 1358; che il merito d’averla effettuata e fatta accettare nel diritto internazionale spetta al duce Simone Boccanegra. GIORNALE STORICO E LETTERARIO DELLA LIGURIA 28g III. (I) Giovanni Boccanegra assunse il governo della Corsica e par con felici risultati ; il comune di Genova gli assegnò per suo stipendio, per quello degli ufficiali e militi che dovea tenere ed in generale per le spese di ufficio, una somma allora relativamente vistosa, tremila fiorini all’anno, pari a L. 3750 di Genova (2); poiché era nei principi di Simone Boccanegra di circondar il potere d’un certo fasto, e qui, trattandosi del- 1 inaugurazione d’un governo nuovo, era più che altrove lodevole il sistema. Del suo governo nulla sappiamo; soltanto par che nell’isola poco dopo fossero insorte delle dissensioni, perchè nel 1360 il comune diede mandato allo stesso governatore Giovanni Boccanegra, aggiungendogli Pietro Pepe e Giacomo Coccalossa, di riunire i corsi e di comporre le loro vertenze (3). (1) Per questa terza parte che va dall’unione della Corsica a Genova all’in-fcudazione dell’ isola alla maona, non posso più fidarmi del racconto del della Grossa e del Cirneo, che proverò nei particolari inesatto; gli stessi regesti del Federici e del Cicala son talora contradditori ed erronei. D’ altra parte i documenti che ho trovato, sufficienti per provare la fallacia dei racconti accettati sinora, sono tuttavia frammentari e mio malgrado son costretto a riempier talora le lacune con induzioni. Quindi resta sempre la possibilità che qualche nuovo documento modifichi in parte quanto ora espongo. Nondimeno, poiché distinguo sempre ciò che è fatto accertato da ciò che è induzione mia, ritengo che quanto man mano esporrò servirà come base alla ricostruzione di questo periodo storico, ricostruzione che io ora tento cogli elementi frammeDtari da me con molta fatica raccolti. (2) 1361, 12 maggio: «Pro D. Io Buccanigra gubernatori Corsice L. 3750. Rac. 52 c. 52. - 1359. D. Io Buccanigra gubem. Corsice i°, 6 junii. Pro D. Guidoni de Pratovetere L. 400, 2, 10. 2°, 21 d.1 pro dicto et Ant. Pastura L. 2535 et sunt de fl. 650 dicti Io Fontanegio etc. De quibus per D. Ducem et consilium facta fuit deliberatio quod debeant concedi per comune Janue ad auxilium serviciorum Corsice pro solucione stipendiariorum comunis Janue qui ibi sunt et aliis expensis pro gubernacione dicte insule prout patet in actis cancellerie, scriptis hoc anno die 13 madii ». Rac. 52, c. 124. e c. 142 r. (3) Federici, Collect. e ABC, MSS. Cicala. Pepe e non Pevere come scrive il Federici nelle Collect.·, il Coccalossa nel 1359 era stato podestà di Varazze, Celle e Albissola. Secondo il Cicala l’atto di sindacato (procura) a Gio. Boccanegra, Pepe e Coccalossa in atti del not. Raffaele Goasco. Crior. Si. e Lelt. del·a Liguria io GIORNALE STORICO E LETTERARIO DELLA LIGURIA Tanto il Cirneo che Giovanni della Grossa ci dicono che il Boccanegra partì dall'isola lasciandola pacificata e tranquilla, l’epoca non precisano; il secondo lascia in dubbio se sìa ripartito di propria volontà o perchè richiamato da Genova ; siccome egli mette l’invio del suo successore dopo qualche intervallo di tempo al 1362, parrebbe la fine del suo governo debba porsi nel 1361, perchè sino al 12 maggio lo troviamo in carica, o al principio del 1362. Non ostante tutto il valore che assegno alla cronaca del della Grossa per la evidente coscienza con cui è dettata, inclino a credere che per questo e per gli avvenimenti successivi il suo racconto, che vedremo meno esatto che per il periodo precedente, debba essere postdatato di un paio d’anni circa. Suppongo che Giovanni Boccanegra non sia stato richiamato dal governo della Corsica durante il ducato del fratello suo (1); è possibile invece che, essendo allora Γ isola pacificata e nessun pericolo pel momento minacciandone la tranquillità, sia venuto a Genova rimettendone il governo temporario a un luogotenente, forse a Sambocuccio d’Alando, perchè a Genova nubi molto minacciose s’addensavano sul capo del fratello. Già fin dall autunno del 1362 grave malcontento serpeggiava non solo fra i nobili ma fra i popolari, sicché s’ ebbero trame e congiure, condanne ed esigli nell’ottobre, ed una esecuzione capitale di persona distinta fra i popolari nel novembre. S’aggiunga 1 arrivo a Genova del re di Cipro ricevuto con pompa, com’era suo costume, dal Boccanegra di cui creò cavaliere il figlio (2), altra ragione per Giovanni di trovarsi a Genova. (1) Il 17 aprile 1363 Francesco de Albingana q. Litardi ohm balistaimin D. lohannis Buccanigre ohm gubernatoris Corsice fa procura ad uno per riscuotere L. 45 che gli son dovute per suo stipendio (not. Ricobo no di ho zelo et alior. 1364, c. 149). Ora in generale per riscuoter le loro mercedi balestrieri, servienti etc. non attendevano lungo tempo e tutto fa ciedcic clic codesto Francesco de Albingana fosse ritornato allora dalla Corsica dopo la catastrofe dei Boccanegra la qual probabilmente avea posto termine al go\ci natorato di Giovanni. (2) Il figlio del duce Boccanegra, Battista, era allora un bambino di poco più di quattro anni perchè il 27 aprile 1380, all’atto del suo matrimonio con Benedetta del duce Nicola Goarco avea appena superato i ventuno. Not. Ant. Lazzarino Fa, ia, c. 46 r. Incidentalmente osservo che non riuscì mai GIORNALE STORICO E LETTERARIO DELLA LIGURIA 2(Jl Il duce Simone Boccanegra s’ammalò il 13 marzo del 1363 ed il 14 il palazzo ducale fu invaso; da quell’epoca, se pure ancora era in carica, cessò naturalmente l’ufficio di governatore di Corsica nel fratello suo Giovanni, imprigionato cogli altri due fratelli Lodisio e Bartolomeo, e tradotto nel castello di Lerici. Il nuovo duce Gabriele Adorno non amava il Boccanegra (1), una reazione contro tuttociò che era stato opera di lui si palesava negli atti del governo; l’unione della Corsica era il fatto culminante del governo del Boccanegra, l’opera sua e del Montaldo, ora lontano in Romania e del pari caduto in disgrazia. Fu forse perciò che il governo del nuovo duce non s’ affrettò a nominare un successore a Giovanni Boccanegra nel governo di Corsica, limitandosi a cambiar subito, sin dalla data della sua elezione il 19 aprile, il castellano di Cinerea ove mandò Rollando Zenogio d’Albenga (2) ed a destinar pure tosto un nuovo podestà di Calvi nella persona di Giovanni de Magdalena (3). Il presidio di questo castello trovo ridotto al minimum, 1 balestriere e 4 servienti (e v’era un caporale con 16 balestrieri a Lerici per custodir i Boccanegra !...). La catastrofe del governo che avea fatto l’unione della a sapere donde l’autore della epigrafe apposta modernamente sotto il monumento sepolcrale del Boccanegra, ora nel museo civico Brignole Sale, abbia attinto la notizia che ilnob. Pietro Malocellilo avvelenasse per incarico del re di Cipro. Parmi che ciò che avvenne dopo quel fatto basti a spiegarlo senza aggravarne la coscienza del Lusignano. (1) Lo dice lo Stella, aggiungendo che ciò fu la ragione per cui nessuno accompagnò la salma di Simone. (2) 1364, 5 giugno. Per mandato 3 maggio, di far ragione a Rollando Zenogio olim Castellano di Cinerea di quanto deve avere per se e servienti che con lui stettero a custodia del d. castello dal tempo creationis domini mine ducis, per un anno, finito il 19 marzo giorno in cui consegnò il castello a Triadano de Turri. Con lui sette soci. Salario suo L. 10 al mese. Mass. 11, c. 132 - 1364, 30 maggio; lo stesso qui chiamato Rollandino d’ Albenga, ebbe in acconto L. 75 da Fil. Scalia. Rac. 54, c. 202. Lo stesso, consegna a Triadano de Turri c. s. Sent. 70, c. 125 - 1364, 19 Luglio, 23 ag., 27 sett. e 21 nov. pagamento stipendio ai balestrieri ch’erano con lui. Mass. 11, c. 134, ivi r., 135, 136. (3) 1364, 10 aprile, Gio. de Magdalena potestà di Calvi per gli amii x363 e 1364,, per salario di uno scriba, un balestriere e quattro servienti - più nove balestrieri aggiunti nuovamente - per mesi quattro finiti il 9 aprile, Rac. 54, 118. 292 GIORNALE STORICO E LETTERARIO DELLA LIGURIA Corsica a Genova, l’incertezza che suole accompagnar ogni mutazione politica, l’indifferenza che i nuovi reggitori di Genova mostravano per gli affari di Corsica, la mancanza d’ una direzione superiore che s’imponesse a popolazioni proclivi a parteggiare ed alle novità; tutte queste ragioni fecero sì che 1 dinasti ed i gentiluomini dell’isola credettero opportuna ^occasione per sfogar il mal represso e naturale desiderio di riprendere il dominio; si ribellarono al nuovo governo e cominciarono a ricostruire i castelli distrutti pochi anni prima dall ira popolare. Sambocuccio d’ Alando, come nel 1358, credette impossibile che il popolo corso da solo potesse resistere alla reazione feudale; un’altra volta passò a Genova (1), e tanto fece che riuscì a scuoter Γ apatia del governo di Gabriele Adorno ed a persuaderlo a mandare in Corsica un governatore. Fin qui son concordi il della Grossa ed il Cirneo ed anche nel nome del governatore spedito, che fu Triadano della Torre (2) di Portovenere. Il della Grossa aggiunge che ciò fu nell’anno 1362. Se così fosse l’invio di questo governatore sarebbe ancora stato fatto dal Boccanegra, il che mi sembra poco probabile. Certo il Triadano della Torre fu il primo governatore della Corsica dopo Giovanni Boccanegra, ed è certo pure che ve lo troviamo qualche tempo prima che il governo genovese avesse stabilito con lui e con Filippo Scalia quel singolare contratto di cui adesso parlerò; ma se ciò avvenisse nel 1362 0 non piuttosto alla fine del 1^63 o sul principio del 1364 non saprei dire; inclinerei per 1 ultima ipotesi. Positivamente sappiamo che il 12 aprile 1364 il duce Gabriele Adorno e gli anziani sottoscrissero un contratto con Filippo Scalia e Triadano della Torre, affidando ad essi 1 ufficio di castellani di Calvi, del quale il comune si decise d aumentar il presidio sino a 15 balestrieri, che furono poi ridotti a nove (3). (1) Passò nuovamente a Genova a chieder aiuto; scrive il della Grossa, segno che v’ era stato altra volta, se colla deputazione che concluse 1 unione o in altra circostanza, non si può arguire. (2) Cosi scrivono il cognome il Federici ed il Cicala: in latino è de Turri per cui dovrebbe tradursi da Torre: secondo i geneologisti discenderebbe dalla famiglia di Chiavari che prese il nome da Torre piccola località poco lungi da quella città. (3) 1364, 12 aprile. Nos officiales mag. rac. comunis Janue recepta apo- GIORNALE STORICO E LETTERARIO DELLA LIGURIA 293 Nè l’atto nè le condizioni di tale invio ci son note, pare però che colla castellania di Calvi fosse da principio unito 1’ ufficio di governatori dell’isola, giacché sin dal 3 settembre lo Scalia è qualificato gubernator insule Corsice nec non potestas et castellanus Calvi (i). Da quel che si può arguire quel governo fu dato loro in appalto, libero ad essi di dividerselo come credevano; sistema abbastanza curioso di reggere una popolazione nuovamente annessa e mentre le minaccie di reazione da parte degli antichi signori erano incessanti. Si può supporre che la preoccupazione maggiore del governo dell’Adorno fosse di spendere il meno possibile, poiché mentre vedemmo conteggiata a Giovanni Boccanegra soltanto come governatore, poiché non reggeva la podesteria di Calvi, una somma di L. 3750 all’anno, ora ai nuovi governatori e castellani ne vediamo assegnata una disia mandati D. Ducis et consilii scripta hodie manu Aldevrandi de Corvaria ut videremus et faceremus rationem jus quod Philippus Schalia et Triadanus de Turri de Portuveneri castellani castri Calvi habere et recipere debeant a comuni pio custodia dicti castri unius anni incipiendi a die qua ipse vel alter eorum inciperit dictum officium exercere per se, et balistariis decem ex quindecim inter servientes et balistarios deputatis ad custodiam dicti castri cum ipsi Philippus et Triadanus electi fuerunt castellani dicti castri, non obstante quod ipsi deberent habere solutionem ipsorum quindecim inter servientes et balistarios cum ipse Philippus remisit liberali ter comuni Janue stipendium quinque servientium c numero dictorum quindecim tunc deputatorum ad custodiam dicti casti i et per dictam racionem sold. balist. 9 qui fuerunt additi dicti castri et dictam racionem fecimus et invenimus ipsos Ph. et Triad. habere debere pro d. balist. 10 ad rac. L. 5 in mense prout et sicut habuit Ioh. de Magdalena per 9 balist. sibi adiunctis et pro dicto anno incipiendo die qua incipient dictum officium exercere L. 600. Mass. 11 c. 12;. Noto che lo Scalia nel 1363 era stato anziano. Federici, ABC. - Di Triadano non mi risulta che abbia mai coperto altre cariche pubbliche oltre questa di go-vernatore della Corsica. (x) r3^4ì 3 settembre: « Phil. Schalia gubernator insule Corsice et ca-stellanus Calvi.... prò stipendio balistar. 10 deputatorum et ordinatorum ad custodiam dicti castri tocius secundi anni appalti dicti Philippi et custodie dicti castri, qui secundus annus incipit die 9 aprilis prox. vent____ex apodixia D. ducis et sui cons. hoc anno 22 augusti ». Mass. 10, c. 76. Viceversa da una nota dei Rac. 54, c. 118 parrebbe che il 18 luglio del 1364 avrebbe rimesso il castello, non è detto a chi, che avea preso in consegna il 9 aprile; forse al suo socio Triadano della Torre. V. per detti castellani Filippo Scalia e Triadano della Torre insieme Rac. 54, c. 59 a 92 e 92. GIORNALE STORICO E LETTERARIO DELLA LIGURIA di L. 600, paga di 10 balestrieri in ragione di L. 5 al mese; pel resto probabilmente supplivano rendite dell’ isola come in parte già avveniva col Boccanegra (1). In qual modo abbiano regolato fra loro l’alternarsi nelle funzioni i due nominati non appare, sembra che Triadano della Torre sia stato il primo a reggere quell’ufficio. Già prima del contratto col governo lo troviamo in Corsica; il 19 marzo prende in consegna il castello di Cinerea da quel castellano Rollando Zenogio; in vari atti del notaro Antonio de Planis è menzione del suo governo anteriore a quello dello Scalia (2). Per contro lo Scalia assunse primo la castellania di Calvi. Il Cirneo ed il della Grossa ci dicono che Triadano sconfisse i dinasti (devictis principibus), rovinò i castelli che avean ricostruito ; il secondo anzi è più esplicito e dice che rovinò tutte le castella e privò tutti i signori dei loro stati. Dai rogiti del nominato notaro possiamo arguire che contro il suo governo cominciarono le cospirazioni dei Gentili di Nonza, i fratelli Bartolomeo e Paolino, dei quali pertanto avea ordinato la confisca d’una vigna. Da quegli stessi atti risulta che per qualche tempo egli s’ allontanò dall’ isola, ove non rimase allora nessun governatore nè sapevasi chi sarebbe venuto. Nel 1364 e nel 1365 par vi fossero entrambi; già il 3 settembre del 1364 abbiam trovato lo Scalia a Calvi governatore, castellano e podestà; il 22 gennaio 1365 in Aleria, presso il palazzo d’abitazione di quel vescovo, Triadano della Torre nominando suo procuratore il nepote Emanuele della Torre, è qualificato: egregius et potens dominus, unus ex duobus gubernatoribus insule Corsice pro felici comuni Janue (3). Si noti che circa questo tempo, il 17 marzo, troviamo in Calvi un podestà Andrea Formica da Savona, segno che lo Scalia non riuniva più in sè la carica di castellano e podestà di Calvi. In un frammento di pandetta degli atti rogati nel 1364 dal notaro Raffaele da Bracelli di Benvenuto, allora in Corsica, (4) ne sono indicati alcuni che si riferiscono a Iriadano; in due poi stipulati col vescovo d’Aiaccio, frate Vincenzo, com- (1) Lire 100 per le quali i friminali (fluminalia) di Celavo e Cauro erano obbligati al Boccanegra già governatore, cioè 50 lire ognun d’ essi, in atto del I3 aprile 1366, fra gli atti Not. Ant. de Planis, Not. ignoti Fa 35. (2) V. filza 35 not. ignoti. — (3) Not. ignoti filza 20 incart. 16. (4) Not. ignoti filza 20. GIORNALE STORICO E LETTERARIO DELLA LIGURIA 2Q5 pariscono Triadano e Filippo, indizio che insieme erano in carica ; in tutti i registri Massaria, Racionalium e Sententie sono in generale indicati congiuntamente e come castellani di Calvi, ma quest' indicazione non avrebbe gran valore, perchè amministrativamente il comune di Genova li considerava come solidali l’uno dell’altro. Forse tal sistema di governo in società non era il più adatto a mantener l’unità di direzione e la buona armonia fra gli stessi associati, e perciò d’ accordo s' alternarono nel governo; infatti come prima abbiamo trovato il della Torre unico governatore, così nel 1366 troviamo lo Scalia che s’intitola gubernator tocius insule Corsice senz’alcuna menzione del suo collega, eccetto che per accenno al tempo in cui Triadano era governatore, tunc gubernator, l’espressione stessa con cui designa il governo di Giovanni Boccanegra (1). Del governo dello Scalia, d'un periodo almeno, abbiamo maggiori informazioni che non di quello degli altri governatori. Esse si desumono dai rogiti del già citato notaro Antonio de Planis o Dellepiane, di Chiavari, q. Simone; forse il più sgrammaticato dei nostri notari ma di cui gli atti sono preziosi come gli unici, ch'io sappia, che ci rimangono di questo periodo, dei governatori genovesi in Corsica nel tempo del connine. Da essi rileviamo che le condizioni dell’isola nel 1366 erano tutt' altro che perfettamente calme come dai racconti del della Grossa e del Cirneo apparirebbero. Ai 16 di marzo del 1366 vediamo che il governatore Scalia bandivit hostem cum consilio sui consilii sex consiliaris (sic) insule Corsice pro eundo ultra montes ad hoc ut possit ponere pacem et concordiam in insula Corsice·, tal deliberazione è proclamata nel castello di Calvi, de consilio dei novem et septem Calvi e di altri, de’ quali si fanno i nomi; e dichiara che ognuno deve fornirgli aiuto e uomini a seconda dei suoi obblighi. Ma insieme vediamo quantità di persone costrette a prestar cauzioni; comincia ad esser tenuto in ostaggio Angelerio de Mari, il figlio di D. Isabella, consegnato a quanto pare dal padre suo Giovanni de Mari al capitano Paganello del Vescovato; precede un salvacondotto di pochi giorni a Guglielmo, Guelfuccio e Guillermuccio d’Or-nano (2). Tutti i nominati ed altri ancora han dovuto pochi giorni (1) Atti not. de Planis, not. ig. Fa 35. (2) « 1366, 1; marci. Nos Philippus Scalia gubernator tocius insule Cor- 2QÔ GIORNALE STORICO E LETTERARIO DELLA LIGURIA dopo offrir fideiussori e fra essi D. Enrico della Rocca, prova che non s’era ancora rifugiato in Spagna come fece più tardi (i). Alcuni indizi lasciano scorgere che la situazione dovea esser poco sicura: colui che avea in consegna Angelerio De Mari vorrebbe sgravarsi della responsabilità; all’invito di custodire alcuni ostaggi presi in Ornano dal vicario Oberto de Guercio i richiesti si rifiutano. Il due aprile lo stesso governatore dà mandato ad un corso di prendere vivi o morti quanti può degli antichi signorie de’loro seguaci (2). La spedizione oltremonti par sia andata fallita; in una lettera datata il 31 marzo da Casiliono ove s’era dovuto ripiegar sciogliendo l’esercito, il governatore fa asprissimi rimproveri a certuni a cui avea commesso la guardia di Ciliaria in pieve d’Ornano e di andar col capitano Franceschino d Eviza a requisir viveri per l’esercito e che invece eran fuggiti, sicché allorquando giunsero gli armati non trovaron vettovaglie; dice loro che tutti in Corsica gli accusano e li cita a comparire. Ai primi d’aprile scopre una cospirazione contro la sua persona; il progetto era di attaccar il governatore alla costa di Bulbasco, mentre da Nonza si sarebbe recato a Biguglia passando per Patrimonio, uccider lui ed il suo seguito, occupar Ser-ravalle e mettersi in aperta rivoluzione. Il processo si svolge col sice damus et concedimus totam et securam fiduciam veniendi ad nos, standi et reddiendi usque ad diem lune p. v. inclusive.... Nomina dictorum quibus datur presens fiducia sunt hec. D. Gnillermucchius de Ornano etc. (c. s.) (1) 24 maggio. Fideiussione per Fornello de Casiliono e Messer Guido de Bononia etc... Restorucchio de Campo « prò se et filia et filia etiam Guilfucii D. Lupi cuius amica erat (?)... Benvenuta de Pilla amica D. Guelfuchi promisit pro se et filio suo et filia D. Guelfuchi cui amica erat... etc. » 7 aprile. Fra gli altri, fideiussori: per D. Enrico de Rocha, per L. 200. per D. Guil-lermus de Ornano, per L. 100, per Guillermuchius de Boti, id. per Guil-leimucellus de Leralla— Devono fornire ostaggi Iohanicellus de Loreto e Gui diciuccio de Arexio ecc. (2) Die 2 aprilis. Gubernator concessit et licentiam dedit Johanucello de Loreto presenti intelligenti atque volenti quod tam prò se quantum aliis quibuscumque personis possit capere et captum consignare quemlibet ex tirapnis insule Corsice vel seguacium suorum dicto D. Gubernatori et si consignare non poterit quod impune possit eum occidere et quod nullam penam patiatur ex hoc et de predictis. Actum in ecclexia S. Frederici de Caxiliono hora... (vesper?) testes Dnus Episcopus Marane, Sumerucius de lo Pruneto et D. Antonius de Guastonibus jurisperitus ». Atti not. de Planis, v. s. GIORNALE STORICO E LETTERARIO DELLA LIGURIA 2Ç7 mezzo solito della tortura, l’accusato principale, certo Gerono (Geronimo) de lo Frasso, confesso, è condannato alla forca e giustiziato sopra un poggio destinato alle esecuzioni capitali, presso Nonza, il 27 aprile (1). Nella sentenza egli solo è nominato oltre Bartolomeo Avogario contumace, soltanto è detto che era d accordo cum multis et multis personis quarum nomina pro meliori tacentur ad presens. Ma dagli interrogatori dello stesso Gerono sappiamo i nomi di tutti i congiurati. Bartolomeo Avogario è il capo dell’ impresa, Giovanni de Mari promise accorrere con 50 fanti e 25 balestrieri, gli Avogari di Canari e di Brando avrebbero fornito altri 20 fanti e 8 balestrieri. Sono complici molte altre persone importanti, quei di terra Bagnarinca, vari sacerdoti, lo stesso vescovo di Aleria. Notevole che Vanucollo da Campocasso interpellato avrebbe rifiutato d’ associarsi alla congiura, allegando eh' egli era de maioribus de Corsica et de consilio. Progetto dei congiurati dopo l’uccisione del governatore e di taluni altri capi popolari era d’impadronirsi del castello di Nonza che sapeano mal vettovagliato e muover guerra, perchè Bartolomeo Avogario riacquistasse i suoi domini, egualmente tutti i signori di Corsica riprendessero i loro, quod gentiles hommes de Corsica dominarentur in insula Corsice, che Guglielmo Cortinco ritornasse in Corsica e fosse signore (esse debebat dominus) (i). Il Gerono mantenne le sue denunzie contro i suoi (1) La sentenza è pronunciata in presenza di otto testimoni ma senza che si sia notato come in altra per delitto comune il consenso del consiglio di Corsica; taluno dei consiglieri tuttavìa risulta assistere agli interrogatori del Gerono. Fu eseguita lo stesso giorno per cura di Francesco de Rosso milite e colaterale del governatore ed il notaro attesta che dictus fhcromis remansit suspensus ad furchas et mortuus. (2) Dagli interrogatori del Gerono: « ....Io Panicia fuit ille qui ivit ad domum presb. de Ulmeta, frater Iustinus et lo pivanus (pievano) de Nunza____ quod in Oleta in abitatione Vani Paganaci... fuerint presb. Restorus, presb. Francisais, Bartolucio de lo Mancipio, presb. Corsonus de Sto Terbene, Martinus Diìi Conradi, StefTanus et Guirardinus fratres, Ricobonus de la Fichaga, Trof-filucha de lo Monte, Vani caius eras domus predicta, Guillermucho de Oleta, Bonifaciollus de Roxolo, lo pivano de Roxoli et dictus Bartolomeus, ordinaverunt et consulenint facere brigam vid. cum Cortincachj et Caxinchiexi vid. cum Vanucho Marcheixe et cum omnibus de parte sua et cum illis de Traluncha et Nerpiollo e Logargo e Studeracho et Dentucho de Mata e con Zozarello.... dictus Bartolomeus et iìlii DRi Conradi miserunt nuncios a Vanucho 2g8 GIORNALE STORICO E LETTERARIO DELLA LIGURIA complici, anche dopo che fu cessato il suo tormento, soltanto ritirandole appiè del patibolo per Beibruno di Nonza che poi alcuni anni dopo dovea essere ucciso per ordine di Enrico della Rocca. La spedizione nell’ Oltremonti, gli ostaggi, le fideiussioni a cui sono obbligati i Cinarchesi e sopratutto quest’ultima congiura a cui partecipano tante persone del Capocorso e del Cismonti e di tale importanza che non s’ha il coraggio non solo di colpirle ma neppur di nominarle, tutto questo è indizio che il nuovo governo instituito in seguito alla rivoluzione popolare Marcheixe a Narpiollo eius fratrem de Trelunga____Zozarello de Corsolli quod hoc indiceret omnibus eorum sociis____ quod Belbrunus et Io de Panicia et cum totis suis debebant esse cum dicto Bartolomeo (per ammazzare il governatore). It. in Nunza debebant esse... pro accipiendo castro Justinus, lo pivano de Nunza et filii Bertucellj Victucello de Cagnorello et illis cum tota progenie sua... ordo sopradictus datus fuit pro aurnando (?) Bartolomeum Avogarium ad recuperandum suum et etiam quia predicti et filii Dni Conradi non poterant habere officia vel sufficia de d. D. gubernatori... It. quod presb. Restorus et Bertholo de lo Marcheixe iverunt ad episcopum (A)lerie et Deodatum eius fratrem____quod Bartolomeus non iret Beguliam propter Paganellum qui minabatur ei sed deberet expectare in Oleta____ in consilio predicto fuerunt etiam Paganucius de la Goncha, Berthone de Ulmeta, Ugolunucollo ejus frater____ miserant ad dicendum Guillermucello de Zenuchino quod deberet facere socii sui et notificaretur hoc Santono de lo Castellare____ quod illi de terra Bagnarinca debebant esse ad faciendam predicta____ vid. filius Diïi Aldebrandi et Oppicinus filius Dni Oberti et Guilliermucho de Al- drovanducio et Guelfucius frater carnalis Dni Raynery de Luchana..... quod omnes gentilles homines de Soriano debebant esse ad faciendam predicta... quod D. Jo de Mari convenerat secundum quod audivit dici a filiis D. Al-devrandi, Martino D. Conradi Crutitucha de lo Monte, Guillermucello de Aldrovanducio, Guelfucio et Messer Bono Feracollo de Soriano quod dare debebat____ pedoni L et balestarios XXV et dicti miserunt nuncium dicto D. Johi quod fecit eidem promissionem dictam. It. erant Guirardus filius Va-cagolli, Santone Sacarello querendo in benefacto de levar la vicha a Paganello... a Vignollo de la Venzolascha... ancho era in quello consento etc. ...gi era chi ge proferia XX pedoni e Sorzarello da Corsi cum li autri Cursolaschi, Messer Guillelmo de la Rebia, Santucio .da Mata se proferiano cum XXV campagni____ il Vinollus de la Botixella dovea venir capo de li balestrcri et de li pedoni de Messer Johane... a Nunza etc____ anco de Canari et de Brando pedoni da 20 et Balestreri otto... cum D. Io de Mari ». (Not. ignoti F. 35 d. not. Ant. de Planis. GIORNALE STORICO E LETTERARIO DELLA LIGURIA 299 e l'influenza genovese che allo stesso s’appoggiava, avean sinora base malsicura ed avrebbero potuto trovarsi in serio pericolo, ove fosse di nuovo scoppiata la guerra coH’Aragona. Tuttavia in questo fratempo il governo dell’isola s’era ordinato a forma libera. A capo ne era il governatore genovese, con un vicario per la parte giudiziaria, un giureconsulto, che nel tempo di cui parliamo era Antonio de Guastoni, di Pavia, il quale fu più tardi giudice e assessore del podestà a Genova. Il governatore siede ordinariamente a Beguglia ed è assistito da un consiglio di sei consiglieri corsi che il 12 maggio del 1366 sono: Sambocuccio d’Alando, Paganello del Vescovato, Someruccio del Pruneto. Franceschino d’Eviza, Ursucchio o Ursone da Piano e Giudice di Ciucello Scazo, consiglio del governatore e dell'isola di Corsica (1). Nella nomina dei confalonieri dell’Oltremonti vediamo che questo aveva un consiglio separato; probabilmente altro ne aveva il Cismonti; è l’antica e costante divisione dell’isola, con due centri che in quest’epoca par fossero Begugiia e Cinerea. L’isola si suddivide per pievi, ad ognuna delle quali è preposto un confaloniere (2); più pievi sono riunite in una stessa podesteria alla quale è preposto un podestà. Tutti i confalonieri e anche tutti i podestà meno quelli di Calvi e di Cinerea (3) sono (1) Figurano il 12 maggio come consenzianti in una doppia condanna, al rogo ed alle forche, degli uccisori di certo Cerboruccio de lo Podio, di Ni oro. Son conservati i lunghi interrogatori degli accusati e dei testi e son per data gli ultimi atti che abbiamo del not. de Planis. Vanucollo da Campocasso che si dice de consilio (p. 59) dovea appartenere a quello separato del Cismonti. (2) Par come già dissi che questo nome di confaloniere ai capi delle pievi sia una tradizione pisana; a Genova troviamo i confalonieri, talvolta detti anche vessiliferi, come capi dei popolari d’ogni compagna ma soltanto in città, sotto i due vicarii, della città e del borgo e sopra i conesiabili capi delle conestagie, frazioni secondo le quali eran ripartiti i popolari mentre i nobili lo erano per alberghi; nel territorio le più antiche autorità locali erano i consoli, troviamo talvolta i rettori per le parrocchie e per le tre podesterie della Polcevera, Bisagno e Voltri gli abati, carica eh’ ebbero pure Chiavari e, sinché non ne fu privata, Savona, (v. s. nota (2) a p. 2Ç). (3) Non tengo conto di Bonifacio perchè questa antica colonia genovese era e rimase sino all’ ultimo, quasi direi che è ancora, un’ appendice genovese della Corsica. Nel secolo XIV poi cessò d’ esser la base dell’ azione genovese in Corsica clic fu spostata a Calvi, presso a Beguglia e più vicina a Genova, e vi rimase sino alla costruzione di Bastia. Già nel 1340 è a Calvi che sbarca Golifredo da Zoagli. 300 GIORNALE STORICO E LETTERARIO DELLA LIGURIA corsi. Non sembra che Sambocuccio d’ Alando abbia una posizione speciale in quest’ epoca, poiché noi trovo che il primo nominato nel consiglio generale dell’isola; Giovanni della Grossa ci dice che fu vicario del popolo, parlando dell’omonimo nipote suo, capo a sua volta della rivoluzione, molto più limitata per scopo e per esclusione, che scoppiò- circa un secolo dopo nel Cismonti contro le invasioni dei Cinarchesi e le prepotenze dei caporali; ed è infatti probabile che nei momenti più gravi abbia assunto uffici più alti di quelli di semplice consigliere (i). Circa alle regole di quel governo le induzioni sa- (i) Ecco una lista dei potestà e confalonieri nominati dal governatore Filippo Scalia : In Balagna, confalonieri : Regno: Bonacorso da S. Antolino; Pino: Casanota da Cellia; Unnia: Corbuccio da Calenzano; Almitro: Bertora da Stridio; Ciumi : Xigelaccio da Ciumi ; S. Andrea: Sozino; Togani: Zozucello ; Ius-sani: Bocaciollo de le Falcolaccie; Olmeta: Serena da Moni ; Agoiastro : Biancone dell’ Agoiastro, Oleta: Rollandino da Serrate. Il 7 Aprile, il governatore ed il consiglio d’ Oltremonti nominano : Podestà : Franceschino d’ Eviza, confalonieri, d’ Ornano : Opinucio de lo Pivano, di Talavo : Sacitrello de Corra, di Coti____ Podestà: Andrucchio de Soato, confalonieri, di Valle: Ioanicullo Mana-volata, di Corsicaga : Caporotondo Lagostro. Podestà: Obertinuccio Paganuccio, confalonieri: di Vegani : Frane, de 1’ Olmeto ; Sartene: Guidiciuccio de Rexia, Sigeni: Guillermone Strambo della Grossa, (Giovanni della Grossa, il cronista, nacque nel 1388 da un Guglielmo). Podestà : Azenocullo Boteraccio, confalonieri : di Cagia: Sambocuciello da Loreto ; di Carbini: Azenucciello da Filicello ; di Concha: Guillermuciello Petrolaccio. Podestà : Guidiciuccio di Prete Matone ; confalonieri : di Cauro: Facino de Avalle, di Bastelica: Guidiciucione dello Rosso. Podestà di Cinerea e castellano : Antonio Camayrono con Iacopo da Trebbiano; confalonieri, di Cinerea: Cermollo de Logastro, di Cruce: Azenucello de lo Salcio. In diverse epoche poi : Podestà di Vico : Rossignolo de Pagomia, confaloniere : Restorucello de lo Pagollo. Podestà : Lombarduccio di Carbelaccio, confalonieri, di Moro : Pacione da Corsa ; di Sia: Iullerminucello Casinco. Podestà : di Celavo, Raspatino; confaloniere, da Pontemorello in su : Guillermucello da Corbicato. Confaloniere di Aiaccio : Ingelatio de Petra. GIORNALE STORICO E LETTERARIO DELLA LIGURIA 301 rebbero oziose ; la supposizione del Limperani che fin d’allora fossero instituiti i 12 nobili del Cismonti ed i 6 dell’Oltremonti, instituzione genovese molto posteriore, cade da sè ora che ho messo in chiaro l’indole radicalmente democratica della rivoluzione del 1358; si potrebbe per analogia credere che nelle instituzioni del comune di Corsica di questo tempo dovessero rinvenirsi, in parte almeno, quelle che i corsi stessi chiesero nel 1468 a Galeazzo Maria Sforza, ma naturalmente dovrei vagar nel campo delle induzioni cosa da cui sono alieno. L'appalto della castellania di Calvi e del governo dell’isola di Corsica allo Scalia e al della Torre continuò certamente sino al 1368, ma come i due soci siensi avvicendati nell'ufficio non potei da nulla arguire; da un atto notarile del 30 marzo 1368 risulta che fra i due governatori erano insorte alcune divergenze, per le quali nell’anno precedente s’eran rimessi all’arbitrato di tre comuni amici. Con quest’atto si proroga d’alcuni giorni, sino al 4 del prossimo aprile, la decisione di tal vertenza. La stipulazione è fatta a Genova personalmente tra Filippo Scalia e Rainuccio della Torre figlio di Triadano, come procuratore di questo, probabilmente allora in Corsica (1). Nella primavera di quell’anno 1368 il comune di Genova addivenne ad una nuova convenzione coi governatori dell isola in cui fra le altre cose si dava facoltà al comune stesso di prender quelle provisioni che avrebbe ritenuto più conveniente pel luogo di Calvi. E tutto ciò che potei saperne; del resto mi rimasero ignoti e i nomi dei governatori e la data precisa dell’atto, che solo per induzione stabilirei fra il 29 marzo ed il 3 aprile del 1358 ( 2 ). Nel- Confaloniere di Salonie : Venutucio de Casalone. Trovo pure che sotto il precedente governo del Triadano era confaloniere di Nonza Landello da Nonza. Ho dato nomi di persone e di paesi secondo la grafia dei notari da me compulsati. (1) 1368, 30 marzo. Filippo Scalia da una parte e Rainuccio de Turri da Portovenere come procuratore del padre Triadano dall’ altra prorogano al 4 p. v. aprile i termini d’ un compromesso fatto 1’ anno precedente nelle persone di Carlo Cattaneo, Federigo de Pagana e Carlo Malocello. -Voi. Teramo Maggioto, F. 2a, c. 25 r. (2) L’atto originale era stato riunito con molti altri d’ importanza politica in una serie intolata Rerum pubblicarti/n qual sarebbe dovuta riuscire interessantissima (Arch. Secr. n. 495 βίζα B) come una specie dei 302 GIORNALE STORICO E LETTERARIO DELLA LIGURIA l’agosto di quell’anno Triadano della Torre trovavasi sicuramente in Corsica, ma se come governatore o per i suoi affari privati non mi risulta (i). Fra questo tempo e la seconda metà del 1370 deve collocarsi l’altro doppio governo, di Nicola da Levanto q. Levantini, ed Araone da Struppa. Ne abbiamo notizia da una lettera di Lucchino Camilla (2) podestà di Calvi dal 6 giugno 137°) dalla quale pure scorgiamo che a Calvi l’autorità genovese non godeva di un rispetto straordinario ; egli espone al governo centrale che i governatori furono attaccati nel castello, da alcuni af- dtversorum che non cominciano che qualche anno più tardi. Sventuratamente per desiderio di maggior secretezza i più importanti fra quegli atti furono poscia tolti, solo rimanendone per memoria dei piccoli sunti, e riposti in luogo più riservato. Ora molti sembran perduti e le mie ricerche per rinvenir questo riuscirono fino a qui infruttuose. Nel breve sunto conservato non è detto che quanto riferisco; ivi l’atto è segnato come estratto dalla filza atti 1361-71 del not. Raffaele Casanova nella quale portava il n. 32; dalle date che hanno in. 31 e 33 arguisco quella approssimativa di questo che ci interessa, induzione tanto più probabile in quanto, come risulta dalla nota (i) pag. 55 scadenza degli anni dell’ appalto Scalia - Della Torre correva appunto il 9 aprile. (1) 1358, 22 agosto. Bertuccio di Belgodere, di Corsica, riceve L. 18, nolo di barca, da Rainuccio de Turri pel trasporto di nove cavalli speditigli da suo padre Triadano. Not. Benv. Bracelli F.a 12, c. 157. (2) Luchino Camilla, poco prima vice duce, popolare e non dell’albergo nobile de Camilla. Esiste un certo numero di atti della sua podesteria a Calvi, ove successe a Nicolò da Levanto q. Levantini, rogati in quella città, nella filza dei notari Iacobo de Rivermario e Antonio Capello. Dagli stessi vediamo che Lanfranco Drizzacorne, popolare genovese d’ una certa importanza che era stato viceduce e vicario nella riviera di ponente, avea fatto costrurre una nave a Calvi e pretendeva portarla via senza pagar nè gli operai nè i fornitori donde seri tumulti ; il Camilla gli proibì di salpare, ma il Drizza-come ottenne un ordine contrario dal nuovo duce Campofregoso allora eletto. Il Camilla spiega la sua condotta a quest’ ultimo e chiede di presentarsi a Genova e giustificarsi; egli espone come per quella nave siavi a Calvi grande agitazione e pericolo contro 1’ autorità prout pubblicum est quod D. Nicolaum et D. Araonus de Strupa dum essent gubiibernatores fuerunt preliati in castro et iterum fuerunt (per ?) aliquos afferratos per barbam et multa, imurie (sic) fecerunt potestatibus de quo valde dubio (sic) omnia predicta sunt vera (sic....) (not. lac. de Rivermario etc. c. 165). Il da Levanto era consanguineo della moglie del Triadano. GIORNALE STORICO E LETTERARIO DELLA LIGURIA 303 ferrati per la barba, e che molte ingiurie vennero fatte ai podestà. Una prova che nemmeno allora si potea contar sulla sottomissione completa degli antichi signori s’ha pur dal fatto che D. Enrico di S. Antonio, milite, ha ricevuto ordine dal duce Domenico Campofregoso appena allora salito al potere, di mandare a Genova in ostaggio suo figlio Ranuccio (i). Poco prima trovo Triadano della Torre a Genova ed a quanto pare in condizioni finanziarie molto infelici (2), perchè il 10 giugno 1370 un ordine del vicario lo condanna al carcere della malpaga per un debito di L. 250, s. 9 più le spese, verso Gabriele Galluccio, debito da lui confessato con istrumento notarile del 12 novembre 1369. Egli comparisce ugualmente a Genova il 20 ed il 31 luglio dello stesso anno (3). Che sia ritornato in Corsica come governatore, non è dubbio. Per quanto, come già accennai e dovrò accennare ancora, il C irneo ed il Filippini cadano in gravi inesattezze per questo periodo, tuttavia il fatto della morte di Triadano in Corsica, alla Venzolasca, in una mischia fra Cagionacci e Ristagnacci, è da essi troppo concordemente asserito per poter esser messo in dubbio; certi fatti capitali rimangono per lo più ben nitidi nella tradizione, che pur altera i particolari di minor importanza. Ora poi lo conferma, come vedremo, l’attestazione di Rainuccio della Torre, il figlio di Triadano. La sua designa- (1) 1370, 22 agosto. D. Enrico de S. Antonio in conseguenza scioglie coloro che avean fatto fideiussione per lui... Not. lac. de Rivermario cit. c. 163 r. Per incidente noto che in questa filza troviamo alcuni atti nel volgare di Calvi e talune notizie circa all’ amministrazione di quel comune, per esempio quella di tre consoli, del paese, che fungevano come vicari del podestà e come giudici. Vi è menzione d’un D. Raffaele Cantelo vescovo di Nebbio e d’ un corso, Vanucolo de Crochio da Speluncato, podestà di Ba-lagna, ciò che prova che tal ufficio non era più unito a quel genovese di Calvi (ivi, c. 168 r.). (2) 1370, 10 giugno: Ordine del vicario ai suprastanti al carcere della malpaga di custodirvi Triadano de Turri di Portovenere per L. 250 e s. 9 oltre le spese, delle quali si confessò debitore verso mi Gabriele Gallucio con atto 12 novembre 1369 not. Baldass. di Gio. Conrado, salvo al creditore i diritti verso il figlio Rainuccio ed il nipote Giovanni della Torre, fideiussori di Triadano. Not. Ani. de Lazarino, voi. 1358-71 c. 166. (3) Not. Benvenuto Bracclli, F.a 13, c. 20 e 28. 304 GIORNALE STORICO E LETTERARIO DELLA LIGURIA zione a governatore della Corsica è probabile abbia avuto luogo appunto nell’estate del 1370, dopo la deposizione del duce Gabriello Adorno ; una frase, (tune présidentes comuni) dell’ atto di cui ho ritrovato un frammento (1) potrebbe lasciar dubitare che fosse avvenuta nell’intervallo fra !a deposizione dell’Adorno e l’assunzione regolare della carica da parte di Domenico Campofregoso, che sebbene fosse stato un de’ principali autori (e forse il principale assolutamente) della deposizione del suo predecessore, che tenne poi prigione parecchio tempo a Vol-taggio, tuttavia per un tardivo scrupolo di legalità non volle assumer le funzioni ducali se non in seguito ad elezione regolare nelle forme solite. L’incarico, un appalto pare, come la prima volta fu conferito anche questa unitamente a Filippo (1) In n. d. amen. Cum inter comune Janue seu présidentes tunc ipsi cornimi, ex una parte et q. Triadanum de Turri de Portuveneri et Philipum Scaliam ex altera fuit facta certa compositio et conventio occasione gubernationis et administrationis insule Corsice, reddituum et obventionum ipsius, in qua compositione plura acta et conventa inter ipsas partes dictis nominibus et de quibus compositionibus fuit factum pubblicum instrumentum scriptum manu Phil. Noytorani not. MCCCV. - (sic. evidentemente la data è sbagliata). Et in quibus compositionibus est quidam articulus... (segue l’art. delle convenzioni secondo il quale in caso di controversia le parti dovranno ricorrere all’ arbitrato di quattro popolari che potranno aggiungersene un quinto se di pareri divisi, e la pena di lire diecimila alla parte inosservante). Post quam compositionem et concordiam de voluntate et consensu comunis Janue, seu tunc presidentium ipsi comuni, et dicti q. Triadani tunc viventis et etiam dicti Philippi fuit... quod dictus Triadanus solus deberet prosequi et adimplere que per dictos q. Triadanum et Philippum promissa fuerunt ut asserit Raynucius filius dicti q. Triadani infrascriptus, propter quod ipse q. Triadanus solus ivit personaliter ad gubemacionem dicte insule quam gubernavit per annos plures et in dicto loco mortuus est, ut asserit dictus Raynucius, post cuius mortem orte sunt questiones et controversie.., (fra il duce ed il consiglio da una parte e il Rainuccio come erede con beneficio d’ inventario dall’ altra, ognuna delle parti pretendendo che I’ altra non avesse osservato 1 patti)... Tandem prefatus magn. D. Dux eiusque consilium in presentia et autoritate ipsius D. Ducis, in quo consilio interfuit legitimus et sufficiens numerus ipsorum...» (Il seguito manca. Nei not. ignoti, filza senza numero colla sola indicazione 1400-1700; nello stesso foglio (d’un quinterno) atto colla data del 12 aprile 1275; questo di cui abbiamo un frammento dovrebbe essere un de’ due atti 25 novembre 027 dicembre 1375 citati nel MSS. Cicala). GIORNALE STORICO E LETTERARIO DELLA LIGURIA 305 Scalia ed a Triadano della Torre, forse anche perchè quest’ultimo per le sue condizioni finanziarie non presentava sufficienti garanzie di solvibilità degli impegni che assumeva (i). Ma tacitamente s’intese col compartecipe Scalia e coi reggitori del comune eh’ egli solo si sarebbe recato in Corsica e ne avrebbe riassunto il governo. E così avvenne ; l’averlo scelto il comune, non ostante che fosse carico di debiti, per quell’ufficio è indizio che già la prima volta, nei quattro anni del primo appalto collo stesso Scalia, aveva fatto buona prova. Le attestazioni concordi del della Grossa e del Cirneo sono segno che nell’isola rimase la tradizione del suo governo, come quella di un funzionario energico e giusto. Essi gli fan merito d’aver nuovamente spianato i castelli che si rifabbricavano, d’aver privato tutti i signori dei loro stati e governato l’isola in pace e rettamente ; il Cirneo ci dicec he rimise la tranquillità, cominciò a render giustizia, a stabilire ordinamenti, a sciogliere e definir molte questioni. Gli antichi signori feudali piegarono nuovamente il capo sotto il suo energico regime; Enrico della Rocca soltanto, malfidandosi e temendo probabilmente per sè, passò in (i) Fin dal 1347 per pagar L. 135 residuo d’un debito di L. 175 deve ricorrere ad un prestito (Not. Nic. Gironi e Roll. de Manarolia; c. 189-90). Nel 1370 lo abbiali trovato in prigione per debiti (v. s.) nel 137 r quel-1’ Oberto Guercio di cui più volte accennai gli fa un sequestro (Not. Gio. Mastraccio, Fa 2, anno 1371, c. 67). Morì oberato di debiti: la sua vedova, Eliana q. Federico da Levanto nel di lei testamento dichiara che sapendo che non tutti i creditori del marito erano stati interamente pagati abbandona loro quel che sopravanzerà oltre le sue doti ed extra doti dell’ estimo (ipoteca) assegnatole sui beni dello stesso (Not. Ant. de Benisio, F.a 3, c. 190). Suo figlio nel 1382 citato per debiti del padre di cui era unico erede dichiara che nulla ebbe dei beni di lui (Not. Gio. Mastraccio, Fa 2., atti segnati 1373 che sono invece del 1382). Per contro si potrebbe giudicar liberale trovando di lui varie fideiussioni per altri. La lite fra il figlio suo ed erede, Rainuccio, ed il comune, pretendendo ambe le parti che 1’ altra non avesse osservato le convenzioni stabilite pel secondo governatorato Scalia-della Torre, dev’esser cominciata almeno nel 1374; infatti il 22 settembre di quelFanno l’ufficio moneta liquidava già gli onorari al notaro Bald. de Pineto che l’avea sostenuta come procuratore del comune (Rac. 57, c. 55) più tardi, sulla fine del 1375, si terminò con un compromesso com’ era stabilito nel contratto nominando arbitri Gio. Canella, Nicola Maruffo Giovanni Magnerri e Pelegro Mosca. (Federici e Cicala). Gior. St. e Lett. dela Liguria 20 306 GIORNALE STORICO E LETTERARIO DELLA LIGURIA Spagna alla corte del re d’Aragona, incitatore di propositi di invasione nel suo paese come è in generale vezzo degli emigrati e come avviene sempre di questi, strumento opportuno più tardi nelle mani dell’astuto spagnuolo. Ma pur troppo i popolari corsi fecero fallire le speranze risorte pel governo del della Torre colle loro divisioni intestine; una lite fra due famiglie della pieve di Rogna, che in apparenza sembrava di poca importanza, ne assunse poi molta, perchè vi si mischiarono prendendo parte per Γ una o per l’altra, due delle famiglie dei maggiorenti della Corsica, gli Altiani ed i da Casta; questi favorendo i Ristagnacci, gli altri i Cagionacci ; che così si chiamarono le due opposte fazioni. Il sangue corse più volte nei tumulti che quelle dissensioni cagionarono, ed i Ristagnacci soccombenti ricorsero al governatore, il quale cercò di conciliar le fazioni riunendo a parlamento gli uomini del Capocorso, di Nebbio e della terra Bagnaninca, ma invano; chè le discordie s inasprirono e s’estesero in breve a tutta l’isola, la quale cominciò a parteggiar o pei Cagionacci o pei Ristagnacci (i), sicché egli rinunziò pel momento alla speranza di ristabilire la pace e ritornò a Beguglia, sua residenza ordinaria. Frattanto par che i Cagionacci lo accusassero presso il governo genovese di parzialità pei loro avversari; si può arguire almeno dal fatto notato dal Federici e dal Cicala, che il comune il 19 novembre del 1372 mandava in Corsica Melchio da Terrarossa per visitar quelle popolazioni ed esaminar le loro querele e i lamenti contro il governo di Triadano della Torre (2). (1) Secondo una nota del Letteron alla sua traduzione del Filippini (p. 223) la divisione fra Cagionacci e Ristagnacci durava ancora nel 1434. (2) Ad a. 1372: « Melchio de Petrarubea sindico mandato in Corsica a visitare quell isola e a sindacar Triadano della Torre di Portovenere già governatore di quell’ isola, in atti di Raff. de Casanova not. » Fed., collect. Ad a. 1872, a 19 novembre : « Provido vir Melchio de Petrarubea, instrumento di sindacato nella sua persona per dover andar nell’ isola di Corsica per visitar quei popoli e sentir le querelle e lamenti contro Triadano della Torre governatore di detta isola, come in atti di Rafaele Casanova » MSS. Cicala. La parola già del regesto del Federici potrebbe far credere il Triadano già morto, poco prima, perchè il sindacato si faceva appena finito l’ufficio, ma giova notar che lo stesso Federici nell’ABC cita questo sindacato per provar contro l’asserzione del Filippini che il della Torre era vivo; d’altronde 1’ estratto del Cicala più circonstanziato e colla data precisa dell’ istru-mento di nomina del Pietrarossa, parmi più attendibile. GIORNALE STORICO E LETTERARIO DELLA LIGURIA 307 Questi, che sin allora avea temporeggiato distribuendo gli uffici fra i due partiti, pensò di poterli rappacificar completamente ed indisse all’uopo una riunione a Casinca. Per sua sventura egli vi si recò accompagnato da Deodato da Casta (1), la cui famiglia parteggiava pei Ristagnacci e pernottò con lui e con quelli della sua fazione alla Venzolasca mentre gli altri erano al Vescovato. Ciò aumentò i sospetti di questi ultimi che al mattino seguente mentr’egli recavasi a conferir con loro l’as- (1) Questo Deodato da Casta che qui e in seguito trovasi partigiano dei genovesi e la cui famiglia era a capo della fazione de Ristagnacci è, salvo errore, il primo d’ una famiglia di quelle che furon poi dette de’ caporali i lquale trovisi immischiato in codesti moti contro i feudatari corsi. Questo e l’asserzione del Vanucollo da Capocasso, (p. 59) di non volersi associar alla congiura del Bartolomeo Avogario e Giovanni de Mari perchè uno dei maggiori di Corsica, fa credere ben informato il Giustiniani citato dal Gregori nelle sue appendici alla storia del Filippini (Vol. Ili, p. XLIX) che nella lotta fra il popolo corso ed i feudatari quelle famiglie, probabilmente già potenti, stettero a vedere e non se ne vollero impacciare. (N. B. - Copia del dialogo del Giustiniani, MSS, citato dal Gregori esiste anche nella nostra Bibl. Civ.) A proposito sempre dei caporali a quanto ne accennai sopra nella nota (1) a pag. 27 aggiungerò che se il della Grossa dice che i genovesi verso il 1414 stipendiarono per la prima volta il vescovo di Mariana ed altri tre caporali (V. II, p. 238) poco dopo verso il 1425 (ivi, p. 261) scrive che Vicentiello d’Istria ne stipendiava 13, compreso il vescovo d’ Aleria, di cui dà il nome e altri borgo per borgo che più meritavano, sempre col nome di caporali. Poco dopo verso il 1430 sono salariati da Simone de Mari (ivi, p. 262). Evidentemente accettavano volentieri il denaro da tutti. Ciò per l’asserzione recente: che la carica di caporale sia ben genovese: che la republica salariasse gli ufficiali incaricati di mantener la sua influenza nei paesi soggetti alla sua dominazione 0 al suo protettorato, ad Albenga, a S. Remo, a Scio etc. Sarebbe una scoperta ma ha bisogno d’esser suffragata di qualche maggior prova che non la citazione generica: Arch. di S. Giorgio, Reg. introitus et exitus, senza indicazione di volume e di foglio..... Per conto mio non ho mai trovato a Genova qualificati per caporali che dei graduati militari comandanti piccole squadre, proprio come ora; eccetto un unico caso: due mereiai che ne designano un terzo, loro associato, qual caporalis et testa d’ una bottega comune di merceria (Not. Benv. Bracelli, Fa 10, c. 53, anno 1356), ma ancora i due sono fiorentini ed il terzo è d’Arcola, cioè etnograficamente più toscano che ligure. 30S GIORNALE STORICO E LETTERARIO DELLA LIGURIA saltarono e l'uccisero (i). 11 fatto avvenne o sullo scorcio del 1372 o sui principi del 1373 (2). La morte di Triadano della Torre segna la fine delle speranze di veder mantenuta l’opera di Simone Boccanegra; egli, dopo il primo governatore Giovanni Boccanegra, era 1 unico thè la Corsica avesse retta lungamente o collo Scalia o solo, in complesso circa sette anni come esattamente nota Giovanni della Grossa che ignora tuttavia l’interruzione ; a quanto pare v era amato dalle popolazioni nella memoria delle quali il suo nome rimase, e incuteva rispetto agli antichi signori. Questi, lui spaiito dalla scena, credettero giunto il momento di rialzar il capo, come già avean fatto allorché s’era allontanato Giovanni Boccanegra. nuovamente incominciarono le loro solite cerimonie di ribellione, scrive il della Grossa e conferma il Cirneo; ma il popolo corso questa volta ritrovò ancora in sè tanta energia da rintuzzare il loro attacco; anzi a quanto scrive il primo, Sambocuccio d’Alando, Franceschino d’Eviza ed altri di quei principali popolari, si recarono nell'Oltremonti, nel Cinarchese sempre cittadella e ridotto del feudalismo indigeno, e lo sottomisero. Dubito tuttavia che la vittoria dei corsi contro la reazione feudale sia stata questa volta così completa come parrebbe dal racconto del della Grossa e del Cirneo. Nel Capocorso, dove abbiam visto i feudatari d’origine genovese agitarsi e cospirar fin dal 1365 e 66, forse in quest'epoca i de Mari già riuscirono a riprendere i loro stati (3). Potrebb’esser che a questo tempo (1) Così Gio. della Grossa; il Cirneo invece parla d’una fiera battaglia fra i due partiti nella quale Triadano sarebbe caduto. (2) Certo ai primi del febbraio del 1373 il Triadano era morto; trovo menzionata a quella data una casa in borgo di Portovenere degli eredi q. Triadani de Portuveneri negli atti del Not. Benv. Bracelli Fa 13 a c. 109. Dippiù nel già citato atto del Not. Gio. Mostracelo con cui Rainucio dichiara di non aver avuto nulla dall’eredità patema (v.s.) è indicata una sentenza pronunciata contro di lui come erede del padre il 2 agosto 1373· Qualche volta tanto Triadano quanto Rainucio sono nominati semplicemente de Portuveneri. (3) Nel 1364, il 7 ottobre Giovanni, Colombano ed Angelino de Mari in un atto pubblico a Genova si qualificano signori di Capocorso ed in tal qualità conferiscono la rettoria di S. Cipriano in Corsica a un prete corso. Si noti che due di tali fratelli, Colombano e Angelo, secondo il della Grossa sarebbero stati gli strenui difensori del castello di S. Colombano contro Pa- GIORNALE STORICO E LETTERARIO DELLA LIGURIA 3O9 fosse da collocarsi l’insucesso dell’attacco di S. Colombano, riavuto dai De Mari per tradimento del castellano, e inutilmente assediato dai corsi capitanati da Paganello del Vescovato. Si noti che, come abbiamo veduto nella congiura di Gerono de lo Frasso, codesti signori del Capocorso, i de Mari principalmente, continuavano a disporre di armigeri e sopratutto di balestrieri in quantità considerevole, più che la republica non ne mantenesse ne' suoi castelli di Calvi, ove avea io balestrieri, e di Bonifacio, il di cui presidio era di 9 servienti. Ma i popolani corsi profondamente divisi dalle due fazioni interne, minacciati dalla reazione feudale che, mantenendosi viva nei due suoi focolari del Capocorso e del Cinarchese, era sempre pronta ad irrompere, non si dovevano sentir troppo sicuri, e probabilmente si rivolsero di nuovo a Genova per soccorsi ; almeno così parmi poter arguire dalla presenza in questa città in momenti tanto difficili per l’isola, di Sambocuccio d’Alando (1). Sventuratamente a Genova scomparso Simone Boccanegra par fosse invalsa molta indifferenza per le cose di Corsica; già dissi come invece che ad un governatore circondato dal prestigio d’un certo fasto, solo dopo qualche tempo il duce Gabriello Adorno si fosse deciso a dar il governo dell’isola in appalto, quasi a cottimo, per economia a due governatori che doveano contemporaneamente reggere la castellania di Calvi ; siccome ogni duce successivo rappresentava una reazione contro il sistema del predecessore, così parve che Domenico Campofregoso dovesse interessarsi maggiormente degli affari dell’ isola, ed infatti al suo governo io credo sia da ascriversi d’avervi rinviato Triadano. Ma probabilmente anche l'opinione pubblica a Genova considerava l’unione della Corsica con una tal quale indifferenza o anche come un peso, sinché la minaccia di vederla occupata dagli ganello del Vescovato; si noti ancora che la signoria dei de Mari come quelle dei Gentile furono espressamente riservate nell’ infeudazione alla maona e, secondo dirò appresso, credo molto probabile che sia Leonello Lomellini come Luigi Tortorino non siansi recati in Corsica che nell’ estate inoltrata o l’autunno del 1378, dopo che n’erano stati investiti come feudatari. (') '373· 3° Agosto: « Sambocucius de Alano de Corsica » testimone a Genova in un atto in contrada S. Giorgio, in Not. Benvenuto de Bracelli, Fa 13, c. 134. 310 GIORNALE STORICO E LETTERARIO DELLA LIGURIA aragonesi non fece aprir gli occhi. S’aggiunga che il governo genovese avea ben gravi preoccupazioni e pericoli più urgenti pel momento. Subito dopo la elezione la rivolta dei Fieschi, come tutte le grandi famiglie genovesi, nobili o popolari che fossero, sempre faziosi allorché non potevano dominare il comune; poi una gravissima pestilenza, indi nel 1372 il riaccendersi della guerra fatale con Venezia e col re di Cipro; nel 1373 appunto, prima la piccola spedizione di Damiano Cattaneo, poi quella maggiore e che riuscì vittoriosa, di Pietro da Campofregoso. Sicché 1’ attenzione era distratta dalla Corsica, e soltanto trovo notato l’invio nell'isola verso la metà del novembre 1373 di Eustacchio Veneroso (1). Inclino quindi a ritenere che Triadano della Torre non sia stato subito sostituito (2). Nel 1374, se non prima, fu mandato governatore Andriolo Figone, e da quel che pare fu scelta molto infelice; io credo che sia di lui che intende parlar il della Grossa che invece mette Giovanni Magnerri, dicendo che opprimeva sommamente la parte Cagionacela per la morte di Triadano e ciò con tanto rigore che il popolo lo mandò nuovamente a Genova gravandosi di tal cosa, e il Cirneo che confondendolo del pari col Magnerri lo dice (1) 1373, IO novembre. Eustacchio Veneroso nuper iturus in Corsicam pro certis servietis comunis - deliber, off. moneta, 27 ottobre detto anno L. 100. Rac. 56, c. 64 r. (2) Par si possa escludere che Giovanni Magnerri abbia preceduto o seguito Andriolo Figone nel governo della Corsica. Anzitutto egli era dei partigiani più accaniti di Gabriele Adorno, di cui s’era reso benemerito nel 1365 al-1’ epoca della sedizione di Leonardo da Montaldo del quale assaltò la casa che allora fu saccheggiata, e perciò non dovea esser ben e vi so del Campofregoso. D’altra parte nel 1373 egli è a Genova ove vende la sua galea al comune (Fed., ABC) del dicembre 1373 è anziano (MSS. Cicala) e il 3 e 4 10 trovo in fruizione (Rac. 56, c. 39 e 137), il 21 novembre 1374 è a Genova arbitro in una causa (Λ'οί. Amò. Fasceto, v. 1374. c. 167), nell’aprile del 1375 come anziano assiste al consiglio (Arch. Sec., MSS. 104, c. 26, 27). 11 12 giugno come vedremo fu mandato in Corsica Araone da Struppa. Aggiungo ancora che sull'ultimo del governo del Fregoso il 19 aprile 1378 il Magnerri ricevette 1’ ordine di imbarcarsi e partir tosto per Cipro coi liale-streri e i soci d'una nave, indizio probabilmente che non era beneviso [MSS. 103, c. 72). GIORNALE STORICO E LETTERARIO DELLA LIGURIA fazioso (i). Pare infatti ch’egli siasi lasciato avvolgere completamente dalla parte Ristagnaccia e che servendo senza accorgersene ai rancori della stessa intendesse governar con gran rigore, instituir procedimenti contro coloro che gli sembravano sfavorevoli al comune di Genova e partigiani dei ribelli, e che trovando ostacoli nella popolazione, siasi rivolto inutilmente al governo ducale. Ma questo era allora alieno dall’inoltrarsi per una via di violenta repressione e non gli prestò ascolto, il che gli fu poi ascritto a colpa, e frattanto l’animosità contro il Figone divenne ostilità aperta, onde egli fu espulso dall’isola vergognosamente (2). 11 13 aprile 1375 lo trovo già a Genova (3). Dopo un governatore genovese assassinato, ne abbiamo uno discacciato ignominiosamente. Sono gravi indizi che accennano al rapido declinar dell’influenza genovese in Corsica. Non par tuttavia che a Genova se ne allarmino quanto il fatto richie<-derebbe; ciò dipendeva forse dall’apatia che, scomparso il (1) «—Mortuo gjbematore principes factionum imperium occupare mna, buntur ; obstantibus populo corso duce Sambocucio ut libertas servaretur. Genuenses vero ab oratoribus corsis rogati, Joannem Magnaram in insulam miserunt et cum non posset insulam, erat enim factiosus, pacare, miserunt duos » etc... Cirneo. (2) Marco de Marini, Pietro de Spignano e Manuele de Bobio, tre dei quattro di detti (?) ufficiali su domanda di Andriolo Figone riconoscono 1 ex duce Domenico Campofregoso colpevole : « maxime in eo quod ipse sepius requisitus per dictum Andriolum tunc officialem comunis Janue et prò dicto comuni existentem gubernatorem in insula Corsice quod ipse deberet providere ne in dicto officio turbaretur per aliquos ipsum Andriolum turbantes et impedientes processus ipsius Andrioli contra non faventes et (contra) adhérentes rebellibus dicti comunis et ipsius Andrioli gubernatoris dicte insule pro dicto comuni et ipse D. Dominicus cui racione dignitatis ducalis imminebat de opportuno remedio provideri, neglexit talibus obviare et conniventibus oculis pertransivit quotiescumque talia ad noticiam eius pervenerint ut clare ex pre-dictis percepimus et sic in tantum crevit rebellium et dictorum turbatorum maliciam quod dictus Andriolus de dicta insula extitit ignominiose per dictos rebelles expulsus in magnum prejudicium et dedecus ipsius comunis ».... e con danno del detto Andriolo al qual pertanto lo condannano a pagar L. 1700 Per risarcimento. (Da un frammento senza data Fa 150 not. ignoti). (3) Anziano assiste ad una seduta del consiglio (Arch. Secr. MSS. 104, c. 26) 3Γ2 GIORNALE STORICO E LETTERARIO DELLA LIGURIA Boccanegra, par sia subentrata al primo fervore per 1 unione, forse anco dalle gravi preoccupazioni che cagionava la gueria riaccesa con Venezia. È pur possibile che si reluttasse da misure gravi di rigore contro i corsi sentendo d'aver grande ob bligazione a quel popolo, come scrive il della Grossa; certo questa reluttanza v’era nel governo del Campofregoso ; lo si scorge dalla sua condotta, allorché Andriolo Figone instava per esseie coadiuvato in una violenta repressione (i). Perciò a Genova decidono di tentar colla persuasione di richiamare i corsi agli antichi legami d’amicizia, e deliberano l’invio nell isola d^ un rappresentante del governo ducale coi più ampi poteri. L individuo scelto è Araone da StruppaTyersona molto autorevole che conosceva la Corsica per esservi stato podestà a Bonifacio dal novembre del 1363 all’aprile del 1365, poi governatore con Nicola da Levanto dopo il primo periodo del governo Scalia-.della Torre fra il 1368 ed il 137°· Era stato vicario nella Riviera di Levante oltre Petra Colice nel 1372, anziano nel I374> lo fu anche dopo nel 1382; comandò poi con successo due squadre genovesi nel 1377-78 e più tardi nel 1384. Si può pertanto ragionevolmente supporre che per conoscenza di quelle popolazioni, per il prestigio degli uffici già coperti e le distinte qualità personali la scelta fosse buona. La nomina è fatta il 12 giugno 1375. Egli ha ricevuto istruzioni a voce e per iscritto per riconciliare e ricondurre all’ amore del comune di Genova tutti i corsi che s’opposero all’ex governatore Andriolo Figone o si ribellarono contro il comune di Genova o quelli fra essi che a lui parrà ; gli è lasciato la maggior latitudine di poteri per far ciò, solo richiedendo che di tali riconciliazioni si redigano formali’ istrumenti. Pia la facoltà di far intimazioni e precetti ai corsi ed ai signori del Capocorso, Gentili e de Mari, quando lo ritenga opportuno, d’impor loro quelle multe e pene che crederà convenienti e gli si delega ogni facoltà che competerebbe al duce (1) Non. è nemmeno possibile collocar l’invio in Corsica dei due governatori Lomellino e Tortorino dopo la scacciata del Figone perche un di essi, Luigi Tortorino, lo trovo a Genova ufficiale victualium, dal 30 maggio al 27 luglio 1375, presente a vari atti dell’ufficio stesso (Ardi. Secr., MSS. 104, c. 30, 32, 39, 49). GIORNALE STORICO E LETTERARIO DELLA LIGURIA SU e al consiglio, senza che perciò gli occorra nuovo speciale mandato (1). La scelta dell’ inviato, l’ampiezza dei poteri conferitigli sono indizio della sincerità del governo del Campofregoso, di rappacificare la Corsica e ripristinare l’antica unione con quel (1) « In n. D. amen. Mcus et potens etc. (il duce egli anziani di cui seguono i nomi, ad unanimità di voti, 12, a votazione secreta)... Ex ornili potestate et baylia eisdem Mc0 D... Duci et consilio comuniter et divisim attributis et omni modo, jure et forma quibus melius potuerunt et possunt, fecerunt, constituerunt et ordinaverunt eorum dicto nomine et dicti comunis Janue certum nuncium, sindicum, actorem et procuratorem et quid quid melius fieri et esse potest prudentem virum Araonum de Strupa civem Janue absentem tamquam presentem ad eundum et se transferendum nomine et pro parte ipsorum M.ci D... ducis et consillii et comunis Janue in insula Corsice et ad illas terras et loca dicte insule de quibus ipsi sindico et procuratori videbitur et ad dicendum et exponendum quibuscumque corsis seu illis corsis dicte insule de quibus ipsi sindico et procuratori videbitur et ad faciendum ea omnia et singula que prefati D... Dux et consilium dicto nomine verbotenus et in scriptis eidem Araono duxerint committenda, propterea ad reconciliandum et ad gratiam, benevolentiam et amorem prefatorum D... Ducis et consilii comunis Janue reducendi omnes et singulos corsos dicte insule qui contra Andriolum Figonum olim gubernatorem dicte insule se opposuerunt seu se in rebellione dicti comunis posuerunt qui se ad dicti comunis Janue gratiam et benevolentiam reduci voluerunt seu quos ex ipsis voluerit sindicus predictus sub illis formis condicionibus et temporibus de quibus dicto sindico et procuratori eorum videbitur convenire et prout et sicut eisdem sindico et procuratore videbitur et placuerit. Et ad faciendum de dicta reconciliatione et indulgentiam unum et plura publicum instrumentum et pubblica instrumenta cum clausulis, promissionibus, securitatibus etc. Item ad faciendum nomine dictorum D____ ducis et consilii et comunis Janue dictis corsis et quilibet eorum nec non quibuscumque nobilibus de Mari et de Avogariis in dicta insula habitantibus ac etiam qui-buscumque castellanis et aliis personis dicte insule omnem denunciationem, protestationem ac omne preceptum de quibus ipsi sindico et procuratori videbitur et sub illis penis et multis de quibus ipsi sind. et proc. videbitur expedire. Et demun generaliter ad omnia alia et singula facienda in pre-dictis et circa predictis et dependentibus incidentibus emergentibus accessoriis et conexis predictis et a predictis et quolibet predictorum fuerint neccessaria et opportuna et que prefati D.... dux consilium et comune facere possent etiam si mandatum exigent speciale. Dantes.... plenum liberum et generale mandatum cum plena libera et generale administracione. Promittentes... se dicto nomine perpetuo habituros ratum, gratum et firmum quid quid et quantum per dictum sindicum et procuratorem eorum.... actum gestum factum seu procuratum fuerit. 1375 ind. Xll 12 giugno. (Arch. Sec. MSS., 104, c. 36). 