f s I IORNALE STORICO E LETTERARIO DELLA LIGURIA diretto da ACHILLE NERI e ANNO II. 1901 SOMMARIO FASC. 1-2 Gennaio - Febbraio A. Tallone : Gli ultimi avanzi di governo rappresentativo in Piemonte sotto Emanuele Filiberto, pag. 5 — A. Pesce : Di Antonio Maineri governatore della Corsica per l’Ufficio di S. Giorgio (i457-I45^)> Pa3· 24 — VARIETÀ: B. Croce: Poesie inedite del Chiabrera, pag. 35 — G. Sforza: Testamento inedito del pittore Filippo Martelli, pag. 39 ANEDDOTI: C. Manfroni : Il « Liber privilegiorum Comunitatis Portus Veneris », pag. 41— U. Mazzini: Nota sul Cintraco, pag. 13 — G. Rossi: Il cartolario del-1’Abbazia di San Ponzio presso Nizza, pag. 45 — E. Scatassa : Mastro Iacobi detto il Genovese, pag. 46 — BOLLETTINO BIBLIOGRAFICO : Si paria di : F. Foffano, M. Tovini, R. Bonfanti (E. Maddahna), pag. 47; di A. De Morati (U. Assereto), PaS· 52 ! di L. Migliorini (G. Sforza), pag. 55 ; di G. Jachino (P. Peragallo), pag, 58 ; ANNUNZI ANALITICI : Si parla di Addington Symonds, Murari Brà, T. Tibaldi, F. Bouvier, F. Corridore, C. Àioratti, G. B. Gerini, L. Credaro, P. Micheli, G. Sforza, A. Chiti, A. Fiammazzo, G. F. Airoli, A. Solerti, A. Comandini, V. Podestà, N. Schiap-pacasse, G. O. Crosiglia, A. Manzoni, S. Monaci, U. Obè, pag. 63 — SPIGOLATURE E NOTIZIE, pag. 73 — APPUNTI DI BIBLIOGRAFIA LIGURE, pag. 79. It LA SPEZIA DIREZIONE SocIetA d'Incoraggiamento editrice AMMINISTRAZIONE Genova - Corso Mentana ----La Spezia - Amministrazione 43.11 Tu·, di Krancksco Zappa del Giornale AI SIGNORI ASSOCIATI Si fa calda preghiera a quei pochi associati che ancora non hanno pagato Γ abbonamento dell’ anno passato, perchè si mettano in redola coll’ amministrazione. Si sollecitano pure tutti quelli di quest’ anno ad inviare il prezzo dell’ abbonamento all’ Amministrazione del Giornale, Spezia. V amministratore G. DA POZZO. AVVERTENZE Il giornale si pubblica in fascicoli bimensili di 80 pagine. Il prezzo dell’ associazione annua' è di L. 10 Per Γ estero fr. 11. — I soci della Società Ligure di Storia Patria di Genova, e quelli della Società d’ Incoraggiamento della Spezia godono di uno speciale abbonamento di favore a Lire'SEI. La Direzione concede ai propri collaboratori 25 estratti gratuiti dei loro scritti. Coloro che desiderassero un numero maggiore di esemplari potranno trattare direttamente col tipografo. GIORNALE STORICO E LETTERARIO DELLA LIGURIA. Giornale storico e letterario DELLA LIGURIA DIRETTO DA ACHILLE NERI e UBALDO MAZZINI VOLUME II LA SPEZIA SOCIETÀ d’ incoraggiamento editrice MDCCCCI GLI ULTIMI AVANZI DI GOVERNO RAPPRESENTATIVO IN PIEMONTE SOTTO EMANUELE FILIBERTO i. A poco a poco, dalla fine del secolo XV in poi, le belle prerogative delle assemblee dei tre stati erano andate scemando, nè ad altro effetto venivano convocate che a quello di votare i sussidi necessari a rifornire l’erario stremato dalle guerre e dai saccheggi di milizie straniere. Non più vide il regno di Carlo il Buono quelle solenni adunanze in cui gli interessi vitali della Patria eran discussi ; non più si trattarono in quelle assemblee questioni di guerra e di pace, di leghe, di trattati, di matrimoni; non più ebbero i deputati bisogno di preoccuparsi intorno alla successione sul trono o a consacrare l’autorità di una reggenza malferma; ai tristi casi della monarchia travagliata altro rimedio oramai più non sapevano opporre che gli scarsi sussidi onde venivano dal loro signore richiesti, e che non sempre venivano puntualmente versati. Gli atti ufficiali di siffatte adunanze, conservati, se non totalmente, in gran parte (i), ci son testimonio di simile decadimento; ma un’altra fonte ricchissima, rimasta finora pressoché inesplo- (I) Bollati, Atti e documenti delle antiche assemblee rappresentative nella Monarchia di Saveia (H. P. M., xiv-xv, Comitiorum I-II). 6 GIORNALE STORICO lì LETTERARIO DELLA LIGURIA rata(i), getta luce maggiore sullo spegnersi inglorioso di questa nobile istituzione, e lascia incerto se più debba meravigliarci la debolezza del principe di fronte alle richieste dei deputati, o la debolezza di questi di fronte alla fermezza di quello; debolezza e fermezza che con alternativa continua si vedono stranamente avvicendarsi in quelle congregazioni. Durante il regno di Carlo II, prima dell’invasione francese, i sussidi furon bensì regolarmente votati e il duca in ricambio promise la riconferma dei privilegi fino allora goduti e la concessione di altri di cui veniva richiesto; ma quando alcune rarissime volte trattossi di altre importanti questioni, trovossi di fronte le opposizioni non sempre illuminate delle comunità, che non ogni volta riuscì a debellare, con grave iattura di sè e del suo paese. La mitezza dei termini espressi nei documenti ufficiali — cioè nelle richieste dei congregati con le relative risposte del duca trasmesse poi ai vari comuni e da questi gelosamente serbate — non corrisponde in tutto alla verità e vi si scorge chiaro lo studio del compilatore, o di chi commetteva la compilazione, di evitare qualunque frase potesse muovere il minimo dubbio intorno alla deferenza dei tre stati verso del principe, alla benevolenza di questo verso dei sudditi ed al suo desiderio di rispondere favorevolmente a tutte le loro richieste. Eccone un esempio. Nell’assemblea del 1505 (2) erasi domandato « quod emolumentum sigilli cancellarie sabaudie non possit vendi nec accensari sed fiat exactio et receptio ipsius sigilli secundum formam et dispositionem statutorum dominicalium que optima sunt et hactenus observata fuerunt » : ma il duca avendo risposto: « quia non tangit factum patrie nostre sed patrimonium nostrum non duximus concedendum », fu la detta richiesta per il voler dei tre stati medesimi cancellata senz’altro dal documento che avea da (1) Gli Ordinati o Riformagioni dei singoli municipi, conservati nei rispettivi archivi comunali. (2) La data d’apertura di questa sessione, assegnata dal Bollati, I, 651, al dicembre, deducendola dal Computus Stephani De Capris, va con tutta probabilità assegnata alla fine del mese di novembre: Arch. comunale di Moti-calieri, Ordinati, xxxii, consiglio del.... novembre (il giorno è illegibile) : « Et primo quid placeat providere de elligendo duos probos viros qui vadant ad tres status quia assignatio cadit hodie ». GIORNALE STORICO E LETTERARIO DELLA LIGURIA 7 andare per le mani di tutti (i). E un altro difetto ancora presentano questi documenti ufficiali, poiché accennando solo all’ultimo effetto, cioè all’avvenuta concessione del sussidio, non riproducono le discussioni cui la richiesta soleva dar luogo, la riluttanza dei congregati ad approvar nuove imposte, le concessioni che dalle due parti facevansi sull’ entità del sussidio, le risposte non sempre rispettose che dai tre stati venivano fatte, e l’indifferenza di questi per tutto ciò che non riguardasse direttamente pecuniari interessi. Nè a dimostrar tutto ciò ci mancano i documenti. Quando nel 1527 il conte Filippo Tornielli ed altri facinorosi infestavan le terre del Vercellese, dopo che il consiglio di qua dai monti ebbe esortato i sudditi a prender le armi, il duca con lettera da Chamberì, 25 di marzo, convocò per il 27 in Torino un’assemblea dei tre stati (2), e in questa il luogotenente generale del Piemonte, signore di Musinens, rappresentò come « non foret honestum » che i soli comuni di Vercelli e Santhià avessero a sostenere il peso delle milizie raccolte per opporsi a quelle incursioni, e che perciò anche gli altri dovessero contribuir nella spesa (3). Ma Moncalieri nelle istruzioni ai suoi deputati osservò che per la sua povertà non avrebbe potuto sborsar somma alcuna (4); e quando nella nuova seduta del 4 d’aprile più inquietanti arrivarono le notizie dei guasti e più insistenti di prima le richieste del duca, risposero che a questo spettava difendere la (1) « Cancellatur (il tutto) de iussu et voluntate patrie ». Bollati, I, 656, nota (2). (2) Ardi, comunale di Chivasso, Riformagioni ; registro 1527-1530. O-riginale inserto. Quest’assemblea e molte altre di quelle cui in seguito accenno, non sono ricordate nei Comitia citt. (3) Cfr. il mio scritto su Ivrea e il Piemonte al tempo della prima dominazione francese (1536-1559), >n Bibl. della Soc. stor. subalp., vii, 84; Pinerolo, 1900. (4) « Omnes unanimes ordinarunt prefatos.... qui ellecti accesserunt ad ipsos tres status reverti debeant die quarta proximi aprilis ad respondendum comuni ta tem et homines montiscalerii propter maximam penuriam et paupertatem eorum et sic impossibilitatem quod valde molestum eis est, non posse auxilium nec contributionem conferre ». Arch. com. di Mone., Ordd., xxxrv, consiglio del 31 marzo 1527. 8 GIORNALE STORICO E LETTERARIO DELLA LIGURIA sua patria e che solo avrebbero consentito un limitato numero di soldati, ove anche i nobili e gli altri comuni avessero fatto altrettanto (i). Questa lor riluttanza non era nuova, poiché già Γ anno prima, nell’ assemblea radunatasi nel febbraio (2) alla presenza della duchessa, avendoli questa richiesti di 4000 uomini armati da mandare oltre i monti (3), erano stati assai circospetti nell’assentire, e solo avevano aggiunto che vi si sarebber prestati, ove ciò non tornasse in pregiudizio delle loro franchige (4). Furono assai maggiori i contrasti nelle adunanze tenute sulla fine del '33. Fra le altre materie trattatevi fu anche la richiesta di un nuovo sussidio, perchè il duca potesse soddisfare al pagamento di ragguardevoli somme da lui dovute agli Svizzeri (5). (1) «Dixerunt et ordinarunt nobiles ellectos transmissos ad ipsos tres status debere respondere ili. d. d. nostrum principem esse dominum totius patrie qui tenetur ipsam deffendere et nichilominus si nobiles patrie et cetere communitates contribuant et participent, comunitatem montiscalerii pro sua rata in dando pedites pro deflensione patrie facturam prout cetere comunitates omnes facient, non consenciendo devenire ad aliquam compositionem pecunianim ». Ibid. consiglio del 5 aprile 1527. (2) Il giorno 19: Arch. coni, di Mone., Ordd., XXXIV, consiglio del 14 febbraio 1526. Questa é l’assemblea che senz’altra indicazione il Cibrario, Origine e progressi delle istituzioni della monarchia di Savoia, 247-24'“' 5 Firenze, 1869, assegna al febbraio del 1526» e in cui appunto dice aver la duchessa fatto tale richiesta. Cfr. Bollati, I, 780 e II, app. Ili, 357"35^> dove simile deliberazione si assegnerebbe esclusivamente all’ottobre seguente. (3) « In preparandis et mandandis per comunitates pedemontium ad partes ultramontanas quatuor milibus peditibus schopeteriis ». Arch. coni. di Alone. Ordd., xxxiv, consiglio del 25 febbraio 1526. (4) « Super ipsa prima petitione.... ellegerunt.... legatos qui compareant die statuta cum aliis comunitatibus patrie coram ili. d. d. nostra ducissa et super ipsa prima peticione mandandi pedites ultra montes ut supra instent et requirant ab eadem E. S. observari sibi comuni tati et hominibus montiscalerii eorum franchixias et libertates ab ili. ducibus sabaudie predecessoribus S. E. obtentas de quibus fiat fides per librum statutorum et casu quo relique comunitates que fidem faciant sibi excelentie sue et constabit de eorum franchixiis continentibus eandem libertatem quam continent franchixie montiscalerii et condescenderent.... ad aliquas peticiones seu ipsi peticioni primo facte de qua supra eo casu prefati ellecti condescendant prout ipse relique com mitâtes facient ». Ibid., consiglio del 25 febbraio 15^-6. (5) « Insuper quod eius excelentia tenetur erga elvecios in egregia summa pro recuperatione civitatum loxane et gebennarum et quam summam accepit GIORNALE STORICO E LETTERARIO DELLA LIGURIA 9 Numerose furono le adunanze tenute, occorrendo ai legati far ritorno sovente ai comuni loro per averne nuove istruzioni: finalmente alla fine del mese di ottobre o il primo del mese seguente, l’assemblea votò un dono di 250,000 fiorini al duca, 23,000 alla duchessa, 6,000 al principe ereditario, 3,000 al conte del Genevese (1). Ma il duca non acconsentì alla deliberazione e non li volle neppure accettare (2), e rimandò 1’ adunanza fino al 2 dicembre (3), il qual giorno tutta la patria eccetto il comune di Moncalieri — che tosto però uniformossi al volere della maggioranza — crebbe il sussidio di 50,000 fiorini (4). Ma non sempre i tre stati furon contenti a una semplice mostra della loro indigenza per poi finir di concedere quanto il duca chiedeva: talora negarono recisamente e con forme non troppo rispettose. Si ebbe un esempio dell’ostinazione loro nelle assemblee del 1517, quando per gli orrendi, continui saccheggi inflitti alle terre piemontesi dalle milizie straniere, il duca aveva sub interesse adeo quod nisi satisfaciat posset eidem et toti patrie evenire maximun detrimentum et plura alia que essent longum enarare. Super quibus requisì vit a patria caritativum subsidium ». Ibid.., χχχνι, 231 r. ; consiglio del 4 ottobre 1533. « Scipio Cara collateralis venit parte ili. d. d. nostri ac sabaudie ducis narrando quod ili. dominatio sua requirit sibi muttuari pecunias pro sactisfaciendo elveciis pro summa florenorum quindecim milia auri pro quibus fuerunt alias yppoctecate due ville in patria vaudi finitime et in fronteriis elveciorum et nisi satisfiat ipsis elveciis dicte ville perdentur ». Arch. com. di Vzrcelli, Ordd., XXII, 139 r. ; consiglio del 9 novembre 1533. L’elenco di questi debiti fu disteso dal segretario Vulliet per uso dei congregati: Bollati, I, 845-846. (1) Arch. com. di Mone., Ordd., xxxvi, 232 v.; consiglio del 2 novembre 1533. Dalla relazione scritta nel suo registro dal segretario Vulliet risulta che il 19 di ottobre fu votato unicamente il sussidio di 250,000 fiorini e che, meravigliatosi il duca nel vedere dimenticato il conte del