314 GIORNALE STORICO E LETTERARIO DELLA LIGURIA popolo ; notiamo che questa volta ancora i feudatari del Capocorso non par godano d’una condizione privilegiata; sono sottoposti alla giurisdizione del rappresentante del comune che può far ad essi come a tutti gli altri intimazioni, precetti, imporre multe ed altre pene. Come sian procedute le trattative dello Struppa coi corsi non sappiamo, poiché i due storici corsi, nostro sussidio solito in questa fase degli avvenimenti, dell’invio di Araone da Struppa nulla seppero; dai fatti successivi tuttavia possiamo arguire che anche quest’ ultimo tentativo di riannodar le antiche cordiali relazioni fra Genova ed il popolo corso è fallito ; certo lo Struppa non rimase a lungo colà, seppure vi andò, perchè nell’agosto del 1377 con una squadra di 10 galee partì per l’oriente. Sventuratamente il ripristinar le antiche e cordiali relazioni fra Genova ed il popolo corso ormai era divenuto difficile; da un lato era naturale che a Genova l’uccisione di Triadano della Torre e l’espulsione di Andriolo Figone avessero accresciuto il numero di coloro che giudicavano severamente i corsi, dall’ altra questi essendo profondamente scissi in due accanite fazioni ne conseguiva che una di esse, quella che sospettava d’esser meno favorita dal governo genovese, fosse a questo avversa. E a fomentar la divisione fra i corsi e l’ostilità contro Genova giungeva nell’isola Enrico della Rocca, che tosto riusciva ad amicarsi la fazione dei Cagionacci. Costui alla corte d’Aragona era stato accarezzato da quel re che, pur covando pensieri di vendetta cóntro Genova, non s’ attentava ancora di palesarli, dandogli abbastanza da fare l’ostinata resistenza dei sardi, i quali nel 1376 avean ridotto a mal partito le sue truppe (1). Ma intanto lasciò partir per la Corsica il della Rocca, forse anche lo instigò al viaggio e probabilmente sin d’ allora lo sovvenne di qualche aiuto. Enrico della Rocca non tardò a far parlar di sè; poco dopo il suo sbarco all’Olmeto s’impadronì di Cinerea, che i genovesi tenevano sin dal 1358, e coll’aiuto de’ Cagionacci si rese signore dell’isola, facendosene acclamar conte a Beguglia, la sede solita dei governatori genovesi. (1) Zurita, Ann. Arag., L. X, c. 280 r. GIORNALE STORICO E LETTERARIO DELLA LIGURIA 3 I 5 Io non trovo che dopo l’invio di Araone da Struppa altri governatori siano stati spediti da Genova in Corsica; che l’isola rimasta qualche tempo senza governatori genovesi dopo la nomina d Eniico della Rocca a conte di Corsica, ce lo dice il della Glossa, che così fosse in questo periodo si può credere riflettendo che veramente allora in Corsica non eranvi territori da governare, bisognava prima riconquistarli ; Bonifacio e Calvi, unici luoghi rimasti fedeli a Genova aveano i loro podestà, le signorie del Capocorso erano, almeno in parte, ristabilite, il resto dell’isola obbediva ad Enrico della Rocca. Nell’autunno del 1377 si ha un piccolo invio nell’isola di 25 balestrieri col capitano Nicola Bonaverio, scarsa forza probabilmente appena destinata a rinforzar il presidio di Calvi. Per opporsi ad Enrico della Rocca secondo il Roccatagliata, citato al solito dal Federici e dal Cicala, più tardi nel 1370 fu pure spedito nell’isola Paolo della Crovara; con quali forze non ci dicono, ma non doveano esser gran che per quel che vedremo; nè sappiamo se fu sulla fine del ducato di Domenico Campofregoso o sui principi di quel di Nicola Goarco (1). È certo tuttavia che a Genova l’impegno di difendere la Corsica era diventato molto pesante, e già alla fine del 1377 probabilmente si studiava di liberarsene, pur trovando (I) Il della Grossa dice che Paolo della Corvara o Crovaria (che il Filippini nella sua trascrizione ha mutato in Paolo della Rovere) fu spedito governatore in Corsica dopo Cristoforo Maruffo, governò pochi mesi e fu sostituito da Lionello Lomellini, il quale ritornò e riprese il governo; sarebbe perciò posteriormente alla maona. Si tratta ora d’un invio precedente od è 10 stesso fatto che il della Grossa ha confuso come in generale m’avvidi aver fatto degli avvenimenti di questo periodo? È una questione che esaminerò a suo tempo, volendo limitare per ora il mio racconto sino all’ infeudatone della Corsica alla maona. Questo invio di Paolo della Crovara in Corsica per opporsi ad Enrico della Rocca è accennato nelle note del Federici e del Cicala, che entrambi citano i manoscritti del Roccatagliata, i famosi quinterni conservati nell’archivio secreto del Senato a cui allude spesso 11 Federici. Di notizie circa la Corsica in quest’epoca non se ne trovano negli estratti del Roccatagliata che son nelle nostre biblioteche ed archivi ma sappiamo dal Desimoni che la maggior parte di quei quinterni sono a Parigi, presso quel ministero degli esteri ove esiste un vero tesoro di documenti delll nostra storia dei quali speriamo ottengasi almeno copia. 3l6 giornale storico E LETTERARIO DELLA LIGURIA modo di tenerla in qualche guisa sotto l’influenza genovese, a fin che non potessero stabilirvisi gli aragonesi, come era ovvio temere dopo il ritorno di Enrico della Rocca. Il 13 gennaio 1378 il duce Domenico Campofregoso e gli anziani, considerando le condizioni in cui versava la Corsica, le gravi spese che era costata al comune, le quali questo non intendeva più oltre sostenere; considerando sopratutto le guerre in cui era Genova impegnata e quelle che la minacciavano imminenti, deliberarono di modificar gli statuti che proibivano di alienare castelli e giurisdizioni del comune, per quanto riguardava la Corsica, eccettuato per i territori di Bonifacio e di Calvi. Il concetto di infeudarla ad una maona di privati emerge già chiaramente. La formola delle modificazioni da introdursi negli statuti, redatta dal cancelliere Aldebrando de Corvaria, è sottoposta all’ assemblea di quaranta sapienti, dei vicari, vessiliferi e conestabili, che 1' approvano per alzata e seduta ed eleggono i sei riformatori dai quali quella proposta riceve la sua redazione definitiva, solo introducendovisi una clausola per meglio salvaguardar gli interessi finanziari del comune (1). Da questo (1) « 1378 die 13 Ian. Meus D. Dus et eius consilium in legittimo et pieno numero congregati ; attendentes quod utilitati comuni Janue convenit emendari regulam positam sub rubricam de non alienando castra et turisdi-ciones comunis Janua et quod eis videtur dictam regulam corrigendam, emendandam, declarandam sive interpretandam esse, mandaverunt mihi Aldebrando de Corvaria notario et ipsorum cancellario quatenus dictam regulam in scriptis redigeram ut de mense presenti januari dicta regula possit exponi coram officio quadraginta et etiam coram vicariis vexilliferis (alias confalonieri) et conesta-bilibus civitatis Janue et burgorum. Qui volens parere mandatis ipsorum eam-dem regulam in scriptis redegi in forma que sequitur. — Videlicet quia visa regula posita sub rubrica de non alienando castra vel jurisdiciones comunis Janue, attentis condicionibus et statu insule Corsice et quia comune Janue pro defensione ipsius insule hactenus substinuit magnas expensas quas non intendit ulterius substineri, maxime consideratis conditionibus guerrarum quod ad presens comuni Janue imminere creduntur. Statuerunt et deliberaverunt quod reguletur quod dicta regula sive aliquibus contentis in ea vel aliquibus aliis regulis capitulis vel ordinamentis comunis Janue non obstantibus supra-dicti D. Dux et eius consilium et officiales sive officia quibus per ipsos D. Ducem et consilium transmissum fuerit habeant potestatem concedendi alienandi et transferrendi dictam insulam Corsice in quascumque personas eis videbitur et placuerit januenses videlicet, illis pactis conventionibus et formis de quibus GIORNALE STORICO e LETTERARIO DELLA LIGURIA 3 I 7 punto 1 abbandono della Corsica ad una speculazione privata è deciso in massima, non si tratta che di attuarlo. Frattanto a Genova avviene un de’ soliti mutamenti dei duci popolari, eletti a vita ma de' quali in realtà non morirono in carica se non coloro i quali, come il da Murta e Leonardo da Montaldo, ebbero l’accortezza di morir per tempo. Il 17 giugno inopinatamente il duce Domenico Campofregoso è deposto ed eletto in sua vece Nicola Goarco, colle solite conseguenze pel predecessore, d’essere imprigionato, egli e suo fratello Pietro. 11 carattere più spiccato del nuovo governo è la riammissione dei nobili che dopo il ducato di Giovanni Valente n’ erano rimasti constantemente esclusi, alla metà di tutti gli uffici ; ne entrano subito sei fra i dodici anziani. Quanto alla Corsica il nuovo governo non fa che attuare quel che già evidentemente il precedente avea divisato, l’infeudazione dell’isola ad una società di privati cittadini. Unica differenza, a cagione del nuovo indirizzo, e forse causa non ultima della mutazione di governo, la partecipazione d’alcuni nobili nella speculazione e forse le clausole che riguardano i nobili Gentili e de Mari di Corsica, come vedremo in appresso. A scusare in parte la grave decisione, già meditata dal governo del Campofregoso e che ora vedremo attuata dal Goarco, eis prò salute et comodo comunis Janue melius videbitur expedire. Salvo et excepto quod de castris, jurisdictionibus, hominibus et territoriis castrorum Bonifacii et Calvi in insula Corsice constitutorum nulla alienatione vel translatione facere possint nec de eis habeant aliquam potestatem. Qui D. dux et consilium antianorum mandaverunt officium quadraginta sapientium qui nunc extitit, etiam vicarios, vexilliferos et contestabiles civitatis Janue et burgorum... » Seguita dicendo che questi convocati nella camera del vice duce approvaron per alzata e seduta che la regola così modificata fosse formulata dai regulatori novi eligendi e questi il 30 gennaio 1378, all’unanimità di sei voti l’approvarono nella redazione come sopra « cam ista tamen adìcione, videlicet dummodo per predictam concessionem, alienacionem et translationem fienda de dieta insula Corsice nullam fiet vel fieri posset quovis modo prejudicium dampnum seu derogatio aliquibus introito, toltis vel cabellis comunis Janue comperarum capituli vel etiam contra quamcunque aliarum comperarum dicti comunis vel aliam earum ». I sei regulatores eletti il 19 di quel mese premettono che hanno comunicato et partecipato consilio et colloquio de predictis iti infrascripta regula nostra nova contentis cum compluribus bonis et famosis civibus Janue. (Ardi. Sec., MSS. 104, c. 135 bis). 3 1S GIORNALE STORICO E LETTERARIO DELLA LIGURIA conviene ricordar le gravissime condizioni in cui allora versava il comune. All’estero è in guerra con Venezia, col re Pierino di Cipro, coi Visconti eli Milano; nel territorio stesso della re-publica il vescovo d’Albenga e i marchesi di Finale, profittando degli imbarazzi del governo ducale, s’erano impossessati d’Albenga, di Noli e di Castelfranco. Le spese divenute enormi, ep-perciò aumentate le imposte e stabiliti prestiti. La Corsica ove la popolazione, mobile per indole, s’ è in gran parte dichiarata favorevole ad Enrico della Rocca; questi potente e minaccioso, aiutato da D. Pedro d’Aragona che con insigne malafede, mentre rinnoverà le condizioni stabilite dal marchese di Monferrato al-l’epoca del Boccanegra, ottenendone il vantaggio che Genova abbandoni i sardi ed il suo antico alleato, il giudice d’Arborea, poi, proprio in questi tempi, manderà ordine ai suoi ufficiali in Sardegna, perchè sovvengano ad Enrico della Rocca nella guerra che ha intrapreso contro Genova (i). E infatti, dopo sconfitti i signori del Capocorso e Deodato da Casta che con truppe assoldate lo avean stretto a Corte, Enrico spiegando apertamente le insegne d’Aragona s’ avanzò trionfalmente sino a Canistrello di Capocorso, anche questa regione sottoponendo all’ autorità sua. In queste contingenze il governo di Nicola Goarco effettua l’infeudazione della Corsica alla maona di Leonello Lomellini (i) « Confìrmose in esto tiempo (1378, lo dice anche il Giustiniani) la concordia que el rey tenia con la Senoria de Genova por medio de Ramon de Villanova camarero del rey y de Damian Cattaneo ambaxador de la senoria que vino a Barcellona; y el duque Nicolas de Goarco y el conseyo de los dozes ancianos de aquella seBoria tornaro a aprovar· la paz que se hizo por el marquez de Monferrato, reservando lo que toccava a Alquer, y offercieron el duque y la senoria de non dar favor a los rebeldes de Cerdeüa, y que los de Bonifacio y de otros lugares de Corcega que eran de la senoria, non lle-varian provisiones ni mercaderias a las tierras que se tenian por el juez de Arborea. Estava entonces parte de la isla de Corcega puesta en armas contro los govematores de la senoria de Genova, y el principal que sustentava esta parte era el conte Arrigo de la Roca a quie el rey màdo dar favor para que se defendiessen en su obbediencia los castillos que seguian esta voz ». Zurita, op. cit., Lib. X, c. 283. E infatti allorché i maonesi attaccarono e presero il castello di Nonza, lo trovaron difeso da una guarnigione catalana. (Filippini, vol II, p. 208). TORNALE SI ORICO E LETTERARIO DELLA LIGURIA 319 „ 1 , — uu sdieuue stato in j; n . omanda d’intervento del governo da parte dei Gentili ^■ Brando e d. Nonza, dei de Mari e di Deodato da Casta, ossia feudatari genovesi del Capocorso e della parte Ristagnaccia ; on 0 1 Cirneo da parte del popolo corso, che stanco della 8 C,Vlle un’altra volta avrebbe chiesto a Genova che assumesse ,1 governo diretto dell’isola. Delle due domande la prima parmi più probabile; certo fu quella che nelle condizioni allora dovea aver più peso sulle decisioni del duce e degli anziani. Ma sì fatte domande, se vi furono, non ebbero altra conseguenza che di affrettar l'infeudazione, giacché la stessa in massima era stabilita come vedemmo, sin dai primi del gennaio 1378. Nel fatto poi la repubblica nel ceder la Corsica, riservandosi Bonifacio e Calvi, cedeva dei diritti ma nessun possesso reale, poiché in quel momento il possessore della Corsica era E nnco della Rocca e Genova non vi avea altri luoghi che omfacio e Calvi; il Filippini aggiunge S. Colombano, ma ho in icato le ragioni per le quali credo che quest’ultimo castello fosse ritornato in possesso dei de Mari sin dal 1374; forse egli lo considera possesso genovese, perchè di cittadini genovesi e allora rappacificati col comune. L’investitura dell’isola ai nuovi feudatari è fatta formalmente il 27 agosto 1378, dal duce as- (i) Chiamo la maona dal nome del Lomellini, sebbene egli non fosse che uno de’ sei che la componevano, ed il quarto in ordine fra i nominati nell atto d’infeudazione, perchè così comunemente è chiamata, essendo egli da quel che pare la persona più influente della società, quel che acquistò p^oi la parte degli altri maonesi e in conseguenza ottenne in seguito sotto la do-minazione francese l’infeudazione per se di tutia la Corsica col titolo di conte Quanto a Peliegro Imperiale, altro dei nominati, deve aver ceduto poco dopo la sua partecipazione, poiché non è mai nominato dal Filippini, nè fra i maonesi nè fra i governatori. Osservo che malamente nella traduzione francese della cronaca del della Grossa si sostituì il nome di Frugone a quel di Figone. La parentela Frugone, tuttora numerosa, meno il ramo patrizio che I’ estinse prestissimo, non ha nulla di comune coi Figone, i quali poco dopo 1’ epoca di cui parliamo entraron nell’ albergo popolare De Franchi. Leouello Lomellini e Pellegro Imperiale sono i primi nobili, che dopo il 1358 troviamo mischiati negli affari di Corsica ; i Boccanegra, Montaldo, Levanto, Torre, Scalia, b igone, Struppa, eran tutti popolari come pure Magnerri, Maruffò, Tortorino e Corvara. 320 GIORNALE STORICO E LETTERARIO DELLA LIGURIA sistito dal consiglio degli anziani (i). La Corsica è concessa ai maonesi in perpetuo in feudo retto, nobile e gentile, con tutti i diritti che spettavano su di essa al comune di Genova, meio e misto impero, giurisdizione plenaria, cum jure exercitus, cavalcate, angariis et perangariis, dacitis et collectis, fodris et foc/s, e ogni diritto, servitù o regalia già appartenente al comune, o che gli potesse appartener per cagion nova in avvenire. Non sono esclusi dal feudo che i territori di Bonilacio e Calvi e le signorie dei Gentili e dei de Mari del Capocorso; nemmeno in caso d’inosservanza dei patti i feudatari decadranno dalla concessione e solo saran passibili di multa. Essi per contro, oltre 1’ omaggio feudale d’ un cavallo, s’obbligano a riconquistar l’isola in tre anni spendendo sino a 40000 lire in tale impresa, il comune fornirà loro una galea ed occorrendo ne impresterà una seconda ed una terza. Nell’atto d'investitura sono tutelati i diritti di Bonifacio e di Calvi, quelli dei Gentili e dei de Mari di Capocorso, ma dei diritti dei corsi, dei patti solennemente convenuti venti anni prima fra quel popolo e il comune di Genova non una parola; l’investitura è completa e senza restrizione d’ alcun dei diritti che al feudatario competono verso i vassalli. Il governo di Genova non si considera più come obbligato verso il popolo corso da un patto reciproco; è vero però che neppure i corsi s' erano dal canto loro considerati obbligati dalla fedeltà giurata a Genova; il ramo d’ulivo offerto per mezzo d’Araone da Struppa era stato respinto ed i popolari corsi colle loro fazioni intestine aveano reso molto difficile il funzionamento d’ un governo imparziale; certo poi negli ultimi tempi dovettero parteggiare nella maggioranza per Enrico della Rocca, se costui con pochi soccorsi del re d’Aragona in breve tempo avea potuto impadronirsi di tutta 1’ isola. Ora i signori del Capocorso, i primi, come abbiam visto, a cospirar contro i governatori genovesi, son quelli che il governo di Genova cerca tutelar contro Enrico della Rocca; in Corsica la parte Ristagnacela diventa 1’ alleata dei nuovi feudatari. Si vede che, lontani ormai a Genova dall’ ostilità del Boccanegra contro i nobili, questi che han ripreso influenza nei consigli, patrocinano gli interessi dei (1) Vedi appendice. GIORNALE STORICO E LETTERARIO DELLA LIGURIA 32 I due alberghi nobili dei Gentili e dei di Mari; e nobili e ottimati popolo, per naturale andamento delle cose, si uniscono per speculazioni in comune. Esaminando attentamente la minuta dell’atto d’investitura due cose m han colpito. La prima, che la deliberazione figura presa ad unanimità di 13 voti, il duce e i dodici anziani, e tal unanimità di 13 voti è ripetuta anche in calce della minuta dell atto. Ora nel fatto gli anziani che assistono alla deliberazione e de quali vengono riportati i nomi non sono che dieci, sci nobili e quattro popolari, mancano due anziani di quest’ ultima categoria. La seconda è che i concessionari del feudo mentre compariscono nominativamente soltanto quattro, son sei sin dal primo momento: Luigi Tortorino, Andriolo Figone, Pelegro Imperiale e Leonello Lomellini appariscono indicati nel-1 atto, tuttavia essi stipulano anche nomine et vice sociorum suo- 1 uni quos nominabunt m tres menses proximos venturos, ma che evidentemente esistono già sin d’ ora. E che sia così e che fosse sin d allora completa la maona ne’ suoi sei membri, risulta dal- l atto stesso più innanzi, ove spiegando i doveri dei feudatari verso il duce ed il consiglio è detto: 1 estât in eisdem sex supra-dictis quod consilium et auxilium domino suo fideles presta-bunt. (v. p 91). La parola sex è aggiunta ben chiara della stessa mano che scrisse tutte le altre postille; è forse un’ingenuità sfuggita al cancelliere ma non lascia dubbio. Chi fossero i due maonesi ben sappiamo; li nomina il della Grossa e li comprende il Roccatagliata fra i commissari spediti in Corsica; erano Giovanni Magnerri e Cristoforo Maruffo; perchè allora siasi nell’atto taciutoli loro nome non vorrò indagare ; forse fu pudore per qualche ufficio, ad esempio quello di commissari del comune in Corsica: poco prima da quei signori coperto. In tutto quest'affare vi è un non so che di meno chiaro. Nella narrazione dei fatti di questo periodo mi sono allontanato completamente dalle versioni del della Grossa, del Cirneo (1) e, apparentemente, del Roccatagliata. Secondo i due primi (1) Per dimostrare la fallacia delle notizie che per questo periodo dà il Filippini, basti notare che ignora completamente l’esistenza di Filippo Scalia, che fu associato pei primi quattro anni nel governo dell’ isola a Triadano della Torre, ignora i governatori Levanto e Stmppa, il governatore Figone; Gior. St. e Lett. delia Liguria 322 GIORNALE STORICO E LETTERARIO DELLA LIGURIA a Triadano della Torre sarebbe succeduto il governo di Giovanni Magnerri, poi quello di Leonello Lomellini e di Luigi Γοΐtorino. A detta del Roccatagliata, citato dal Federici e dal Cicala, sarebbero stati inviati commissari della repubblica in Corsica contemporaneamente i già nominati Lomellini e Tortorino, Giovanni Magnerri e Cristoforo Maruffo. Il della Grossa e il Roccatagliata fisserebbero entrambi lo invio, de’ due governatori il primo, dei quattro commissari il secondo, all’anno 137°· Ora dimostrai che in quell’epoca e sino alla fine del 1372 governatore della Corsica fu Triadano della Torre, che a lui succedette Andriolo Figone e che dopo la cacciata di questo fu spedito in Corsica con pieni poteri Araone da Struppa, nel 1375 > su questo 1 documenti che ho trovato e che accenno non lasciano dubbio. Nè pure parmi sia dubbio che la data del 1370 del Roccatagliata dipende dallo scambio materiale d’un otto in uno zero; ciò risulta evidente, se si considera ch’egli alla stessa data del 1370 e al 29 agosto avrebbe fissato l’investitura feudale alla maona che pure sappiamo in modo indubitabile che ebbe luogo il 29 d’agosto del 1378 (1). fa morire Triadano della Torre o sulla fine del 1368 o in principio del J 3^*9 mentre visse ancora circa a tutto il 1372, fa giungere in Corsica governatori prima il Magnerri e poi il Lomellini ed il Tortorino nel 13?° mentie in quell’ epoca appunto riassumeva il governo Triadano della Torre. Evidentemente nelle tradizioni, orali probabilmente, a cui attinse il della Grossa rimasero i nomi dei successivi governatori e commissari genovesi mandati in Corsica, ma si fece confusione di date e d’incarichi. È probabile che v abbia anche contribuito il fatto che sia il Figone come il Magnerri furono poi della maona e che nel 1393 i Tortorino, i Magnerri ed i Figoni concorsero a formar 1’ albergo de’ Franchi, per cui a’ tempi in cui egli scriveva trovandoli tutti indicati sotto quest’ ultimo cognome, più facilmente scambiò 1 uno per l’altro; Andriolo Figone per es. con Giovanni Magnerri. Lo stesso, meno per le date che non nota, si dica pel Cirneo che col Filippini concorda nel suo racconto sommario. (1) Le note del Federici e del Cicala nel silenzio dello Stella, nella mancanza dei manoscritti del Roccatagliata intorno a quest’ epoca, sono un soccorso prezioso, perchè essi ebbero modo di consultare appunto questi manoscritti e molti atti pubblici e notarili ora in parte distrutti, oppure irreperibili. È duopo tuttavia di molta attenzione nel valersi del lavoro de’ due nominati, perchè se son lodevolissimi per la diligenza colla quale raccolsero copia enorme di notizie non lo sono del pari pel discernimento nel vagliarle. GIORNALE STORICO E LETTERARIO DELLA LIGURIA Dagli scarsi dati che ho potuto raccoglier su questo periodo non posso dedurre con certezza se ancora sotto il governo di Domenico Campofregoso sia avvenuto un primo arrivo in Corsica del Lomellini e del Tortorino, come dice il della Grossa, in qualità di governatori o degli stessi uniti a Gio. Magnerri e Cristoforo Maruffo in qualità di commissari, come risulterebbe dalle note del Roccatagliata. Certo i due primi erano in ogni caso ritornati a Genova il 29 agosto all’ atto della infeudazione. Se si riflette che dal giorno in cui questa fu decisa a quello in cui venne regolarmente compiuta corrono più di sette mesi, è ovvio supporre che alcuni dei capitalisti genovesi i quali dovevano costituir la nuova maona si recassero personalmente in Corsica per esaminar sui luoghi e de visu la convenienza dell’ affare, che intendevano assumere; potrebb’anche essere che il comune aggiungesse inviati suoi per lo stesso esame e che gli uni e gli altri siano i quattro che il Roccatagliata chiama commissari, e il della Grossa e il Cirneo, riducendoli a due, governatori. Ciò, come dico, è possibile; ma nondimeno inclino a credere che i maonesi non siansi recati ufficialmente in Corsica che dopo averne ricevuto la regolare infeudazione, sotto il ducato del Goarco ed a ciò mi induce anche il fatto che il 19 aprile 1378 il Magnerri riceveva l’ordine dal governo del Campofregoso di partir per Cipro, incompatibile coll’incarico di commis- Per esempio il Cicala notando sulla fede del Roccatagliata la spedizione in Corsica di Gotifredo da Zoagli nel 1340 poi ne mette col Filippini ima d’un Gotifredo de Lavaggio, pochi anni dopo; per quest’epoca di cui scrivo, forse influenzati dal Filippini a cui entrambi attingono, assegnano al 1370 l’invio in Corsica di Paolo da Crovara, del Tortorino, Lomellini, Magnerri e Maruffo e la infeudazione della Corsica al Lomellini e compagni ai 27 agosto 1370 accennando ai manoscritti del Rocca tagliata. E poi enti-ambi, rettamente attingendo ai documenti ufficiali, segnano un’altra volta la infeudazione stessa al 1378, senza avvertire che quest’ultima data, accertata, escludeva la prima o meglio facea emergere che trattavasi d’un errore di trascrizione, d’uno zero da correggere in un otto. Così pure accennando al compromesso fra il comune e Rainuccio della Torre (che entrambi chiaman sempre Raynerio sebben non sia mai scritto così in un atto solo) il primo lo scambia in un atto fra lo stesso e Triadano suo padre, il secondo mette al posto del figlio il padre e così da entrambi si potrebbe credere vivo ancora sulla fine del 1375 Triadano della Torre morto già da circa tre anni ! 324 GIORNALE STORICO E LETTERARIO DELLA LIGURIA sario in Corsica. La pretesa destinazione di due governatori, 1’ uno rispettivamente favorevole l’altro avverso ai due partiti corsi, m’ ha 1’ aria d’ una simulazione. Parmi più probabile che i nuovi maonesi per riuscir più facilmente a guadagnarsi 1’ appoggio d'entrambi i partiti della Corsica siansi intesi fra loro e distribuite le parti, di chi dovea mostrarsi più incline all’una e chi all’ altra fazione; quasi certamente possiamo ritenere che nè essi si presentarono allora in Corsica col carattere di maonesi e di feudatari nè il governo di Genova annunciò ai corsi la concessa investitura; d’accordo i quattro e poi i cinque, poiché anche Andriolo Figone non ostante l’infelice prima prova ritornò in Corsica, devono essersi presentati alle popolazioni della Corsica come commissari o come governatori a nome del comune di Genova. Il governo ducale probabilmente ebbe ritegno di confessar la sua azione non troppo leale e più ancora, forse, temette che l’infeudazione della Corsica, se venuta subitamente a cognizione di quel popolo, provocasse una esplosione violenta d’indignazione anche nei pochi partigiani rimastigli. Ciò parmi risulti indirettamente dalla stessa narrazione del della Grossa e del Cirneo ingannati dalla commedia; ma evidentemente poi dal documento che pubblicai nella sua parte sostanziale (i), donde appare che dodici anni dopo la infeudazione della Corsica ai maonesi i corsi ancora o non conoscevano o non poteano credere alla verità di quell’atto, negavano ogni diritto de’ maonfsi sull’ isola, ed invocavano i patti solenni stipulati dai loro rappresentanti col rappresentante di Genova, Leonardo da Montaldo, nel 1358. Da questo punto, dal 29 agosto 1378, l'unione del comune di Corsica col comune di Genova è finita; il breve periodo in cui tutta l’isola fu sgombra da ogni signoria feudale è trascorso; il tempo del comune non è più che una memoria. Nell’ Oltremonte e nel Capocorso, contro Genova o col sussidio di Genova, Cinarchesi e Gentili e de Mari ricuperano gli antichi castelli e signorie, che poi, destreggiandosi abilmente fra Genova ed i suoi nemici, conserveranno quanto duri il dominio genovese in Corsica, e anche dopo, sinché non sopraggiunga la rivoluzione francese. E se nel Cismonti il feudalismo a poco a poco dopo quest’ epoca scomparve, lo sostituirono i caporali, flagello equivalente. (1) Pag. 41 nota (1). GIORNALE STORICO E LETTERARIO DELLA LIGURIA Così il concetto seducente di Simone Boccanegra, di Leonardo da Montaldo, di Sambocuccio d’ Alando è perfettamente svanito. L edificio innalzato con amore da quei tre valentuomini cominciò a dar segni di screpolature sotto Gabriello Adorno che non amava Simone Boccanegra nè 1’ opera sua; malamente lo sostenne Domenico Campofregoso, sicché non ostante gli sforzi di Sambocuccio e 1’ energia di Triadano della Torre, colla morte di questo volge a manifesta rovina; Nicola Guarco appena insediato lo demolisce del tutto. I corsi, che aveano fatto una rivoluzione per liberarsi d'ogni signoria feudale, che s erano dati al comune di Genova per esser difesi contro la reazione dei loro signori, veggono ora ristabilite da Genova stessa le signorie del Capocorso e soggetta a dominio feudale tutta l’isola. Mi sono soffermato con compiacenza su questo episodio del secondo ducato di Simone Boccanegra, perchè l’unico forse in cui i cuori dei genovesi e quelli dei corsi palpitarono unisoni; pur troppo è breve; non è che il prologo lieto di lunga e triste serie di lotte fratricide sempre più aspre e feroci e che si chiuderanno solo quattro secoli dopo, per la Corsica colla ammirabile figura di Pasquale de’ Paoli, per Genova col vergognoso trattato di Versailles del 15 maggio 1768. L indagar perchè i fatti siano avvenuti in un modo anziché in un altro e sempre opera oziosa; lo svolgimento storico è prodotto di troppi coefficienti dei quali pochi sono apprezzabili, ma i più sfuggono al calcolo. Epperciò non mi dilungherò troppo ad indagar perchè sia fallito questo geniale concetto di Simone Boccanegra, d’ una Genova che collega alla sua sorte il popolo corso liberandolo come il genovese da ogni vincolo feudale, che stende la mano a Pisa la quale non potendo più esser rivale diviene alleata, e colla Corsica e con Pisa s’ assicura il dominio di questo bacino del Tirreno, base di imprese più vaste. Colpa certo v ebbero i corsi e i genovesi. I corsi erano fieri, coraggiosi, amantissimi della libertà e pronti ad ogni sacrificio per ottenerla e conservarla. Ma prettamente italiani d’indole e di razza, colà meno che altrove mischiata, aveano pure in grado eccessivo il difetto comune agli italiani in ogni tempo, la tendenza invincibile alle discordie civili; erano inoltre mobili, eccitabili ed amanti di novità! S’aggiunga che il lungo 326 GIORNALE STORICO E LETTERARIO DELLA LIGURIA periodo di anarchia feudale collo stato continuo di guerra civile che n’ era la conseguenza gli avea divezzati dai lavori pacifici, abituati a considerar la guerra come un’industria: cum insula lieve villis et vicis paucissimis admodum arcis et opidis refei ta sit; liberum genus liberam habet tumultuandi facultatem (i), i p° polari che colà s’ elevarono in questo periodo non divennero degli ottimati di città, ma fondarono delle nuove dinastie, i caporali; questi, come gli antichi signori, volevano esser gentiluomini; nè gli uni nè gli altri sapevano esser cittadini. I genovesi da parte loro quanto a tendenza alle civili discordie non avevano nulla da invidiare ai corsi; mobili lo eran del pari ; alla instabilità propria dei regimi democratici accoppiavano quella innata nell’indole loro. Dal 1311 al 1528 la storia di Genova è tutta un seguito di dedizioni a dominazioni straniere accettate e scosse con egual facilità. A ciò s’ aggiunga un carattere peculiare, la preoccupazione degli affari prevalente sul concetto politico. A Genova nobili o popolari che fossero al governo, ben di rado s’ elevarono ad altezza d’uomini di stato come invece avvenne quasi sempre a Venezia; rimaselo per lo più essenzialmente degli speculatori, fondarono molte, troppe! maone. Ond’è che i genovesi dall xi a tutto il xv secolo sono ammirabili per l’arditezza nei commerci, per virtù guerriere, sono sovratutto marinai impareggiabili ; ma con una esuberanza d’energia, che sarebbe stata sufficiente a far cose grandi, Genova, seppur talune sue famiglie acquistarono lustro principesco, tuttavia come stato non assurse mai alla fulgida gloria di Venezia. (1) Ivani, Lett. già citate. Genova, giugno 1900. Ugo Assereto GIORNALE STORICO E LETTERARIO DELLA LIGURIA 327 appendice. Per la sua importanza pubblico integralmente sulla minuta originale jgfpiydazionf. della Corsica alla maona. <11 do- cumento estratto con altri dai minutari del notaro e cancelliere che lo rogò, Raffaele de Casanova, conservavasi insieme con essi nell’Arch. Sec. nelle Filze Rerum publicarum, d’onde nel 1761 fu tolto con altri documenti d’interesse politico, lasciandosi al posto un breve sunto prò memoria, per essere conservato in luogo più riservato, (v. s. nota (2) a pag. 63). Ora trovasi nelle buste Genova ducato. Questo documento venne stampato, tradotto in italiano probabilmente fra il xvii-xviii sec., nel Bulletin de la Société des sciences historiques et naturelles de la Corse. Années 1881-82, volume I, Bastia, 1882, pp. 40-49, ,ratt0 dalla collezione Vincentelh. Parecchie sono le inesattezze e le diversità che si riscontrano in confronto dell' originale lezione che pubblico, diversità ed inesattezze che forse si devono in parte alla copia che ha servito al volgarizzatore, ma certo soprattutto all imperizia di questi e dell’ amanuense. Da una postilla, tradotta spropositatamente, che segue il documento si scorge che la traduzione di questo fu eseguita sopra copia autentica ricavata a suo tempo dal no-taro e cancelliere Manuele de Valente ch’era stato uno dei testimoni all’ atto. In nomine Domini amen. Ad honorem Dei, beate Marie semper virginis beatorum apostolorum Petri el Pauli beati Laurentii martiris patroni Ecclexie januensis beati Georgi vexiliferi comunis Janue et tocius cuiie celestis. Ad honorem status et augmentum S. Romane ecclesie et sacri Imperii Romancium et comunis Janue ac domini Nicolai de Guarco D. G. Januensium ducis ac populi defensoris et eius consilium antianorum et sui status pacifici. Ac omnium amicorum confederatomi!! et fidelium dicti comunis. 32S GIORNALE STORICO E LETTERARIO DELLA LIGURIA Prefatus D. Nicolaus D. G. Januensium dux et populi defensor in pre-sentia consensu et voluntate sui consilii ancianorum in quo consilio interfuit legiptimus et sufficiens numerus ipsorum quorum qui interfuerunt nomina sunt liée Franciscus de Vivaldis prior Percival de Guisulfis Nicolaus MarufFus Raffael Spinula Dominicus Falamonica Johannes de Bargalio Franciscus Lercarius Antonius Luxardus Carolus Cataneus Petrus de Grota Notarius Et ipsum consilium consiliarii anciani dicti consilii in presentia, autoritate et decreto prefati D— ducis habita deliberatione et tractatibns precedentibus cum nonnullis civibus Janue nobilibus et popularibus semel et pluries super infrascriptis agendis tractandis et perficiendis et sequentes formam dictorum consiliorum et deliberationum nec non attendentes quod infrascripta tendent ad comodum, utilitatem, honorem, favorem et statum ac augmentum comunis Janue et maxime iuxta condictiones guerrarum occurentium. Dey nomine invocato pervenerunt ad infrascripta pacta et conventiones contractum ac obbli-gationes hinc inde solemni stipulatione vaiata et valatas cum infrascriptis civibus Janue amicis et devotis ac fidelibus dicti D... ducis comunis Janue et status presentis, videlicet Lodisio Tortorino, Andriolo Figono, Pelegro Imperiali et Leonello Lomellino autoritate Neapolionis patris sui presentis consentientis et autorizantis, presentibus, stipulantibus pro se et heredibus suis et habentibus causam ab eis nomine et vice sociorum suorum quos nominabunt in tres menses proximos venturos, quantum sintgrati et fideles dicti D... ducis et consilii et comunis et qui jurare et promittere debeant in omnibus et per omnia prout in presenti instromento continetur. Primo namque prefatus D... dux et suum consilium autorictate dicti D... ducis dederunt et concesserunt in feudum rectum, nobile et gentile nomine et vice comunis Janue insulam Corsice ad dictum comune Janue spectantem sicut et prout spectat ad ipsum comune et pro jure ipsius comunis dumtaxat, exceptis castris et opidis Bonifacii et Calvi cum juribus et pertinenciis suis que libere pertineant et permaneant ipsi comuni prout pertinebant ante pre-sentem concessionem nec non juribus que dictum comune habet in terris locis et hominibus nobilium de Avogariis seu de Gentilibus et de Mari que jura non intelliguntur esse mota innovata, immutata nec in aliquo diminuta. Cum omnibus juribus et pertinenciis dicte insule mero ac mixto imperio ac jurisdictione plenaria cum jure exercitus cavalcate angariis et perangariis dacitis et GIORNALE STORICO E LETTERARIO DELLA LIGURIA collectis fodris et focis prout et sicut dicto comuni spectabant et pertinebant et quibuscumque aliis juribus et servitutibus et cum omnibus regalibus ipsi comuni competentibus et competituris etiam si ex novo titulo et ex nova causa competere inciperent et competerent in futuro. Ad habendum tenendum et possidendum et quicquid eisdem feudatariis recipientibus seu heredibus eorum vel habentibus ab eis causam placuerit faciendum salvis semper infra et suprascriptis sub pactis modis formis et conventionibus infrascriptis. Primo, feudatarii et vassalli prefacti prestiterunt prefacto D... duci et consilio nomine et vice comunis Janue predicti debitum juramentum cum omnibus suis capitulis novis et veteribus tam de jure civili quam de jure canonico cuius forma est hec. Primo habere debent D... ducem et consilium et per eos comune Janue predictum dominum (forse dominium) suum incolume, tutum, onestum, utile, facile, possibille. Incolume videlicet ne sint in damnatione dominio suo de corpore suo vel de munitionibus per quas tutum esse potest, honestum ne sint ei in dampnum de justitia sua vel de aliis causis que ad honestatem eius pertinere videntur, utile ne sint ei in dampnum de suis possessionibus, facile vel possibille ne id bonum quod dominus suus leviter facere poterat faciat ei diffidile, ne id quod erat ei possibille reddat ei impossibille ut fidelis hec documenta caveat justum est. (?) Sed quia non sufficit abstineri a malo nisi faciat quod est justum et bonam, restat in eisdem sex supradictis quod consilium et auxilium domino suo fideles prestabunt. Et versa vice prefactum comune Janue dominus dictorum eisdem fidelibus suis reddere debet. Et qui in eorum predictorum prevaricationem vel faciendo vel consentiendo deprehensus fuerit, perfidus et perjurus sit et in omnibus et per omnia prout et sicut in capitulis nove et veteris fidelitatis continetur, que hic omnia expressa habeantur hinc inde tam pro parte domini quam pro parte vassalorum tam de jure canonico quam civili. Ita tamen quod racione dicti feudi comune Janue non teneatur ipsos feudatarios iuvare nec ipsi feudatarii dictum comune sed sit in electione utriusque partis non obstante ipso juramento (juvamento?) nec derogetur in aliquibus aliis dictis pactis in dicto in-stromento contentis et maxime de pace et guerra et de victualibus extrahendis. Et promisserunt dicti feudatarii pro se et heredibus suis et habentibus ab eis causam dicto D.... duci et consilio nomine et vice dicti comunis dare et solvere singulis annis in signum sublectionis et dominii ratione feudi supradicti in festo pendecostes equum unum valoris florenorum XXXXta auri. Acto tamen inter ipsas partes quod si cessarent in satisfatione dicti equi per triennium quod 11011 propterea cadant a jure feudi sed incidant in penam fiorinorum duorum millium auri solepni stipulacione promissam tocies quoties fuerit contrafactum ratis semper manentibus sopradictis et infrascriptis. Item promiserunt predicti feudatarii et vassalli dare operam efficacem ipsoram posse ad conquistimi et acquisitionem dicte insule terrarum et locorum 330 GIORNALE STORICO E LETTERARIO DELLA LIGURIA eiusdem et reparationem castrorum et villarum eiusdem bona fide et sine fraude et in predictis acquisitione conquista et reparacione expendere libras quadi a-ginta millia januinorum in annos tres proximos venturos. Item quod predicti vassalli et feudatari! teneantur et debeant tam pio presenti tempore quam prò futuro habere pacem et guerram cum quibuscumque personis et comunitatibus cum quibus comune Janue et januenses haberent guerram vel pacem. Item quod dicti feudatarii et vassalli non reccptabunt in dieta insula aliquem proditorem falsarium vel rebellem comunis Janue, ymmo ipsos et quemlibet eorum reppellent ad mandatum dicti comunis. Et e contrario ipsum comune non receptabit predictos in terris suis Bonifacii et Calvi de Corsicha. Et si contingerit aliquos bannitos vel forestatos per aliquibus commissis in Calvi vel Bonifacio seu inter ipsorumc onfinis, ipsi feudatarii in aliis terris Corsice eis subditis non receptabunt, ymmo bona fide sine fraude capient et capi facient et captos ponent in forciam et bayliam rectorum seu magistratum dictarum comuni tatam seu terrarum Bonifacii et Calvi, singula singulis reffeiendo. Item quod semper et quandocumque comune Janue vel januenses egerent grano, victualibus vel lignaminibus et vellent de eo vel de eis habere emeie et extrahere de dicta insula pro adducendo Januam vel districtum quod dicti feudatarii vel aliquis eorum non prohibebunt extraere de dicta insula. Ymmo promittent libere sine aliqua exacione non consueta hactenus dictum granum victualia et lignamina extrahere de dicta insula per januenses et subditos comunis Janue et hoc quando in ipsa insula esset sufficientia et habundantia grani et victualium et non aliter quantum ad granum et victualia. Que ab-bundantia et sufficientia intelligatur quando superet ultra illam quantitatem que esset necessaria ad eorum victum. Item quod quando comunis Janue vellet ad stipendium ipsius comunis habere et accipere de hominibus dicte insule pro aliquibus factis et necessitatibus dicti comunis quod hoc ipsum comune facere possit de illis hominibus dicte insule qui sponte et sua voluntate ad stipendium ipsius comunis venne voluerint nec hoc ipsi feudatarii prohibebunt vel impedient dictos homines dicte insule venire seu ire ad stipendium dicti comunis. Et versa vice prefactus D... dux consensu consilio et voluntate dictorum ancianorum et ipsi anciani autoritate et decreto prefacti D... ducis promisserunt prefactis feudatariis recipientibus pro se et eorum heredibus et habentibus causam ab eis non abstringere corsicos nec aliquam universitatem corsicorum ad recipiendum judicium vel de jure respondendum in civitatem Janue vel alibi quam in Corsica pro aliquibus contractibus vel delictis hinc retro factis vel commissis etiam si forent ipsi contractus in Janua vel districta celebrati vel ibidem solutio destinata. Singulares vero persone possint 111 Janua convenire si ibi reperientur pro contractibus ibi factis sive si ibi fuent solutio destinata et etiam pro delictis secundum formam juris. Et quod non receptabunt nec receptari permittent in Bonifacio vel in Calvi bannitos seu forestatos di- GIORNALE STORICO E LETTERARIO DELLA LIGURIA 331 ctorum fcudatariomm de terris feudalibus diete insule ymmo ipsos banitos et forestatos in dictis terris se receptantes, bona fide sine fraude capient et capi facient et captos ponent in forciam et bayliam dictorum feudatariorum et officialium eorum. Item quod ipsi D____ dux et consilium et subcessores sui et comune Janue pacientur quod dicti feudatarii et vassalli capient homines armorum pedites et equites pro dicto conquista et custodia dicte insule et in observantia presentami pactorum emere et extrahere arma cuiuscumpue generis et condictionis de Janua et dictos homines et arma de Janua et districtu permittent extrahere et ad dictam insulam dumtaxat deferre pro libito voluntatis pro custodia et conquista dicte insale. Item dabunt dictis feudatariis galleam unam novam et ydoneam ad navigandum cum corredis remis et armis opportunis et consuetis et si indigebunt de duabus aliis comodabunt eisdem participibus et feudatariis duas vel unam prout indigebunt paratas corredis remis ac armis opportunis et consuetis quas tamen duas vel unam ultra primam predicti feudatarii dicto comuni reddere et restituere teneantur et promiserunt tales quales sicut tunc erant finito conquista, ipsas tamen galleas predicti feudatarii teneantur armare ad eorum proprias expensas et non dicti comunis. Item promissenint dictis feudatariis stipulantibus ut supra non impedire ipsos feudatarios vel officiales eorum nec eis imponere collectam, dacitos seu avariam realem personalem seu patrimonialem in perpetuum occasione guerre vel alia quacumpue occasione vel causa de vel pro bonis seu terris predictis feudalibus redditibus et obventionibus eorumdem. Item quod comune Janue bona fide pro posse suo dabit operam auxilium consilium et favorem quod ipsi feudatarii per ambassatores suos suis propriis expensis destinandos obtinebunt confirmationem dicte concessionis et feudi a summo romano pontifice. Item quod comune Janue faciet devetum generale in bona forma et consueta quod nullus januensis vel distrectualis possit accedere cum rebus vel mercibus ad dictam insulam nisi ad loca que fuerint nominata per eosdem feudatarios et quod ad nulla loca etiam nominanda portent sal vel ferrum. Ad simile devetum induceat comune Pisarum suis litteris et precibus et non aliter se obbligantes (sic) salvo semper et specialiter reservato non obstantibus superdictis quod licitum sit hominibus Bonifacii et Calvi et terrarum nobilium de Mari et de Avogariis seu de Gentilibus ac universitatibus dictarum terrarum ac etiam quibuscumque januensibus et subditis comunis Janue conducere deferre et conduci et deferri facere ad dicta loca et quodlibet ipsarum exceptata a presenti feudo sal ferrum pro usu suo tamen et quascumque res et merces de dictis locis Calvi Bonifacii terrarum nobilium de Mari et de Avogariis seu de Gentilibus et quolibet eorum ipsi et quilibet dictorum locorum ac etiam quilibet januensis possint et possit et eisdem licitum sit extrahere quascumque merces voluerit causa extrahendi de dictis locis et deferendi seu portandi quo- 332 GIORNALE STORICO E LETTERARIO DELLA LIGURIA cumque voluerunt extra dictam insulam possit etiam non obstantibus supra-dictis qualibet persona portare Bonifacium ferrum quantum voluerit tam pro usu hominum Bonifacii quam etiam causa mercandi et trafficandi extra dictam insulam ad quascumque mondi partes voluerit. Salvo etiam semper et specialiter reservato in omnibus et singuli supra-scriptis et quolibet suprascritorum quod si supradicti feudatarii ostenderent vel probarent coram D... Ducem et consilium dictas comuni tates seu aliquam ipsarum seu dictos nobiles de Mari et de Avogariis vel homines ipsorum teneri vel obbligatos esse ad capiendum sal vel ferrum de gabellis eorum quod tunc non intelligantur exceptis a sale seu a ferro ut supra. Quo casu D... dux et suum consilium possint et eis licitum sit limitare pretium salis et ferri quantum ad homines dictorum locorum et nobilium predictorum. Acto inter dictos D— ducem et consilium nomine et vice dicti comunis ex una parte et dictos feudatarios ex altera quod si contingent dictos feuda-tarios vel eorum subcessores universales vel singulares derelinquere dictam insulam in totum per impotentiam, negligentiam vel alio modo, tunc dicto casu liceat et licitum sit dicto comuni ipsam insulam apprehendere capere et recuperare et de ipsa insula facere sicut et quemadmodum ipsi comuni licebat ante presentem infeudationem, ita et taliter quod dicta insula dicto casu sit dicti comunis et eam restituere dictis feudatariis non teneatur nec etiam aliquas expensas per ipsos feudatarios factas in ipsa insula seu occasione ipsius vel pro ipsa restituere teneatnr. Item extitit actum et conventum quod si salvis fidelitatis capitulis pre-factis supradicti feudatarii contrafecerint pactis presentibus seu aliis non pro-pterea cadant a jure suo quod habent in dicta insula sed incidant in pena florinorum duorum millium tocies quoties fuerit contrafactum, ratis manentibus supra et infrascriptis. Item quod si contiget aliquam galeam vel galeotam de Caleri vel de Ale-gerio facere vel inferre dapnum aliquod personarum vel rerum aliquibus hominibus dicte insule Corsice quod tunc per dictos vassalos et feudatarios mittatur ad rectores vel comunitatem illius terre Calari vel Alegerii de cuius (sic) homines dapnum intulissent pro restitucione facienda et habenda rerum ablatarum et si restitucionem fieret bene quindem, sin autem tunc significetur eis per dictos feudatarios seu vassallos quod ipsi noluerant facere restitucionem predictam et propterea eisdem significant quod ad integram satisfacionem et indepnitatem dictorum ablatorum ipsi ab inde in antea intendent et procedent contra homines dicti loci et eius bona prout melius poterint quo casu eisdem feudatariis liceat sic facere. Que omnia et singula superscripta acta gesta ac facta legiptime fuerunt secundum formam regularum comunis Janue posito et obtento partito ad lapillos albos nigros inter dictos D... ducem et consiliarios suos soprascriptos et inventis lapillis albis omnibus tresdecim et nullo nigro. Quibus omnibus et singulis firmati et validati et ex deliberatione prehabita GIORNALE STORICO e LETTERARIO DELLA LIGURIA 333 et secundum formam regularum prodictarum et statutorum civitatis Janue et maxime regule posite sub rubrica di non alienando castra vel jurisdiciones comunis et de emendacione de correctione et addicione facta ipsi regule de mense januarii proximi preteriti prefactus D... dux consensu consilio ac voluntate dicti consilii ancianorum predictos feudatarios ibidem présentes flexis genibus devote suscipientes cum baculo quem tenebat in manu de dicta insula cum pactis conventionibus et exceptionibus predictis legittime investivit et ab ipsis et quolibet predictorum prestito fidelitatis legittime juramento et utsupra eosdem feudatarios et quemlibet eorum ad pacis osculum in signum vere fidelitatis suscepit. Actum Janue in palacio ducali in terracia ubi consilia celebrantur a. D. N. MCCCLXXVIII ind. XV secundum cursum Janue die veneris XXVII augusti circa nonam testes vocati et rogati D. Johannes de Cataneis et Joannes de Vvada jurisperiti sapientes et advocati comunis Antonius de Credentia notarius et cancellarius Manuel de Valente notarius et Egidius Ant. de Mon-terubeo notarius. Lapilli albi omnes XIII. (Arch. di Stato Arch. sec. Buste, Genova c Ducato, Paesi diversi, 6-346,) VARIETÀ LA NUORA E LA FIGLIA DI FRANCESCO MALASPINA. Al dire del Litta, Costanza di Corrado Fogliani, Marchese di Vighizzolo, partorì a Francesco, figlio di Giacomo Malaspina Marchese di Massa e di Taddea Pico della Mirandola, soltanto un maschio e una femmina: Lodovico, che sposò Ippolita d’Ettore Fioramonti, e Gabriella, che fu moglie di Carlo Pallavicino, Marchese di Tabiano (1). Invece, oltre Gabriella, gli partorì anche Lodovica, che si fece monaca. Nel R. Archivio di Stato in Massa si conserva autografa una curiosa lettera di lei al proprio zio Alberico II Malaspina, Marchese di Massa, figlio esso pure di Giacomo e della Taddea, e per conseguenza fratello di Francesco, padre suo. Ecco la la lettera : (1) Litta P. Famiglia Malaspina; tav. xx. GIORNALE STORICO E LETTERARIO DELLA LIGURIA Yhu M.a Magnifico et generoso e cordialissimo barba, amato corno padre. Gaudio e pace e somma dilectione ve sia sempre dal ciolo (sic) ministrata, c salute sia a voy in coluy eh’ è vera salute, il quale ve dia gratia de militare in 1 exilio de quésto tempestoso mondo sì vigorosamente, che ne 1 ora de 1 exito vostro possiate pervenire a la corona de la vita cum triumpale vitoria, la quale esso Dio ae promessa a quei che 1’ ameno. Per questa notifico Vostra Signoria corno de continuo desidero de sape’ del vostro bene stare e de la Signoria de la mia cara Ameda, de la quale ho inteso da Pedro Guaite corno eli è gravida, de la qualle cossa n’ ò ricevuto grandissima comsolatione, e cusì la R.c*e Madre e tute le sorelle ; he havemo rengraziato lo Omnipotente eterno Idio e quale s’è dignato de exaudire le oratione che hano facto queste sorelle e adempito el vostro desiderio et quam masime de la mia cara Madona, che tuto il suo desiderio si era che havissive uno puto, e po’ ha facto fare tante oratione a questo Monisterio. Insuper del mio contento may con pena porebe scrivere, nè con lingua narrare quanto me trovo de zorno in zorno più contenta, considerando el grande beneficio che Dio me à facto, che '1 me à trata dal mondo e me à collocata in questa sancta religione, e me à facta digna de essere giamata sua ancila e spoxa ; ma ima sola cossa me rinchrese, che non sono sì cognoscente del beneficio de Dio corno e’ doverebe esser. E ancora perche il Monastere è de tanta povertade quanto may e porebe scrivere e specialmente al presente, che non havemo grane per la carestia eh’ è in queste parte, e senza grane non possemo vivere ; per tanto ve prego ve sia racomandato questo povero collegio, che semo Lxx nel servicio de Dio e de la Vergine Maria, e noi pregaremo lo omnipotente Idio che mantegna Vostra Signoria in la sua sancta gratia e in felice stato ; al quale grandemente me ricomando. Piacevo de ricomandarme a la Signoria de la mia cara Ameda. Non altro. Data in Valenza, a dì io de Augusto. La vostra cara Nevoda e fiola Sor Ludovicha MalespinA povera de la Nuntia. Yhu M.a Magnifico ac generoso Dno Patri meo hon. d.no Albrigo Malespine Masse La zia (ameda), che era Lucrezia (i) di Sigismondo d’Este, Marchese di S. Martino, invece di uno puto, come suor Lodovica (i) Dal carteggio de’ Malaspina, che si conserva nel R. Archivio di Stato in Massa, trascrivo questa lettera, indirizzata alla Lucrezia: IU. Madonna mia. Da Garbuino, messo de V. S., ho avuto tre ledere, per risposta - GIORNALE STORICO E LETTERARIO DELLA LIGURIA 33 5 e con lei tutta la Casa marchionale di Massa ardentemente desiderava, mise al mondo un’altra figliuola, e Alberico II ebbe il dolore di scendere nel sepolcro senza lasciare prole maschile. Ne fu invece feconda Γ Ippolita, che dette alla luce Ottaviano, Francesco ed Ettore; non che una femmina, della quale ignoro il nome. Essa Ippolita vennesposata con Lodovico Malaspina per espresso volere di Lodovico il Moro, del quale il padre, Ettore Fioramonti, era generale delle armi. Portò in dote al marito, per dono appunto del Moro, la Pieve di Desio, Gambolò e Villa S. Vittore. Intorno all’Ippolita e ai suoi figliuoletti, Giuliano Urbani dava questi ragguagli ad Alberico II, così scrivendogli, il 21 de le quale li faccio intendere coinè le robe majidate se sono date a cui la scrive, come la vederà per le loro risposte, Per dicto Garbuino li mando in uno fardeletto, coperto de borazo, braza 30 de tela de renzo, a braza 5 al ducato; la quale, secundo me ha dicto Z1I10, è più bella et migliore che 11011 é quella de vostro padre, comprata a dicto pretio. Li mando ancora in dicto fardeletto, per el S.re Marchese, braza 3 de saia negra apanata, la quale è costata el brazo bolognini 65, come etiam costò quella mandai a V. S. ; se bene da lei 11011 e 1 se non uno ducato, el quale non vale qua se non bolognini 62. Et è de quella mede-sima peza. A dirlo culli V. S., ma tengame secreto, vostro padre se è meravegliato non li ha-biate mandato un poco de olio verzene per insalata, et saperiave confortare a mandai-gene qualche poco. Tutavia fate el parere vostio. Questo anno havereti paciencia se non aveti meglioramenti, perchè questo anno vi sono stati tanti pochi et tristi, che vostro padre non ha voluto se 11e compri veruno : ne anche veruno ge ne ha presentati. Sel non ge ne fusse stati se non dui, li haveria spartiti per megio. Sapeti bene come ho facto altre volte. Le vostre mortadelle, le quale ho aparechiate. el non è parso a Garbumo poterle portare. Ma, facto Pasca, vederò mandarle per la via de Regio. Et anche a quello tempo saranno più seche : ma havereti a niente che ’l ge ne serà una atosicata, la quale vo-rebe tocasse a voi. Non vi rengratio de lo olio me haveti mandato ; pur el goderò et me sarà bono prodo. Fati pur cusi spesso, che tanto più spesso me ricordarò de voi ; altrmiente farò conto non siati al mondo, per esser de sorte che non me volesti mai bene. El Duca ha preparato la salla grande, dove, questa septimana che viene, vole fare una comedia de la festa de Jacob; et, secundo se dice, li venirà el Marchese de Mantua et la Marchesana. Qui si dice che la S.ra è gravida. Se dice ancora che a S. Georgio se correrà el palio, et a mazo se giostrarà. Dio scia quello che serà. Et a V. S. me raccomando. Ferrariae, XXV Martij 1504. E. D. V. servitor Rainaldus Ziponarius. 111. Dnae et Dnae meae obs.mae D. Lucretiae Estensis de Malaspinis Marchionissae Massae Canariae. 33*5 GIORNALE STORICO E LETTERARIO DELLA LIGURIA agosto del 1513, da Scaldasole ; terra che insieme con Sannazzaro formava il feudo di quel ramo de’ Malaspina. Ill.mo mio Signore e patrone. Ne li dì passati io scrisse a Vostra S.™ benché la lectera non f isse de mia mano ■ non potevo scrivere porche me havevo fatto trare sague. Hora è piazuto a Dio eh’ io sono guarito, m’ è parso scrivere a la S. V., prima de la sanità de Madonna e de li putti, li quali ancora sono a preso a la excellentia del Duca, e sono tanti carezati che non se poterebbe dire, nè stimare, e sempre se li ha appresso. Li ha facto posare la conditione et ’alli vestiti molto politi con sai di tela d’ oro et con cappe di raso cremesi frodate de zendallo, calze de scarlato con fresi d’oro, in modo che in quella Corte non c’è li pari. Madonna ha fatto forza de torli per mandarli a inpafrajre; mai è stato possibile de averli. Bisogna havere patientia. In Milano non se atende ad altro che trionphare. Bergamo è preso a nome del Duca, e sonsi datti a descretione. Pagano alla ex.a del Duca ducati otanta milia, e pagano tutti li danni che anno ricevuti li contadini de fora de Padova. S’ è ditto come li Spagnoli ànno preso certe forteze de Padova. Se stima che non poterà resistere. El Duca de Ferara li ha mandato quaranta boche d’artigliaria. Se dice de re d’ Ingilterra in persona venne in campo, e che re di Franza li va in persona alo oppoxato del castello de Milano. Se stima durerà poco per non havere vituaglia. Abondancia de pane è per lo paese. Altro non n’ ò per dare aviso a la S. V., a la quale de continuo me recomando e parmi millj annj non averla vista. Scaldasole, die 21 augusti 1513. Madonna Ipolita dice infra zorni 10 andare a li bagni in Aqquj con la putta. Servitor Juliano Urbani. 111. et generoso d.no d.no meo observandissino dno Alberico Marchioni Malespine Masse. La benevolenza del Moro per l’Ippolita e per i figli di lei rimase tradizionale nella famiglia Sforza. Lo prova la tenerezza per loro del Duca Massimiliano (i), testimoniata appunto da questa lettera. Massa di Lunigiana, 11 luglio 1900. Giovanni Sforza. (1) Non senza interesse è questa lettera ad Alberico II. L’originale si conserva nel R. Archivio di Stato in Massa : 111. amice noster car.me. Ancora che non possiamo credere che la S. V. habia concluso cosa alcuna circa il matrimonio di sua fiola, et tanto più per esserne certificati GIORNALE STORICO E LETTERARIO DELLA LIGURIA 337 IL SALICETI A GENOVA NEL 1796. UNA LETTERA FOCO NOTA Genova 19 Marzo 1796 « Continua nella nostra città il Sig. Saliceti e ha date qualche disposizioni per procurare dei viveri all’armata francese, che si trova sempre nella penuria. Il malcontentamente di questa fa credere che le di lei operazioni non saranno poi così vigorose, giacché moltissima gioventù presa per forza va disertando e i soldati l’altro giorni (sic) in Savona, all’occasione di una revista, gridarono unanimemente: de l’ argent, de I’ argent. Il comando di questa armata è stato deferito al Gen.le Buonaparte Córso gio vanne (sic) di 25 o 26 anni, che si è distinto in Parigi all’ occasione che fu attaccata la Convenzione delle Sessioni (sic). Si dice giovanne d’abilità ed ottimo inge-gniere, ma è Córso ed ha tutto lo Stato Maggiore della sua nazioné, come egualmente i due rappresentanti Chiappe e Saliceti. Da tutto questo Comando Córso io ne deduco che se i Principi coalizzati sapranno cavarne partito l’armata francese loro darà poco fastidio, come non glielo diede due anni or sono. I Córsi hanno talento e sono avveduti e ben comprendono che nulla da lo egregio Annibale Carpi, Cam.ro nostro di Camera, alla venuta sua di là ad noi, che fo alli 27 del passato ; nientedimeno, per esserne poi da molti canti venuto alle orecchie essere vero che la S. V. debe avere concluso, siamo restati in qualche admiratione et perplexitate. Et per questo c’ é parso expedire alla S. V. il nobile Venturiuo Pisauro, Cam.ro nostro dilecto; maxime intendendo ch’eia è nel suo Marchesato, per refferirli alcune cose a nome nostro ; al quale la pregamo voglia credere corno se noi proprio particularmente li parlassimo. Et de la substantia de la risposta vorrà fare V. S., la pregamo ad farcela in scripto, ma poi più copiosamente potrà dire ad esso Venturino il tutto : solo per nostra satisfactione. Questo non taceremo, Che se la cosa è in termino che la se possa revocare, che la S. V. voglia farlo, perchè la se ne troverà contenta et verrà tempo che la conoscerà che meritamente et con sua satisfactione harà propo-nuto il sangue et honesto nostro desiderio a quello d’ altri. Credeino che la S. V. harà inteso la certeza de la tregua seguita per opera del Re Catholico, tra 1’ Imperator e Pranza, per uno anno, con inclusione nominatamente di noi, ita che il Re di Franza no possa, durante dicto termino, turbare il Stato nostro. Però non se extenderemo più ultra: solo diremo che per lectere de la M.tà Catholica siamo certificati de la bona dispositione sua alla conservatione nostra et del nostro Stato, talmente che ne sperarne il totale stabilimento et secureza nostra. V. S., qual ne ama, ne riceva piacere insiema con noi, perchè le cose nostre sono a comune beneficio. Cusaghi, 6 martii 1514, Vester bonus affinis Maximilianus Dux Mediolani. 111. amico nostro car.mo φ D. Marchioni Massae. Gior. Si. e Lett. dei:a Liguria 22 338 GIORNALE STORICO E LETTERARIO DELLA LIGURIA avranno ganizzazione, a guadagnare dalla Repubblica Francese, sì per la sua difficile or-ione, si per i vari partiti clie sempre la dominavano. Il l°ro oggetto dunque dev essere quello di procurare dei denari e dei mezzi di protezióne per riconciliarsi colla loro patria, onde poi divenire parlamentari a Bastia. Questo almeno è il mio modo di vedere, che ben vorrei che non fosse trascurato perchè si fonda su personali osservazioni che vo facendo.............» Questa lettera che un informatore, di cui non sappiamo il nome, mandò a Roma alla Segreteria di Stato della S. S. fu da questa comunicata al Ministro Plenipotenziario dell’Imperatore pi esso la S. S. che, alla sua volta, la comunicò, almeno in parte, al suo « caro amico » il Co. Kannitz. E dagli Archivi Imperiali di Corte e Stato la tolse, con moltissimi altri documenti sulle cose d Italia, il famoso scrittore ultramontano Sebastiano Brunner e la pubblicò nel suo volume, ben poco noto fra noi, e che si intitola « Il servizio teologico alia corte di Giuseppe 2° » (i). Nel consultare detto volume per le debite illustrazioni all’ opuscolo di Giancarlo Serra intorno al Papa (2) mi cadde l’occhio su quel documento e mi parve non inutile farlo conoscere. Non è inedito, è vero, ma nel Brunner pochi penserebbero di poterlo trovare, tanto più eh’ esso esce dal limile cronologico dell impero di Giuseppe 20 da cui il volume trae il primo suo titolo. Se e cosa valga tale informazione giudicherà il lettore; noi però aggiungeremo qualche cosa che si riferisce, per così dire, all esternò e all’ interno della medesima. Il diplomatico, che la trasmetteva alla Corte di Vienna, l’ambasciatore cioè di S. M. Cesarea, facilmente poteva procurarsi notizie dal Vaticano; era infatti un cardinale e propriamente quel Francesco de Herzan de Harras che fin dal 1779 era suc- (i) Sébastian Brunner. Die theologische Dienerschaft am Hofe Joseph 2 Ceheime Korrespondenzen und Entküllungen zum Verslandniss der Kirrhen und Profangesch in Oesterreich von i77o-i8oo aus bisher unedirten Quelle» der KK. Haus-, HoJ-, òtaats — und Mimsterialarchive. Wien, 1868. — V. p. 287. „ (2> BlGO*”· La caduta della Repubblica di Genova nel ,797 Genova, Sordomuti, 1897, P- 23. finalmente, riordinatasi la biblioteca della Missione Urbana, si è potuto rintracciare ,1 desiderato opuscolo e ricavarne il titolo esatto che è il seguente: Qu'est ce que le Pape n est pomi? contrapposto a quello dell' Evbel: Qu’est cc qu'est le Pape.* fossëTr fu’ PPTCT*;;11 mmZÌ° P0,ltifid0 3 Vienna ritelleva chK Jean Prior fosse 1 A. de l opuscolo cibehano. Mentre Jean Prion (alla greca - lat. era ap- punto,1 nostro Giancarlo che sorgeva a difesa del papa e contrapponeva il suo scritto ch^if Vi N ’v Sra" ChÌaSS° aVCa SUSCÌt!U°· V· Π del (Ar- chivio.; Vit Num. Vienna 18 Lugli,*782) riferito, ma senza spiegazioni, dal GeKi.kv Les débuts du josephtsme .11 Revue des quest, hist. - , Avril 1894, pp. 454-5o9 - GIORNALE STORICO E LETTERARIO DELLA LIGURIA ceduto in tale ufficio al cardinale Albani, che era al Kannitz e alla sua politica particolarmente attaccato,, e,da Roma aveva a questa politica cooperato non poco quantunque Giuseppe .2°, in una lettera confidenziale al fratello Leopoldo, 1’ avesse fin dal 1780 giudicato « un fripon et un fourbe de la première classe». (1) Nell’inviare a Vienna detta anonima proveniente da Genova, il cardinale notava che la cattiva sintassi (e poteva dire non la sintassi sola) mostrava non essere 1’ autore italiano, e aggiungeva : « queste notizie vengono da un uomo savio ed accortissimo il quale ne’ suoi giudizi finora non si è mai sbagliato. Io non mi meraviglierei se ciò che egli dice delle intenzioni di Bonaparte e degli altri Còrsi non 1’ avesse saputo da loro stessi, nel qual caso queste notizie potrebbero ben servire a profitto del nostro Graziosissimo Imperatore (2). Si apponeva al giusto il Cardinale in questo giudizio? Per rispondere a questa domanda dobbiamo veder brevemente quel che dice il frammento della lettera di cui si tratta. Oltre allo Sciout che ci ha servito in un precedente studio, possiamo ado-prare, per il commento, la recente ottima pubblicazione del Bouvier (3). L’ anonimo dice di già che cosa era vennto a far a Genova in quel mese di Marzo del 1796 il famoso Saliceti. Era venuto in cerca di denaro, perchè 1’ esercito pativa massima penuria e il Direttorio mandando, come Ministro a Genova, I antico finanziere Faipoult in luogo del Villars e, come commissario presso 1’ esercito d’Italia, quel rapace, ma anche astutissimo uomo del Saliceti, pensava di provvedere per il meglio. II Villars nel 1795 avea tentato di ottenere un prestito dal go- ti) Brunner pp. 53-54. Lettera del 31 Agosto 1780. V. sul carattere dello Herzan anche pp. 1-19. (2) Id; 1. c. << Der Fiscal hat mir auf Befehl Sr. pabstl. Heiligkeit die von Jenua erhaltenen Nachrichten mitgetheilt. Diese sind von eineni klugen einsichtsvollen Manne etc. » (3) Sciout La rèp. française et la rèp. de Gênes nella Revue des quest, histor. Janv. 1889; e il voi. i. della grande opera, Le directoire. Paris. Didot. 