Genevese, il segretario Vulliet l’indomani ne fece parola ai tre stati, i quali votarono altri 3000 fiorini in favore del conte. Dai documenti pubblicati altro non si sa se non che i tre stati finirono per votare la somma di 334,000 fiorini. Bollati, I, 845-847. (2) « Et sic in summa florenos ducentum octuoginta quatuor milia quos prelibatus ili. d. noster dux acceptari recusavit quia illos volebat sine aliquali termino, quos patria exbursare non poterat ». Arch. com. di Mcmc., Ordd., xxxvi, 232 v.; consiglio del 2 novembre. (3) Ibid., 234 v., consiglio del 30 novembre 1533. (4) Ibid., 235 v., consiglio del 5 dicembre. IO GIORNALE STORICO E LETTERARIO DELLA LIGURIA tentato di indurre i suoi sudditi allo stabilimento di un esercito stanziale di 10,000 soldati. La maggior parte dei congregati si mostrarono assolutamente restii: Ivrea e Biella forse avrebbero acconsentito (1), non gli altri comuni che addussero per pretesto che il duca con quei soldati intendeva opprimere il suo paese (2), e i deputati di Moncalieri dovettero, in conformità delle loro istruzioni, tra l’altro rispondere che in fin dei conti se tanti mali erano stati costretti di sopportare, ciò era avvenuto per colpa del duca (3). Nel 1532 parimenti le risposte dei congregati non tornaron gradite a Carlo II, il quale in quella sessione aveva cercato fare approvare ai tre stati importanti riforme nella giustizia ed altri provvedimenti per il benessere dei suoi sudditi (4). Nella seconda adunanza tenuta il 5 dicembre (5) fecero alle proposizioni ducali una risposta sgradita, il cui accenno è nella (1) « Super propositione facta per r. d. episcopum Vercellensem quod intellexit quod in conclusione seu provisione ultime credencie facta in hac αν itate omnino conclusum fuit quod non consenciatur requisicioni facte parte ili. d. d. nostri que conclusio vidute ipsius r. d. episcopi est nimis excessiva attento maxime cum intellexerit civitatem ipporegie et homines ipsius et locum bugelle et homines ipsius loci contententur in aliquo complacere prefato ili. d. d. nostro ». Arch. com. di Vercelli, Ordd., xrx, 108 v., consiglio del 16 aprile 1517. (2) « E. S. intellexit vociferari quod petere intendit dictos pedites pro subiugando subditos suos et E. S. non ita intelligit sed illos vult pro con-servacione patrie et miratur quod populares sint isto modo instructi cum sint evocate vicinie et data capitula ipsis vicinandis ». Ibid. ii6v., consiglio dei 10 maggio 1517. (3) Ivrea e il Piemonte, cit., p. 73. (4) << Per ili. d. cancellarium fuit propositum quod S. E. intendit reformare iustitiam tam civilem quam criminalem quia dum foret in sabaudia querimonias suscepit quod protrahitur in longum ultra debitum et subditi variis et diversis expensis frustrantur et consumuntur cui intendit ordinem dare et et remedium afferre opportunum. « Item et circa bampnitos qui in patria morantur ut boni subditi possint eorum panem in pace manducare et sine dubio eorum negocia peragere et versari. « Item et circa politicam seu modum bene vivendi secundum uniuscuiusque statum et conditionem iuxta decreta que observari vult ad unguem addendo si opus sit alia. « Item et circa monetas ut non tam in altum ascendant ». Arch. com. di Moncalieri, Ordd., xxxvi, 152 v. - 153 r. (5) Bollati, I. 837, che non ne cita alcun’altra precedente a questa. GIORNALE STORICO e LETTERARIO DELLA LIGURIA II relazione del segretario Vulliet temperato in tal guisa: « Supplicant (i tre stati, il 6 dicembre) si antea non bene intellexerunt mentem Excellentie seu eos habere excusatos et benigniter ignoxere. Contenti insuper assistere lecture statutorum et facere prout Excellentie sue placuerit > (i). Ma il vero si è che il duca obbligò i deputati a rimanere in Torino fino a che non avessero dai loro comuni ottenuto nuove istruzioni più conformi alla sua volontà (2). Giunte le nuove istruzioni, per dodici giorni consecutivi si trattò l’importante materia (3), ma senza risultamento veruno, perchè il duca dovette interrompere le sedute per recarsi a Bologna (4). Furon riprese nell’anno seguente; ma il duca, memore forse delle difficoltà precedentemente incontrate, ebbe cura di far sentire per bocca del cancelliere agli ambasciatori adunati nella prima seduta del 4 di ottobre, che egli avrebbe potuto esimersi dal chiedere il loro parere e deliberare il tutto di sua autorità (5). E se così avesse tatto certo non ne sarebbe sorto inconveniente veruno, perchè l’indifferenza di queste congregazioni per tutto ciò che non fosse pecuniario interesse erasi già alcune altre volte chiaramente manifestata. Così nell’assemblea tenutasi nel settembre del 1512,1 deputati, al duca loro chiedente consiglio ed aiuto, risposero disinteressandone totalmente e rimettendosi all’autorità del consiglio suo La prima adunanza della sessione ebbe luogo il 17 novembre in Chieri. Arch. com. di Mone., ibid., 152 v.; consiglio del 24 novembre 1532. (1) Bollati, I, 837. (2) « Quia fuit data responsio non placita prelibato ili. d. d. nostro licet conformis responsionum aliarum comunitatum ipsos ambasiatores comu-nitatum arestavit non recessuros usque quo ab eorum comunitatibus aliam magis gratam habuerint responsionem ». Arch. com. di Mone., ibid., 154 v. ; consiglio dell’8 dicembre. (3) « Steterunt taurini duodecim diebus et quolibet die parte excelentie ducalis fuerunt eis lecta duodecim decreta sive capitula bene dictantia circa iusticiam civilem et criminalem ac bampnitos et malefactores, monetas et politicam quam reparandam S. E. remittere volebat nobilibus patrie qui nolli-verunt illud onus acceptare ». Ibid. 161 r., consiglio del 22 dicembre. (4) Bollati, I, 839 - Arch. com. di Mone. Ibid. - Arch. covi, di Vercelli, Ordd., XXII, 114 r. ; consiglio del 23 dicembre 1532. (:;) « Super quibus omnibus eius excellentia requirebat ut patria, hoc est tam barones, nobiles et comunitates quam ceteri vellent elligere tres, quatuor aut plures probos, doctos viros et in similibus expertis qui habeant videre 12 GIORNALE STORICO E LETTERARIO DELLA LIGURIA stesso (i). Le medesime cose risposero nelle adunanze dell’ 8 di ottobre 1528 (2), dell’8 di marzo 1536(3), e nell'assemblea del marzo 1517, in cui oltre alla richiesta di milizie stanziali doveva trattarsi di riforme nella giustizia, i deputati di Moncalieri ebbero istruzione dal loro comune di invitare Carlo II ad amministrar bene la giustizia egli stesso, perchè a lui ed al suo consiglio ciò doveva importare, non alle comunità cui non spettava intromettersi in quella questione (4). Se tale era già l’indifferenza di queste assemblee,pur quando lo stato in tutta la sua integrità conservava ancora le antiche sue tradizioni e poteva ancora aver alta la coscienza di sè, che cosa non doveva avvenire poco di poi, quando 1’ occupazione francese ridusse a minime proporzioni gli stati del duca? L’in-stituzione decadde ancora di più, e tolta una sola adunanza, quella del settembre 1539 in cui nei tre stati parve rivivere la dieta decreta quoniam eius excelentia licet possit circha predicta ex eius auctoritate discernere tamen eius excelentia intendebat omnia cum patria participare et comunicare ». Arch. com. di Mone., Ordd., XXXVI, 231 r. ; consiglio del 4 ottobre 1533. (1) « Cupiebat ili. d. d. noster dux habere consilium patrie et ibidem congregatorum ; qui ibidem de patria congregati responderunt quod ili. d. d. noster habet et habuit bonum consilium, et quod secundum eum bene gessit omnia et geret ». Arch. com. di Vercelli, Ordd., xvil, 72 v. ; consiglio dei 5 settembre 15 12. (2) « Qui legati refferunt in ipsis tribus statibus fuisse petitum parte excelentie ducalis advisum a patria consiliumque et auxilium propter ispanos qui dicuntur transcurrere super fines civitatis Vercellarum abducendo bestias etc. et si ingredientur ipsam civitatem que est clavis huius patrie pedemontis quod ipsa patria pedemontis multa possit pati dampna etiam incogitata et quod talia indigent celeri provixione ad obviandum scandalis. Et inde instatum fuit declinari illa verbo advisum consilium et auxilium quia ili. d. d. noster habet melius consilium et advisum quam patria prebere possit ». Arch. com. di Mone., Ordd., xxxill, 22 marzo 1528. (3) Ivrea e il Piemonte, cit., p. 163. (4) « Ambasiatores ellecti vadant et suplicent ili. d. d. nostro carolo sabaudie etc. duci ut bonam iusticiam faciat et quod pravi homines puniantur et delieta non remaneant impunita et quod eius ili. denominationi interest et eiusm. consilio iusticiam facere prout semper assueti sunt et quod comunitates de ipsa iusticia se intromittere non habent ». Arch. com. di Mone Ordd., ΧΧΧΙΙΓ, 22 marzo 1517. GIORNALE STORICO E LETTERARIO DELLA LIGURIA I 3 coscienza dell’alto ufficio cui mai non avrebbero dovuto venire meno, poiché suggerirono al duca di provvedere con un nuovo suo matrimonio alla conservazione della stirpe, che trovavasi in manifesto pericolo di estinguersi non essendo sopravvissuto al duca che un unico figlio (i), solo ormai si occuparono degli scarsi sussidi che la condizione tristissima del paese lor permetteva ancora di deliberare; lo stesso Emanuele Filiberto in principio del regno qualche rara volta li convocò (2); ma il poco giovamento che n’ebbe e la prova meschina che in quelle ultime adunanze essi fecero non furon certo ultime cause ad indurlo alla totale soppressione di essi, quando si accorse che con altri mezzi avrebbe potuto raggiungere il medesimo scopo. La riforma in questo senso introdotta da Emanuele Filiberto fu una vera rivoluzione nel sistema del suo governo; ma avvenuta senza spargimento di sangue e senza incontrare opposizioni da parte dei sudditi, passò per quest’ultimi si può dir totalmente inosservata: nessuno se ne lagnò e gli storici sono tutti quanti d’accordo nel riconoscere la necessità di questa riforma. Due volte ancora durante il suo regno cercò di mettere a parte i suoi sudditi del governo della pubblica cosa; ma entrambe le volte si vide come questa libera instituzione avesse, pel vincitore di S. Quintino, oramai fatto il suo tempo. Per rendere accetto un grave aumento sul prezzo del sale — monopolio contro cui già i tre stati durante la dominazione francese tante volte avevano protestato (3) — convocò Emanuele Filiberto in Racconigi nel giugno del (560 i rappresentanti dei nobili e dei comuni, i quali per vero tanta buona volontà dimostrarono che acconsentiron senz’altro più ancora di quanto era stato loro richiesto, cioè che il sale venisse venduto a scudi 36 la carrata ossia uno scudo e mezzo ogni boglio (4) Con ciò la questione sarebbe sembrata risolta : invece il duca non ne tenne alcun conto e come se nulla affatto in quella con- fi) Ivrea e il Piemonte, cit., p. 165. Fu questa una delle tante adunanze tenute a nome del duca al tempo della dominazione francese e sfuggiti fin qui all’investigazione di tutti gli storici. (2) Ivrea e il Piemonte, 1. cit. (3) Bollati, I, 962, 1293, 1044; II, app. m, 371-372 — Ivrea e il Piemonte, cit., cap. IV. (4) Bollati, II, app. I, 213-216. 14 GIORNALE STORICO E LETTERARIO DELLA LIGURIA gregazione fosse avvenuto e nessuna deliberazione fosse stata ivi presa, poco appresso mandò suoi agenti pei vari comuni (i) ad imporre il prezzo del sale a 48 scudi per carro, ossiano 2 scudi d’oro ogni boglio (2) ; e i comuni con maggiori o minori difficoltà acconsentirono tutti. In Vercelli ad esempio fu inviato il maestro uditore Gian Matteo Cocconato e il futuro gran cancelliere Langosco, i quali proposero il prezzo accennato con le condizioni inerenti (3). Ma la città protestò; alcuni consiglieri a ciò deputati recaronsi presso il duca supplicandolo a non voler mandare ad effetto il meditato disegno attesa la loro fedeltà e i carichi gravissimi sopportati durante le guerre trascorse (4). Il duca rispose : « Il conte Stropiana con il Co-conato vi dirano quanto he la mente mia et bisogno » ; la città deputò nuovamente gli stessi legati a trattare col duca « ad minus damnum communitatis et civitatis faciendo debitas reser-vationes pro conservatione iurium communis » (5), e così anche in Vercelli, come nell’altre città dello stato, l’aumento fu imposto senza alcun altro contrasto. A nulla dunque aveva servito questa congregazione del 1560; ora vediamo per quali circostanze ancora una volta ebbe il duca a richiedere del loro parere i suoi sudditi. (1) « Actum est per idoneos cum singulis transalpinae, subalpinacque provinciae civitatibus, ut unaquaeque tantum annui tributi aequis portionibus penderet____». De vita Emmanuelis PhilibertiIoannis Tonsi, 139 ; Augustae Taurinorum, 1596. (2) Ricotti, Storia della Monarchia piemontese, II, 154; Firenze, 1861. (3) « Quod sal vendatur m civitate et eius districtu ad rationem scuttorum quadraginta octo pro qualibet carratta ec quod ipsum sal distribuatur per ducales gabellerios civibus et districtualibus singulis tribus mensibus ad rationem unius bogli pro quibuslibet quatuor capitibus seu personis pro singulo anno ». Arch. com. di Vercelli, Ordd., xxv, 120 v. ; consiglio del 30 ottobre 1560. (4) « Ut digneretur hanc civitatem et eius districtum illesam et indemnem preservare a novo gravamine augumentationis salis proposite nomine prelibate sue altitudinis atenta eius fidelitate et tot et tantis oneribus hinc retro occursis propter sevissima bella ». Ibid., 126 r. ; consiglio del 20 no·, vembre 1560. • (5) Ibid. GIORNALE STORICO E LETTERARIO DELLA LIGURIA 15 II. Correva l’anno 1572, e nubi minacciose addensavansi dalla parte di Francia. L’ultima pace conchiusa a S. Germano Γ8 di agosto tra i cattolici e i protestanti era riuscita tutt’ altro che a calmare gli animi inaspriti da tante passioni, nè certo potevano acquetarsene gli ortodossi per le concessioni ivi fatte alla religione nemica; nè gli aderenti di questa osavano ancora mostrar piena fiducia nella lealtà della corte; dimodoché da una parte e dall’altra vivevasi in una diffidenza, in un terrore continuo, cui non riuscivano a dissipare nè le trattative intavolate da Caterina per dare in moglie la sua terza figliuola al figlio di Giovanna d’Albret, nè le carezze da lei e dal re prodigate all’ammiraglio di Colignì. Il diversivo di una guerra esterna, in Fiandra o in Italia, secondo 1’ avviso dell’ ambasciatore veneto Giovanni Michiel, avrebbe forse a mali sì grandi apportato un rimedio, riuscendo a fondere in una passione comune tutti quelli elementi diversi (1), nè mancò chi ne suggerisse a Carlo IX il pensiero ; ma non era facile cosa il vincere le opposte tendenze che si agitavano nei consigli del re. Carlo IX aveva accettato con entusiasmo il disegno di una guerra contro la Spagna comunicatogli dapprima a Blois da Lodovico di Nassau (2) e poscia dall’ammiraglio ; molti signori, in vista del loro vantaggio particolare sperando di aver qualche parte nella distribuzione delle dignità e delle cariche, vi erano favorevoli, come il duca di Nevers ed il presidente Birago (3); ma la regina madre vi era contraria per timore di perdere la sua autorità; i Guisa, benché si tenessero pel momento apparentemente in disparte (4), erano dello stesso parere, spalleggiati validamente dal Morvillier (5), dal duca di Montpensier, dal Limoges e dal Bellegarde (6); e le stesse potenze d’Europa, (1) Forneron, Les ducs de Guise et leur epoque, II, 102; Paris, 1893. (2) Dareste, Histoire de France, IV, 264; Paris, 1884. (3) Lettera in cifra del signor di S.t Paul, dell’ 11 giugno 1572; Archivio di stato di Torino. Lettere ministri, Francia, III. (4) Lettera cit. (5) Baguenault de PUCHESSE, Jean de Morvillier ève'que d’ Orleans garde des sceaux de France, 257-257; Paris, 1870. (6) Lettera cit. ι6 GIORNALE STORICO E LETTERARIO DELLA LIGURIA che pure avrebbero dovuto veder di buon occhio che la Francia cercasse di opporsi all’invadente preponderanza di Filippo II, per timore dei Turchi non vi erano favorevoli (i). luttavia a poco a poco, i partigiani della guerra cominciarono a prendere il sopravvento: il 29 di aprile un trattato di lega offensiva e difensiva era conchiuso a Blois con Elisabetta; Gaspare Schon-berg era spedito in Germania per indurvi a una lega i principi protestanti ; monsignor di Noailles doveva trattarne col Turco; e infine il Nassau, col la Noue ed il Genlis — benché Carlo IX cercasse far credere che ciò era avvenuto contro la sua volontà (2) — nella prima quindicina di maggio erano già entrati in Fiandra con buon numero di protestanti francesi. Tutto insomma preludeva alla guerra (3), nè fa stupire che notizie siffatte te- (1) « S. M. très chrestienne peult aisement juger quel desplaisir sentiroit le pape â ce sien advenement et combien facilement Ion luy pourroit rendre telle cause odieuse et de mesme aux venitiens lesquels se voyant nécessitez à faire paix avec le turq (avec dures conditions) à peine consentiroint a prester secours à sadite Majesté par laquelle ilz présumeront avoir esté privez de celluy d’Espaigne en ceste leur guerre sì aspre et tant urgente necessitò et moins 1’ Empereur et ses freres et aultres princes et estatz de Γ Allemaigne de ce costé là exposée et presque ouverte è' la puissance dudit Turq. En sorte que pour la réputation aussi bien que pour l’utilitè ce temps ne semble convenable à fere aulcun remuement du costè de S. M. très chrestienne ». Emanuele Filiberto al signor de S.t Paul, 18 giugno 1572. Archivio di stato di Torino, loc. cit. (2) «Je viens présentement d’estre adverty que contre les expresses de-fences que javois faictes le conte ludovic de nansau frere du prince d orange accompagné de plusieurs gentilz hommes de la nouvelle religion mes subiectz est entré dedans les pais bas et faict quelques entreprinses sur aulcunes villes appartenantes au roy catholique mon bon frere. De quoy je suis très marry car désirant avec entiere affection conserver 1’ amylié et bonne paix qui est entre ledit roy catholique et moy il me desplaict grandement que mes subietz assistent ledit comte en pareille occasion et que je soye si mal obey ». Carlo IX ad Emanuele Filiberto, Arlenay, 29 maggio 1572. Copia sincrona autentica in Arch. di stato. Lettere principi forestieri, Francia, I. (3) « Estant arrivé icy j’ay treuvé M. de Bellegarde lequelle ne treuve pas bonnes les actions de ce royaume en ce mesmement quilz la veulent rompre avec le roy d’Espaigne et si bien Ion dict tousiours que non, la chose scn vait descouverte si ouvertement que malaisément se peut il plus dissimuler ». Il signor di S.t Paul al duca, Parigi 20 maggio 1572· Lettere Ministri. Francia, III. GIORNALE STORICO E LETTERARIO DELLA LIGURIA I 7 nessero in grande apprensione il duca di Savoia. « Io lo trovai allora — diceva poco di poi 1’ ambasciatore veneto Giovanni Micbiel (i) — in gran perturbazione d’animo (e con molta ragione) perchè egli temeva che al sicuro si compisse la guerra, e conoscendo non poter se non con grandissima sua spesa in-tertenersi neutrale, per le molte piazze forti che gli converrebbe guardare, non sapeva, dovendo uscir di neutralità, a qual parte risolversi ehe non fosse molto pericolosa per lui avendo lo stato posto nel mezzo agli stati di Francia e Spagna, con l’aver (che è peggio), i popoli poco amici ». E se la guerra fosse allora scoppiata, qualunque contegno avesse in essa il duca tenuto, grande rovina ne sarebbe venuta al suo stato, dove l'opera e-nergica ed avveduta di restaurazione materiale e morale non era ancora compiuta. Si sarebbero rinnovati i disastrosi passaggi di soldatesche straniere che per tanti anni già l’avevano funestato ; i malcontenti per le nuove riforme non avrebbero mancato di approfittare delle angustie del duca; mentre la necessità di provvedere alla sicurezza del paese avrebbe interrotto tutta l’opera sua. Oltre a ciò la sua posizione eragli resa ancor più difficile dai maneggi delle due potenze rivali. Già un anno prima la corte di Francia avevaio sollecitato a passar dalla sua con larghe promesse di probabili acquisti (2); il re di Spagna dall’altra — o, meglio, il governator di Milano per lui — insisteva perchè si dichiarasse apertamente contro i Francesi (3); cosicché non sapendo dove voltarsi, non volendo, per amor del suo stato inimicarsi la Francia a cui univanlo i vincoli di parentela, e neanche la Spagna a cui doveva la restituzione dello stato, si adoperò con tutti i mezzi per mantenere la pace, rimostrando all’uno ed all’altro gli inconvenienti di una rottura di guerra (4); ma non tralasciando di premunirsi pel caso che le semplici trattative non avesser potuto scongiurar la tempesta. Crebbe i presidi e le (i) Relazione di Francia del 1572. Ap. Alberi, Relazioni degli ambasciatori veneti al senato, I, IV, 278; Firenze, 1860. Si riferisce al principio di luglio. (3) Ricotti, II, 344-345· (3) Ibid. — Il duca a Giovenale Costaforte, Torino, 12 giugno 1572. Arch. di stato. Lettere ministri, Spagna, I. (4) Ibid. e 15 e 19 giugno. — Il duca al signor di S.t Paul, 18 giugno 1572. Lettere ministri, Francia, III. ι8 GIORNALE STORICO E LETTERARIO DELLA LIGURIA munizioni delle fortezze, si diede a raccogliere gente (i) ; e, come rimedio supremo, si volse a chieder consiglio a quei sudditi stessi cui già da gran tempo era avvezzo a non più chiedere il loro parere. Non fu quella una vera e propria assemblea dei tre stati, poiché i rappresentanti del clero non furono convocati nè pare che quelli dei nobili e dei comuni siano stati richiesti del loro avviso in solenne assemblea, ma solo separatamente (2); ma quest’atto del duca rappresentò ancora agli occhi di tutti come un ultimo avanzo, benché in apparenza soltanto, del vecchio sistema rappresentativo. La lettera stessa di convocazione ai comuni pare calcata su quelle che al tempo del duca suo padre mandavansi al medesimo scopo. Eccola per intero: « Il duca di Savoia. Molti diletti fideli nostri. La qualità del tempo et lo stato delle cose presenti richiede che a li più cari et fideli sudditi nostri appriamo l’animo nostro et che ci sia medesimamente il loro a noi aperto, intorno a quello che negli occorrenti converrà fare per la conservatione et tranquillità de’ nostri stati. A questo effetto eleggerete due persone del nostro consiglio che vengano in questa città al più presto per intendere quel tanto che da noi sarà proposto et darvene relatione acciò che ne facciate poi la risposta che ci assicuriamo ricevere in parole et in fatti conforme a l’intiera fede et affettione che ci dimostraste sempre. Nostro Signore vi conservi. Da Turino a li 7 giugno 1572 » (3). E di poco dissimile era quella che nel 1536 il duca Carlo II scriveva al primo irrompere delle armi francesi nei suoi domini: « Le duc de sauoye. Très chers bien amez et féaulx. Pour aulcunes afferes importants grandement à nôtre estât et à la preseruation du pays lesquels desirons vous comuniquer nous (1) Ricotti, II, 346. (2) Ricotti, II, 380. (3) Duboin, Raccolta ecc., XX, 1715 — SCLOPIS, Degli stati generali e d’altre assemblee rappresentative del Piemonte e della Savoia, 382; Torino, 1851. — Copia in Arch. com. di Chivasso, Riff. seg. 1 57°'[ 573 ! f· 600. La lettera era firmata da Emanuele Filiberto e dal segretario I"abri. Quella diretta ai feudatari (Opp. citt.) era dello stesso tenore, sostituite pero la parola vassalli a sudditi, e eleggerete uno del vostro consortile a eleggerete due del vostro consiglio. GIORNALE STORICO E LETTERARIO DELLA LIGURIA 19 vous prions neantmoins mandons tresacertes enuoyer par deuers nous ung ou deux des vôtres au nom de tous au vm de ce mois pour aouir et entendre ce qui vous sera dist de part nous et vous nous ferez plaisir sy ny vueillez faillir très chers bien amez et feaulx. Nôtre Seigneur vous ait en sa garde. A Thurin le premier de mars 1536. Charles. Richard » (1). Le città come sempre mostraronsi docili nell’ ottemperare all’ invito e ciascuna di esse fece la richiesta elezione dei due consiglieri che dovevano presentarsi aS. A. Torino ad esempio deputò Giovanni Antonio Bellacomba e Orazio Rosso consindaco (2) ; Chivasso, Gaspare Bianchetto e Giovanni Bartolomeo Bosio (3); Moncalieri, Giuseppe Triulcii e Melchiorre Valletto consindaco (4); Vercelli, Niccolò Aiazza con altro consigliere il cui nome non è ricordato (5). Presentatisi i deputati a S. A., questa tenne a tutti su per giù lo stesso discorso : grave minaccia di guerra tra Spagna e Francia star sospesa sul capo; dover i sudditi cooperare col principe alla conservazione dello stato e alla difesa delle città ; tornassero intanto ai comuni loro e vi procedessero alla nomina di un ristretto numero di consiglieri per trattare di quei negozi con lei. Ai messi della comunità di Chivasso motivò l’ordine di tal elezione col desiderio che aveva di non mettere troppi sudditi a parte dei suoi disegni (6); e a quei di Vercelli, con bella frase che diede poi argomento a quei cittadini di ribattere a modo loro, domandò simile aiuto paragonando sè al capo ed essi alle membra che devono (1) Arch. com. di Chivasso, Rifi., originale inserto nel registro del 1536. In questo archivio si conservano parecchie di simili lettere di convocazione firmate da Carlo II. Sei se ne conservano in quello della città di Vercelli. Sala I, scaff. 44 ; Lettere ducali. (2) Arch, com. di Torino, Ordinati, cxxil, 30 v.; consiglio dell’8 giugno 1572. La lettera di convocazione diretta a questo comune era in data 8 di giugno. Ibid., 31 v., 12 giugno. (3) Arch. com. di Chivasso, Riff. reg. del 1562, loc. cit. (4) Arch. com. di Moncalieri, Ordd. XLVI ; consiglio del 7 luglio 1572. (5) Arch. com. di Vercelli,· Ordd., xxvil, 204 r. ; consiglio del 20 giugno. La lettera di convocazione per questo comune era in data 1 di giugno. Ibid., 202 v. ; consiglio del 2 giugno. (6) « La predetta S. A. ha detto a essi deputati tali parole : Vi ho mandati a chiamare perchè ho da concertare alcune cose in questi emergenti con vostra comunità che non ho a piacere che tante persone lo sapiano et per 20 GIORNALE STORICO E LETTERARIO DELLA LIGURIA sempre procedere unite (i). Tornaron gli inviati ai loro comuni, i quali tutti assentirono alla nuova elezione, eccetto Vercelli, la quale con le stesse parole del duca rispose a S. A. « con rin-gratiarla della humanità et favore che ella ci ha fatto; ma che per non esser conveniente che li membri consigliano il capo, et, per esso, S. A. prudentissima, et al incontro non vi esser alcuna sufficientia, il detto consiglio per simil effetto non vole nè deve nè può consigliarla > (2). Con questo però non furon certo pregiudicati gli interessi del duca, poiché non risulta che i Vercellesi poi siansi opposti all’ordine che S. A. emanò poco appresso. Gli eletti delle altre comunità tornaron frattanto a Torino, e là seppero finalmente il motivo della loro chiamata ; che i comuni cioè concorressero alla riparazione dei presidi ed al mantenimento entro quelli dei soldati occorrenti a guardarli da ogni sorpresa; e che infine i particolari di ciascuna comunità questo se ne potrano ellegere diece, dodeci o quindeci del vostro consiglio quali haverarmo la medesima autorità come havevano li altri tutti et fatta l’ellecione venerette da me che vi explicaro l’intento mio. Alla qual domanda detti deputati hanno risposto loro esser pronti di rifferire quanto S. A. gli comanda et se tal ellecione si doverà far senza commissione in scritto de S. A., la qual S. A. ha risposto che si faccia l’ellectione — et ditte alli vostri che l’ho detto io — et domandandoli se tal electione si deve far per la congregatione de cappi de casa ha risposto S. A. che sì, aciò si facciano le cose valide. Se li ha domandato se