1895-97. Bouvier Bonaparte en Italie —1796 — Paris. Cerf. 1899, p. 136 e segg. La scrittura di parecchi nomi italiani vi è però inesatta; se alcuni come Rivarola (paese) Buzza (segretario) si rettificano facilmente in Rivarolo e Ruzza; se Batta si comprende non essere cognome, come suppone il B., ma nome (Battista) che va premesso al cognome che segue, non sappiamo come ridurre il cognome d’un senatore genovese che il B. dà per Cataleone ^Cattaneo?) p. 199. - 34° GIORNALE STORICO E LETTERARIO DELLA LIGURIA verno della Ser.ma, ma non v’ era riuscito; (i) forse il Córso che, sotto gentili avvocatesche forme, celava la fine astuzia e il na turale focoso, sarebbe stato più fortunato. Certo che delle cose italiane lui, il regicida del novantatrè, Γ antico studente della università di Pisa era pratico oltremodo; conosceva i dolori e le aspirazioni dei popoli, le difficoltà fra cui si dibattevano i governi e le folli loro speranze intorno alle vittorie degli austrosardi. Nulla, dice bene il Bouvier, di meglio o di peggio poteva scegliere il Direttorio a vantaggio cioè di Francia, a danno dei governi italiani e specialmente del genovese, in par-tirolar modo aborrito dal Saliceti che, diceasi, ma nessuno sapeva precisare la cosa, avesse avuto dalla Ser.ma giustiziato Γ avo, come ribelle (2). Oltre che dai suoi vecchi amici i mo-randisti, e dal Faipoult egli poteva, delle cose genovesi, essere informato dal Reboul, 1’ antico deputato della Legislativa che, di chimico e naturalista eh’ egli era, dovette qui in Genova ridursi a far il pittore per campare la vita, e da Genova mando a Parigi una vibrata memoria nel febbraio di quell’ anno intorno alle malversazioni che inasprivano la miseria dell’ esercito, miseria di cui è documento pur nella lettera sovra pubblicata (3,)· E dalle raccolte notizie il Saliceti potè convincersi che, se il Direttorio credeva di ottenere da Genova, per suo mezzo, non pure un forte prestito ma anche Gavi e la Bocchetta, occorreva che 1’ esercito fosse tale da incutere alla Ser.ma un terrore anche maggiore di quello che le incutevano le armi e la diplomazia d’ Austria e d’Inghilterra-, Se non era ciò possibile, conveniva tacere, per ora, delle occupazioni militari e ristringersi alla questione del denaro che i soldati a gran parole reclamavano; « de 1’ argent, de 1’ argent », aveano gridato a Savona, (1) Franchetti. Storia d'Italia dal iy8ç al 1899 p. 136. Cito la 1. edizione con gran desiderio della u. che è ancora sotto stampa. 11 Villars aveva dovuto acconciarsi a (are il prestito con negozianti privali. (2) II Nogaret, V eroe d’ Anagni, aveva avuto (coni’ è noto) 1’ avo arso come albi-gese. Intorno alla morte d6l Saliceti (avvenuta nel 1809 quand’era successo, come Ministro di Polizia di re Giovachino, al genovese Maghella) corse voce l’avesse il Ma-ghella stesso avvelenato. Ma il Bouvier (p. 672, Appendice) la ritiene una fola e rinvia a un tratto del Marmotta!). Certo è un punto che merita d’esser chiarito; forse lo farà il valente Prof. G. Roberti nello studio che prepara sul Maghella (3) Egli diventò poi agente militare, probabilmente su proposta del Saliceti. La sua memoria trovasi agli Archivi Nazionali di Parigi (A F; 111. cart; 185 pitee 849) in GIORNALE STORICO E LETTERARIO DELLA LIGURIA 341 in occasione di una « revista », secondochè sopra si è veduto. Ma a mano a mano che i giorni del mese scorrevano, le speranze del Saliceti si faceano minori; il governo della repubblica non mancava di penetrazione, e metteva a dura prova la pazienza del Còrso che dovea mascherare con forme diplomatiche le sue esigenze per timore, precipitando, di perder ogni cosa. Se lo Schérer mandasse un cinquemila uomini verso Sam-pierdarena egli sperava di farsi dare quindici o venti milioni. Frattanto s’ accontenta di sette; poi di cinque, di tre; e finalmente s’ abbassa fino a 500000 franchi da consegnarsi subito accordando pel resto quindici giorni di tempo. Se non che Γ11 di Marzo piombava a Genova il Drake ambasciatore inglese da Milano, e minacciava di far occupare la città da 40 mila austriaci, sorde minacce aggiungendo di bombardamento e di blocco. Nella seduta del 19 di Marzo, con voti 122 contro 20, la domanda di prestito del commissario di Francia veniva respinta. Se voleva sfamare i soldati che già fremevano e ro-moreggiavano, non restava al Saliceti che imitare quanto avea fatto il Villars e ricorrere a negozianti privati, e particolarmente al fidatissimo Emanuele Balbi (1). In quel medesimo giorno 19,0 nel successivo, egli ripartiva per Savona e raggiungeva il quartier generale 1’ 8 di Aprile dopoché il suo amico-nemico Bonaparte aveva assunto il comando dell’ esercito d’Italia. Intanto, secondo gli ordini del commissario stesso, la brigata Pijon, eseguiva 1’ avanzata su Voltri e il governo impaurito, scriveva segretamente al francofilo commissario di San Remo Vincenzo Spinola perchè riprendesse col Saliceti le trattative; contemporaneamente insisteva a viso aperto presso il Beaulieu perchè ricacciasse i Francesi. Il Generale Bonaparte che i luoghi ottimamente conosceva (2), e meditava a lungo le disposizioni da prendere, cominciò col disapprovare la mossa su Voltri che dava l’allarme al nemico più presto di quel ch’egli voleva. (1) Ebbe il prestito per 7 milioni di genovine e 400000 sacelli di grano. Sulla parte eh’ ebbe il Balbi nelle cose del 1797 siami permesso inviare alla monografia da me scritta (p. 581, e sul Saliceti pp. 13-25-41 e 77 ìr' nota (estr.) La frase del Chuquet riferita dal B. intorno al Saliceti: « 1111 des plus rémarquables hommes de la révolution,» riproduce quasi il giudizio che 11e diede Napoleone, quando ne seppe la morte: «Una testa forte di meno in Europa.... Saliceti valeva un esercito di molte migliaia di soldati». Perii Napoleone avrebbe dovuto completare: migliaia di soldati ladri. (2) V. nel Bouvikr il bellissimo cap. 11, pp. 40 e segg. 342 GIORNALE STORICO E LETTERARIO DELLA LIGURIA Egli però non ignorava che il Beaulieu era vecchio, e che il serenissimo governo, quantunque giocasse d' altalena non senza abilità, era vecchio esso pure. Resta qualche cosa da osservare sui commenti che Γ anonimo faceva intorno alle dicerie: che tutto, o quasi, lo stato maggiore del giovane generale-ingegnere fosse di Corsica. Oui 1’ esagerazione era palese; però giustamente il Chuquet ha notato che Bonaparte, vero italiano di Corsica, ha dall’isola natale recato '« l’instinct très developpé de la famille, du clan, de la gens romain du mot...., la fidélité aux amis, aux clients, aux affection d’enfance et d’école » (i). Il suo fratello maggiore, il pacifico Giuseppe, seguiva 1’ esercito come commissario di guerra; il fratello Luigi appena diciottenne ne faceva parte come tenente d’ artiglieria; lo zio abate Fesch, ben lungi dallo sperare la porpora, era impiegato ai viveri. Cervoni, Fiorella, Casabianca, Franceschi e Galeazzini, Valeri (2) e Giacomoni e-rano generali agli ordini del petìt-caporal loro compatriotta (3), o colonnelli di Stato Maggiore, ajutanti generali, come dice-vasi allora. É probabile ch’io n’abbia dimenticato qualcuno di questi Còrsi fattisi tutti francesi, fossero o non fossero stati, un tempo, paolisti. Poi Còrso era, come sappiamo, il Saliceti, il terribile commissario del Direttorio che valeva per molti e che probabilmente, discorrendo coi suoi amici di Genova, aveva a tutta questa córseria data maggior importanza che non a-vesse. Il fatto che la brigata Pijon, quella che venne più dav-vicino a minacciare la repubblica, passò tosto sotto il· comando del Cervoni, rendeva tali esagerazioni più verosimili. Che avessero ragione di rallegrarsi gli alleati perchè tutti questi isolani si sarebbero presto o tardi staccati di Francia era un’illusione (1) Sulla missione di Bonaparte a Genova nel 1794 ho avuto tempo addietro comunicazione di alcuni interessanti documenti del nostro archivio dalla cortesia del Direttore del Giornale Prof. A. Neri. Colla scorta di essi si possono meglio ampliare e rettificare in parte i cenni dati dal Jung e dal Masson. Lo si farà una volta o l’altra ne! Giornale stesso. (2) Del Valeri sono interessanti le lettere pubblicate nel 1893 a Modena dall’ infaticabile B.ne A. Lumbroso. Cinque lettere di un ufficiale dell' esercito francese, abitante generale nella battaglia di Lodi. Quanto al Chiappe, che il nostro anonimo nomina come rappresentante ignoriamo chi sia; forse un altro Còrso segretario del Saliceti ? II collega del Saliceti stesso nella missione presso l’esercito d’Italia era l’avvocato Pietro Anseimo Jarran. V. Appendice p. 660. (3) Sull’ origine della denominazione e sulla leggenda V. pp. 533 e segg. GIORNALE STORICO E LETTERARIO DELLA LIGURIA 343 del nostro anonimo che teneva conto soltanto dell’ orgoglio insulare e non conosceva i sentimenti politici di Saliceti e dei suoi. Nè è a meravigliarsene perchè quegli, pur fra molti discorsi e cortesie che prodigava a coloro che gli premeva di legare a sè medesimo, non lasciava mai scoprire l’interno del-1’ animo suo. Che poi lui stesso, direttamente o no, propalasse a Genova false voci sull’ umore dei Còrsi e dallo stato maggiore di Bonaparte, può credersi quantunque non se ne vegga chiaramente il motivo. Il cardinale Herzan de Harras riteneva che 1’ anonimo avesse avuto per quel mezzo le notizie intorno alle intenzioni degli isolani e vi prestava fede. O fingeva di prestarla per farsi più prezioso presso il Kannitz ingrandendo il valore delle sue comunicazioni ì Quanto a noi crediamo che, sciente o no, 1’ anonimo intorno a questo ultimo punto avea mandate a Roma delle fole. Da Roma passavano a Vienna e l’Austria, more solito, era sempre in ritardo.... anche di notizie. Le informazioni esatte sul Còrso gliele avrebbero mandate, fra non molto, i suoi generali dopo essere stati da lui clamorosamente sconfitti. Guido Guidoni ANNUNZI ANALITICI. G. Tononi. Memorie , e notizie di storia patria. Piacenza, Del Maino, 1899. — Dal volume II Piacentino istruito per V anno 1900 il Rev.mo A. ha tolti questi scampoli storici riguardanti la sua diletta citta, e ce gli offre uniti in elegante opuscolo. Ricordiamo fra questi : Un piacentino vescovo in Corsica verso la metà del secolo XIII (De Scarpis?) e l’altro: Ottobono Fieschi e Piacenza (Papa Adriano V.) — Il piacentino vescovo di Aleria, intomo a cui sono incomplete e inesatte le notizie nel Gams, è quel « monachus niger ordinis S.1' Benedicti » che nel 1228 trovavasi esule in Genova perchè dalla sede espulso per ordine di Federico imperatore, e a Genova viveva del suo lavoro perchè « bene sciebat legere, scribere, notare, cantare » ed era « plenus omnibus bonis, hoc excepto, quod nimis erat pauper » (Salimene). Tornò poi in sede dopo la morte di Federico e la lettera di Innocenzo IV del 20 febbraio 1253 riferita dall’Ughelli evidentemente a lui è diretta. Intorno all’altro papa Fieschi che prima dell’aprile 1249 essendo ancora in minoribus era stato canonico della chiesa di Piacenza, e intorno al suo curriculus honoram può il T. rettificare certi dati del Campi e del Canale. [G. Biconi]. 344 GIORNALE STORICO E LETTERARIO DELLA LIGURIA Alfredo ComaNDTni. L’ Italia nei cento anni del secolo XI gw’ ' per giorno illustrata. Milano, Antonio Vallardi, 1900-1901; in asc. e 2° pp. 1-104. — Opera di gran lena, per Γ ardua e grave fatica ce au tore nel raccoglifere, trascegliere e disciplinare le molte notizie 01 mate pei via di effemeride. Importante perchè il lettore avrà dinanzi schierata a s ona del secolo non solo ne’ fatti più salienti e notevoli, ma altresì in que 1 pai ticolari di ragion politica e civile, donde si rilevano le condizioni < e empi e dell’ambiente. Nè basta, chè agli uomini, i quali rappresentaiono una parte più o meno cospicua in questo periodo sono consacrati opportuni 11^ cordi; tanto più apprezzabili, in quanto riesce talvolta così difficile ntiqvaie notizie di còntemporanei. Crescono importanza all’ opera le numerose npro dimoni di. medaglie, ritratti, frontispizi, stampe, figure ecc. del tempo, cose tutte ben scelte e opportunamente disposte a illustrazione della vita cni e, politica, militare, letteraria. Questo libro, singolare per la sua origina ita, e assolutamente nuovo, riuscirà di vantaggio incontestato agli studi contemporanei, giovando del pari alle persone colte ed agli eruditi, i quali non potranno dispensarsi dal tenerlo presente come im manuale di consultazipne continua. I fascicoli già pubblicati sono un’ ottima promessa per il seguito. I genovesi e in generale i liguri, vi troveranno notizie notevoli riguai danti la- regione. . G. B. GeRINI. Paolo Mattia Doria filosofo e pedagogista, Asti, Brignole, 1899; in 8,° di pp. 212. — Con questo volume l’autore intese a rinfrescare la memoria di un dotto uomo del principio del secolo decimottavo, eh’ ebbe in ragione del tempo valore non piccolo, sebbene sia oggi quasi dimenticato; di uno scrittore fecondo che trattò in forma dottrinaria e polemica i più vari rami dello scibile, dalla matematica e dalla metafisica al-l’arte della, -guerra. E del lavoro paziente speso intorno al soggetto suo devono essere grati al Gerini più che altri i lettori liguri, che vedono pei esso narrato quel tanto che oggi è possibile conoscere della vita, ed esposta ed encomiata 1’ opera filosofica e pedagogica, d’ un egregio concittadino, passato in tenera età da Genova a Napoli, e quivi cresciuto agli studi e alla reputazione, ed entrato in amicizia con uomini illustri, tra cui massimo il Vico. II volume potè essere messo insieme a prezzo di non lievi ricerche e fatiche, perchè pochissimi scrittori si trattennero con qualche diffusione e con autorità sul Doria. Ciò avverte ripetutamente l’autore, che pare anzi faccia rimprovero ai manuali di storia della filosofia di avere omesso del genovese anche il nome; rimprovero, se mai, non meritato, a nostro avviso, perchè i manuali possono toccare solo de’ pensatori eminenti per originalità. Il Gerini s’ è occupato certamente del suo filosofo con amore, quasi direi con passione. E se il volume, che n’ è uscito, lascia desiderar varie cose, dal lato dell’ architettura del libro, della semplicità e speditezza dell’ esposizione, più ancora, da quello dei criteri con cui giudica dell’ eccellenza del Doria pensatore; quale ricerca diligente di notizie e riassunto largo di opere edite ed inedite, è pieno d’interesse. Di qualche difetto del libro si mostra consapevole il Gerini stesso, mentre in più luoghi si augura che altri, rielaborando la materia da lui preparata, faccia intorno al filosofo ligure opera più degna e più perfetta. Questa modestia è lodevole ; ma noi crediamo che con un po’ più di tempo e con cure ulteriori egli avrebbe accresciuto di molto i pregi del suo lavoro, restringendone fors’ anco la mole, e ci avrebbe dato sovratutto un’ idea più netta dell’ importanza del suo autore, col semplificare d’ assai la parte che ha comune con moltissimi altri, e rilevando meglio ciò che gli è caratteristico o comune con pochi. Avrebbe anche giovato, ci pare, al nuovo volume che le idee del Doria fossero sempre espresse senza intromissione di quelle del critico. Chi ha bevuto largamente alla filosofia moderna GIORNALE STORICO E LETTERARIO DELLA LIGURIA 345 si trova contrariato più volte dagli apprezzamenti delGerini, mentre non può non accettare la parte narrativa. Nell’ esposizione egli riesce naturalmente «li grande aiuto cosi a chi voglia delle notizie sommarie, come a chi si proponga d’andare a fondo in una data tesi. Ma il merito principale, ci sembra, sta nelle notizie biografiche raccolte con rara solerzia : fra le quali notiamo l’indicazione della data di morte (25 febbraio 1746), che il Gerini ha saputo rintracciare, mentre fu taciuta da quasi tutti coloro che parlarono del Doria anche negli anni prossimi, e ignorata senz’ altro dai biografi e dai lodatori di questo secolo. (S. F.) GIUSEPPE Flechia. Postille al Glossario medioevale ligure di Girolamo Rossi. Nervi, Gartner (Torino, Baglione) 1900; in 8° di pp. 7. — Utile contributo alla glottologia ligure, e buon rincalzo al Glossario per i molteplici riscontri di assai comodità per gli stadiosi. Qua e colà alcune sobrie ma sensate osservazióni e nuovi esempi. Metodo rigorosamente scientifico, derivato da quella ottima scuola che conta anche in Italia illustri maestri ; e perciò conoscenza piena della materia e della bibliografia che ad essasi riferisce. P. Giuseppe Boffito B.a Per la storia della meteorologia in Italia. Primi appunti. Torino, tip. Artigianelli, 1898; in 16° di pp. 113. — Annuario storico meteorologico italiano redatto dal P. Giuseppe Boffito. Volume I. Torino, tip. Artigianelli, 1899; in 16° di pp. 151; e Vol. II, 1900, di pp. 398. — Oltre ad una larga e diligente bibliografia astro-me-tereologica, a notizie bio-bibliografiche di metereologisti morti di recente, alla indicazione delle opere dei viventi Schiaparelli, Del Gaizo, Lais, Bertelli, e ad articoli speciali; sono degni di nota in questi tre volumi quelli scritti che hanno tratto alla letteratura e alla storia. A questa si riferiscono quello del Bertelli sull’ origine della bussola, dove riassume le conclusioni di parecchi suoi scritti anteriori, ne’ quali è sfatata la leggenda amalfitana di Flavio Gioia, e sono aggiunte alcune nuove osservazioni; 1’ altro del Rajna, riprodotto dalla Perseveranza, nel quale si risponde alla domanda : Quando finisce il secolo XIX?, dove si afferma con chiare semplici e sode ragioni che avrà termine al chiudersi del 1900. Giovano alla biografia di Alessandro Vòlta,' le due lettere inedite di lui pubblicate dal Maffi. Appartengono poi alla lette ratura, il curioso rilievo del Boffito di un dialogo dëMarmi, d’Anton Francesco Doni, in cui bizzarramente vi sostiene il sistema Copernicano; e La metcreologia dell’ « Acerba » dove lo stesso scrittore riduce a giusta misura il merito troppo esagerato da altri attribuito alle opinioni scientìfiche di Cecco d’Ascoli, limitandosi ai riferimenti di meteorologia che si trovano nel suo poema. Tre finalmente sono articoli danteschi. Uno di Zanotti Bianco Sul· V epoca della nascita di Dante, che egli assegna, come tutti, al 1265, ma determina più esattamente il tempo, calcolando in quali giorni il sole nel-l’anno sovra indicato entrava nel segno de’ Gemelli, e ne usciva; cioè dal 14 al 31 maggio. Perciò nel lasso di questi diciotto giorni deve essere nato ΓAlighieri. Altri due escono dalla penna del p. Boffito, e sono : i° La meteorologia della Divina Commedia, dove rilevando da prima Uri apparente contraddizione dantesca spiega come debbasi intendere quel verso della iscrizione infernale : Dinanzi a me non fur cose create se non eterne, e più specialmente nel senso scientifico quel cose eterne che ha dato luogo a controversia, e che, secondo suo parere, si riferisce alla materia prima. Di qui muove a discorrere de I fenomeni meteorologici descritti da Dante, e cioè 1’ evaporazione e le meteore da questa derivanti : il terremoto, il lampo e il tuono, il vento, le meteore acquee, le stelle cadenti, le meteore ottiche. 20 II fumo e il vento, chiosa scientifica al verso 113 del canto V del Purgatorio, con la quale, seguendo l’autorità d’Aristotile, si dà al vocabolo fumo il significato di « esalazione secca, principio costitutivo di tutti i venti ». 34<5 GIORNALE STORICO E LETTERARIO DELLA LIGURIA Francesco Beneducci. Scampoli critici. Oneglia, Ghilini, 1899; in 16.0 di pp. 138. — Sono nove e di valore diverso, sì come di maggiore o di minore estensione a seconda dell’argomento, o a dir meglio del punto preso a trattare. Ne diamo qui la indicazione: II romanticismo nel « Giorno ». — Il trecento di G. Volpi — Due parole a proposito del Frugoni Una traduzione bizzarra — Ancora la causa Giraldi-Pigna — Se V Innominato si è convertito davvero — Aristodemo — Un povero impresario La. novissima scuola guittoniana. In tutto è qualche cosa di buono, qualche utile rilievo, qualche osservazione originale ed acuta, onde per l’avvenire chi tratterà di così fatti argomenti non potrà, nè dovrà trascurare questi scampoli (il Bertana ad esempio nell’ultima sua monografia sulla paura ne Promessi Sposi ne ha tenuto conto). Non ci fermeremo sopra ciascuno, ma additeremo lo scritto importante sull’ Aristodemo, ossia 1’ esame, e insieme la comparazione delle tre tragedie italiane intorno a quell’antico re, e cioè del Dottori, del Monti e del Paradisi. A proposito di quest’ ultimo non sarà i-nutile ricordare quanto scriveva all’ Algarotti intorno alla tragedia, eh ei si proponeva di comporre; ed il giudizio, s’intende sfavorevolissimo, di quella del Dottori, dalla quale pur sembra gli sia venuta la prima ispirazione. Si vegga tutto ciò nell’ epistolario algarottiano. Ancora ci piace segnalare 1’ ultimo scampolo, come quello che rileva e riprova, a nostro parere giustamente, un certo andazzo moderno di atteggiare il pensiero con uno stile d’apparenza luminosa e abbagliante, vuoto in sostanza, costipato di frasi e di parole derivate da un purismo ricercato e lezioso, pieno d’artificio e supremamente seccante. VITTORIO Poggi. L’atto di fondazione del monastero di S. Quintino di Spigno (4 maggio 991). Torino, Paravia, 1900; in 8.° di pp. 21 con tav. (Estratto dalla Miscellanea di Storia Italiana, S. Ili, T. VI). — Due volte questo insigne documento venne pubblicato nel secolo scorso, da Vincenzo Malacarne e da G. B. Moriondo. Tutti e due si giovarono di un apografo che, come prova il P., derivava dalla pergamena originale, esistente in Savona, sia che fosse nelP-archivio comunale, secondo il primo asserice, sia che si trovasse in posseso di Gio. Tommaso Belloro, stando a quel che il secondo ne dice. Nè l’uno nè l’altro però ebbero mai sì fatta pergamena sotto gli occhi. La quale andata dispersa, forse dopo il 1821, quando morì il Belloro, fu recuperata, tempo fa, dal raccoglitore di memorie patrie G. B. Minuto, che la ritrovò presso privati a Cairo Montenotte. Il P. esaminato il documento ha subito provveduto, con ottimo consiglio, a metterlo al sicuro per mezzo di una ben riuscita riproduzione eliotipica, dandone in un tempo la esatta trascrizione secondo il miglior metodo della paleografia e della diplomatica. I primi editori ci avevano tramandato un testo monco e difettoso. Or questi difetti scompaiono sotto la mano perita e competente del nuovo editore, il quale con acutezza è riuscito ad integrare le lacune. Se la illustrazione del Malacarne e del Moriondo si chiariva insufficente, e non sempre consentanea ai dettami della critica storica, quella del P. provvede largamente a mettere in rilievo 1’ importanza del cimelio così dal lato storico, come da quello giuridico. Egli, e nella ben organata esposizione, onde il documento è preceduto, e nelle note abbondanti nulla ha tralasciato per illustrare il testo nel suo complesso e ne’ particolari. La quistione marchionale che è porta dal testo, riceve dai rilievi e dai chiarimenti del P. quel maggior lume desiderabile, che invano si ricerca negli antecedenti pubblicatori, e così le affermazioni come le induzioni si veggono prodotte con il rigore logico della critica savia ed illuminata, confortata da riscontri e da autorità calzanti; dimostrazione e testimonianza della soda dottrina, e della sicura preparazione dell’a. Utilissimo 1’ Index personarum, locorum et. rerum, col quale si chiude l’importante monografia. GIORNALE STORICO E LETTERARIO DELLA LIGURIA Gerolamo Guidoni, 2 luglio 1870 - 2 luglio 1900. A cura della Società « Ircrolamo Guidoni » per la diffusione e 1’ incremento degli studi naturali, bpezia F. Zappa, 1900, in-8, di pp. 53. Ed. di 100 esemplari numerati. Nel trentesimo anniversario della morte del dotto naturalista di Vernazza (nelle Cinque Terre) la Società che si intitola dal suo nome ha fatto questa pubblicazione commemorativa, la quale contiene parecchi scritti notevoli. Precede un lungo articolo di A. A. Mariotti : Gerolamo Guidoni nella storia della Geologia ligure e toscana. L’A., premessi brevi cenni intorno alla vita del G., cerca di richiamarlo - son sue parole - al posto che gli spetta nella storia della geologia ligure e toscana. In fatto, il modesto Guidoni, così benemerito degli studi geologici di queste classiche regioni della penisola italica, mise sempre a profitto degli scienziati forastieri e nostrani i suoi studi e 1 frutti delle sue pazienti ricerche, e ne fu quasi sempre male ricompensato ; giacché coloro che si giovarono dell’ opera sua, delle sue fatiche menarono vanto come di opera propria, dimenticando il nome del Guidoni, 0 degnandolo appena d’uno sfuggevole cenno. Il Mariotti nel suo lavoro mette in rilievo questi fatti, rivendicando allo sfruttato geologo la gloria di parecchie scoperte. Segue uno studio del Sig. Carlo Caselli intorno ad un fatto speciale della vita scientifica del G. : alla scoperta cioè, per opera sua, delle ammoniti sulle montagne del golfo della Spezia, che il geologo inglese pubblicò come scoperta propria. Nella terza parte del volumetto sono contenute parecchie lettere di naturalisti al Guidoni, cioè del Bertoloni, deH’Antinori, del Durazzo, del Provana di Collegno e del Sismonda. Alle quali fanno seguito alcuni appunti insignificanti tratti da un taccuino del G. Poi, un breve cenno intorno a Vernazza e alla casa ove nacque il G., e il Discorso pronunciato dal socio Caselli il 31 ottobre 1897 in occasione dello scoprimento della corona marmorea posta, nella casa di G. G. in Vernazza. La pubblicazione si chiude con la bibliografia guidoniana, nella quale figurano pure alcune operette inedite. Avremmo amato meglio che, invece degli Appunti e del Discorso, i bravi soci della Guidoni avessero pubblicato qualcuno di quegli scritti inediti, che possono portare nuova luce alla geologia della nostra regione. Speriamo lo facciano in altra occasione, e che questa sia prossima. Fra tanto, annunziamo con piacere che uno di quegli scritti : Considerazioni sopra Luni e i marmi di Carrara verrà pubblicato, per gentile concessione del Sig. Mariotti, in uno dei prossimi fascicoli del nostro Giornale. (M) E. A. Dalbertis. Priorità dei genovesi nella scoperta delle Azorre. Firenze, tip. Ricci, 1899; in-8; di pp. 16 (Estratto dagli Atti del III Congresso Geografico italiano). —L’A. dimostra con copia di buone ragioni, e con prove di fatto che le isole Azorre erano conosciute dagli italiani, e singolarmente dai genovesi, prima assai che vi approdassero i portoghesi nella prima metà del secolo XV, ed a sè ascrivessero il merito della scoperta. Inatti a ciascuno riesce ovvio concorrere nella sua opinione, quando apprende che la indicazione di sì fatte isole si trova già in carta del secolo XIV con denominazioni italiane, anzi più propriamente genovesi. A noi senmbra che 1 A. abbia vittoriosamente combattuto le asserzioni, e le denegazioni, non sempre imparziali, del Santarem, il sostenitore così accanito della gloria' portoghese per questa scoperta. Ebbene, anche nelle sue opere con sottile indagine il D. ha rilevato alcuni punti contradditori, alcune concessioni significanti, donde meglio emerge, mercè i giusti rilievi e le illustrazioni dell’A., la luce della verità. I nomi degli arditi navigatori nostrani, che primi approdarono a quelle terre disperse nel mar tenebroso, sono rimasti nella oscurità, ma quantunque ignoti, non è lecito defraudare ad essi la lode meritata. E perciò FA. trattovi dell’ argomento ha toccato alcune cose delle più antiche navigazioni dei liguri in quel mare, e quindi di Madera e delle Canarie. Ci 348 GIORNALE STORICO E LETTERARIO DELLA LIGURIA sia consentita una osservazione: a noi sembra di gian poso e fe icemen e levato il giudizio del cronisia D’ Anton sulla egemonia dei genm csi nspc alla navigazione, ma non 1’avremmo accoppiata con quello de nicen^^pe errore Vurcent, p. 7) troppo recente compilatore d una Histoire e ents. Pietro Sturlese. Discorso letto nella prima festa degli alberi ce 1 dal R. Istituto Nautico « C. Colombo» in Camogli. Chiavari, tip. -Batti-lana, 1900; in-8; di pp. 50. — L’A. a provare l’importanza dell agneoi-tura, e in ispecial modo della silvicoltura si giova della scienza ce a soiu, della poesia, dell’ arte. Buona conoscenza della materia, omogeneità e usione delle parti, geniale esposizione costituiscono le doti di questo discorso, ne quale se v’ ha sovrabbondanza, non c’ è quella vacuità rettorica in cui pui troppo sogliono cadere gli oratori di occasione. Gli Istituti municipali di pubblica educazione e di istruzione in noma nell’ anno 1900. Relazione ufficiale. Documenti e statistiche, enova, tip. della Scuola Civica d’Arti e Mestieri, 1900; in-4, di pp. 279 - CCCXXXII , con illustr.—Questo poderoso volume è stato compilato dall C'''C°l della Pubblica Istruzione, sotto la scorta e secondo il disegno dell spe 01 e Generale delle scuole prof. Edoardo Canevello. n. opera sua la relazione storica, didattica e statistica che apre la serie delle monografie quivi prò o e. Essa non è una nuda, arida enumerazione degli istituti scolastici, accompa gnata da cifre, e dalle magre notizie dei risultati ottenuti durante 1 anno ora trascorso, ma un lavoro originale, ben organato, pieno di solida dotti ina pedagogica, di utili raffronti, di acute osservazioni, di proposte e di consig1 notevoli. Chi legge questa relazione ne trae una conoscenza esatta dello svo gimento che ebbe in Genova 1’ istruzione popolare, delle cure poste a suo incremento così da benemeriti privati come dalle autorità, de’ progressi atti nell’ordine de’ tempi, fino a raggiungere quell’alto grado che ha posto a nostra città fra le primissime anche per questo rispetto, e le ha. meritato que grido onde viene giustamente additata come modello ed esempio da nostrani e. stranieri. Ma il relatore se fa emergere a ragione tutto quanto, secon o verità, torna ad onore del civico magistrato, non nasconde i difetti da coi-reggere, le migliorie da introdurre, le nuove opere da farsi, affinchè a poco a poco questo vasto organismo riceva un assetto che meglio lo avvìi ad accostarsi alla perfezione. E certo i punti eh’ ei va toccando con mano sicura, frutto di studi amorevoli, e di lunga esperienza, han tratto all’ igiene, alla didattica, alla educazione morale, civile e fisica, costituendo quasi diremo, un piano razionale di armoniche riforme alle quali è da augurare il favore del-1’ amministrazione perchè, sotto la sua guida, possano essere, pur gradata-mente, condotte ad effetto. — Dopo questo pregevole lavoro che assomma tutto quanto si riferisce all’ istruzione, seguono speciali relazioni, fra le quali meritano singolare nota quelle dell’ ingegnere Cordone; l’una intorno agli edifici scolastici, 1’ altra sulla organizzazione tecnica e industriale della scuola di arti e mestieri. Tutte e due corredate di numerose figure intercalate nel testo; e tutte due importanti dal lato tecnico, architettonico ed artistico. Ricorderemo altresì quelle che uscite dalla penna di L. A. Cervetto, ci mettono dinanzi, con bella chiarezza, la storia delle biblioteche Civica Berio e della Bri gitole Sale De Ferrari. Fra gli allegati troviamo la conferenza di Anton Giulio Barrili sopra i liguri delle Caverne, e 1’ altra di Arturo Issel intorno ai materiali edilizi e decorativi adoperati in Genova. Furono tenute per incarico del Municipio, ad istruzione del corpo insegnante, e vanno distinte per le notizie poste con buona competenza in forma semplice e conveniente. Il volume venne compilato per la Esposizione di Parigi, e farà certamente onore alla città nostra, e alla saviezza di chi v’ebbe mano,e sopraintesc alla attuazione del disegno. GIORNALE STORICO E LETTERARIO DELLA LIGURIA 349 Giovanni Sforza. Necrologia di Salvatore Bongi direttore del Regio Archivio di Stato in Lucca. Firenze, tip. Galileiana, 1900; in-8; di pp. 27 (Estratto dall’ Archivio storico italiano, Sez. V, 'Γ. XXV). — In due periodi può dividersi la vita del Bonzi; nel primo, quello della giovinezza, che giunge al 1850 in cui la sua attività è tutta spesa a prò della patria, cui porge il lume della mente, 1’ efficacia della penna, la vigoria del suo braccio. Soldato e scrittore, egli è sempre consentaneo a sè stesso, nella purezza degli .ideali, nella moderazione de’principii, nella incrollabilità della fede, nella fermezza del carattere. Ma anche in mèzzo alle diuturne lotte della politica non trascurò gli studi, onde in essi trovò un sicuro posto, e nuovo argomento alla sua operosità. La bibliografia lo attrasse in ispecial modo, e se ne insignorì in guisa da diventare in breve maestro. Attitudine singolare palesò per le ricerche minute e fruttuose d’ archivio, e perciò il Bonaini, sperimentatolo, lo propose all’ ordinamento dell’ archivio lucchese. E 1’ opera sua è là tuttora a porgere testimonianza dell’illuminato criterio ordinativo, mentre gli Indici attestano ai lontani il tesoro eh’ egli ha saputo così bene disciplinare nell’istituto che fu cura e delizia del secondo periodo di sua vita. Tutto questo si rileva dalla sobria, ma accurata e affettuosa necrologia dello S., il quale accenna brevemente alle principali opere del Bongi, e dà infine una esatta bibliografia delle scritture sue originali, e delle pubblicazioni da lui curate. Camillo Manfroni. Sulla battaglia dei Sette Pozzi e le sue conseguenze. Roma, tip. L. Cecchini, 1900 (Est. dalla Rivista Marittima, fase. II (febbraio), 1900). — Questo opuscolo reca nuova luce intorno alla battaglia, volgarmenue detta dei Sette Pozzi, combattutasi tra Cenov:i e Venezia, e chiarisce alcuni fatti riguardanti il periodo di storia marinara, che immediatamente tien dietro alla caduta dell’ impero latino di Costantinopoli ed al ristabilimento dell’impero greco per opera di Michele Paleologo (1261). Sottoponendo a critico esame le fonti del tempo, il M. mostra come la data della battaglia debba porsi tra il maggio e il luglio del 1263 : prova che i Genovesi furono sconfitti perchè una parte della loro armata si astenne dal combattere, e, con un’ ipotesi ingegnosa, ma un po’ ardita, tenta di spiegare la condotta di alcuni capitani e di alcune galee tenendo contò del sistema d’armamento delle squadre. « E’ presumibile », egli scrive, «che [i Maonesi] cercassero di evitare ogni occasione di perdita..... Quegli armatori, mentre avevano tutto l’interesse a conquistare città, isole, territori dei Veneziani, a far preda sui luoghi più esposti e meno difesi, non ne avevano altrettanto a combattere, anche contro forze numericamente inferiori, ad esporre navi ed attrezzature a danni certi, ed a probabile perdita, che nessuno avrebbe rimborsato ». Ma Genova, vinta ai Sette Pozzi, non potendo lasciare la rivale trionfante, apprestò, a spese del Comune, due navi excelsae magnitudinis, di cui furono capitani Pietro Embriaco e Simoiie Guercio, oltre a venti galee con tremila cinquecento armati, sotto il comando di Simone Grillo, « che ebbe sotto di sè come consiglieri quattro illustri e valenti cittadini ». I Veneziani armarono quarantasette galee condotte da Andrea Barozzi, l’inabilità del quale rese facile ai Genovesi la vittoria. Il Baròzzi, navigando celermente verso la Siria, giunse a Tiro : non trovandovi i Genovesi, deliberò di dare l’assalto alla città, ma l’attacco, dapprima bène riuscito, fallì poi compiutamente. La sconfitta de’ Veneziani. indusse il Barozzi a ritirarsi ad Acri. La guerra tuttavia continuò: nelle acque di Trapani, il 23 giugno 1266, tra Lanfrancò Borborino, ammiraglio de’ Genovesi, è Giacomo Dandolo, ammiraglio de’ Veneziani, si combattè una nuova battaglia, nella quale i Genovesi ebbero la peggio. Non mancarono anche nel 1267 atti dì ostilità tra le due repubbliche; ma la discesa in Italia di Corradino di Svevia, favorito 350 GIORNALE STORICO £ LETTERARIO DELLA LIGURIA dalla nobiltà genovese, e le preoccupazioni politiche per questo avvenimento, impedirono che si rinnovassero le battaglie. Genova rivolse tutta la sua attività ai preparativi per la Crociata di Luigi IX e nell’ agosto del 1270 stipulò a Cremona la tregua che pose fine alla guerra. (G. Cogo). SPIGOLATURE E NOTIZIE. Delle relazioni di Giuseppe Biamonti con Teresa Malvezzi, e della influenza da lui esercitata nella sua educazione poetica, parla, sulla scorta del Grosso e pur attingendo dall’archivio domestico Malvezzi, GIUSEPPINA Gan-DOLFI nel suo libro recente: La contessa Teresa Malvezzi e il suo salotto.^ [Bologna, Zanichelli, 1900, pp. 43 segg., 170]. Quivi troviamo cenno altresì dell’amicizia di quella colta gentildonna con Antonio Bertoloni, e del carteggio da questi tenuto con lei, lettere notevoli per la forma elegante, « piena di fantasia e d’ogni gentilezza, eloquenti descrizioni di paesaggi e d’opere d arte », in cui non solo si mostra entusiasta « per l’amabile scienza della dilettevole Flora», ma cerca del pari piante rare e libri rari e pregevoli aiutando ancora il Malvezzi nella ricerca di statuti italiani che andava raccogliendo [p. 161 e seg.] Il Generale Fantuzzi porge argomento a Guido Bigoni di un succoso / articolo (.Natura ed Arte, IX, 992), nel quale si tocca della morte di quel-Γ eroico patriotta avvenuta nell’assedio di Genova il 2 maggio 1800. Nel giornale Flegrea [Napoli, 1900; A. II. Vol. II, p. 323] Lorenzo Salazar pubblica un articolo sopra II bassorilievo della morte nel Chiostro della Certosa di S. Martino, fatto scolpire, secondo dice la scritta, da Fran-ceschino de Brignale nel 1361 come ex voto, per essere uscito incolume da due naufragi, ne’ quali tutti gli altri annegarono. Egli crede che si tratti qui di un Franceschino da Brignole, genovese, forse antenato di quella famiglia che sali a tanto grido. Nel giornale L’ Unione [Spezia, 1900, n. di saggio 1-2-3] sotto il titolo di Memorie patrie è narrato dal Giannelli il tentativo d’insurrezione eh’ ebbe luogo in Lunigiana nel maggio del 1854, capitanato da Felice Orsini. Questo episodio si svolse nella estrema parte orientale del golfo della Spezia, fra Lerici e la punta del Corvo, ed aveva per intento d’entrare negli stati Estensi, a fine di far insorgere quelle popolazioni ; ma abortì sulle prime mosse. Questa relazione, che L’Unione dà come inedita, vide già la luce nel i° fascicolo delle Lettere di Giuseppe Mazzini ad Andrea Giannelli, Prato, Tip. Ligi, 1888, in-16, pp. 73-82 sotto il titolo di Relazione dell Attentato Rivoluzionario della Lunigiana, accaduto nel maggio 1854. In una relazione dove sono registrati i Cristianos cautivos muertos en Barberia de 1684 a 2779, leggiamo la seguente annotazione : « En el afio pasado de 1705, pasando de esta ciudad â la de Fez, Bartolomé Andrés, naturai de Génova, un hijo de Rey, llamado Muley Almotazen, corno k mitad del camino le encontrò y le dio un balazo, del qual sólo pudo Uegar vivo â dicha ciudad de Fez y recebir los santos sacramentos ; y habiendo muerto, fué sepultado en al entierro comùn de los cristianos de aquella dicha ciudad ». \Revista de Archivos, bibliotecas y museos Tere. Ep., A. IV, 250]. Additiamo agli studiosi delle origini de’ liguri il recente volume di André GIORNALE STORICO E LETTERARIO DELLA LIGURIA 351 oriSin^ ^ croyances [Paris, Schleicher, ,900], il cui capitolo [pag. 165 e segg.] ha per argomento Les Ligures et les préceltes. d'Âlnattufa f fIarCnS° e. il tiano di guerra della seconda campagna Jïl, 7' 1PP St0riCl C mültari· con qUL'sto titolo è comparso nella'Ri, vista di storia, arte, archeologia della provincia d’ Alessandria (A IX P· 2I3 e segg.) una importante monografia, dovuta alla diligenza di A. P\ ucco, corredata di carte, e di curiose annotazioni aneddotiche. Noi là segnaliamo non solo per la sua bontà intrinseca, ma perchè rifacendosi ai precedenti della grande battaglia, la narrazione si ricongiunge ai fatti militari che si svolsero in Genova e nella Liguria. mmian Prendendo argomento dal libro del Sieveking, Angelo Roncali discorre eie La casa di S. Giorgio (Rivista Ligure di scienze lettere ed arti, A. xxn asc. in, 125) con utili rilievi e buone osservazioni. Merita di essere segnalato un articolo di José Maria Asensio Sobre algunos incunables espanoles relativos à Cristobai Colòn, nel quale prendendo argomento dal diligente lavoro, sopra la steàsa materia, di K. Haebler (quelques Incunables espagnols à Christople Colomb, in Z, Bibliographe modelli n. 18) fa alcune buone osservazioni singolarmente intorno alle prime stanine spaglinole della lettera di Colombo a Luis de Santangel. Ne trae argomento alla6 nuova dell 1& accoSlienza che si P^ese fatta in Ispagna ni ZLw, Τ*» ΓΤΓ> 6 Π pOC° C°ntü che si TOlle “e fosse te-(Boletm de la Reai Academia de la historia, xxxvi, 449). Per nozze Grassi-Morici sono state pubblicate dal prof. Crocioni (Velletri Stracca) due lettere di Felice Romani al maestro Carlo Conti di Arpino Nel libro recente pubblicato da Leonce Lex, vogliam dire ■ Souvenirr diplomatiques et militaires du général Thiard [Paris, Flammarion] dove il ciambellano del nuovo imperatore, racconta la venuta di questi in I-alia nel 1805, troviamo un capitolo intitolato: A Gênes. A dir vero Genova c entra per una parte soltanto, che non è neppure la maggiore e il g nerale, ricordando d! passata i casi del 1747 non va immune da inesattezze-ma m compenso abbiamo qualche ricordo aneddotico, circa le feste e i rice’ vimenti non privo d’interesse. La Rivista delle biblioteche e degli archivi (Vol. XI, p 40 e se?<> ) reca la memoria letta da L. A. Cervetto, alla riunione biblLrafica di Genova dal titolo : La introduzione della stampa in Genova ed i tirimi tipografi genovesi. Dalle fonti note l’a. ha saputo trarre un quadro geniale e ne WIV T! chiarezza’ tocca le «oende della stampa fra noi’ regioni arSomento Per accennare allo svolgersi della coltura nella nostra APPUNTI DI BIBLIOGRAFIA LIGURE. di cristoforo coiombo· 324 lin 25 de’ maonfsi » de’ maonesi stessi Nelle annotazioni : Pag. 242 lin. 18 la parola leggasi le parole » 244 » 14 OO 1388 OJ OO » 247 » 4 vi essa » che vi » 248 » 21 nel 1321 » poco dopo » 272 » 13 jurisperito » jurisperitus » » » 18 denaro » ducato » 280 » I I aggiungere: (Not. ignoti F.a 47 parte 2 a registri) » 290 » I balistarium leggasi balistarius » 293 » 27 a 92 e 92 » e 92 » 304 » 26 1275 » 1375 » 3°7 » 8 dopo la parentesi aggiungere. ove dice » 316 » 7 presenti » presentis » 317 » 3-4 nulla alienatione vel translatione Segg. nullam alienationem vel translationem » » » 12 nullam leggasi nullum » 318 » 12 màdo » màdo » 319 » 7 deve aver ceduto » forse cedette » » » 8 nominato » indicato V . . ' . . . _ _ _ _ Giornale storico E LETTERARIO DELLA LIGURIA diretto DA ACHILLE NERI κ DA UBALDO MAZZINI. * ANNO 1. FASC.· io iqoo Ottobre SOMMARIO A. Ferretto: I Genovesi in Oriente nel carteggio di Innocenzo IV, pag. 353 — L. Staffetti: La prima stampa delle costituzioni della Chiesa.di Limi e Sarzana, pag. 368 —· G. Rossi: Topografia ligure: Dove si trovava il Castello di Portiiola?, pag. 376 — VARIETA: M. Staglieno : Un’avventura nel Castello di Mongiardino, pag. 381 — G. Sforza:·· Il preteso sepolcro della Vedova del conte Ugolino della Gherardesca a Bibola in Lunigiana, pag. 388 — BOLLETTINO BIBLIOGRAFICO. Si parla di G. Poggi (E. G. Parodi), pag.'392 — ANNUNZI ANALITICI: Si parla di C. Cipolla, G. B. Niccolini e G. Nerucci, Ser Matteo de’ Libri, P. Bologna, pag. 394 — SPIGOLATURE E NOTIZIE, pag. 397 — APPUNTI DI BIBLIOGRAFIA LIGURE, pag. 400 — Pubblicazioni ricevute in dono e in cambio, in copertina. LA SPEZIA DIREZIONE ·. - .xj.· · . j-, · AMMINISTRAZIONE Soeieti» dlncoraggiamento editrice Genova - Corso Mentana __La Spezia - Amministrazfone 43-12 Tip. di Francesco Zappa del Giornale GIORNALE STORICO E LETTERAIRO DELLA LICUIRA 353 I GENOVESI IN ORIENTE NEL CARTEGGIO DI INNOCENZO IV. Innocenzo IV, intorno al cui nome si aggruppa la maggior parte dei grandi avvenimenti del primo mezzo secolo xm, è la figura che si presenta nel quadro di questa trattazione. La memoria del grande genovese, lustro e decoro dei Conti, che tolsero il nome dalla fiumana bella, che Intra Siestri e Chiavari s’ adima rifulge tra le più maestose de’ tempi suoi. Considerando che le relazioni tra i Genovesi e Γ Oriente attraggono oggi l’attenzione dei ricercatori e dei critici, divisai di far conoscere una nuova catena di ricordi, che saranno di somma utilità per chi, traducendo in atto il nobile pensiero del prof. Camillo Manfroni, si accingerà con intelletto d’ amore alla compilazione d’un codice diplomatico delle nostre colonie di Siria (i). Non pochi dei nostri documenti riguardano il patriarca d’Antiochia Opizzo Fieschi dei Conti di Lavagna. Gli orientalisti, che ci diedero la serie di detti patriarchi dal 1247 al 1274, nuotarono in un mare d’incertezze, addensarono errori, che scompaiono però mercè gli atti notarili dell’Archivio di Stato, i quali cominciano ad aprirci la prima strada sicura per chiarire con critica imparziale un punto storico dei più interessanti. Da un atto del 2 aprile 1248 emerge che Opizzo, patriarca d’Antiochia, essendo in Genova, dava facoltà ad un suo procuratore di ritirare i vasi d’argento e d’oro, che il suo predecessore (2) avea depositato in S. Marco di Mantova, presso il Marchese di Soragna (3). Il 5 aprile del 1248 Francesco figlio di Enrico Osso, cancelliere (1) Giornale Stor. e Letter. della Liguria, An. I, p. 57. (2) Predecessore nel patriarcato fu quell’ Alberto Rezzato da Brescia, che in una lettera di Innocenzo IV del 22 luglio* 1246 è ricordato come defunto, leggendosi: « A. bone memorie patriarca Antiochenus » (Les Registres de Innocent IV par Elie Berger, numero 2026). (3) Atti del Not. Giovanni de Vegio, Reg. I, p. 115, Ardi, di St. in Gen. Gior. St. e Lett. della Liguria 23 354 GIORNALE STORICO E LETTERARIO DELLA LIGURIA del Comune di Genova, costituisce un procuratore col mandato di impetrare un benefizio da O. patriarca di Antiochia (i). Il continuatore degli Annali di Caffaro dopo gli avvenimenti del settembre 1247 narra che venerabilis pater dominus patriarca Antiochenus venit Januam et letanter ac honorifice fuit receptus (2). A queste prove arrogi il regesto, che pubblichiamo al 12 giugno 1247, ove il patriarca è detto eletto, onde il patriarca intruso Elia (1247-12 50) datoci dal de Mas Latrie (3) è da ripudiarsi affatto, sicché è giuocoforza prestar fede a quello squarcio di cronaca, già posta in dubbio, che rivela che « An. 1254... Et a vin jours de jung morut Robert patriarche de Ierusalem... Et arriva en Acre Epice patriarche » (4). Il Ròhricht però al-l’ii dicembre del 1254 ricorda Opizzo (5) aggiungendo in un’altra sua opera erudita: « Il dì 4 octobre (1254) vene in Acre el patriarca di Antiochia Opicio » (6). Alessandro IV il 23 marzo 1255 confermava al predetto Opizzo la legazione nel patriarcato, accordatagli da Innocenzo IV, e il 17 dicembre 1255 la collazione della prima cattedrale vacante, stante l’invasione dei saraceni (7). Il Caro, parlando nel 1265 dei tentativi di Clemente IV, fatti onde il genovese Comune lasciasse passare 1’ esercito di Carlo I d’Angiò, dice che non solo il card. Ottobono Fieschi volle far valere personalmente il proprio prestigio, ma sembra che Opizzo, patriarca di Antiochia, anch’egli dei Fieschi, l’abbia accompagnato (8). Ad Opizzo « bouté hors de son propre siege... povre et essiliè » (9), fu il 14 agosto del 1266 presentata in Genova una lettera di Clemente IV. Questi, considerata la divozione, che nutriva verso la S. Sede il genovese Simone Strigliaporco, concedeva al figlio Opizzone, canonico di Acri e di Limisso e cappellano del cardinale Giovanni da Toledo, vescovo di Porto, (1) Atti del Not. Giberto da Nervi, Reg. I, p. 33 v., Arch. c. s. (2) Bartholomaei Scribae, Annales, in Pertz, Mon. Gemi., Tom. xvm, p. 223. (3) Les Patriarches Latins d’Antiochie, in Revue de VOrient Latin, T0111. 11, |>. 197· (4) Recueil des Historiens des Croisades. Historiens Occidentaux, Tom. il, P· 44'· (5) Regesta Regni lerosotimitani, Oenipoti 1893, p. 172. (6) Annales de Terre Sainte publiées par Rembold Rôhricht el Gaston Raynaud, Paris 1884, p. 446 nota. (7) Bourel, Les Registres de Alexandre IV, N". 289 e 964. (8) Caro, Jenua, und die Machte am Mittelmeer, 1257-1311, Lib, 11, Cap. 4, p. 173· (9) Chronique de Primat traduit par Jean de Vignay in Recueil des Historiens des Gaules, Tom. xxm, p. 20. GIORNALE STORICO E LETTERARIO DELLA LIGURIA di percepire i frutti delle sue prebende, non facendo residenza in Oriente (i). Durante l’assenza di Opizzo il patriarcato era governato da un vicario. Infatti Γ8 agosto del 1264 è ricordato Bartholomeus archidiaconus Antiochenus Opizonis patriarche Antiocheni vicarius (2), del quale si ha pure contezza il 29 ottobre 1267 (3). Il 9 giugno del 1272 il patriarca Opizzo, trovandosi in Roma, appone la firma ad una sentenza, emanata dal cardinale Ottobono Fieschi (4). Dopo simili prove, alle quali altre posteriori potrebbero aggiungersi, è d’ uopo espellere dalla serie un altro patriarca, per nome Cristiano, che vien segnato al 1268, e sulla scorta dei documenti concludere che il genovese Opizzo Fieschi occupò la sede di Antiochia dal 1247 al 1292, morendo amministratore dell’arcivescovato genovese. LObituario dell’Archivio Capitolare di S. Lorenzo a p. 153 ha questa nota: « XVII Kalend. Sept. — Dominus Opizo de Flisco patriarca antiochenus patruus qm. Bartolini de Flisco canonici Januensis qui dominus Bertolinus prò anniversario suo perpetuo faciendum dedit sol. iv Janue..... ». * * * Un altro genovese illustre, che togliamo dall’oblio, è Nicolò Lercari, arcivescovo di Tiro (1250-1253), cameriere pontificio, parente di Innocenzo IV, prima prevosto e poi magiscola della cattedrale di Genova, da non confondersi però coll’ omonimo Nicolò Lercari, vescovo di Ventimiglia, sospeso da tal dignità il 18 marzo 1244 (5). Una preziosa cronaca così discorre di lui: « Ann. MCCLI fu fait arcivesque de Sur Pierres Larcat...... « Ann. MCCLIII. Et moururent le rois Henri de Chipre... et Nicolaus Larcat arcevesque de Sur » (6Ì. In nota al cognome Larcat è posto Nicole Larcar. Il Gams (7) tra Pietro e Nicolò, datoci dalla cronaca non sa decidere, e dice : « 1251 el. Petrus (1) Notari Ignoti, Reg. LXVI, Sala 74, Arch. cit. (2) Rohricht, Regesta etc., p. 349. (3) I. Dela ville Le Roulx, Les Archives de V Ordre de Saint Jean de Hierusalem a Malte, Paris 1883, p. 230. (4) Rohricht, 1. c., p. 360. (5) Berger, 1. c., N. 584; Rossi, Storia della Città di Ventimiglia, 188S, p. 98. (6) Recueil des Historiens etc., 1. c., Tom. 11, pp. 440-441. (7) Series episcoporum, p. 434. 356 GIORNALE STORICO E LETTERARIO DELLA LIGUIRA. (Nicolaus?) Larcat 1253 ». Il Le Quien (1) poi sbaglia del tutto, attribuendolo all’ordine di S. Domenico. Nicolò, prevosto della cattedrale di Genova e cameriere pontificio, con bolla del 15 novembre 1243 era stato prescelto da Innocenzo IV a reggere la sede episcopale di Torino, ma l’elezione non ebbe luogo (2). Di lui si ha pure ricordo in altra bolla, che il Potthast (3) assegna tra il 28 giugno 1243 e 7 dicembre 1254, dalla quale risulta che Innocenzo IV raccomandava al Comune di Ancona Ugone Lercari, fratello di Nicolò, cameriere pontificio ed altri suoi soci di Genova. Ed Ugone figlio del qm. Belmosto Lercari fu il celebre ammiraglio di S. Luigi IX. La bolla però, che non ha data fissa, deve assegnarsi ad un periodo di tempo più ristretto. Il Belgrano (4) riferisce un atto, stipulato il 24 luglio 1248 da Ugone Lercari, e da un altro del 26 settembre 1250 risulta che Belmostino del qm. Ugone Lercari riceveva L. 50 in accomandita per portare in Oriente (5). Il nostro arcivescovo Nicolò figlio di quel Belmosto Lercari, che nel 1204 era console in Alessandria d’Egitto (6) comparisce in un atto del 30 settembre 1216, ove è ricordato in qualità di canonico di S. Maria di Castello (7). I Lercari poi godevano da tempi antichi di speciali privilegi in Oriente. Infatti il 27 agosto del 1253 Guglielmo del qm. Belmosto Lercari (fratello dell’ arcivescovo di Tiro) dichiara che il feudo di 200 bizanti, che ciascuno della famiglia Lercari percepiva nel regno di Gerusalemme dalla curia regia, concesso dagli antichi re di Gerusalemme, non ostante la parte che il 25 ottobre 1162 era stata deliberata dal cone-stabile e baiulo di detto regno ai suoi predecessori, apparteneva ora ai nipoti e altri parenti, nominati nell’ atto (8). ■* * * Nella compilazione dei Regesti abbiamo adottato il sistema, (1) Oriens Christianus, Tom. il, col. 1318-19. (2) Berger, 1. c., n. 228. (3) Regesta Pontificum, Tom. 11, n. 15590. (4) Documenti inediti riguardanti le due Crociate di S. Ludovico IX Re di Francia, p. 58. (5) Atti del Not. Bartolomeo de Fornari, Reg. 11, p. 69, Arch. di St. cit. — Lo stesso notaro (p. 141 v.) ha un altro atto dell’ 11 aprile 1251, che ricorda il nome di Bartolomea, vedova di Ugone del qm. Belmosto Lercari. (6) Serra, Storia della Liguria, Capolago, 1835, v. iv, p. 162. (7) Vigna, L’Antica Collegiata di Castello, Genova, 1859, p. 194. (8) Atti del Not. Bartolomeo de Foinari, 1. c., Reg. iv, p. 211. GIORNALE STORICO E LETTERARIO DELLA LIGURIA 357 usato dal compianto Desimoni, facendo cioè cenno delle lettere già stampate, e di altri atti, e pubblicando nella loro integrità le lettere inedite. In quanto alla fonte, per non accrescere la mole del lavoro, ci limitiamo ad accennare l’ultima che richiama le altre. *· - I245> 3 gennaio. — Innocenzo IV al vescovo e al capitolo di Tripoli. Annuncia aver conferito a Nicolò (Lercari) suo parente, prevosto della cattedrale di Genova e cameriere pontificio, la cantoria e altri benefizi, che nella chiesa maggiore tripolitana otteneva Gottifredo de’ Prefetti, vescovo eletto di Betlemme. Lo ricevano adunque con benevolenza; e dice di avere pure scritto al patriarca di Gerusalemme. « Etsi Sed.es Apostolica ». Da Lione. (Berger, 1. c., n. 837). II. - 1245, 29 gennaio. — A Nicolò (Lercari) suo parente, cameriere pontificio, cantore di Tripoli etc. Possa tenere parecchi benefizi ecclesiastici. « Etsi ». Da Lione. (Berger, 1. c., n. 928). III. - 1245, 22 febbraio. — Al patriarca di Gerusalemme e all’arcivescovo di Nazaret. Facciano assegnare al procuratore di Nicolò (Lercari) i redditi della cantoria, delle prebende e delle case, che percepiva in Tripoli Gottifredo de Prefetti, vescovo di Betlemme. « Dignum est et ». Da Lione. (Berger, 1. c., n. 1079). IV. - 1246, 17 marzo. — Al patriarca di Gerusalemme, legato apostolico. Accoi di un benefizio ecclesiastico nel patriarcato di Gerusalemme, purché non sia gravato da provvisione pontificia, a Gerardo, chierico della rettoria di S. Ambrogio di Fegino, procuratore di Giacomo, figlio di Pietro Doria e di Benedetto, figlio di Ideto di Negro. « Cum dilectus filius ». Da Lione. (Berger, 1. c., n. 1749). V. - 1246, 20 giugno. — A Giacomo Musso, canonico della cattedrale di Genova. Raccomanda maestro Ottone da Cremona, crociato. Innocentius episcopus servus servorum dei dilecto filio Jacobo dicto Musso canonico Janue salutem et apostolicam benedictionem. Magister Otto dictus de Cremona phisicus taicus crucesignatus nobis conquerendo monstravit quod Archipresbiter de Celtanesi Albe rictis de Gavio miles et Guilielmus dictus Bonus de Naxio et quidam alii clerici et laici januensis civitatis et diocesis super quadam pecunie summa possessionibus et rebus aliis iniuriantur eidem. Ideoque discritioni tue etc. Testes autem etc. Datum Lugduni XII Kal. Julii Pontificatus nostri anno tertio. (Atti del Not. Palodino de Sexto, An. 1241-1253, p. 77 v., Archivio di St. in Genova). VI. - 1246, 19 luglio. — AI Conte di Ampurias. Ricevette sue lettere, portate dal genovese Nicolò Cicala, inviato ambasciatore a Lione e gli vieta di prestare sicurtà al re di Tunisi. « Dilectus filios Arnaldum ». Da Lione. (Berger, 1. c., n. 2011). 35§ GIORNALE STORICO E LETTERARIO DELLA LIGURIA VII. - 1246, i ottobre. — Al patriarca e a tutti gli arcivescovi e vescovi del regno di Gerusalemme. Lamentasi che mercanti genovesi, pisani e veneti, navigando nelle parti di Costantinopoli, asportarono greci, bulgari e ruteni cristiani, vendendoli poi ai saraceni come schiavi. Gli schiavi chiedono di essere liberati. « Clan sicut accepimus ». Da Lione. (BERGER, 1. c., n. 1246). Vili. - 1246, 18 ottobre. — All’arcivescovo di Genova e al popolo a lui commesso. Aiutino con diligenza frate Lupo, vescovo eletto del Marocco nella missione, affidatagli, di dilatare il culto cristiano. « Fidelis proprio signo ». Da Lione. (Potthast, 1. c., p. 1041). IX. - 1246, 5 dicembre. — Ai cittadini genovesi in Oriente. Possano liberamente far testamento, quantunque lontani dalla patria e non possano in ciò essere impediti da qualsiasi persona. « Licet secundum sanctiones ». Da Lione. (Berger, 1. c., n. 2289). X. - 1247, 31 marzo. — Simone Malocello (1), procuratore di Corradino Pavia, figlio di Giacomo Pavia, cancelliere del Comune genovese, presenta al patriarca di Gerusalemme e all’ arcivescovo di Tiro una lettera, in virtù della quale Innocenzo IV loro ordinava di accordare un benefizio al predetto Corradino. In.....a rogito del Not. Pietro Saporiti. (Atti del Not. Bartolomeo de Fomari, Reg. n, p. 98 v., Archivio di St. in Gen.). XI. - 1247, 12 giugno. — Innocenzo IV al podestà e comune di Novara. Lamentasi O____arcidiacono di Antiochia che il capitolo antiocheno mandò una quantità di denaro al patriarca eletto (Opizzo Fieschi) e fu sottratta in un porto della diocesi novarese. Risarciscano il danno, altrimenti li punirà, avendo pure scritto al vescovo di Novara. « Dilecto filio Ο. ». Da Lione. (Berger, 1. c., η. 2862). XII. - 1247, 12 luglio. — Al patriarca eletto di Antiochia (Opizzo Fieschi). Accordi un canonicato a Rainerio, figlio di Guglielmo Scotto, cittadino genovese, in qualche chiesa dei patriarcati di Antiochia e di Gerusalemme, fatta eccezione per la cattedrale di Antiochia. « Cupientibus ascribi militie ». Da Lione. (Berger, 1. c., n. 3075). XIII. - 1247, 22 luglio. — All’arcivescovo di Tiro. Provveda un beneficio in qualche chiesa del patriarcato di Gerusalemme al chierico Ogerio Bottaro, studente in Genova, nipote di Pietro, ostiario pontificio. « Etsi Sedes Apostolica ». Da Lione. (Berger, 1. c., n. 4042). (1) Simone Malocello e Guglielmo Bulgaro il 23 giugno 1249 son nominati quali consoli e viceeomiti in Siria, e, trovandosi ad Acri, prendono possesso a nome del Comune di Genava d' una casa già spettante a Nicolò Anteimo (Rohricth, 1. c., p. 309). II Malocello, a fianco di Ogerio Riccio, perdura nel consolato anche neH'anno successivo (Desimoni, Quatre Titre des Génois à Acre et Tyr, in Archives de V Orient Latin, Vol. n, p. 222). GIORNALE STORICO E LETTERARIO DELLA LIGURIA 359 XIV. - 1247, 25 agosto. — Al patriarca di Gerusalemme, legato apostolico. Conferisca a Marco, chierico genovese in Acri, una di quelle prebende della chiesa di Lidda, da tanto tempo vacanti. « Cum sicut accepimus ». Da Lione. (Berger, 1. c., n. 3209). XV. - 1247, 8 ottobre. — Agli arcivescovi e vescovi della provincia antiochena. Annunzia di aver eletto il patriarca d’Antiochia (Opizzo Fieschi), personaggio fornito di scienza e buoni costumi, legato apostolico nella provincia e nell’ esercito per Terra Santa. « Quia comtnissum nobis ». Da Lione. (Berger, 1. c., n. 3299). XVI. - 1247, 8 ottobre. — Al patriarca di Antiochia (Opizzo Fieschi). Volendo onorare la sua persona con grazie speciali lo elegge legato apostolico nella provincia antiochena e nell’esercito cristiano. « Inducti sinceritatis tue ». Da Lione. (Berger, 1. c., n. 3300). XVII. - 1247, 8 ottobre. — Allo stesso. Se riuscirà a togliere dalle mani dei saraceni quelle città, che già furono sotto il patriarca greco di Antiochia, vi eserciti pure la sua giurisdizione. « Cum sicut tua ». Da Lione. (Berger, 1. c., n. 3368). XVIII. - 1247, 7 dicembre. — Al podestà, al consiglio e al comune di Genova. Nessun patriarca, arcivescovo, vescovo, prelato non tanto nel regno di Gerusalemme quanto nel regno di Cipro, e ovunque in Oriente, sotto pretesto di testamento fatto, valga a scomunicare alcun Genovese, senza speciale mandato della S. Sede, aggiungendo che i Genovesi possano godere di tutti i privilegi, che i Veneziani godono nei regni di Gerusalemme e di Cipro e in altre parti d’ Oriente. Il priore di S. Croce di Acri darà esecuzione alle predette concessioni. « Solet annuere Sedes ». « Revolutis in mente ». « Cum pro puritate ». « Revolutis in mente ». Da Lione (4 lettere). (Potthast, 1. c., n. 1778-79-80-81, Berger, 1. c., n. 3493-94). XIX. - 1248, 23 gennaio. — Al patriarca di Antiochia (Opizzo Fieschi). Accordi un benefizio in qualsiasi chiesa dell’ Oriente a Roberto de Corrigia, canonico di Parma. « Ecclesiantm utilitatibus expedit ». Da Lione. (Berger, 1. c., n. 3667). XX. - 1248, 6 febbraio. — Al vescovo e al capitolo di Famagosta. Ricevano in canonico il genovese Nicolino figlio di Giacomo de Aldo, fratello di Bonvassallo de Aldo, cancelliere del re di Cipro. L’ arcivescovo di Nicosia eseguirà il mandato apostolico. « Dilecti filii B. ». Da Lione. (Berger. 1. c., n. 3699). XXI. - 1248, 19 febbraio. — Al patriarca di Antiochia (Opizzo Fieschi). Faccia accogliere in qualche chiesa dell’Oriente il genovese Simonetto, figlio di Bulgarino Bulgaro, canonico sidoniense, e faccia assegnare una prebenda in qualsiasi chiesa del regno di Cipro allo studente genovese Giovanni, figlio di Adelardo Giudice. « Ad'provisiones illorum » « Nostra circa provisionem ». Da Lione (2 lettere). (Berger, 1. c., n. 3662-63). XXII. - 1248, 28 febbraio. — Al vescovo e al capitolo di Pafo. Ri- 360 GIORNALE STORICO E LETTERARIO DELLA LIGURIA cevano in canonico il genovese Nicolino ( 1 ), figlio di Giacomo de Aldo, fratello di Bonvassallo de Aldo, cancelliere del re di Cipro. « Eos libenter ». Da Lione. (Berger, 1. c., n. 3698). XXIII. - 1248, 18 marzo. — Al priore dei frati predicatori di Nicosia. Non permetta che venga molestato Bonvassallo de Aldo, genovese, cancelliere del re di Cipro e revochi ciò che in suo pregiudizio fu temerariamente fatto, dopo che egli venne alla S. Sede. « Sic fervet quoru?ndam ». « Dilecti fili2 Bonivassalli ». Da Lione (2 lettere). (Berger, 1. c., n. 3712-13)· XXIV. - 1248, 4 aprile. — Alberto Fieschi dei conti di Lavagna, figlio di Ugone, canonico di Tripoli, costituisce procuratore Guglielmo, canonico di S. Giorgio in Genova, e Donnino da Parma, abitante a Tripoli, col mandato di riscuotere i frutti e gli introiti della prebenda sua, conferitagli da Innocenzo IV . In Genova. (Atti del Not. Bartolomeo de Fornari, Reg. 1, parte 11, ρ· 51» Arch. di St. in Gen.). XXV. - 1248, 6 aprile. — Giacomo Pavia, cancelliere del Comune di Genova, delega Giacomo Musso, canonico della cattedrale di Genova, a chiedere il canonicato della chiesa maggiore di Tripoli per suo figlio Corradino, come da lettera d’Innocenzo IV, scritta al patriarca di Antiochia. In Genova. (Not. c. s., p. 53). XXVI. - 1248, 25 maggio. — Innocenzo IV ai Genovesi, degenti nelle parti di Gerusalemme. Non pochi abitanti dell’ Oriente macchinano di dare il regno di Gerusalemme a Federico e a Corrado suo figlio, onde non permettano novità e sieno divoti alla chiesa, altrimenti li priverà di tutte le libertà, dei privilegi e delle immunità che godono in Oriente. « Curri sicut accepimus ». Da Lione. (Berger, 1. c., n. 4107). XXVII. - 1248, 6 agosto. — Oldebrando degli Oldebrandi da Cremona e Giannotto degli Oldebrandi, suo nipote, costituiscono procuratore Guercio da Reggio, nunzio del vescovo di Tripoli, cól mandato di chiedere al pontefice Innocenzo IV una lettera in loro favore. In Genova. (Atti del Not. Bartolomeo de Fornari, Reg. 1, parte Π, p. 176, Arch. c. s.). XXVIII. - 1248, 14 agosto. — Innocenzo IV al vescovo già di Pafo, dimorante in Acri, in favore di Simonetto Bulgaro. Innocentius episcopus servus servorum dei venerabili fratri... episcopo qm. Paphensi (2) apud Accon commoranti salutem et apostolicam benedictionem. (i) II 31 gennaio del 1263 è ricordata una vendita fatta in Genova da Opizzino, figlio del qm. Nicolò de Aldo (Not. Bartolomeo de Fornari, Reg. v, parte 11, p. 26, Archivio di St. in Gen.). ;2) Un vescovo di Pafo, per nome Giovanni, il 3 maggio del 1237 6 in Genova e con Geroldo, patriarca di Gerusalemme, interviene alla eonsecrazione della chiesa di Castello iVigna, Illustrazione di S. Maria di Castello, Genova, 1864, p. 483). Il 9 agosto dello stesso anno collo stesso patriarca e con frate Velasco, vescovo del Marocco, interviene alla consecrazione della chiesa di S. Siro. (Hist. Patr. Mon., Chartarum, toni, i, col. 1335). GIORNALE STORICO E LETTERARIO DELLA LIGURIA Dilectus filius Simon scolaris natus nobilis viri Bulgarini de Bulgaro ( i ) civis Januensis nobis significare curavit quod cum olim venerabili fratri nostro patriarche Jcrosolimitano super receptione ac provisione sua in Si-doniensi ecclesia sub certa forma direximus scripta nostra et eorum auctoritate a quadam parte capituli eiusdem ecclesie receptus sit in canonicum et in fratrem dicto tamen patriarca contra partem alteram que continuanter ipsum recifere denegat nolens ad exeeutionem mandati nostri procedere eidem ut asserit... dictus scolaris ad nostram recurrere prorvidenciam est coactus. Volentes igitur ut ipse de facta sibi a nobis gratia debitum consequatur effectum fraternitati tue per apostolica scripta mandamus quatinus in exeeutione mandati predicti procedas iuxta dictarum ad prefactum patriarcham continentiam litterarum contradicentes per censuram ecclesiasticam appellatione postposita compescendo. Datum Lugduni II Id. Augusti pontificatus nostri anno sexto. (Atti del Not. Palodino de Sexto, Reg. r, parte n, p. 50 v., Arch. c. s.). XXIX. - 1248, 2 dicembre. — Al patriarca di Gerusalemme, legato apostolico. Avendo tollerato che il patriarca di Antiochia (Opizzo Fieschi) portasse le insegne della legazione, quando fu ad Acri, come legato apostolico, e, sebbene abbia fatto ciò che è di spettanza dei legati a latere, non deve questo ridondare in pregiudizio della sua chiesa. « Cum sicut ex ». Da Lione. (Berger, 1. c., n. 4225). XXX. - 1250, 21 aprile. — Corrado del qm. Musso dei Conti di Lavagna, canonico di S. Donato in Genova e nipote di Guglielmo, prevosto della cattedrale di Genova, costituisce procuratore Guglielmo Guercio col mandato di prender possesso a nome suo del canonicato, accordatogli nella chiesa di Beiruth da Innocenzo IV con lettera diretta all’arcivescovo di Tiro. In Genova. (Atti del Not. Giovanni de Vegio, Reg. 1, parte I, p. 193, Archivio di St. in Gen.). XXXI. - 1250, 19 luglio. — Il procuratore di Cazanemico, figlio di Enrico Barca, cittadino di Genova, è ricevuto in canonico della chiesa maggiore di Pafo, in virtù d’ una lettera di Innocenzo IV diretta al vescovo e al capitolo di Pafo. In Pafo a rogito del Not. Rainaldo Beltramo. (Atti del Not. Bartolomeo de Fornari, Reg. in, parte 1, p. 186, Arch. c. s.). XXXII. - 1250, 13 ottobre. — Nicoloso, figlio di Delomede Mangiavac-che, cittadino di Genova, costituisce procuratore Giovanni Mangiavacche, ma- li 19 agosto dì nuovo col patriarca autentica un privilegio concesso nel 1169 ai Genovesi da Boemondo principe d’Antiochia (Chartarum, 1, 859). Il 7 febbraio del 1245 è ricordato Giovanili, detto romano, nunc Paphensis electus. (Berger, 1. c., η. 957)· H 25 giugno del 12'16 Innocenzo IV si lamentava col patriarca di Gerusalemme e col vescovo di Acri che il vescovo di Pafo, passandosi per vescovo di Betlemme, invase alcune case in Acri, asportando reliquie etc. (Berger, 1. c., 11. 2057). (1) Un atto dell’8 ottobre 1250 ricorda la nave di Bulgarino de Bulgaro, chiamata Angelo, che va ad Acri (Not. Bartolomeo de Fornari, Reg. 11, p. S3 v. Arch. c. s.). -- 3Ô2 GIORNALE STORICO E LETTERARIO DELLA LIGURIA giscola della cattedrale di Antiochia, (1). Enrico de Avegno e Giacomo Man-giavacche (2) col mandato di presentare al vescovo e al capitolo di Anterado la lettera d’Innocenzo IV, che gli accorda un canonicato in detta chiesa. In Genova. (Atti c. s., Reg. 11. p. 99). XXXIII. - 1250, 25 ottobre. — Innocenzo IV al prevosto e al capitolo di S. Maria delle Vigne per un canonico crociato. Innocentius episcopus servus sei~vorum dei dilecto filio preposito et capitulo ecclesie sancte Marie de Vineis januensis salutem et apostolicam benedictionem. Cum quondam Henricus cuìncanonicus vester crucisignatus proventus prebende sue prò executione voti crucis pignori quibusdam creditoribus obligaverit universitati vestre per apostolica scripta firmiter precipiejido mandamus quatinus huiusmodi contractum inviolabiliter observetis alioquin dilecto filio archipresbitero de Sigestro januensis diocesis litteris nostris in-iungimus ïit vos ad id monitione premissa sicut iustum fuerit appellatione remota compellat. Datum Lrtgduni VIII ICal. Octobris pontificatus nostri anno octavo. (Atti c. s., Reg. 11, p. 31). XXXIV. - 1250, 26 ottobre. — Al vescovo di Lidda e all’arcivescovo di Nazaret. Inducano in possesso della cantoria di Tripoli, della prebenda, delle case e di altro il canonico di Tripoli Filippo (da Firenze) (3) essendo il titolare N (icolò I.ercari) eletto arcivescovo di Tiro. « Cum sedes Apostolica ». Da Lione. (Berger, 1. c., n. 5390). XXXV. - 1250, 26 ottobre. — Al prevosto e al capitolo della cattedrale di Genova. Assegnino una prebenda a Nicolò, canonico di Reims, nipote di N (icolò Lercari) eletto arcivescovo di Tiro. Innocentius episcopus sei-vus servorum dei dilectis filiis preposito et capitulo januensi salutem et apostolicam benedictionem. Ex affectionis excellentia specialis qua diligimus ecclesiam januensem non debet onerosum vobis existere vel molestum si pro hiis quorum consanguineis exigentibus meritis eorundem caros et acceptos habeamus nostras vobis litteras dirigamus, Cum igitur dilectum filium N. camerarium nostrum magistrum scolarum ec- (1) L’8 dic. dei 1262 Giovanni Mangiavacche è ancora magiscola della cattedrale antiochena e cappellano de", pontefice Urbano IV (Atti del Not. Guglielmo de S. Georgio, Reg. il, p. 138, Arch. di St. in Gen.). (2) Il 3 ottobre 1250 Giacomo Mangiavacche riceveva dallo zio Delomede Mangiavacche una quantità di tela e di panni, che prometteva di portare in Oriente colla sua nave, chiamata Regina (Not. Bartolomeo de Fornari, Reg. 11, p. 99 v., Arch. s. e.). (3) Maestro Filippo, ambasciatore dell’arcivescovo di Nazaret e del patriarca di Gerusalemme trovavasi in Genova I’ 11 settembre 1245. Questi alla presenza di Rodolfo, canonico di Monte Sion in Gerusalemme, riceveva una dichiarazione da un certo Giovanni de Floriano, il quale prometteva che le due croci di cristallo, contenenti reliquie della S. Croce, i sei anelli pontificali, dei quali quattro celesti, un giallo ed un rosso, i sei monili d’oro tempestati di pietre preziose, la pietra preziosa lavorata in modo da essere appesa al collo, che erano in potere dei castellani di Bonifazio, sarebbero state consegnate al predetto ambasciatore. (Atti del Not. Giberto da Nervi, Reg. 1, p. 12, Arch. di St. in Gen.). GIORNALE STORICO E LETTERARIO DELLA LIGURIA 363 clesio memorate Tirensi ecdesie nuper concessimus in pastorem (1) ac ipsum et su os pro merentibus ci sincero complectamur dilectionis affectu universitatem vestram rogamus et hortamur attente per apostolica scripta vobis mandantes quatenus dilectum filium Nicolaum remensem canonicum came rarti predidi nepotem vel procuratorem suum eius nomine in ecclesia vestra pro reverentia nostra liberaliter admittatis in canonicum et in fratrem ac prebendam conferatis et assignetis eidem quam primum obtulerit se facultas non obstantibus statuto de certo canonicorum numero iuramenti vel confirmatione Sedis Apostolice seu quacumque alia firmitate vallato aut si pro aliis direximus scripta nostra quibus auctoritate presencium nolumus preiu-dicium generari seu quod idem N. alias beneficiatus existit aut qualibet indulgentia de qua plenam oporteat vel expressam aut de verbo ad verbum in presentibus facere mentionem alioquin ne verbum nostrum ad nos vacuum revertatur dilecto filio preposito Sancti Petri de Porta januensis diocesis per litteras nostras iniungimus ut mandatum super hoc apostolicum exequatur contradictores per censuram ecclesiasticam appellatione postposita compescendo non obstantibus supradictis aut si aliquibus sit indultum quod interdici vel suspendi aut excomunicari non possint mandato nostro vel littera speciali. Datum Lugduni VII Kal. Novembris pontificatus nostri anno octavo. (Atti del Not. Bartolomeo de Fornari, Reg. 11, p. 20). XXXVI. - 1250, I novembre. — Andriolo di Giacomo Parpalione da Genova costituisce procuratore Nicolino del qm. Lanfranco Spinola col mandato di presentare al patriarca di Antiochia (Opizzo Fieschi) una lettera di Innocenzo IV, in virtù, di cui veniva eletto canonico in una delle chiese d’ Oriente, fatta eccezione per le chiese maggiori di Antiochia, Tripoli e Acri. In Genova. (Not. c. s., p. 15). XXXVII. - 1250, 31 dicembre. — Innocenzo IV al tesoriere della chiesa maggiore di Beyrouth. Accordi un benefizio nella provincia di Nicosia a Raimondo, figlio del qm. Ugone Podisio (da Genova?). « Volentes igitur dilectum ». Da Lione. (Berger, 1. c., η. 54Ι9)· XXXVIII. - 1251, 15 gennaio. ·—- A maestro Filippo (da Firenze) scrittore pontificio, canonico di Tripoli. Oltre la cantoria e la prebenda, rimaste vacanti per essere N (icolò Lercari) eletto arcivescovo di Tiro, possa tenere i canonicati e le prebende nelle chiese di Tiro e Sidone. « Apostolice Sedis benignitas ». Da Lione. (Berger, 1. c., n. 5048). XXXIX. - 1251, 27 gennaio. — A Giordano, tesoriere della chiesa maggiore di Beyrouth e a prete Giacomo, canonico di Antiochia. Accordino i frutti per un quinquennio del benefizio a Pietro, figlio di Lanfranco Cicala da Genova, eletto canonico di Pafo, e ora studente in lettere. « Cum dilectus filius ». Da Lione. (Berger, 1. c., n. 5101. (r) Il Rohricht (1. c., p. 307) riferendo una bolla del 12 gennaio 1249 diretta all’arcivescovo di Tiro pone tra parentesi Nicolò (?). Non possiamo ammetterla come diretta al nostro genovese, perchè appena il 26 ottobre 1250 è detto nuper eletto. 3otes venerabilis fratris nostri tir ensis archiepiscopi ( I ) in persona Johannini eorum clerici honorare volentes discretioni tue per apostolica scripta mandamus quatenus eidem cUrico de aliquo beneficio ecclesiastico prebendali vel alio eciam curam animarum habente in Januensi aut Saonensi civitate vel diocesi si vacat ad p resens ibidem vel quamprimum ad id se facultas obtulerit per te vel per alium auctoritate nostra prorvidere procures faciens eum in ecclesia (1) Come già fu dettò nella prefazione l’arcivescovo Nicolò Lercari morì nel 1253, 11011 prima però del 4 maggio, trovandosi coti tal data che Rainalduccio suo servo e Manfredo suo chierico davano alcune somme ad Enrichetto Lercari per negoziarle in Oriente. (Not. c. s. Reg. iv, p. 87). 366 GIORNALE STORICO E LETTERARIO DELLA LIGURIA in qua ei provideri mandaveris si collegiata fuerit in canonicum seu clericum recipi et in fratrem non obstante certo ipsius ecclesie cononicorum seu clericorum numero etc. Contradictores per censuram ecclesiasticam appellatione postposita compescendo. Datum Perusii III Id. Aprilis pontificatus nostri anno decimo. (Not. c. s., Reg. iv, p. 17). LIV. - 1253, 16 aprile. — Giacomo, studente, figlio di Marino Usodi-mare, costituisce procuratore Enrico Lercari col mandato di presentare all’arcivescovo di Tiro (Nicolò Lercari) una lettera del pontefice Innocenzo IV, che ordina di riceverlo canonico in qualche chiesa della provincia antiochena e in quella di Tripoli, ove è già titolare, essendo ora stato tonsurato da Giacomo, già vescovo di Torino. In Genova. (Not. c. s., p. 50). LV. - 1253, 28 aprile. —■ Nicolò, figlio di Delomede Mangiavacche costituisce procuratore Giovanni Mangiavacche, magiscola della chiesa antiochena e Rainaldo Lavaggio (<) per riscuotere i redditi passati e futuri della prebenda, che per bolla di Innocenzo IV gli fu conferita nella chiesa di Anterado. In Genova. (Not. c. s., p. 63 v.). LVI. - 1253, 29 ottobre. — Nicolino Spinola costituisce procuratore suo padre Nicolò, dandogli facoltà di assumere la gestione di ciò che possiede in Cipro e nella chiesa di Limassol a riguardo della sua prebenda, e di prendere possesso della prebenda, che spera di ottenere da Innocenzo IV nella chiesa maggiore di Tripoli. In Genova. (Not. c. s., Reg. IH, parte 1, p. 123). LVII. - 1253, 22 dicembre. — Ideto de Camilla, canonico della chiesa maggiore di Nicosia, costituisce procuratore suo padre Angelino e suo zio Guglielmino Camilla per prendere a suo nome possesso del benefizio, che nella chiesa di Nicosia gli fu concesso da Innocenzo IV. In Genova. (Not. c. s., Reg. iv, p. 279 v.). LVIII. - 1254, 27 febbraio. —- Innocenzo IV al maestro e ai fratelli dell’ospedale dei Teutonici in Acri. Conferma una senten2a, pronunciata in Roma il 19 febbraio 1254, alla presenza di Filippo da Passano (2) di Giflredo da Vezzano, notaio, e di altri, dal card. Ottobono Fieschi del tit. di S. Adriano. « Ea que iudicio ». Da Laterano. (Potthast, 1. c., n. 15255; Rochricht, 1. c., p. 320). LIX. - 1254, 28 febbraio. — All’ arcivescovo di Genova. Assegni il canonicato della chiesa di Beyrouth ad Angelino dei Conti di Lavagna. (1) I Lavaggio avevano beni in Antiochia. Infatti il 14 ottobre 1264 Perronella vedova di Lanfranco Lavaggio incaricava Lorenzo de Guglielmo, borghese (li Acri, di prendere possesso d’una sua casa, posta in Antiochia presso S. Giovanni ubi habitant seu habitare consueverunt lanuenses (Atti del Not. Guglielmo de S. Georgio, Reg. i, p. 22, Arch. di St. in Gen.). (2) Un atto del 9 maggio 1268 ricorda Filippo da Passano, canonico di Nicosia Limassol e Anterado (Pocn, Miscellanea diStor. Lig., Voi. v, p, 188 Ms. alla Biblioteca, Civico-Berio in Gen.), lo stesso che nel 1273 è studente in Bologna (Spotorno, Storia Lett. della Liguria, Voi. 1, p. 205. GIORNALE STORICO E LETTERARIO DELLA LIGURIA 367 Innocentius episcopus servus servorum dei venerabili fratri... archiepiscopo fanuensi salutem et apostolicam benedictionem. Cum sicut accepimus dilectus filius Conradinus natus quondam Mussi comitis .Lavante canonicatus quos in Beriihensi et sancti Donati Janue ecclesiis ac plebe de Sigestro januensis diocesis obtinet in quibus auctoritate nostra receptus est in canonicum et in fratrem resignare intendat fraternitati tue per apostolica scripta mandamus quatinus si est ita predictorum canonicatuum per te ve alium auctoritate nostra a dicto C. libera resigna-tione recepta canonicatus ipsos dilecto filio Angelino scolari fratri eiusdem cum clericali caractere fuerit insignitus conferas et assignes ipsum vel procuratorem suum pro eo recipi in ecclesiis et plebe predictis in canonicum et in fratrem, etc. Contradictores per censuram ecclesiasticam appellatione postposita compescendo. Datum Laterani II Kalend. marcii pontificatus nostri anno undecimo. (Atti del Not. Bartolomeo de Fornari, Reg. m, parte I, p. 196). LX. - 1254, 30 marzo. — Al patriarca di Antiochia (Opizzo Fieschi). Essendo la sua terra devastata dai turchi, gli commette l’amministrazione della chiesa di Nicosia, e la riscossione dei proventi di essa. «.....». Da Laterano. (Potthast, 1. c., n. 15307). LXL - 1254, 2 maggio. —· Armanno, chierico, nipote di Guglielmo, arciprete di Lavagna, costituisce procuratori Guglielmo Pezagno e Guglielmo da Monleone, col mandato di presentare al priore di S. Lorenzo di Acri (1) una lettera di Innocenzo IV, in virtù della quale viene eletto canonico di Sidone. In Genova. (Atti del Not. Bartolomeo de Fornari, Reg. in, parte 1, p. 175). LXII. 1254, 6 maggio. — Innocenzo IV al prevosto di S. Donato in Genova. Accordi il canonicato e la prebenda in S. Croce di Acri al genovese Pietro da Savignone. Innocentius episcopus servus servorum dei dilecto filio proposito sancti Donati januensis diocesis salutem et apostolicam benedictionem. Cum sicut ex parte dilecti filii Idonis januensis dicti Turchii canonici ecclesie sancte Crucis Acconensis fuit propositum coram nobis ipse canonicatum et prehendam quas in eadem ecclesia obtinet libere resignare proponat nos volentes de illis dilecto filio Petro clerico nato dilecti filii nobilis viri Rogerii dicti de Savignone civis Januensis obtentu dilectorum filiorum Magistri Jo-hannis de Camezana auditoris letteranim contradictarnm nostrarum et nobilis viri Thedisii de Flisco comitis Lavante nepotum nostrorum supplicantium nobis pro eodem clerico de speciali gratia provideri discretioni tue per apostolica scripta mandamus quatinus si est ita a prefato canonico eorumdem _ canonicatus et prebende libera resignatione recepta illos eidem clerico auctoritate nostra per te vel per alium conferre ac assignare procures faciens (1) Lo stesso anno al 19 maggio il capitolo della cattedrale di Genova incaricava Giacomo Ghisolfi di ricevere da prete Filippo Pesce i redditi delle chiese di S. Lorenzo di Acri e S. Lorenzo di Tiro, dipendenti dal detto capitolo. (Not. c. s., p. 190). 368 GIORNALE STORICO E LETTERARIO DELLA LIGURIA ipsum ad eamdem prcbendam in canonicum recipi atque in fratrem non obstante statuto ipsius ecclesie de certo canonicorum numero etc. etc. Contradictores per censuram ecclesiasticam appellatione postposita compescendo. Datum Assisii II Non. Maii pontificatus nostri anno undecimo. (Atti c. s., p. 189). LXIII. - 1254, 19 maggio. — Maestro Enrico, canonico della chiesa maggiore di Genova, costituisce procuratore Giacomo, canonico di Antiochia, per riscuotere i frutti della prebenda, che possiede nella chiesa di Anterado di Cipro, conferitagli da Innocenzo IV. In Genova. (Not. c. s., p. 188 v.). LXIV. - 1255, i aprile. —· Ottaviano, figlio del nobile Lanfranco Cicala, alla presenza di Grimaldo e Manfredo dei marchesi di Gavi, costituisce procuratori Oberto e Nicoloso Cicala, suoi zii, (1) per prendere possesso delie prebende, concessegli in partibus ultramarinis dal qm. pontefice Innocenzo IV. In Genova. (Atti di Notari Ignoti, Reg. I, Sala 74, Arch. di St. in Gen.). LXV. - 1267, 17 marzo. — Bonifazio Embriaco costituisce procuratore Vincenzo, cantore della chiesa di Limassol, col mandato di impetrare dal pontefice Clemente IV la conferma dei privilegi, concessi agli Embriaco in Oriente dal qm. pontefice Innocenzo IV. In Genova. (Atti di Notari Ignoti, Reg. xxxi, Sala 74, Arch. di St. in Gen.). Arturo Ferretto LA PRIMA STAMPA DELLE COSTITUZIONI DELLA CHIESA DI LUNI E SARZANA. Il più antico degli Stampatori di Reggio nell’Emilia di cui siano ricordate le opere è Ugo ο Ugone de’ Ruggeri, che il 1474 pubblicò a Bologna, insieme col suo concittadino Donnino Ber-tocchi, 1’ Argonautica di Valerio Fiacco (2). Continuò da solo a stampare nella stessa città il 1481, il 1485, il 1487 e il 1491, e il trovarlo a Reggio nove anni dopo (3) fece credere al Manzini che, da Bologna, fosse direttamente tornato in pa-tria (4). Ma da una recente pubblicazione rilevasi che il Rug- (1) Il presente documento e gli altri accennati ai n. vi e xxix sono della massima importanza, giacché illustrano la famiglia del noto trovatore Lanfranco Cicala. (2) Una copia di questo raro libro, in-fol., trovasi nella Biblioteca estense di Modena ed ha questa sottoscrizione: Bononiae, impressum per ine Ugonem Rughrium et Do-ninum Bertochum Regienses anno Domini MCCCCLXXIUI die septima Madii. (3) Il Ruggeri stampò a Reggio, il 1500, un libro di somma rarità: Grotti Bartho-lomaei, Epigrammatum Elegiarumque libellus ; Mattei Mariae Bojardi, Bucolicon Carmen, 1500, die 1 Octobris. (4) Manzini Enrico, Degli stampatori reggiani dall' origine loro a tutto il Secolo XVIII: in Atti e Memorie delle RR. Deputazioni di Storia patria per le prò-vincie dell' Emilia, Nuova serie, vol. II, pp. 135-152; Modena, Vincenzi, 1878. GIORNALE STORICO e LETTERARIO DELLA LIGURIA 369 gerì esercitò, per qualche tempo, l’arte sua in Pisa tra il 1491 e il 1500. Il 13 luglio del 1898 i « Lavoranti delle tipografie de’ FF. Vannucchi » di Pisa, per festeggiare le nozze di Francesco Vannucchi con la signorina Ida Ghignola, misero fuori un utile e grazioso libriccino (1). È intitolato: Stampatori che hanno esercitato in Pisa V arte tipografica dal secolo XV al XVIII, e lo compilò il cav. Leopoldo Tanfani Centofanti, Direttore del R. Archivio di Stato pisano, che vi premise la seguente avvertenza : « A questo saggio di un elènco degli « stampatori che sono stati in Pisa dalle origini della stampa « fino al secolo passato, avremmo voluto aggiungere tutte le « opere impresse da ciascuno di essi. Ma la brevità del tempo « di cui potevamo disporre, e le ricerche non brevi, nè facili, « che sarebbero occorse, ci hanno costretti a limitarci al se-« colo xv ». Tra gli stampatori fioriti nel Quattrocento ricorda anche il nostro Ugo de Rugeriis de Regio e registra tre opere da lui impresse a Pisa il 1494: A.) Mariani Socini, repetitio C. veniens de accusationibus, impressa in almo ac inclyto gymnasio pisano. B.) Commentum super rubrica de Iudiciis Pisis editum per acutissimum iurisconsultum \dominum Philippum Decium, sive de Dexio, mediolanensem. C.) Bartholomaei Socini senensis. Super titulo ff. de condi. et demon. Oltre queste tre opere, il 1494, il Ruggeri stampò a Pisa anche un altro libro, che è sfuggito alla diligenza del Tanfani Centofanti ; e non c’ è da fargliene carico, perchè è, non solo rarissimo, ma fino ad oggi si riteneva addirittura introvabile. L unico degli studiosi che n’ avesse avuto tra le mani un esemplare era il^Padre Giambattista Spotornp, e, per buona fortuna, ne avea fatto la descrizione, che si conserva manoscritta nel codice della Biblioteca della R. Università di Genova segnato B. VI. 25. Eccola qui : SINODO ANTICO DI SARZANA. E un libretto in-4.0 piccolo, senza frontespizio, senza cartolazione e senza richiami a piò di pagina. Ha però un esatto registro per lettere e per nu- (4) Edizione di L esemplari, in-4. d> PP· 12, XI numerate. Gior. St. e Lett. della Liguria 24 370 GIORNALE STORICO E LETTERARIO DELLA LIGURIA meri dopo lettere, onde indicare i fogli e le carte. Comincia con questo titolo : Constitutiones Episcopatus Lunen. Sarzan. quas magna cura sumaq. diligentia reveren. dns. d. Thomas de Benettis de Sarzana eiusdem dioc. epus. et cornes imprimi jussit, etc. Finisce : Impressus in alma ac inclita civitate pisarum. Per me Ugonem Rugerium. Anno ab incarnations Domini nostri Jliesu Xri Mcccc Lxxxxiin· die vero. 2. Januarii, etc. J (j I quinterni vanno dall’A. all’E. inclusive; e ciascuno ha carte 8, ovvero i6 facciate, trattone E. che ne ha 12 soltanto: in tutte facciate 76, carattere gotico. Nel proemio si legge : Nos Bernabos Dei et Apostolicae sedis gratia in episcopum Lunensem et comitem ellectus (sic) Christi nomine invocato ad laudem omnipotentis Dei.....ad honorem et exaltationem sanctissimi patris et domini D. Urbani divina providentia papae quinti, hodie tmiversali ecclesiae presidentis..... certas .constitutiones ad instar praedecessorum nostrorum quasdam nostras adijeentes de fratrum nostrorum ccipituli Lunensis consilio duximus ordinandas. Pare che sieno state pubblicate in un Sinodo, dicendosi nel cap. hi che si cassano e annullano tutte le altre costituzioni, statuti, ecc. exceptis praesentibus constitutionibus et statutis, in hoc volumine contentis, quos et que in presenti Synodo legi fecimus et solemniter publicari. II cap. XIX contiene le feste da osservarsi in tutta la diocesi sotto pena di scomunica : Natale, S. Giovanni Evangelista, Innocenti, S. Silvestro, Circoncisione, Epifania, Giovedì Santo, Venerdì Santo, Pasqua e i due giorni seguenti, Ascensione, Pentecoste e i due giorni seguenti, Natività di S. Giovanni Batista, tutte le feste della B. Vergine Maria, ma non ispiega quali, tutti gli Apostoli, S. Lorenzo, S. Croce, Ognissanti, S. Michele, S. Martino. Il cap. CLXIII, dopo aver annoverati i sette sacramenti, dice : Sacramentum baptismi a quocumque in necessitate potest recipi dummodo in forma ecclesie conferatur. Et idem de penitentia est tenendum, quod in necessitate quis possit cuilibet confiteri* Cessante autem necessitate debent huiusmodi sacramenta baptismi et penitentie conferri secundum canonicas sanctiones. Il cap. CLXII tratta de articulis Fidei, che restringe a 14, sette riguardanti la divinità, e sette 1’ umanità di Cristo. E gli esprime colle parole del Simbolo (cioè apostolico). Aggiugne : Est etiam credendum et tenendum quod Spiritus Sanctus a Patre et filio procedat tamquam ex unica spiratione, et non tamquam ex duobus principiis, vel ex duabus spirationibus. Et etiam tenendum et credendum quod anÌ7na rationalis, sive intellectiva est forma corporis humani per se et essentialiter. Il cap. CLVI dichiara: altare debere muniri duabus mappis longis que GIORNALE STORICO E LETTERARIO DELLA LIGURIA pallee nominantur, quarum una ad minus per episcopum superiorem debeat esse benedicta, super quam debent corporalia residere. Il cap. XCVII comanda districte ut ad suscipiendum puerum de sacro fonte ultra duas personas vel tres ad plus non admittat (sacerdos). Et idem volumus m confirmatione puerorum firmiter observari. Si quis autem sacerdotum contrafecerit pena soldorum viginti imperialium puniatur. Curioso è il cap. LXXVII in cui, sub excommunicationis poena, si comanda ai Sacerdoti quod in die non celebrent nisi unam missam, excepto die nativitatis et resurrectionis Domini, vel nisi haberent corpus ad sepeliendum, vel etiam causa honestatis vel evidentis necessitatis, vel hoc fecerint de nostra, vel nostri m spiritualibus vicarii licentia sub pena nostri arbitrii vel nostri Vicarii aufferenda. Decreta il cap. LIX ut nullus laicus defunctus seppeliatur in ecclesia, si ecclesia aliud cimiterium habeat. Contrarium facientes Rectores ecclesie in sol. XL condemnentur; nisi fuerit honesta persona et vite laudabilis et impetrata et obtenta prius a nobis vel nostro vicario de hoc licentia. E il cap. LVIII : quod nullum corpus defuncti sepelliatur post cantatos vesperos, vel aliquis sacerdos ejus funeribus interesse présumât. Transgressores huius statuti si est sacerdos quinque sold., diaconus sold. duobus, et subdiaconus denari duodecim pena puniatur. Et adijeimus et mandamus quod quilibet laicus pena sold. quinque puniatur. Il cap. V. Mullus promoveatur ad sacerdotium nisi audiverit grammaticam et nisi sciverit bene legere, nisi cum eo a nobis vel nostro in spiritualibus vicano fuerit ex causa legittima dispensatum. Piacevole è il cap. XI : Quod nullus clericus constitutus in sacris portet rostrum seu pediculum caputei sui ultra longitudinem palmorum duorum. Et si fuerit prelatus vel archipresbiter, seu plebanus vel prior ultra unum, pena soldorum quinque imperialium et incisionis dicti rostri. Piacemi il cap. XXI : Sub pena excommunicationis precipimus ut de qualibet domo diebus rogationum sive letaniarum omnes ad letanias vadant, vel ad minus duo majores de qualibet domo, et in veniendo, redeundo et stando devotissime orent Deum ad hoc ut Deus eorum orationes exaudiat, et nullum rurale opus exerceant, nec apothece aperiantur quousque letanie fuerint complete. Le solennità delle nozze sono proibite, nel cap. CLI, a dominica de adventu inclusive usque ad octavam epiphanie inclusive. Item a septuagesima usque post octavam Pasce resurrectionis, idest post dominicam in albis. Item a die prima rogationum inclusa ipsa die usque ad septimam diem post festum pentecostes, idest ante dominicam pnmam post festum pentecostes. Anche nella Storia letteraria della Liguria lo Spotorno ci ha lasciato un cenno fugace di quel prezioso incunabulo. « Nelle costituzioni sinodali di Sarzana », egli scrive, « fatte dal vescovo 372 GIORNALE STORICO E LETTERARIO DELLA L1GUIKA Bernabò nel secolo xiv e ripubblicate da mons. Benetti colle stampe di Pisa presso Ugone Ruggieri nel gennaio del I494> s> prescrive al cap. v, che niuno sia promosso al sacerdozio nisi audiverit gramaticavi » fi). Ora una copia di quella rarissima pubblicazione, l’unica forse che esista in Italia (2), è in possesso del_Marchesi Castagnola della.,Spezia.(3). Eccone le note bibliografiche: Piccolo in-4 di carte 40, delle quali manca aj ; a è bianca. A carte ai/ comincia : 112 Costitutoes epatus lunen Sarzan qiias magna cura sumaque di - || ligentia reueren dus. d. Thomas de benettis de Sarzana eiusde || dioc. epus et comes imprimi izissit etc. A carte eij - verso comincia la tavola delle rubriche : Rubrice constitutionum sinodatium epatus lunen. In fine: Impressum in alma ac inclita civitate pisarum. Per me Ugo || nem rugerium. Anno ab incarnatione Domini nostri Jhesu Xpi || Mcccclxxxxiiij die vero. 2. Januarij. 7c. Al verso dell’ultima carta è l’impresa del Ruggeri: in un rettangolo uno scudo a foglia, spaccato: in alto, una croce a quattro bracci uscente dal campo fiancheggiata da due palle; in basso le iniziali V R. Un cartellino incollato nel i° riguardo dell’incunabulo, (che è ben conservato e legato in pergamena), ha questa leggenda, di mano del fu Marchese Baldassare Castagnola, quello che acquistò il libro e che ne fa la breve istoria: « Thomas de Benettis de Sarzana. Eiusdem Dioecesis Episcopus et Comes Synodus — anno 1494 —. Di questo Sinodo è fatta menzione nella Storia letteraria di Genova del Padre Spotorno. È volume rarissimo e faceva parte della libreria di A. Molfino di Genova ». Molto probabilmente questa copia è la stessa veduta dallo Spotorno. La descrizione che egli ne fece vi corrisponde quasi perfettamente salvo queste inesattezze o sviste. Le facce dell’incunabulo Castagnola sono 78, mentre lo Spotorno dice che (1) Tom. Ili, pag. 384. Genova, Ponthenier, (1825). (2) Giovanni Sforza rammenta di aver veduto, molti anni fa, una copia delle Constitutiones a Pisa in una vendita di libri. Pare che, acquistata da un inglese, pigliasse la via d’oltralpe. (3) Rendo vive grazie alla cortesia di L'baldo Mazziui, Bibliotecario della Comunale della Spezia, che avendo sollecitato dalla gentilezza del proprietario Marchese Giulio Castagnola il permesso di vedere l’opera, me ne favorì questa diligentissima descrizione. GIORNALE STORICO E LETTERARIO DELLA LIGURIA 373 sono 76, perchè non ha contato le prime due bianche. I quaderni sono di 8 carte, ma così : a ha 8 carte, ma aj, che forse conteneva l’occhietto, manca certamente, giacché a (la bianca), è carticino, b ha 9 carte, essendo b carticino. Gli altri quaderni sono come li descrive lo Spotorno. Dettero notizia della descrizione che lo Spotorno avea fatto del raro cimelio l’Olivieri (i), 10 Sforza (2) e il Lari (3). Mette conto di riferire le parole di quest ultimo, perchè si trovano soltanto in una speciale tiratura del suo opuscolo: « Fra i vescovi più segnalati (di Luni e Sarzana) va annoverato il Benetti, che pubblicò per le stampe 11 sinodo del suo predecessore. Veggasi su questo libro la nota inserita nel Cod. n° 232 della Biblioteca dell’Università di Genova (Olivieri, Carte e Croniche ms. pag. 203) ove ne è data una minuziosa descrizione bibliografica con riferire alcuni brani più interessanti del testo. Il titolo è il seguente: Constitutiones Episcopatus Lunensis Sarzanensis quas magna cura summaque diligentia reveren. Dns. Thomas de Benettis de Sarzana eiusdem dioc. E.pus et Comes imprimi iussit. Finisce: Lmpressus in alma ac inclyta civitate Pisarum. Per me Hugonem Rugerium anno ab incarnatione Domini nostri Ihesu Xpi MCCCCXCIV die vero 2 Januarii ». L incunabulo impresso dal De’ Ruggeri non dovette essere men raro uno o due secoli fa, perchè non se ne trova memoria nè fra gli annali del Maittaire (4), nè fra quelli del Panzer (5). Anche bibliografi diligentissimi e specialisti delle edizioni del secolo xv, quali il Laire (6), l’Hain (7) e 1’ Amati (8) non ne fanno parola. Fu, dunque, sconosciuto anche per loro. (1) Carte e croniche manoscritte, Genova, Sordomuti, 1855, pp. 203. (2) Saggio if una bibliografia storica della Lunigiana, Modena, Vincenzi, 1874, pp. 184, n. 174, sotto - Spotorno (3) Degli interessi della città di Sarzana nella questione delle circoscrizioni territoriali. Sunto di ragioni pubblicato per cura del Municipio Sarzanese, Pisa, Tipografia Nistri, 1866, pp. 32, nota 10. (Anonimo, ma di Ilario Lari). (4) Maittaire Mich., Annales typogr., Hage-Comitum, 1719, tom. 6, in-4. Cfr. anche Annalium typogr. Maittaire supplementum A. M. Denis, Viennae, 17S9, vol. 2, in-4. (5) G. W. Panzer, Annales typographie i, Norimbergae, 1793, vol. 11, in-4. (6) Laire, Fr. S., Index libror, ab inventa typographia ad ann. 1500, cronologice dispositus cum notis historiam typographico-litterariam illustrantibus, Senonis, 1791, voli. 2, in-S. (7) Hain* L., Reperto»ium bibliographicum, in quo libri omnes ab arte typographica inventa usque ad annum 1500 typis expressi ordine alphabetico vel simpliciter enumerantur, vel adeurabtus recensentur. Stuttgartiae, 1826-38, voli. 2, in 4 tomi, in-8. (8) Amati, Ricerche storiche, critiche e scientifiche sulle origini, scoperte, inven- 374 GIORNALE STORICO E LETTERARIO DELLA LIGURIA Primo a parlare di un Sinodo del vescovo Tommaso Benetti (i) fu il Gerini che scrisse di lui : « Memorabile in questa dignità divenne per sue virtudi, che non solamente rinnovò gli Statuti di Bernabò antecessore e fece molte altre costituzioni per buon governo del suo gregge; ma diede opera che fossevi novella Sinodo, fatta poi stampare da lui a Pisa nel 1494 » (2). Oui è manifestamente un errore: di un’opera il Gerini ne fa due: gli Statuti di Bernabò II, de’ Griffi, uno de’ predecessori del vescovo Tommaso Benetti, non l’antecessore immediato, e il Sinodo fatto stampare da costui a Pisa dal De Ruggeri. E 1’ errore fu ripetuto dal Semeria che ha cavato, certo, la notizia dallo scrittore Fivizzanese (3). Invece si tratta di una sola ed unica cosa. Le costituzioni della chiesa di Luni, (fu chiamata di Luni e Sarzana solo più tardi, al tempo di Niccolò V nel I447i mentre era vescovo Francesco da Pietrasanta), furono composte durante il governo del vescovo Bernabò II de’ Griffi, che tenne la sede episcopale dal 1363 al 1378 (4), lette ed approvate solennemente nel sinodo del 1365, confermate dai successori e, finalmente, perchè si potessero diffondere con più facilità, Tommaso de’ Benetti, che fu vescovo dal i486 al 1497 (5), le fece stampare dal De Ruggeri. L’argomento positivo per provare quanto abbiamo detto ci è porto da un codicetto dell’Archivio capitolare di Sarzana con- zioni ecc. Tom. V, Tipografia del Secolo 'XV. Milano, Pirotta, 1830, Cap. XXVII, § 59, pag. 625, Pisa, dove sono registrate le opere stampate dal Ruggeri, ina non le Constitutiones etc. Cfr. anche § 65, pp, 642 e segg. Reggio, dove si leggono i titoli delle opere che il Ruggeri impresse a Reggio nel 1500. (1) Per la morte del venerabile don Giovanni Castellini di Pontremoli, canonico prebendato della collegiata di N. S. delle Vigne in Genova, rimase vacante il canonicato. Papa Pio II, volendo favorire il prete « Thomas Jacobi de Benedictis » di Sarzana, nipote del cardinale Filippo Calandrini, fino dal 1458 con breve del 1. dicembre espresse il desiderio gli fosse concesso un canonicato, essendone meritevole. E perciò il 15 aprile 1462 è fatta a Tommaso la collazione del suddetto canonicato del Castellini. Al quale uopo sono presentati i brevi apostolici e le lettere di accettazione (Arch. di Stato, Genova; Not. De Cario, Fil. 18, nn. 82 e 83). Crediamo si tratti appunto dei nostro vescovo. (2) Memorie storiche d’illustri scrittori e di uomini insigni dell’ antica e moderna Lunigiana, Massa, Luigi Frediani, 1829, I, pp. 92. (3) Secoli cristiani della Liguria ossia Storia della metropolitana di Genova, delle Diocesi di Sarzana, di Brugnato, Savona, Noli, Albenga e Ventimiglia, Torino, Chirio e Mina, 1843; II, pp. 91. (4) Cfr. il Catalogus del Podestà, (cit. innanzi), pp. 246, sotto il n. 52. (5) Catalogus cit. pp. 248, η. 63. Tommaso Benetti ottenne da papa Innocenzo Vili che fosse dichiarato autentico il famoso codice Pelavicino conservato nell’ Archivio capitolare Sarzanese. Silvestro, suo nipote e successore, fu vescovo fino al 1537. GIORNALE STORICO E LETTERARIO DELLA LIGURIA 375 tenente le Costituzioni di cui si tratta. È un fascicolo cartaceo, di assai buona scrittura del secolo xv, composto di 21 carte numerate nel recto e 2 di indice, scritte di mano posteriore, più una bianca, e misura mm. 310X215. In testa alla prima carta fu scritto recentemente, di mano di Mons. Calligari canonico sar-zanese : « Sinodo di Mons. Silvestro Benetti, anzi di Mons. vescovo Bernabò II del ijòfj circa » (1). Il testo, dopo un breve proemio, è distribuito in 165 articoli non numerati, ma fiancheggiati da rubriche. Comincia: Ut sacri canones, a sacris dudum patribus editi, divino cultu ac honestate universos Xpisticolas instruant salubriter et informent : quia tamen secundum qualitatem temporum, ipsorum varietatem, et locorum conditionem arciora interdum interdum (sic) invenienda sunt jura, et opportuna de novo remedia cogitanda, rerum experientia procedente; idcirco nos Bernabos Dei et Apostolicae sedis gratia in episcopum Lunensem et comitem electus, etc. etc.; e prosegue, in tutto, come nell’edizione pisana del 1494, che è un’esatta riproduzione, de verbo ad verbum, di quel manoscritto. Termina il 165° articolo a carte 21 tergo con le parole: Amen Deo gratias, cui segue l’autenticazione del notaro che scrisse il codice. E più c’ è un caso curioso. Lo scrittore del testo era Bartholomeus de Borborinis de Pontremulo publicus imperiali auctoritate notarius ac Reverendissimi in Xpo patris et domini d. Francisci de Petrasancta episcopi Lunensis-Sarzanensis cancellarius et scriba. Ma un notaro posteriore cassò, raschiandolo via, il nome del Borborini e vi sostituì il proprio con scrittura ed inchiostro diversi affatto da quelli del testo, per modo che ora l’autenticazione, conservata intatta nel resto, si legge così modificata: « Ego B.... filius quondam Ser Lacopini de B..... (?) de Verrucola publicus imperiali auctoritate notarius ac Rrni in Xpo patris et domìni dni Silvestri de Benettis de Sarzana dei gratia epi Ltin. Sarz. et comitis, cancellarius et scriba, predictas constitutiones sinodales episcopatus Lunensis vidi et legi; et quia (lì Nei Catalogus chronologicus praesulum Luticnsis-Sarzancnsis ecclesiae (di Mons. Luigi Podestà) che si legge in Synodus dtoecesana Lunevsis-Sarzanensis et Brugna-iensis quam habuit Fr. Hyacinthus Rossi episcopus luti. sarz. ac brugn. et cotnes anno iSSy, Bononiae, ex off. Mareggianiana 1887, a pp. 246 si legge che il vescovo Bernabò « anno 1365 habuit Synodum dioecesanam, qua multas et perutiles constitutiones ad bonum regimen Ecclesiae condidit. Statuta Capituli anno 1368 sua comprobavit auctoritate ». 37Ó GIORNALE STORICO E LETTERARIO DELLA LIGURIA in ipsis nichil deest, facta debita auscultatione me illis subscripsi. Laus Deo Omnipotenti et Virgini Mariœ cui me commendo ». Resta perciò provato che le Costituzioni sinodali del vescovo Bernabò II furon trascritte dal notaro Bartolommeo de' Borborini per ordine del vescovo Francesco da Pietrasanta; il nome del notaro pontremolese è ripetuto in una noterella marginale. Più tardi Tommaso de’ Benetti le fece pubblicare per le stampe, e un altro notaro poi, al tempo di Silvestro, nipote di Tommaso e suo successore nel 1497, sostituì il proprio nome e quello del vescovo alla primitiva sottoscrizione. Non può, dunque, parlarsi di un Sinodo del vescovo Tommaso Benetti, ma soltanto di costituzioni sinodali di Bernabò Griffi. Luigi Staffetti TOPOGRAFIA LIGURE DOVE SI TROVAVA IL CASTELLO DI PORTIIOLA? Al foglio 157 della stupenda edizione degli Annali genovesi del Caffaro, fatta in fototipia sul prezioso codice esistente nella Biblioteca nazionale di Francia e per cui tanto dobbiamo alle solerti cure del marchese Cesare Imperiale, si narra di un novello assedio posto dai Genovesi nel 1238 alla città di Ventimiglia e dell’ostinata difesa quivi trovata, per cui gli assalitori avrebbero dovuto desistere dall’ impresa, se non fosse stato 1’ eroico ardimento di un giovinetto da Bogliasco, che riuscendo imperterrito sotto una grandine di giavellotti ad issare sopra un’ altura la bandiera genovese, riuscì a condurvi i riluttanti compagni e a gettare il panico nelle fila dei Ventimigliesi che si posero in fuga. Dove questi riparassero non è detto dall’ annalista, ma tosto si apprende da una nota, apposta in calce del foglio membranaceo dal continuatore del Caffaro, Iacopo Doria nel xiii secolo, eccola: Homines de Vintimilio recesserunt et se posuerunt in loco qni dicitur Purtiiola, prope civitatem Vintimilii per milliaria duo, guerram facientibns hominibus Janue. GIORNALE STORICO E LETTERARIO DELLA LIGURIA 377 Essendo non poche le località denominate Portiola o Por-ttolum, esse accennerebbero ad una origine comune. Nel Foliatia notariorum dell’ Archivio di stato in Genova si riscontra : in Pelio ubi dicitur Portiolum: Carlo D’Arco scrive che il Zara cadendo in Po a Montecucco, ne designa il luogo fra Portiolo e S. Benedetto e il Des Iardins nella sua Geographie de la gaule romaine ricorda in Provenza il col de Portiola. Ora se si pone mente che porterà (vedasi il Lexicon del D’ Arnis) appellavasi la navicella destinata a traghettare viandanti da una sponda all’ altra dei fiumi, è naturale il credere che tale denominazione pigliassero le località, dove tai burchielli tenevansi ancorati. E siffatta etimologia si attaglierebbe assai bene al caso nostro, poiché ad oriente di Ventimiglia, alla distanza segnata dal Doria, scorre il to rente Nervia, del cui navalestro conservano memoria, quanti ricordano la costruzione del recente ponte. La denominazione per altro di Portiola è qui ignota affatto; col corso dei secoli è andata perduta; ma se perduta, è d’uopo ammettere, che già Γ ebbe; e che così sia lo prova un rogito del notaio Giovanni de Amandolesio del 25 marzo 1261, col quale Lanfranco Butborino de Turca vende a Guglielmo Maroso un pezzo di terra, posto in territorio Vintimilii ad Portiloriam, dando a confini di sopra la terra di Giorgio Cattaneo ed inferius aqua Nervie. Ha voluto la sorte che un documento dell’ anno 1242, conservato negli Archivi del conte Gabriele Alberti di Briga, concorresse a gittar luce sopra questa località, parlando esso d’una lega stretta fra i rappresentanti del comune di Ventimiglia e quelli di Dolceacqua, sottoscritta in castro Portirole. Da tale inatteso contributo oltre di apprendere la ragione, perchè i bandeggiati ventimigliesi andassero colà a cercare rifugio, ci porge ad un tempo il bandolo per precisare il punto della località. L’angolo infatti del monte Maure, formato dal taglio della strada provinciale a mezzogioruo e dal corso del torrente Nervia a levante, presenta alle sue basi considerevoli resti di antica fortificazione e di là poco discosto, si alza ancora una vecchia torre merlata con ponte levatojo, già proprietà della famiglia Orengo ed ora degli eredi di Giuseppe Parodi. Era questo 1’ antico castello di Portiola o Portirola, che cavalcava 1' antica via Emilia e che rendeva difficilissimo, per non dire 37§ GIORNALE STORICO E LETTERARIO DELLA LIGURIA impossibile ogni soccorso per terra alle truppe genovesi, che si erano impadronite di Ventimiglia. Detto quanto si potè per noi scovare di quest’ antico castello, resta ancora che spendiamo qualche parola sul contenuto di quest’ ultimo importante documento. Correva adunque 1’ anno 1242, e Genova, prostrata dal disastro della battaglia navale dell'isola del Giglio (13 maggio 1241), era andata in cerca di alleanze, ed una ne sottoscrivevano in nome di lei con Raimondo Berengario conte di Provenza, gli inviati Lanfranco Malocello e Lanfranco Cigala (luglio 1241); alleanze che le erano necessarie sì per potere sperare in una rivincita contro di Pisa, sì per essere in grado di rintuzzare 1’ audacia delle città di Savona, Albenga e Ventimiglia, che concordi fra loro le si erano ribellate. L’ accorto lavorìo infatti dei nemici di Genova appare chiarissimo dalla facilità, con cui si riconciliavano fra loro i due fi-nittimi comuni di Ventimiglia e di Dolceacqua, stati fino a quel giorno in cruenti inimicizie fra loro. Il pretesto, gli è vero, che si adduce è quello di convenire sopra i banni da riscuotersi dai due comuni per le terre, che gli abitanti di uno possedeva nel territorio dell’ altro, ma il punto saliente è quello, dove si promette, che i Ventimigliesi non potranno stringere pace e concordia col comune di Genova senza il consenso dei Dolceaquesi, e che ove questi venissero attaccati da Genova o dal conte di Provenza, verrebbero dai Ventimigliesi in misura delle loro forze aiutati. Uguale reciprocità accordano i rappresentanti del comune di Dolceacqua (ij. Sottoscriveva pel comune di Ventimiglia col grado di Capitano, il conte Emanuele, che già nel 1222 aveva disertata la causa del luogo nativo per mettersi a soldo di Genova, ed ora abbandonava questa per far ritorno ai patrii lari, volubilità di carattere che doveva farlo segno pochi anni dopo a colpi proditori e per lui fatali. Sottoscrivevano per Dolceacqua il console Carievario e Iacopo preposito, il quale ultimo nome, grazie alla cortese partecipazione di un documento, fattaci dall’egregio Arturo Ferretto, ci offe il mezzo di chiarire un punto fin qui ignorato di storia ecclesiastica, che cioè l’antica chiesa di S. Giorgio di Dolceacqua, nella cui cripta dormono i resti di (1) Vedi documento i°. GIORNALE STORICO E LETTERARIO DELLA LIGURIA 379 alcuni Doria signori del luogo, era decorata di un collegio di canonici (i) aventi a capo un preposito. Quando e perchè sparisse questa collegiata, non si sa. L’ antico tempio per altro di S. Giorgio per trovarsi fuori del-1’ abitato, era andato senza dubbio soggetto a guasti ed avarie, di cui non si potè più rilevare; ed ebbe comune la sorte colle chiese delle finitime Pigna, Apricale e Camporosso, che vennero abbandonate per le novelle parrocchie costrutte dentro le mura. Si aggiunga che il feudatario Enrichetto Doria, cui si deve l’ingrandimento e 1’ abbellimento dell’ antico castello, avea preso a proteggere la rettoria di S. Antonio abate, costrutta dentro la terra ed a sua richiesta papa Nicolò V il 20 marzo del 1446 aveva ordinato 1’ annessione a detta chiesa dell' antica cappella di N. D. della Mota, soggetta fin qui al Priorato di S. Pietro di Vasco presso Mondovì, commettendo Γ esecuzione di tale bolla a Segurano Gioffredo preposito della chiesa di S. Romolo. Così la chiesa di S. Antonio semplice rettoria nel 1446 prosperando ogni dì più, certo coll’ annuenza dell’ autorità eccle-siasticha, veniva eretta non molto dopo in parrocchia, trovando nel 1503 ricordato il prepositus S. Antonii Dulcisacque e rimanendo invece relegata fra le chiese cimiteriali quella che era stata sede di collegiata. Crediamo non torneranno isgradite queste poche notizie, che ci è stato dato di rintracciare sopra un antico castello ed una chiesa, già decorata di un ordine di canonici. Girolamo Rossi DOCUMENTO 1«. Nos Manuel comes et capitaneus hominum Vintimilii et voluntate et consensu consiliariorum Vintimili et consilio congregato more solito scilicet Raimundi Saxi, Oberti Marosi, Fulconis de Castello, Wilelmi Prioris, Conradi Intraversati, Fulconis Curii, Ottonis Marchesii, Ugo Speronis, Wil-lelmi Bonabella, Jacobi Grilati, Raimondi Piioris, Wilelmi Vaiorie, Rubaldi Balbi et nomine capitaneatus Vintimilii concedimus vobis Carievario consuli Dulcisacque, quod vos possitis accipere banna de seminatis vestris et vestris agregis quos habetis infra territorium Vintimilii de omnibus hominibus preter (1) Vedi documento 20. 38ο GIORNALE STORICO E LETTERARIO DELLA LIGURIA de hominibus Vintimilii et de suo districtu... in sursum versus collam de fino. Et de dictis confinis in sursum possitis capere banna de vestris seminatis et agregis sicuti dictum est. Item promittimus vobis quod nos non faciemus pacem nec concordiam cun Genuensibus sine vobis. Et contra Jannuenses et Comitem Provincie si guerram habueritis promittimus vobis juvare pro posse nostro. Et hec omnia predicta promittimus vobis attendere sub ypoteca bonorum Vintimilii - Item nos Carlevarius consul Dulcisaque et Jacobus Pre-positus nomine communitatis Dulcisaque promittimus vobis Manuelo capi-taneo hominum Vintimilii, quod nos non faciemus pacem nec concordiam cum Genuensibus sine vobis. Et promittimus vobis juvare pro posse nostro de guerra quam hobetis vel habueritis cum Genuensibus et cum Comite Provincie. Et predicta promittimus vobis attendere sub ypoteca bonorum nostrorum. Testes presbiter Ugo Ferrar, Raynaldus Garillius, Ugo Conqua de Saurgio. Actum in castro Portilorie die xvi octobris anno dominice incarnationis mccxlii indit, v· Ego Wilelmus Bermundus sacri Palatii notarius extraxi de cartulario quondam magistri Wilelmi notarii nihil addito vel diminuto Eteram vel punctum quod mutet sententiam vel sillabam scripti. (Estratto dal sig. Annibaie Cotta da una pergamena autentica esistente presso ii canonico Gio. Batta Lanteri di Briga). DOCUMENTO 2°. Venerabili religioso et honesto domino Arghisio abbati monasterii Sancti Syri de Janua Jacobus Manfredus canonicus ecclesie sancti Georgii Dulcisaque Vintimiliensis diocesis salutem in domino. Cum ecclesia sancti Georgii Dulcisaque Ventimiliensis diocesis vacaret preposito et rectore per mortem presbiteri Ottonis quondam prepositi ipsius ecclesie et collacio sine provisio ipsius ecclesie ad me Jacobum Manfredum pertineat de jure ad presens, cum non sit alius canonicus in dicta ecclesia. Ideo ego predictus Jacobus Manfredus volens providere dicta ecclesia de preposito et rectore in ipsa ecclesia, prout moris est, invocata Spiritus Sancti gratia, postulavit et nominavit prepositum et rectorem memorate ecclesie religiosum et honestum fratrem Damianum monachum monasterii vestri sancti Syri de Janua cognoscentes ipsum esse vite laudabilis et conversationis honestum virum utique in temporalibus et spiritualibus circumspectum. Idcirco supplico dominationi ac paternitati vestre humiliter et devote quatinus dignemini eidem fratri Domino licentiam dare quod possit acceptare dictam postulacionem et suum censensum in ecclesia sopradicta que diu vacaret, amplius contingat vacare et eadem grave patiatur detrimentum et ad majoris roboris firmitatem has literas nostro sigillo duximus sigillandas. Datum Vintimilii die xxvm septembris Anno mcclxxxxvi. (Archivio di Stato in Genova, Ignoti filza 4a). GIORNALE STORICO E LETTERAIRO DELLA LIGUIRA 38 I VA R I E T À UN’ AVVENTURA NEL CASTELLO DI MONGIARDINO. Quella catena di monti e di colline intersecata da rivi e da torrenti, seminata di castelli e di villaggi a sinistra del fiume Scrivia, la quale dall’ Appennino posto a settentrione di Genova si estende sin presso a Tortona, fu cagione nei primi tempi dei Comuni di non poche controversie fra quelli di Genova e di Tortona, ciascuno dei quali voleva farvi prevalere la propria influenza. E ciò fino verso i primordi del secolo xiv, in cui dagli Imperatori tutti quei luoghi, come molti altri delle valli della Scrivia, del Lemmo e circostanze, furono dati in feudo a ragguardevoli famiglie genovesi, le quali ricostrussero le antiche castella, nuove ne eressero, e soggiornandovi una parte dell’ anno vi fecero trionfare l’influenza genovese, quantunque soggette all’ alto dominio imperiale. Col nome pertanto di Feudi Imperiali essi durarono sino alla fine del secolo scorso, nel quale, iu seguito alla rivoluzione di Genova del 1797» ed alle sollecitazioni degli agenti francesi, si liberarono dalla dipendenza dei loro signori, e addì 8 agosto 1797 fecero atto di dedizione alla repubblica democratica (1), alli stati della quale vennero annessi sotto la denominazione di Monti Liguri, accrescendo così la popolazione della nuova Liguria di circa ottanta mila abitanti. Punto importantissimo di essi è Mongiardino, nelle vecchie carte detto Monsgardinius Novensium, per distinguerlo dal Monsgardinius Astensium. In questo Mongiardino novese da antico sorgeva un castello, al signore del quale, di nome Simone, nel 1155 i Genovesi promettevano difesa ed aiuto (2); il che non impedì ai successori di lui, con alterna vicenda, di dichiararsi ora a favore di Genova, ora, e più spesso, di Tortona (3). Molti degli abitanti però, come altri di tutti quei luoghi, attratti dalla ricchezza e potenza di Genova, a poco a poco entravono in rapporti con essa, e abbandonate le native montagne, ne divennero cittadini, costituendo gli stipiti di diverse famiglie, alcune delle quali ancora esistono, e si distinguono dai cognomi tratti da località di quella regione. Fra costoro sono i de Monjardino, alcuni dei quali cresciuti in dovizie ed aderenze, alla formazione degli Alberghi del 1528 furono assunti alla nobiltà ed ascritti all’ Albergo Giustiniani. Di essi il Fransone riporta lo stemma, (1) Registro delle Sessioni del governo Provvisorio, pag. S9. (2) Liber Jurium Comunis Januae in Monumenta Historiae Patriae, vol. I. pag. 1S1 e 749. (3) Cf. Costa Ludovico, C/iatiarium Dertonense. pag. 108, 117, 121 etc. etc. 382 GIORNALE STORICO E LETTERARIO DELLA LIGURIA che è di rosso, alla torre torricellata d’ argento (1), e le loro case sorgevano in via Giustiniani, là dove due di esse, si vedono unite da un archivolto che tuttora conserva il nome dei Mongiardino. Il ramo degli ascritti alla nobiltà è estinto da mi pezzo, ma del cognome esistono tuttora diverse famiglie. Il Castello di Mongiardino, come quello di Rocchetta, di Cantalupo e d’ altri luoghi in quelle montagne, fu infeudato agli Spinola. Probabilmente ciò avvenne verso il 1340, quando Gerardo Spinola fu fatto signore di Tortona (2), e tutta la famiglia crebbe di lustro e di importanza; ma l’epoca precisa si ignora. Ul.ünig, che riporta molte di queste antiche concessioni imperiali (3), nessuna ne ha di Mongiardino. Ma qualunque ne possa essere la data, sta in fatto che al principio del secolo xv spettava a Corrado Spinola, figlio di Edoardo, e nipote del celebre Oberto, che fu capitano di Genova, ed alla discendenza di lui apparteneva nel 1545 (4), quando andò soggetto ad una spaventosa catastrofe, che fu causa della morte di diversi de’ suoi Signori, e diede origine ad un romanzetto amoroso, che si protrasse, con varie vicende, finché si chiuse col solito matrimonio. E questa catastrofe fu che improvvisamente rovinò una parte del castello, travolgendo nelle macerie i Signori che allora vi si trovavano, e probabilmente molti altri di cui non è fatta menzione. Da che sia stata cagionata la rovina non è detto nei documenti dai quali ho tratto le presenti notizie (5), ma le indagini da me praticate la farebbero credere avvenuta per alluvioni derivate da straodinarie pioggie, le quali a poco a poco, corrose le fondamenta del castello, ne abbiano determinata la rovina; e ciò apparisce tanto più verosimile in quantochè lassù è tradizione e traccia di grandi alluvioni, che cambiarono la fisonomia di quei luoghi e distrussero 1’ antica chiesa parrocchiale. Questo castello sorgeva sulla collina detta di Precoranzo, poco lunge dalla chiesa suddetta, ed è probabile che in seguito alla sua rovina gli Spinola erigessero poi 1’ altro, alquanto più basso, dove pure fu costrutta la nuova chiesa parrocchiale. Dei Signori che vi perdettero la vita si ha notizia di Maria Spinola del fu Gioacchino, vedova di Gregorio Spinola, di Francesco Spinola, suo cognato, e di Tomasina Spinola sua figlia, tutti dei condomini del luogo. Un’ altra figlia della suddetta Maria, a nome Giulietta, non ancora dodicenne, pure travolta nelle macerie, ne fu estratta sana e salva da quei terrazzani, accorsi a prestar aiuto, ed appunto a lei si riferiscono i fatti che sono per narrare. Già orfana di padre, rimasta essendo orbata della madre e dello zio, senza (1) Cf. Fransone, Armi delle casate nobili delta città di Genova, tav. xxvil. (2) Cf. Deza, Istoria della Famiglia Spinola etc., pag. 183. (3) Cf. Lünig, Codex Italiae Dip’.omaticus. (4) Cf. Olivieri, Monete e Medaglie degli Spinola, pag. 61. (5) Sono in un fascicoletto di Atti nella Filza 4 del notaro Bernardo Usodimare-Granello, che trovasi nel nostro Archivio di Stato, Sezione: Archivio del Governo, sala 74. GIORNALE STORICO E LETTERARIO DELLA LIGURIA 383 alcun appoggio in quel terribile frangente, fu ricoverata presso la famiglia del Pretore del luogo, la quale probabilmente dimorava in qualche ala del castello medesimo, rimasta intatta. Chi fosse questo Pretore non dicono le carte, ed invano ho cercato di conoscere ; ma certo doveva essere un qualche notaro, poiché, secondo 1’ uso, a tal carica venivano dai signori dei Castelli designati i notari, i quali per ciò amministravano la giustizia, ed all’ occorrenza redigevano gli atti delle civili contrattazioni. Una figlia del Pretore a nome Leona, la quale si trovava in qualche dimestichezza colla Giulietta, determinata certo dal fatto, che essendo la famiglia del Pretore la sola di condizione un po’ civile che fosse in Mongiardino, era quella che poteva essere in rapporti colla famiglia dei Signori, conversando colla Giulietta, le parlò della convenienza di sposarsi con Stefano Spinola figlio di Paolo, cugino di lei, altro dei consignori di Mongiardino, e che dimorava nel vicino castello di Vergagni. Se queste aperture siano state fatte dalla Leona per suggerimento dello Spinola, oppure di sua propria iniziativa, conoscendo forse la reciproca inclinazione dei due giovani, non si potrebbe assicurare, quantunque diversi indizi ci facciano credere al secondo motivo. Comunque sia, sta in fatto che la Giulietta diede subito il suo consentimento al progettato imeneo, per cui dopo poco, in una delle sale del castello, alla presenza di molti testimoni il matrimonio ebbe luogo. A quei tempi per la celebrazione del matrimonio non era necessaria la presenza del parroco o di altro sacerdote ; bastava il consenso espresso dagli sposi alla presenza di due testimoni, ed il matrimonio era valido come sacramento. Generalmente era uso che una persona di qualche autorità, e nel nostro caso probabilmente sarà stato il Pretore, interrogasse ad uno ad uno gli sposi, se erano contenti di unirsi in matrimonio; e questi pronunziato il « sì » necessario, si stringevano le destre, si abbracciavano, ed il matrimonio era bello e fatto. Nemmeno abbisognava il ministerio di un notaro che lo registrasse ne’ suoi rogiti. Egli interveniva soltanto quando era necessario che del fatto apparisse per pubblica scrittura, come per esempio se si trattava di matrimonio contratto per procura o di stranieri, o di due già assieme conviventi. Del resto in generale il matrimonio si contraeva e senza sacerdote e senza notaro, sempre però con due testimoni. Intanto la notizia della catastrofe del Castello era giunta a Genova, ed ognuno può immaginare il dolore di tutti i parenti ed amici non solo, ma dell’ intera cittadinanza. Immediatamente Gerolamo Spinola del fu Gioacchino c Paride Pinello del fu Castellino, tutori della fanciulla superstite, nominati dal padre nel suo testamento, si affrettarono a recarsi a Mongiardino per ritirare la Giulietta e per tutte le provvidenze del caso. L’ andata in quei monti se è ancora malegevole oggi, lo era a mille doppi a quei tempi, in cui non esistevano che poche e pessime strade mulattiere. Probabilmente saranno passati 384 GIORNALE STORICO E LETTERARIO DELLA LIGURIA per Montobbio, Casella, Savignone e Croce Fieschi, e per due uomini di una certa età non poteva dirsi quella una gita di piacere. Finalmente vi giunsero, ma a cerimonia finita, chè il matrimonio era stato celebrato e consumato, e la Giulietta si trovava collo sposo nel Castello di Vergagni. È Vergagni un castello distante circa un’ ora da Mongiardino, a metà di strada tra questo e Rocchetta. Costrutto dagli Spinola, i quali ottennero che fosse riconosciuto dagli Imperatori come feudo col titolo comitale ed anche principesco, lo conservarono sino alla fine del secolo scorso con diverse vicende. Ora gli avanzi ed i poderi appartengono ai Crosa, patrizi genovesi, che perciò assunsero il predicato di Vergagni. I tutori incontanente richiesero a Stefano Spinola che loro consegnasse la fanciulla, ma egli da prima vi si rifiutò, allegando il suo diritto maritale; finché dopo molti parlari e lunghe trattative, e colla intromissione del marchese del Vasto, vicario imperiale che allora trova vasi a Genova, s’ indusse ad acconsentire. E qui giova osservare che questa intromissione del vicario imperiale è spiegata da che gli avvenimenti accennati erano succeduti in territorio sul quale la Repubblica di Genova non aveva giurisdizione alcuna, essendo feudi procedenti dall’ Impero. Consegnata la fanciulla a’ suoi tutori, fu condotta a Genova, e collocata nel Monastero di San Sebastiano, detto delle monache di Pavia, di consenso del vicario imperiale ed anche del Principe Andrea Doria, che pure si intromise nella controversia, come sappiamo da una procura fatta da Stefano Spinola in atti del notaro Matteo Sivori del 18 aprile 1545. Ma colla consegna della Giulietta ai tutori, e col suo trasporto a Genova, non cessò 1’ azione del Commissario, il quale volendo provvedere come giustizia esigeva, delegò 1’ avvocato fiscale cesareo, Bernardo Spina, di recarsi a quel monastero per interrogarla a fine di conoscere come erano andate le cose, e particolarmente per sapere se forse era stata forzata a quel matrimonio. L’ interrogatorio ebbe luogo il 16 aprile 1545 nel parlatorio del monastero, ove la ragazza era comparsa dietro alle grate in mezzo a due monache; ed è curiosissimo, in ispecie per le pudibonde renitenze da lei dimostrate in principio sopra certi punti, nonostante che il fiscale le avesse fatto prendere il giuramento di dire la verità, particolarmente sul fatto della consumazione del matrimonio, e minacciandola in caso contrario di farla visitare da due ostetrici. E poiché il fiscale si accorse che la presenza delle monache le era di ostacolo a chiaramente spiegarsi, le fece allontanare. Allora la Giulietta sciolse lo scilinguagnolo, dichiarando che sopra certe particolarità non aveva creduto bene di parlare alla presenza delle suore; e protestò che di piena sua volontà, e con suo aggradimento aveva contratto il matrimonio con Paolo Spinola suo cugino che conosceva da molto tempo, confessando francamente che non era più pulcella, per aver giaciuto due notti collo sposo, e che il suo più ardente desiderio era quello di andarsene con lui, non volendo assolutamente rimanere in monastero. Quando faceva queste proteste era, come ho detto, il 16 di aprile, ed essa GIORNALE STORICO E LETTERA1RO DELLA LIGUIRA 385 non aveva ancora compiuti i dodici anni, giacché risulta dagli atti che il suo compleanno cadeva nel mese di maggio. Posto ciò non avvi alcuno a cui possa sfuggire la straordinaria sveltezza di questa ragazza, che pure apparteneva ad una delle più illustri famiglie della nostra città; e ciò sia detto special-mente agli eterni laudatores temporis acti, ai quali pare troppa la libertà di cui godono le fanciulle dei nostri giorni, non senza osservare che questo della Giulietta Spinola non è il solo esempio che ci porgano i tempi passati. Di fronte alle chiare ed esplicite dichiarazioni della fanciulla, il marchese del Vasto, da vero gentiluomo, cercò con ogni mezzo di accontentare i due giovani e di ammansar 1’ ira dei tutori, cercando d’ indurli a riconoscere il matrimonio. Ma allegando questi che ciò non era possibile, e che essendo essi cugini germani sarebbe stato a detrimento delle anime loro, si riduceva oramai la vertenza al solo fatto della validità o no del matrimonio; per il che si convenne di rimetterne la soluzione all’ Arcivescovo, la sola autorità competente. E di vero, benché contratto, come sopra vedemmo, senza intervento alcuno di autorità religiosa, e perciò con tutta 1’ apparenza di un atto civile, era un vero e legittimo sacramento, secondo stabiliva la chiesa, secundum quod precipit Sancta Romana Ecclesia. Infatti nei contratti matrimoniali celebrati con rogito notarile si legge sempre o questa od altra frase consimile, che accenna alla sacramentalità dell’ atto. Onde presero un grande abbaglio gli scrittori che vollero vedere in questi contratti il carattere di matrimonio civile, mentre rivestono esclusivamente quello di matrimonio religioso, e rappresentano il solo e vero sacramento. Ciò ben inteso prima del Concilio di Trento, regolandosi allora ogni cosa secondo le prescrizioni del Concilio di Laterano, le quali pel sacramento del matrimonio richiedevano soltanto il consenso degli sposi espresso alla presenza di due testimoni (1). Le controversie poi sulla validità del matrimonio, qualtmque esse fossero, furono fra di noi sempre di esclusiva competenza dell’ autorità ecclesiastica, nè la civile ebbe mai ad occuparsene, come ne fanno fede i numerosi atti che trovansi nei rogiti di quei nostri notari, i quali rivestivano pure la qualità di cancellieri della curia arcivescovile. I tutori della Giulietta avevano intanto ricorso a Roma, protestando contro la validità del matrimonio, ed il papa Paolo III, con lettere apostoliche in forma brevis, colla data del 13 aprile 1545, aveva commesso al Vicario Arcivescovile di Genova di esaminare e definire la vertenza. II Vicario Arcivescovile era il Reverendo Marco Cattaneo, Archiepiscopus Collocensis, ed è a lui che ai 20 di maggio si rivolse pure il Commissario Imperiale, trasmettendogli copia dell’ interrogatorio fatto dal fiscale Bernardo Spina. Cominciata la causa, ci volle non poco tempo perchè le parti fossero legalmente costituite. La ragazza per mezzo di un suo cugino germano, il (1) Cf. il mio lavoro: Le Donne nell’antica società genovese, in Giornale Ligustico 1878, pag. 289 e segg. Gior. St. e Lett. della Liguria 25 386 GIORNALE STORICO E LETTERARIO DELLA LIGURIA capitano Giacomo Lercaro De Camilla, figlio di una sorella del padre di lei, protestava che anche essa voleva nominare un procuratore, e cosi il suo sposo; e furono accontentati. Intanto essa nel monastero non cessava dallo strepitare, non volendo assolutamente più dimorarvi, e le madri a loro volta instavano perchè ne venisse tolta, essendo colle sue idee matrimoniali cacone di disor-dine fra le suore. Per la qual cosa una delle prime cure del Vicario fu quella di provvedere al collocamento di lei. Molto ovvio appariva che essa fosse affidata a qualche dama sua parente, ma i tutori ben conoscendo che stinco di santo fosse madonna Giulietta, volevano invece rinchiuderla in un altro monastero con clausura, affinché non avesse modo di mettersi in relazione collo sposo, tanto più che, a quanto pare le madonne della famiglia erano tutte a favore degli amori dei due Giovani. E qui giova osservare che la sollecitudine che dimostrano i tutori nei loro atti pel pericolo delle anime degli sposi non è tutta di buona lega, che in gran parte vi erano frammisti interessi mondani, essendo la fanciulla come suol dirsi, un buon partito, cum dote ad notabilem summam ascendentem, per cui avrebbero voluto maritarla con qualcuno a loro ben viso, e per ciò non potevano rassegnarsi a vederla sfuggire dalle loro mani. Essi si facevano forti del fatto che gli sposi erano cugini germani, e che per ciò non potevano, senza grave peccato, perseverare neh’ unione matrimoniale. Ma se a stretto diritto in questo avevano ragione, dimenticavano che i matrimoni contratti fra persone legate da vincolo di consanguineità, per cui abbisognava la dispensa pontificia, erano allora comunissimi anche fra le più illustri casate della città, riservandosi in seguito, e spesso dopo consumato il matrimonio, di domandarla. E quest’ uso era tanto radicato fra di noi, che si protrasse anche dopo la pubblicazione del Concilio di Trento, ed i Vescovi dovettero stentar molto a farlo abbandonare. Senonchè prevalsero consigli più miti. Il Vicario Arcivescovile, con suo decreto del i° giugno ordinava che dal monastero delle monache di Pavia la Giulietta dovesse trasferirsi presso Catterinetfa Spinola, e da lei custodirsi. Era costei una zia della ragazza, moglie di Francesco Spinola fratello di suo padre, rimasta vedova e senza figliuoli, e forse è per quest’ ultimo motivo che venne’ prescelta a tale ufficio. Collocata presso di lei, uno dei primi atti del vicario fu di interrogarla, per cui chiamatala presso di sè in una stanza del chiostro di S. Lorenzo il 1° di luglio 1545, aveva luogo il necessario esame. Questo nel complesso risulta poco differente da quello del fiscale Spina, avendosi nuova dichiarazione che il matrimonio fu contratto nelle forme volute, e che la fanciulla non subì alcuna violenza o suggestione. Emerse però un fatto nuovo, cioè che essa, prima di andar colla propria famiglia a Mongiardino, aveva soggiornato qualche tempo in casa di madonna Argentina Spinola. E poiché costei era la madre dello sposo, si comprende come fin da allora i due giovani avessero potuto filare il loro idillio. Sul fatto poi della consumazione del matrimonio usansi queste precise parole : Interrogata an sit am- GIORNALE STORICO E LETTERARIO DELLA LIGURIA 387 plius virgo veruni non, comminando eidem quod debeat dicerc veritatem, qutn posset de hoc haberi veridica cognitio pro visione matronarum, respondit quod dormivit cum dicto Stephano, et cum eo matrimonium consumavi t, et quod non est amplius virgo. Di fronte a tali risultanze la più spiccia sarebbe stata di riconoscre la validità del matrimonio, e di sollecitare dal Papa la debita dispensa per la consanguineità; ma i tutori non ne volevano sapere, e brigavano sempre perchè la Giulietta fosse rinchiusa in un monastero. Intanto i mesi passavano, e nessuna definitiva risoluzione era presa a riguardo di lei, quando improvvisamente, che è, che non è, ai primi di settembre la Giulietta, abbandonata la casa della zia, in prejudicio animae suae, insalutato hospite, come dicono i tutori in una comparsa, se ne fuggì insieme collo sposo a Mongiardino od a Vergagni, per continuare la interrotta luna di miele. A questa nuova scappata della pupilla, che scombussolava tutti i loro progetti, ognuno può immaginare le furie dei tutori, i quali non cessavano dal predicare che si doveva rinchiudere in un monastero, come risulta da una comparsa del loro procuratore in data del 10 settembre 1545, ultimo atto che trovasi nel fascicoletto da cui trassi le presenti notizie, per cui se altri dati ricavati altrove non mi soccorressero non potrei dire come sia andata a finire la faccenda. Ma senza dubbio alcuno ebbe lieto fine. Questi dati li ricavo dagli alberi di discendenza della famiglia Spinola, e da diversi atti notarili, i quali segnano non solo come sposi legittimi lo Stefano e la Giulietta, ma che costei regalò alla famiglia non meno di tre maschi ed una femmina (1). Devesi pertanto ritenere che la sentenza del Vicario Arcivescovile abbia riconosciuto la validità del matrimonio, che siano venute le necessarie dispense per la consanguineità, e 1’ assoluzione per aver contratto e consumato in grado proibito, previa una qualche salutare penitenza, che generalmente si riduceva allo star separati per qualche mese, e gli sposi siano stati quindi autorizzati a continuare nel contratto matrimonio. Ma la Giulietta morì in giovane età come si ricava da una procura di suo marito, in data 23 ottobre 1555, nei rogiti del notaro Matteo Sivori, ove è nominata come morta, ed egli agisce quale tutore dei figli cornimi. Lo Stefano poi del 1563 già era trapassato, ed i figli sotto la tutela del fratello di lui, a nome Benedetto, del quale si ha una procura per i loro interessi, fatta il 29 di gennaio dell’anno indicato e col ministero del notaro suddetto. La loro discendenza si estinse al principio del secolo xvil, con due femmine, Giulia, maritata in Malaspina, e Lucrezia prima maritata in Negrone, e poi con un altro Spinola. Di esse è notizia in un atto del notaro Giacomo Cunc'o in data l° agosto 1631, dal quale appare che allora erano colà in villeggiatura. Risulta poi che, possedendo esse eziandio in gran parte il condominio di (1) Cf. Battilana, Albero della famiglia Spinola, pag. 120. 