S. A. se intende che li altri conseglieri siano remossi del tutto o vero che aiutano a dar ordine alle altre cause ha risposto che li novi deputati saranno solo per li emergenti che occoreranno con S. A. et che nel resto resterà il consiglio di Chivasso secondo il solito. Et havergli notifficato alla predetta S. A. che detto consiglio per il passato era di trenta sei consiglieri et perchè detto luoco he venuto a meno per le guerre di persone e facoltà si he ridutto il consiglio con beneplacito di S. A. a vinticinque conseglieri quali anchora con difficoltà si possano havere, S. A. ha risposto come manco ne eleggeranno che 1’ haverà più a caro ». Riff. loc. cit., 71 r.; consiglio del 5 luglio. (1) « S. A. ci ha fatto intender il pericolo della rotura della guerra che soprasta fra le due Maestà regie di Spagna et Franza et perciò essendo rag-gionevole chel capo stia unito con li membri, non vole delliberare nè risolversi in cosa di tanta importanza senza il parere di questa città la quale tiene per principale et amorevolissima verso di sè onde richiede il parere et 1’ agiutto di questa città intorno alla conservatione comune ». Ordd. loc. cit. (2) Ordd. loc. cit. GIORNALE STORICO E LETTERARIO DELLA LIGUBIA 21 parimenti vi concorressero col pagare il due per cento del grano e legumi eccetto del miglio e della meliga contro promessa di potere del resto, ove non superasse il prezzo di 4 scudi d’oro per sacco, fare libero e sicuro commercio (1). Anche gli ecclesiastici aveano da andar compresi nel pagamento; ma il duca (i) Archivi comunali citati di Torino e Chivasso. Il tutto risulta assai meglio dal seguente documento dell’Archivio comunale di Moncalieri (Ordd,., XL vi, consiglio dell’8 luglio), che è la memoria data agli eletti dal grancancelliere Langosco da Stroppiana : « S. A. havendo presentito li novi mottivi fatti in fiandra e dubitandosi che da questo non nasca (il che dio non permetta) rottura di guerra tra le due maestà vi ha fatto chiamare come anco ha fatto le altre terre dello stato suo per domandarvi consiglio e agiutto. « Consiglio che si come le dette Maestà 1’ hanno voluto essere neutrale si persuade che non gli consigliarette altro salvo che debba rimanere neutrale et cossi potrà tenersi nella sua ubedienza et conservar la pace da lei e voi stessi tanto desiderata. « Aiutto perchè possa conservando el stato suo haver il modo col mezzo vostro con che poterlo fare nel che ricerca da voi le cose seguenti. « Primo che eleggiate un numero di persone della vostra e consiglio (sic) come sarebbe un numero di otto o diece che siano intelligenti et a voi fidati sovra di cui possiate riposare che habbiano autorità di risolver e provedere in ciò che occorerà et sarete ricercati da S. A. per conto delle cose della guerra. « Doppo che havendo da tener S. A. alquanti presidii nel numero di quattordici o quindeci al più che vogliate concorrer nelle repparationi che si faranno non già regali, ma racconciar ciò che vi era et nella spesa che vi andarà della guardia ad essi presidii per guardarli di surpresa et robaria et se occorresse in una terra non pressidiata mettere qualche numero di gente per qualche effetto di passaggio di gente di guerra il tutto corno farà il restante del paese et alla ratta portione che vi toccarà. Et per haver il modo de detti presidii ricerca S. A. non dalla comunità ma da particolari che se gli dia per una volta tanto una monitione di due sachi per'cento di ogni grano e legumi eccetto miglio e melighe la qual monitione S. A. metterà nelli detti presidii per rinovarla ogni anno. Et questo mediante S. A. vi prometterà di non serrar più il grano anzi lasciar il negotio libero salvo che il prezzo ascendesse a più di quattro scudi d’oro il sacco in qual caso gli pare honesto di serrarlo per provedere alla necessità di poveri alli quali ella provederà et soccorrerà anco di detta monitione nello stremo bisogno et cercarà in ogni modo di guardarvi di bis-sogno ». Queste proposte per Moncalieri furono ricevute, come si vede, dai due primi eletti. 22 GIORNALE STORICO E LETTERARIO DELLA LIGURIA volle aspettarne la necessaria autorizzazione da Roma (i). I comuni piegarono quasi tutti senza opporre contrasti, come quei di Chivasso, Moncalieri (2) e Torino, il cui consiglio rispose che « quantonche la città et cittadini et in quella et suo finagio habitanti si anno gravati di diversi carrighi per li quali non puoteno supportar quel che sopra è proposto, nondimeno per servitio di S. A. e conservatione della città esso consiglio è statto et he di parere che per l’effetto sopra proposto S. A. sii servita de detti due sacchi di grano per ogni centenaro per questa volta sola e senza che questi habbi da tirarsi in modo alcuno in conseguenza e senza pregiuditio delle franchigie, privilegii, libertà, immunità et essentioni concesse per detta S. A. e suoi illustri antecessori a detta città e patti e conventioni tra loro fatte » (3). (1) «Avvertendo di non far fare alli ecclesiastici salvo la consegna solamente aspettando del pagamento haverne il buon volere da Sua Santità alla quale ne habbiamo scritto ». Lettera « al vicario del governo di Asti de grani.» Torino 30 Settembre 1572, relativa all’ordine emanato in proposito. Sclopis, 383. (2) « Sopra il secondo cappo della lettera concernente la repparatione de presidii et manutentione di guardie il consiglio tutto unanime e di accordo cornette alli sovrascritti signori elletti che facino risposta a S. A. la comuna esser pronta di far ogni suo voler e quello servire in quanto potrà conforme al grado e qualità sua et che rimonstrino a S. A. la povertà di essa comuna e grandissimi carighi che patisce di ponti, vie e altre cose et che inanti questo si habbino anche da informar come fanno le altre terre. « Sovra il terzo cappo continente la dimmandata contributione di grano dalli particolari o sia in particolare e non dalla comuna il consiglio in benefitio di essi particolari cornette similmente alli prefati signori elletti di narrar a S. A. il poco grano che si raccoglie sovra la fine di moncalieri che a pena è sufficiente per l’uso della mettà del anno et ove pur gli piaccia come scrive se gli diano sachi doi di grano per ogni cento sachi dechiarar se intende che quelli ne raccogliano solo per uso loro o ben poco debbian concorrer in questa contributione o vero solamente li particolari che ne raccolgono in grande numero ». Arch. com. di Mone., consiglio del 13 luglio. (3) Non risulta che cosa abbia il duca risposto; ma ai due capi del memoriale sportogli dalla città di Fossano che citerò più avanti, in cui veniva domandato se a tale contribuzione dovessero andare soggetti anche coloro che non avevano raccolto salvo pochissimo grano ed i massari, egli rispose in termini generali, al primo, che si sarebbe avuto riguardo «a quelli che per vere informationi saranno conosciuti miserabili o ben poveri » e al secondo assolutamente di no. GIORNALE STORICO E LETTERARIO DELLA LIGURIA 23 Ma non così accadde in altre città ove l’editto del duca incontrò ostinatissima opposizione (i). Cuneo non vi si assoggettò che assai tardi, il 4 di ottobre (2); Fossano distese un particolar memoriale il primo novembre prima di ottemperare all’ editto (3), e Mondovl recalcitrò più di tutte. Fu incaricato di trattare con quella città Baldassarre della Ravoira signor della Croce, che poco di poi dovea sostituire il Costaforte nella legazione di Spagna, ed al primo suo giungere in Mondovl trovò dovunque grandissima resistenza (4). Chiamò a sè 1’ 8 settembre « giorno della Beata Vergine » il governatore e l’avvocato della città coi quindici eletti e i principali tra i cittadini, e dopo aver ascoltato i loro lamenti sulla gravezza dei carichi e sulla impossibilità di pagare ; facendo osservare « che più tosto con questo loro procedere procuravano il danno universale della città che il bene » dimostrò quanto fosse ragionevole e necessaria la richiesta fatta dal duca, « l’utilità che da essa risulta in universale et particolare, la leggerezza del carico, la facilità di pagarlo, il consenso universale de i feudatarii et delle principali città et terre e finalmente il danno che da questa loro poca considerata risolutione anzi mala opinione et pertinacia necessariamente gli sarebbe avvenuto », poiché certo S. A. se ne sarebbe sdegnata vedendosi quasi costretta « di lasciar per loro d'essequire quello che con tanta ragione era stato dalla maggior parte de’ stati et da tutti gli feudatarii accordato », ed aggiunse alla fine badassero bene alla differenza che era tra il « rendersi il principe benigno et affettionato al provocarlo fuori d’ogni proposito et dovere ad ira et sdegno, non havendo riguardo d’inturbidare senza oc- (1) L’ editto fu diramato alle comunità alla fine di settembre con una lettera di cui leggesi copia in Sclopis, 583, cit. La pubblicazione ed esecuzione di esso dovevano essere fatte senza onere alcuno delle città. (2) Giovanni Paolo Beysami a Baldassarre della Ravoira, Cuneo, 4 ottobre 1572; inserta nella lettera del Ravoira al duca, Mondovì, 5 ottobre. Archivio di stato, Lettere ministri, Spagna, I. (3) Memoriale inserto nella lettera del Ravoira, Cuneo 2 novembre. Ibid. (4) « Ritrovai insomma per non far lunga historia ima sì grande et universale intelligentia et risolutione in detta città di non consentire all’ editto della monitione di due per cento che giudicai soverchio di tentar cosa veruna per proffittar con essi loro in conto di amorevolezza ». Baldassarre della Ravoira al duca, Mondovì, <) settembre i5<-)2. Ibid. 24 GIORNALE STORICO E LETTERARIO DELLA LIGURIA casione tante belle dimostrationi che avevano fatto ». lutto fu inutile. I cittadini stettero saldi « con dire che havevano visto far tante mutationi et alterationi delle promesse fattegli... e che loro rton vogliono più intromettersi in altro », non potendo più credere oramai che S. A., nell’esecuzione di quell’editto avrebbe mantenuto le sue promesse con avere riguardo ai loro bisogni. Non certo nel nostro duca potevano produrre inquietitudine simili opposizioni; e ben lo sapevano quei cittadini medesimi, i quali finiron con dire che « S. A. come padrona facesse quello che buono gli fusse parso ; et questo con una rigidezza et o-stinatione tale che non si può dir maggiore » ; dimodoché quell’editto fu pubblicato egualmente, buon numero di spie furon disseminate per la città perchè denunciassero i malcontenti (i), e finalmente il 5 di ottobre l’inviato ducale poteva scrivere al suo signore che tutto oramai potea considerarsi come appianato (2). Così finì quest’ ultimo tentativo di resistenza dei sudditi al volere assoluto di Emanuele Filiberto; e dopo d’allora, eccetto che nella valle d’Aosta, per quanto ancora durò il regno di questo duca, non sopravvisse più alcuna apparenza di governo rappresentativo. Armando Tallone. DI ANTONIO MAINERI GOVERNATORE DELLA CORSICA PER L’UFFICIO DI S. GIORGIO (1457-1458) (3). Il Comune di Genova ebbe parte grandissima nelle fortunose vicende, alle quali andò soggetta l’isola di Corsica nel corso dei secoli. Nè quando questa passò, nel secolo XIV, sotto la signoria della Repubblica cessarono dallo straziare quell’ infelice paese le pubbliche discordie, le guerre fratricide e le esterne, (1) Lettera cit. (2) Arch. di stato; loc. cit. (3) Ringrazio vivamente il Ch.mo Avv.to Q. Alarico Calvini di Genova, il quale mi fornì diverse notizie con quella cortesia, che in lui va compagna al sapere. GIORNALE STORICO E LETTERARIO DELLA LIGURIA 25 onde « parve ben fatto al Duce e a! consiglio — dice il Giustiniani (1) — che la comunità transferisse tutto il dominio che avevano in Corsica in Γ Ufficio di S. Giorgio, e così fu fatto ». Ciò avvenne addì 22 maggio 1453 (2). E veramente trovavasi Genova, in quel momento, in tali distrette, che fu molto assennato e commendevole consiglio questo di cedere il dominio diretto e il governo dell’isola (conservandone la Repubblica l’alta sovranità) a quell’ Istituto, la cui sapienza politica al paro del-1’economica, e la potenza, furono in ogni tempo ed ovunque oggetto della più grande e legittima ammirazione. Come già i precedenti dominatori stranieri, così l’Ufficio di S. Giorgio continuò ad inviare al supremo reggimento del Regno di Corsica un governatore, che durava in carica, almeno al tempo di cui trattiamo, un anno (3), ed anche più o meno, e sotto del quale stavano un vicario (più tardi furono due), luogotenenti e molti altri ufficiali. Dei requisiti necessari per poter sostenere la carica di governatore del grandissimo e pressoché sovrano potere, che questo aveva sull’ isola, degli onori con cui vi era ricevuto, compresa la consegna ad esso fatta dello scettro del Regno, non è qui il caso di occuparsi (4). L’elenco, che al presente si ha della lunga serie dei governatori di Corsica, è tuttora incompiuto e talora dubbio od errato. Un lieve contributo mi sia concesso di portare al compimento dell’ elenco stesso, col toglier di mezzo, sul nome di uno di essi, un errore nel quale incorsero, per quanto mi consta, tutti gli storici (e parlo specialmente di quelli le cui (1) Annali della Reptibblica di Genova, a. 1453. (2) Memorie storiche della Banca di S. Giorgio, compilate dall'Archivista (A. Lobero), 1832, Genova, Tipografia Ponthenier e l·'., pag. 76-77. (3) Gregori, nella sua edizione dell’ Istoria di Corsica del Filippini, vol. Ili, in Appendice, pag, LXXIII. — Cfr. pure nella stessa edizione il Filippini, vol. II, pag. 323. Limperani, Istoria della Corsica dai Tirreni suoi primi abitatori fino al secolo XVIII. Roma, 1779-1780. (4) Cfr. all’ uopo : Gregori nel luogo citato alla nota precedente. — Giuseppe Banchero : Genova e le Due Riviere. Genova, Luigi Pellas editore, 1846. 