388 GIORNALE STORICO E LETTERARIO DELLA LIGURIA Vergarli, ebbero a sostenere molte liti per questi feudi. In potere di chi sia caduto in seguito Mongiardino non potrei dire. Sappiamo solo che i suoi deputati nel 1797 fecero atto di dedizione alla nuova Repubblica Ligure, alla quale fu annesso. Ora fa parte della Provincia di Alessandria, ed assieme con Vergagni forma un Comune che non raggiunge le 2000 anime, nel Mandamento di Rocchetta Ligure. Appartiene però sempre alla diocesi di Genova. Dei due castelli più non esistono che i ruderi. Quelli del superioie, il più antico, dove si svolsero i fatti accennati, appartengono ad un contadino del luogo, e tutto intomo il terreno venne ridotto a coltura ; nè sono molti anni che rivangandolo ri si rinvennero molte ossa umane, certo miseri avanzi della ricordata catastrofe. Quelli dell’ inferiore, posti presso la nuova chiesa parrocchiale, sono di una distinta famiglia di Alessandria, che in questi tempi vi fece eseguire qualche ristoro. Qui ha fine la mia narrazione, che è lo specchio fedele di quanto dicono le carte, senza che io vi abbia aggiunto cosa alcuna che ne potesse mutare la fisonomia, e credo che non sarà riuscita discara agli studiosi delle patrie memorie, giacché con essa ho illustrato una pagina, totalmente ignorata e non priva d’interesse, della storia, ben poco conosciuta, dei castelli della nostra Liguria e data un’ idea degli usi e costumanze, specialmente matrimoniali, dei secoli scorsi. Marcello Staglieno. IL PRETESO SEPOLCRO DELLA VEDOVA DEL CONTE UGOLINO DELLA GHERARDESCA A BIBOLA IN LUNIGIANA. Il nome del conte Ugolino della Gherardesca è rimasto famoso per la ferocia crudele con la quale venne fatto perire insieme con i figli ed i nepoti ; Dante 1’ ha poi reso immortale, formando della sua tragica fine uno de’ più stupendi episodi della Divina Commedia. In una conferenza che fu tenuta di recente alPAulla, appunto sul canto xxxill dell’ Inferno — il canto d’ Ugolino — venne asserito ritenersi che la moglie di lui fosse sepolta nel vicino castello di Bibola (1); esisterne (i) Bibola, che risiede sulla vetta conica di un poggio alia sinistra dell’ Aulella, forma adesso una delle frazioni del Comune dell’ Aulla, ed è uno de' castelli della Valdimagra che serba più spiccatamente l’impronta medioevale. In antico lo padroneggiò una famiglia che appunto da quel castello prese a chiamarsi de’ Signori di Bibola. Quando il 12 maggio del 1202 vennero terminate in Sarzana, col mezzo di un lodo, le controversie tra il Vescovo di Luni ed i Malaspina, i Signori di Bibola furono tra quelli che lo giurarono. Nella pace conclusa, per opera di Dante, a Castelnuovo di Magra, il 6 ottobre del 1306, tra Antonio Di Camilla Vescovo di Luni ed i Malaspina, vengono ricordati gli uomini e il Comune di Bibola. Lo strumento della pace e l'atto con cui Dante in quello stesso giorno, ante missam, fu, in Sarzana, in platea Calcandule (Γ attuai GIORNALE STORICO E LETTERARIO DELLA LIGURIA 3^9 tuttora la tomba in quella chiesa, davanti all’ altare della Concezione; venirvi da tempo immemorabile celebrate cinque messe all’anno in suffragio dell’anima sua ; 1’ obbligo del pio legato stare scritto ne’ registri della parrocchia. La notizia, nuova affatto agli studiosi della regione, non mancò di destare la curiosità, e fece il giro de’giornali (1). Più ragioni la rendevano accettabile e credibile. La Repubblica di Pisa, non contenta d’ aver fatto morire nella Torre delle Sette vie, che d’ allora in poi si chiamò della Fame, il vecchio Ugolino, i figli Gaddo e Uguccione e i nepoti Anselmuccio e Nino detto il Brigata, perseguitò con rabbia feroce i Gherardesca scampati alla strage. Capoana, vedova del Brigata, se ne fuggì nella guelfa Lucca, e le sue ossa riposano, nella chiesa di S. Romano di quella città sotto una lapide che ne ritrae 1’ effigie (2) ; Guelfo, uno de’ pronipoti del Conte, che era bambino, fu messo in prigione da’ Pisani, e non riebbe la libertà che nel 1313» Per opera d’ Arrigo VII, imperatore (3), che fece restituire alla patria anche Matteo di Nino, fin allora ramingo nel mondo. Nessuna traccia e notizia si ha ne’ cronisti e ne’ documenti del tempo piazza Vittorio Emanuele), nominato procuratore de’ Malaspina, vennero fatti trascrivere il 22 settembre 1765 dal marchese Manfredi Malaspina di Terrarossa; e la copia, fatta sui protocolli originali di ser Giovanni di Parente Stupio e autenticata dall’archivista sarzanese Gio. Antonio Vivaldi, fu poi messa alle stampe dall’ab. Giovanni Lami nelle Novelle letterarie ài Firenze l’anno 1767 (11. 38-40). Il Vivaldi, che per verità non era punto esperto nella lettura de’ caratteri antichi, e non ce ne avrebbe levato le mani, si faceva fare le copie dagli altri. I documenti riguardanti la famiglia Buonaparte, che nel 1789 comunicò a Giuseppe, il futuro Re di Napoli e della Spagna, glieli trascrisse Domenico Maria Bernucci ; per questi danteschi si valse senza dubbio del canonico Niccolò Maria Torriani, «versatissimo nelle memorie patrie », come lo chiama appunto il Bernucci, che, morto il Torriani, diventò l’erudito e il paleografo di Sarzana. Il Lami, uomo di grande dottrina e di un’erudizione soda e variata, era però uno sciattone e un abborracciatore di prima forza, e dette fuori i due atti di ser Giovanni con tali e tanti errori di stampa, che passano il segno; par quasi che non ne abbia riveduto le bozze. Uno de’ più fatali fu quello di mutare in Cannila il cognome del Vescovo, che è invece Di Camilla, nota e potente famiglia genovese. L’ Ughelli s’ è limitato a chiamarlo : Antonius ex canonico Baionensist senz’ altro. Dall’ allora in poi, col rifiorire degli studi danteschi, diventò Cannila, e tutti lo chiamammo così : tanta è la forza degli spropositi in questo nostro tondo pianeta ! Nel 1847 tornò a ristampare que’ due documenti un inglese benemerito degli studi danteschi, lord Vernon, diligentemente collazionandoli sul testo originale; ma l’edizione, tirata a pochi esemplari e fuori di commercio, restò sconosciuta ai più. Cfr. Dantis Aligheri legatio pro Francischino Malaspina ad ineundam pacem cum Antonio episcopo Lunensi et constitutio pacis ann. MCCCVI denuo recognita et iterum in lucevi edita consilio et sumptibus G. J. bar. Vernon, Pisis, ex officina Ni-striana, mdcccxxxxvii ; in-4 di pp. xii. (1) Cfr. il giornale carrarese Lo Svegliarino ; ann. XXV, 11. 15, 15 aprile 1900. {2) Sforza Gio. Capoana da Donoratico; in Dante e i Pisani studi storici (seconda edizione), Pisa, Valenti, 1873; pp. 135-151· (3) Negli Açta Hairici VII imperatoris Romanomm, editi a Berlino nel 1839 dal Doennigks (i, 54 e 75), si trovano alcune notizie intorno a Guelfo, che sono sfuggite a quanti hanno scritto di lui. Le anderò spigolando. A.) « Die xvi aprilis (1313) Pise dou conte Guelfo. Fu propose en conseil par le « Segnour a pourveoir e trover voie convenable sus le fait de la délivrance dou conte GIORNALE STORICO E LETTERARIO DELLA LIGUIRA della sorte toccata alla vedova d’ Ugolino, Margherita de’ Pannocchieschi, contessa di Montingegnoli ; e il ritrovare finalmente questa traccia in Lunigiana era, del resto, cosa ben naturale. Landuccio, figlio illegittimo d’ Ugolino, fin'dal 1286 aveva sposato Manfredina di Manfredi Malaspina Marchese di Giovagallo (i). Pertanto, la Valdimagra, dove i Gherardesca avevano una parentela così cospicua e potente, poteva ben dare ospitalità alla vedova infelice. Il sepolcro esistente nella chiesa di Bibola, che si afferma essere quello della Contessa, consiste in una lapide in marmo senza iscrizione, e porta scolpito uno stemma gentilizio : un leone rampante, con corona comitale. Lo scudo, senza che se ne conosca il colore dello smalto, è sormontato da un elmo patrizio. L’ arme de’ Gherardesca e quella de’ Pannocchieschi è affatto differente. Di più, la lapide non è lavoro nè del secolo Xill, nè di quello xiv; mostra la mano inesperta d’uno scalpellino del secolo xvn. Il solo fatto dell’ arme basterebbe a sfatare la leggenda. È distrutta com- « Guelfo que li Sires a fait relascher de prison; a la seurte dou Comun de Pise, comande « fu au vicaire au aneziains e au conseil pour ce que il semble que H Comuns sen tiegne « mal contenz que se il ou aucuns deux se plaint ou vuelt plaindre dou dit conte que « li Sires vuelt que bons droiz en soit tenus: ou se ce nest, si doivent conseiller le « Segnour de trouer voie qui bone soit il honour dou Segnour e ala seurte de eux. « Li quel respondirent que le dit conte il non avoent tenu pris pour mefTait que i! « eust fait, mais pour le mefifait de son pere e de son oncle e pour le pere de son pere, « forque pour doute que il avoent de lui pour la mort et pour les meffait de ses an-« cesores, autre conseil nen savroent doner, mais que li Sires en face sa volonté quar « le di cuons nest bone di cui se puisse avoir autre seurte que de sa persone, forque « se li Sires le voloit guarder en une autre maison Iour semblerait bon e seurte serait « bone e avenanz ». B.) « Guelfucius filius quondam Henrici comitis de Donoratico, qui consuevit detineri « in carceribus Pisani Communis, liberatus per Dominum a dictis carceribus, et confi-« tens se esse in libertate et potestate sua, fecit fidelitatem Domino Pisis in hospicio « Raynerii comitis de Donoratico, in quo Dominus habitat, presentibus fratre Oddone L archiepiscopo pisano, Butrontino, Comite Sabaudie, Comite de Claromonte, Aymone « de Albomonte, Conrado de Auria, Thomaino Spinula, Hugucione de Marciana, Ray-« nerio abbate Montis imperialis, Raynerio et Gaddo comitibus de Donoratico, Hugo-« lino de Viccho, Scoto de sancto Geminiano iudice, Homo de Peretulo, Cerino de « sancto Simphoriano, Lamberto de Ciprianis et Symone Philippi testibus, die xxn « maii » (1313). (1) Fu in prime nozze che la Manfredina, figlia del guelfo Manfredi, che combattè a Montaperti, e sorella di Moroello, il Vapor di Valdimagra di Dante, sposò il bastardo d’ Ugolino. Lo prova il Passerini nella genealogia de’ Gherardesca, compilata dal Litta e da lui accresciuta e corretta, dove cita la scritta nuziale, rogata il 16 gennaio del 1286 ed « esistente tra le pergamene del Capitolo di Pisa ». Lo ignorò il Litta, e con lui lo ignorarono il Gerini e il Branchi, che tutti e tre ricordano soltanto il secondo matrimonio di lei con Pierino di Bernabò da Casasco, avvenuto nel 1304, come si rileva da una carta dell’ Archivio domestico de’ Malaspina di Fosdinovo. Il Branchi (Storia della Lunigiana feudale; 11, 20, 27 e 28) vuole che ne' Malaspina entrasse una pronipote d’Ugolino della Gherardesca, la Giovanna figlia di Ugolino Visconti, il Ain gentil e la Giovanna mia del canto vili del Purgatorio. Lo desume da una pergamena strozziana, citata dal Manni e dal Pelli e da lui stesso stampata a pp. 35-48 delle sue Lettere sopra alcune particolarità della vita di Dante. É l’inventario dell’eredità d' Opizzone GIORNALE STORICO E LETTERARIO DELLA LIGURIA 39I pletamente da ciò che si legge nel registro parrocchiale intitolato : Notazione di legati perpetui e ad tempus con altre notizie e memorie a* successori. Ecco quello che dice :. « Quattro messe basse per la Sig.ra Eleonora « Ugolini di Pisa per terre olivate lasciate dalla medema alla sud.a Parro-« chiale, accettate dal fu S.re Giani Francesco Trombetti Rett.® li 28 8bre 1651 ». Si noti che la parola Signora, che precede il nome di Eleonora, è abbreviata, e quel ra superiore è accompagnato da una lunga coda o svolazzo che rassomiglia una grossa lettera C. Quella coda, da un vecchio parroco, poco esperto di paleografia, fu presa per un C.; lo ritenne un’ abbreviatura di Contessa, e nel ricopiare quel brano, in un nuovo libro che fece de’ legati, scrisse senza più : Signora Contessa Eleonora. Ugolini di Pisa. Il Contessa e 1’ Ugolini diventarono poi, nella sua fantasia, la Contessa Ugolino, la vedova del conte Ugolino de’ Gherardeschi. Nessuno si curò di verificare e controllare la cosa ; stettero a quel che diceva ; e la leggenda si fece strada, prese piede, finì coll’ affermarsi perfino in una conferenza dantesca. Malaspina, fatto compilare in Lusuolo, il 22 giugno 1301, dalla vedova sua, Tobia di Lanfranco Spinola, nell’ interesse de’ figli minorenni, Corrado, Manfredo, Federigo, Moroello, Azzone, Giovanni, Orietta e Bettina. Tra’ debiti vi si trova questa partita : « Et quoddam alium debitum librarum quadraginta unius januinarum debitarum Ba-« stardo condam domini Corradi marchionis Mallaspine, videlicet libras viginti unam « januinas in una parte quas expendiderat de precepto olim dicti domini Opezonis et « pro eo quando ipse Bastardus et ego Johannes » (condam domini Recuperi de Luciana populi sancti Remigii de Florentia) « notarius infrascriptus ivimus in Galluram de « mandato dicti olim domini Opezonis pro parlamentando cum domino comite Tadeo « de Monte Orzale, pro tractando et complendo matrimonium dicti domini Coradini » (il primogenito di Opizone) « et Johanne comitisse Gallurie; et in alia parte libras vi-« ginti, quas expendiderat pro curia per Petrum Loricam quando misit equos de Sar-« dinea». È naturale che Opizzone di Federico Malaspina di Villafranca, il quale, oltre parecchi castelli in Lunigiana, possedeva anche tre quarti della terza parte di Bosa e di Osilo in Sardegna, desiderasse di ammogliare il suo figliuolo primogenito Corrado con la figlia ed erede del Giudice di Gallura e con quel matrimonio rafforzare ed estendere la potenza e l’influenza de’ Malaspina nella Sardegna. Il matrimonio ebbe effetto realmente? Quell’ inciso « compiendo » lo farebbe credere. Io, peraltro, ritengo che non seguisse, e n’ ho la prova. Il 4 agosto del 1313 1* imperatore Arrigo vii, prima di lasciar Pisa, volle rappaciarsi con Ardengo degli Ardenglii di Parma e con i conti da Camino; e all’atto, col quale li tornò nelle sue grazie, tra gli altri, fu testimonio il nostro Corrado Malaspina (Cfr. Doenniges, Acta Henrici VII; 11, 89).. Nelle istruzioni che Arrigo stesso dette ad Uguccione della Faggiola quando lo mandò suo Vicario a Genova nel maggio di quel medesimo anno c’è scritto: « Item, super tractatu matri-« monii contrahendi inter dominimi üpeczinum Spìnule et filiam iudicis Gallure sit « advisus et cautus dictus Vicarius ad impediendum et super hoc habeat consilium et « bonam providentiam cum fidelibus Domini ». Tra le cose poi che Uguccione mandò a dire ad Arrigo, per bocca d’ un suo fidato, vi fu anche : « dist que messer Opecins « li a respondu que le mariage qui estoit traités de la dame de Gallure ne vuelt ja « faire ue entendre y senz le consentimant dou Segnour » (Doenniges, Op, cit. i, 55 e 114). Che fosse stato trattato di maritare la Giovanna con Opezzino Spinola e che questo progetto lo mandasse a monte l’imperatore Arrigo vii è un episodio, che nessuno de’biografi di lei ricorda; neppure il più recente e diligente di tutti, i! mio vecchio e buon amico Isidoro Del Lungo. Che poi la Giovanna, la quale nel 1301, per testi- 392 GIORNALE STORICO Ë LETTERARIO DELLA LIGURIA Si tratta dunque di una Eleonora Ugolini di Pisa (r), che nel 1651 lasciò un modesto legato alla chiesa parrocchiale di S. Bartolommeo di Bibola. Non è certo neppure che il sepolcro appartenga a lei, come vuole la tradizione di quegli abitanti. Ne’ registri de’ trapassati, che ho scorso per una lunga serie d’ anni, non c’ è notata la sua morte, nè che il cadavere di essa fosse trasportato lassù. Poco importa però il chiarir questo. E ima donna, pia e oscura, che certo, quando istituì il legato, non si sarebbe sognata giammai di trasformarsi, dopo morta, in Margherita de’ Pannocchieschi contessa di Mon-tingegnoli e vedova del famoso Ugolino della Gherardesca ! Massa di Lunigiana, 25 settembre 1900. Giovanni Sforza BOLLETTINO BIBLIOGRAFICO. Gaetano Poggi, Genoati e Viturii; Genova, Tipografia R. Istituto Sordo-Muti, 1900; in-4 ; pp-XIH, 407. Con una carta, (negli Atti della Società ligure di Storia patria, XXX). In Liguria, dove pure gli studi storici, nonostante certe deficienze di metodo, sono coltivati con amóre e hanno avuto maestri come il Belgrano e il Desimoni, gli studi linguistici non hanno mai fatto fortuna, e moltissimi ignorano ancora che essi sono 1’ oggetto d’ una scienza speciale, che pel metodo s’avvicina alle scienze naturali. Moltissimi ignorano che essa, a differenza delle altre cosiddette scienze morali, non ammette in nessun modo dilettanti, come non ne ammettono la medicina o la matematica, e che non si può tentar seriamente l’illustrazione o d’una lingua o d’un dialetto — in fondo è la medesima cosa — senza essersi impadroniti prima, con studi severi e con paziente monianza d’ uno de’ vecchi commentatori danteschi (Anonimo fiorentino; II, 136), era « di meno tempo di nove anni », fosse fidanzata anche a Marco Visconti, non è bene accertato. Fu, come è noto, moglie, e moglie non felice, di Rizzardo da Camino, Vicario imperiale di Treviso e Capitano generale di Belluno e di Feltre. Cfr. Del Lungo, Una famiglia di guelfi Pisani ; in Dante né tempi di Dante, ritratti e studi, Bologna, Zanichelli, 1888; 313 e segg. (1) Intorno alla famiglia Ugolini ecco quello che mi scrive il mio amico e collega Leopoldo Tanfani Centofanti Direttore del R. Archivio di Stato in Pisa: « Fu in Pisa « nel secolo xiv una famiglia Ugolini, della quale si hanno nel registro di Godimenti « d’anzianato queste notizie : « Bectone Ugolini antianus anno 1303. Novus ant. a 1321. « Salvi ant. a. 1324., 1327, 1336. « Vannes ant. a. 1326. « Lemntus ant. a. 1327. « Joannes Salvi ant. a. 1362. « Se nel secolo xvii esistessero in Pisa discendenti di detta famiglia non si rileva « dalle carte di questo Archivio che sono state esaminate, ma potrebbe raccogliersi « dai libri battesimali. Dello stemma gentilizio si è fatta ricerca nell' Archivio di S. Ste-« fano, nel quale sono notizie degli Ugolini di Firenze, di Aquila, di Cesena e di Siena. « Solamente 1’ arine di questi ultimi due reca il leone rampante ». Giornale storico e letterario della Liguria 393 tirocinio, non solo delle cognizioni, ma, forse più ancora, del metodo necessario. Così continuano a gingillarsi colle storielle d’ un secolo fa : parlano di Celti, di Iberi, di Etruschi, di popoli italici con la più grande disinvoltura ; si divertono colle etimologie (per esempio, lo connine da Luciimone), senza riflettere che queste non sono che il risultato e come il frutto naturale d’una lunga serie di ricerche sulla fonetica e la morfologia d’ una lingua; vogliono a tutti i costi trovar l’origine dei nostri dialetti nelle lingue parlate prima della conquista romana, e ignorano eh’ è una delle verità più lucidamente e più irrevocabilmente stabilite che tutti gli antichi dialetti dell’ Italia (come quelli della Gallia e dell’ Iberia) scomparvero dalla faccia della terra, davanti al continuo e inesorabile avanzare della conquista, della civiltà, dell’ assimilazione romana. Così, per un malinteso e meschino spirito di campanile, rinnegano quella che, insieme colla creazione del diritto, è la più alta e più duratura manifestazione dell’ energia materiale e morale di Roma : vale a dire la diffusione del latino a tutto il mondo conquistato, che per esso dimenticò per sempre le sue antiche lingue, non conservandone se non rare e incertissime tracce, e che, parlando e svolgendo nei secoli la nuova lingua romana, appresa dal soldato,^lal colono, dal mercante, dall’ impiegato, dal maestro, serba tuttora in essa, suggello incancellabile, la testimonianza della nostra antica grandezza. Naturalmente, da noi la fissazione più intensa e più diffusa è quella dei Liguri ; e benché non si sappia affatto che lingua fosse la loro e siamo ridotti a vaghe e generiche induzioni, più o meno probabili, taluni de’ nostri eruditi, anche valenti in altri rami di studi, parlano dell’ antichissimo linguaggio dei Liguri come di cosa a loro famigliare, ne riconoscono le radici nei vocaboli genovesi, che i romanisti s’ affannano a predicare prettamente e unicamente latini, e senza conoscere o con serena coscienza trascurando il mirabile e vasto lavoro che la scienza moderna ha accumulato in circa ottant’ anni, senza sospettare che, per somma ventura, c’è pur in Italia una scuola di dialettologi, la scuola dell’Ascoli e del Flechia, che non ha molto da invidiare a nessuna scuola straniera, affermano, arzigogolano, si compiacciono di inalzare i più straordinari castelli di carte. Ora poi, a confondere sempre più le loro idee, sono venute le teorie antropologiche sulle razze mediterranee, teorie che, quantunque ingegnose e in parte probabili, sono tuttora avvolte in mille incertezze e spesso sono difese anche dai loro più noti fautori con tale corredo di cognizioni storiche e linguistiche e con tale conseguenza e severità di metodo da far rabbrividire. Un difetto non raro in codeste ricerche antropologiche è di non distinguere nettamente fra due cose nettamente distinte, come sono la razza e la lingua ; e quei nostri eruditi, esagerando tale difetto, del quale del resto non hanno coscienza, cercano affinità col loro ipotetico ligure presso tutti i popoli della regione mediterranea (e si contentassero di questa!) e vanno così ricostruendo le più stupefacenti famiglie linguistiche. La scienza, di tali elucubrazioni fa giustizia sommaria ; non si ferma nemmeno a discutere ; e invero sembrerebbe a tutti assai singolare se un astronomo o un 394 GIORNALE STORICO E LETTERARIO DELLA LIGURIA chimico perdessero il loro tempo a confutare un astrologo o un alchimista, smarriti nel nostro secolo. L’ avvocato Poggi, che è senza dubbio uomo d ingegno e di molta coltura (i), ha voluto tentare aneli’ esso o meglio s’è lasciato tentare dal solleticante problema dei Liguri ; e ha scritto questo grosso volume, tutto pieno di etimologie e di vocaboli di quell’ antichissimo idioma. Si don à di me se confesso francamente che il nostro metodo è troppo lontano dal suo, pei chè si possa trovare almeno un punto di contatto, dal quale cominciare una discussione proficua? Senonchè io dubito perfino — e mi perdoni 1 egregio uomo, se non ho colto nel segno — ch’egli abbia voluto più d una volta, da persona di spirito coni’ è, prendere in giro gli etimologi di cui è ferace la Liguria. Si sa che i Liguri sono d’ umore allegro; e lo dice egli stesso, là dove spiega l’origine delle nostre esclamazioni perbacculetta, perdinculina: « Bacco è noto. Ma chi era il culina? Non si tratta d’mi Dio. I buoni Liguri dall umor allegro brindavano col culina e col culetta al Dio bicchiere ». Io penso che la loro allegria fosse anche accresciuta da codesti graziosi appellativi ; ma non so perchè mi baleni qui pure il sospetto che il P. abbia voluto garbatamente scherzare su certi anche più singolari nomi di divinità che, se ricordo bene, erano stati scoperti nella cosmogonia ligure dal compianto Celesia. Mi resterebbe solo da rivolgere una domanda alla Socicta ligure di Storia patria; ma a che servirebbe? Teniamoci per noi le nostre malinconiche considerazioni. E. G. Parodi ANNUNZI ANALITICI. La « bulla maior » di Cuniberto vescovo di Torino in favore della pre-vostura di Oulx. Memoria di Carlo Cipolla. Torino, Clausen, 1900; in 4; di pp. 24, con tav. (Estratto dalle Memorie della Reale Accademia delle Scienze dì Torino, ser. II, T. L.). — Il diploma di Cuniberto venne pubblicato fin dal 1753 nel cartario della canonica di Oulx. Il suo contenuto è di non lieve importanza per la storia di quella prevostura, della quale si narrano qui le origini, e le si fanno donazioni di alcuni luoghi, fi a quali figura S. Maria di Susa, nominando Nanteimo, chiamato a reggere quella chiesa, canonico di S. Giovanni di Torino, onorificenza a cui avranno diritto i suoi successori. I primi editori esemplarono il documento sopra una raccolta del sec. XTii. che esiste tuttavia nell’Archivio di Stato di 1 orino, ma non videro l’originale. Due ne rinvenne il C., l’uno di privata proprietà, l’altro nell’Ar- (1) Conosce, per es., la recente Grammatica comparativa degli antichi dialetti italici di Roberto von Pianta ; della quale però il proto gli ha stranamente sfigurato il titolo tedesco. Ma 11011 direi che il P. giudichi chiaramente del contenuto di essa; o almeno non capisco bene se altre parti egli desideri in uno studio linguistico oltre quelle che la compongono [Fonetica — che comprende, come è naturale, l’Etimologia — Morfologia, Sintassi, raccolta e illustrazioue di tutti i testi], nè quale altro metodo creda doveroso o anche soltanto possibile seguire. GIORNALE STORICO E LETTERAIRO DELLA LIGUIRA eluvio vescovile di Pinerolo. Sono uguali, salvo lievi differenze di poco conto. L’a. esamina minutamente le due pergamene, ne rileva tutte le particolarità estrinseche e formali, e viene a concludere che i documenti sono materialmente falsi. Ma per giungere a sì fatta conclusione ha chiamato a sussidio l’arte, il costume, la sfragistica, la paleografia, la diplomatica istituendo una serie diligente, acuta, sicura di rilievi e di confronti, donde procede strettamente logico e severo il ragionamento che non lascia adito ad incertezze. Data dunque la falsità evidente del diploma, conveniva ricercare a qual tempo fosse da attribuire la falsificazione. Qui 1’ a. procede più guardingo e non porge un sicuro risultato, dando tuttavia come probabile la fine del sec. xii. Quanto è del contenuto non si può dire che sia del tutto destituito di verità; « è ragionevole ammettere che alcune parti della carta siano più o meno autentiche____ nel suo insieme è accettabile la serie dei possessi confermati o dovuti ; ma le amplificazioni sull’ origine della prevostura di Oulx e sui diritti della chiesa di S. Maria di Susa non sono appoggiati sopra documenti valevoli ». Sì fatte falsificazioni hanno sempre una ragione, la quale nel nostro caso, come in moltissimi altri, è da ricercarsi nel desiderio di metter un termine ai litigi durati fra la prevostura di Oulx e la chiesa di Susa. Anche in questa seconda parte del suo assunto 1 a. mostra la sua perizia in materia, ma si mantiene in quel pi udente riserbo che gli è consigliato dalla grave e delicata quistione da lui presa a trattare. Nuovi documenti potrebbero forse modificare alcuni dei risultati a cui giunge ; ma il punto capitale della falsità è così ben dimostrato che nulla varrà a revocarlo in dubbio. Lettere famigliari inedite e quasi inedite di GlOVAN Battista NiCCOLINI con schiarimenti di Gherardo Nerucci da Pistoia. Pistoia, Niccolai, 1900; in 8 ; di pp. 32. — Il meglio di queste lettere era già noto, perchè in tutto 0 in parte pubblicate ; tuttavia non è disutile vederle qui riunite, e le frammentarie completate, esemplandole sugli autografi. Fra le veramente inedite c’ è poco da spigolare ; rileviamo tuttavia una letterina al Contrucci con la quale lo ringrazia per le lodi che gli comparte a proposito della sua tragedia VArnaldo; e aggiunge : « Se le difficoltà di un’arte, nella quale da tanti anni ho esercitato il mio povero ingegno, non consentono ch’ei m’appaghi di quanto ho scritto, pur mi conforto nella santità del fine che or mi son proposto nel- 1 ’ Arnaldo, e dalle calunnie dei malvagi trovo un refugio nell’ inviolato asilo della coscienza ». L’ editore ha corredato queste lettere di copiose note, buone per le notizie particolari che porgono. Le dicerie volgari di Ser Matteo de’ Libri da Bologna secondo lina redazione pistoiese pubblicate dall’aw. Luigi Chiappelli. Pistoia, Fiori, 1900; in 16; di pp. xxxi, 51. — Il notaro bolognese, autore di queste dicerie, visse, secondo si ha da documenti, sul mezzo del sec. xm. Il suo lavoro si conserva in un codice Laurenziano Ashburnhamiano, e il testo che ora ne vien prodotto dal C. è un rifaciménto di quello e si conserva in un ms. o della fine del dugento o de’ primi del trecento nell’ archivio privato De Rossi in Pistoia. Non apparisce completo, perchè delle ottantasei dicerie raccolte nel Laur. Ashbur., sole trentuna ne dà il pistoiese; ma potrebbe anche essere che il trascrittore abbia voluto fare una scelta, accomodando la forma secondo suo scopo, e secondo i suoi intendimenti. L’editore in una buona prefazione fa un esame accurato della parte formale ed intrinseca del testo, mettendolo a riscontro con altre scritture consimili, in ispecie con le dicerie del Ceffi, che si hanno a stampa ; discorre dell’ importanza che assume fra le scritture volgari, e tocca dell’ oratoria nel medioevo, rilevando la differenza di queste antiche prove, poste a cimento con le orazioni degli umanisti ; espone infine il 39*5 GIORNALE STORICO E LETTERARIO DELLA LIGURIA metodo da lui tenuto nella pubblicazione del manoscritto. Questa specie di formulario ci mette dinanzi una serie di componimenti, clie piopriamente si addicono alla rettorica ; e sebbene si manifestino in generale nel costrutto e nella dicitura assai semplici, non mancano tuttavia di una certa pretensiosa tendenza esornativa, che venne in seguito prendendo sempie maggior piede, tanto da giustificare il monito di Bartolomeo da S. Concordio: « La troppo composta diceria ha molto del vóto, e più suona che non vale ». Rimane tuttavia un dubbio rispetto a questo testo volgare, e cioè se^ appartenga originariamente al de’ Libri, o non sia più tosto traduzione dell opeia da questi scritta in latino. E sebbene il C. ritenga probabile la prima opinione, pure le prove fino a qui non suffragano, ed egli stesso lo ammette, a dai la cosa come sicura. Questo volumetto è il primo della Biblioteca d autori pistoiesi, che si propone di mandare in luce la Società pistoiese di storia patria. Pietro Bologna, Il possesso di Pontremoli preso in nome del Granduca di Toscana Ferdinando II, dal Senatore fiorentino Alessandro Vettori nel 1650. Firenze, tip. G. Carnesecchi e figli (1890); 8° pp. 36. La Repubblica fiorentina, che sin dai primi anni del secolo XIV aveva occupato Pietrasanta e nelle guerre coi Pisani, coi Lucchesi e con Castruccio s’ era impadronita e avea dovuto rilasciare, con varie vicende, molte terre e castella di quello che fu sempre un territorio contrastato, fra 1’ Arno e la Magra ; nel XV secolo per provvedersi di un antemurale contro possibili mi-naccie de’ Genovesi e de’ Visconti, volle stabilire il suo dominio in Lunigiana, e vi riuscì provocando dedizioni spontanee delle popolazioni con promessa di protezione e franchigie, intervenendo come arbitra nelle querele de’ Signori feudali del paese e stipulando leghe e trattati coi Malaspina. Tra’ primi paesi di Lunigiana venuti in dipendenza de’ Fiorentini furono Caprigliola, Albiano e Stadano, che il 4 febbraio 1404 (st. fior.) accettavano di esser governati in perpetuo dai Signori Otto di Custodia di Firenze con 1’ assicurazione che anderebbero esenti da ogni gravezza reale e personale in perpetuo. E la Repubblica prometteva di non sottomettere que’ luoghi ad alcun Signore, Comune o persona e massimamente a nessuno della casa Visconti di Milano, garantendo di rimetterli in libertà se non li avesse più voluti tenere. Andò estendendosi, così, in sulla sinistra riva della Magra il dominio fiorentino, e de’ molti possessi vennero poi formati due capitanati : quello di Fivizzano e quello di Castiglione del Terziere. Frattanto i Genovesi, in sulla destra opposta riva del fiume, accrescevano i loro possedimenti : i Centurioni dominavano ad Aulla, i Zieschi aveano in signoria Pontremoli. Questa terra, importantissima perchè consideravasi come la chiave di quella Val di Magra per cui erano passati e passavano quasi tutti gli eserciti che dalla superiore scendevano verso l’Italia di mezzo, era la méta cui miravano i Fiorentini. Il duca Cosimo de’ Medici, profittando della ruina di casa Fiesca, la fece chiedere con insistenza a Carlo V e scrivendo il 7 di gennaio 1536 (st. fior.) ad Averando Serristori, suo ambasciatore alla Corte Cesarea, insisteva perchè gli fosse ceduta: « essendo il luogo di Pontremoli contiguo et vicino alle terre et luoghi nostri di Bagnone, di Castiglioni del Terzieri et di Fivizzano et la chiave del passo di Lombardia, quale, quando fosse ben guardato, serrerebbe quello adito di tal sorte che non sarebbe possibile ad alcuno di potere per quella banda intrare a’ danni di Toscana, et oltre le prenominate terre nostre di Lunigiana, sarebbe lo antemurale di Pietrasanta, di Pisa, di Volterra et di tutta questa nostra banda della marina ». Ma la Spagna non si lasciò scappar 1’ occasione di stender 1’ ugne un po’ di più nel nostro paese e tenne Pontremoli per sè. Vi mirarono, pero, costantemente i successori di Cosimo e, finalmente, Ferdinando II granduca, con accorti negoziati potè, nel GIORNALE STORICO E LETTERARIO DELLA LIGURIA 39 7 1650, ottenerne la cessione per 500000 scudi. Già, fin dal 1647, la Spagna avea dovuto vendere, per gravi angustie finanziarie, quella terra ai Genovesi; ma il granduca di Toscana tenendo viva in Pontremoli un’ agitazione contro quella vendita e valendosi de5 buoni uffici di Don Luigi de Haro, primo ministro alla Corte di Madrid, potè far rescindere il contratto, e, sebbene a’ Genovesi sapesse amara la rinunzia, dovettero pur piegare la testa al volere del Re Cattolico. Le ultime pratiche e formalità della consegna furono condotte per la Spagna da Don Gio. Batta Secco Boccella Conte di Vimercato, e per il granduca Ferdinando II dal Senatore Alessandro Vettori, gentiluomo fiorentino. Il viaggio del Vettori, partito il 16 d’agosto 1650 da Firenze con venti muli carichi di danaro e con buona scorta di soldati, il suo cammino per Pisa, il Lucchese, Castelnuovo di Garfagnana, Filattiera e Pontremoli, dove giunse il 7 di settembre, sono narrati dal Bologna con le parole stesse delle relazioni fatte dall inviato fiorentino al Bali Gondi. E le difficoltà sollevate da’ Genovesi e dal loio Patito, che avea per cittadella il convento degli Agostiniani della Nunziata ove stava per superiore un lucchese di Montignoso, mentre il cav. Ferdinando Cavalli, della insigne famiglia pontremolese, favoriva in ogni modo le parti de Fiorentini, sono dall’A. raccontate con sobria ma chiarissima esposizione. Si descrivono anche i regali e i donativi del granduca al De Haro, al Vimer-cati e a tutti gli ufficiali e militari che dovean lasciar Pontremoli. Appianate tutte le difficoltà, sistemati i conti, concordata la valuta delle monete, preparati i regali e contato il denaro, si venne, finalmente alla presa solenne di possesso il 18 settembre, cioè alla consegna delle chiavi, della fortezza e alla generale adunanza del Consiglio della terra che prestò il giuramento di fedeltà al grido di « Viva il granduca!». Le cerimonie furono compite, il dì seguente, con una solenne funzione in chiesa per rendimento di grazie. Pontremoli in quel tempo avea sei parrocchie dentro la terra e 34 nelle ville, e il territorio numerava 2629 fuochi con 12795 anime, di cui almeno 2000 uomini atti alle armi. Il lavoro del Bologna, pubblicato per la fausta ricorrenza delle nozze Giuliani Nardi-Berti, è interessante non solo per chi si occupa delle vicende di questa regione, ma anche per chiunque ama leggere curiose notizie esposte con garbo ed eleganza di forma e con vigorosa e sana critica di storico. (Luigi Staffetti). SPIGOLATURE E NOTIZIE. La più antica memoria del Lotto a Genova. Genova a cui da taluno vuol farsi il merito, o l’accusa, d’aver introdotto il giuoco governativo del lotto, grazie all’ ufficio di S. Giorgio appena da pochi anni instituito possedeva già qualche cosa di simile nel 1417· Non ne è menzione nel Rezasco (Dizion. del linguaggio stor. ed amministrativo, Firenze, 1881, alla voce Lotto o nel più ampio suo scritto sopra lo stesso argomento in Giornale Ligustico, XI, 19(1, sgg.); e neppure nel recente libro importante del Sieveking (Cfr. Giornale, 1, 135'. Infatti da un atto del notaro Giovanni de Pineto (Arch. di Stato - Sez. Not., Not. Gio. da Pineto, Fil. 1, 11. 521 del 17 febbraio 1417 risulta che un orefice, certo Battista Barixono, avea giuocato colla sua serva e per mezzo di questa ad sortevi officiorum Sancti Giorgi, ad quorum officiorum sortem dictus Bapta posuit florinum unum seu L. /, 5, 5 sotto il nome di Caterina ungara, famula sua, ex quo quidcm fiorino dictus Bapta posuit de eius propria pecunia et ad suum rixicum et fortunam tres quartas partes dicti fiorini, ipsa vero Catarina reliquam partem. Per il che conduce la serva dal notaio e le fa dichiarare che della vincita di fiorini 800 39§ GIORNALE STORICO E LETTERARIO DELLA LIGURIA pari a lire mille, tre quarti spettano al padrone e le rimanenti L. 250 cioè fiorini 200 soltanto sono sue. Siccome essa, ungherese, non avea parenti a Genova, 1’ assistono come consiglieri due altri orefici, Raffaele Cosso e Gaspare de Ferrari, il fratello del notaro Baldassarre ascendente, secondo il Belgrano, del duca di Galliera, dei quali fratelli de Ferrari si legge l’epigrafe sepolcrale sulla piazzetta di S. Giov. il vecchio. Lustramento è rogato, affinchè con esso il Barisono potesse riscuotere la vincita dall’ ufficio di S. Giorgio. Speriamo che sia stato coscienzioso verso la sua serva ! Altri documenti su codesta lotteria dell’ ufficio di S. Giorgio non mi venne mai fatto di trovare negli archivi e nelle biblioteche. (Ugo Assereto^) Un viaggio scientifico fatto nella Liguria l’anno 1599- Il P· Francesco Malocchi di Firenze, minore osservante, nel 1596 dal granduca Ferdinando I fu nominato direttore del Giardino botanico di Pisa ; ufizio che tenne fino al 1614, anno della sua morte. Nulla abbiamo alle stampe di lui, ma dalle opere de’ suoi contemporanei sappiamo che godeva grandissima stima e che arricchì il Giardino e lo mantenne in florido stato. Di Corsica ci portò la radice della Scilla ; nel 1606 c’ introdusse il Cardamendo, del quale ricevè i semi dal Perù ; da Costantinopoli ebbe delle pianticelle di Ippocastano e ve le piantò. Fu il primo dispositore della collezione di prodotti naturali, che raccolta da diversi professori e poi molto arricchita dal Granduca, venne per ordine di quel Principe collocata nel primo piano della casa addetta al Giardino botanico e formò il Museo di storia naturale (Savi, Memoria III sopra i generi Phaseolus et Dolichos ; nel Giornale de’ letterati, di Pisa ; X, 25-27). Fece diversi viaggi botanici in Italia, e di questi, uno in Corsica è rammentato dal Calvi (Commentarium inseruittir: Hist. Pis. Vireti; p. 93), d’un altro per la riviera di Genova fino a Porto Maurizio, parla Gaetano Savi (Notizie spettanti il Giardino botanico e il Museo di Storia naturale dell’ Università di Pisa; nel Giornale de’ letterati, di Pisa ; xrv, 30-34). Di questo secondo viaggio, che durò dal 5 luglio al 15 settembre 1599, il Malocchi stesso ha lasciato il Diano e si legge in un libro manoscritto intitolato : Giardino de’ Semplici di Pisa. Tra i doni fatti dal Granduca al Museo vi è anche il tanto famoso teschio umano col corallo natovi sopra, che destò l’ammirazione del Bartolino, del Gassendo e del Peirescio, e fu pescato nel. mare prossimo all’ isola di Sardegna. Ne parla anche il P. Malocchi nel suo Diario, anzi indica il nome del pescatore. Sotto la data del 9 agosto scrive : « Ivi » [a Porto Maurizio] « trovai il padre di « imo che fa la corallina a Pisa, che ha nome messer Ambrogio Freghetto, « e mi menò in casa messer Giulio Calicetto, che mi mostrò un’ ostrica co- « perta di corallo, rara, fatta a modo di rete____e mi disse che la testa che « è in Galleria di S. A. S. in Pisa, con il corallo sopra, fu pescata in Sar-« digna da Francesco pescatore di coralli ». Da questo manoscritto, che si conserva nella R. Università di Pisa, sarebbero da cavarsi notizie importanti e curiose sulla botanica e sulla storia naturale della Liguria. (G. S.) Nel N.° 21 dell’ Unione (29 agosto 1890), giornale politico bisettimanale della Spezia, è pubblicata una lettera del letterato e giurista genovese Bregante a Madama Mad. Marina Mazzini madre di Giuseppe, in data di Venezia, 19 giugno 1818. In questa lettera il Bregante parla alla madre della educazione del figlio, e delle letture che stima più convenienti alla sua giovine età. In un cenno bibliografico degli Appunti storici e militari di A. F. Trucco, ne’ quali 1’ autore ha raccolto le sue scritture intorno alla Battaglia di Nervi e a quella di Mai-engo, di cui abbiamo dato notizia in queste pagine troviamo pubblicate da V. Bozzola due curiosi brani di lettera di Carlo Maria GIORNALE STORICO E LETTERARIO DELLA LIGURIA Salvi in cui si tocca del nuovo passaggio per Novi di Francesi e di Tedeschi e del modo di comportarsi in quelle contingenze fortunose (Secolo XIX, a. XV, n. 262). Notiamo nel Giornale Dantesco (a. vili, ser. 3% q. vii-vm pp îu-îæi) una serie di lettere di argomento dantesco di Stefano Grosso (di Albisola Manna) ad Antonio Fiammazzo. Vedrà la luce fra poco il volume xvm dei Monumenta Historiae Patriae che contiene le leggi genovesi. Affidato da prima alle cure del compianto Desimom, poi, e per la grave età di questi e la sopravvenuta morte, a quelle del nostro collaboratore Vittorio Poggi, tocca finalmente il suo termine. A corredo del testo il Poggi pubblica la Series rectorum reipublicae genuensis videlicet potestatum, consolum, vicariorum et capitaneonun populi inde a pruni potestatis electione anno MCXCI usque ad ducalis regiminis institutionem anno MCCCXXX/χ accedit series abbatum populi a prima eorum origine anno MCCLXX ad annum MCCCXXXIX. Questo lavoro presentava parecchie difficoltà, in ispecie dopo il 1293, dove cessa la guida degli annalisti, ma il Poggi con la ben nota competenza le ha vinte. Giovandosi delle note passategli all uopo dal Desimoni e di proprie indagini è riuscito a dare una serie, per quanto è possibile, completa, de’ reggitori ed ufficiali della repubblica, con prove documentarie, indicazioni di fonti, osservazioni e rilievi notevoli. Egli si augura che queste sue fatiche, « in quibus multum tempons et laboribus consumpsimus, patriae historiae cultores aequi bonique faceant », secondo dice nella breve ed elegante avvertenza; il che non potrà non avvenire data l’importanza del lavoro, la diligenza e 1’ accuratezza del-1’ autore. Nel volume intitolato : Decimonono centenario della natività di S. Giovanni Battista (Genova, Gioventù, 1900) che è una raccolta di scritti diversi pubblicata in occasione delle feste celebrate in Sestri Ponente nel giugno e luglio scorsi, troviamo alcune cose che interessano la storia ligure. Della chiesa parrocchiale e dell’ oratorio sotto la invocazione del Precursore, ragiona L. A. Cervetto; dell’altro oratorio del Santo Cristo parla il sacerdote G. Parodi, il quale discorre altresì del culto di S. Giovanni Battista in Liguria; di Sestri e dei sestresi nel secolo xm si occupa Arturo Ferretto, che annunzia un volume in corso di stampa intorno a Sestri antico. Il noto scrittore che si nasconde sotto il pseudonimo di Semper Nauta spiega qual genere di nave sia la tonda. Si danno poi da altri brevi notizie sul comune di S. ( riovanni Lattista, sopra i corali del cenobio della Costa, e si tocca di un tabernacolo marmoreo e di una tela quivi pure esistenti. Nel Giornale storico della letteratura italiana (XXXVI, 1-56) è comparsa una monografia, importante e molto ben fatta, di Giulio Bertoni dal titolo : Studi e ricerche sui trovatori minori di Genova. Vi si parla di Per-civalle Doria, Giacomo Grillo, Luca Grimaldi, Scotto, Simon Doria, Luchetto Gattilusio. Si accenna poi ad un Calega Panza, che potrebbe pur essere genovese, esistendo nel secolo xm una famiglia Pancia di Recco, e il nobile albergo Panzano. Tuttavia, secondo ci osserva un egregio amico, assai addentro negli atti notarili e conoscitore molto esperto delle famiglie genovesi, quel Caleva non sembra proprio un nome di battesimo non trovandosene altri esempi nei rogiti, sebbene i nomi strani spesso s’incontrino ; sarebbe mai un Caligapalli (o Calige Palli) della cui casata si ha il notaro Bonvassallo scriba del Comune nel 1225 e anni posteriori? Anche questi ha rime nel cod. Campori donde sono tratti i testi provenzali che corredano e documentano questa scrittura, la quale può ben dirsi una pagina notevole della nostra storia letteraria ligure. Il nostro egregio collaboratore Camillo Manfroni ha testé rinvenuto il 400 GIORNALE STORICO E LETTERARIO DELLA LIGUIRA testo autentico dei Privilegi di Portovenere di cui lamentava la perdita toccando di ima copia del sec. xvm conservata nell’ archivio di quel comune (cfr. Giornale, I, io). Egli ne renderà conto fra breve in questo nostro Giornale. Siamo dolenti di apprendere che abbandoni la Università di Genova, e si rechi a quella di Padova ; non ci mancherà tuttavia il concorso dell’ opera sua. Sappiamo che il nostro collaboratore Giovanni Sforza ha in corso di stampa la storia di Pontremoli nel medio evo. E’ questo il volume che va innanzi a quello dei Documenti intorno a Pontremoli, pubblicato parecchi anni or sono. APPUNTI DI BIBLIOGRAFIA LIGURE. Arata Jacopo. Cenno storico di antichi medici illustri della riviera occidentale ed Istituti spedalieri della regione. — Genova, tip. Angelo Ciminago, 1900; 8, pp. 7· (Estratto dal giornale Pammatone, 3 trimestre, 1900). A· F. (Ferretto Arturo). Sori e il suo Santuario (in La Madonna della Guardia, 1900, agosto, n. 4). Bertoni Giulio. Studi e ricerche sui trovatori minori di Genova (In Giornale storico della letteratura italiana, xxxvi, 1-56). Ç-.P- (Castellino P. C.). Feste centenarie dei SS. Crocifisso in Chiavari: ricordi storici. (Il Cittadino 1900, n. 235, 236, 237). Cervetto L. A. Memorie Patrie: (Il Cittadino, 1900). Piazza Nuova ora Umberto I (n. 230). I Liguri e le esplorazioni marittime, (n. 257). j ““Costumanze Genovesi (// Cittadino, 1900). Le Sagre di settembre (n. 251). - La festa - e esaltazione della croce; servitori e serve sotto la Repubblica (n. 254). — Le gridate 111 pubblico dei venditori (n. 256). , ^ Assunta (Il Cittadino, 1900, n. 226). — La devozione a N. S. della Guardia (n.2 40). -- Sul monte Fasce: panorama, storia, leggende, la Croce (11. 243). — AS. Cipriano in valle Polcevera (n. 249). — Santa Maria dei Servi (11. 269). La parrocchiale di Sori: arte, (in La Madonna della Guardia, 1900, agosto n. 4). Decimonono centenario della natività di S. Giovanni Battista (in Sestri Ponente). Genova, Gioventù, 1900; 4, pp. 84. 8 Giovanni. Leon Pancaldo (Saggio storico critico). Savona, tip. Peluifo, 1900; Genovesi (I) in Roma: memorie storiche. {Il Cittadino, 1900, 11. 229). A- ^ItJNRO A. O. Guida pratica di Genova e riviere: illustrazioni a cromo. Genova, tip. A. L·. Bacigalupi, 1900; 16 fig., pp. xvi - 258. Notizie storiche, bibliografiche e statistiche sulla R. Biblioteca Universitaria di Genova nel MDCccxcvni. Roma, Soc. Ed. Dante Alighieri, 1900; 8, pp. 12. storiche di Sestri Levante: l’ìsola; in occasione delle feste 1900? 8 fig pap ^adonna del Buonviaggio, agosto; 1900. — Chiavari, tip. Esposito, al ,Ss™R^fPL°Vii'N!' G1' "tudi archeologici sulla Lunigiana e i suoi scavi dal 1801 al 1850, notizie. Modena, Vincenzi, 1900; 8, pp. 178. Nel fascicolo di luglio-agosto-settembre è incorsa una svista circa il nome e au ore ί eli articolo di Varietà: Il Saliceti a Genova nel 1796, che uscì con la firma di Guido Guidoni, invece che Guido Bigoni. Nel pregare i let- on 1 are a necessaria correzione, chiediamo venia all’ egregio autore per I inavvertito prrnrr» b b r Giovanni Da Pozzo amministratore responsabile. PUBBLICAZIONI RICEVUTE in cambio : Antologia Veneta. Riv. bimestrale di .lettere scienze ed arti — Feitre, luglio-agosto 1900; Archivio· storico italiano. Firenze, Disp. 2, iqoo. Archivio storico lombardo, Milano, serie 3, fase. 26. ; L'Ateneo Veneto. Venezia, luglio-agosto. Atti della R. Accademia delle Scienze di Tornio. \ Voi. 35, disp. 1-15. La Biblioteca delle scuole italiane. Bergamo, giugno-luglio 1900. Bollettino della R. Deputazione di storia 'patria per V Umbria. Perugia, voi. 6, fase. 3. Bollettino del Museo Civico di Padova, Maggio-giugno 1900. Bollettino Storico citila Svizzera Italiana. Bel-linzona, N. 4-8. Bullettino senese di storia patria. Anno 7, fase. 2. Bulletin historique du diocèse de Lyon. Gennaio-febbraio 1900. Bullettino storico pistoiese. Luglio-agosto-set tem. Flegrea. Napoli, N. 1. Giornale araldico, gcjieologico, diplomatico. Bari, ottobre 1899. Giornale dantesco. Firenze, agosto-settem. 1900. (Moniale storico della letteratura italiana, forino, fase. 106-107. Iride. Spezia, N. 56. Miscellanea storica della Valdelsa. Castel fiorentino 1900, fase. 2. Napoli nobilissima, settembre 1900. Rassegna bibliografica della letteratura italiana. Pisa, agosto 1900. Rassegna bibliografica dell* arte italiana. Ascoli Piceno, maggio 1900. Rassegna critica della letteratura italiana. Napoli, 1900, N. 1-4. Revista de Archivos, Bibliotecas y Museos, Madrid, setembre 1900. Rèvue critique d' histoire et de littérature. Paris, N. 18. Rivista abmzzese di scienze, lettere ed arti, Teramo, settembre 1900. Rivista dalmatica. Zara, luglio 1900. Rivista di storia, arte, archeologia della provincia di Alessandria. Aprile-giugno 1900. Rivista ligure di scienze, lettere ed orti. Geno\a, luglio-agosto 1900. Rivista mensile di lettere, di stona e d atte. Casalmaggiore, giugno 1900. Rivista storica italiana. Torino, ottobre, 1900. La vita internazionale. Milano, N. 19. in dono : Alfredo Com andini. V Italia nei cento anni del secolo XIX giorno per giorno i/lustrata. Milano, Antonio Vallardi, 1900. Disp. 3-13. E. Maddalena. Paravia e Goldoni. Nota bibliografica. Feitre, Castaldi, 1900. V Podestà. Memorie storiche di Ses tri Levante. V Isola, in occasione delle feste quinquennali alla Madonna del Buonviaggio, agosto 1000. Chiavari, Esposito, 1900. , Atti e memorie della r. deputazione di storia patria ter le provìncie modenesi. Sene IV. volume X, parte I. Modena, Vincenzi, 1900. Giovanni Sforza. Gli studi archeologici sulla Lunigiana e i suoi scavi dal 180 r al 1050. Modena, Vincenzi, 1900. ! Drammi musicali di Carlo Goldoni e d o-lv't tratti dalle sue commedie. Nota del dott. Cesare Musatti. Sec. ediz. Bassano, Pozzato, 1900. ! su VIO Monaci. Commemorazione del P. Tommaso " Pendola tenuta nel r. Istituto nazionale fie: sordomuti in Genova il giorno 24 di gnigno 1900. Siena, tip. Arcivescovile, 1900. Leone Viccki. Il viaggio della duchessa di Char 'tres prolusione alla storia del re Chiappini (Luigi Filippo re dei francesi). Imola, i>a-leali, 1900. Giovanni Sforza. La fine di un Borbone. Roma, Forzàni, 1900. Dante extraits avec une introduction et des notes explicatives par Eugène Bouvv. Pans, Garnier, 1900. Fa parte della Collection publiée sous la direction de AI. Ch. De/ob. Alfredo Ghf.lardi. I senza cuore, dramma sociale in tre atti e prologo. Genova, Sandolino, 1900. A VVERTENZE. 1) Il giornale si pubblica in fascicoli bimensili di 80 pagine ciascuno. 2) Per ciò che riguarda la Direzione rivolgersi in Genova al Signor Prof. Achille Neri - Corso Mentana, 43-13. 3) Per quanto concerne 1’ Amministrazione, esclusivamente all Amministrazione del periodico - Spezia. 4) Il prezzo d’ associazione per lo Stato è di L. 10 annue — Pei l’estero Franchi 11 — Abbonamento speciale di favore per ι soci della Società d’Incoraggiamento e della Società Ligure di Storia patria Lire sei. / PREZZO DEL PRESENTE FASCICOLO: L. 1,50 IORNALE STORICO E LETTERARIO DELLA LIGURIA diretto DA ACHILLE NERI e da UBALDO MAZZINI. & ^ ^ ^ ^ ^ ANNO I. FASC. 11-12 _ Novevibre - Dice?nbre SOMMARIO L. Staffetti : Un affresco di Bernardino Pinturicchio nel Duomo di Massa (con illustrazione fuori testo) pag. 401. — U. Mazzini: Uno scritto inedito di Gerolamo bandoni : Considerazioni sopra Luni e i marmi di Carrara, ecç. (con illustrazione fuori testo), pag, 423. v. Poggi: Bolla di Papa Innocenzo IV ^6 luglio 1245), pag. 43;. - BOLLETTINO BIBLIOGRAFICO. Si parla di : Ch. Kohkr (G. Bigonii^J. 441 ; f''TTX· VTaVO“' (G- C°s°), pag· 446; di T. Massarani (G. Finzi), pag. 464. — AN-NUNZI ANALITICI. Si parla di: Colonna De Cesari Rocca - Guido Bigoni - E. Maddalena - G. rinzi - G. Cogo - C. Caselli - G. Valeggia - L. Piccioni, pag. 4.46. _ rnnrLATURE E N0TIZIE’ Pag· 471· — APPUNTI DI BIBLIOGRAFIA LI-uURE, pag. 4 Γ- * — Indice delle materie, pag. 475. DIREZIONE Genova - Corso Mentana ΙΛ-12 LA SPEZIA Società d’incoraggiamento editrice Tip. ni Francesco Zappa AMMINISTRAZIONE La Spezia - Amministrazione del Giornale GIORNALE STORICO E LETTERARIO DELLA LIGURIA 4ΟΙ UN AFFRESCO EK BERNARDINO PINTURICCHIO NEL DUOMO DI MASSA I. A Carlo II Cybo (i), che fu duca di Massa dal 29 di gennaio 1690 al 7 dicembre del 1710, nel periodo non breve della sua Signoria, travagliatissima per malaugurate vicende, rese più gravi e spesso intollerabili così dalla malferma salute, come dalla debolezza del carattere e dell’ingegno, recò sempre sicuro aiuto e costante conforto lo zio cardinale Alderano. Secondogenito questi di Carlo I e di Brigida Spinola, nacque a Genova il 16 di luglio 1613, e avviato subito alla carriera ecclesiastica, era stato promosso alla sacra porpora il 6 marzo 1645 dal papa Innocenzo X, Pamfili. Vescovo d’Iesi, di Palestrina, di Frascati, di Ostia; legato d’Urbino, di Romagna, di Ferrara e d’Avignone, poi Segretario di Stato d’Innocenzo XI, Alderano Cybo potè procurarsi larghe aderenze e valide amicizie; e vivendo in Roma, anche durante il pontificato d’Alessandro Vili e d’Innocenzo XII, come Decano del Sacro Collegio, seguitò a godere considerazione ed autorità presso la Corte pontificia. Molto giovo al fratello Alberico II, duca di Massa : più ancora al figliuolo di lui, Carlo II, che avea preso per moglie, fin dal 1673, Teresa figliuola di Camillo Pamfili principe di S. Martino e nipote di quell Innocenzo X dal quale Alderano riconosceva l’onore della porpora. Lo zio cardinale mostravasi compiacentissimo col duca fin ne’ più minuti suoi desideri (2); e tanta cor- fi) A proposito del nome Cybo o Cibo è da notare che fu Alberico I, principe di Massa dal 1553 al 1623, quello che adottò la grafia con l’y, quasi a riconoscere, anche nel nome, la vantata origine greca della famiglia. Dopo di lui tutti i suoi discendenti adoprarono quella forma, che è la moderna. Se, dunque, si vuol designare qualcuno della famiglia col nome primitivo, si adopera Cibo, e si scrive Cybo se la designazione vuol farsi col nome ammodernato. Potrebbe adoperarsi la forma con 1’ i trattando di persone di questa casa fino al tempo di Alberico, cioè fino alla prima metà del sec. xvi. (2) Lettere di Carlo li al Cardinale Alderano a Roma e del Cardinale al Duca Carlo II, 1690. R. Arch. di Stato in Massa. Gior. Si. e Leti, del a Liguria 26 402 GIORNALE STORICO E LETTERARIO DELLA LIGURIA diale amorevolezza fu provvidenziale per Carlo II in varie assai gravi congiunture, che lo tribolarono fin dal primo tempo del suo governo. La minaccia di litigi domestici col fratello Francesco Maria, malcontento delle disposizioni testamentarie del padre; la questione col Duca della Mirandola per ragione d’interessi comuni coi Cybo, congiunti in parentado con quel Signore pel matrimonio di Fulvia Pico, figliuola del duca Alessandro I, con Alberico II, e per quello di Maria, sorella di costui, con Galeotto principe della Mirandola, fratello di Fulvia; il timore di un’alienazione de’ feudi imperiali, cresciuto dalla notizia che il Marchese Obizzo Malaspina di Licciana trattava col Granduca Cosimo III per lo scambio de’ suoi possessi con Certaldo (i), furono altrettante spine dalle quali potè liberarsi per il savio consiglio e l’autorevole aiuto di Alderano. E da più gravi preoccupazioni potè affrancarsi quando, nell’inverno del 1692, minacciato dal Conte Caraffa, generale dell’impero, di dover alloggiare numerose schiere di soldati tedeschi ne’ suoi Stati, per il prudente concorso del cardinale riuscì a ottenere d’ esserne esonerato mediante la contribuzione di dieci mila scudi d’oro ; contribuzione che, allora e negli anni seguenti, gli fu imposta da’ vari ministri del potere cesareo con moderazione di fiscalità in riguardo del cardinale stesso, e in seguito alle giudiziose pratiche condotte da lui. Anche al miglioramento materiale di Massa, de’ suoi edilìzi e delle sue chiese giovò grandemente il validissimo patrocinio del cardinale Alderano. Per quanto questo paese non offra alcuno di quei monumenti per cui va insigne la vicina Toscana, sia perchè la povertà del luogo non lo consentì, sia perchè la varietà delle dominazioni nell’epocà più prospera per il fiorire delle arti impedì il germogliare del viver libero così propizio allo svolgimento di quelle (2); pur nondimeno i Cybo, ne’ due secoli che vi dominarono, dalla seconda metà del XVI, ebbero cura, a seconda delle loro for- (1) Per le pratiche fatte da Obizzo Malaspina per disfarsi del feudo di Licciana, cfr. Branchi E., Storia della Lunigiana feudale, Pistoia, Beggi, 1898 ; vol. II, pp. 645 e segg. (2) Cfr. Campori Giuseppe, Memorie biografiche degli scultori, architetti, pittori ecc. della provincia di Massa. Modena, Carlo Vincenzi, 1873, pp. V-VI. GIORNALE STORICO e LETTERARIO DELLA LIGURIA 403 tune, di accrescere ed abbellire Massa nuova giù al piano, sostituita alla vecchia ed angusta bicocca — in podio — appollaiata attorno al castello, e costruirono, ampliarono, arricchirono, decorarono di marmi, di stucchi e di pitture il palazzo ducale con l’annesso teatro, e non trascurarono di fregiare con opere di scarpello le chiese maggiori, servendosi particolarmente del-1’ opera di valenti artisti carraresi. La principale delle chiese massesi, il duomo intitolato da S. Pietro, sorgeva nel lato meridionale della odierna piazza Aranci, tra la chiesa di S. Sebastiano e il palazzo, col quale comunicava per un cavalcavia. La sera del-Γ8 dicembre 1673 ruinò per la maggior parte. Il duca Alberico II incominciò allora a edificarne, su disegno del carrarese Innocenzo Bergamini, una nuova nel luogo che prese il nome — alla Fabbrica — per andare verso la Madonna della Misericordia; ma, dopo aver cavato per gittare le fondamenta, fu necessario sospendere i lavori perchè il terreno verso tramontana non era stabile e occorreva una spesa di troppo superiore alle forze del paese, in quei tempi calamitosi scarsissimo di denaro, per le esorbitanti contribuzioni fatte alla Camera di Milano per le guerre d’Italia. Carlo II, volendo provvedere alle necessità del culto, nell’agosto del 1690 si accordò col vescovo di Sarzana, dalla cui diocesi allora dipendeva Massa, e deliberarono di non proseguire la nuova fabbrica « poco solida nei fondamenti e di troppo gran macchina, sicché avrebbe richiesto una spesa soverchia », ma di restaurare, invece, la vecchia secondo il disegno del carrarese Alessandro Bergamini ingegnere ducale. E il cardinale Alderano aiutò in quest’opera il nipote, che potè riaprire al culto il duomo, dopo quattro anni di lavoro, il 4 novembre del 1701 (1). Sulle fondamenta abbandonate del nuovo tempio fu, più tardi, innalzato l’edificio che serve oggi agli uffici dell’intendenza di Finanza. Tra le opere di maggior pregio che si ammiravano in S. Pietro era un ancona da altare scolpita nel marmo in altorilievo e rappresentante la Madonna del Rosario. Il cardinale 1’ avea commessa, mandandogli un modello da Roma, al celebre scultore Giovanni Lazzoni di Carrara, che la fece eseguire specialmente dai figliuoli (i) Storie antiche di Massa, mss. nella Biblioteca del R. Arch. di Stato in Massa. Cfr. anche Frediani Carlo, Notizie della vita di Agostino Ghirlanda, pittore del secolo XVI. Massa, Luigi Frediani, 1828; pag. 45. 404 GIORNALE STORICO E LETTERARIO BELLA LIGURIA Tommaso ed Andrea (i), a’ quali del 1691 erano già stati pagati per conto di quel lavoro dagli agenti d’Alderano 492 scudi da L. 8. Il 9 di settembre di quell’anno l’opera era quasi terminata e Carlo II ne dava ragguaglio allo zio : « Quando sono tornato a Carrara ho trovato terminata affatto 1’ ancona di V. Em. per quello riguarda l’opera dello scultore, e mi spiace che 1’Em. V. non possa vederla perchè so di certo che ne rimarrebbe contentissima, essendo veramente bella a meraviglia, e tutti i forestieri che l’hanno veduta le danno questo giudizio. Trasmetto la nota del denaro consegnato alli Lazzoni a buon conto. Quando si cominciò l’opera la bottega del Lazzoni non era capace della machina del marmo e V. Em. ordinò a D. Gio. (2) che ne prendesse una a pigione, come fece, e fu quella dell’Ospitale, e sempre si è pagato il danaro concertato. Hora, per risparmiare questa spesa, stimarei bene che si facesse tirare a Massa l’ancona; ma io non la moverò senza ordine di V. E. » (3). Portata poco dopo a Massa, fu posta in uno dei due altari della crociera in S. Pietro, d’onde, cavata per l’abbattimento di questa chiesa ordinato dall’Elisa Baciocchi nel 1807 (4), venne, più tardi, trasferita per cura del conte Bernardo Ceccopieri nella nuova cattedrale di S. Francesco (5). Anche dell’ingrandimento e dell’abbellimento di questa chiesa, governata allora dai Minori Osservanti della Provincia di Toscana, è particolarmente benemerito il cardinale Alderano, che fin dal 1672 vi avea fatto incominciare, da Giovanni Lazzoni, il maggiore (1) Cfr. Sforza Giovanni, Gli Scultori della famiglia Lazzoni di Carrara. Estr. dagli Atti e Memorie delle Deput. di St. pat. per le Prov. modenesi e parmensi, ser. Ili, vol. V, par. I; Modena, Vincenzi, 1886, pag. 9. (2) Don Giovanni Pizzuti, agente del cardinale Alderano. (3) Lettere del Sig. Duca Carlo II al Cardinale Alderano, a Roma. R. Arch. di Stato in Massa. (4) Niccolao Giorgini, che in quel tempo, come prefetto di Massa, dovette ordinare la demolizione di S. Pietro, racconta: « Fu fatto credere ai Principi che la Cattedrale, appoggiata al palazzo, toglieva il bello dell’ orizzonte, sovrastando il tempio al palazzo ; e di più fu fatto loro osservare che quel tempio, per la sua bassa posizione, dove non poteva aver luogo la necessaria ventilazione, produceva dell’aria cattiva per il grande concorso di popolo che vi affluiva in tempo di funzioni ». Cenni autobiografici sulla vita pubblica di Nicolao Giorgini, pubblicati dalla pronipote Matii.de Schiff-Giorgini, Pisa, Nistri, 1899, pag. 30. (5) Fu collocata nell’altare a destra della crociera, prima intitolato a S. Gio- GIORNALE STORICO E LETTERARIO DELLA LIGURIA 4O5 dei tre belli altari di marmo oltramontano che vi si ammirano anche oggi. Ma 1’aitar maggiore, alla romana e di vaghissimo disegno, avea lateralmente le due porte, che oravedonsi incastrate ne’ muri di fianco, ed era sormontato dalle due grandi statue di S. Francesco e di S. Bernardino da Siena, dovute anch’ esse allo scarpello del Lazzoni e portate poi più in alto in due nicchie, e in mezzo all’altare torreggiava un maestoso ciborio di marmi singolari. I due altari laterali, di minor pregio dell’aitar maggiore, che da solo costò al cardinale dieci mila scudi romani, erano pure ricchissimi, come può anche al presente vedersi, ed erano dedicati uno all’immacolata Concezione, quello in cornu evangeli, e l’altro, in cornu epistulae, a S. Gio. Evangelista e quotidianamente privilegiato in perpetuo pei defunti (i). Alberico II, che per conto del fratello assisteva a questi lavori e provvide per incarico di lui anche al pavimento della chiesa, il 16 aprile del 1684 gli dava ragguaglio del collocamento dell’ancona nell’altare della Concezione : « Solo hora posso avisare a V. Em. la bella comparsa della famosa ancona della SS.ma Concezione in S. Francesco, adornando quel vaghissimo altare, dove al dicontro resta principiato l’altro del privileggio per li defonti, e, col maggiore, quel ternario celebre si fa con verità ammirabile a tutti. La sola pietà di V. Em., che si appaga solo del perfetto, sa produrre queste perfezioni. » La « famosa ancona della SS. Concezione », trasportata ora nell’altare che dalla Concezione ha il nome, il terzo a sinistra di chi entra in S. Francesco, è opera della scuola di Carlo Maratta, dal quale, proprio nel tempo stesso, il cardinale Alderano faceva dipingere un’ altra Concezione nella sua cappella in S. Maria del Popolo a Roma, come ci occorrerà, più innanzi, mostrare (2). vanni Evangelista. Una lapide con una epigrafe latina del canonico Gio. Francesco Musettini, ricordava la traslazione. Si legge in Matte0x1 G. Antonio, Guida delle chiese di Massa Innense. Massa, Tip. S. Pietro di R. Cagliari, 1880, pag. 23. Nei recenti restauri fu tolta via e sostituita con altra più breve. Cfr. le giuste osservazioni del C [ANONICO] G [iorgieri] B [eghè] nel Comunicato, Ancora della riapertura del Duomo di Massa, in La Provincia di Massa; giornale massese, anno II, n. 22, del 27 settembre 1891. (1) Nell altare di S. Giovanni fu posta la Madonna del Rosario; in quello opposto, della Concezione, il Crocifisso che vi si venera anche oggidì. (2) Cfr. 1 ITI FILIPPO, Descrizioni' delle pitture, sculture e architetture 406 GIORNALE STORICO E LETTERARIO DELLA LIGURIA Quale protettore della confraternita delle Stimmate fece, poi, accrescere l’oratorio annesso alla chiesa di S. Francesco e, a tutte sue spese, edificarvi la cappella della Madonna di Loreto « con che, con haver V. Em. accompagnata la cappella della Signora Maria, haverà reso la chiesa della sua compagnia una delle belle che siano in paese ». Così, compiacendosene, scri-veagli Carlo II il 4 ottobre 1692: dandogli poi notizie, nel dicembre, della benedizione della nuova cappella, fatta il giorno di N. S. di Loreto (10 dicembre) <- con musica, con molto concorso e divotione », aggiungeva: « La nuova cappella delle Stimmate rimane col titolo di N. Donna di Loreto, essendosi trasferita in essa l’immagine che si trovava in quella della Signora Maria, la quale, da che V. Em. mandò il corpo di S. Benedetto, ha preso il nome dal medesimo santo » (1). In S. Francesco dovea Carlo II compire l’opera più pregiata che si ammiri nelle chiese massesi e per essa avrebbe pure avuto l’aiuto e il concorso del cardinale zio. Alberico II nel suo testamento, fatto il 17 maggio 1675 e aperto il 3 febbraio del 1690 a rogito del notaro Pietro Guerra, avea disposto : « Il suo corpo, fatto cadavero, vuole sia vestito di negro posetivamente e portato alla chiesa di S. Francesco di Massa, et ivi esposto sopra il solito palco, e sepolto nella nuova cappella attaccata dietro all’altare privileggiato, destinato dal suddetto Sig. Testatore in vita per sepultura per sè stesso e di quelli della sua casa, da farsi nel modo e conformità del disegno da esso risoluto posto ne’ suoi scrignetti e fatto dal suo ingegniere Gio. Francesco Bergamini di Carrara; e quando non fosse' incominciata dal medemo o non fornita, prega quanto più può il Signor Erede farvi, nella maniera suddetta, metter mano quanto prima e terminarla. Ordina e comanda inoltre che in faecia di detta cappella si ponghi Γ altare privileggiato, al quale ogni giorno in perpetuo si celebri messa per Γ anima di esso Sig. Testatore e della Sig.ra Duchessa, sua dilettissima moglie di gloriosa memoria, e mentre non si potesse mettere 1’ altare esposte al pubblico in Roma. Terza edizione accresciuta. In Roma, Marco Pagliarini, 1763; pag. 389. (1) Questa cappella, che è in faccia all’ altra della Madonna di Loreto, fu intitolata a Tutti i Santi. Oggi vi è la statua di S. Antonio da Padova. GIORNALE STORICO E LETTERARIO DELLA LIGURIA 407 privileggiato in detta cappella, si faccia altro altare in faccia di essa, ma la detta messa si celebri sempre al privileggiato » (1). Carlo II, adunque, mise mano all’ opera della cappella per compiere il desiderio paterno e, contando sull’ aiuto dello zio, il 23 novembre del 1692 gli scriveva: « Il Signor Duca mio Padre, che sia in cielo, tra le cose che m’incaricò prima della sua morte, fu quella di fare la cappella dove vanno li depositi della Casa; e tutto che io mi trovi in angustie di denaro, ad ogni modo non ho voluto vivere con scrupolo, et ho fatto di già poner mano all’ altare, in cui deve ponersi per ancona l’immagine di Nostra Signora, di mano del Perugino, che V. Em. mandò al medesimo Sig. Duca; e li commessi dell’altare si fanno delle pietre che V. Em. si degnò inviare all’istesso Sig. Duca. Vanno aperte le due porte, che pongono in mezzo l’altare privileggiato (2), e sì come, quando ella diede la commissione a D. Giovanni di far fare, con il coro di noce, (3) anco le porte delle cappelle compagne, diedi l’ordine che si sospendessero quelle del privileggiato per aspettare appunto il tempo che si cominciasse la cappella di Casa, onde supplico V. E. permettermi di dire al Moretti che somministri quello occorrerà per quest’opera ». Il lavoro fu condotto innanzi con alacrità; ma, per finirlo, Carlo II doveva ancora rivolgersi allo zio: « Sono qualche mesi che faccio lavorare li marmi che vanno all’altare della cappella che ridussela a buon segno mio padre; e perchè egli ricevè da V. Em. alcune pietre segate di varii mischi, ho fatto io sempre capitale delle medesime per rendere l’aitar più riguardevole, e di già la maggior parte restano commessi e fanno una bellissima vista per il lustro che hanno preso; ma perchè all’ ornamento che ho pensato di fare all’ ancona, che è quella appunto che V. Em. honorò mio padre, levata dalla sua cappella (1) Testamenti dei Signori della Casa Cybo. Busta del R. Arch. di Stato in Massa. (2) Cioè l’altare intitolato a S. Giovanni Evangelista, oggi della Madonna del Rosario. (3) Nelle cit. Storie antiche di Massa (che sono opera del canonico Odoardo Rocca, come si rileva dall’ autografo, posseduto da Giovanni Sforza) si legge che il Cardinale Alderano fece fare « il bellissimo coro, che supera molti anco delle città più cospicue e per li legnami che lo compongono e per il raro lavoro del medesimo ». 4o8 GIORNALE STORICO E LETTERARIO DELLA LIGURIA del Popolo, di mano del Perugino, sopra alla muraglia manca il verde antico ed un pezzo di alabastro orientale che forma nùole, desidero sapere se a V. Em. può riuscire provedermene il compimento, supponendo io esserle facile di trovarlo negli avvanzi che possono essere restati nella sua bellissima cappella già finita, di che la supplico farne fare ogni diligenza. Il mio bisogno sarebbe haverne del verde vinti palmi, cioè tante tavolette segate di larghezza quattro ditte, che facessero li sudetti vinti palmi; ma perchè di quello che tengo io ve n’è di due sorti, quando mi si desse speranza di poterlo havere ne manderei la mostra per haverlo simile, e più perfetto il lavoro. L’ alabastro deve servire per far nubbi, nelle quali vanno alcuni angeli che re-gono 1’ ancona; e perchè di questa pietra se ne trova di più sorti, anco di questa manderei la mostra per accompagnare quella che mandò V. Em., consistente in un solo pezzo, che non può servire per il commesso che per metà. Supplico l’Em. V. darmi un cenno di quanto posso sperare, assicurandola che questa sarà maggior gratia mi possa fare, perchè quest’opera è una delle maggiori premure che tengo » (i). E anche questa volta, come sempre, Io zio si affrettò ad appagare il nipote, che il 15 d’aprile 1693 tornava a scrivergli: « Ho fatto consegnare all’ ordinario di Genova una scatoletta con due pezzi di tavolette di verde antico ed alabastro cotognino, acciò V. Em. vegga la mostra come desiderava, e per la precisa quantità che me ne fa di bisogno viene qui annessa la nota; e perchè mi preme haver l’uno e l’altro prontamente, non potendosi tirare avanti il lavoro senza l’uno e l’altro marmo, supplico V. Em. degnarsi dar ordine che mi sia mandato per 1’ ordinario, che farò soddisfare qui il porto. Invio un foglio con la macchia del cotognino, acciò si riconosca la macchia medesima nelle tavolette.' Il rosso e giallo antico V. Em. me ne favorirà colla prima occasione di barca ». Il 14 giugno lo ringraziava perchè in una filuca genovese, salpata dal Tevere, gli erano giunte « le pietre per commettere nel mio altare a S. Francesco » e, sette giorni dopo, aggiungeva: » L’altare riesce assai bene, e l’assicuro che, (1) Autografa, ma senza la data, facilmente argomentabile dalla seguente. Lettere del Sig. Duca Carlo II al Sig. Cardinale Alderano a Roma. R. Arch. di Stato in Massa. GIORNALE STORICO E LETTERARIO DELLA LIGURIA 40g toltone Roma, non saprei dove trovarne un altro. Il disegno è tutto di pietre torte e molto bizzarro. Circa li commessi non si può megliorare, si che sono contentissimo. Questo è il divertimento e tutta la mia applicazione » Anche il cardinale prendeva vivo interesse al progresso del lavoro e chiedeva il disegno della nuova cappella al duca, che il 4 luglio rispondevagli : « A suo tempo invierò a V. Em. il disegno della cappella nuova, come mi comanda, e spero che l’Em. V. debba vederlo volentieri, perchè, secondo il mio corto intendimento, il lavoro è assai vago e già comincia a comparire, e le pietre delle quali V. Em. mi ha onorato vi danno l’anima ». Finalmente, il 3 d’ottobre del’93, l’altare fu presso che compito e Carlo II ne dette parte al cardinale con viva compiacenza, scrivendogli, il giorno dopo : « Hieri si alzò l’imagine di Nostra Signora che V. Em. inviò al Signor Duca mio padre per ponere nella cappella della Casa, già che fu levata dall’antica del Popolo, e seguì l’operazione felicemente, non ostante si dubitasse potesse ricevere qualche detrimento per essere in muraglia vecchia e che haveva minacciato nel trasporto. L’ altare della cappella non puoi esser più vago, e subito che sarà terminato, che spero alla metà del venturo, manderò a V. E. il dissegno puntuale, acciò possa osservarlo, avvisandomi che non dispiacerà. Penso di provedere 1’ altare di una muta di candellieri di ottone come quelli che V. Em. mandò per le due sue cappelle laterali (1), perchè mi piacciono sommamente. Voglio ancora provedere di tutto il bisognevole la sagrestia di essa cappella di Casa, perchè li preti e cappellani che doveranno celebrarvi non habbino a dar incomodo a quella de’ Padri. Io non ho altro divertimento che in questa fabrica e la faccio con genio grande, per esservi il servizio di Dio ed il decoro insieme della Casa, e farei ancora divvantaggio se lè mie strettezze non me lo impedissero ». Ma i lavori, per varie cause, (1) Le due cappelle son quelle dedicate allora alla Concezione e a S. Giovanni evangelista nella crociera della chiesa di S. Francesco. Riguardo a quei candelieri d’ottone il cardinale Alderano scriveva, il 12 febbraio 1684, al fratello Alberico II : « Li candelieri per li due altari si lavoraranno qua. come accennai a V. E., et havendo già il disegno, bastarà che mandi la misura dell’ altezza per farli proporzionati alli detti altari ». Accontentò il nipote mandandogliene gli uguali per la cappella il 25 d’ottobre 1695. Let> tere del Sig. Cardinale Alderano, da Roma. R. Arch. di Stato in Massa. 410 GIORNALE STORICO E LETTERARIO DELLA LIGURIA furono tirati in lungo fino al seguente anno e soltanto nell’agosto del 1694 erano prossimi alla fine. « Con tutta sollecitudine », scriveva Γ 8 di quel mese al cardinale Alderano il duca Carlo II, « faccio terminare la capella della Casa in S. Francesco, acciò sia all’ordine per la celebrazione della prima messa nel giorno della Beatissima Vergine di Settembre, che sarà il titolo della festa, e questo ad immitazione di V. Em. Per introdurre la devotione et mantenerla, supplico V. Em. procurarmi un’indulgenza plenaria per tutte le feste della Vergine e per le Letanie che si faranno cantare tutte le domeniche dell’anno doppo il vespero, e mandarmela dentro di questo mese. Terminata che sia del tutto la cappella, manderò a V. E. il dissegno, e stimo le piac-cerà di molto ». Il 29 d’agosto tornava a scrivergli: « Ho ricevuto l’indulgenze delle quali V. Em. mi onora e gle ne rendo humilissime gratie, assicurandola che sarà a parte delle orazioni che si faranno da questi popoli. Il giorno della festa si aprirà la cappella con tutta la sollennità possibile et il giorno appresso ho stabilito di far fare un offizio con tutte le messe che si potranno havere in suffragio dell’ anime di tutti li defonti della Casa ». Anche oggi si continua a festeggiare la Madonna degli otto di settembre, ossia la Natività di M. Vergine, nella cappella che è ancora come fu compita da Carlo II, ma dedicata al Sacramento. Il Matteoni ne discorre così: « Quella parte della cappella, che rimane al piano della chiesa sopra dei Sepolcri, detta del SS. Sacramento, si conserva ancora nella sua integrità e magnificenza. Essa ha di che piacere generalmente, perchè armonica, perchè atta a suscitare il sentimento dell’ eternità. Se in qualche parte fa sentire la decadenza, non raggiunge la stranezza propria del XVII secolo, ed è tale uno stile di architettura, che si addice assai bene ai monumenti di questo genere. Gli intagli forse saranno troppi; la gloria dei putti è certo pesante e male scolpita, ma l’intendimento del tema lo raggiunge. Egli doveva adornare un altare con piccolo quadro e suppliva con gl’ intagli adeguatamente, e con gli angeli che lo sostengono quasi faceva la storia della sua traslazione. Le porte d’ingresso e le laterali, con i due soprapposti poggiuoli, armonizzano colla serietà dell’ altare, e la elevatezza delle pareti con l’insieme di tutto il disegno, quasi ti dice : qui è Dio, qui sono i morti! Anche il pavimento e la balaustrata dell’altare medesimo GIORNALE STORICO E LETTERAIRO DELLA LIGUIRA 41 I è ben degno di nota. Esso è allusivo alle anime dei trapassati e quasi indica la pietra sepolcrale posta artificiosamente senza epitaffio in mezzo alla cappella ad accennare i sepolcri che stanno nel sotterraneo » (i). Vuoisi da alcuno che la forma della cappella avea da esser rotonda, come starebbe a mostrare la linea tondeggiante di tutti gli aggetti marmorei, così delle cornici delle porte, come dell’ altare, ma non potemmo sincerarcene. A ogni modo, anche così, come presentemente si trova, è, fuor di dubbio, un ricco monumento architettonico, prezioso per il ben ordinato lavoro e per vaghezza di svariatissimi marmi; è addirittura la più bella cosa che, in fatto d’arte, possa vedersi nella nostra città. E maggior pregio le viene dalla mirabile ancona dipinta a fresco sul muro, opera squisita della scuola umbra del secolo XV. Il cronista Odoardo Rocca, parlando della cappella ducale, ha queste parole: « Vi è un bellissimo altare di marmi oltramontani preziosi, dedicato alla Natività di Maria Vergine, ov’è una devota immagine della B. V. dipinta in muro, la quale fu levata dall’Eccel.mo Sig. cardinale (Alderano) dalla cappella della Casa Cybo esistente nella chiesa di S. Maria del Popolo dell’ alma città di Roma, e dallo stesso donata al Serenissimo duca Carlo II ad effetto di collocarla nel suddetto altare ». Come s’è visto dalle lettere di Carlo II, non a lui, ma a suo padre Alberico II, aveva il cardinale spedito quella pittura. Difatti la cappella Cybo in S. Maria del Popolo a Roma era già terminata nel 1690 e, pochi giorni avanti di morire, Alberico II ne ammirava con gran gusto il disegno, speditogli dal fratello, in un quadro dipinto e lo faceva porre nella stanza ove giaceva infermo. Alderano se ne compiaceva, e il 7 gennaio di quell’anno scriveva al duca: « Godo molto che il disegno della mia capella sia stato considerato da V. E. con sua intera sodisfatione, assicurandola che io ho procurato di spendere giustificatamente il mio denaro, di lasciare alla Casa questa cospicua memoria e d’ abbellire questa Chiesa del Popolo con la suddetta cappella, che, dopo le due di Sisto [IV] e di Paolo V, è certamente la più bella di quante ne sono in Roma » (2). Tratto certo dal desiderio d’imitare (1) Op. cit., pag. 8. (2) Lettere del Cardinale Alderano al Duca Alberico II, suo fratello, da Roma. R. Arch. di Stato in Massa. Fin dal 1683 il cardinale avea chiesto 412 GIORNALE STORICO E LETTERARIO DELLA LIGUIRA Alessandro VII, che fu l’ultimo ad abbellire con i disegni del Bernini quel magnifico tempio, in cui, da vari secoli, sommi maestri aveano esercitato il pennello e lo scarpello (i), il cardinale Alderano fece rimodernare e decorare, secondo il gusto del tempo, 1’ antica cappella che la sua famiglia vi possedeva fin dal secolo XV. Carlo Fontana ne fu l’architetto, e pei suoi disegni la cappella, che è la seconda a destra di chi entra e la più ampia, venne arrricchita di 16 colonne corintie di diaspro di Sicilia ed incrostata di marmi rarissimi. Sull’altare, Carlo Maratta dipinse, a olio, sopra il muro, la Concezione coi santi Giovanni, Agostino, Gregorio ed Ambrogio (2), e il quadro fa ricordare l’ancona compita contemporaneamente per l’altare di S. Francesco di Massa (3). La cupola fu dipinta dal Garzi, al quale, con molta probabilità, è dovuta l’ancona dell’altare di S. Giovanni Evangelista, che trovasi ora in S. Francesco nel terzo altare a destra di chi entra. Infatti il 5 d’ agosto 1684, parlando di quel quadro al fratello, Alderano gli scriveva: « Si lavora al quadro » (quello per l’altare della Concezione era finito dal febbraio, si tratta quindi dell’altro per l’altare privilegiato) « che riesce bene e si sollecita, et hora che il Pittore non può applicar alla cuppola si sollecita per questo ». Se, dunque, il Garzi fu il pittore che dipinse la cupola, dovrebbe attribuirsi a lui anche l’ancona che fu posta nell’altare di S. Giovanni Evangelista. Francesco Cavallini, scultore carrarese allievo di Cosimo Fancel;i, scolpì i ritratti dei cardinali Lorenzo ed Alderano posti sui loro sepolcri (4), chè Alderano, dopo aver rifatto l’epigrafe di Lorenzo (5), ordinò nel al duca gli mandasse marmi e scarpellini per il suo lavoro. Di Carrara vi furono Stefano Conti Cucumi e Agostino Mezzani, che mostrarono « molta puntualità e diligenza » sotto la direzione di un tal Grandi. (1) Cfr. ARMELLINI M., Le chiese di Roma dalle loro origini sino al sec. XVI, Roma, tip. edit. romana, 1887; pag. 339. (2) Cfr. Guida, di Roma é suoi dintorni, ossia itinerario del NlBBY. Undicesima edizione a cura del prof. Filippo Porena. Roma, Loescher, 1894; pag. 58. (3) Il quadro del Maratta fu intagliato in rame dal Dorig-νΫ. Cfr. Tm, op. cit., giunta a pag. 485. Nel quadro massese è differente la disposizione de’ Santi, ma le caratteristiche del pittore vi son tutte. (4) Titi, op. cit., pag. 389. Cfr. anche Tiraboschi, Biblioteca modenese, VI, 358. (5) Alderano scriveva al fratello Alberico II il 20 novembre 1683: GIORNALE STORICO E LETTERARIO DELLA LIGURIA 4I3 suo testamento di essergli seppellito di fronte : « Eleggo la mia sepoltura nella chiesa della Santissima Vergine de’ Padri Agostiniani della Congregazione di Lombardia al Popolo, nella cappella della mia casa, già fondata dal Cardinale Lorenzo Cybo, Arcivescovo di Benevento, et hor ampliata, abellita et ornata maggiormente da me con nova struttura, e dedicata all’immacolata Concettione della Beatissima Vergine Maria » (i). Ma con 1’ « ampliare, abbellire ed ornare », s’erano purtroppo perdute, come accadde di tante altre pregevolissime opere nel XVII e XVIII secolo, a causa del gusto mutato, le pitture originali con che Lorenzo Cybo avea fatto decorar la cappella nel tempo che più 1’ arte era in fiore e quando alla Corte de’ papi lavoravano i sommi maestri. Solo fu salva l’ancona spedita a Massa e posta da Carlo II nella cappella di S. Francesco, dove si ammira anche oggidì. Ora di tale lavoro certamente fu autore Bernardino Pin-turicchio. II. Innocenzo VIII nell’unica creazione di cardinali che fece il 9 marzo del 1489 dette il cappello, prima che a ogni altro, al suo consanguineo Lorenzo, già elevato all’ arcivescovato di Benevento, provveduto d’un canonicato in S. Pietro e investito della prefettura di Castel S. Angelo. La maggior parte de’ genealogisti della famiglia Cybo lo dicono figliuolo di Maurizio, fratello del papa, che morì al governo di Spoleto ; alcuni, invece, vogliono appartenesse alla nobile casa de’ Mari che, per le nozze di Gherardo Uso de’Mari con Teodorina, figliuola del pontefice, era affine ai Cybo, de’ quali Lorenzo prese le insegne ed il nome (2). Ma poiché il Panvinio scrive: « convenne provar che « Dall’umanissima lettera di V. E. delli 14 del corrente sento con gusto che le fusse piaciuto 1’ elogio sepolcrale che le inviai per rihovare P antica memoria del Sig. Cardinale Lorenzo, e che venga approvato dall’E. V. ». Cfr. FORCELLA, Iscrizioni ed epigrafi delle chiese ed altri edifizi di Roma, Roma, 1869-1884; vol. I, S. Maria del Popolo. (1) Testamento del cardinale Alderano Cybo fatto nel luglio 1700 per atti del Franceschini notaro della Camera Apostolica, in Roma. Cfr. Viani Giorgio, Memorie della famiglia Cybo. Pisa, Prosperi, 1808; pag. 131, nota 213. (2) CARDELLA LORENZO, Memorie storiche de’ Card inali della Santa ro- 414 GIORNALE STORICO E LETTERARIO DELLA LIGURIA fosse legittimo mediante un processo fabbricato dinanzi al" cardinal Balbo veneziano » (i), e, d’altra parte, ci è noto che Maurizio non ebbe prole dalla moglie Peretta di Andrea Cybo, siamo indotti a credere che il cardinale Beneventano fosse figliuolo naturale del fratello del papa, che, come a nipote, gli mostrò speciale predilezione (2). La sua nomina fu universalmente approvata, perchè egli era di molta cultura, e per singolare probità di vita e dolcezza di carattere a tutti carissimo. Ebbe prima il titolo di S. Susanna, poi di S. Cecilia e, infine, di S. Marco. Vescovo d Albano, di Frascati e di Palestrina si condusse con tanta saviezza, da essere additato qual modello di giustizia e d integrità. Molte opere si ricordano dovute alla sua munificenza. Restaurò dai fondamenti la chiesa di S. Siro di Genova, essendovi stato abate e perchè l’aveano edificata i suoi antenati (3); ampliò con notabili ornamenti il palazzo di S. Marco, dove potè alloggiare Carlo Vili re di Francia nel suo passaggio da Roma; e per la gratitudine dovuta allo zio gli eresse un sepolcro di bronzo, opera lodata del Pollaiolo, che, trasportato nella nuova mana chiesa; tom. Ili, pp. 222 e seg., in Roma, Stamperia Pagliarini, 1793. L A. dice che « la promozione fu fatta a’ 14 di marzo secondo il Panvinio e il Ciacconio, o sì veramente alli 9 secondo i diari vaticani ». Dal Burkardo rilevasi che la creazione avvenne il 9, (feria secunda, nona i^artii), e il 14 i nuovi eletti ebbero solennemente il cappello. ; (1) Continuazione della Historia delle vite de i sommi pontefici del Platina, In Venetia, presso i Giunti, 1608; pp. 249. (2) Ci confermano in questa opinione le Memorie della Famiglia C\bo, mss. dell’Archivio di Massa, le quali, composte per ordine del principe Alberico Cybo-Malaspina e postillate di sua mano, chiamano Lorenzo « figliuolo di Mauritio, il quale in Sicilia 1’ havea generato », e aggiungono : « ove venendo a morte la madre, egli la sposò, acciocché il figliolo restasse legittimo e fu poi necessario provarlo tale con testimoni, essendogli stato apposto eh era naturale, sebben altri vogliano che fusse de’ Mari e cugino del papa ». E proprio lo stesso ragionamento per cui si volle provare che Fran-ceschetto, naturale d’Innocenzo VIII, fosse figliuolo legittimo. (j) Corona doppia di nobiltà ne’ due ordini laical ed ecclesiastico fre· giante l antichissima prosapia di Alberico III Cvbo, Prencipe di Carrara. Trattato storico mistico di due parti, composto da DOMENICO GlAMBERTI della C. di Gesù. È stato scritto tra la fine del ’6oo e i primi del 'J00. Conservasi mss. presso i Conti Ceccopieri di Massa che, cortesemente, me lo fecero consultare. GIORNALE STORICO E LETTERARIO DELLA LIGURIA 41 5 fabbrica di S. Pietro, venne accresciuto e ornato di marmi da Alberico-Cybo principe di Massa e Carrara. Nella stessa Basilica vaticana avea fondato, per suggerimento del papa, una cappella, dotandola di 400 scudi, col servizio di 4 cappellani detti gli in-nocenziani; e in essa venne riposta la sacra lancia spedita da Bajazet in dono ad Innocenzo VIII. Nè queste sole furono le opere cui lasciò, nelle chiese di Roma, affidato il suo nome. In S. Cosimato di Trastevere c’è un tabernacolo degno di nota, fatto comporre da lui (1). Ma quello che maggiormente c’interessa è la cappella dedicata da lui in S. Maria del Popolo alla Vergine e a S. Lorenzo martire. Volle che fosse convenientemente ornata e vi stabili il suo deposito, dove avrebbe, nel 1503, trovato riposo. Sappiamo dal Landucci che « il nobilissimo sepolcro del cardinale Lorenzo Cibo » era « tutto adorno di pregiatissime statue di marmo » (2); ma il più recente illustratore della chiesa del Popolo, il Padre Colantuoni, mentre c’indica nella odierna cappella di S. Lucia i sepolcreti marmorei di Odoardo e di Giov. Battista Cicala, che già decoravano la cappella di S. Lorenzo, si duole che, « dopo diligenti ricerche, non gli sia stato possibile di scoprire traccia del monumento di Lorenzo giusta la descrizione datane dal Landucci » (3). Una più compiuta notizia del quale ci è conservata da un atto dell’Archivio massese. Il 23 dicembre del 1574 Pompeo Valerio, notaro della camera apostolica, per incarico ricevuto dal principe Alberico Cybo, si recava in S. Maria del Popolo per vedere il monumento di (1) GreGOROVIUS, Storia di Roma nel Medio Evo, trad. ital. voi. VII, pag. 780, nota 1. (2) Landucci AMBROGIO, Origine del Tempio dedicato in Roma alla Vergine presso alla porta Flaminia, detta oggi del Popolo, data in luce dal P. Niccolò Dalmatio. In Roma, Fr. Moneta, 1646; pag. 105. Si legge nel Forcella, op. cit., pp. 331, η. 1254, con la data 1503, che gli è attribuita erroneamente, essendo quello 1’ anno della morte di Lorenzo. La cappella fu edificata vari anni innanzi. Cfr. anche il Ciacconio, vol. III, vita di Lorenzo Cybo. (3) La chiesa di S. Maria del Popolo negli otto secoli della prima sua fondazione, 1099-1899. Storia e Arte, pel P. RAFFAELE COLANTUONI Agostiniano parroco in detta chiesa. Roma, libreria Desclée, Lefebvere e C., 1899. Tratta della cappella Cybo da pp. 85 a 98. 4l6 giornale storico E LETTERARIO DELLA LIGURIA Lorenzo e, alla presenza di due testimoni, ne verificava Γ esistenza, rogandone atto legale, in cui così lo descrive: « Intrando in dictam ecclesiam ad dexteram, in cappella B. Laurentii mar-tiris in eadem ecclesia existenti, inveni quoddam tumulum marmoreum, et super eum aderat quaedam statua marmorea quae designat effigiem unius cardinalis, habentem in capite mitram pontificalem, et subter erant scripta haec verba, videlicet Laurentius Cibo, Gemiensis, episcopus Prenestinus, S. Marci cardinatis Beneventanus, Innocent ii Vili Pont. Max. Nepos, Religionis cultor, ita se inter vivos constantissimus gessit ' Ut amplissimae dignitatis memor, a iustitia fide et pietate nmnq. desciverit, Qui tertium et quinquagesimum agens annum Sanctissime ut vixit moritur. R.""' Esecutores G. Portuensis, A. Prenestinus epi, et N. de Flisco Presbiteri [ Cardinales Pientiss. poss. anno salutis christianae M D III, (i) in quo etiam a dexteris et a sinistris aderant arma seu insignia, videlicet a parte superiore crux rubea in campo albo, in medio sbarrae schaccatae, in capite vero cappellum rubeum » (2). Più che questi lavori marmorei la cappella di S. Lorenzo parve al Landucci di rara bellezza, perchè « tutta adornata di nobilissime e bellissime figure che la rendono celebre » (3). Queste «.figure » erano dovute al pennello di Bernardino Betti detto il Pinturicchio. Per l’anno giubilare 1475 papa Sisto IV intraprese in Roma grandi lavori di abbellimento specialmente nelle chiese e ne’ santuari, che erano la meta vera del viaggio de’ pellegrini. Può dirsi che in tutta la città non v’era, in quel tempo, una cappella che dal papa non fosse stata rimessa a nuovo. E col papa ga-reggiavano i cardinali e, fra loro, particolarmente Domenico della Rovere fratello del pontefice, il quale, oltre il palazzo allora animiti) Questa epigrafe, riprodotta con qualche scorrezione dal Landucci, op. cit., si legge anche in Forcella, Iscrizioni delle chiese e altri edificii di Roma, tom. I, parte VI, pp. 331, n. 1255. L’ha riprodotta anche il COLANTUONI nel Corpo epigrafico onde si chiude il suo libro, sotto il η. Vili. (2) Lo strumento si legge in un libro di pergamena, rilegato in marocchino rosso e con lo stemma de’ Cybo impresso a oro sui piatti, intitolato: Copie autentiche di privilegi alla Casa Cybo, nel R. Arch. di Stato in Massa. (3) Op. cit., pp. 25. GIORNALE STORICO E LETTERARIO DELLA LIGURIA 4I/ rato in piazza Scossacavalli e la villa non lungi da Ponte Molle, fece edificare in S. Maria del Popolo una sontuosa cappella (i). Tra gli artisti chiamati a Roma, in quel tempo, da Sisto IV erano i capi della Scuola fiorentina e umbra, i quali, non potendo rimanere insensibili dinnanzi agli splendidi avanzi dell’antichità, s’inspirarono ai classici modelli che aveano sott’occhio; e misero a profitto molti di que’ motivi per comporre ornamenti di una eleganza rimarchevole. Il pittore favorito da Domenico della Rovere fu appunto il Pinturicchio (2). Scolaro di Fiorenzo di Lorenzo piuttosto che del Vannucci, del quale è meglio dirlo compagno, principiò a lavorare insieme a costui nella Sistina; dove, secondo un critico molto stimato, avrebbe dipinto quel Battesimo di Cristo, che generalmente si attribuiva al Perugino, e il Ritorno di Mosè in Egitto, nel quale altri volle vedere la maniera del Signorelli (3). Ma furon certamente opera sua le pitture che, per Domenico della Rovere suo mecenate, compì nel costui palazzo e in S. Maria del Popolo. Questa chiesa dovea essere, in Roma, il campo più importante delle prime prove del Betti, che vi ha lasciato memorabili tracce del suo valore. Innamorato com’ era della fattura diligente, del lusso dei colori e degli ornamenti, delle scene aneddotiche o descrittive pareva nato per la miniatura: la sorte volle che gli toccasse l’esecuzione di affreschi monumentali, dove profuse quel lusso d’ ornamenti che gli dovean procurare una fama rapida e durevole. La varietà delle risorse pittoriche, osserva il Mùntz, l’abilità della messa in scena, la vivacità del colorito, talvolta tutto oro, oltremare, rosso, verde, ora con motivi dorati su fondo azzurro, ci rende piacevolissime le sue composizioni numerose e lucenti, dove a un insieme di figure che ci dimostrano la sorprendente fecondità inventrice, si uniscono piccoli graziosi motivi di deco- ()) Pastor, Storia dei papi dalla fine del Medio Evo; trad. it., del Benetti. Trento, Artigianelli, 1891 ; vol. II, pp. 440, 442, 534. (2) MUNTZ E., Les Arts a la cour des papes pendant le XV et le XVI siècle. Paris, Thorin, 1882; voi. Ili, pp. 24, 26, 38. (3) È il Senatore Morelli che col nome di Ivan Lermolieff pubblicò le due opere seguenti : Die Werke italienischer Meister in den Galerien von Miinchen, Dresden tmd Berlin, Leipzig 1880 ; e Kunstkritische studien über italienische Malerei. Die Galerien Borghese und Doria Pamphily in Rom. Leipzig, Brockhaus, 1890. Gior. St. e Leti, dela Liguria 27 418 GIORNALE STORICO E LETTERARIO DELLA LIGURIA razioni, mascheroni, corone, fogliami, rabeschi, festoni, candelabri, interessantissimi per la intelligenza della vita italiana di quel tempo. Queste qualità preziose il Pinturicchio mostrò nelle pitture di S. Maria del Popolo dove, ancora, si ammirano gli affreschi e il presepe con S. Girolamo nella prima cappella a destra di chi entra, quella appunto commessagli dal cardinale Domenico della Rovere, gli importantissimi saggi di pitture architettoniche nella terza cappella, sempre a destra, detta di S. Agostino o dell’ Orto, nella quale, per incarico di Sisto IV il Betti dipinse il quadro e le lunette della volta; e, particolarmente, nella volta del coro quei preziosi ed ammirabili affreschi prodigiosamente conservati e rappresentanti le Sibille : sono essi stimati le migliori opere decorative del Pinturicchio e gli furon commessi da Giuliano della Rovere, che fu poi papa Giulio II. Anche nella quarta cappella, sempre a destra, il Betti dipinse per il cardinale Costa i dottori della Chiesa in quattro lunette che sono molto deteriorate dal tempo. Non ci son più, invece, le pitture che avea fatto nella rimanente cappella di destra, la seconda, per il cardinale Lorenzo Cybo. « Il Vasari », scrive il padre Colantuoni in un capitolo speciale del suo libro dedicato appunto alla cappella Cybo in S. Maria del Popolo (i), « attribuisce al cardinale Innocenzo, meglio Giovan Battista Cibo, l’invito fatto al Pinturicchio di lavorare in detta cappella; ma noi, senza discus-sione, giudichiamo piuttosto attendere per speciali riguardi al fondatore di essa, che fu appunto Lorenzo Cibo, arcivescovo di Benevento, che con dotazione, la dedicò al santo del suo nome, di cui era devotissimo. Vero è che di sopra l’altare, sempre unico, esisteva un dipinto a guazzo rappresentante la Vergine, San Lorenzo e altre figure; di sotto le quali, in marmo bianco, si leggevano le parole: Divo Laurentio martyri sanctissimo, Lau rentius episcopus Albanensis cardinalis Beneventanus, ne mors devotionis affectum praeveniret, sacellum hoc dicavit dotavitque. Il padre M. Landucci si mostra molto ammirato delle pitture, esistenti al suo tempo, in detta cappella; le quali molta celebrità le procacciarono ». Ora il Vasari scrive precisamente così: « Nella chiesa del Popolo dipinse due cappelle, una per Domenico della Rovere, Car- li) Op. cit., cap. vi, pp. 85-98. GIORNALE STORICO E LETTERARIO DELLA LIGURIA 4I9 dinaie di S. Clemente, nella quale fu poi sepolto, e Γ altra a Innocenzo Cibo Cardinale, nella quale anch’ egli fu poi sotterrato ; ed in ciascuna di dette cappelle ritrasse i detti Cardinali che le fecero fare » (i). In queste parole del pittore aretino certo v’è scambio fra Lorenzo e il più famoso cardinal Cybo, Innocenzo, creato da Leone X, che ebbe tanta parte nelle cose di Firenze al tempo del Duca Alessandro e di Cosimo I, e che fu sepolto in Santa Maria della Minerva, a Roma; non parendo probabile, come mostra credere il Colantuoni, che il Vasari intendesse parlare del cardinale Giambattista Cibo, che fu poi papa Innocenzo Vili. Anche il Vermiglioli, trattando della cappella, dice che « servì di tomba al Cardinale Cibo, che vestì le cardinalizie divise nel 1489 (cioè appunto Lorenzo), e fu dallo stesso Pinturicchio colorita: dipinti che alla circostanza di essere la medesima cappella ingrandita, incrostata di marmi e di nuove pitture a olio decorata dall’ altro Cardinale Cibo (Alderano), perirono » (2). Secondo il Crowe ed il Calvalcaselle questa cappella sarebbe stata fondata nel 1486(3), ma ci pare si debba ritenere posteriore la data della fondazione, specialmente se consideriamo che Lorenzo ebbe la porpora solo nel 1489 e sembra edificasse la cappella dopo che fu elevato a questa suprema dignità. Una epigrafe, che si legge ancora in S. Maria del Popolo (4) porta addirittura questa data al 1503; ma quello fu l’anno della morte di Lorenzo : sicché non può convenire. Probabilmente il Pinturicchio vi lavorò tra il 1489 e il 1492, negli ultimi anni di Innocenzo Vili, quando da questo pontefice era stato chiamato, a decorare il palazzo del Belvedere. Di questa opinione è anche uno de’ più autorevoli biografi del (1) Vita del Pinturicchio, in Le Opere di Giorgio Vasari con nuove annotazioni e commenti di Gaetano Milanesi. Firenze, Sansoni, 1879 ; vol.. Ili, pag. 498. (2) Di Bernardino Pinturicchio pittore -perugino de’ secoli XV e XVI. Memorie raccolte e pubblicate da Gio. BATTISTA VERMIGLIOLI. Perugia, 1837, Tip. Baduel, p. 19. (3) A New History of Painting in Italy. London, Murray, 1866; III, 260. (4) Cfr. in Forcella, op. cit., pp. 392, 11. 1498 l’epigrafe che è nella parete destra della Sagrestia, in cui si legge : Laurentius Cybo ecc. B. Virg. anno MDIII et S. Laurentii Martiris sacellum extruxit, exornavit ecc. Fu scolpita al tempo d’Alderano, nel 1687. 420 GIORNALE STORICO E LETTERARIO DELLA LIGURIA Betti, lo Schmarsow (i). Non è probabile che il cardinale Lorenzo attendesse a quell’opera più tardi, cioè durante il pontificato di Alessandro VI, perchè sappiamo che egli fu avversa-tissimo dal Borgia, il quale, per nessun patto, gli avrebbe lasciato l’artista, che da lui per lungo tempo venne occupato nei lavori di quelle sale vaticane recentemente rimesse in onore dal pontefice Leone XIII. Ora generalmente si è creduto e si crede che le pitture fatte dal Pinturicchio nella cappella Cybo sullo scorcio del XV secolo siano andate distrutte affatto quando Alderano fece restaurare ed ingrandire la cappella (2), come abbiamo già veduto; ma per buona fortuna una parte di quei dipinti, sebben piccola, si conserva ancora, ed è appunto l’ancona dell’altare spedita da Roma al nipote Carlo II, o meglio al fratello Alberico II, per la cappella sepolcrale massese, dal cardinale Alderano Cybo. Così resta provato che Alderano quando ricostruì ed ampliò la cappella fece tagliare parte della muraglia dov’erano gli affreschi del Betti e specialmente volle conservata l’immagine della Madonna, che, opportunamente chiusa in un telaio di legno, fu, per mare, spedita a Massa e posta poi in quella cappella della Chiesa di S. Francesco, oggi dedicata al SS. Sacramento, dove può vedersi tuttora. Vero è che nella lettera di Carlo II che citammo, quella pittura è detta « di mano del Perugino » e al Perugino per tradizione, s’è creduto sempre, qui a Massa, fosse dovuta; ma comune era allora l’attribuire al Vannucci varie opere del Betti; e neppure oggidì da’ più valenti critici si ha sempre norma sicura per distinguere nettamente la mano del Perugino, di Raffaello e del Pinturicchio, in certe composizioni che risentono, non che la comunanza della scuola, la so- (1) SCHMARSOW August, Bernardino Pinturicchio, in Rom. Stuttgart 1882. Cap. III. (2) Il Chirtani in un articolo pubblicato in Natura ed Arte, anno III (1893-94) n. 2, die. 15, La Natività di Bernardino Pinturicchio, pp. 100-101, scrive : «Il P. avea decorato altre pareti della chiesa di S. M. del Popolo, come la cappella del card. Innocenzo (?) Cibo ; ma queste pitture andarono distrutte nel 1700 quando l’altro card. Alderano Cibo la fece ingrandire e incrostare di ricchi marmi ». Anche lo Schmarsow, op. cit, cap. Ili dice che ha perduta ogni traccia della originaria costruzione cella cappella (alle Spuren ihres urspriinglicten Ausschns snid verloren). GIORNALE STORICO E LETTERARIO DELLA LIGURIA 421 miglianza della maniera (i). D’altra parte potè benissimo esser chiamato Perugino il Betti non solo perchè nativo di Perugia, ma perchè con tal nome anche da taluno de’ suoi contemporanei trovasi indicato (2). Posto in chiaro e provato, con sicurezza di documenti positivi, che l’ancona della cappella del Sacramento è proprio un resto delle pitture dal Betti compite in S. Maria del Popolo, esaminiamo brevemente questo avanzo prezioso e venerabile. La Vergine è seduta in un ricco trono che appare graziosamente intagliato con fini modinature rilucenti d’oro e con il fondo d’ un delicato colore verdolino. Ha il manto azzurro su la tunica rossa, e un’ aureola tutta d’oro le recinge il capo. Le posa graziosamente sul ginocchio sinistro il divino infante, coperto d’una veste bianco-carnicina, ricinto il capo d’un’aureola d’oro come quella della Madonna. Tiene nella mano sinistra un libro chiuso, coperto di rosso, leva la destra per benedire. Sulla cornice del trono, o residenza, (che termina a cupola, con vaghi scomparti variopinti a diversi toni di verde, con effetto di sfondo e di belle ombre), sono due angioletti ignudi di figura intera, posati, di rincontro, sugli aggetti della cornice. Dai lati della Vergine stanno, appoggiati ai bracciali del trono, due altri angeli, di mezza figura. Quello a sinistra di chi guarda emerge dal petto in su ed ha una sopravveste bianca sotto cui si vede una clamide rossa. A destra non si scorge che la metà di una figura. Più in basso rimangono soltanto due teste ricinte d’aureola, e non è facile riconoscere chi rappresentino, perchè quella a sinistra è addirittura segata a mezzo il viso. In una di queste due ultime figure potrebbe benissimo, sotto le spoglie di un santo, essere stato effigiato Lorenzo Cybo, fondatore della cappella, se è vero, come dice il Vasari, che il Betti ve lo dipinse. Anche il trono ^i) Cfr. Stanislao Fraschetta La casa dell’ arte, in Rivista d’ Italia del 15 gennaio 1900, anno ILI, fase. I, pp. 101-102, particolarmente intorno a un ritratto dovuto alla scuola umbra, e le osservazioni ivi riportate del prof. Venturi. (2) Francesco Albertini in un raro libretto: Opusculum de mirabilibus novae et veteris urbis Romae, dedicato a Giulio II, Romae, 1510, scriveva: « In ecclesia S. M. de populo sunt multae cappellae picturis et marmoribus exornatae ; maiorem vero tua beatitudo fundavit, ac variis picturis exornavit manu Bernardini Perusini ». 422 GIORNALE STORICO E LETTERARIO DELLA LIGURIA è tagliato alla base, e vi manca la predella dove la Vergine dovea poggiare i piedi. Il volto delle due figure principali è di buon colorito e di naturale vivacità; la Madonna spirante soavità e tranquilla dolcezza, finamente disegnata, con gli occhi leggermente a mandorla alquanto socchiusi, il volto di una pastosità e d’un colorito maraviglioso, le dita della destra affusolate, è volta dalla parte del bambino, che ha una postura e un atteggiamento di grazia squisita. Vollero alcuni, come il Matteoni (i), che Γ ancona rappresentasse S. Anna e furono confermati in questa opinione dal celebrarsi la festa nella cappella il giorno della Natività della Madonna, agli otto di settembre. Altro argomento parve il libro posto in mano al divin fanciullo. Ma di tale non comune attributo si trova la spiegazione nel carattere del pittore, che in molte sue opere pose, talora anche con bizzarria, ciò che più gli piacque dipingere. E veramente da rammaricarsi che il taglio fatto per ordine di Alderano nella muraglia abbia addirittura sciupato le altre figure e ridotto il bell’ affresco del Pinturicchio a una proporzione irregolare, poiché non misura che metri 1,25 di altezza per 1,10 di larghezza, tanto più che anche il luogo dove fu come incastrato e chiuso, fra una cornice di marmi, sembra ristringere e comprimere sempre maggiormente le ardite movenze che l’artista umbro seppe dare a’ suoi personaggi. E, oltre a ciò, la parte inferiore della pittura apparisce deturpata per certi restauri al manto della Madonna e al piede destro del bambino, che rimontano probabilmente, all’epoca della collocazione sull’altare. Qualche anno fa presentava anche varie screpolature e mancanze di colore; ma, per buona sorte, 1’ufficio regionale perla conservazione de’ monumenti, che ha sede in Firenze, mandò un artista per fissare le parti pericolanti. A ogni modo è pur sempre un insigne monumento, meritevole che se ne rinfreschi la memoria e non indegno di richiamare 1’ attenzione degli studiosi, specialmente in un tempo, come il nostro, in cui l’ammirazione per i Primitivi è tornata in tanto onore. Si compisca il nostro augurio che il Governo possa dar modo al R. Ispettore di questa regione di provvedere che, con un opportuno riparo nel corridore della cappella, il raro avanzo (I) Op. cit., pag. 13. GIORNALE STORICO E LETTERAIRO DELLA LIGUIRA 423 dell’ opera del Betti non abbia a risentire maggiormente il morso edace del tempo (ij. Luigi Staffetti UNO SCRITTO INEDITO DI GEROLAMO GUIDONI. Un passo di Strabone, dove si parla della posizione geografica di Luni, è stato sempre causa d’ una controversia finora insoluta. Il geografo greco, dicendo che « tra Luni e Pisa v’ è la Magra, luogo che da molti scrittori è posto qual termine fra Liguria e Toscana » (2), verrebbe a porre la città a settentrione del fiume; il che, oggi, non è. Quindi, da un lato coloro che, non avendo alcuna conoscenza topografica dei luoghi, e perciò ignorando il punto preciso ove giacciono le rovine di Luni, pongono questa città nel golfo della Spezia ; dall’ altro quelli che si affaticano a dimostrare errato il passo di Strabone, o, quanto meno, oscuro o corrotto (3). A nessuno, io credo, è mai venuto in mente che il fiume potesse avere una volta, presso la sua foce, un corso alquanto differente dall' attuale ; si gettasse cioè in mare, non presso al Capo Corvo, ma a mezzogiorno della città. Ecco che ora mi capita fra mani un lavoro inedito del geologo Gerolamo Guidoni di Vernazza studioso appassionato delle cose (1) Si deve alle cure del zelante Arciprete della Cattedrale massese, Don Vincenzo Nani, 1’ aver provveduto a’ restauri di quel corridore, che circonda tutta la cappella facendo rifare il palco che era caduto. E già molto, ma non basta. Occorre provvedere che la parte della muraglia su cui è la pittura, e che corrisponde in quel corridore possa avere un riparo dalle intemperie più sicuro di quello che oggi non ha. (2) Geographia, lib. V. II. (3) Sulla questione vedi : E. Repetti, Memorie sul Golfo della Spezia del Conte Chabrol, e del Sig. Girolamo Guidoni, in Antologia, anno IX, vol. xxxv, n. 105, settembre 1829, p. 1 e segg. — Dell’ antica città di Luni e del suo stato presente, Memorie raccolte da CARLO Promis____ aggiuntovi il Corpo Epigrafico lunense. (In: Meni. d. R. Acc. d. Scienze di Torino, CI. di Scienze Mor. Stor. ecc. Serie II, T. I, p. 165 e segg.) E 2a Ed. Massa, Frediani, 1857, in-8. — Bertoloni, Lettera al marchese Massimiliano Angeletti (in Rivista Ligure, A. I [1843], vol. II, pp. 247-250) ristampata in Lettere erudite di Antonio Bertoloni sarzanese. Lucca, Canovetti, 1876. Cfr. Sforza, Gli studi archeologici nella Lunigiana, e i 424 GIORNALE STORICO E LETTERARIO DELLA LIGURIA naturali della regione; nel quale lavoro egli dimostra, col sussidio della geologia, avere avuto la Magra nel suo corso inferiore, e cioè dal punto della confluenza col Vara alla sua foce, un andamento differente dall’attuale, gettandosi in mare a mezzogiorno della città di Luni, press’ a poco dove oggi è posta l’Avenza (i). SU01 scavi, dal 1801 al 1850 (Estr. d. Atti e Memorie della R. Deputazione di Storia Patria per le Prov. Modenesi, ser. V, vol. I) p. 170 segg. Paolo Bollo, Il Porto di Luni e il Golfo della Spezia (ili Giornale degli studiosi di lettere, scienze, arti e mestieri, n. 34, Genova, 13 ag. 1870) ; scritto lodato nello stesso Giornale (n. 6, 4 febbr. 1871, pp. 73-81) da L. C,. e confutato da Giuseppe Antonio Dondero (Ibid., n. 20, 13 maggio 1871, PP- 3°5'332) · — F. Corazzini. Della situazione del porto etrusco di Luna. (In Rivista Marittima, novembre 1883, pp. 256-267). — U. Mazzini, Portus Lunae (In Giornale Ligustico diarcheol. storia e letteratura, Anno XXI, 1896, pp. 428-446). Vedi anche l’ed. critica della Geografia di Strabone del Didot (Parigi, 1853) al lib. V, capo II, p. 969. (i) Un dubbio mi sorse allorché dimostrando insussistenti certe ragioni addotte dal Sig. Corazzini a sostegno della sua tesi dell’ ubicazione di Luni sulle rive del Golfo, ebbi ad occuparmi del passo di Strabone ; espressi l’ipotesi, ma mi affrettai subito a rigettarla, giacché mi appariva troppo ardita. (Cfr. Mazzini, op. cit., p. 443). — Il Landinelli al Cap. II dei suoi Trattati manoscritti di storia lunense scrive : « Vuole Strabone che anticamente la « Magra scorresse tra Luni, e Pisa, ma pare impossibile, nè lo comporta la « natura de’ luoghi, onde passa, e con ragioni assai probabili viene impro-« bato da chi ha veduto ogni cosa, e perciò manca nella descrizione di que-« sta Provincia, oppure è cangiata ancora in questo la taccia delle cose, « perciocché vedesi ora che tutto è mutato il corso del fiume » etc. Gerolamo Guidoni nacque in Vernazza nel 1794 da Lodovico e da Barbara Salvioni di Massa ; frequentò presso 1’ università di Genova la facoltà di medicina, che abbandonò senza addottorarsi, per darsi intieramente allo studio della Storia Naturale,· specialmente della Mineralogia e della Botanica. Nel 1823 pubblicava la Memoria Sulla vite ed i vini delle Cinque Terre (In Nuovo Giorn. dei Letterati, Pisa, 1823), in seguito alla quale fu nominato socio corrispondente dell'Accademia dei Georgofili. Fu in corrispondenza scientifica col Savi, col Viviani, col Pareto, col Sismonda, col Collegno, col Repetti, col Pilla, col Meneghini, col Bianconi e con molte altre illustrazioni italiane. Fu visitato dal Buckland, dall’Hoffmann, dallo Schow e dal De la Bêche, cui fu largo di ospitalità e guida preziosa per i monti del Golfo; scrisse parecchi lavori di geologia, fra cui merita d’essere ricordata la Memoria : Osservazioni geognostiche e mineralogiche sopra i monti che circondano il golfo della Spezia (In Giorn. Ligustico, 1828), ed una lettera Sui fossili recentemente GIORNALE STORICO E LETTERARIO DELLA LIGURIA 425 Gli argomenti che il Guidoni reca a sostegno della sua tesi sono tutti di solido peso ; di capitale importanza mi sembrano specialmente e il fatto della erosione della catena di colli minori che si protendevano da Arcola verso Sarzana, e Γ azione dei torrenti tributari della Magra sulla riva sinistra; argomenti che scoperti nelle montagne del golfo della Spezia (Lettera al prof. P. Savi, in Nuovo Giorn. de’ Letterati, Pisa, 1830) coi quali lasciò un’ impronta originale di profondo geologo. Il Guidoni fu il primo ad occuparsi della geologia della regione del Golfo, e le sue scoperte di fossili servirono grandemente allo sviluppo della geologia toscana. « Grande fu l’opera del Guidoni per lo sviluppo della geologia della Liguria orientale e di una parte importante della Toscana, e grandissima fu la sua influenza su quanto fece anche Paolo Savi, che forse senza 1’ amicizia con Gerolamo Guidoni, non si sarebbe mai dato alle ricerche geologiche ». (Capellini, G. Guidoni di Vernazza e le sue scoperte geologiche in Liguria e in Toscana (in Annali del Museo Civico di Genova, serie II, vol. XII). Moriva nel 1870 nel suo antro ligure, imprecando contro il Duca di Modena che non aveva voluto aiutarlo, e lamentandosi di alcuni amici che lo avevano abbandonato nei giorni del bisogno. Per la bibliografia guidoniana vedi : Memorie e note di G. Guidoni in Girolamo Guidoni, Spezia, 1900; pp. 51-53 [Cfr. Giornale, p. 347]. A complemento della quale Giovanni Sforza ci manda gli appunti che seguono : « Nell’ elenco delle Memorie e note di G. Guidoni, il Sig. Carlo Caselli (■Girolamo Guidoni, Spezia, Zappa, 1900; pp. 51-53) mette, tra le stampate, per ultima quella intitolata : IJ importanza dello studio della Geologia, e della maniera d’ indagare con profitto il suolo della Toscana, e dice che fu pubblicata nell 'Antologia, n. 78. La stampò infatti a pp. 115-124 della vecchia Antologia di Firenze, N.» LXXVIIL, giugno 1827. Quel n.° fa parte del tomo vigesimosesto, che ha questo titolo : Antologia, aprile, maggio, giugno 1827, Firenze, al Gabinetto scientifico e letterario di G. P. Vieusseux, direttore e editore, Tipografia di Luigi Pezzati MDCCCXXVII. La firmò con le sole iniziali G. G.; e il suo titolo preciso è questo: Dell’ importanza dello studio della Geologia, e della maniera d’ indagare con profitto il suolo della Toscana. E il secondo lavoro che il Guidoni dette alle stampe. Nel n.° 105, settembre 1829, vol. XXXV, del medesimo periodico, a pp. 1-27 si legge una rassegna che fece E[manuele] R[epetti] del Mémoire sur le Golfe de la Spezia, del conte Chabrol di Volvic, e delle Osservazioni geognostiche e mineralogiche sopra i monti che circondano il Golfo della Spezia, del Guidoni; rassegna nella quale stampa, in nota, a pp. 21-22 una lettera che il Guidoni gli scrisse da Massa il 20 agosto 1829, e stampa pure la nota lettera degli amministratori del Museo di Storia naturale di Parigi al Guidoni del 7 luglio 1829. TI Sig. Caselli registra: Lettera ai Sigg. collaboratori dell’ Ape Serravezzese, 426 GIORNALE STORICO E LETTERARIO DELLA LIGURIA spiegano perchè il fiume ebbe un altro corso e come lo venne cambiando. Così pure l’altro fatto dei depositi di lignite sotto le pianure sarzanesi dimostra che per quei luoghi un tempo la Magra ebbe a scorrere effettivamente. Ma una domanda, dopo le conclusioni del nostro geologo, 1840, senza altro aggiungere. Il suo titolo preciso è: Lettera ai Sigg. Col-laboratori delP Ape Seravezzese, e si legge a pp. 113-118 della strenna. Ape Sercrvezzese — Anno II, Massa, tipografia ducale dei fratelli Frediani, 1845; in-8. La Lettera ha la data: Carrara luglio 1845. Espone in essa « alcune » sue « recenti osservazioni sulla miniera di cinabro a Ripa » nella Versilia. Un’ altra memoria il Sig. Caselli la indica così : Lettera sui marmi e sulle miniere Lunensi (?). Fu inserita nel periodico pisano II Cimento, anno V. 10 posseggo uno de’ pochi esemplari tirati a parte, che ha questo titolo : Lettera sui marmi e sulle miniere lunensi ad un amico distintissimo, di Girolamo Guidoni, Pisa, tipo^afia Vannucchi, 1847; in-8, di pp. 14. Comincia : « Voi ben saprete eh’ io non sono nè pietrasantino, nè massese, « nè carrarese, nè sarzanese, ma che nacqui nell’ aspra Itaca del Genovesato, « cioè in Vemazza o Vernaccia, decantata in Toscana e altrove per i suoi « famosi vini ; e che nel resto fui, come Ulisse, ora qua e ora là vagando . « amai bensì le montagne, ove trovarono pascolo le mie osservazioni geolo-« giche. Dunque vi dirò che spero, come Ulisse, di condurre gli ultimi miei « giorni nel picciol porto di Forcine : e colà, scacciati i Proci dalla mia pa-« tema reggia, godermi in vostra compagnia di un buon bicchiere di Vernaccia « di Corniglia, che accomoderà a voi ed a me il nostro debole stomaco nella « vecchiaia, come fece all’Abate di Clugnì, al dire del Boccaccio. Ma par-« liamo di geologia poiché voi mel chiedete, e parliamo di queste care Alpi « Apuane, che a voi tanto interessano perchè siete toscano ; ed io tanto amo, « mentre in vostra compagnia, sino dalla mia gioventù, imparai ad apprez-« zarle ; e voi m’insegnaste che gli oggetti più trascurati di Storia Naturale « diventar possono alcuna volta materia delle più gravi considerazioni ». L’ amico distintissimo al quale il Guidoni indirizzò la sua Lettera si capisce chiaro che è il prof. Paolo Savi, con cui fu in carteggio per tutta la vita. 11 dott. Adolfo Savi di Pisa, figlio di Paolo, conserva le numerose lettere che il Guidoni scrisse al padre suo. Alcune di queste lettere meriterebbero di vedere la luce. Al Sig. Caselli è poi sfuggito uno scritto del geologo di Vemazza: la rassegna che fece del Tableau del terrains qui composent Γ écorce du globe ou Essai sur la structure de la partie connue de la Terre, di Alessandro Brongniart (Paris, 1829) ; rassegna che inseri a pp. 62-78 del tom. XX (Scienze) del Nutyvo giornale de letterati di Pisa. Il Guidoni in una nota alla sua Lettera sui marmi e sulle miniere lunensi, GIORNALE STORICO E LETTERARIO DELLA LIGURIA 427 sorge spontanea: il cambiamento nel corso del fiume è avvenuto in remotissime epoche geologiche o soltanto nei tempi storici? in altre parole, Luni fiorì sulla riva destra o sulla sinistra della Magra? Vediamo quali autori e quali fatti s’accordano colla teorica del Guidoni. Anzi tutto, ammettendo che un simile cambiamento sia avvenuto in epoca recente, cioè nei tempi della decadenza della città di Luni, il passo di Strabone non sarebbe errato, e verrebbe una volta di più a confermarsi la esattezza topografica di quell’ autore, che viaggiò in Etruria, e descrisse con poche frasi, ma con grande precisione di particolari, il porto di Luni. Dice infatti Strabone : Μεταξύ δέ Λούνης καί Πίσης ό Μάκρης έστί χωρίον, φ πέρατι, τής Τυρρηνίας καί τής" Αιγυστικής κέχρηνται των συγγραφέων πολλοί. — I?iter Lunam, et Pisas locus est Macra, quem multi scriptorum terminum statuerunt Etruriae et Liguriæ (1). Un altro dei fonti preziosi per la Topografia della Lunigiana è Γ Itinerario marittimo, che s’intitola : Imperatoris Antonini itinerarium maritimum. Ecco il passo che riguarda la regione (2): da lui giudicata « una breve appendice all’opera del prof. Pilla Sulla ric-« chezza minerale toscana », scrive : « Io godo moltissimo di vedere le gravi « questioni che si sono elevate circa alla classificazione dei terreni toscani fra « ■ Sigg. Collegno, Savi, Pilla e Coquand ; ma non posso prendervi parte « alcuna se non che raccomandando, come feci al Congresso di Genova, lo « studio più esatto di quei fossili, che fui il primo a scuoprire al Golfo della « Spezia, e delle miniere toscane, che ci daranno luogo di meglio conoscere « il nostro suolo ». Il Sig. Caselli ricorda le comunicazioni che fece ne’ Congressi degli scienziati italiani tenuti a Pisa (1839), a Torino (1840), a Firenze (1841), a Lucca (1843Ì, e a Siena (1862) ; tace però affatto della parte che il Guidoni ebbe nel Congresso di Genova (1846). Nell’adunanza della sezione di geologia e mineralogia del 24 settembre « legge una memoria sulle « calcaree della Spezia ed entra in alcuni particolari relativamente alle diverse « epoche a cui crede che possano essere riferite » ; il giorno dopo « presenta « alcuni fossili della Spezia, da lui regalati al Museo di Genova, ed accom-« pagna questa presentazione di alcune dilucidazioni, insistendo sulla neces-« sità di un lavoro paleontologico speciale su quella località ». (Atti dell’ottava riunione degli Scienziati italiani tenuta in Genova dal XIV al XXIX settembre MDCCCXLVI; pp. 648, 662 e 664) ». (1) Op. cit., p. 969. (2) Cito dall’opera dello Sforza: Gli'ìtudi archeologici sulla Lunigiana e 428 GIORNALE STORICO E LETTERARIO DELLA LIGURIA A Pisis Luna, fluvius Macra mpm XXX A Luna Segesta, positio mpm XXX Se il Guidoni ha ragione, non è necessario correggere, come fa il Promis (i), la posizione dei luoghi così: A Pisis Luna A Luna fluvius Macra Segesta positio. Anche la Tavola Peutingerìana (2) conforterebbe 1’ asserzione di Strabone, giacché a mezzogiorno di Luni pone un considerevole corso d’acqua, che vuoisi certamente ritenere per la Magra, giacché il nome di questo fiume è nella Tavola erroneamente segnato nella posizione del Serchio. È vero che la Tavola al Nord di Luni segna un altro fiume reale ; ma non è questo per avventura il Vara (Boron) che l’autore, per difetto di locale ispezione o di cognizioni precise, ha immesso in mare, anziché far confluire col Magra? Altri fonti antichi dai quali possiamo dedurre la posizione topografica della foce del Magra, oltre i citati, sono Plinio e Tolomeo; ma Plinio è in aperta contradizione con i sopra citati. Dalle sue parole infatti chiaramente si deduce che egli pone la foce del Magra a settentrione della città: Flumen Macra, Liguriae finis____ (III, VII.) Primum Etruriae oppidum Lima portu nobile. (Ibid. vili). Tutto ciò è molto chiaro, nè lascia campo a discussione sul significato delle parole. È confuso invece Tolomeo (3): Μακράλλα ποταμού έκβολαί = Macrae flicvii ostia. έκτροπη Βοχκίου ποταμού zz tibi Boacias in eum influit. Τούσκων, κατά δέ Έλληνας Τυρρενων, παρά τό 'Γυρρενικόν πέλαγος — luscorum, qui Graecis Τ yrrheni dicuntur, praeter Tyrrhenum mare. Aoûva ~ Lima. Σελήνης1 άκρον — Lunae promontorium. Ήρακλέους· Εερόν ~ Herculis fanum. 'Aρνου ποταμού έκβολαί = Arni fluvii ostia. i suoi scavi dai 1442 al 1800 (In Atti e Mem. della R. Dep. di Stor. Patria per le Prov. Modenesi, serie IV, voi. VII). (1) Op. cit., p. 19, nota 1. (2) Cfr. : Tabula Peutingerìana primum aeri incisa et edita a F. Chr. de Scheyb 1753, denuo cum codice Vindoboni collata, emendata, et nova CONRADI ManNERTI introductione instructa, studio et opera Accademiae Lett. Regiae Monacensis, Leipzig, 1824, in-4. (3) Claudii Ptolemaei Geographia. E cod. recogn. prolegom. annotat, indic, tab. instruxit C. Mullerus. Parisiis, Didot. 1883, vol. I, parte 1. GIORNALE STORICO E LETTERARIO DELLA LIGURIA 42g Come si vede, il Magra e Luni sono qui posti a nord del Capo Corvo (Lunae promontorium)·, il Fanum Herculis (statio Ad Herculem, hodie Tor di Vadi) è collocato fra il Capo Corvo e la foce dell’Arno, mentre era tra Pisa e Populonia. Tolomeo non è adunque un puro fonte cui si possa attingere con sicurezza. Che la Magra poi passasse anche in tempi recenti molto più presso a Sarzana ci è attestato per memorie e documenti. Bonaventura De Rossi (1666-1741) nella sua Collettanea parla di un diligentissimo manoscritto dove, fra l’altro, è detto che « la Magra non passava in quei tempi tanto vicina al monte « (il Caprione) come fa ora, ma scorreva assai più vicina a Luni « et appresso Sarzana, ove si scorge anco al presente un’an-« tica ripa (1) del medesimo fiume, contigua alla possessione di « Μ. P. Socino, che conferma quanto si dice ». « E da una « compagnia de navigio » soggiunge, « fatta in Sarzana 1’ anno « del Signore 1384, sopra la quale consultò Baldo al Consilio * 43 e 476, voi. primo, si può argomentare che fosse poco « discosta, anzi vicinissima al mare; perchè queste tali com-« pagnie di traffico marittimo non si sogliono fare se non in « luoghi simili, com’è noto ad ognuno » (2). Un argomento, che merita seria considerazione, in appoggio alla teorica guidoniana, è il fatto della presenza del rudere detto l’Angelo alla foce della Magra, proprio nel bel mezzo del fiume. Presentemente è tutto circondato dalle acque ; ma, a seconda dei capricci del fiume, si trova talvolta in secco e per metà nascosto nel greto. Da molti fu creduto l’avanzo d’un ponte o d’un molo ; nessuno prima del Promis lo definì per ciò che è veramente: il nucleo di un antico sepolcro, come se ne vedono tuttodì lungo le vie consolari romane, e anche fra le rovine della stessa Luni. Ora, se la Magra non ha mai mutato il luogo della sua foce, come spiegare la presenza d' un sepolcro, d’ una via in tal punto? Il Promis, ammettendo l’esistenza d'una via, di cui l’Angelo ci indica 1’ andamento, che da Luni, valicata la Magra, si dirigeva alla punta del Corvo, non si fa una simile domanda, che pure doveva così naturalmente affacciarglisi, giacché la pre- fi) La ripa qui accennata esiste visibilmente tuttora. (2) Cfr. Sforza, op. cit., parte ni, dove sono pubblicati parecchi'estratti della Collettanea manoscritta dal De Rossi, p. 83 dell’ estr. 430 GIORNALE STORICO E LETTERARIO DELLA LIGURIA senza del fiume in quel luogo esclude l’esistenza d’una strada. Guidoni, mettendo la Magra in mare a mezzogiorno di Luni, pone la città in diretta comunicazione col suo Golfo per mezzo d una via che, per Amelia e Monte Marcello, a traverso il Caprione, scendeva forse alla spiaggia di Lerici. Qualche parola, ora, sul manoscritto guidoniano. Più che una vera memoria, sono appunti stesi per poi compilare il lavoro. L’A. ha buttato sulla carta le proprie idee, senza curarsi altrimenti di collegarle insieme, e spesso poco badando se il senso del periodo correva; tanto che talvolta ho dovuto con qualche zeppa aiutarlo a tenerglielo in piedi. Questi appunti furono dettati dal Guidoni subito dopo che il Promis pubblicò, negli Atti dell'Accademia delle Scienze di Torino, il suo studio sopra Luni, poi furono ritoccati, e 1’ autore vi aggiunse in margine qualche osservazione. Ma, come ho già detto, il lavoro non fu mai pronto per la stampa. Forse era il nucleo di un’opera maggiore che il Guidoni aveva in animo di condurre a termine, come ne ha lasciato ricordo in un appunto che trovo in un suo libro di note: Delle antichità Lunensi considerate geologicamente e storicamente. Memoria da compilarsi nell! ottobre 1854.