26 GIORNALE STORICO E LETTERARIO DELLA LIGUBIA opere furono rese di pubblica ragione) dal Filippini (i) al Banchero (2). La cosa ha poi speciale importanza per essersi da quello terminata la sottomissione dell’ isola a Genova. I mentovati scrittori ci danno per governatore della Corsica nell’ anno 1457 Antonio Manetto o Mainetto. Ora, in due manoscritti — uno dei quali — contenente memorie di famiglie genovesi — trovasi nell’Archivio Municipale di Genova, — l’altro, — raccolta di notizie storiche diverse relative a Genova, — nella Biblioteca del Palazzo Rosso, appartenente al Municipio stesso —, leggesi invece Antonio Maineri. La confusione nella lettura dei due casati non può troppo stupire, e la fece anche il Federici nel suo Abecedario a riguardo non soltanto di questo personaggio, ma di altro pure. Quanto al governatore in questione, merita un cenno speciale ciò che ne dice il Federici stesso. Questo scrittore diligente e chiaro, che non perdonò a fatiche e dispendii nelle sue ricerche di storia locale, ed ebbe modo di penetrare in archivi e di compulsare documenti innumerevoli, non accessibili a tutti, non ebbe questa volta avanti a sè documenti di sorta, poiché nt\\Abecedario non cita, sul-1’argomento, che il Filippini, e alla famiglia Mainetto dice appunto di un Antonio governatore di Corsica nel 1457. Ma poi ci dà quest’ altra notizia : Giovanni de Maynetto 0 de Manetto, governatore di Corsica 14.5η in fasti. E nei Fasti, all’anno 1457, scrive: Giovanni de Mainetto Governatore di Corsica, come in Filippini c. 142. — Ed all’ anno 1458 : Giovanni Lercaro Governatore di Corsica come in Filippini c. 142. Qui il Federici ha commesso, contro il solito, una grossa distrazione. Egli cita, come si è visto, il Filippini c. 142 (3). Ora quivi non è affatto (1) Cit. Istoria di Corsica, vol. II, pag. 322. Eppure Giovanni della Grossa, la cui cronaca fu vista e tramandata a noi dal Filippini, non può aver sbagliato quel nome perchè egli fu luogotenente citra montes sotto di quel governatore, e durante il governo dello stesso si ridusse a vita privata, ponendosi a scrivere le memorie della patria. (Gregori. — Prefazione). (2) Op. cit., pag. 392. — Cfr. pure: Leo, Storia degli Stati Italiani.... — prima versione dal tedesco di A. Loeave e E. AlbèRI. Firenze, 1842, vol. II, pag. 164. — Cambiagi, Istoria del Regno di Corsica, X770, tomo I, pag. 356. — Gregori nella cit. appendice al vol. Ili (nota (4)). (3) È l’edizione di Tournon, 1594. GIORNALE STORICO E LETTERARIO DELLA LIGURIA 27 nominato un Giovanni Mainetto. Ma la distrazione si spiega così. ' Alla pagina 142 già da lui citata a proposito di Antonio, è detto che l’Ufficio mandò luogotenente Giovanni Rensio della Gabbella. Indi il Filippini soggiunge : « Questo Giovanni insieme con Vincentello da Istria.... spinsero talmente Giudice dalla Rocca ... » ecc. Ora, il Federici mise insieme il Giovanni col Mainetto, cognome di Antonio nominato poche righe addietro e ne fece un altro governatore. Quanto ad Antonio stesso, certo è che il Federici non porta qui la consueta autorità, e che tanto lui quanto gli altri storici citati sono caduti in errore nel tramandarcene il cognome, come si evince da quanto è detto in appresso. Citerò tuttavia prima Pietro Cirneo (1), il quale non dice nè Maineri, nè Mainetto ; ma, amalgamando fatti avvenuti negli anni di cui è parola, con altri verificatisi nel 1459, scrive addirittura, e senza indicazione di anno, Antonio Spinola, o, per essere più esatto, prima dice che questi fu legato e poi nel seguito della narrazione : « Haud ita multo post idem Antonius Spinola totius Insulae Gubernator » ecc. Su di che noto soltanto che un Antonio Spinola fu mandato in Corsica nel 1459 dall’Ufficio di S. Giorgio, come capitano, se si argomenta dalle parole del Filippini (2) e del Leo (3), come governatore straordinario, secondo il Cambiagi (4), a sottomettere le fazioni, risorte dopo che il governatore di cui trattiamo le aveva vigorosamente domate (5). Ma non fu lui che sottomise Leca, cosa che avvenne sotto Urbano Di Negro, che fu governatore nel 1456 e rimase tale fino al maggio del 1457 precedendo immediatamente il personaggio che è oggetto delle mie ricerche, e neppure fu commesso sotto di lui, ma governando il personaggio stesso, l’assassinio del Vescovo di Mariana; cose tutte che avvennero prima del 1459. Il Limperani (6) tacque sul governatore in questione, e da (0 Petri Cy RNAEi, De rebus corsicis --- nel Muratori, Rer. It. ptores, t. XXIV. , pag. 4i3-5°6· (2) Op. cit., vol. II, pag. 326 e seg. (3) Loc. cit. (4) Loc. cit. (5) Leo. , loc. cit. I) Op. cit. 2$ GIORNALE STORICO E LETTERARIO DELLA LIGURIA Urbano Di Negro, che egli collocò soltanto nel 1457, passò, sorvolando su di un episodio relativo a Giudice della Rocca, di cui in appresso, a Giovanni Lercaro, che sostenne la medesima dalla seconda metà del maggio 1458, e dopo il governatore Antonio, al quale era appunto succeduto. La contraddizione o il dubbio, esistente sul cognome di Antonio, che Γ autorità e il numero degli scrittori menzionati dapprima non valeva a togliere, mi indussero a far ricorso alle fonti, e le indagini furono coronate da successo, imperocché i documenti rinvenuti nell’Archivio di Stato di Genova, accertano in modo irrefragabile essere Maineri, e non Mainetto 0 Manetti, il casato di quel governatore. Trattasi, anzitutto, di una lettera scritta a questo dal Doge, Dux Januen. et Defensor Populi, che era allora Pietro di Cam-pofregoso, in data 10 agosto 1457. Detta lettera si trova nel Voi. Litterarum Comunis Janue dal 1451 al 1458, e precisamente a' n. 3791 di esse, e porta scritto in capo il seguente indirizzo: Spedato viro Antonio Matnierio Gubernatori nostro Corsice. Argomento di essa è la restituzione di una fusta a Giovanni de Oliva, e non è quindi il caso di riferirne il contenuto per disteso, non avendo questo, come si vede, grande importanza. Vi è in secondo luogo un registro, già appartenuto al Banco di S. Giorgio e riguardante la Corsica (1). E il libro del conto del governatore, ed incomincia a pag. II v. 14-57 die XVI maii M. Dmis Antonius Mainerius Corsice gubernator cui data fuit cura recuperandi pecunias et res omnes indulgentiarum, debet etc. Il detto libro è tenuto in partita doppia : sono notate in una pagina, al dare del Maineri, tutte le riscossioni a lui consegnate dai vari collettori; al suo avere le rimesse fatte all’Ufficio, ed è tenuto un pari conto per ciascun collettore notando al suo dare le riscossioni, ed all’ avere le consegne fatte al Maineri, col relativo riscontro di pagine ad ogni partita (2). In tal modo il nome del governatore si trova ripetuto in que- (1) Detto Archivio di Stato, Sala 53, voi. 1514. (2) Sul sistema di contabilità in partita doppia tenuto dall’ Ufficio di S. Giorgio, cf. lo studio del Desimont negli Atti della Soc. Lig. di Storia Patria, vol. XIX, pag. 585. GIORNALE STORICO E LETTERARIO DELLA LIGURIA sto registro, così come l’ho trascritto, moltissime volte. L’incassato da lui risulta superiore alla somma di lire genovesi 1600. Come si vede, nel detto volume si accenna alle elemosine delie indulgenze, che il Papa, insieme coi denari delle decime, aveva ordinato fossero versate all’Ufficio di S. Giorgio, per la generale crociata bandita in difesa delle colonie tauro-liguri, minacciate dal Turco ; alla raccolta delle quali somme erano deputati speciali collettori (1). Antonio Maineri, era ovadese. Già prima di quest’anno aveva sostenuto insigni cariche e reso servigi alla Repubblica. Consigliere (2) e partecipe delle Compere di S. Giorgio (3), nel 1453, ai 12 del mese di novembre, prese parte, cogli otto Protettori dell’Ufficio e con altri 274 consiglieri e partecipi, alla deliberazione colla quale fu accettato dal Banco il dominio delle colonie del mar Nero, che la Repubblica, dopo la caduta di Galata nelle mani di Maometto II, cedette allo stesso, pel timore che egual sorte toccasse alle dette colonie, mancando ad essa i mezzi necessari per far fronte alla difficile situazione (4). Esso, il Maineri, quindi, prese probabilmente parte anche all’ altra deliberazione, che di poco precedette la suaccennata, colla quale il Banco accettò il dominio del Regno di Corsica, cedutogli anch’esso, per quasi identici motivi, da Genova, come già fu detto (5). Non sarà ora fuor di luogo fare un breve cenno dell’ operato di Antonio in Corsica, e degli avvenimenti quivi svoltisi sotto di lui. Citerò anzitutto il Leo (6): « Antonio Manetti governatore per la Banca nell’anno seguente (1457), costrinse finalmente Giudice della Rocca (capo-fazione (7) fortificatosi in Bar- (1) Cit. Atti della Soc. Lig., vol. VI, Codice Diplomatico delle Colonie Tauro-Liguri durante la signoria dell’Ufficio di S. Giorgio, pel P. Amedeo Vigna (passim). (2) Il Lobero, nell’ op. cit., pag. 154, spiega che fosse e da chi eletto il Gran Consiglio delle Compere. (3) Vigna, op. cit., pag. 24 e seg. (4) Vigna, pag. 3 e seg., e 24 : ivi è detto dei terribili frangenti in cui trovavasi allora la Repubblica. (5) Vigna, pag. 6. — Lobero, loc. cit. (6) Loc. cit. ^7) Cambiagi, op. cit. — Filippini ed altri. 30 GIORNALE STORICO E LETTERARIO DELLA LIGURIA ricini) a rifuggirsi in Sardegna, estese il dominio di Genova su tutta l’isola, e seppe con sommo vigore domare il sel-vaggio amore dei Corsi per la libertà ». Aggiungo ora qualche particolare. Nel 1456, essendo governatore Urbano Di Negro (erra il Gregori (1), che, al par del Limperani, lo pone soltanto nel 1457, e il Cambiagi, che lo colloca all’anno 1455, ha probabilmente torto), tutta l’isola obbediva all’ Ufficio di S. Giorgio, eccettuati i castelli di Barrirmi e Leca, che appartenevano alla fazione aragonese sempre viva in Corsica. I quali pure volendo sottomettere, deputò 1’ Ufficio a tale impresa Antonio Calvi, che vi si recò con forte nerbo di soldati (2). Era il Calvi prode capitano (3) ed uomo espertissimo nella guerra (4), ma crudele: oltrecchè animoso, di terribile ingegno, lo dice il Filippini (5); parole giustificate dal modo con cui egli si comportò in Corsica: imperocché occupata per forza Leca, dove si era rinchiuso Raffaello della famiglia da Leca, che era nell’ isola « Capo degli affari del Re (6) » (Alfonso d’Aragona, di cui sosteneva fortemente le parti), vi esercitò una di quelle terribili rappresaglie non infrequenti nel medio evo, usando atti ferocissimi contro lo sventurato Raffaello, e facendo impiccare ventitré altri della sua famiglia, non risparmiando neppure i fanciulli, cosa che provocò grandi rimostranze di Alfonso a’ Genovesi, coi quali quel Re, prima in guerra, aveva fatto tregua per mediazione del Papa, che li voleva uniti nel combattere contro il Turco (7). Rivoltosi poi contro Barricini (dove, come si è accennato, erasi fortificato Giudice della Rocca), occupò pur questo, se- (1) Loc. cit. (2) Qui, come in appresso, seguo più specialmente il Filippini. Ciò in modo speciale pei periodi virgolati, senza indicazione di autore. Non dimentico però il Leo, il Cambiagi, il Cirneo. (3) Leo, loc. cit. (4) Cambiagi, op. cit. (5) Cfr. pure Limperani, op. cit. (6) Cambiagi, op. cit., pag. 951. (7) Cambiagi (Op. cit., pag. 346-348), il quale .cita il Lunig Codex Diplom. Tom. II, pag. 2143. — FILIPPINI, op. e vol. cit., pag. 320. — Gregori, voi. e pag. stessa. GIORNALE STORICO E LETTERARIO DELLA LIGURIA SI condo narra il Filippini, essendoché Giudice, spaventato, erane uscito lasciando la piazza in mano de’ suoi parenti, che, dopo alcune scaramucce, 1’ avevano resa. Dopo questo il Calvi « incominciò a far molti sinistri trattamenti ai popoli, la qual cosa, come dall’Ufficio fu intesa, rinnovando il governatore », che fu appunto Antonio Maineri, « Io commise a rimediarvi ». Antonio, giunto in Corsica nel 1457 « mandò Pier Antonio Narise (0 meglio Narice) in luogo di Antonio Calvo; uomo umano, il quale vi stette finché 1’ Ufficio elesse Giovanni Rensio della Gabbella (ossia Gian Lorenzo Cabella) (1) luogotenente in quella parte ». Qui si presenta opportuna una digressione. Quale carica coperse veramente in Corsica il Calvi? Il Cambiagi, il Gregori e il Banchero ce lo danno quale governatore, il primo nel 1456, gli altri due nel 1457 ; il Gregori però collocandolo dopo il Di Negro, a differenza del Banchero, che lo pone prima. Se nonché quanto ne dicono il Filippini, il Limperani e il Leo, che riferiscono esplicitamente il preciso incarico datogli dall’Ufficio, esclude formalmente la notizia dei tre precitati autori, come la esclude un brano di un documento, che trascriverò fra breve. Le parole del Filippini potrebbero però far dubitare che il Calvi avesse almeno sostenuto la carica di luogotenente : 1’ essere infatti questi rimasto in quei luoghi, dove fece i sinistri trattamenti, di cui parla il lodato storico, e 1’ essergli stati sostituiti prima il Narice e poi il Cabella, del quale ultimo è detto esplicitamente (2) che fu mandato colà con quel grado, potrebbe appunto farlo credere: ma il Limperani ed il Leo, e il documento accennato, non lasciano luogo neppure a questo. Non mi fermo a esaminare le parole dei due storici, e vengo senz’altro al detto documento. Questo è riportato dal Vigna (3) è in data 21 marzo 1457 e contiene un consulto tenuto in S. Giorgio fra i Protettori e molti partecipi del Banco. Nel qual consulto, fra gli altri argomenti, fu trattato il seguente : « Item post hec cum etiam propositum fuisset militare nunc in Corsica spectatum virum Antonium Cahium ipsius insule capi- (1) Cfr. Vigna, op. cit., pag. 741, doc. CCCL, in data 8 giugno 1457, quanto al nome di questo ufficiale. (2) Ciò risulta pure dal doc. cit. alla nota prec. (3) 1Ja§· 723-724. n· CCCXXX1X. 12 GIORNALE STORICO E LETTERARIO DELLA LIGURIA taneum et pedites circiter quingentos stipendio