· Ubaldo Mazzini CONSIDERAZIONI SOPRA LUNI ED I MARMI DI CARRARA PER CIÒ CHE RIGUARDA L’ANTICA LORO IMBARCAZIONE. Stando a Strabone, il geografo greco, Luni era la prima città della Liguria, poiché situata alla destra dell’ imboccatura della Magra ; aveva poco distante il famoso suo Porto che era quello che oggi chiamasi golfo della Spezia. I decantati suoi marmi statuari, sotto nome di marmi lunensi, erano senza dubbio le odierne cave di Carrara, e Strabone e Plinio ne parlano troppo chiaramente. Ma l’imbarcazione di questi marmi non si faceva certo nel Golfo delia Spezia, perchè non vi sarebbe stato motivo di condurveli per poi trasportarli a Roma, che in allora fu la sola città del mondo che ne facesse uso. Le navi dei Romani non erano che barche remiganti; i bastimenti da carico ed a vela come oggi si costumano non esistevano ancora ; perciò i Romani imbarcavano i marmi in ampie zattere che GIORNALE STORICO E LETTERARIO DELLA LIGURIA 43· a forza di remi venivano condotte dall’ imboccatura della Magra in quella del Tevere, sino dentro Roma. Tutti gli autori recenti che dopo le ultime invasioni dei barbari e la distruzione di Luni scrissero sopra questa contrada confusero il porto lunense coll’imboccatura della Magra, e nessuno storico ci parla dell’ ultima alluvione per cui la Magra mutò di posizione, e dalla destra che era di Luni, o dei suoi avanzi, si portò alla sinistra (i). Lo stesso Signore Cav. Carlo Promis, scrittore il più recente ed esatto, nel farci conoscere lo stato antico di questa città e de’ suoi ruderi, mentre sospetta che quegli avanzi che dal volgo credonsi i frantumi di un ponte e restano tutt’ora circondati dalle acque della Magra, fossero invece ammassi di un sepolcreto situato sulla strada che da Luni conduceva nell’ interno del Golfo per Monte Marcello ed Ameglia; il Promis, dico, non sospettò mai che la Magra potesse avere cambiato affatto di posizione coll’essersi accostata a capo Corvo, mentre prima scorreva nella direzione di Avenza e dove oggi esiste Sarzana. Se alcune volte gli storici ed archeologi si fossero valsi delle osservazioni geologiche e topografiche, ed avessero, mediante le medesime, rimontato alle prime epoche storiche, non avrebbero trovate tanto divergenti le nozioni che ci fornivano Strabone, Plinio, Tito Livio e Polibio, che pure furono autori esattissimi nei loro racconti (2). Che la Magra, il Serchio ed altri minori fiumi delle Alpi Apuane avessero un corso molto differente dal presente è cosa indubitabile. Infatti la Magra stessa deve essere stata ritenuta dalle anguste gole delle lame di Aulla nel suo bacino superiore tanto da formarvi quel terreno lacustre e depositarvi le ligniti di Lic-ciana. Poi, presa la direzione del mezzogiorno, lambiva i monti di Falcinello, Ponzanello e Sarzanello, dove non esisteva ancora quella congerie di ciottoli che la Magra e i torrenti vicini vi (1) Qui l’A. si esprime a rovescio. È chiaro però ch’egli vuol intendere che, avendo la Magra cambiato il suo corso inferiore, Luni, dalla sponda destra del fiume, veniva a ritrovarsi sulla sinistra (Nota di U. M.). (2) Le divergenze fra gli autori sussistono; nè la teoria del Guidoni riesce a metterli d’ accordo. Del resto i passi di Tito Livio e Polibio non hanno che fare con la quistione topografica, e sono citati dal Promis là dove è posto il quesito se Luni fosse etnisca o liguie. Livio afferma soltanto che l’agro lunense 432 GIORNALE STORICO E LETTERARIO DELLA LIGUIKA condussero con successive alluvioni. Infatti, i torrenti di Falcinello, della Calcandola, l’Isarone e la Parmignola dimostrano ancora recentemente come ad ogni loro alluvione si formi uno strato'che a guisa di triangolo va sporgendo la parte più acuta nella direzione del mare e degli avanzi di Luni (i)· La Magra così costretta a restringersi nel suo alveo, dovette in prima formare quelle paludi che nell’èra cristiana già minac ciavano la decadenza della città di Luni, e poi volgersi insen sibilmente sino a capo Corvo, dalla cui posizione non potrà mai più essere discacciata. Altra irrefragabile prova che la Magra abbia scorso ove esiste Sarzana ci viene somministrata dai depositi di lignite su cui giace la città stessa, e che si estendono quasi a Lavenza. La geologia ci fa parimente sapere che un terreno lacustre esisteva nella valle superiore del Magra fra Pontremoli e Licciana, ove sono simili depositi di lignite. Uno sguardo topografico ci informa che una serie di colli minori s’estendeva da Arcola verso Sarzana, colli che formare dovevano la barriera alle acque di Magra nel bacino superiore; che tutti questi colli sono stati corrosi dalle successive alluvioni, restando solo quelli della parte destra (2), perchè protetti dai torrenti di sopra accennati. Il terreno che ricuopre gli avanzi antichi di Luni dimostra chiaramente non essere che un deposito dei torrenti vicini e della Magra stessa. Tutte queste ragioni sono in favore di Strabone, di Cluverio e — ammesso si debba leggere Luna e non Luca — tolto dai Romani ai Liguri, era stato prima degli Etruscri : Qjiinquagena et singula jugera et semisses agri in singulos dati sunt : de Ligure captus is ager erat. Etruscorum ante, quam Ligurum, fuerat. (Histor., XLI, 13.,) — Polibio non dice altro che Pisa era la prima città etnisca verso 1’ occidente ; dal che si può, tutt’ al più, inferirne che Luni fosse in Liguria : Παρά θ-άλατταν μεν, μέχρι πόλεως Πίσης, ή πρώτη κεΐται της Τυ£(5ηνίας ώς πρός τάς δυσμάς. {Histor., II, 16.) — Quanto a Plinio, abbiamo veduto come sia in patente contradizione con Strabone. (Nota di U. M.). (1) Prima di volgersi a Capo Corvo ha dovuto (la Magra) scorrere per vari secoli nella direzione di Sarzana, e vi formò allora quei depositi di ciottoli e ligniti che compongono i colli di Sarzanello e Caniparola. Sospinta successivamente dai torrenti vicini si avanzò verso Capo Corvo. (Nota di G. G.). (2) Anche qui si deve intendere destra per sinistra, giacché i torrenti accennati sono affluenti di sinistra della Magra, e i colli protetti sono da questa parte (Nota di U. M). GIORNALE STORICO E LETTERARIO DELLA LIGURIA 433 dell' abate Lami, che pongono Luni alla destra, non alla sinistra della Magra (i). Il Carrione, il Frigido, il fiume di Seravezza, e molto più il Serchio e l'Arno ebbero un corso vagante : Strabone ci dice parimente che Pisa era situata nell'istmo che faceva l’unione del Serchio, o Esare, coll’Arno. Così tutti questi fiumi o torrenti, colmato l'antico loro letto, si volsero a ponente, o vi furono condotti da lavori appositi, come dicesi del Serchio sotto San Frediano che ne aperse la bocca in mare. Da tutto ciò è facile comprendere parimente come Polibio, parlando della discesa di Annibaie in Toscana, dopo la battaglia della Trebbia [dica che] non potesse transitare d'altro punto che dall'Appennino pontremolese. E le paludi che dovette attraversare per tre giorni e tre notti prima di giungere aH’Arno furono senza dubbio quelle situate tra la Magra e il Serchio. (2). Tutti i torrenti e fiumi che scendono da montagne ripide ed elevate, come le nostre Alpi Apuane, ebbero in origine un corso più precipitoso. Noi potressimo chiaramente dimostrare come la Magra, il Carrione e il Frigido, senza parlare di altre sorgenti, cadendo di balza in balza, formassero numerosi laghi e bacini; (1) È ben vero che tanto il Cluverio che il Lami pungono Luni a nord della Magra, doò alla destra di questo fiume; ma si l'uno che l’altro errano intorno all'ubicazione della cilli, ponendola nel luogo dell’odierna Lcrid, nè (anno parola del varialo corso della Magra. Cir. Cluverio, Italia antiqua, lib. Il, cap. I. e ld. Introductio m universa geographia. Amsterdam 1729, p. 307. — E per il Luni : Sa tv far ììcclesiae hlnrentinae monumenta ab Joannk Lamio Composita et digesta. Florentiae 1758; tom. I, p. 341. Altri, dopo di loro, hanno sostenuto la stessa tesi, fra i quali, credo ultimo, il si· gnor |·'. Corallini (Riv. marittima., nov. 1883, pp. 256-267). (.Vota di U. M.). (ì) Cfr. Mittor., lib. HI, 78, 79, 80, 8t. Polibio non precisa il punto |»ct il quale Annibale varcò l’Apcnnino, né la strada che fece per portarsi in Elruria. Di Piacenza, dove aveva svernato, mandò uomini pratici a riconoscere le vie, e prescelse la più breve, quella cioè che conduccva in Etruria a traverso paludi; τ»,ν li ili xm·* tÀrnv »1ς T’j^tviav ^ipouosv. (III. 78). — Cornelio dice esplicitamente che Annibale passò per la Liguria : Inde per J.tfurti Aprnmnum tramiti, petens Etruriam (Vita Hannibalis, IV). Anche Silto Italico (Am., IV, v. 739 sq.) accenna al passaggio dcll'Apcnnino. Livio racconta invece die Annibale tentò il valico, ma che dovette retrocedere, respinto dalla tempesta. Poro dopo però io (a scendere in Ligures. (Cfr. Hutor., XXI, 58, 59). (.Vota di U. M.). Gier. St. e tstt Aria t.ignita ih 434 GIORNALE STORICO E LETTERARIO DELLA LIGURIA che ripieni poi successivamente dalle loro alluvioni, venisset o aperte nuove gole e i fiumi prendessero un corso più placido, e regolare. Nei tempi della grande escavazione dei marmi lu-nensi, cioè sotto l’impero Romano furono aperte artificialmente molte di queste gole o barriere: tale sembra di quella che univa il paesuccio di Torano alle grotte del Tanone, e ciò ancora per praticarvi una comoda strada. Fu dischiusa la valle del Pianello nel monte di Grestola ; furono aperte le gole che impedivano l'accesso al Polvaccio ed al Ravaccione. Di faccia al paese di Bedizzano fu praticata 1’ entrata in Canal-Grande, ed alle Cave dei Fanti-Scritti; ma i punti che conservano memorie visibilissime dei Romani sono le cave di Colonnata, nella località detta Bacchiotto, ed ai Fanti-Scritti, ove sempre può riconoscersi 1 antica lavorazione senza l'uso della polvere, che rende sempre ingombre le recenti escavazioni (i). Doveva ancora in quei tempi esistere una strada comodissima, carrettabile, che dalle dette cave conduceva a Luni, e fu questa strada e l’uso della carra che diede il nome a Carrara. Luni essendo scomparsa al principio dell' èra cristiana (2) ed allontanata l'imboccatura della Magra, l’imbarcazione dei marmi cominciò ad eseguirsi alla spiaggia di Avenza. Luni però in quanto alle Belle Arti sotto l’impero aveva superate tutte le città Italiane. Infatti, per formarsene un’ idea esatta, basterà osservare la recente raccolta archeologica che il Sig. Marchese Angelo Remedi va aumentando in sua casa in brevissimo tempo, dopo le ultime escavazioni ordinate da S. M. il Re di Sardegna, ed eseguite sotto la direzione del signor Cav. Carlo Promis, per vedere chiaramente che i Lunensi lavoravano i marmi colla stessa perfezione che oggi costumasi a Carrara (3). Più avevano l’uso delle terre cotte che presero (1) Sovente si dissotterrano in quelle cave monumenti marmorei e memorie che spettano all’impero Romano. (Nota di G. G.). (2) Noto qui solamente, ina avrei dovuto notarlo anche altrove, come l’A. si mostri assai poco profondo conoscitore della storia della regione. (Nota di U. M.). (3) Le collezioni del marchese Remedi furono acquistate dallo Stato, e fanno ora parte del Museo archeologico di Firenze in via della Colonna. Una parte di quelli oggetti furono illustrati dal prof. Milani. Cfr. L. A. MILANI, / frontoni di un tempio tuscanico scoperti in Luni (con 5 tav.) in-4, di pp. 24. Estr. dal Museo di antichità classica diretto da D. Comparetti (Vol. I, punt. I .a a. 1884); e Dattitioteca lunese. Estr. c. s. (Nota di U. M.). GIORNALE STORICO E LETTERARIO DELLA LIGURIA 435 dagli Etruschi ; vi erano a Luni fonderie perfette in bronzo, che si dorava ancora; si lavoravano i vetri colorati, le agate, i cammei; ed ai marmi di tutte le valli apuane si univano quelli che venivano dalla Grecia e dall’Affrica, come lo dimostrano i numerosi frantumi. V’è chi pretende che l'Apollo di Belvedere sia una copia di lavoro greco eseguito con marmo lunense e forse in Luni stessa. In somma Luni, quantunque fosse una piccola colonia romana, non cedeva in nulla alla sua metropoli; e se non fossero avvenuti i secoli barbari, al pari di Genova e Firenze avrebbe esteso il suo commercio e la sua industria. Ma più di tutto contribuì alla sua rovina il cambiamento di letto della Magra a rendere malsana quell’ aria. Ora sorgono, invece di Luni, Sarzana, Carrara, Massa, Pietrasanta e nel Golfo lunense la Spezia. Non è più la sola Roma che al presente cerchi adornarsi di marmi, ma tutte le metropoli del mondo fanno a gara nell’ erigere suntuosi monumenti. Non più Cicerone potrebbe rimproverare l’uso dei marmi nelle domestiche mura a Mamurra, ora che i marmi di Carrara adornano le pareti del povero e del ricco. BOLLA DI PAPA INNOCENZO IV (6 di LUGLIO 1245) La pergamena originale di cui pubblico il testo trovasi, o almeno trovavasi ancora pochi anni addietro, nell’archivio domestico del marchese Gerolamo Gavotti Verospi, di Roma, e fu appunto durante il soggiorno di qualche anno che questo egregio signore fece in Savona, eh’io ebbi occasione d’aver fra le mani il prezioso documento e di eseguirne una trascrizione fedelissima, quale è questa che qui rendo di pubblica ragione. Il documento appartiene alla categoria delle Grandi Bolle (.Bullae maiores) pontificie e più precisamente alla classe speciale, molto in uso nei secoli xii e xm, delle cosidette Bolle-privilegi, colle quali venivano confermati i diritti e i possessi delle Chiese e dei Monasteri. Come tale lo caratterizzano la sostanza e la forma. Vi troviamo, infatti, 1’ enumerazione particolareggiata dei possessi di cui si concede la conferma alla Chiesa a favore della quale la Bolla fu emessa. Nè vi mancano, 436 GIORNALE STORICO E LETTERARIO DELLA LIGUIRA per quanto spetta ai caratteri estrinseci, le modalità e le formole proprie dei documenti solenni della Cancelleria pontificia, le quali, avuto riguardo all’epoca a cui la Bolla appartiene, possono riassumersi nelle seguenti: I. la soprascrizione in litterae grossae susseguita dalla forinola IN P. P. M. (in perpetuam memoriam); II. la sottoscrizione del papa, ai due lati della quale stanno: a sinistra il contrassegno della Rota, portante nell’ intervallo fra i due cerchi concentrici la divisa — tratta in generale dai Salmi — del pontefice autore della Bolla e nello spazio fra i quattro raggi i nomi degli apostoli Pietro e Paolo e quello del papa stesso; a destra il monogramma del Bene valete espresso nella forma che assunse da Leone ix in poi; III. le sottoscrizioni dei cardinali, i quali in generale apponevano la propria firma secondo 1’ ordine di anzianità della loro nomina in ciascuna delle tre classi (1); IV. l’indicazione topografica, ossia del luogo stesso in cui la Bolla fu emanata; V. la data espressa nel modo più ampio, cioè colle nozioni più complete del giorno, del mese e dell’ anno dell’incarnazione, non solo, ma e dell' Indizione e dell’ anno del Pontificato (2). La pubblicazione d’una nuova Bolla d'Innocenzo iv, che è quanto dire d’un papa che occupa a buon diritto un seggio d’ onore fra le più cospicue individualità della storia politica e religiosa del Medio Evo, non potrà dirsi oziosa, se anche 1 interesse del documento dal punto di vista storico si limiti, . come in questo, all’ enunciazione dei beni e dei diritti confermati dal pontefice ad una pieve oggi poco men che sconosciuta. In ogni caso, il documento apporterà un utile contributo al Regesto d’Innocenzo iv, intorno al quale si travagliò ai nostri giorni con piena conoscenza del soggetto e molta luce di critica 1 erudito Elia Berger, nè tampoco la sua pubblicazione sarà per apparir fuor di luogo in un periodico ligure, dove un do- ti) Niuno ignora che tre sono le classi in cui sono ripartiti i cardinali formanti il Sacro Collegio. La prima classe comprende i cardinali Vescovi, la seconda i cardinali Preti e 1’ ultima i cardinali Diaconi. (2) La citazione dell anno dell’ imperatore disparve definitivamente dalle Bolle papali sotto Benedetto IX (1033-1048). GIORNALE STORICO E LETTERARIO DELLA LIGURIA 437 cumento risguardante Sinibaldo Fieschi assume per ciò stesso il carattere d’ un documento di storia patria. La Bolla è segnata da Lione e porta la data del 6 di Luglio (ii nonis Iuliì) del 1245, anno in cui fu celebrato in detta città il xm Concilio Generale (Lugdunense i), nel quale, alla presenza anche di Baldovino imperatore di Costantinopoli, papa Innocenzo iv pronunciò la deposizione dell’ imperatore Federico 11 e sciolse i sudditi di lui dal giuramento di fedeltà. Il 6 di Luglio corrisponde, appunto, all’ indomani del giorno in cui ebbe luogo la seconda sessione del Concilio, sapendosi che le tre sessioni in cui questo si svolse si tennero la ia il 28 di Giugno, la 2a il 5 di Luglio e l’ultima ai 17 dello stesso mese. Oggetto della Bolla è la conferma dei beni e dei diritti spettanti alla Pieve di S. M. di Loppia. Questa Pieve doveva essere in quel tempo d’ un importanza considerevole, a giudicarne dal numero non esiguo delle chiese nella Bolla mentovate come da essa dipendenti, e la cui identificazione potrebbe oggi fornir materia d’una interessante monografia agli eruditi che fanno soggetto di studio la topografia delle giurisdizioni ecclesiastiche nel Medio Evo. Per quanto concerne la Parrocchiale a favore della quale fu emessa la Bolla, sotto alcuni rispetti sembrerebbe potersi identificare colla antica e insigne Pieve collegiata, oggi Curazia, di S. Giustina di Lova o Lupia, nella diocesi di Padova. La borgata o villaggio di Lova è menzionata in antichi documenti fin dall’anno 819. Già prima del 963 vi aveva delle possessioni il Monastero di S. Zaccaria di Venezia, secondo che rilevasi da un atto dei 29 di Agosto di detto anno, col quale Ottone i imperatore conferma al detto Monastero la proprietà dei beni da esso posseduti in Lova, nonché da un altro documento in data 5 di Febbraio del 997, con cui l’imperatore * Ottone ni riconferma gli stessi diritti. Lova è pur ricordata nel testamento del doge di Venezia Giustiniano Partecipazio (829), e in altri documenti degli anni 963, 1148 e 1150, nel qual ultimo anno era sotto la signoria dei da Abano. La Chiesa antichissima di Lova è dedicata a S. Giustina, e il Gennari la dice fondata fin dal 568, quando i Padovani ri-fugiaronsi nelle isole dell’ Estuario. Certo, già era eretta nello scorcio del secolo x, epoca in cui la troviamo ricordata nei Privilegi suddetti. Anticamente questa Chiesa era Pieve colle- 43§ GIORNALE STORICO E LETTERARIO DELLA LIGURIA giata delle cappelle figliali di Campagna, Lughetto, Prozzolo e Camponogara; ma i suoi arcipreti, a causa dell’ aria malsana usavano risiedere molto tempo dell’anno a Campagna (Distretto di Dolo in Provincia di Venezia), dove coll’ andar del tempo stabilivansi definitivamente, denominandosi arcipreti di Campagna Lupia, invece che di Lova. Queste notizie che desumo da una erudita monografia di D. Francesco Sartori (i) militerebbero a favore dell’ identificazione della Pieve di S. Maria di Loppia, oggetto della Bolla di papa Innocenzo iv coll’ antica Pieve collegiata di Lova. Non mi dissimulo tuttavia che a questa attribuzione, basata sopratutto sull1 omonimia, ostano due difficoltà non trascurabili, e sono: ia che mentre la Chiesa di Loppia, argomento della Bolla, è intitolata da S. Maria, quella, invece, di Lova o Lupia s’intitola da S. Giustina; ■ 2a che nessuna delle quattro Chiese minori già figliali di quest’ ultima, cioè Campagna, Lughetto, Pr zzolo e Camponogara, può identificarsi con alcuna delle tante specificate nella Bolla come dipendenti dalla Pieve di S. Maria di Loppia. Lascio dunque insoluta la questione, non senza far voti perchè qualche erudito locale ne faccia soggetto di studio e riesca a determinare 1’ ubicazione topografica così della Chiesa madre di S. Maria di Loppia come delle tante altre nominate quali dipendenze della stessa nella Bolla in esame. Ed ecco ora senz' altro il documento, nella pubblicazione del quale mi attengo sostanzialmente alle regole adottate dal-1’ Istituto Storico Italiano, riproducendo, cioè, esattamente la grafia della fonte, ma introducendovi la punteggiatura e le maiuscole dove mancano. Innocentius, episcopus servus servorum Dei, dilectis filiis plebanis et clericis « sancte Marie de Loppia eorumque successoribus canonice substituendis. In P. P. M. Prepostulatio uoluntatis effectu debet proseguente (sic) compleri. Qua propter dilecti in domino filii uestris iustis postulationibus clementer annuimus et ecclesiam uestram ad instar felicis recordationis Honorii pape predecessoris (i) D. Francesco Sartori, Guida storica delle Chiese parrocchiali ed Oratorii della città e diocesi di Padova, dedicata a mons. Giuseppe Calle-gari, vescovo di Padova. Padova, tip. Giammartini, 1884, in 4. GIORNALE STORICO E LETTERAIRO DELLA LIGUIRA 439 nostri sub beati Petri et nostra protectione suscipimus et presentis scripti priuilegio communimus. Preterea quascumque possessiones, quecumque bona eadem ecclesia impresentiarum iuste ac canonice possidet aut in futurum concessione pontificum largitione regum uel principum oblatione fidelium, seu aliis iustis modis, prestante Domino, poterit adipisci, firma nobis nostrisque successoribus et illibata permaneant. In quibus hec proprijs duximus exprimenda uocabulis. Locum ipsum in quo prefata ecclesia sita est cum omnibus perti-nentijs suis, ecclesiam de Bori, cum pertinentijs suis, et de Uitianis de Cala-uonia. sancti Leonardi, sancti Pantaleonis. sancti Sixti et sancti Michaelis ecclesias cum pertinentijs earumdem. Ecclesias de Guiuizanis et de Licignanis de Pectorita. sancti Symeonis. sancte Lucie, de Grumign.... de Corelia. de Mancianis. de Pedoni, de Seio. de Emilio, de Barga. de Gragno. de Cata-gnanis. de Sumocologna. de Albiano, de Castello uecio. de Crepignanis. de Arrianis et de Lupinaria ecclesias cum omnibus pertinentijs earumdem. Antiquas insuper et rationabiles consuetudines quas optume ecclesia uestra in ecclesijs memoratis uobis nichilominus confirmamus. Decimas preterea et possessiones ad ius ecclesie uestre spectantes, que a laicis detinentur redimendi et legitime liberandi de manibus eorum et ad eamdem ecclesiam reuocandi libera sit uobis de nostra auctoritate facultas. Prohibemus itaque ut infra fines parochie uestre nullus sine assensu diocesani episcopi et uestro capellam seu oratorium de nouo construere audeat. Saluis priuilegijs pontificum Romanorum. Ad hec nouas et indebitas exactiones ab episcopis vel alijs ecclesiasticis secularibusqe personis in ecclesia uestra omnino fieri prohibemus. Sepulturam quoque ipsius loci liberam esse decernimus, ut eorum deuotioni et extreme uoluntati qui se illic sepeliri deliberauerint, nisi forte excomunicati vel interdicti sint, nullus obsistat. Salua tamen iustitia illarum ecclesiarum a quibus mortuorum corpora assumantur. Decernimus ergo ut nulli omnino hominum liceat prefatam ecclesiam uestram perturbare aut eius possessiones auferre vel oblatus retinere, minuere seu quibuslibet uexationibus fatigare, sed omnia integra conseruentur eorum pro quorum gubernatione ac substentatione eorumdem, usibus omnimodis profutura. Salua Sedis Apostolice auctoritate et diocesani episcopi canonica iustitia. Si qua igitur in futurum ecclesiastica secularisue persona, hanc nostre constitutionis paginam sciens, contra eam temere uenire temptaaerit, secundo tertioue commonita nisi reatum suum congrua satisfactione correxerit, potestatis hono-risque sui dignitate careat, reamque se divino iudicio existere de perpetrata iniquitate cognoscat, et a sacratissimo corpore ac sanguine Dei et domini redemptoris nostri Iesus Christi aliena fiat, atque in extremo examine districte subiaceat ultioni. Cunctis autem eidem loco sua iura seruantibus sit pax domini nostri Ihesus Christi, quatenus et hic fructum bone actionis percipiant et apud districtum iudicem premia eterne pacis jnueniant. Amen Amen. 440 GIORNALE STORICO E LETTERARIO DELLA LIGURIA Rota (i). Ego Innocentius catholiee ecclesie episcopus s(ubscripsi) (2). Bene Valete (3). t Ego Petrus ecclesie Sancti Marcelli presbiter cardinalis subscripsi (4). f Ego Willelmus basilice duodecim Apostolorum presbiter cardinalis subscripsi (5). t Ego frater Iohannes ecclesie Sancti Laurentii in Lucina presbiter cardinalis subscripsi (6). f Ego frater Hugus ecclesie Sancte Sabine presbiter cardinalis subscripsi (7). f Ego Otto Portuensis et Sancte Rufine episcopus subscripsi (8). t Ego Petrus Albanensis episcopus subscripsi (9). (1) Nel centro della Rota, fra le braccia della croce formata dai quattro raggi, è scritto: DNS PETRVS DNS PAVLVS INNOCENTIVS "pTiiii· Intorno, cioè nell’ intervallo fra i due cerchi concentrici, corre la leggenda : f notas fac michi dinne uias uite, divisa di papa Innocenzo iv. (2) Come la maggior parte dei suoi predecessori dopo il x secolo, Innocenzo iv incaricava uno dei segretari della Cancelleria di firmare per lui, cioè apporre il suo nome nella sottoscrizione in calce alle Bullae maiores. Il papa, tutt’al più, tracciava di propria mano la piccola croce che precede la sua divisa fra i due cerchi concentrici della Rota. (3) La formola Bene valete è espressa col noto monogramma il cui tipo fu in uso presso la Cancelleria papale da Leone ix in poi. Il monogramma era delineato dallo stesso scrivano della Bolla. (4) Incominciano qui le sottoscrizioni dei dodici cardinali intervenuti all’ atto. Già ho accennato come generalmente i cardinali apponessero la propria firma in calce agli atti solenni, per gruppo, ossia secondo il grado d’ anzianità della loro nomina in cia-cuno dei tre Ordini cardinalizi a cui erano ascritti. Si osserverà come qui i primi a sottoscriversi sieno i cardinali appartenenti all’ordine dei Preti, dopo dei quali vengono i cardinali Vescovi, rimanendo per gli ultimi i cardinali Diaconi. La sottoscrizioue d’ogni cardinale è preceduta da una piccola croce, che costituisce per sè stessa un contras-segno, in quanto che la forma di ciascuna di esse — che non ho potuto rendere in caratteri tipografici — differisce per qualche particolare da quella delle altre. Ve ne sono di potenziate in varie guise, di uncinate, di bipartite 111 punta ; molte sono accantonate e, fra queste, alcune da puntini o singoli o a gruppi, altre da circoletti, da virgole,-da raggi, altre finalmente sono decussate da linee intermedie, continue o punteggiate. — La prima firma è quella di Pietro di Bar, francese, abate d’Igny, poi vescovo della Sabina e Legato in Spagna. Promosso cardinale del titolo di S. Marcello da Innocenzo iy nel 1244, morto nel 1253. 15) Guglielmo di Talliante, francese, abate di San Facondo di Sahagun, nel regno di Leon, promosso da Innocenzo iv nel 1244. f 1250. (6) Giovanni di Toledo, inglese, dell’ Ordine dei Cisterciensi, poi Vescovo di Porto, t 1274· (7) Ugo di Saint Cher, o di Saint Thierry, francese, Domenicano e generale dello stesso Ordine. Fu il primo cardinale dell’ Ordine di S. Domenico, f a Orvieto nel 1262 (1264), (8) Ottone il Bianco (Candidus o Candierus), dei marchesi di Monferrato, di Casale, poi vescovo di Porto, Legato in Inghilterra ; promosso da Gregorio ix nel 1227, f a Londra nel 1251. (9) Pietro de Colle Medio (Collemezzo, presso Frosinone, non Coulmieu o Coulmier), arcivescovo di Rouen, Legato all’ imperatore Federico 11, promosso da Innocenzo iv nel 1244, f 1252. GIORNALE STORICO E LETTERARIO DELLA LIGURIA 44I + Ego Willelmus Sabinensis episcopus subscripsi (1). + Ego Odo Toscoulanus episcopus subscripsi (2). f Ego Ottavianus Sancte Marie in Via Lata diaconus cardinalis subscripsi (3). t Ego Petrus Sancti Georgii ad Velum Aureum diaconus cardinalis subscripsi (4). ■j· Ego Iohannes Sancti Nicolai in Carcere Tulliano diaconus cardinalis subscripsi (5). t Ego Willelmus Sancti Eustachii diaconus cardinalis subscripsi (6). Datum Lugduni, per manum magistri Marira Sancte Romane Ecclesie vicecancellaiji, 11 nonis Iulij, Indictione ni Incarnationis dominice. Anno O OOO m. cc. xlv. Pontificatus uero domini Innocentij pape Quarti anno tertio. Vittorio Poggi. BOLLETTINO BIBLIOGRAFICO. Ch. KOHLER, Mélanges pour servir a V histoire de I’ Orient Latin et des Croisades. Fase. I. Paris Leroux. 1900. Con ottimo consiglio Carlo Kohler ha raccolta in volume questa prima serie di scritti già pubblicati nella Revue della Società di cui è intelligente ed operoso segretario ; altre serie terranno dietro alla prima per vantaggio degli studiosi. Questi, nella presente, particolarmente apprezzeranno l’Indice metodico e cronologico delle persone e delle cose spettanti all’ Oriente latino e di cui trattasi nell’opera monumentale dei Bollandisti (Acta. Analecta) Enoto infatti che l’indice generale non è pubblicato ancora, perchè l’opera non è compiuta ; e gl’ indici speciali che stanno in capo ed in fine d’ ogni volume riguardano soltanto 1’ agiografia, donde 1’ opinione errata e abbastanza frequente che quella copiosissima fonte non serve che a chi s’ occupi di questa scienza speciale. (7) (1) Guglielmo vescovo di Modena, Legato in Livonia, Norvegia e Svezia', f a Londra nel 1251. (2) Oddone di Chateaurouge, francese, Cisterciense, Legato in Francia e Oltremare, dove accompagnò il re Luigi ix, f 1273. (3) Ottaviano Ubaldini, fiorentino, vescovo di Bologna, Legato a Venezia e in Lombardia, f 1274, o 1273. (4) Pietro Capocci, romano, Legato in Germania e arciprete di S. Maria Maggiore, t I259- (5) Giovanni Gaetani degli Orsini, romano, che fu poi (1277) papa Nicolò III, f 1280. (6) Giovanni Fieschi, genovese, nipote del papa, t 1256. (7) Indicheremo qui all’anno 1303 (pp. 121-22 e 205); al 1100 (p. 156): al 1147-48 (p. 160) : al 1230 (p. 166); al 1098 (p. 198) fatti che si riferiscono ai SS. Giorgio ed Ugo, alle ceneri (li S. G. Battista o a qualche navigazione dei Genovesi. 442 GIORNALE STORICO E LETTERARIO DELLA LIGURIA Fra gli sparsi documenti inediti, che il K. pubblica, indicheremo una lettera fittizia del gran papa Fieschi (Innocenzo IV) ai vescovi per la pie-dicazione della Crociata contro i Kovaresmi [forse 1244] ; potrebbe darsi che la scrittura o esercitazione retorica non priva d’ eloquenza fosse foggiai.! su d’una lettera autentica del papa, ma nella voluminosa corrispondenza di questo non è riuscito al Κ., di rintracciare alcun dato sicuro. Finalmente dal registro di Lamberto da Sambuceto e propriamente da quella parte che non era stata pubblicata da lui medesimo, il compianto Desimoni trasmise al K. che qui lo ha dato in luce, un atto colla data l*aniagosta .5 Maggio 1301. Vale la pena di considerare un po’ davicino quest atto con cui davanti al ben conosciuto notaro genovese, Zolo di Anastasio pisano mercante in Persia fa una solenne attestazione a richiesta di Strena Bonifante, ed è la seguente : che Strena è pienamente libero e franco nella persona e nei beni, d’ordine di Cassan Kan dei Tartari da lui servito fedelmente nelle guerre contro i Saraceni. Zolo fa questa attestazione trovandosi nella propria casa di Famagosta come inviato in occidente dal medesimo Kan. Ma Zolo non era forse stato fatto prigioniero lui da Corrado d’Oria alla battaglia di Capo d’Orlando (4 Luglio 1298) quando quel capitano, combattendo per Carlo II, lo zoppo, avea disfatta la flotta di Giacomo e Federico d’Aragona? Si; Cassan però aveva ottenuta la liberazione di Zolo per mezzo del proprio legato Viscardo. Ma questo Viscardo ? Forse un napoletano ; personaggio di cui finora nulla sapevamo, nè dell’ambasciata sua, alla quale pero probabilmente si riferiscono le notizie della lettera di papa Bonifacio Vili al re Edoardo d’ Inghilterra (7 Aprile 1300). Sappiamo che, al tempo di Cassan e dei predecessori suoi, altri italiani erano alla corte tartara di Persia, tra cui un Xanto guardia del corpo e un Soflredino medico del re. Quanto a Zolo crede il K. di poterlo senz’ altro identificare con quel Jolo od Ozolo di Pisa a cui fin dal 1289 e 1291, cioè una decina d’anni prima di quest’atto, vennero indirizzate da papa Nicolò IV due lettere, come ad uomo influente presso il Ivan e favorevole ai missionari cattolici e all’estensione dell'influenza cattolica nella Persia. E’ sperabile che qualche altro documento verrà a confermare la notizia di quest’ambasciata del Viscardo, finora ignota, e anteriore, come la data del Sambuceto dimostra, alla grande ambasciata tartarica, che si recò in principio del 1303 alle corti di Francia e d’Inghilterra. Ciò è tanto più desiderabile, vista la scarsità di notizie che si lamenta intorno ai rapporti fra Cassan e i sovrani d’Occidente, mentre per suo padre il famoso Argun nc abbiamo dovizia (1). Grandemente, fin dal tempo di Nicolò IV, aveano sperato i Cristiani d’O-riente nell’aiuto dei Tartari, ma già ben notava il Michaud che avveniva ai Tartari, quando moveano contro i Mammalucchi, quello ch’era avvenuto anche ai Franchi nel fervore delle Crociate ; daprincipio grandi vittorie a cui teneano (1) Oltre al vecchio Moshem o meglio Paulscn suo discepolo, e al Rèmusat nelle Memorie pubblicate ai tomi VI e VII dall' Acad. des itiscr. V. J. B. Chabot al tomo li della Revue de VOr. lai. (pp. 566 e segg.) e Kohliìr. (Mélanges, pp. 274 c wgg). GIORNALE STORICO E LETTERARIO DELLA LIGURIA 443 dietro, per avvenimenti impreveduti, interne discordie, minacce alle spalle, e l’abbandono delle terre conquistate..... fino alla successiva ripresa. Ma se Argun avea fatto tremare gl’ Islamiti che salutarono la sua morte (1291) come un miracolo di Allah, e Cassan per tre volte ritentò l’impresa, può ben dirsi che alla immatura scomparsa di questo (morto nel 1304, ma ammalatosi fin dall’anno precedente) furono le speranze tutte dei Cristiani che andarono sepolte con lui (1). In occidente, per verità, eravi stato qualcuno che aveva sperato in Filippo il Bello e questi, che gl’indirizzò intorno al 1295 un trattato sul ricupero di Terrasanta, fu precisamente il medico Galvano da Levanto. L’ articolo del K. che vi si riferisce e gli estratti che se ne sono dal K. stesso pubblicati, rendono questa parte degli ottimi Mélanges molto interessante per noi. Il titolo preciso del trattato è il seguente : « Liber sancti passagli Christicolarum contra Saracenos pro recuperatione Terrae Sanctae Galvani de Levanto Janu-ensis umbre medici ». È diviso in due parti, a cui è premessa un’introduzione. In questa dice Galvano d’essersi ispirato al giuoco degli scacchi, per mostrare il miglior modo con cui riuscirebbero i principi d’Occidente al ricupero del Sepolcro. Ma nella prima parte non v’ha nulla di questo ; bensì un pedestre de regimine principimi tratto dal giuoco degli scacchi, e senza cosa alcuna nuova od arguta sia per gli scacchi che per la politica (2). Dei 59 capitoli di questa prima parte, mista di banalità e di misticismo, il K. non dà che 1’ intitolazione. La parte seconda ha un sottotitolo .· « Tractatus secundus de neophyta persuasione christicolis ad passagium sanctum ». Ma nel codice cheltenha-miano-parigino da cui il K. trasse il trattato, dei sedici capi di questa seconda parte sono rimasti appena sei eh’ egli trascrisse ; e, con ragione, aggiunse che questi non sono tali da farci rimpiangere troppo la perdita degli altri. Non trattasi infatti d’un trattato storico, geografico e tecnico simile a quelli composti verso quel tempo, o un poco dopo, dal Dubois, dal Lullo, dal Hayton, da Guglielmo d’Adam e da più altri, avanti a tutti i quali sta co’ suoi Secreta fidelium crucis Marin Sanudo Torsello. Trattasi d’una esercitazione retorica di mediocre predicatore che ecciti il gregge a prender la croce. Manca affatto la sincerità della ispirazione ; e questo, che cioè Galvano — almeno dopo la caduta d’Acri — considerasse la liberazione di Terrasanta soltanto quale argomento per esercitarvi la sua poco elevata eloquenza, trovasi provato da un altro scritto dell’autore stesso, uno de’ molti suoi trattati ascetici e propriamente quello che s’intitola Tesoro della religiosa povertà, ove dice : « Io non piango sulla caduta d’Acri, di Tiro e delle altre città della Siria ; io non gemo sulla (1) V. gli elogi che, della virtù e probità di questo Tartaro dall'aspetto ributtante, fanno Pachimerc e l'armeno Hayton. (3) Hens\, per questa forzata allusione agli scacchi, un continuo incalzarsi di giuochi di parole. 444 GIORNALE STORICO E LETTERARIO DELLA LIGURIA cattività d’una vile moltitudine, ma io deploro la caduta d’un’anima illustre, tempio in cui Gesù Cristo ha abitato ». Infatti quelli fra gli scritti di Galvano che non riguardano la medicina, si riferiscono alla religione. Anzi abbiamo di lui, nello stesso codice già citato, una Teriaca della morte spirituale (i) e un’ Arte navigatoria spirituale in cui — dice il Iv. — c’è qualche cosa da imparare per la nomenclatura marittima. Non dimenticava, si capisce, anche scrivendo di cose ascetiche d essere medico, nè ligure. Qual medico di papa Bonifazio VIII, a cui dedicò opere di medicina, era già conosciuto al Giustiniani e all’ Oldoini (2) i quali però interpretavano timbre medici per medico nell’Umbria, mentre egli chia-mavasi un’ombra di medico sia per quell’umiltà stessa che altrove gli detta\a le parole di Galvano inutil verme di Gesù, sia per allusione alla sua mala salute, e alla paralisi che lo incatenava. Di ciò in più luoghi egli fa cenno, ed anche d’esser accasciato dal troppo lavoro e dagli scarsi proventi ; così le sciagure lo aveano gittato alla religiosità, come gittano altri nello scetticismo. Ma ch’egli fosse prete è smentito dal codice stesso parigino, che con gran probabilità è un originale, e che ce lo mostra vestito da laico non solo, ma accompagnato da una dorma e due fanciulli con la scritta : moglie e figli- Egli, con grande probabilità è il Maestro Galvano fisico di cui al 9 Gennaio nel Libro degli Anniversarii dei F.F. Minori di S. Francesco in Castelletto. Quanto al «Maestro Galvano di Levanto della compera del 1333 * (3) c^° è menzionato nell’Abecedario del Federici, può darsi che sia lui o un suo nipote ed omonimo, nel qual caso potrebbe trattarsi d’un ramo della famiglia venuto a stabilirsi a Genova. Ma, tornando ora, innanzi di chiudere, al trattato buono o cattivo sul ricupero di Terrasanta, come ne fissò il K. la data? Perché il codice chelte-nhamiano-parigino apparisce chiaramente una copia dell'originale, di cui I inventano vaticano del 1295 · Liber cum tabulis rubeis in quo tractatus de ludo scaccorum, et est ibidem designata tota terra promissionis i" quodam panno. (Sfortunatamente le miniature e la carta (4) le quali sarebbero la parte più preziosa mancano a detta copia). Il re Filippo a cui il trattato, scritto dunque avanti il Γ295, è dedicato, non può essere che Filippo IV il Bello; anzi mi pare (5) che il K. non abbia notato che Galvano dopo avergli detto (1) É notorio che nel Medio Evo s'attribuivano alla teriaca qualità prodigiose di medicina. V. il recente volume di S. Ferrari su Pietro d'Abano. (2) Altri scritti e di medicina e di religione dedicò a vari personaggi di casa Fieschi che vennero ben identificati dal K. (p. 219 n. 3) un Lavania per Lavagna. (3) Ms. nella Bibl. della Miss. Urb. N. 138; plut. N. 30. 9. 7. Tomo II. f. 298 b. (4) La carta in un inventario posteriore (1311) e chiamata mappa rtgni jerosolimitam designata sive pietà in panno de bucarono suto cum dic/o libro. cfr.K., p. 225 è l’opera dell’EHRLE in corso di pubblicazione cit. in nota. (5) Dico mi pare, perchè la frase è trascritta dal K. in nota a p. 217, ma senza accennare al punto della corporalis forma. GIORNALE STORICO E LETTERARIO DELLA LIGURIA 445 «felicissime rex quem juvenilis etas festinat», continua: « etcorporalis simul forma decorai » manifestamente alludendo a quella venustà di corpo a cui il re dovette lo storico suo soprannome. D’altronde nel 1296 cominciarono, colla bolla Clericis laicis, le famose questioni fra Bonifazio Vili e il re Filippo ; c da ritenersi che i grandi elogi che Galvano, religiosissimo uomo, rivolgeva al re siano dunque anteriori al 1296. Dobbiamo retrocedere dal 1295 senza toccare il 1291, cioè la data della perdita d’ Acri e degli altri luoghi sulle coste di Terrasanta. Ecco per quale ragione il K. ha indicato tal opera come scritta intorno al 1295 ; non mi è poi ben chiaro perchè egli propenda a re-spingerne la composizione, se ben leggo a pag. 217, verso la data della caduta d’Acri, perchè le frasi dirette al re Filippo stanno bene, a mio parere, anche per un giovane d’anni ventisette quanti ne avea Filippo nel 1295. Del resto, lo ripeto, questa è un’ inezia. « On pourra s’ étonner — conclude il K. — de voir ce medicin génois, dont les attaches semblent avoir été surtout du côté de la cour de Rome, adresser un semblable appel au roi de France.....Si Philippe le Bel en eut connaissance, il put être flatté de ce naïf témoignage du prestige que son nom exerçait au-delà des monts. Mais il est douteux que les arguments de Galvano l’aient bien vivement impressioné. Au lieu de lui recommander la croisade comme une oeuvre pie, mieux eût valu lui montrer quel intérêt sa politique y pouvait trouver». Ottimamente detto; ma è pur da osservare che a Genova i tempi di S. Luigi re, a cui probabilmente pensava Galvano dedicando a Filippo il suo trattato, non parevano poi così lontani come in Francia. Pochi anni dopo, cioè nel 1301, papa Bonifazio manda a Porchetto Spinola nuovo arcivescovo della città congratulazioni e benedizioni da impartirsi « alle donne che vengono senza essere chiamate.....mentre i re e principi del mondo senza riguardo alcuno di tutte le preghiere loro rivolte rifiutano di mandar soccorsi ai Cristiani banditi da Terrasanta..... e seguire le tracce di Cassan imperatore di Tartaria ». Fra queste dame genovesi (1), le cui corazze nel XVIII secolo un viaggiatore inglese ammirò nell’ « arsenale di Genova », erano una Carmandino, una Ghisolfi, una Francia (o Franchi?), una D’Oria, una Spinola, due Cybo, una de Cari (o Mari?). Così nel Michaud che rimanda all’ annalista della Chiesa Odorico Rinaldi da Treviso, meglio conosciuto col nome di Raynaldo. La differenza tra Liguria e Francia a questo tempo potrebbe pur apparirci se confrontassimo la Leggenda aurea di Jacopo da Varagine con la seconda parte del Romanzo della Rosa, ove d’ogni cosa venerata per l’addietro, d’ogni idealità medievale si fa lo strazio più osceno. Guido Bigoni. (1) Alleile il KuGLBR vi accenna St. J. Croc (ed. ital.) p. 533. A tale entusiasmo certamente avea contribuito il Giubileo dell’anno prima 1300. 446 GIORNALE STORICO E LETTERARIO DELLA LIGURIA Contrammiraglio G. Gavotti. Battaglie navali della Repubblica di Genova. Roma, Forzani e C., igoo, pp. 222. L’A., come dichiara nella Introduzione, si propose di studiare le battaglie navali sostenute dalla Repubblica genovese « dal punto di vista militare, con 1’ intento generale____ di raccogliere— in un sol volume ciò che è sparso in molti e facilitare, così ai giovani ufficiali la conoscenza delle nostre passate glorie marinare » (pp. 7-8). In queste parole è dunque il programma di un lavoro per se stesso non facile, certo assai utile e meritorio. Ma chi si accinge a scrivere un lavoro di tal genere, dovrebbe, io credo, accoppiare ad un corredo di sicure cognizioni tecniche una informazione ampia ed esatta della storia politica. Ora al G., uomo di mare, accadde ciò che avvenne ad altri ammiragli nello studio di importanti imprese navali. L’ A., quando studia la tattica e la strategia navale, dà prova della sua ben nota competenza in tale materia, ma non sempre le sue considerazioni sono basate su 1’ esame pieno ed esatto de’ fatti. Spesso il G. si attiene alle narrazioni degli storici genovesi Serra e Canale ; raramente ricorre alle fonti contemporanee ; ignora i risultati delle ultime ricerche sopra alcune battaglie navali ; non sa distinguere quasi mai gli scrittori di capitale importanza da altri del tutto secondarii, nè, come avrebbe dovuto, mostra a quali fonti e gli uni e gli altri attinsero le loro narrazioni ; talvolta, dando prova di poca serenità di giudizio, mi pare eh’ egli tenda ad attenuare o a giustificare, come vedremo, le colpe palesi di alcuni ammiragli genovesi. Per queste ragioni, troppo spesso la lettura del libro del G. non ci soddisfa e sentiamo il bisogno di conoscer meglio que’ fatti, che, con assai maggior cura, l’A. avrebbe dovuto esporre. Il volume si compone di una Introduzione, di quattordici capitoli, di una conclusione e di una lunga nota. Nella Introduzione l’A. s’ accontenta di fare un breve cenno delle battaglie navali sostenute dalla repubblica di Genova prima della battaglia del-l’isola del Giglio (1241). A p. 15 scrive che « durante il regno dei Carolingi esea ^la marina genovese) riappare nella storia, e nell’ 806 ». Ora, è sì vero che Pipino nell’ 806 mandò contro i Mori, che devastavano la Corsica, 1’ armata d’ Italia (classis de Italia), al cui arrivo immediatamente presero la fuga i Mori, e che uno dei sudditi, Ademaro, conte di Genova (1), che senza preoccupazioni avea assalito i Mori, fu ucciso (2), ma sarebbe stato (1) Sul conte Ademaro cfr. Sulla storia dei Genovesi avanti il MC. Conienti di Giacomo Lumbroso ; Torino, Bocca, 1872, p. 36, e specialmente la nota 1. Cfr. anche la recensione che di questo libretto scrisse L. T. Belgrano, in Arch. Stor. Hai. ; terza serie, t. XV (1872), 3. disp., pp. 523-526, e specialmente le pp. 524,525. Cfr. pure C. Manfroni, Le relazioni fra Genova, l’ impero bizantino e i Turchi, in Atti della Società ligure di storia patria; vol. XXVIII, fase. Ili, p. 585, n. 2. (2) Cfr. Annalium Laurissensium continuatio usque ad a. 829 auctore Einhardo, in Mon. Germ. Hist. del Pertz ; t. I (Scriptores), p. 193, ad annum 806. GIORNALE STORICO E LETTERARIO DELLA LIGURIA 447 più opportuno ricordare un’ altra notizia riferita da Einardo, storico di Carlo Magno, che, cioè, l’imperatore fin dall’anno 801 avea mandato in Liguria il notaio Ercambaldo per apparecchiare 1’ armata contro gli Arabi (1) ; il che è prova indiretta di armamenti navali compiuti sulle coste del mar ligure. Al G. la riscossa de’ Genovesi contro i Saraceni, che aveano, negli anni 934 e 935, invaso e saccheggiato la città, non sembra « inverosimile » (p. 17). Ora, che i Genovesi abbiano respinto i Saraceni, fu detto, è vero, da Jacopo da Varagine (2) e, sulla fede di lui, da molti storici genovesi, ma questa pretesa vittoria de’ Genovesi è da porsi oggi nel numero delle tante leggende, che molti storici raccolsero e sostennero per un sentimento di falso patriottismo locale (3'. A pp. 19.20 afferma che « nel 1034, durante la campagna contro il principe Zirita di Mehedia, un altro combattimento navale sarebbe avvenuto nelle acque di Bona, sostenuto dalle forze riunite pisano-genovesi, ma, esso pure, appena accennato nella storia ». In realtà, ne dànno un semplice cenno il Marangone ne’ suoi Annali pisani (4) ed il Breviarùim Pisanae histo-rlae (5)> ma ben più ampie notizie si trovano in altri scrittori (6). A p. 20 dice : « È accennata, dall’ antico annalista genovese, una vittoria dei Genovesi contro i Greci ad Itaca, nel noi, mentre ritornavano in patria; ma senza particolari di sorta ». Ma è strano che l’A. dimentichi ciò che intorno a codesta battaglia scrisse Anna Comnena (7(. (ij « Tum ille misit Ercanbaldum notarium in Liguriam ad classem parandam, qua elefans et ea quae cum eo adferebantur subveherentur ». Annales Laurissenses, in Mon. Germ. Hist., t. I (Scriptores), p. 190, ad annum 801. Questa notizia è riferita anche dal Manfroni, Storia della marina italiana dalle invasioni barbariche al trattato di Ninfeo, Livorno, Giusti, 1899; cap. II, p. 36, ma, forse per un’errore di trascrizione, egli cita, nella nota 3, della collezione del Pertz il tom. II (Scriptores) e la Pag- 541. invece della pag. 190 del t. I. (2) Jacopo Varagine, Chronica de civitate Januensi, in Muratori, RR. II. SS., t. IX, pagg. 10-11. (3I Cfr. Lumbroso, Op. cit., § 4, pag. 27 e segg. ; Manfroni, Storia della marina etc. cit., cap. II, pag. 61. (4) Bernardi Marangonis annales Pisani ab anno 1004 usque ad a. 1175, in Mon. Germ. Hist., t. XIX (Scriptores), pag. 238. Cfr. però ciò che sulla Cronaca Marangone scrisse L. A. Botteghi negli Studi Storici del prof. Crivellucci ; voi. VII (1898), fase. II, pagg. 157-170. (5) In Muratori, RR. II. SS., VI, 167. (6) Cfr. Amari, Storia dei Mussulmani di Sicilia; vol. Ili, parte I. (Firenze, Le Mounier, 1868), pag. 13, nota 3. (7) Cfr. Annae Comnenae Alexias , Lipsiae, in aedibus G. B. Teubneri, MDCCCLXXXIV ; vol. II, § 11, pag. 136 e segg. Cfr. anche Manfroni, Le relazioni fra Genova etc. cit., in Atti della Soc. lig. di st. patria ; vol. XXVIII, fase. III, pag. 588 e sgg. — Il Manfroni stesso, anche nella sua Storia della marina italiana dalle invasioni barbariche al trattato di Ninfeo cit., a pag. 148 e sgg., fa cenno di questa battaglia. A pag. 148 dice che i Genovesi doveano essersi alleati coi Normanni. « Se noi ricordiamo », scrive, « che l’impero Greco possedeva sulle coste dell’Asia le città ed i porti di Laodicea e di Maraclea, e che Boemondo aveva occupato una parte 44» GIORNALE STORICO E LETTERARIO DELLA LIGURIA A p. 20 scrive : «____nella prima guerra contro i Pisani sono accennati scontri navali, e gli annali pisani fanno menzione di una battaglia a 1 orto Venere nel H20; ma non abbiamo che una semplice notizia ». A dire il vero, sullo scontro di Porto Venere abbiamo qualcosa di più che « una semplice notizia ». Infatti, perchè il G. non discute ciò che in proposito scrissero Caffaro e la cronaca Marangone ? Riporto le parole di Caffaro : « Ja-nuenses cum magno exercitu ad Portum Pisanum tenderunt, scilicet cum galeis octuaginta, cum gatis. XXXV. et cum gulabis. XXVIII. et cum nanibus magnis. IUIor portantibus machina ac omnia instrumenta que ad lxrlla sunt necessaria, necnon uiginti duo milia uirorum bellatorum, militum ac peditum, inter quos bellatores quinque milia cum loricis et galeis ferreis ut nix albis induti erant, taliter terruerunt exercitum Pisanorum iuxta terram manentem, quod Pisani eiusdem exercitus mense septembris, in festiuitate sancti Cornelii et Cipriam et exaltatione sancte Crucis, de lite Corsice pacem in uoluntate Januensium iuraue-runt, et partes galearum stoli ab aliis separantes Pisas perrexerunt, et Januenscs in carcere captos inde carcere extraxerunt et Januam cum galeis eos deduxerunt, anni Domini. M. C. XX. » (i). Il Marangone invece, sotto la data del il 20 (anno pisano corrispondente al comune 1119)1 scrive che i lisani, nella festa di San Sisto, vinsero i Genovesi (2), e rimanda all’anno 1122 la comparsa dell’ armata genovese a Bocca d’ Amo (3). La battaglia a Bocca d’Arno è del 1121 (anno pisano 1122}, o non piuttosto del ΐ!2θ, dal momento che, fra l’altro, papa Callisto II nel 1121 non si trovava a Pisa, come dicono gli annali pisani, ma a Roma, dove, nel gennaio, scriveva una lettera ai vescovi di Corsica (4)? Di più, furono vincitori i Genovesi o i Pisani ? Afferma il vero Caffaro o la cronaca Marangone ? Non pretendo io di risolvere la questione intricata, intorno alla quale alcune osservazioni fece di recente il Manfroni (5), ma di proporre un quesito storico che avrebbe dovuto richiamare 1’ attenzione del G. Genova e Pisa, alla fine del secolo decimosecondo, non aveano dimenticato i passati rancori, che, anzi, si ravvivarono maggiormente quando Enrico VI delia prima città coll’aiuto dell'armata genovese, non parrà strano I'ammettere che realmente esistesse un’alleanza genovese-normanna, e che i Greci, non potendo vendicarsene subito, attendessero i Genovesi al loro ritorno dall'oriente, per far pagar loro la pena dei saccheggi e delle devastazioni commesse ». A dire il vero, questa ipotesi alquanto ardita non mi sembra persuasiva, perchè non è basata su fatti bene accertati. (1) Annali Genovesi di Caffaro e de’ suoi continuatori da! MXCIX al fifCCXCJ!/ a cura di L. T. Belgrano, Roma, 1890, pagg. 16-17 ('" fonti per la stona cll.i abilità tattica di Oberto D’Oria il G. fa cenno andie in un altro recente lavoro: Ifattori psicologici delle vittorie navali; Roma, Forzani e C., 1900, pagg. 48-49. (5) Nei Mon. Germ. Hist., t. XVIII (Scriptores) pag. 288 e sgg. Su Iacopo D’Oria cfr. Balzani, Le cronache italiane nel Medio evo; Milano, Hoepli, 1901, pagg. 292-293. GIORNALE STORICO E LETTERARIO DELLA LIGURIA 453 le vele, non poterono muoversi a grado loro, nè soccorrersi a vicenda ; e combattuti dai Genovesi a piè fermo, furono sconfitti con la perdita di venticinque galee, dell ammiraglio Basilio e di altri illustri personaggi » (p. 72). Λ convalidare questo racconto che risponde, nell’ insieme, al vero, avremmo veduto volentieri citata una buona fonte del tempo (1), che il G. ha costantemente trascurato. Riassume anche il racconto dello storico genovese Paolo Interiano, che « nel descrivere la battaglia di Laiazzo si ispira all’ arte di Orazio contro i Curiazi » (p. 71). Le galee dello Spinola, dice Interiano, finsero di fuggire per guadagnare il vento. Inseguite dal nemico, gli si rivolsero rapidamente contro, e lo sorpresero in una caccia disordinata combattendolo così alla spicciolata. Il G. giudica questo sistema d’ attacco « astuto e razionale » ; sembra che 1’ Λ. presti fede ad Interiano, perchè, a pag. 78, trattando della battaglia di Zierikzee, afferma che Ranieri Grimaldi usò contro i Fiamminghi « di uno stratagemma ; lo stesso adoperato dai Doria alla Meloria ed a Curzola ». Ma di questo stratagemma nelle fonti del tempo non troviamo il benché minimo accenno, e, d’ altra parte, il G. non ha forse considerato che Interiano (2), vissuto a mezzo il secolo XVI, è spesso narratore poco esatto e poco sereno (3). Sulla battaglia di Curzola l’A. espone cose ben note (4), mettendo in evidenza l’abilità tattica di Lamba D’Oria (p. 75). (1) Ossia il De Monaci (Chronicon de rebus venetis ab U. C. ad annum MCCCL/V, Venetiis, MDCCLVIII : lib. XI, pag. 201), che, dopo di aver trattato delle forze delle due armate, scrive : « Capitaneus Venetorum cognito earum [le galee genovesi] adventu, quaesitas per triduum invenit apud Ajacium unitas, et, ut ajunt, frenelatas, simul ligatas, injunctasque pontibus habentes proras in oppositum venti. Consulebant aliqui Venetorum, ut secundante vento impingerentur unum vel plura navigia succensa ignibus sub proras galearum Januensium, quae dissolutae separarentur, et faciliter vin-rerentur. Vicit festinatio utile consilium. Veneti enim venientes a Pelago vento secundo, et valido confisi raajori numero galearum suarum, pergunt festinanter inconsulte, et impetuose contra hostilem classem, et 111 ipso discursu depositis velis minimeque collectis, dum vix attigissent remos XV. earum dejectae impulsu maris, et violentia venti, dederunt latera proris inimicorum, adeo ut relique, neque suis ferre auxilium, nec dimicare possent cum hostibus. Victis igitur Venetis, et capta magna parte suarum galearum, multisque peremptis interficitur Marcus Basejo Capitaneus. Dictus Frater Jacobus de Voragine .lanuensis dicit hanc victoriam a Deo, non a virtute Januensium pervenisse. In historia autem terrae Promissionis, ubi incidenter fit mentio de hoc praelio, innuitur, Venetos superatos fuisse propter nimiam festinantiam, et inordinatos insultus ». (2) Cfr. Paolo Interiano, Ristretto delle historié genovesi. [In fine] In Lucca, per lo Busdrago, MDLI. (3) Chi legga il Ristretto dell' Interiano, s’ accorgerà subito che questi è storico poco attendibile. Afferma si lo Spotorno (Storia letteraria delia Liguria ; Genova, tip. Ponthenier, 1825 ; vol. Ili, pag. 76) che Interiano fu storico « grave, prudente, sincero », ma codesto giudizio mi sembra errato. (4) Maggiori particolari si possono trovare nel De Monaci, Op. cit., pag. 203 e sgg., e nel De vitoria faeta per Januenses contra l’enetos in gul/o Venirianorum prope ysolam Scurzule etc., in Arch. Glottol. /tal., vol. II (1876), pag. 223 e sgg. Cfr. anche Caro, Op.dt ., II, 243 e sgg. 454 GIORNALE STORICO E LETTERARIO DELLA LIGURIA Nel capitolo settimo (pp. 77-81 ) l’A. si occupa della battaglia di Zierikzee. Nel 1304 i Fiamminghi, capitanati da Guido di Namour, assediavano Zierikzee nell’ isola di Schouven, e stavano per impadronirsene quando un’ armata francese, comandata da Ranieri Grimaldi, genovese, giunse in soccorso della città minacciata. Sotto i suoi ordini, scrive il G., Guido di Namour avea ottanta navi. La lotta fu accanita. Per vincere i nemici, Ranieri Grimaldi ricorse ad uno stratagemma. Egli finse di fuggire e lasciò le navi francesi alle prese con 1’ armata fiamminga, la quale, credendo che l’ammiraglio genovese fosse fuggito, raddoppiò di ardore e si cte-deva ormai sicura della vittoria quando il Grimaldi ritornò a voga arrancata presso i nemici, assalì i Fiamminghi già stanchi della lunga lotta , abbordo personalmente la nave del Namour e se ne impadronì. L annata fiamminga si salvò con la fuga. L’A. dichiara (p. 79) di aver tratto questa narrazione « dagli storici francesi ». Di quanta utilità sia agli studiosi questo metodo di citazione, non occorre notare ! Riporta poi (pp. 80-81) un brano della cronaca di Giovanni Villani, brano che « non differisce nel concetto tattico ehe decise della vittoria », ma solo in alcuni particolari importanti dal racconto surriferito. Alla battaglia del Bosforo (1352) FA. dedica il capitolo ottavo (pp. 83-95). Al Bosforo si combattè una di quelle battaglie nelle quali ciascuna delle due parti si attribuì 1’ onor della vittoria. Non avendo fatto studi speciali su questo argomento, non oso affermare se la vittoria abbia arriso a Veneziani o ai Genovesi (1). È un tema che va studiato con molta cura e con mente serena. Troppo esclusivamente il G. si attiene agli scrittori genovesi Stella, Giustiniani, Canale e Sena ; questi due ultimi, in modo speciale, sono quelli eh’ egli predilige. Invano si cerca nella narrazione dell’A. un esame accurato delle fonti riguardanti la battaglia in discorso. Duole dover notare come egli mostri sempre mancanza assoluta di rigore metodico e di discernimento critico. Non sa distinguere, mi pare, il valore degli scrittori eh egli cita : uguale importanza, per esempio, attribuisce ad uno scrittore del secolo decimoquarto, e ad uno del secolo decimonono (2). Afferma che la battaglia finì con « una vittoria pei Genovesi » (p. 94) ; ma come fa il G. a mettere d’ accordo la sua affermazione col racconto che di questa battaglia (1) Il Cipolla stesso, la cui avvedutezza è ben nota, scrive che « la grande battaglia rimase indecisa ». Cfr. Cipolla, Storia dell· Signorie Italiane dal ijij al r5jo; Milano, Vallardi, 1881, pag. 166. (2) Per esempio, a pag. 84 scrive: « Pagano Doria, ammiraglio genovese, aveva sessanta galee, secondo alcuni (Stella, Giustiniani, Canale), scssantaquattro secondo il Villani, settanta secondo il Serra ». A pag. 85 : « ....I Catalani e i Veneziani, comandati i primi da Ponzio di Santa Pace, gli altri da Nicolò Pisani,..., si recarono verso l’isoletta dei Principi per entrare nel Bosforo, onde congiungersi a quattordici galee (otto secondo il Villani, Serra, ecc.) ». A pag. 93: « Lo Stella e il Giustiniani vogliono che i Genovesi abbiano ricuperato dieci delle galee perdute nel combattimento.... Il Serra riduce a quattordici le galee veneziane catturate.... ». GIORNALE STORICO E LE TTERAIRO DELLA LIGUIRA 455 danno il De Monaci e il Sanudo (1) ? Ognun vede che si tratta di due fonti veneziane assai importanti, che ΓΑ. avrebbe dovuto esaminare e discutere. Delle battaglie di Loiera e di Porto Longo (1353-1354) l’A. tratta nel capitolo nono pp. (97-105). Niente di nuovo offre la narrazione sulla battaglia di Loiera : giudica la fuga di Antonio Grimaldi « incomprensibile », e la perdita del comando supremo alla quale fu condannato « pena assai inadeguata alla colpa » (p. 101). Inesatta e incompleta è la descrizione della battaglia di Porto Longo, intorno alla quale mi sembra definitiva la monografia documentata di Vittorio Lazzarini (2). Peccato davvero eh’essa sia sfuggita all’attenzione dell’A. A p. 102 il G. scrive: « Egli [Niccolò Pisani] divise la sua armata in due parti, acciocché 1’ una vigilasse all’ entrata del porto, mentre 1’ altra provvedeva nell’ interno al suo vettovagliamento e ai lavori. Alla bocca del Porto il Pisani si collocò colle navi grandi e venti galee, che incatenò tra di loro ». Ciò è inesatto. Niccolò Pisani fece legare ventuna galee e lasciò alla riscossa di esse altre quattordici sciolte delle quali diede il comando a Niccolò Quirini boecio con 1’ ordine di custodire e difendere il porto e di attaccare ed investire quelle galee ji) Il Dk Monaci (Op. Cit., lib. XII, pag. 2141 cosi scrive: « Hic [Franciscus Caravelo] qui interfuit praelio antescripto rem gestam narravit apertius, videlicet, quod die XIII Februarii per duas horas ante noctem inita fuit pugna ente tempestate maris, et venti, quod Classis Veneta obtinuit victoriam captis XXVIII. galeis Januensium, quarum omnes homines perierunt, quod ex reliquis Januensibus aliarum galearum multi vulnerati, multi interfecti, pauci capti fuerunt, quod Veneti qui perierunt in illo praelio esse potuerunt ad numerum 1111 galearum, inter quos fuerunt Nobiles suprascripti, quod decem corpora galearum Venetorum fuerunt amissa, inter quas fuit una de Creta Supracomito Francisco Calbo, quod quinque galee Catelanorum cum hominibus perierunt, quod aliis VII. Catelanorum galeis declinantibus ad terram homines evaserunt ». E nel Sanudo (Op. cit., in RR. II. SS., XXII, col. 624I leggiamo queste parole : <> ....Vedendo i nostri di non poter’esser vincitori, si ritirarono con l’armata. Tamen scrive il Sabellico, che Giovanni Dolfino scrisse alla Signoria, che nella detta pugna i nostri erano siati vincitori, perchè solutn perderono quattro Galere, e de’ Genovesi fiiroiinc prese 28 e tra’ morti e presi de’ nostri da mille uomini. Et è da sapere, che i Genovesi combatterono contro al Sole, contro del vento, contro il mare, e contro tre armate ; sicché ad ogni modo ebbero la piggiore ». Se mai ce ne fosse bisogno, vedasi su l’importanza del Sanudo come cronista la bella Avvertenza che il prof. Monticolo manda innanzi alla nuova edizione giA citata delle Vite dei dogi. Ho sott’ occhio un lavoro recentissimo su I.c croniche bolognesi del secolo XIV. Studio di Albano Sor-bulli; Bologna, Zanichelli, 1900, pp. 347· Aj>ag. 146 ΓΑ. riporta un brano della cronaca Varignana ; vi si legge che la battaglia del Bosforo avvenuta « a di XII (sic) del mese de febraro ....fuo molto aspera e mortale e molty morirono de ame le parte. Alla fyne li vcnecinni e chatelani ftiorno sconfidi con grande loro danno de galee e de huomeni morti anegati e presi. E gli gienoesi victoriosi con grande triumpho retornaron a gienoa ». Il Sor belli peri) a pagg. 144-145 dichiara che « da ricerche fatte e da documenti trovati neU'Archivio di Stato, ha potuto persuadere' che questa cronica per buona parte del secolo XIV, merita proprio poca fede ». (2) Vittorio Lazzarini, I.a battaglia di Porto Longo nell’ isola di Sapienza, Venezia, Visentini, 1S94, pagg. 45 (eslr. dal Nuovo Archivio Veneto, t. Vili, parte 1). 45*5 GIORNALE STORICO E LETTERARIO DELLA LIGURIA nemiche che, a danno de’ Veneziani, volessero entrare nel porto ed impedir loro, in ogni modo, Γ entrata (i). Il G. confonde nella narrazione « il Morosini » (Giovanni Morosini so-pracomìto) con .Niccolò Quirini. Secondo il G., « Giovanni Doria, nipote dell’ ammiraglio in capo, con ardimento giovanile, si cacciò nel porto, passando tra 1’ armata del Pisani e la riva con due galee, seguito subito dopo da altre tredici, e a voga arrancata attaccò il Morosini. Questi, sorpreso, non oppose quasi resistenza ; i suoi equipaggi si salvarono a nuoto, e le quindici galee caddero in potere del Doria. Il giovine audace si slancia allora ad attaccare il Pisani da tergo, e spinge contro di lui due delle sue stesse galee, alle quali aveva appiccato il fuoco » (p. 103). Evidentemente il G. segue, per via indiretta, Matteo Villani : egli attinse le notizie surriferite dal Canale (2), che, nel racconto della battaglia, si attiene al solo Villani. In modo differente descrivono la battaglia le cronache veneziane (3). I prigionieri, scrive il G. (p. 104), furono cinquemila ottocentosettanta ; ma sul numero dei veneziani morti e feriti a Porto Longo le fonti sono tra loro discordi (4). Il giorno della battaglia fu, secondo il Villani, il 3 novembre 1354» e questa data è accettata anche dal G. (p. 103) ; ma lo Stella, il De Monaci e il Chronicon Giustinian scrivono il 4 novembre (5). Erra il G. affermando che la condotta dell’ ammiraglio veneziano alla battaglia di Porto Longo « poco si comprende » e che « questa battaglia____ci sia pervenuta, per successive descrizioni, inesattamente narrata » (p. 104). E neppure rispondono al vero queste parole : « La inazione del Pisani, mentre il Doria attaccava il Morosini (sic) nel porto, mantenuta anche dopo la sconfitta di questo e quando il nemico si dirigeva contro di lui da tergo ; 1’ avere atteso colle navi legate il doppio attacco, invece di scioglierle prontamente e acquistare intera libertà d’ azione ; sono circostanze tutte che allo studioso di tattica navale riescono strane e molto dubbiose » (pp. 104-105). « Molto dubbiose », no, oso soggiungere, « strane », sì, e mostrano chiaramente quanto grande fosse la viltà e la imprevidenza dell’ ammiraglio veneziano, che gravi errori aveva già commesso prima di ricoverarsi a Porto Longo (6). « Battaglie di Anzio e di Pola. Presa di Chioggia (i378-I379_i3^°) }> : così s’intitola il capitolo decimo (pp. 107-116). Quanto alla battaglia d’Anzio, l’A. accenna soltanto al combattimento avvenuto fra quattordici galee veneziane, comandate da Vettor Pisani, e dieci galee genovesi, capitanate da Luca Fieschi; afferma, sulla fede del Chinazzo, che i Veneziani « presero (1) Lazzarini, Op. cit., pag. 9. (2) Canale, Op. cit. ; vol. IV, pag. 38. (3) Cfr. Lazzaroni, Op. cit., pag. 12. (4) Cfr. Lazzarini, Op. cit., pag. 14. (5) Cfr. Lazzarini, Op. cit., pag. 14. (6) Cfr. Lazzarini, Op. cit., pag. 25 e sgg. GIORNALE STORICO E LETTERARIO DELLA LIGURIA 457 cinque galee genovesi con tutte le ciurme e una sesta vuota che si arrenò o fu fatta arrenare; tutte le bruciarono, meno la capitana » (p. 108). 11 racconto della battaglia di Pola è basato sopra una lettera di Ambrogio D’Oria, succeduto nel comando a Luciano D’ Oria ucciso durante il combattimento. Il G. giudica questa relazione « degna di fede, anche perchè lo stratagemma di Luciano D’Oria in esso descritto corrisponde all’ arte tattica che condusse sempre i Genovesi a completa vittoria » (p. 109). Che questa ragione, storicamente, sia persuasiva, non mi sembra. E, d’ altra parte, ciò che sulla battaglia di Pola dice il Sanudo (1), è ben differente dalla relazione di Ambrogio D’ Oria ; ora l’A. avrebbe dovato tener conto di quanto lasciò scritto il cronista veneziano, trattandosi di una fonte storica così importante. Nelle pp. 113-115 accenna a’ noti preparativi che fecero le repubbliche di Genova e di Venezia per la guerra di Chioggia, guerra della quale il G. non tratta « perchè nelle due espugnazioni di Chioggia non vi furono battaglie navali » ip. 116). Nel capitolo undecimo (pp. 117-125) l’A. si occupa della battaglia di Ponza, riportandone la nota relazione che Biagio Assereto scrisse alla Repubblica genovese dopo il combattimento (2). Il capitolo dodicesimo è consacrato a studiare la battaglia di Amalfi (pp. 127-133'. Il G. riassume brevemente la battaglia di Amalfi, detta anche della Cava, o di capo d’Orso, combattutasi il 28 aprile 1528 fra gli Spagnuoli, comandati dal vice re Ugo Moncada, e 1’ esercito franco-genovese, capitanato da Filippino D’Oria, mandato nel mezzogiorno da Andrea D’Oria, perchè aiutasse il Lautrec che invadeva il Napoletano per la via delle Puglie. Il G. non cita 1’ autore dal quale trasse il racconto della battaglia, ma evidentemente segue il Manfroni (3). Questa battaglia si chiuse con un segnalato trionfo di Filippino D’ Oria (4L (1) Sanudo, Op. cit., in RR. II. SS., XXII, 683 e sgg. Cfr. anche Cipolla, Op. cit., pag. 249. (2) Sulla battaglia di Ponza cfi. Giovanni Stella, Annales Janucnses, in Muratori, RR. II. SS., XVII, 1316-1318 ; Giovanni Simonetta, Rerum gestarum Francisa Sfortiae Mediolanensium ducis liber tertius, in Muratori, RR. II. SS., XXI, 244-245; Giornali napolitani dall’ arino MCCLXVI fino al MCCCCLXXVIII, in Muratori, RR II. SS., XXI, noo-iioi. Ne fa cenno anche il De Raimo nella sua Istoria napoletana, in Muratori, RR. II SS, XXIII, 227. Cfr. anche Cipolla, Op. cit., pag 359. E su Biagio Assereto vedi Manno, Bibliografia di Genova, Genova, Sordo-muti, 1898, pagg. 92-93 (3) Cfr. Manfroni, Storia della marina italiana dalla caduta di Costantinopoli alla battaglia di Lepanto, Roma, Forzani e C , 1897, pagg. 276-278. (4J Della battaglia di Amalfi trattano anche due lettere che si trovano nel R. Archivio di Stato di Modena (Cancel'eria Reale - Carteggio ambasciatori - Firenze e Napoli), citate dal Manfroni nella sua Storia della marina italiana dalla caduta di Costantinopoli etc. cit., a pag. 277, 11. 1. E poiché contengono alcuni particolari assai interessanti sulla battaglia di Amalfi, credo opportuno di pubblicarle per intero : — « Illustrissimo et Excellentissimo Signore mio observandissimo. Heri scrissi a Vostra Excellentia como questi Signori haveano habuto dal campo nuova certa della novella de 1’ armata, et fui breve, e ciò perchè pensava 458 GIORNALE STORICO E LETTERARIO DELLA LIGURIA Nel capitolo tredicesimo (pp. 135-150) l’A. tratta delle battaglie di Paxo e della Prevesa (1537-1538). La battaglia di Paxo, com’è noto, fu combattuta da Andrea D’Oria, ammiraglio di Carlo V, contro i Turchi, comandati dal Barbarossa. Alcune notizie il G. attinge dal Manfroni (1). La havere messo, il quale poi non venne et anchor non havea potuto intendere apieno come la cosa si fosse ita. Hora faccio intendere all’ Excellentia \ os tra come l’oratore de questi Signori dal Campo, per sua lettera de 29, ha scritto ad essi Signori 1’ armata dell’ imperiali esser sta rotta dal Conte Philippino Doria, la quale conteneva vi. galere, 4. fuste, 11. bragantini et v erano 800 in 1000 archibusieri spagnoli. In su 1’ armata del Re era di più 300 archibusieri, li quali vi furono mandati v. giorni manzi da mons. di Lautrech, et dopo meza hora che e’ forono inbarcati, feciono conflitto. Combaterno 4. hore cum assai occisione d’ homenj, tanto che una galera imperiale fu messa in fundo et 4. ne forono prese, su le quali era il marchese del Guasto, il quale era ferito a morte da uno archobuso, il Principe di Salerno, Don Ugo, quali sono morti, il Sig. Ascanio, S.ta Croce et il Capitaneo Curradino et altri personaggi di conto, tutti o morti o pregioni. La vi.ta galera non si sapea dove fosse scorsa cum 1’ altre fuste et brigantini. Ma tutta 1’ armata è disfata, et, oltre a Capi de tanta importanza, v hanno perso Imperiali 800 in 1000 archibusieri de megliorj che vi ha vesserò. Hora, per quanto s’ entende, attendeno a creare novi Capi dentro a Neapoli, dove s’ intende che hanno abundantia de grano, ma penuria de farine, perchè v’ hanno tolte Γ aque, et macinano sol cum pestóni, et hanno carastia de altre cose, et in breve 1’ haverano ancho de carne. L’ armata de \ enetiani anchor è nel Mare Adriatico et pare che attendano più a casi soj che al ben commune de la lega. — Florentiae, XJ Maij 1528. — A Vostra Excellentia — fidelissimo servitore Alexandro Guarino ». — « De Napoli a li 23 de Maggio 1528____ Havendo 1’ occasione del presente messo, replicarò a Vostra Excellentia quel che per altre mie le ho sento. Questi S.ri Co. se redussero qua dentro con 1’ esercito francese ; sono foggiati a Poggi0 Reale et loci circumstanti: ci levorno 1’aqua corrente che veniva dentro la terra, ma havemo tanti poçi et fontane surgenti che bastano: ci levorno quasi tuti li mulini fuor de la terra quali ad epsi fanno poco profita, perchè fumo minati da questi Imperialj et levate le mole e condute dentro et se son fati tanti pistrini da cavallo et da braccij che supliscono a la terra de la quale sono usciti molti Baronj et Gentilhomini, anci quasi tuta la Nobiltà nanti la giunta nostra. Se tiene veramente che sijno uscite de le persone 25m ; chi è ito ad Ischia, chi a Surrente, chi a Salerno, chi a Capre et chi ad altra parte. Il S.re principe hebbe lo privilegio in persona sua da lo Imperatore di esser capitano generale di questo Exercito con la promessa a boccha del governo di questo Regno, o del Ducato de Milano, quale de le duo più gli satisfaceva. Il S.or Don Ugo, conscio del tuta, maj riposava con l’animo et haveva fato una secta del S.or Marchese del Vasto, del S.or Ascanio Colonna, del S.or Cesare Feramosca, del Duca de Malfi, e forse d’alcuni altri che sempre in le consilie erano di contrario parere al S.or principe, etiam che conoscessero che Sua Excellentia proponesse cose bone et saluberrime, nè mai se sentiva altro, se non : « Io me ne lavo le mani ». Io protesto etc. Di sorte che spesse fiate esso S.