comperarmn qui sumptuut onines intellignnt gravis est et hoc modo gubernatio illius insule haud exiguum onus annuatim comperis afferret moniti fuerunt quicumque aderant ut super ea materia quisque quid sentiret eloqtieretur » etc.... Che se, almeno in parte dell’ anno 1456 e in parte del 1457, fu governatore Urbano Di Negro, e dal 16 maggio 1457 fino al 1458 lo fu Antonio Maineri, non pare rimanga più posto pel Calvi, tanto più risultando dal citato documento che ai 21 marzo 1457 appunto questi aveva un’altra carica. Su di che è da notare che quando volevasi accennare alla carica di governatore e a quella di luogotenente adoperavansi i vocaboli voluti di gìibernatur, locuvitenens (1), mentre nel documento sopracitato non si legge nessuno dei due. Il fatto solo del resto che il Maineri, giunto in Corsica, e per di più coll’ incarico di rimediare al mal fatto dal Calvi, pose al luogo di questo un altro perso-naggio di sua scelta, basterebbe a dimostrare che il Calvi stesso non era stato governatore. Il Calvi insomma fu inviato in Corsica come capitano, ossia con un mandato militare preciso, determinato, come si era fatto e si fece in seguito, altre volte; e, se ne fosse qui il luogo, si potrebbe rilevare qualche altro errore in cui incorsero alcuni scrittori, ad esempio il Gregori, che ritennero quali governatori, personaggi che andarono in Corsica appunto come capitani. Ho detto che il castello di Barricini si era reso al Calvi. Così almeno dice il Filippini. Dal racconto del Cambiagi e del Leo, i quali, dopo aver detto che il Calvi fu mandato in Corsica coll’incarico di sottomettere tutti e due i castelli suddetti, narrano come egli abbia preso Leca, e di Barricini non parlano, mentre poi dicono che il Maineri riesci a vincere e cacciare dall’ isola Giudice, che erasi appunto rinchiuso in Barricini, potrebbe invece arguirsi che quel castello siasi reso sotto il governo del Maineri stesso. Checché sia di ciò, certo è che, se anche Barricini era caduto, erane però escito Giudice della Rocca, la cui fazione, che aveva incusso timore allo stesso (1) Doc. cit. alla pag, 31 nota n. 1 — Lettera diretta ad Antonio Maineri. — Registro del conto del governatore. GIORNALE STORICO E LETTERARIO DELLA LIGURIA Calvi, al dir del Filippini, ancor dopo la resa di quel castello continuava così a rimanere in vita. Ora non poteva dirsi terminata la sottomissione della Corsica, finché questa fazione, che insieme con quella di Raffaello aveva preso le parti del Re Alfonso tenendo viva la guerra nell’ isola, non fosse abbattuta e vinta. Questo compito fu, al dir del Filippini, affidato al Cabella, il quale, in unione col celebre Vincentello da Istria, fece tale campagna contro Giudice, che questi esci dall’isola e passò in Sardegna, dove morì; per il che, l’isola stessa, liberata dall’ultimo nemico dell’Ufficio, rimase finalmente in quiete sotto di questo (i). Già più addietro ho detto dell’ energia del Maineri nel sottomettere la Corsica e le sue fazioni (2). Quivi il male era profondo e l’isola turbata (3) nel vivere civile e più ancora nel morale de’ suoi abitanti ed anche dei sacerdoti, « di cui molti, invertendo la pacifica missione dell’ecclesiastico ministero in aperta rivolta alle autorità del luogo, disseminavano odii, provocavano lotte intestine, guerriglie accanite, seguitate da stragi, prigionia e morte dei Genovesi o loro fautori ». Questo fosco quadro che il Vigna ha dipinto, incidentalmente, nell’ opera citata, dandocelo quale specchio fedele delle condizioni della Corsica in questo periodo del medio evo, non rappresenta, se crediamo alle riferite parole del Leo, ed al Cambiagi, il vero stato di essa, quale dovette essere sotto il Maineri : vi fu durante il governo di questi una breve sosta. Le fazioni, dopo di lui, ripreso vigore, diedero molto filo a torcere a’ suoi successori. Per quello che riflette 1 opera di Antonio a questo riguardo, accennerò qui brevemente ad un fatto, riferito dal Filippini (4), che provocò dal nostro governatore un atto di severa giustizia. Era la guerra già finita e la pace tornata nell’isola, quando, trovandosi il Vescovo di Mariana, Michele de’ Germani, genovese, e precisamente di Porto Maurizio (per privilegio concesso dal Papa, i Vescovi della Corsica dovevano essere sempre ge- (1) Filippini. (2) Leo — Cambiagi. (3) Vigna, loc. cit., pag. 879. (4) Cfr. pure Pietro Cirneo, op. cit., col. 474, il quale narra il fatto con varianti. — Vi accenna anche, di sfuggita, il Vigna, loc. cit. Ctoni, stor. e lett. d. Lig. II. 34 GIORNALE STORICO E LETTERARIO DELLA LIGURIA novesi) (i), in viaggio, per ragioni del suo ministero, venne da un feroce e temuto bandito, nominato Brandolaccio o Bra-dolacio, acerrimo nemico dei Genovesi (2), barbaramente ucciso. Datosi indizio al governatore che Vinciguerra, pievano di Giovellina, figlio del Vescovo di Aleria, di cui governava il vescovado, stante il ritiro del padre a Genova, avesse avuto mano in quel delitto, e che il pievano di Casacconi ne fosse stato complice, egli, il governatore stesso, li fece chiamare e, messili alla tortura, li convinse, a quanto ne dice il Filippini, « per lo che, ottenuta licenza dal Papa, li fece ambidue impendere per la gola » (3). Il Cambiagi (4) crede che il Maineri a torto abbia ritenuto reo il pievano di Giovellina (di quello di Casacconi non parla), ma non adduce motivo convincente in appoggio alla sua opinione. Invero anche il Filippini dice che l’infelice Vescovo di Mariana fu ucciso da un masnadiero, ma con ciò non ritenne fosse esclusa la complicità di Vinciguerra; la quale per altro non può dirsi storicamente provata per ciò solo che questi, messo alla, tortura siasi lasciato sfuggire parole e dichiarazioni a proprio carico, che potevano anche essere non vere. Pare tuttavia che Giovanni Lercari, successore del Maineri, inclinasse a ritenere giusta la sentenza (5). Potrebbe ricercarsi se motivi di parte non abbiano potuto indurre il figlio del Vescovo di Alena a desiderare la morte di Michele de’ Germani : ma non mi e per ora possibile fare tale ricerca. E basti questo breve cenno relativo agli atti più importanti di Antonio Maineri in Corsica. Da ciò che fu detto rispetto al tempo durante il quale doveva rimanere, normalmente, in carica il governatore allora, e dalle due date riferite, che si leggono nel citato registro del conto, risulterebbe che il governo di lui, incominciò il 16 rnag- (1) Leo, pag. 163, ed altri. (2) Per conoscere i fasti di questo famigerato bandito, il quale faceva la politica a modo suo, ed anche nel commettere i più efferati misfatti sapeva mostrarsi discretamente umorista, cfr. ClRNEO, loc. cit. (3) Il Cirneo non nomina questi due pievani, ma ne accusa un terzo. (4) Op. cit. (5) Filippini — Cambiagi, GIORNALE STORICO E LETTERARIO DELLA LIGURIA 35 gio 1457 e fin>1 Ί 16 maggio dell’ anno successivo, ossia durò un anno preciso. In altro lavoro, che sto preparando su Antonio Maineri, dirò di molte ed importanti cariche da lui sostenute e dei servigi, che egli rese alla Repubblica, nonché di altre notizie che lo riguardano. Torino, Luglio 1900. Ambrogio Pesce VARIETÀ POESIE INEDITE DEL CHIABRERA. Ho dato notizia, in una memoria inserita negli Atti della Pontaniana, di un manoscritto canzoniere ispano-italiano del secolo XVII, posseduto dal sig. Vittorio Pironti di Napoli (1). Quel canzoniere fu scritto a Napoli ed appartenne dapprima al Duca d’Alba Don Antonio Alvarez di Toledo che fu viceré del regno di Napoli dal 1622 al 1629: passò poi nelle mani di Adriana Basile, la celebre cantante cui ha consacrato una monografia l’Ademollo ; e la Basile se ne servì come di un album, facendovi scrivere o trascrivere altre poesie spagnuole e poesie italiane, molte dirette a lei o alla sua figliuola Leonora Baroni, altre adatte per musica, altre perchè le parevano degne di ricordo per motivi che a noi sfuggono. La compilazione ebbe luogo, all’incirca, tra gli anni 1625 e 1635. Tra i componimenti italiani mi sembrano degne di note cinque poesie del Chiabrera, che credo inedite, avendole cercate invano nelle molte edizioni delle opere del Chiabrera che ho consultato. La prima di esse (cod. f. 156), eh’è un frammento, è scritta con carattere diverso da quelli del resto del volume, ed ha una nota di mano aliena, che dice : Del s.r Gabriel Ciabrera. di sua mano, manca il principio. E avendo io mandato un lucido dei primi versi all’ amico Achille Neri, ho avuto da lui la conferma dell’autografia. Le altre quattro (cod., ff. 184-186) recano le indicazioni: Del s.r Gabriel Ciabrera, e Del istesso. (1) Illustrazioìie di im canzoniere ins. italo-spagnuolo del secolo XVII, memoria presentata all’Accademia Pontaniana nella tornata del 4 novembre 1900, Napoli, 1900 (in Atti, vol. XXX). 36 GIORNALE STORICO E LETTERARIO DELLA LIGURIA Rimandando per la descrizione ed illustrazione del codice alla citata memoria, nella quale ho anche pubblicato un saggio delle rime spagnuole contenute nella raccolta, stimo opportuno di pubblicare in questo Giornale, che si occupa specialmente di storia e di letteratura ligure, le composizioni inedite del maggior poeta della Liguria. Napoli, novembre jgoo. I. (manca il principio) Vidi quei fonti Per tutto conti, Vidi il gran Pratolin ; Vidi quei monti Onde ha bando 1’ estate, E le piante odorate Del bosco Aldobrandin. Ampi soggiorni, Cotanto adorni, Che vincono ogni dir ! Ma, se ritorni Su lor con la memoria, II. Su la riva d’Algier cantava un giorno sì fatte note un’ amorosa mora, detta Bildugerì : •— S’ altri mira languirmi il core a morte, sappia che un vero amante scherzando il mio feri ; e s’ altri chiede il nome, dirò che fu lo sguardo del fedel Zizimì. Nè sia chi mi compianga o nei miei guai hagia di me pietà, chè da la morte discompagna il duolo quanio ci fa morir somma beltà ; e s’ avanza gioir, quando s’ agiunge a sovrana bellezza sovrana lealtà. Ma saldezza d’ amor fra petti umani qua giù mai non s’ udì, che non sia fral, posta con la saldezza del fedel Zizimì. Fenice degli amanti, non cangiò mai desiri, e tutti i suoi sospiri vengono a trovarme. Benedetto Croce Cor mio, sì fatta gloria Non acqueta i desir. E solo un horto Ove conforto Trovasi notte e dì, Sicuro porto Per Γ anime disperse Da le procelle avverse : Questo è Getsemani. GIORNALE STORICO E LETTERARIO DELLA LIGURIA 37 Spirto non ha, non ha parte di core eh’ ei pur serbi per sè, con cotanto di forza il prese amore, e cosi fattamente egli me s’ offerì fedel mio Zizimì. — Così cannava 1’ amorosa mora su la riva d’Algieri, bella sì, che men bella appar 1’ aurora quando tra varii veli sparge di rose e di rugiada i cieli. III. Per la S.ra Adriana Basile e Leonora sua figlia (i). Due gran bellezze incontra me congiurano, et io, lasso, non so se campar ne potrò. Sotto un ardente sguardo, miracolo ad udirsi, agiaccio e tremo ; e d’ una mano alla ben tersa neve io tutto avvampo et ardo ; et a fugire ogni mio volo è tardo. Hor con qual arte asciugherò mie lagrime, e chi lasso per me ricercherà mercè ? O da me tanto amate, Vergini d’ Elicona, inclite muse, scendete meco ; ad essaltare intendo la celeste beltate, chè forse quinci impetrerò pietate. Quand’ amor voi che le nostre alme sorgano da sozzo fango e vii a stato più gentil, quando fugir consiglia folli pensier che dan battaglia indegna, e quando ei fa nelle bellezze eterne che noi fìssiam le ciglia, col foco di quest’ occhi ad arder piglia. Se mai 1’ arco d’ amore ama trafiggere sì che un dolce perir ne conduca a morir, se giamai non invano vibrarsi deve 1’ amorosa face e la rete spiegar sì che rimanga servo 1’ arbitrio umano, veggasi ignuda questa nobil mano. (i) Il Chiabrera ha nel Teatro delle glorie della Signora Adriana Basile etc. (In Venetia et ristampato in Napoli, 1628), a pp. 249-50, un’Ode: Invito ad ascoltare il canto della sig. Adriana, che coni.: « S’liavete in pregio, amanti, Soavi suon di canti.... ». GIORNALE STORICO E LETTERARIO DELLA LIGURIA Ahi lasso, ecco pur lodo, ecco pur celebro, ma per me non appar segno di men penar ! Hor, se convien eh’ io mora, perchè non saettar parole d’ ira ? perchè non recusar 1’ alta fierezza ? Giusto, ben giusto fora, ma non lo soffre il cor che si 1’ adora. IV. A che più lacci tendere, o non mai sagio Amor? di me che vói tu prendere? non sei tu sazio ancor ? Vedi che folte fioccano le nevi sul mio crin, e che i miei giorni toccano ornai 1’ ultimo fin. Amor, che da te bramasi ? che avvampi un cor di gel ? Sì fatta brama chiamasi pugnar contra del ciel. Io da te non ribellomi, Amor, lo sai ben tu ; anzi tuo servo appellomi, ma fuor di gioventù. Dunque, o Donna, degnatevi, chè tutto altier n’ andrò : vostro a nome chiamatemi, ma vostro amante no. Gli amanti arsi sospiranvi chiedendo alta mercè ; gl’ occhi miei solo miranvi, e basta alla lor fè. Deh, perchè non rmovasi mia giovenil età, hogi eh’ al mondo trovasi il fior d’ ogni beltà ! o qual può maga porgere aiuto a’ miei desir, ond’ io veggia risorgere miei giorni in sul finir ! Che parlo ? chi rispondemi ? Ahi, che non scemo il ver ! Perturbami, confondimi, tempesta di pensier. Perdonomi, condannomi, fra speme e fra timor, [mentre] tutto abandonomi .....amor. V. Da quel punto ch’amor prese diletto di saettarmi il cor, vinto da lungo duol dentro del petto a poco a poco ei mor. Ma del languire, ma del morire, un picciol segno io non dimostro fuor. Se mai con atti rei cresce mia pena 1’ adorata beltà, o s’ all’ estremo del soffrir mi mena con bugiarda pietà, vo tra gli amanti pur con sembianti d’ homo che 1’ arte de 1’ amar non sa. Refrigerio del foco, onde hogi avampo, fora un viso mirar, ma se da lui sperar degio mai scampo noi mi convien guardar. Qual fu ventura giamai sì dura, privarsi del gioir per non penar ! GIORNALE STORICO E