°r principe se trovava mal contento; la sorte ha voluto che, essendo ve- (1) Manfroni, Storia della marina italiana dalla caduta di Costantinopoli alla battaglia di Lepanto cit., pag. 322. GIORNALE STORICO E LETTERARIO DELLA LIGURIA 459 vittoria arrìse al D’ Oria, e fu celebrata e glorificata per tutta 1’ Italia, e « ciò », dice l’A., « non fu per il suo risultato tattico, ma perchè era inizio fortunato e di buon augurio per la guerra in corso » (p. 138). Trattando della battaglia della Prevesa il G. studia la condotta di Andrea D’Oria. Ben si sa che dapprincipio Γ ammiraglio genovese si slargò in mare, fece un lungo giro intorno alle navi a vela quasi volesse allettare i Turchi a seguirlo e tirarli contro le navi, guernite di grosse artiglierie ; poi da ponente a levante tornò al posto di prima. Il G. crede che queste evoluzioni fossero « conseguenza piuttosto di un’ eccessiva prudenza, di indecisione, di poca fiducia nelle sue forze, anziché di premeditata strategia navale » (p. 150), come pensa Jurien de la Gravière. Ma che il D’Oria cercasse alla Prevesa di evitare la battaglia, è un fatto che non si può porre in dubbio. Ha un bel dire il G. « La grave responsabilità del comando di duecento navi che assumeva per la prima volta, il timore di esito infausto di una battaglia così importante per la Cristianità, combattuta con un’ armata composta di elementi non abbastanza cementati, possono avere gravitato sull’ animo del-1’ ammiraglio genovese e vinto sull’ indomito coraggio personale, del quale nute qua 5. galee che erano a Caieta et trovandosene qua due altre con una fusta nova et alcuni bragantini, il S.or Don Ugo deliberò di andar ad salir 1’ armata de nimici, che non ardiva approximarse ad questa Cità, ma stava lontana verso Salerno circa xx miglia. Fece ben armare dieta annata di tute le cose necessarie et precipue de boni Arcibusieri Spagnolj et de Capitani valenti. Il S.or marchese del Vasto vi volse andar suso etiam ch’el principe non volesse e lo exhortasse ad atender solum a la difesa del monte di S. Martino di che teniva carico con bona banda de fanti Spagnolj : vi volsero anche andar sopra il S.or Ascanio et S.or Camillo Colonna, il S.or Cesar Fieramosca, Don Petro di Cordona, figliuolo del quondam Conte de Gilisano, et altri gentilhomini et tutti hebbero mala sorte, però che, combattendo virilmente con 1’ armata francese, furno superati et debellati. Cinque galee et la fusta de li Cesarei furno prese, su le quali furno morti molti Signori et Gentilhomini, tra quali se sa la morte del S.or Don Ugo et del S.or Cesar Fieramosca quali combaterno sin che hebbero spirito in corpo : vi morsero etiam Don Petro di Cordona, Leon Tassino de Ferrara, che stava per gentilhomo col S.or marchese, Joanne Hieronimo, capitano del Artegliaria Cesarea, et alcuni Capitani Spagnoli et, tra 1’altri, il capitano Spinosa et il capitano Cymbien. Molti restorno pregioni et tra 1’ altri il S.or marchese del Vasto con una ferita, il S.°r Ascanio et S.or Camillo Colona, Don Phylippo Cerneglien, Joanne Thomaso Tucha et alcun altri servitori del S.or marchese. L’ altre due galee tornorno qua in porto nè volsero combatere. Per la dita nova alcune terre di questo Regno se rebel-lorno a Francesi et, tra 1’ altre, Surrente. Et dipoi la dita annata prese Pocciolli nel qual se trovava Marco Antonio Gorgano con circa 100 fanti, et perchè non se volse defendere, o forse non puotè, fu decapitato qua di ordine del principe. Di poi da 3. galee di epsa armata fumo levati il S.or Marchese, il S.or Ascanio et S.or Camillo Colonna et l’altri pregioni et condoti a Genua come scrissi. Pensano el medesimo del principe de M elphia, ma ho inteso eh’ el è stato liberato perchè si è fato francese. — Di V. S. 111.>na — ossequentissimo servo Hieronimo Nasello ». 46ο GIORNALE STORICO E LETTERARIO DELLA LIGURIA avea dato numerose, indubitabili prove » (nota, p. 200). Ma un consiglio di uomini valorosi non chiedeva forse di combattere ? Marco Guazzo, testimone di veduta, che assistè come marinaio alle operazioni di tutta la campagna, scrive : Vincenzo Capello « sopra d’una fusta di sua signoria essendo montato si come armato d’ una coracina carmosina ritrovavasi, con un capello di paglia in testa, al Prence fu andato dicendoli: e che facciamo noi, che non investiamo ne i nemici, se forsi di me, e delle galere nostre che mancando non facciano il debito nostro voi dubitate, rimovasi vostra sign. da questo, perchè se a quella parerà e mi comandi, io il primo sarò ad investire in loro con tutte le mie galere » (1). Il D’Oria rispose: « Seguitatime pure, venendomi drieto, a me di ciò la cura lasciando, che quando il tempo me lo darà, del debito non mancherò » (2). Ma per la seconda volta ripete la sua manovra, da ponente a levante, ripassando a poca distanza dalle navi a vela e poi di nuovo ritirandosi (3). Ciò che poi avvenne, è già noto. battaglia di Lepanto è il titolo del capitolo quattordicesimo (pp. 151 -165) ; forse sarebbe stato più proprio questo titolo : « La condotta di Giannandrea D Oria nella battaglia di Lepanto », perchè a p. 152 1’ A. dichiara che « il suo studio ha per iscopo principale la critica della condotta tattica del Doria durante quella celebre giornata » (4). Egli non mette a profitto gli studi ìecenti sul grande avvenimento. Seguendo, mi pare, il sistema adottato dal Veroggio nel libro Giannandrea Doria alla battaglia di Lepanto (Ge- (1) Historié di M. Marco Guazzo, Venezia, Gabriel Giolito de Ferrari, MDXLVI, pagg. 273 t - 274 r. (2) Guazzo, Op. cit., pag. 274 r. (3) Id. ibid. (4) In una nota a pag. 153 il G. avverte che la battaglia di Lepanto « fu celebrata da molti poeti del tempo », e fa questa citazione : « V. E. Masi e P. Molmenti ». Al lavoro del Masi (I cento poeti delia vittoyna di Le franto, in Nuovi studi e ritratti, Bologna, Zanichelli, 1894 ; vol. I, pagg. 259-273) e a quello del Molmenti (Sebastiano Vernerò e la battaglia di Lepanto ; Firenze, Barbèra, 1899, pag. 148 e sgg.) aggiungi : Mazzoni, La battaglia di Lepanto e la poesia politica nel secolo XVI, in La vita italiana nel seicento. Milano, Treves, 1895 ; vol. II ^Letteratura), pagg. 167-207 ; Solerti, Vita di Torquato Tasso, Torino, Loescher, 1895 ; vol. I, pag. 156, n. 4; Segre, La manna militare sabauda ai tempi di Emanuele Filiberto e Γ opera politiconavale di Andrea Provana di Leynì dal 1560 al 1571 ; Torino, Clausen, 1898, pagine 142-146 (estr. dalle Memorie della Reale Accademia delle Scienze di Torino, ser. II, t. XL Vili) ; Mango, Una miscellanea del secolo XVI, in Varietà letterarie: Roma, Tip. Cooperativa Sociale, 1899, pagg. 51-81. [Cfr. intorno a questa miscellanea il Giorn. stor. d. lett.ital., anno XVIII (1900., fase. 104-105, pag. 440]; A. Zenatti, Giulio Cesare Muzio nella guerra contro 1 Turchi degli anni 1571-72. Parenzo, tip. G. Coana, 1900, pag. 9. Il Belloni, nel suo volume Gli epigoni della Gerusalemme liberata (Padova, Draghi, 1893), tratta con molta cura di alcuni poeti che nel seicento presero a cantare la memorabile battaglia. Cfr. pagg. 24-26, 56, 250, n. 9, 365, n. 1, 412 e sgg., 460, n. 4. V. anche l’appendice bibliografica, pag. 485 e segg., e cfr. dello stesso Belloni II Seicento. Milano, Vallardi, 1899, pagg. 137-138. GIORNALE STORICO E LETTERARIO DELLA LIGURIA 461 nova, Sordo-muti, 1886), tende ad attenuare la colpa dell’ ammiraglio genovese. Solo « in apparenza », egli dice, il D’Oria mostrò « poca volontà di combattere » (p. 163) ; tanto è vero, soggiunge, che si gettò nella mischia quando cessò a’ suoi occhi « ogni utilità di ulteriori ritardi ». E in una nota a p. 212 scrive: « Egli si diresse al largo per lasciar spazio allo spiegamento della linea dei Cristiani ed eccedè nella distanza per impedire all’ avversario, la cui linea oltrepassava la linea della Lega, di avvolgerlo. Si mantenne manovrando sempre a quello intento e pronto a piombare alle spalle di Ulucci - Ali ove questi avesse accennato di buttarsi sul fianco del corpo di battaglia cristiano » ; ripete poi che il D’ Oria « vista l’inutilità di ulteriori manovre con forze così limitate, si gettò an-ch’ egli nella mischia ». È vero che Giannandrea si gettò contro le galee nemiche quando vide la rovina che 1’ ala sinistra turca andava facendo della destra cristiana, ma solo allora. Del resto, che il D’ Oria fosse riluttante dal combattere per meditato proposito e non per circostanze create dalle vicende della guerra, lo provano le esplicite ed eloquenti parole che, fino dal 7 settembre 1570, il capitano generale Girolamo Zane scriveva ai capi del Consiglio dei dieci (1). Ma v’ha di più. Nel 1899 il prof. Francesco Corazzini pubblicò una relazione assai interessante sulla battaglia di Lepanto (2). Il G. ne fa cenno a p. 214. Quanto a Giannandrea D’Oria, nella relazione sopra ricordata, leggiamo a p. 5 queste parole : « In tra (1) Cfr. Molmenti, La battaglia di Lepanto narrata da un mercante genovese, iti Riv. mariti., 1898, fascicoli VIII-IX (agosto-settembre), pag. 255. La lettera dello Zane fu riprodotta, in parte, da G. Cogo, Venezia e la battaglia di Lepanto secondo le recenti ricerche, Roma, 1S99, pag. 11 (estr. dalla N. Anlol., vol. LXXX11, serie IV). (2) F. Corazzini, Battaglia di Lepanto, Torino, tip. G. Derossi, 1899, pp. 8 (per nozze Corazzini-Brenzini). A pag. 3 il C. scrive : « Questa descrizione è tolta da un Codice che sì conserva, come è detto, nella Biblioteca del Duca di Genova. In fronte vi è scritto che si crede opera del Longo. Il Professore Segre che prepara un’ accurata monografia sulla guerra di Cipro, e pubblicherà per intero, o in parte, il Codice, la reputa di uno dei Sanuto. L’originale, forse autografo, si conserva nella Biblioteca Corea di Vienna, e un’ altra copia nella Marciana di Venezia ». Lo stesso prof. Corazzini, nel 1883, in occasione del varo della Lepanto, pubblicò un articolo su la celebre battaglia nel Supplemento al 11. 10 della Gazzetta finanziaria di Livorno. L’A. si attenne, 111 parte, al lavoro Marcantonio Colonna etc. del Guglielmotti. Ha parole giustamente severe per Giannandrea D’ Oria. Nello stesso Supplemento il C. pubblica anche una lettera che dichiara di aver avuto dal sig. Annibaie Ciuci, bibliotecario e conservatore del Museo etrusco di Volterra. È questa lettera un documento importante per le notizie che contiene su fiorentini morti o feriti nella battaglia. È scritta da Ficaglia il 10 ottobre 1571 da un « Bernardino » ai suoi fratelli. Le mie ricerche per trovare il cognome dell' autore della lettera riuscirono infruttuose. Egli è certo un toscano, anzi, molto probabilmente, un fiorentino, amico di cospicue famiglie di Firenze : aveva preso parte al combattimento e v’ era rimasto ferito. « Io », dice, [fui ferito] « con parecchie sassate buone, 462 GIORNALE STORICO E LETTERARIO DELLA L1GUIRA * li corni sinistro de Turchi, et destro nostro del quale era Capo il Doria « non si combattè perchè uno, e l'altro andauano longandosi dalla bat-« taglia per prender gli auuantaggi, et si erano largati tanto, che in tra di « loro, et le battaglie era rimasto uacuo grande spatio di mare. VIuzzali « Capo del Turco uedendo la rovina della sua armata, pensò à saluarsi, « et per questo spatio vacuo passar per puppa alla nostra armata, et an-« dandosi inuestì alquante galee delle nostre, che erano nella estremità « della battaglia, et ui ammazzò molta gente, passato poi oltra queste m-« vestì altre per puppa, et fece iui ancora gran danno, uedendo poi, che « il Doria andaua per diffonderle, et per inuestir lui, egli date le vele del * trinchetto fuggendo intra li scogli de Curzolari con circa 30. se ben fù < seguito si saluò con 1’ oscurità della notte. Diceuano alcuni, che il Doria « si era tanto allargato dalla battaglia, per 1’ auuantaggio, et altri, et quasi « 1’ uniuersale, che lo fece per temporeggiare fino che uedesse 1’ esito della « battaglia, et prender partito secondo il successo, et per conseruar intiere « le rue galee, et che in fine, che ueduta la uittoria andò a soccorrer le « galee inuestite da VIuzzali, soccorreua solamente le spagnuole, et non le « Venetiane ; et in Messina fu udito Pagano suo fratello, che lasciò perder « una Galea Maltese, credendo che fosse una Corfuotta, che portaua l’istessa « insegna ; questo si credeua facilmente per l’opinion che era impressa « nell’uniuersale per il suo proceder del precedente anno ». Nè di certo migliori sono le parole che, sulla condotta di Giannandrea D’Oria, troviamo in un documento venuto in luce nell’ anno presente (1). Nuovi documenti potranno ancor meglio lumeggiare la condotta dell’ ammiraglio genovese a Lepanto ; ma per ora, contrariamente a quanto scrive il G., tutto in- cori non poca di leccatura sul naso e sto benissimo ancorché tutte le mie robe sieno ite in malora ». Di un opuscolo sulla battaglia di Lepanto fa cenno S. Salomone - Marino nelle sue Spigolature storiche siciliane clal secolo XIV al secolo XIX; 2. serie, in Archivio Storico Siciliano, nuova serie, an. XXI (1897), fase. 3-4, pagg. 371-373· L’ opuscolo fu pubblicato a Messina il 10 dicembre 1571 ; il S.-M. ne riporta un brano; Giannandrea D’Oria non vi è nominato. L' autore di questo lavoretto è Giovan Felice Poggio, medico siciliano, che, nella sua narrazione, afferma il S.-M., « procede a sbalzi, non sempre con ordine, e spesso per semplici accenni ; ma nulla omette di importante, e qualche circostanza e fatto speciale registra, che altri non hanno » (p. 372). In nota, a p. 371, S.-M. dice che « la stampa, tipograficamente, è delle più brutte, e zeppa di errori ». Ricordo in fine che un’ altra narrazione, breve ma interessante, sul grande avvenimento fu pubblicata di recente dal prof. G. B. Si-ragusa, traendola da una cronaca catanese del secolo decimosesto. Cfr. Una nuova testimonianza sulla battaglia di Lepanto. Nota del prof. G. B. Siragusa, in Rendiconti della Reale Accademia dei Lincei; classe di se. mor., stor. e filo!., serie V, vol. VIII (1899), fase. 9-10, pagg. 473-477. Di Giannandrea D’Oria, in questa narrazione, non c’è il benché minimo accenno. (i) Cfr. S. Mitis, Cristiani e Turchi nel 1570 e '7/ secondo i codici inediti della Biblioteca d’Arezzo, in Rivista Dalmatica, anno I (1900), fase. VI, pagg. 270-290. A GIORNALE STORICO E LETTERARIO DELLA LIGURIA 463 duce a credere che la tattica di lui fosse determinata dal proposito di non combattere coi Turchi. Nella Conclusione (pp. 167-182) l’A. tratta della politica di Giannandrea presso la corte di Spagna e della battaglia combattutasi fra inglesi e spagnuoli, nello stretto di Gibilterra, nel 1590. Il D’Oria comandava dodici galee spagnuole, che c furono, malgrado un’ accanita resistenza di sei ore, sconfitte, e poterono a stento, a forza di remi, salvarsi da totale rovina » (p. 172). Durante il secolo decimosettimo la marina genovese « fa capolino per breve istante » (p. 174) negli anni 1637, 1655. Così, nell’assedio di Oneglia del 1672, appare una squadra di galee al comando di Giovanni Maria D’Oria; nel 1684., durante il bombardamento di Genova, una galea della Repubblica cerca di avanzarsi per danneggiare i Francesi, ma, minacciata da due galee nemiche, è costretta a rientrare in fretta nel porto. Infine il G. parla del combattimento navale di Malaga (1704), basandosi sopra uno studio recente di Vittorio Poggi (1). Di questo lavoro l’A. riassume solo t quanto concerne le galee genovesi » e riporta (pp. Γ79"1^1) alcuni brani del Diario pubblicato dal Poggi. Concludiamo. Nel libro del G. i difetti superano di gran lunga i pregi. Mi sembrano utili alcune osservazioni tecniche di tattica e di strategia navale, ma il libro contiene errori di fatto, errori di giudizio, alcune conclusioni assai discutibili. Ciò che son venuto scrivendo intorno a questo volume, può mostrare, se non m’ inganno, come allo studio di argomenti così vasti e complessi l’A. si sia accinto con una preparazione assai scarsa e superficiale. Gravi lacune infatti presenta la bibliografia: diligentemente curata, sarebbe stata una guida preziosa per que’ lettori che volessero poi approfondire lo studio di una determinata battaglia navale. Il lavoro mi pare poco meditato, fatto con criterio non troppo equanime e con mancanza assoluta di metodo. In complesso, non può, a mio avviso, « facilitare.... ai giovani ufficiali la conoscenza delle nostre passate glorie marinare » ; credo anzi che non raggiunga 1’ intento di tracciare, neppure nelle sue linee massime, una narrazione attendibile sulle battaglie navali della Repubblica genovese. Genova, ottobre del 1900. Gaetano Cogo pag. 277 il M. pubblica un documento del 1571 nel quale si leggono queste parole : « Come il Re [Filippo II] ha comprato le galere di Andreetto [Giannandrea] Doria per 180 mila scudi, et questo perchè dice che questi capitani che tengono galere sue particolari, quando si trovano in qualche factione, voltano le spalle per salvarsi ». Queste parole, e le altre del documento, furono raccolte dalla bocca di « un christiano schiavo che era nella galera di Anogialì, Bassà d'Algieri, che, per gli altri riscontri ha narrato assai il vero, il quale ha detto tutto il successo sino alla Velona » (pag. 279). (1) V. Poggi, La battaglia navale di Malaga, (24 agosto 1704J narrata da un testimonio oculare; Torino, Stamp. reale della ditta G. B. Paravia e C., 1899, pp. 36. esti. dalla Miscellanea di storia aliano; Ser. Ili t. V. 464 GIORNALE STORICO E LETTERARIO DELLA LIGURIA Tullo Massarani. Storia e fisiologia dell’ arte di ridere — Vol. I — L antichità e il medioevo. Milano, Hoepli igo. I-a specializzazione rigorosa e sottile, onde si viene frastagliando a’ dì nostri lo scibile, sembra far perdere una delle doti più caratteristiche dell’ ingegno italiano, eh’ è quella geniale universalità di attitudini che permette di abbracciare, anzi di approfondire varie branche del sapere, di coltivare varie forme dell’arte, di lasciare un’orma durevole insomma in distinti rami dell’attività intellettuale. Questi così detti poligrafi sono rari oggidì, specialmente da noi. Se altri ce ne siano, degni del nome, pochi o punti non saprei bene ; so certamente e tutti sanno che nessuno pur s’ accosta alla molteplice genialità di Tullo Massarani, critico, erudito, storico, moralista, umorista, satirico, lirico ed artista, una specie di Leon Battista Alberti raffinato e perfezionato da tutto lo spirito della modernità. Ecco qui un libro che fa novella testimonianza delle felici attitudini del-l’ingegno del Massarani e insieme della sua profonda e vastissima erudizione. Senza dire che la singolare materia da lui presa a trattare è di per sè stessa una prova della singolare originalità del suo intelletto, che sdegna ogni via battuta. E invero il solo titolo annunzia qualcosa di nuovo, di curioso, che esce dal concetto comune delle ricerche storiche e critiche, che raggruppa e coordina ed illustra certi ordini di fatti storici e letterari con intenzione nuova e con un disegno originale ed organico. Quando presi tra mano il libro per la prima volta, non restai molto persuaso dell’ opportunità, vorrei dire della coerenza di quel titolo, e andavo cercando quello che il Massarani aveva voluto fare per veder come lo doveva intitolare. In sostanza, dicevo, 1’ autore, espone le varie forme e le fasi che ha avuto nella letteratura lo spirito comico. Non era più semplice e chiaro intitolare 1’ opera Storia dello spirito comico o qualcosa di simile ? Ho dovuto inoltrarmi nella lettura prima di riconoscere il mio presuntuoso errore, che io confesso ingenuamente, come atto di gratitudine all’ autore per le cose belle e vere che ni’ ha insegnato col suo nuovo libro. Il quale non è che la prima parte dell’ opera, distribuita in tre volumi, e riassume la storia dell’ arte di ridere nella letteratura antica e medioevale. Ma, in sostanza, che è la Storia dell’arte di ridere del Massarani? Non è intanto la storia dello spirito comico, perche questo è una qualità riflessa che procede da certe attitudini dell’ intelletto e da certi abiti morali che lasciano, per proposito deliberato o no, un’ impronta più o meno visibile ed efficace nell’ opera d’ arte. Spirito comico, intenzione comica se si vuole, è in una quantità d’ opere drammatiche e satiriche da Aristofane al Molière e al Goldoni, e più giù se più piace. Ma 1’ ingenuità di tante concezioni antiche da cui scaturisce naturalmente il ridicolo, ma il grottesco di tante figurazioni medioevali donde il ridicolo prorompe addirittura, hanno essi molto a vedere con lo spirito comico ? Ecco il mio errore, da cui, per ammenda, metterò in guardia il cauto lettore. GIORNALE STORICO E LETTERARIO DELLA LIGURIA 465 La storia dunque dell’ arte di ridere raccoglie e coordina tutte le molteplici manifestazioni letterarie, tanto artistiche quanto popolari, nelle quali domina con più o meno d’intensità e d’ appariscenza 1’ elemento del ridicolo. Il quale può procedere da una comicità abituale all’ autore o da esso voluta, o può scaturire dal naturale contrasto degli elementi concettuali e morali sopra cui 1 opera s’impernia, o dal più o meno stridente contrasto eh’ è tra il colore e 1 indole delle cose ingenuamente rappresentate dall’ autore e il concetto o il sentimento che di quelle medesime cose ha chi legge. La farsa, la commedia, che procedono direttamente dallo spirito comico e, tanto quanto, son opere riflesse, esplicano il ridicolo di quella prima maniera dianzi accennata. Le leggende, le immaginazioni e figurazioni che hanno tanta parte nel sostrato della letteratura leggendaria e popolare contengono in buon dato il ridicolo della seconda maniera. Ora queste due forme del ridicolo nella leggenda e nella letteratura il Massarani viene cercando ed esponendo con meravigliosa larghezza di signorile erudizione, cominciando dall’ estremo oriente, che fu la culla dell’ epica del pari che della novellistica, della farsa non meno che del dramma. E segue a mano a mano lo svolgersi dell’ arte di ridere e delle sue forme attraverso alle molteplici manifestazioni letterarie che furono il prodotto della civiltà successiva, procedendo naturalmente dall’ oriente all’ occidente e giungendo con questo primo volume all’ aprirsi della nuova civiltà e della nuova forma dell’ arte nel secolo XII o giù di lì. Se non che il ridicolo non è soltanto manifestazione formale, non è soltanto come un mantello di comicità che si getta adosso al pensiero. Come s’è accennato, esso procede generalmente da un alito dell’ intelletto, da un peculiare atteggiamento dello spirito nostro e però ha la sua radice e la sua ragione e la sua spiegazione in un insieme di fatti storici e morali che sono elementi importantissimi della civiltà. Ecco adunque la ragione per la quale il Massarani acutissimamente ha aggiunto nel titolo la parola fisiologia, come a chiarire lo studio eh’ egli vuol fare e ottimamente fa dei rapporti fra le varie manifestazioni artistiche del ridicolo e il particolare atteggiarsi degli spiriti che lo producono, secondo le varie condizioni e i vari aspetti della civiltà. E che il Massarani riesca stupendamente a dar rilievo a questa parte, così profonda, sottile e delicata del suo studio, non potrà far meraviglia a nessuno che sappia quanta ricchezza di dottrina storica, quanta profondità di sapere filosofico, quanta genialità d’ intuizione e quanta vigoria di sintesi risplendano ne’ suoi scritti, che si possono dire appunto insuperabili saggi di Storia della civiltà. Io vorrei così avere chiarito il concetto nuovo e 1’ importanza singolare di quest’ opera del Massarani, il cui pregio si farà vie più manifesto, e la lettura vie più attraente, nei volumi che si aspettano; dove saranno trattati i periodi moderni e dove la molteplice ed elegante erudizione dell’ autore esulterà nel vasto campo della letteratura recente. E noi 1’ aspettiamo con desi- 466 GIORNALE STORICO E LETTERARIO DELLA LIGURIA derio ai grandi capolavori e ai grandi umoristi dell’ età moderna : Dante e Boccaccio, Ariosto e Cervantes, Rabelais e Voltaire, Swift e Sterne, Moliere e Goldoni, Shakespeare e Victor Ugo, Borne e Heine, Porta e Belli, Giusti e Beranger..... Che florida messe per una mente così vasta e profonda come quella del Massarani ! Giuseppe Finzi ANNUNZI ANALITICI. ·: ■ " 'r : ' · T · - · V . - Colonna De Cesari Rocca. Notes critiques sur Gênes et la Corse 1347-1360. Genova, Sordomuti, 1900 ; in-16 ; pp. 16. — Con questo opuscolo 1’ a. intende combattere i risultati di uno studio di Ugo Assereto comparso in questo Giornale (I, pp. 241-333). I lettori intelligenti e avveduti, che conoscono le due pubblicazioni, potranno agevolmente giudicare ■intorno all’ attendibilità ed alla convenienza di questi rilievi. Per noi è bastevole averne dato 1’ annunzio ; poiché quanto al punto della controversia non abbiamo davvero bisogno d’ aggiungere da qual parte crediamo stia la verità. E in questa nostra opinione siamo confortati dall’ autorevole consentimento di dotti ed imparziali studiosi. A tacere d’ altri, rileviamo con vera compiacenza i giudizi comparsi nell’ Union Républicaine d’Ajaccio (19 settembre), nel Petit Bastiais di Bastia (24 ottobre), nella Revue des questions historiques (i ottobre), e nella Revue critique d histoire et lette-rature (26 novembre) di Parigi ; notando che due di codeste ìecensioni recano la firma di Antonio Morati e dell’ Ab. Letteron, due studiosi di competenza riconosciuta nel campo della storia corsa. Guido Bigoni. Giovanni Marinelli. Venezia, Visentini, 1900; in-8 ; pp. 15 (Estratto dall’Ateneo Veneto, XXIII). — L’uomo illustre che ormai teneva fra noi il primato nella scienza geografica, è posto in queste pagine sobrie, ma dense e concettose, in quel rilievo, in quella luce che mettono dinanzi ben delineato e scolpito lo scienziato, e l’uomo in tutte le sue manifestazioni. L’ opera sua di geniale insegnante, di scrittore dotto e profondo, d’ uomo politico, operoso ed onesto è degnamente rilevata con tocchi felici, e riferimenti opportuni. Nè manca 1’ affetto, il sentimento che traspira da tutta la necrologia e che testimonia il vivo e sincero legame onde quell’uomo seppe tenere a sè avvinti i discepoli, e quanti ebbero fortuna di conoscerlo da presso. E. Maddalena. Una diavoleria di titoli e di cifre. Napoli, Detken e Rocholl, 1900; in-8; pp. 12 (Estratto dalla Flegrea, maggio). — Paravia e Goldoni. Nota bibliografica. Feitre, tip. Castaldi, 1900 ; in-8 ; pp. 8 (Estratto dall’ Antologia Veneta, a. I). — Drammi musicali di Callo Goldoni e d’ altri tratti dalle sue commedie. Nota del dott. Cesare Musatti, seconda edizione. Bassano, Pozzato, 1900; in-8; pp. 12. —Ha dato argomento al primo scritto del M. un Complimento composta dal Goldoni e recitato per la chiusura della stagione teatrale 1750_51 ’ edit° testé dal Foffano, che lo trasse da un cod. Cicogna conservato nel museo Correr. Quivi si enumerano tutte le commedie prodotte in quell’ anno rimasto famoso, in cui lo scrittore veneziano aveva promesso di dare sedici commedie nuove. Le indicazioni che si leggono nelle Memorie sono erronee rispetto al numero ed ai titoli, e del {)ari inesatte sono quelle di altri libri GIORNALE STORICO E LETTERARIO DELLA LIGURIA 467 fino ai più recenti ; ma il citato complimento deve ritenersi come il documento più sicuro ed attendibile, e da esso rilevasi che le commedie non furono sedici, bensì diciassette. L’a. aggiunge una serie di osservazioni e di rilievi curiosi ed acuti, frutto della sua erudizione sulla materia. E di questa porge una nuova testimonianza il secondo opuscolo nel quale rende conto di una notevole orazione intorno al Goldoni recitata dal Paravia nel 1830, quando si inaugurò al poeta il monumento nel teatro la Fenice, e stampata 1 anno successivo, e discorre poi più ampiamente della raccolta di lettere goldoniane, mandata fuori due volte nel 1839 dallo stesso Paravia. Ora gli autografi di due di quelle lettere si trovano nella Palatina di Vienna, mentre di una terza ve ne ha soltanto la copia. Unitamente a queste se ne conserva un altra in data 7 luglio 1759. E’ indirizzata al conte Marino Corniani, brevissima, e in sè stessa di poco interesse, ma porge occasione al M. di tesservi intorno una delle sue gustose illustrazioni. — L’ opuscolo del Musatti ha avuto fortuna, perchè siamo alla seconda edizione, migliorata ed accresciuta. Aneli’ esso costituisce un buon materiale per la bibliografia goldoniana, e prova una volta di più la fecondità del geniale commediografo, il quale con il meraviglioso criterio artistico ha inspirato musicisti e poeti. Ventidue sono le commedie donde vennero tratti dei drami giocosi. Le due Pamele, La Locandiera, La vedova scaltra hanno dato argomento al maggior numero di libretti, ed alla notazione di più maestri. L’ a. con diligenza ha indicato, oltre 1’ edizione, anche i teatri dove se ne fece la prima rappresentazione e la data. Anche questo opuscolo ha dato occasione alla dottrina del nostro Maddalena di scrivere un importante articolo sui libretti goldoniani (in Rivista Musicale Italiana, voi. VII, e poi tirato a parte, Torino, Bocca, 1900; in-8 ; pp. 7) facendo all’elenco del Musatti alcune giunte rilevanti. E in fatto di giunte non sarà inutile ricordare che nella Gazzetta di Genova (n. 29, 8 aprile 1840), si annunzia che il giorno 9 avrà luogo all Istituto di musica un trattenimento, nel quale « verrà eseguita una nuova produzione melo-comica, espressamente composta sulle tracce del Bugiardo di Goldoni, parole del prof. sig. Cav. Scotti, musica del maestro sig. Maurizio Sciorati ». Giuseppe Finzi. Petrarca. Firenze, Barbera, 1900; in-16; pp. VIII-206. — Fa parte del Pantheon, ossia vite d’illustri italiani e stranieri, che il chiaro ed illuminato editore con buon consiglio ha impreso a pubblicare. I lettori a cui è destinata la collezione, e lo scopo che si prefigge non richiedevano un lavoro pesante, irto di critiche osservazioni, e seguito da numerose note ; nia una biografia piana e geniale, fondata tuttavia sopra fatti veramente accertati, dai quali la figura del poeta e dell’ erudito si rilevasse con spiccati contorni, senza che fosse disgiunta dalla viva rappresentazione dell’ uomo nelle varie contingenze della vita. L’ a. ha inteso ottimamente questo concetto, e perciò 1’ opera sua è riuscita commendevole e proficua. E di vero il lavoro manifesta una piena conoscenza, non solo delle opere tutte quante del Petrarca, ma altresì di quegli scritti di grande o piccola mole che a lui si riferiscono, e illustrano in tutto o in parte la sua vita. Ma il fondamento principale che in larga misura gli ha servito a ben comporre il suo edificio, si è 1’ autore stesso di cui ragiona, avendo egli parlato sovente di sè ne’ vari suoi componimenti, in ispecie nelle lettere. Se non che non tutto quello eh’ ei dice è ugualmente accettabile, ed era perciò necessario qualche volta procedere con grande cautela alla ricerca del vero, mercè un accurato esame intrinseco ed estrinseco degli avvenimenti e dei tempi, mettendo quelle affermazioni a confronto d’ altre testimonianze contemporanee, o ricercando per via d’indtizioni la più attendibile e sicura versione dei fatti. Qui è dove il F. ha saputo far opera di savio e prudente critico, riuscendo in generale a 468 GIORNALE STORICO E LETTERARIO DELLA LIGUIRA felici risultati. Nè meno guardingo e degno di lode si mostra là dove 1-scorre del carattere, che presenta tante strane contradizioni, e curiose anomalie, riconoscendo che se non si può negare nel poeta un certo squi 1 irio morale, siamo ben lungi dall’aver dinanzi un pervertito secondo le dottrine 1 quella scuola moderna che troppo spesso cade nella esagerazione. Questa biografia, solida nella sua struttxira e ben condotta nella economia ce e parti, è composta di dodici capitoli. I primi cinque si occupano esc visiva mente della vita; gli altri trattano dell’uomo, del poeta, dell erudito, ^e cittadino. Fra questi capitoli non ve n’ ha alcuno che esclusivamente si 1-stenda all’ esame delle opere di lui ; ma è giusto osservare che se ne tocca implicitamente e, per opportunità, sia ne’ primi come nei secondi. Certo a. ha presupposto che i lettori del suo libro debbano già possedei e una su cente cultura, per non ignorare almeno quello che ha scritto il Petrarca. Tuttavia se quel capitolo vi fosse stato il suo libro avrebbe forse potuto dirsi meglio compiuto. GAETANO Cogo. La guerra di Venezia contro i Turchi (J499~I5OIJ· Venezia, Visentini, 1899; in-8; pp. 192 (Est. dal Nuovo Archivio Veneto, XVIII). — Intorno a questo periodo storico ed ai fatti politici e militari che vi si riferiscono, parecchi scrittori antichi e moderni hanno avu o opportunità di parlare, più o men largamente ; onde sembrava a prima giunta fosse la materia abbastanza trattata, nè altri dovesse perciò occuparsene di proposito. Ma le indagini nuovamente fatte dal C. negli archivi veneziani, e lo studio minuto ed accorato delle fonti conosciute hanno dimostrato che si potevano meglio chiarire gli avvenimenti, e far conoscere con maggiore esattezza in ogni sua parte, nelle cagioni, nello svolgimento, negl effetti. Nessuna delle narrazioni precedenti è così larga e circostanziata come la presente, la quale si vantaggia di documenti atti a suffragare con metodo rigoroso le sue affermazioni, specie là dove in alcuni particolari si iscos a dagli altri scrittori. Se con questo lavoro non vengono modificate le conclusioni generali a cui gli storici sono pervenuti, pur nonostante per questo mezzo noi siamo con mano più sicura guidati attraverso a quel succedersi continuo ed incessante di provvedimenti, di ordini, di mosse politiche e s ra-tegiche, di scaramucce, di battaglie ; riconosciamo gli avvedimenti, gli eroismi, le gelosie, le discordie, le viltà ; innanzi a noi meglio si rilevano^ uomini e cose, onde più efficacemente facciamo giudizio delle condizioni de tempi e delle conseguenze che da quel non lieto periodo di lotte derivarono alla re- ^ CARLO Caselli. Materiali per una Bibliografia scientifica del Golfo della Spezia e dintorni. La Spezia, presso l’autore, 1900 (Tip. F. Zappa); in-8; pp. 32. - Il Caselli, già noto per altri lavori scientifici sulla nostra regione, ha pubblicato ora questo suo Saggio di bibliografia, della cui utilità non v’ è studioso che possa dubitare. Non ha preteso per altro A., e l’avverte nella prefazione, e d’altronde il titolo stesso dell’opera lo dice chiaramente, di aver compilato la bibliografia completa della regione; simili lavori difficilmente possono riuscir perfetti, essendo difficilissimo che qualcosa non isfugga alle indagini anche del più dotto e paziente bibliografo. L’ A. dichiara che ha tenuto per guida la Bibliografia scientifica della Liguria dell’ Issel, come in quella avendo disposti i lavori in ordine alfabetico per nome d’autore. In fondo poi, per facilitare le ricerche, ha posto due indici. Il primo è fatto per materie, ed è diviso così: r. Geografia c Topografia; 2. Carte topografiche e geologiche; 3. Climatologia, Meteore, Terremoti; 4. Geologia generale; 5. Litologia, Petrografia; 6.Stratigrafia ; 7. Mineralogia; 8. Materiali estrattivi, Miniere, Cave; 9. Caverne; IO. Idrografia; il. Paleontologia; 12. Paletnologia, Antropologia preisto- GIORNALE STORICO E LETTERARIO DELLA LIGURIA 469 rica ; 13. Botanica; 14. Zoologia (Vertebrati) ; 15. Zoologia (Invertebrati) ; 16. Notizie. Il secondo è diviso per località, cosi: I. Golfo, 2. Golfo (lato orientale) ; 3. Golfo (lato occidentale) ; 4. Palmaria, Tino, Tinetto; 5. Por-tmienere ; 6. Capo Corvo; 7. Stagnoni ; 8. Grotta dei Colombi ; 9. Polla marina. Il Caselli, come altra volta abbiamo annunziato, ha parlato di Girolamo Guidoni, e a noi sembra con giusta misura, ponendo in rilievo le qualità di quel modesto si, ma non men dotto ed ingegnoso naturalista. Ciò non è piaciuto a qualcuno che con poca opportunità ha scritto, e intorno al Guidoni e alla Società che da lui s’intitola, e al Caselli che ne è gran parte, parole poco serene ed equanimi (in Rivista Ital. di Paleontologia, a. Ili, fase. 3). Raccolta di rarità storiche e letterarie diretta da G. L. Passerini — Volume I. Istoria di Phileto Veronese per cura di G. Birdego. Livorno, Giusti, 1899; in 8; di pp. xxvil, 156. — Vol. II. Libro di cucina del Secolo XIV a cura di Ludovico Frati. Livorno, Giusti, 1899; in 8 ; di pagine xv, 92. — Vol. III. Niccolò degli Albizzi. Le fiorette, le morosette e alcuni epitaffi a cura di Pasquale Papa. Livorno, Giusti, 1900; in 8; di pp. xxvil, 137. — Il solerte editore di Livorno, così favorevolmente noto, per le opere molteplici ed importanti date fuori, ha assunto con buon animo la pubblicazione di questa raccolta, alla quale presiede 1’ erudito Passerini. Dei tre volumi mandati in luce fino a qui ci proponiamo dir brevemente. — E’ il primo un romanzo autobiografico, poiché sotto il pseudonimo di Phileto, si nasconde Lodovico Corfinio da Verona. Il manoscritto che si conserva nella biblioteca comunale di questa città, non reca invero il nome dell’autore; ma lo rileva con acuta indagine il B., che ne ha curato la stampa, e in una ben condotta e diligente premessa ci ha dato le notizie biografiche del Corfinio, attinte dalle fonti più attendibili, ed ha discorso della occasione e della materia del romanzetto, del tempo in cui venne scritto, e del posto che occupa fra le scritture dello stesso genere. Quivi 1’ autore, che fu anche poeta, narra, abbellendoli con particolari ed episodi fantastici, i casi di un periodo fortunoso della sua giovinezza, quando per 1’ uccisione di un rivale in amore (di che però non si è trovato prova documentaria) dovette allontanarsi dalla patria e stare circa tre anni in esilio. Gli accenni a momenti storici ed a contemporanei, a parenti, ad amici danno al romanzo, a ragione lo nota il B., « fondamento storico e fino a un certo punto valore autobiografico ». Comprende il periodo 1515-1518; e con plausibili ragioni l’editore ne assegna la composizione nel decennio 1520-1530. Ha punti di contatto col noto Peregrino del Caviceo, che lo precede in ordine di tempo. — Nel secondo volume il Frati ha stampato un libro di cucina del secolo xiv, esemplandolo sopra un codice casanatense, il quale presenta molte affinità con i frammenti di libri della medesima materia, editi già prima dal Morpurgo, e dal Guerrini, il primo traendoli da un manoscritto Riccardiano, il secondo da un Bolognese. Il testo dato dal F. presenta molte forme dialettali venete dovute probabilmente aü’ammanuense. Un buon glossarietto posto in fine spiega alcuni vocaboli e modi dialettali. Chi amasse i confronti troverebbe qui ampia materia d’ osservazioni sul modo d’ acconciare le vivande in que’ tempi antichi, messi a cimento con i più vicini a noi o con i nostri; ma gli cadrebbe sott’ occhio qua e là alcuna cosa che, sebbene lievemente modificata, è in uso anche oggi. Per esempio i genovesi, per dime una, potrebbero trovare molta affinità fra i loro ravioli e i « rafiolì commun de herbe vantazati ». — Il Papa ha creduto opportuno pubblicare nel terzo volumetto una larga raccolta di epigrammi giocosi (forse troppi), per la maggior parte erotici e licenziosi, dettati da Niccolò degli Albizzi. Di questo scrittore poco men che ignorato, vissuto fra il secolo xvn e xviii, dà il P. le notizie che 470 GIORNALE STORICO E LETTERARIO DELLA LIGURIA ha potuto raggranellare, nella prefazione, buona per l’ordine, l’accuratezza, le osservazioni ' e la conoscenza della materia. Fiorette e Morosette, pere Fioretta e Morosetta sono le due donne che ne’ madrigali s invocano. Hanno servito alla stampa due manoscritti Laurenziani-Ashburnhamiani, uno de qua 1 autografo, e, in piccola parte, due magliabechiani. Si aggiunge un saggio eg 1 Epitaffi» genere giocoso e satirico di cui è notissima la raccolta del Loie ano, ne’ quali l’Albizzi, accademico della Crusca, Arcade ecc. ecc., sfoga e sue bizze letterarie. Due riguardano il Chiabrera, ed eccoli qui : Temendo che la Crusca noi cercasse, fe’ Chiabrera fardello, e per la via rovesciò tutta la sua poesia ; ma qui non s’ abburatta opre sì basse. Rinvolse i suoi poemi in questa ragna e anche sé il Chiabrera, come vedi: fu qui sepolto con la laurea a piedi, come se dir, poeta in le calcagna. Gildo Valeggia. Il Io canto dell’ inferno Dantesco, Saggio di un commento scolastico alla Divina Comedia. Lanciano, Carabba, 1900; in 16; di pp. 33. — Questo saggio manifesta chiaramente che 1’ a. si è fatto un esatto concetto di quel che si richiede in questo genere di commenti. Infatti egli dà le spiegazioni sufficienti alla intelligenza del testo, scegliendo nei P™ti controversi 1’ opinione più ovvia ed accettabile, senza il sopraccarico, qui più dannoso che inutile, di un apparato critico assolutamente fuor di luogo. Di più egli ha adoperato una forma semplice e chiara, la quale riesce ben appio-priata alla intelligenza degli alunni. La corte piemontese e le ricerche storiche di L. A. Muratori in Piemonte. Nota di Giuseppe Guido Manacorda. Torino, Clausen, 1900; m 8; di pp. 18. (Estratto dagli Atti della R. Accad. di Scienze di Torino, vol. XXXV). — L’ argomento non è nuovo ; ma appunto perchè già trattato, questa nota, diligente e ben fatta, acquista valore, recando all’ importante episodio il contributo di giunte notevoli, che ne chiariscono quanto rimaneva incerto ed oscuro, e opportunamente lo compiono. Gli a. si giovano delle lettele mu-ratoriane, stampate nel catalogo Crevenna fin dal 1776, delle quali coloro che ne scrissero innanzi non ebbero conoscenza, e di due lettere inedite del grande storico, conservate fra gli autografi della collezione Cossilla, nella Biblioteca Civica di Torino. La storia delle opposizioni che trovò il Muratori per le sue ricerche piemontesi nel tempo del regno di Vittorio Amedeo II, riceve qui nuovo lume. Ben si vede da qual parte veni vano gli ostacoli, non dal re, che anzi si mostrava propenso ad aiutare nella sua impresa lo storico modanese, ma dai cortigiani; i quali o troppo zelanti adulatori, o servendo ad invidie e malevolenze fecero cambiare, co’ loro interessati suggerimenti, le buone disposizioni del sovrano. Carlo Emanuele III invece, meglio consigliato, fu assai più largo, e da lui ottenne il Muratori quanto aveva invano sperato dal suo antecessore. Nelle lodi adunque che questi ha compartito a quel principe, oltreché la coscienziosa veridicità, dee aver anche la sua parte il sentimento di riconoscenza. Notiamo per fine che la lettera 18 settembre 1727, pubblicata qui per la prima volta, non ci sembra indirizzata, siccome credono gli a. (p. 13 nota), al D’Aguirre, ma ad un alto personaggio di corte, e forse al ministro Dal Borgo. Luigi Piccioni. Notizie ed appunti intorno al giornalismo bergamasco. Con una tavola sinottica dei giornali bergamaschi (1797-1861). Bergamo, Ist. Arti grafiche, 1900; in 8 ; di pp. 27. — Le ricerche è gli studi fatti dal P. intorno al giornalismo bergamasco, gli diedero modo di pubblicare tre anni or sono un volume, ben accolto dalla critica. Il presente opuscolo serve GIORNALE STORICO E LETTERARIO DELLA LIGURIA 471 a quello di aggiunta, poiché reca notizie di nuovi giornali, venuti a mano dell’ a. nelle ulteriori sue indagini. Di tre ha rinvenuto alcun numero isolato, e di due il solo programma, onde ritiene che questi non uscissero mai in luce. Degli altri dà piena notizia, per quel tanto che se ne può trarre dai singoli fogli, e aggiunge qualche opportuna induzione. Narra infine un curioso aneddoto, del quale è parte principale il fondatore e lo scrittore del Patriota bergamasco, aneddoto che benissimo calza a mostrare la condizione de’ tempi e dell’ ambiente, giovando a illuminare la storia del giornalismo. Antichissimi aneddoti Novaliciensi pubblicati da CARLO Cipolla. Torino, Clausen, 1900; in 4; di pp. 10, con tav. (Estratto dalle Memorie della Reale Accademia delle Scienze di Torino, ser. II, T. L.). 1— Due pezzi di pergamena adoperati dal legatore per ricoprire le facce interne delle permole onde è legata una Biblia magna in membrana, appartenuta al cenobio della Novalese ed ora conservata nell’Archivio di Stato di Torino, hanno attratto l’attenzione del C., il quale ha preso in esame sì fatti lacerti e ne ha reso conto con quella competenza e quel corredo di dottrina (sarebbe quasi inutile il dirlo) che gli è riconosciuta dagli eruditi. Questi pezzi appartennero ad un sol foglio e risalgono al cadere del secolo x o agli inizi del seguente, sebbene alcune note di più mani siano da assegnarsi alla seconda metà del secolo xi. Contengono: un frammento della vita di Abbone, e propriamente l’esordio; gli inventari della libreria e degli apparamenti sacri ; e una nota di coloro che dovevano al monastero certi speciali contributi, con 1’ accenno di tre documenti inerenti alla medesima materia. Sono, come si vede, avanzi, e per l’uso a cui vennero adoperati ridotti in cattive condizioni e-quindi non interamente leggibili. Ma, secondo rileva 1’ a., non sono inutili, perchè consentono « di stabilire meglio che finora non fosse possibile lo stato della coltura nell’ abbazia Novaliciense, nei tempi precedenti al Cronista, e ci offrono ridotta a breve e lacero brandello, una delle fonti di cui il Cronista giovossi ». Nè il C. ha trascurato di tener nota degli otto foglietti cartacei con i quali vennero coperti dal legatore i brani di pergamena. Essi appartengono ad una grammatica, scritta sulla fine del sec. XV, e possono fornire argomento di studio ai glottologi, poiché in alcuni v’ hanno esercizi di versione dal piemontese in latino. SPIGOLATURE E NOTIZIE. È imminente la pubblicazione del secondo volume degli Annali gencrvest di Caffaro e de’ suoi continuatori, nella raccolta delle Fonti dell’ Istituto storico italiano. Ne ha curato la stampa il marchese Cesare Imperiale, che vi ha preposto una larga prefazione storica, e corredato il testo di numerose annotazioni, frutto di riscontri diligenti, e di ben condotte ricerche. Nè mancano alcuni notevoli documenti che crescono pregio al lavoro. Ora che possediamo, mercè le sollecitudini dello stesso Imperlale, il facsimile del manoscritto insigne de’ nostri cronisti conservato a Parigi, si omettono a giusta ragione in questo volume i facsimili speciali di alcune pagine del codice, che adornano il primo, edito dal compianto Belgrano. La cronaca si arresta qui a Bartolomeo Scriba. Nel Bollettino ufficiale della Consulta Araldica (vol. V, n. 21, agosto, p. 187 e segg.) si legge 1’ Elenco provvisorio delle famiglie nobili e titolate della Liguria. Quest’ elenco, che venne compilato da Marcello Staglieno, ri- 472 GIORNALE STORICO E LETTERARIO DELLA LIGURIA ceve sanzione legale da un decreto del ministro dell’ interno presidente della Consulta. Nel ricco catalogo che col titolo Monumenta typographica va pubblicando Γ erudito libraio Leo S. Olschki nelle pagine del suo bellissimo giornale La Bibliofilia, troviamo .fase, settembre-ottobre, vol. II, pp. 237 seg.) indicate alcune edizioni genovesi degne di nota. Sono esse registrate altresì dal GlULL.VN'1, nella sua Tipografia Ligure in Atti Soc. Lig. Stor. Patr., vol. IX) e quasi tutte altresì possedute dalle nostre biblioteche, salvo due, e cioè la Descrizione dell’ arco trionfale fatto in Geneva pel passaggio della Regina Catolica e di Alberto Arciduca d’ Austria, edita dal Pavoni nel 1598, un esemplare della quale esiste nella Biblioteca del Re in Torino; e la rarissima operetta del Savonarola Solatiu/n itineris mei. impressa dal Belloni nel 1536. Queso libretto che ci era noto soltanto per la menzione assai esatta che ne fa il Quetif, e per il contratto notarile stipulato fra l’arcivescovo Marco Cattaneo e Antonio Belloni in materia di stampa, edito dal Giuliani (Op. cit. p. 346 e segg.), ha per noi singolare importanza, perchè curato da Paolo Partenopeo il quale v’ ha preposto una singolare dedicatoria. Al Giuliani non era stato mai possibile rinvenire il rarissimo libretto per quante indagini avesse fatte; ma ultimamente un amico nostro e intelligentissimo bibliografo, Pietro Bologna, nè trovò ima copia nella collezione savonaroliana del conte Guicciardini, ora appartenente alla Nazionale di Firenze, e ce ne dette ampia contezza in servigio d’ un lavoruccio sul Partenopeo, che vedrà la luce quandochessia in queste pagine. Eccone ora qui un altro esemplare che prenderà forse la ria d’ oltralpe o d' oltremare. La parte prima del vol. X degli Atti e memorie della r. Deputazione di storia patria per le provincie modenesi, pubblicato a festeggiare il quarantesimo anniversario di quel sodalizio, contiene, oltre al discorso di Giovanni Sforza, di cui ha già fatto cenno il Giornale, l’elenco generale dei soci, e, in tre distinti indici, le pubblicazioni che sono stampate in tutti i volumi fino ad ora pubblicati. Seguono le bio-bibliografie de’ soci effettivi per ordine alfabetico, che in questo volume vanno sino a Lazzonì. Dei lunigianesi troviamo i nomi dei vìventi Francesco Agnoioni, e Giambattista Giorgini: e dei defunti Giovanni Baldacci. Ferdinando Compagni, Emiìio Lazzoni. Notevoli le pagine consacrate a quest' ultimo, perchè contengono la autobiografia, importante per la storia del risorgimento italiano. E’ opportunamente illustrata con annotazioni copiose dello Sforza, a cui principalmente si deve la compilazione e 1’ ordinamento di tutto quanto il lavoro. APPUNTI DI BIBLIOGRAFIA LIGURE. Bertoni G. Appendice alT articolo « Studi e ricerche sui trovatori minori di Genova ». (in Giornale storico d. lett. itaLr vol. XXXVI, 459)» Caselli Carlo. Materiali per una bibliografia scientifica del golfo della Spezia e dintorni. La Spezia, Zappa. 1900 : tn-S : pp. 32. Cenni sopra alcuni Istituti scientifici della R. Università di Genova ?in Atti della Società Ligustica di scienze naturali e geografi, che, Genova, rooo : XI, pp. r 65 e segg.). Colonna De Cesari Rocca. Notes critiques sur Gênes et la Corse £347-1360. Genova, Sordomuti, 1900 ; in-16 : pp. 16. GIORNALE STORICO E LETTERAIRO DELLA LIGUIRA 473 Cervetto L. A. Monte Fasce. Panorama - storia (in Alla Croce, Numero unico, 14 ottobre, 1900 ; Genova, tip. Capurroj. — Monte Fasce: il nome — Orografia — l’altezza — i monti nell’antichità — la Croce sulle torri — Monte Fasce e la famiglia Colombo (in H Cittadino, 1900, n. 286) Memorie patrie — Cimiteri e sepolture in Genova nei tempi passati — Prescrizioni della Serenissima — Il Cimitero popolare della Foce — Distribuzione di fave nel giorno dei morti (Ivi, n. 303) — La chiesa di S. Girolamo Emiliani in Nervi — Benedizione delle campane ; note e curiosità storiche (Ivi, n. 312) — N. S. delle Vigne (Ivi, n. 3221. Cipolla Carlo. Nuove notizie intorno ai Diplomi imperiali conservati nell’Archivio comunale di Savona (in Atti delf i. r. accademia di scienze, lettere ed arti degli Agiati di Rovereto, Ser. III, vol. VI, fase. 3). Fumagalli Giuseppe. Una novissima riproduzione dell* opuscolo di Niccolò Scillacio De tnsulis nuper irruentis (in La Bibliofilia, II, 205.216). Gachot Edouard. Le siège de Gênes. Les opération militaires. (In L'Armée Illustrée, 1890, n. 4i e 42'. — Massena au siège de Gênes. Le Centenaire (d’après des documents inédits), fin Le Gaulois du dimanche, 21-22 Juillet 1900). Gavotti Luigi. La battaglia di Remenou (fra Stella ed Albissolai. 1481. Savona, tip. P. Pelusso, 1900, ïn-16, p. 30 [Scherzo Eroicomico]. Giannini C. Il castello di Fosdinovo in Lunigiana (m Natura ed Arte, 1S90. n. 24). Giordani Tullio. Noli (in Natura ed Arte, 1S90, n. 23). Maineri B. E. La leggenda del Boralo. Streghe, folletti e apparizioni in Liguria. Firenze, Ditta Ed. Ugo Foscolo «tip. Franceschini), 1900: in-S; pp. XXXV-307. Mazzini Giuseppe. Scritti scelti di Giuseppe Mazzini con note e cenni biografici di -Jessie White V. Mario con ritratto e facsimile. Firenze, Sansoni, 1901 : in-S ; pp. 407. — Lettera inedita (in Rivista storica del Risorgimento italiano, t. III. p. 979;. Mazzini Ubaldo. Relazione delia Biblioteca Comunale della Spezia per l’anno iS8^- 1900. La Spezia 1900 (Tip. Zappa) in-4 di pp. Sei tav, — Topografia spezzina antica (in Corriere della Spezia. Anno IV, n. 19S). — La chiesa di S. Maria della Neve (Id. n. 200:. — Il duomo di S. Maria Assunta (Id. n. 202}. — La popolazione del Comune dal 1500 al 1900 (Id. n. 205». Melane Alfredo. L’arte al cimitero di Stagliene (in Natura ed Arte, 1890. n. 23»- Memorie Storiche Chiavaresi. (in La Sveglia, Chiavari 1900). Rapallo, Chiesa e Monastero di S. Chiara di Montefalco (1). Altre chiese, Oratori e Cappelle campestri (21. Clero e parrochi di Rapallo {5*. Sant’Ambrogio della Costa Rapallo (6.7). S. Massimo di Rapallo (9.10.12). Parrocchia di Novella S. Pietro detta anche S. Pietro del Canale (13.14*. Monastero della Valle di Cristo (16). Foggia S. Andrea (17,18). Chignero S. Rocco (21). Assereto, S. Qnirico (231. Monti, S. Maurizio izS>. Noceto, S. Marino (33)- Campo, S. Maria (37). Pagana, S. Michele 3S-4C ) Santa Margherita Ligure (43). Monaci Silvio. Commemorazione del P. Tommaso Pendola tenuta nel R- Istituto nazionale pei Sordo-Moti in Genova 0 giorno 24 giugno 1900- Siena, tip. Arcivescovile, 1900 : in-S : pp. 31. Neri Achille. Un condannato del 1833 (Pasquale Berghim. Torino, Roux e Vta-rengo, 1900: in-S: pp. 72. (Estr. dalla Rrzisia storica del Risorgimento Italiano, vol. III . 474 GIORNALE STORICO E LETTERARIO DELLA LIGURIA Orlandi Eutilia. Il teatro di Carlo Marenco. Studio critico, Firenze, Paravia (tip. Cooperativa), 1900 ; iti-8 ; pp. 115. Per Gerolamo Guidoni (in Rivista Italiana di Paleontologia, a. VI, fase. III). Poggi Vittorio. L'atto di fondazione del monastero di S. Quintino di Spigno (4 maggio 991). Torino, Paravia, 1900 ; in-8 ; pp. 21 con tav. (Estr. dalla Miscellanea di storia italiana, Ser. Ili, T. VI). GIORNALE STORICO E LETTERARIO DELLA LIGURIA 475 INDICE DELLE MATERIE Avvertenza .......... Pag. 5 L’Archivio comunale di Portovenere (Note ed Appunti). Camillo Manfroni......... » 7 X Sopra gli autori di due relazioni anonime di Genova. Ubaldo Mazzini » 26 Lettere di Bianca Rebizzo a Vincenzo Ricci. F. Donaver » 3' Intorno al Sermone del Monti « Sulla Mitologia ». Emilio Bertana » 81 KNuova raccolta di documenti genovesi. Camillo Manfroni . » 96 La risciacquatura in Arno de’« Promessi Sposi ». Gildo Valeggia » 106 ' Di alcuni documenti poco noti dell’Archivio di Genova. Ugo Assereto » 119 Per un cartografo genovese del trecento (Angelino dall’ Orto). Guido Bigoni.......... » 161 Casola di Lunigiana sotto il dominio de’ Lucchesi. Giovanni Sforza » 170 Nuova raccolta di documenti genovesi. Camillo Manfroni » 179 Escursioni archeologiche. Anelli antichi inediti. Vittorio Poggi » 186 Note su tre statuti lunigianesi (Trebbiano, Caprigliola, Arcola). Ubaldo Mazzini........ » 194 ^Genova e la Corsica 1358-1378. Ugo Assereto . » 241 jid Genovesi in Oriente nel carteggio di Innocenzo IV. ARTURO Ferretto......... » 353 ÿÇLa prima stampa delle costituzioni della Chiesa di Luni e Sarzana. Luigi Staffetti....... » 368 Topografia ligure --- Dove si trovava il castello di Portiiola? Giro¬ lamo Rossi ...... » 3/6 Un affresco di Bernardino Pinturicchio nel Duomo di Massa. Luigi Staffetti . ...... » 401 Uno scritto inedito di Gerolamo Guidoni (Considerazioni sopra Luni ed i marmi di Carrara per ciò che riguarda Ï antica loro im¬ barcazione). Ubaldo Mazzini ..... » 423 Bolla di Papa Innocenzo IV (6 di luglio 1245). Vittorio Poggi » 435 476 GIORNALE STORICO E LETTERARIO DELLA LIGURIA VARIETÀ. Un Maestro eretico a Sestri Ponente nel 1579. Arturo Ferretto Il Servitore di Bassville. A. N. Un favorito di Giulio II. VITTORIO POGGI .... Documents recueillis sur les mouvements de 1821 par Pons de 1’ Hérault. Léon Pélissier ....... [La Quadrireme di Andrea D’Oria. A. N..... La nuora e la figlia di Francesco Malaspina. Giovanni Sforza Il Saliceti a Genova nel 1796. Una lettera poco nota. Guido Bigoni Un’ avventura nel castello di Mongiardino. Marcello Staglieno Il preteso sepolcro della vedova del Conte Ugolino della Gherardesca a Bibola in Lunigiana. Giovanni Sforza BOLLETTINO BIBLIOGRAFICO. Μ. Rosi, Per un tìtolo. Contributo alla storia dei rapporti fra Genava e I’ Inghilterra al tempo della Riforma. (G. Bigoni) C. MANFRONI, Storia della Marina italiana dalle invasioni barbariche al trattato di Ninfeo. (G. Bigoni) .... V. Poggi, Di una tavola dipinta nel Sec. XI ecc. (A. N.) . Colonna De Cesari Rocca, La vérité sur les Bonaparte avant Napoléon. (A. N.) ........ G. Bigoni, Quattro documenti genovesi sulle contese di oltremare nel Sec. XIII. (C. M.)....... G. Claretta, I marmi scritti della città di Torino e de’ suoi sobborghi. (A. N.) ........ M. Rosi, Storia delle relazioni fra la repubblica di Genova e la Chiesa Romana specialmente considerate in rapporto alla Riforma religiosa. (A. N.) ...... Statuti di Sarzana dell’ anno 126g. (A. N.) H. Sieveking, Genueser Finanzwesen mit besonderer Beriicksichti-gung der Casa di San Giorgio 2 Heft. i,C. M.) G. Manacorda, Professori e studenti piemontesi, lombardi e liguri nell’ Università di Pisa. (A. N.) ..... G. Ungarelli, Dante in Val di Magra. (G. Valeggia) Giuseppe Dalla Santa, Le appellazioni della Repubblica di Venezia dalle scomuniche di Sisto IV e Giulio II. (G. Cogo) Diplomatarium Veneto-Levantinum. (C. Manfroni) G. Poggi, Genoati e Viturii. (E. G. Parodi) Ch. Kohler, Mélanges pour servir à I’ histoire de l’Orient Latin et des Croisades. (G. Bigonij ...... Pag· 43 » 46 » 126 » 202 » 211 » 333 » 337 » 381 » 388 Pag. 47 » 5° » 52 » 55 » 57 » 129 » 13° » 132 » 135 » 136 » 139 » 215 » 217 » 392 » 441 GIORNALI? STORICO E LETTERARIO DELLA LIGURIA 477 G. Gavotti, Battaglie navali della Repubblica di Genova. (G. Cogo) Pag. 446 T. MASSARANI, Storia e fisiologia dell’ arte di ridere. (G. Finzi) » 464 ANNUNZI ANALITICI. E. Bertana, Arcadia lugubre e preromantica . . . Pag. 59 G. Russo, Gaspare Murtola e il suo poema sulla Creazione » 60 Aventures d’ un grand seigneur italien a travers I’ Europe . » ivi G. Poggi, Genuati e Viturii, nuovi studi topografici sulla tavola di bronzo ......... » 61 G. Claretta, Commemorazione di Pietro Vayra . . » ivi P. Molmenti, Sebastiano Veniero e la battaglia di Lepanto . » 62 G. Finzi, Nel Golfo di Spezia ...... » 63 C. Cimati, Alcune notizie sul pontremolese Opicino Galli vescovo di Guardialfiera ........ » ivi Il primo anniversario della morte di Giulia d’Ancona . . » ivi F. Martini, Simpatie, Ghiseppe Giusti, Il Giusti studente, L'on. G. Giusti, Niccolò Puccini, C. Goldoni, T. Gherardi del Testa, La Profezia di Cazotte, Per G. Montanelli, Per L. Ferrari ......... » 142 A. FERRETTO, Regesti delle relazioni pontificie riguardanti la piente di Rapallo e ...... ■ » 143 F. Flamini, Girolamo Ramusio e i suoi versi latini e volgari » ivi A. Lapini, Diario fiorentino dal 252 al 15QÔ ora per la prima volta pubblicato da ODOARDO CoRAZZINI . . . »144 C. Cimati, Gli artisti pontremolesi dal secolo XV al XIX (L. Staffetti) ......... » 145 G. ROSSI, I Grimaldi di Ventimiglia (C. M.) ... » ivi E. Bertana, Prelezione al corso sulla tragedia italiana del Sec. XVIII professato nell’ anno accademico l8gg-igoo . » 146 E. Maddalena, La Serva amorosa del Goldoni . . . » 147 Quattro lettere d’illustri toscani: Giusti, Guerrazzi, Guadagnoh » ivi M. Rosi, Le streghe di Trioia in Liguria (G. Bigoni) . . » 149 F. Podestà, Val dì Bisagno, Marazzi, Quezzi e Paverano . » 150 V. PODESTÀ, La Campana, Carme colla versione latina di A. SOM- MARIVA...... . . . - » 151 E. Bertana, La paura nei « Promessi Sposi ». . . » 152 A. Campani, Una insigne collezione di autografi ...» ivi G. BOFFITO, Perchè fu condannato al fiioco I’ astrologo ascolano Cecco d'Ascoli? . . . . . . . . » 153 Id. Un poeta della meteorologia, Giov. Pontano . » ivi A. F. TRUCCO, Novi e Napoleone Bonaparte . . . » 154 Biblioteca critica della Letteratura Italiana diretta da F. Torraca » 222 Ricordo dell’ adunanza generale della R. Deputazione di Storia 478 GIORNALE STORICO E LETTERARIO DELLA LIGURIA Patria per le Prop. di Modena, Reggio e Massa, tenuta ? XI febbraio iqoo per festeggiare il quarantesimo anno di vita Pag. 224 G. Zaccagnini, Bonaccorso da Montemagno il giovine . . » 225 G. B. Ristori, I savonesi cittadini fiorentini e i fiorentini savonesi » ivi A. Butti, Vita e scritti di Gaudenzio Merula ^G. F.) . » 226 G. Tononi, Memorie e notizie di Storia patria (G. Bigoni) . » 343 A. COMANDINI, /.' Italia nei cento anni del Sec. XIX giorno per giorno illustrata ........ » 344 G. B. Gerini, Paolo Mattia Doria filosofo e pedagogista (S. F.) » ivi G. Flechia, Postille al glossario medioevale ligure di G. Rossi » 345 G. BOFFITO, Per la storia della meteorologia in Italia . » ivi F. Beneducci, Scampoli critici ...... » 346 \ . Poggi, L’ atto di fondazione del monastero di S. Quintino di Spigno . . . . . , . , » ivi G. Guidoni, 2 luglio 1870, 2 luglio 1900. (M.) ...» 347 E. A. Dalbertis, Priorità dei Genovesi nella scoperta delle Azorre » ivi P. Sturlese, Discorso letto nella prima festa degli alberi celebrata in Camogli ......... » 348 Gli istituti municipali di P. I. e di istruzione in Genova nel- l’anno igoo ......... » ivi G. Sforza, Necrologia di Salvatore Bongi .... » 349 Ç. Manfroni, Sulla battaglia dei Sette Pozzi e site conseguenze (G. Cogo) . . Ύ....... La bulla maior di Cuniberto vescovo di Torino in favore della pre-vostura di Oulx, di C. Cipolla ..... Lettere famigliari inedite e quasi inedite di G. B. NlCCOLINÌ con schiarimenti di G. Nerucci......» 395 Le dicerie volgari di Ser Matteo de’ Libri da Bologna secondo ' una relazione pistoiese, pubblicata da L. Chiappelli . » ivi P. Bologna, LI possesso di Pontremoli preso in nome del Granduca Ferdinando II dal senatore fiorentino Alessandro Vettori nel 1650 L. Staffetti).......» 396 Colonna De Cesari Rocca Notes critiques sur Gênes et la Corse 1347-1360....... . » 466 G. BlGONI. Giovanni Marinelli .....,» ivi E. Maddalena, Una diavoleria di titoli e di cifre . . » ivi G. Finzi, Petrarca . . , . » φη G. Cogo, La Guerra di Venezia contro i Turchi , . » 46g C. Caselli, Materiali per una Bibliografia scientifica del Golfo della Spezia e dintorni . . . . . . . » ivi Raccolta di varietà storiche e letterarie .... » 469 G. \ aleggia, Il i° canto dell’ Inferno dantesco ...» 470 La corte piemontese e le ricerche storiche del Muratori in Piemonte » IVI 394 IVI GIORNALE STORICO E LETTERARIO DELLA L1GUKIA 47Ç) L. Piccioni, Note ed appunti intorno al giornalismo bergamasco Pag. 470 Antichissimi aneddoti Novalicensi . . . . . »471 SPIGOLATURE E NOTIZIE. Pag. 64, 155, 227, 350, 397, 471. APPUNTI DI BIBLIOGRAFIA LIGURE. Pag· 74, 157, 239, 35*. 400, t72· SOCIETÀ LIGURE DI STORIA PATRIA. Pag· 73, 239· NECROLOGIE Gaudenzio Claretta (A. N.) . . . . , · » 159 Arsenio Crespellani (L. Staffetti) ...... ivi Emilio Lazzoni (L. S.) , . . . . · · » 160 Giovanni Da Pozzo amministratore responsabile. ι· · - t ■ . - .* -· .· ·,Λ . ■ , - i‘W2i ■? ïfv ·.“·■■= ·. ètïm : ν·7...·,ν·,·'■·:Λί··!τ: ■ . ·-·..·. ?-“·■>. ■ .-■ · > ν : -3:.; ' ■ ' ■■·/' ■:;:-.·ΛΤ'ν .■'·.- ; ' - ·.·. ·ν;; 7 ·ν. >' ■· 1 - Λ Ά· ' . ; ·_ · . -γ V:ÏV; " ■ . "% H Ék< . ■ ■ :.·ν:·-;: ....·, , \·: - :Jk& à ^ .-è ■ & Ür __i ______ ASi/iÿ _ _ AVVERTENZE. 1) Il giornale si pubblica in fascicoli bimensili di 80 pagine ciascuno. 2) Per ciò che riguarda la Direzione rivolgersi in Genova, al Sig. Prof. Achille Neri — Corso Mentana, 43-12. 3) Per quanto concerne l’Amministrazione, esclusivamente all’Amministrazione del periodico — Spezia. 4) Il prezzo d’associazione per lo Stato è di L. lo annue Per 1 estero, , aumentato delle spese postali — Abbonamento speciale di favore per 1 soci della Società d’ Incoraggiamento e della Società Ligure di Storia patria, Lire sei. 5) L’abbonamento si paga anticipato al ricevimento del primo fascicolo. PUBBLICAZIONI RICEVUTE. Giovanni Iachino. Leon Pancaldo. Saggio Storico Critico. Savona, Peluffb, 1900. Giuseppe Petriccioli. Ode Saffica. Spezia, Zappa, 1900. Colonna De Cesari Rocca. Notes critiques sur Gênes et la Corse 1347-1300. Genova, Sordomuti, 1900. . , . MARIA Ostermann. Il pensiero politico di G. B. Niccolini nelle tragedie e ne e opere minori con I’ aggiunta di sonetti e opere inedite. Milano, Albrighi, Segati e ., 1900. CARLO Caselli. Materiali per una bibliografia scientifica del Golfo della Spezia e dintorni. La Spezia, Zappa, 1900. . . Francesco Corridore. Storia documentata della marina, sarda dal dominio spa-gnuolo al savoino (i47g-i72o). Bologna, Zanichelli (Cagliari, tip. Meloni e Aite 1) 1900. Extraits de Boccace (en Italien) avec notes et éclaircissements en français par Henri Hauvette. Paris, Garnier Frères, 1901. (Collection Dejob).^ Girolamo Rossi. La valle di Diano (Liguria) e i suoi statuti antichi. Tonno, ^ Paravia, 1900. . . Marcello Staglieno. Due documenti di Tedisio vescovo di 2orino, iormo, Paravia, 1900. Scritti scelti di Giuseppe Mazzini con note e cenni biografici di Jessic WRITE V. Mario, con ritratto e facsimile. Firenze, Sansoni, 1901. Alfredo CoMandini. L’ Italia nei cento anni del secolo XIX gioito per giorno illustrato. Milano, Vallardi, 1900-1901 ; disp. 15 e 16. Saul, Tragedia di Vittorio Alfieri con prefazione e commerito del prof. tRANCESCO Trevison. IH Edizione ricorretta e accresciuta. Milano, Albrighi, Segati e C., 1901 , in-8 ; pp. 127. . ...... B. E. Maineri. La leggenda del Buranco. Streghe, folletti e apparizioni in Liguria. Firenze, Ditta editrice Ugo Foscolo (tip. Franceschini), 1900. C. Augusto Riccio. Gregorio Correr, ricerche sopra la sua vita e le sue opere. Pistoia, Fiori, 1900. A propos de la partie honnête du « Décameron » de Boccace par M. CHARLES Dejob. Paris, Colin, 1900. . . Cenni storici, biografici, illustrativi sulla vita, studi e scoperte de sommo fisico Alessandro Volta per Ulisse Obè. Genova, Schenone, 1899. Galeotto del Carretto poeta lirico e drammatico monferrino. Memorie del dott. GIUSEPPE Manacorda. Torino, Clausen,' 1899. _ . Scritti scelti dì Giuseppe Mazzini con note e cenni biografici di Jessic White V. Mario con ritratto e facsimile. In Firenze, Sansoni, 1900. Illustrazione di un canzoniere ms. italo-spagnuolo del secolo XIII presentata a VAccademia Pontaniana da Benedetto Croce. Napoli, Tessitore, 19°°· ... Tancredi Tibaldi. La regione d’Aosta attraverso i secoli. Studi critici di stona. Parte /.« Evo Antico. 1900, Roux e Viarengo, Torino. Vittorio Murari Brà. Dati statistici storici, politici e militari sulle Colonie degli Stati Europei e degli Stati Uniti d’America, con carta dimostrativa. Torino, Roux e Viarengo, (1900). . „ . IOHN Addigson Symonds. Il rinascimento in Italia. L era dei tiranni. Prima versione italiana del conte Guglielmo de la ìeld. Torino, Roux e Viarengo, 1900. E. Maddalena. Libretti del Goldoni e d’ altn. lorino, Bocca, 1900. Luigi Staffetti. Due case di campagna nel secolo XIV. Modena, \ incenzi, 1900. PREZZO DEL PRESENTE FASCICOLO: L. 2 1 &r