LETTERARIO DELLA LIGURIA 39 Occhi sempre soavi a’ cui bei rai godo d’ incenerir, udite me ; ma che dirò giamai se non ardisco dir ? Mi° sol desio, vedete eh’ io, non oltragiando il ver, prendo a mentir. TESTAMENTO -INEDITO DEL PITTORE FILIPPO MARTELLI. Il pittore Filippo Martelli non è nativo di Massa di Lunigiana, come fu detto e creduto, ma bensì di Seravezza. La prima volta che s’incontra il suo nome ne’ documenti è in un atto rogato a Massa, « in domo ipsius domini Philippi Martelli, sita al « Groppino », il 16 maggio del 1615; e in quell'atto è chiamato « dominus Philippus pictoi quondam magistri Lucae « Martelli de Seravezza, Status Serenissimi Magni Ducis He-« truriae, et ad presens Massae continuus habitator ». In torza di quell’atto, costituì suo procuratore Agostino Fortini di Seravezza, alias dicto Fetto, perchè riscuotesse tre scudi che gli doveva Michele Camaiore di Pruno, « occasione mercedis unius « designi facti pro una tabbula » (1). Pruno, che è una delle frazioni dei Comune di Stazzema (2), giace nella Versilia; di cui pure fa parte la grossa terra di Seravezza; e per la Versilia, il Martelli, fece tutti i lavori de’ quali c’ è rimasto memoria ; lavori che, oltre al disegno già ricordato, si riducono a un quadro che dipinse per la vecchia pieve di S. Felicita (1) R. Archivio di Stato in Massa. Sezione: Archivio Notarile di Massa, reg. 384, c. 187 tergo e seg. ('!) Un artista sconosciuto al Campori, Magister Johannes Jacobi de Marciagio (Marciaso, frazione del Comune di Fosdinovo in Lunigiana), pictor et lapicida, abitante a Seravezza, il 30 settembre 1458 si obbligò di costruire per la chiesa di S. Maria di Stazzema una balaustrata di marmo, composta di dodici colonnini e di otto pilastri, intrecciati insieme con degli archetti, pur di marmo, da pigliarsi dalle cave di Ceragiola, per il prezzo di 42 fiorini, da 36 bolognini 1’ uno ; con patto che il trasporto de’ marmi, da Seravezza a Stazzema, fosse a carico della chiesa ; la quale poi doveva somministrare il vitto a Maestro Giovanni e al suo garzone quando metteva al posto il lavoro. Cfr. Milanesi G., Documenti inediti dell’ arte toscana dal XII al XVI secolo, raccolti e annotati ; nel periodico romano II Btio-narroti, serie III, vol. II, quaderno V, pp. 145-146. ‘ 40 GIORNALE STORICO E LETTERARIO DELLA LIGUBIA in Val di Castello,.già Massa della Versilia, e per l’oratorio della Madonna del Ponte, di Seravezza. Che cosa rappresentasse il quadro per la pieve di S. Felicita, è ignoto. Si sa soltanto che il 16 febbraio del 1640 fece un ricorso per essere soddisfatto della pattuita mercede (1). Anche per ottenere il pagamento dell’ altro quadro, dovette tribolare, e non poco, come si rileva da questo strumento, che è del 29 aprile 1641, e fu rogato a Massa da Andrea Ceccopieri « in studio Ill.is et Exc.is D. Pauli Maggesij ». Ecco quello che dice (2): Constituito, etc. il sig. Carlo Pellegrini di Carrara pittore, perito eletto per la parte del sig. Filippo Martelli, pittore di Massa, a stimare un’ancona della Santis's.ma Anonciata, fatta e dipinta da esso sig. Martelli, che hoggi si ritrova in opera nella Confraternità della Santiss.ma Madona del Ponte di Saravezza ; quale sig. Carlo asserisce sotto il giorno di hieri essersi trasferito in Saravezza et ivi veduto e ben considerato detta ancona, et abocatosi con il sig. Nicolò Azzi, pittore di Castelnuovo di Grafagniana, perito eletto per la parte di detta Confraternità; et non essendosi tra di loro essi periti concordati nel prezzo di essa, il sudetto sig. Carlo, col mezzo del suo giuramento e toche le Scritture in mano di me notaro publico infrascritto, ha rifferto e rifferisce stimato e stima detta ancona valere scudi duecento trenta, moneta di Savarezza ; et tanto dice e dichiara in ogni meglior modo, etc. Felice Palma, l’unico artista di vaglia che abbia avuto Massa, il 13 agosto del 1625 gli lasciò in legato « li modellini « che servirono per fare doi angeli alla Madonna di S. Niccola « in Pisa » (3). Sposò Margherita Maggesi di Massa, e tra gli altri figli che ebbe da lei, Luca, il primogenito, fu pure pittore; ma intorno a lui niente è da aggiungere a quello che già ne scrissero il Gerini e il Campori. Giovanni Sforza Die 20 Augusti 1640. Nel Nome del Signore, etc. M.° Filippo Martelli, sano per Dio gratia di senso, vista, loquella et intelletto, benché alquanto lanquido di corpo, sapendo non esserci cosa alcuna (1) Santini V. Commentarii storici della Versilia centrale; vol. V, pag. 146. (2) R. Archivio di Stato in Massa. Sezione : Archivio Notarile di Massa ; reg. n. 227, c. 57. (3) Campori G. Memorie biografiche degli scultori, architetti, pittori, ec. nativi di Carrera e di altri luoghi della Provincia di Massa, Modena, Vincenzi, 1873; pag. 173. GIORNALE STORICO E LETTERARIO DELLA LIGURIA 41 più certa della morte, benché 1’ ora di quella sij incerta ; però volendosi preparare per corrispondere alla vocatione del Signore, ha deliberato disponere delle cose sue per testamento, che de jure civili si dice noncupativo, nel modo et forma che segue : E comminciando dall’ anima come più nobile del corpo, quella ha raccomandata e raccomanda alla SS.ma Vergine et alli Santi suoi avocati acciò la ricevano nelle loro sante mani e la presentino avanti il tribunal di Dio con intercederli il perdono e remissione de’ suoi peccati. Il corpo, fatto che sarà cadavero, vuole che sij sepolto nella chiesa di S. Pietro, nella sepoltura di S. Rocco, nella Confraternità del qual Santo detto testatore resta ascritto, e che sij accompagnato alla chiesa con quella spesa e funerale che piacerà alla introscritta sua moglie, nella quale confida che tralasciando la pompa funerale farà aplichare sacrifficij per 1 anima di esso testatore secondo la possibilità della casa. Item, per raggion di legato et in ogni altro meglior modo etc. lassa al Sacro Monte della Pietà di Massa bolognini 20 prò una vice tantum. Item, per raggion di legato et in ogni altro meglior modo etc. in risguardo dell’affettione e buona compagnia che ha hauto da Madona Margherita Maggesi, sua moglie, lassa 1’ istessa sua Madona Margherita usufru-tuaria universale e dona e Madona di tutti li suoi beni mobili e stabili, raggioni, ationi e nome di debitori, durante la sua vita e stando buona vedova, e non altramente. Con dichiaratione che il primo usufrutto non s’intenda ristretto agli alimenti, volendo esso testatore che detta sua moglie habbia l’intiero e pieno usufrutto di tutti li suoi beni; pregandola a voler ritenere, si come confida che farà, apresso di sè li suoi figli, e quelli allevare col timor d’ Iddio et indrizzarli nelle virtù, per quanto ella potrà ; liberandola da qualsivoglia inventario e sicurtà, etc. Item, per raggion di prelegato lassa a Lucca et a Francesco, suoi figli, et ancho agli altri che attendessero alla professione del disegno, lo studio di esso testatore, che consiste in disegni, stampe, modelli di cera e di gesso e terra e d’ altro, e li libri tutti che si ritrovano in casa, volendo che questo suo studio sia commune a tutti li suoi figli maschij et femine che attenderano a detta proffessione, et che in questo gli altri figli e figlie che non attendes-sono al detto disegno non vi possano pretendere cosa alcuna, etc. In tutti gli altri suoi beni mobili, stabili, se moventi, raggioni, actioni e nomi di debitori ha instituito suoi heredi universali e con la propria bocca sua ha nominato e nomina Lucca, Gio. Domenico e Carlo, Francesco, Catterina e Maddalena, suoi diletti figli e figlie, egualmente e per egual portione, sostituendo detti suoi figli e figlie 1’ uno a 1’ altro scambievolmente, etc. Actum Masse, in domo dicti testatoris, loco dicto in Strada Albericha, presentibus,^etc. Andreas Ceccoperius notarius. [R. Archivio di Stato in Massa. Sezione : Archivio Notarile di Massa ; reg. n. 227, cc. 6-7.] ANEDDOTI IL «LIBER PRIVILEGIORUM COMUNITATIS PORTUS VENERIS». Nel fase. 1-2 del Giornale Storico del decorso anno, parlando del riordinamento dell’ archivio comunale di Porto Venere, ebbi occasione di accennare al Liber privilegiorum Portus Veneris e 42 GIORNALE STORICO E LETTERARIO DELLA LIGUBIA di affermare che il volume originale in pergamena « ora è scomparso e probabilmente in possesso di qualche privato ». Dissi pure che in un registro del 1745 si trova ricordo di una deliberazione presa dai magnifici agenti della Comunità per riporre il libro autentico dei privilegi nella cassa delle sante reliquie presso all’ aitar maggiore della Chiesa di San Lorenzo. Una fortunata combinazione mi ha permesso in questi giorni di ritrovare il prezioso volume: infatti, mentre esaminavo i pochi e poco importanti registri antichi dell’Archivio Parrocchiale custoditi in un armadio di ferro, insieme a pochi oggetti preziosi, nella sacrestia della Chiesa di San Lorenzo, in Porto Venere, mi cadde 1’ occhio sopra un astuccio di metallo, giacente in un angolo, e, chiesto che cosa contenesse, mi fu risposto dal custode che conteneva un libro antico. Non appena ebbi aperto l’astuccio, mi accorsi subito d’aver fra le mani il tanto desiderato registro autentico dei privilegi, del quale inutilmente aveva fatto ricerche presso i privati. Consta esso di 139 carte in pergamena delle dimensioni di millimetri 242 χ 175, rilegate in legno ricoperto di pelle scurissima e con due borchie di metallo assai consunte dall’uso. Dopo i fogli in pergamena furono aggiunti, certo sulla fine del secolo passato; alcuni quaderni di carta di filo in numero di 8 ; ma 7 di questi sono rimasti ancor bianchi. La scrittura delle prime carte è la corsiva del secolo XV, assai sottile, di non difficile lettura, con poche abbreviazioni; una sola mano trascrisse tutto intiero il lungo privilegio del-1’anno 1431, in cui sono riportati colle loro autenticazioni notarili i numerosi documenti dei secoli precedenti. Seguono poi d’ altre e varie mani, meno eleganti e corrette, con abbreviazioni più numerose, i privilegi e le conferme degli anni 1445, 1448, 1451, 1459, 1455, 1480, etc., alcune delle quali portano le firme autentiche dei cancellieri ducali, e più frequentemente quelle di Nicolò di Credenza e di Gottardo Stella e quelle di alcuni cancellieri delle compere di San Giorgio. Seguono con carattere ben diverso numerosi decreti (la maggior parte conferme dei precedenti privilegi) dei secoli XVI e XVII: dal 1564 in poi cominciano a comparire documenti scritti anche in lingua italiana, e così pure le conferme dei privilegi cominciano ad esser firmate di propria mano del Doge. L’ultima conferma, contenuta nel registro, è dell’anno 1796 e porta la firma dell’ ultimo doge di Genova. E facile indovinare come mai il volume sia finito nella sacrestia della Chiesa. Durante l’invasione francese esso fu certo riposto nella cassa delle reliquie, come usavasi fare ogni volta in cui il paesello era esposto a qualche pericolo, e quivi rimase durante gli anni del governo democratico e dell’annessione alla Francia. Nessuno si curò più di ritirarlo, perchè divenuto inutile, allorché la Liguria fu nel 1814 annessa al Piemonte; ma GIORNALE STORICO E LETTERARIO DELLA LIGURIA 43 quando pochi anni or sono (1878) la Chiesa di PortoVenere fu visitata da una banda di ladri e la preziosa cassa (e meglio potrebbe dirsi trave) che custodiva le reliquie, fu manomessa e vuotata d’ ogni oggetto di valore, la scatola metallica contenente il manoscritto deve esser stata gettata sul pavimento della Chiesa insieme a poche altre cose, ritenute senza valore 0 troppo ingombranti. Chi lo raccolse, forse senza comprendere l’importanza del volume, lo ripose per fortuna nell’ armadio di ferro, al sicuro dalle rapaci mani dei trafficanti di cimelii. Ora che il volume autentico è stato ritrovato sarà possibile, io spero, colmare le lacune e correggere i non lievi errori delle due copie, possedute l’una dall’Archivio di PortoVenere (A - 1 del catalogo da me compilato), 1’ altra delI’Archivio di Stato di Genova (MS. 577) ed a questo lavoro spero di poter attendere io stesso, pubblicando integralmente, o sotto forma di regesto, 1 documenti, che non sono privi d’importanza per la storia della Liguria. ^ jyjANFRQNI NOTA SUL CINTRACO. L’ unica menzione del Cintraco nei libri dell’ archivio comunale della Spezia è in un registro mutilo del 1403 contenente deliberazioni e conti della comunità: il più antico che ci sia conservato, giacché tutti gli antecedenti, e la maggior parte di quelli dei secoli xv e xvi per ingiuria del tempo si desiderano. A carte iiii-recto, prima di quel volume mutilo, è scritto : Jacopus rocha acordatus est pro Sintricho sindicatus spedie incipiens servire die suprascripta (quinta marcii). Negli atti posteriori quella denominazione è abbandonata : il pubblico banditore è chiamato nuncius comunis; il generale parlamento è convocato voce preconis, sonitu tubicine, ut moris est. Noto la particolare grafia nella quale, s’io non erro, per la prima volta ci incontriamo nella designazione del Cintraco. Si trova cintracus (Liber Jurium, I, 1182,1403); cintragus (Chartarum, II, 355,418,439 etc.); gintracus (Id. 518); centragus (Lib. Jur., I, 1147) ; gintragus (Chart., II, 518); non mai sintrickus come nel caso nostro. Intorno alla ragione del nome il Du Cange (Glossar. ad scrr. med. et inf. latinitatis') congettura: « Cintracum, vel cintracus, Publici tintinnabuli, si bene conjecto, pulsus citator, Gali. Tocsin, Ital. Sturino, f. ab antiquata voce S/ng, Signum, Campana, et ab alia etiamnum à nostris usurpata Trac, Crepitus, stridor ». Tale congettura è rigettata dall’autore del supplemento. Il Lumbroso al § 3 della sua Storia dei Genovesi avanti il MC, trattando Chi fosse primitivamente il Cevtraco, dice che mal si cercherebbe la ragione del nome esclusivamente in ciò 44 GIORNALE STORICO E LETTERARIO DELLA LIGURIA che il cintraco chiamava a parlamento, preconizzava, giurava * in anima populi » ecc. ecc. ; giacché assai vari erano gli uffizi del cintraco, tarda essendo la specializzazione per cui si venne al cintrachus sive preco, a mano a mano che si suddividevano^ le incombenze e multiplicavano le magistrature. Però, trovando che i centrachi corrisponderebbero ai centenarii del basso impero, definiti da Gotofredo (VI, 33, i) « ministeriales, executionibus missionibusque deputati etc. » insieme con i decani ; e trovando che un « deganus et nuncius publicus » convoca nel 1385 in Genova a Parlamento alcuni consiglieri (.Lib. Jur. II. 983), il Lumbroso ne deduce che dal decanus facente uffizio di centracus non è lontano il centenarius, nè lontana la congettura che questi, passando per κένταρχος, vivente nella bassa grecità, abbia potuto per la facil metatesi della r finire in centrachus (1). Termina cosi il Lumbroso: « Nè ripugna la forma grecizzata o pare più straordinaria che nell’Istria in Genova suddita ai Greci per un secolo ancora dopo l’ingresso dei Longobardi, e precipuo centro delle pratiche a favore dell’impero, del Papa e dell’Esarca che l’ira accesero nel petto di Rothari ». Ma se non deve ripugnare l’imbattersi in una forma grecizzata in Genova nell’ alto medioevo, mi pare alquanto forzata la suesposta congettura, in quanto non basata che sopra un unico fatto, il quale per di più dà così poco diritto di trarne le conclusioni che ne furono dedotte. Se non dobbiamo rigettare una forma grecizzata nella ricerca della ragione del nome, mi pare sarebbe cosa più semplice e piana cercarla in συν-τρέχω (dorico τράχω), lat. concurro, convenio, che rende subito l’idea dell ufizio del cintraco; dirò meglio: del suo principale ufizio, eh’ era appunto di convocare, radunare, correndo per la città, il parlamento. Nel decreto del 1142, il più antico documento che ci conservi memoria di quel pubblico uffiziale (Lib. Jur, I, 78), decreto citato anche dal Lumbroso, è detto dei vari ufici del cintraco, fra i quali di vocare populum ad parlamentum per civitatem et per burgum et per castrum in precepto consulum. L’ obbiettare che non era questo soltanto l’ufizio del cintraco non mi pare argomento di peso; non ripugnando che abbia derivato il suo nome per l’appunto da quello (2). Ubaldo Mazzini (1) Sulla storia dei Genovesi avanti il MC. comenti di Giacomo Lumbroso. Torino, F .Ili Bocca, 1872, in-i 6, p. 19 e segg. (2) Cfr. per la parte storica Rezasco, Dizionario del linguaggio italiano stoi'ico ed amministrativo, ad vocem. Firenze, Lemonnier, 1881. GIORNALE STORICO li LETTERARIO DELLA LIGURIA 45 IL CARTOLARIO DELL’ABBAZIA DI SAN PONZIO PRESSO NIZZA L’immatura morte, onde è stato colpito il conte Eugenio Cais di Pierlas, benemerito per molti coscienziosi lavori pubblicati sulla città e contado di Nizza, è stata causa che rimanesse in tronco la pubblicazione del Cartolario dell’Abbazia di San Ponzio, che doveva veder la luce in Monaco, fra i volumi di documenti, che si stampano per ordine del Principe Alberto. Non è qui il luogo di ripetere quanto di questa rinomata abbazia fondata da Carlo Magno, lasciò scritto il Gioffredo nella Nicea civitas e nella Storia delle Alpi marittime, è piuttosto il caso di lodare il disegno formato dall’illustre patrizio nicese di raunare cronologicamente le copiose ed importanti carte, che sopra questo cenobio gli erano venute alle mani e che con pazienza da benedettino avea trascritto, nel XVIII secolo, il sacerdote Gio Batta Lanteri, degno segretario del dotto vescovo ventimigliese Pier Maria Giustiniani. Già il Cais aveva condotto a buon punto l’opera sua e certo sperava di veder aggiunto μη nuovo titolo di benemerenza all’operosità sua, quando sorpreso dalla inesorabile, che a dirla coll’Alighieri va dintorno con le force, dovette lasciare incompleto il lavoro. Volle la buona sorte, che tanto gli eredi, quanto i possessori dei manoscritti, che sono la famiglia Lanteri e il conte Gabriele Alberti della Briga, pensassero di affidare il carico di condurre a termine l’importante Cartolario all’ illustre commendatore Gustavo Saige Archivista del Principato, ed è certo che all’occhio vigile di questo eletto alunno della Scuola delle carte di Francia non isfuggirà quanto possa importare al completo, ordinato e critico ordinamento di questa raccolta. Grazie alla benevole condiscendenza di questo egregio amico ho potuto svolgere i cinquantadue fogli di già stampati, a far capo dalla carta di donazione fatta nel 999 da Mirone ed Odila al detto monastero, sino al sunto della bolla di papa Paolo III dell’anno 1546. Valse a fermare in modo particolare la mia attenzione un documento, inserito a pag. 95, da cui si cava che Raimondo Vicario capitolare della Cattedrale di Ventimiglia nel giugno del 1271 rappresenta al vescovo di Glandevez, Delegato apostolico nella causa vertente fra Giovanni de Alzate vescovo di Ventimiglia e Guglielmo abbate di San Ponzio, che il vescovo de Alzate trovandosi moribondo nell’ aprile di detto anno non avea potuto ricevere il monitorio, da lui spiccato per l’interdetto della chiesa di S. Nicolò di Sospello, inclusa nella diocesi di Ventimiglia, ma che rilevava dall’Àbbazia di S. Ponzio. 46 GIORNALE STORICO E LETTERARIO DELLA LIGURIA Tale documento, cui era appeso quodam sigillum, in medio cujus erat quedam impressio facta ad modum agni tenentis cru- ' cem in pede et in circumferentia : φ 5. Capituli Vintimiliensis, è di grande importanza, perhè ci mena diritto a correggere la serie dei vescovi di Ventimiglia. Il vescovo Giovanni de Alzate pare sedesse dal 1262 al 1264 e che lasciasse il posto a Oberto Visconti, fratello di Ottone arcivescovo di Milano. Or bene, se si ha la irrefragabile prova, che il vescovo Giovanni di Alzate era ancor vivo nel maggio 1271, bisogna assegnare Γ elezione del Visconti dopo il giugno del 1271, anno che coinciderebbe appunto coll’ unica notizia che si ha di detto prelato, partecipatami dall’ egregio sig. Pietro Ghinzoni di Milano, la quale dice che la fraternità di Oberto Visconti con Ottone arcivescovo, risulterebbe, secondo l’Archivio Sito-niano, da un istrumento del i° febbraio 1271, rogato per Oli-verium Lignatium. Ammessa, come vuole l’evidenza, una tale correzione, bisogna espungere dalla Serie dei vescovi di Ventimiglia il nome di Giacomo Gorgonio di Piacenza (1270-1272), nome scovato nel secolo XVIII da un poco esperto paleografo, che non si accorse di aver fra le mani una carta del vescovo Giacomo di Castel Arquato di Piacenza, che avea seduto dal 1244 al 1251· Lascerò agli studiosi delle cose nostre di poter far ragione fra breve dell’ importanza del volume, su cui si leggono i nomi di Cais di Pierlas e di Gustavo Saige. Girolamo Rossi MASTRO ANTONIO IACOBI DETTO IL GENOVESE. Degli storici urbinati nessuno lo ricorda. Scartabellando nell’archivio di S. Antonio Abbate ed in quello Notarile, trovai diversi documenti che lo riguardano. Questo Maestro era capo Muratore e si occupava anche di architettura, come tutti i maestri di quel tempo. Certo doveva godere della fama se occupava la carica di Priore della Comunità di Urbino, carica sostenuta da soli nobili e da capo mastri che avessero tenuto bottega gli ultimi dieci anni. Anche nella sudetta Compagnia di S. Antonio occupò le più alte cariche. Dopo la sua volata con Lorenzo di Giovanni d’Arezzo la direzione dei lavori della chiesa e casa della Compagnia venne affidata a quest’ ultimo. Ecco i documenti che lo riguardano, e non dispero di trovarne altri, che facciano un poco di luce attorno questo focoso genovese. Ercole Scatassa. GIORNALE STORICO E LETTERARIO DELLA LIGURIA 47 1408 — Si parla di una casa che confina da un lato con — Antonio Iacobi alias el genovese. — (i) 1408, 24 7bre — Si trova segnato come testimonio in un rogito di Ser Nicola del quondam ser Lodovici — .... presentibus Antonio Iacobi alias genovese. — (2) 1416. Maj — Mastro Antonie alias genovese fo chasso (cancellato,) in la vigilia de s(an)to Antonio el p(er)chè se fe ch’el detto genovese essendo Priore del comune de Urbino insuperbì p(er) si fatto modo ch(e) volse (volle) butare Lorenzo de Giovani d’Arezzo in giù l'orto, solamente p(er)chè el detto Lorenzo n(on) l’ubidiva corno elio volse. Cioè ch’el detto genovese lo comandava ch(e) lavasse i pignatti (stoviglie) ch(e) li rivoleva armandare in la Corte (cioè al credenziero del conte di Urbino) p(er)chè glavea tolti imprestito esso genovese, et de questo fallo n(on) gle fo auto misericordia acioch(è) niuno altro n(on) fesse el simile caso, et ch(e) glavessero paura acioch(è) n(on) se farà niuna cosa senza licentia de Priore e del luogotenente. (3) 1421. gbre — m.° Ant.° de Giacomo da Genova. — (4) 1422. adi 25 7bre — Antonio da Genova Priore (della Compagnia). — (5) 1429. — Si trova segnato come creditore. Poco dopo deve essere morto se i libri non ne fanno più menzione. — (6) BOLLETTINO BIBLIOGRAFICO. Francesco Foffano. Due documenti goldoniani. Venezia, 1899. - Marietta ToviNI. Studio su Carlo Goldoni e il suo teatro. Firenze, 1900. - R. BONFANTI. La donna di garbo di Carlo Goldoni. Noto, 1899. L’anonimo autore di due commentari sul Metastasio e sul Goldoni scriveva nel 1834, accennando alle commedie dettate dal veneziano in versi martelliani: « Qui cade in acconcio il ripetere quello che fu detto altre volte, che seguendo l’esempio datoci da lui medesimo, come nel Molière e nel Ventaglio, si dovrebbero tradurre in buona prosa italiana le commedie scritte dal Goldoni in versi martelliani » (7). Ora il Molière non venne mai tradotto in prosa nè dall’autore nè da altri, (1) Urbino. Arch. Not., Cas. 1, num. 4, c. 156. (2) Id. ivi. c. 14. t. (3) Urbino. Arch. di S. Antonio Abbate, Busta 1, fase. 1, frammento di un libro degli accomodamenti. (4) Id. ivi. Lib. 2 de’ fratelli, c. 45. (5) Id. ivi. Frammento citato. (6) Id. ivi. Lib. 4 de debitori e creditori. (7) Di Pietro Metastasio e di Carlo Goldoni. Commentarii due. Venezia, dalla Ti-pagrafia di Paolo Lampato, 1834. (Per le nozze Sanseverino-D; Porzia, p. 41). Ne fu editoie P. Chevalier. 48 GIORNALE STORICO E LETTERARIO DELLA LIGURIA e il Vtagenlio non fu mai in rima. Che il poeta stesso abbia pensato a recare in prosa lavori suoi eh’ erano in versi, è giusto. Ne fa fede la premessa al Molière nell’edizione Pasquali. Ma, forse per l’interruzione di questa stampa, il Goldoni non fece quanto divisava. Di 22 commedie in versi ( non vanno comprese in questo numero le tragicommedie e i drammi) solo sei son pubblicate nei volumi del Pasquali, e queste nella forma poetica originale. Bisogna concluderne che il Goldoni intendesse di ridurre in prosa altri lavori suoi per quell’edizione. Noi intanto non conosciamo che due sole commedie del Goldoni, di cui esista ima lezione in rima e l’altra in prosa, cioè : La vedova spiritosa che, rappresentata a Venezia nel 1757 in verso, venne due anni dopo ridotta in prosa e recitata e stampata in questa forma a Roma ; e Le Morbillose, commedia veneziana in verso, tradotta poi in prosa toscana col titolo : Le donne di buon umore. L’esempio dato dal poeta fu poi seguito da altri, come prova un codice del Museo Correr (Raccolta Cicogna, N. 1890) che il prof. Francesco Foffano ci descrive in ima sua preziosa comunicazione all’ Archivio veneto (1). Vi si legg°no II Torquato Tasso, il Pestino, il Terenzio, commedie di Carlo Col-doni in versi martelliani ridotte in prosa da Francesco Rota udinese. Il codice è autografo, e il lavoro fu compiuto negli anni 1817-18 per iniziativa di Giovanni Orlandelli, editore veneziano. A queste doveano seguire le riduzioni in prosa delle altre commedie in versi del Goldoni, ma l’editore cambiò idea prima di cominciar a stampare anche una sola commedia. S’accorse forse egli stesso che il lavoro fornitogli dal Rota, non uomo di lettere ma semplice ragioniere, era opera poverissima. Il Rota si diede cosi poca pena di stemperare i martelliani tanto da sperderne il suono, che il desiderio dell’ anonimo da noi ricordato non si può dire compiuto con queste riduzioni. Si resta cosi lontani dalla buona prosa ch’egli tanto giustamente chiedeva ! Xè sapremmo dire se in miglior prosa sia composta una riduzione anonima del Cavaliere di spirito che si conserva manoscritta alla Queriniana di Venezia (Cl. VI Cod. lxxvi [misceli, di var. dram.] N. 9), perchè non ci fu dato vederla. Le trasformazioni subite da opere goldoniane formano un capitolo curioso nella loro fortuna. E se più d’uno imprese a trasportare in prosa lavori deltati in rima, vi hanno esempi del procedimento contrario. Si tratta j»crò sempre di traduzioni in lingue straniere. La locandiera fu tradotta in versi da Carbon-Flins, (2) Iulius Haarhaus (3) ed Emil Pohl .4 , la serva amorosa dal Sablier ( 5 , (1) 1899. Tomo XVIII. (2) La jeune hôtesse, comedie par Carbon-Flins. Représentée |>our le première fois, le 24 décembre 1791 (Répertoire generai du Thratre français etc Pari», 1818. Comédies en vers, I. xvii). (3) Mirandolina fLa Locandiera). Lustspiel in drei Au/zligen von Cari Goldoni- I» deutschen Versen frei bearbeitet von Iulius R. Haarhaus. Leipzig, Reclam. (4) Non k stampata. Si recitò al Deutsc/ies Volkstliealer di Vienna la sera fiel 20 agosto 1898. (5) Théâtre d'un inconnu. Paris, 1765. GIORNALE STORICO E LETTERARIO DELLA LIGURIA 4Q e II ventaglio (in versi alessandrini !) da Cari Blura (i). Questa fu certo l’idea più disgraziata che potesse sorgere nella mente d’un traduttore. Frequentissimi sono i mutamenti cui andarono soggetti lavori, tutti o in parte veneziani. Nelle innumerevoli scelte e raccolte di opere goldoniane pubblicate in Germania ad uso degli studiosi della nostra lingua, le maschere parlano sempre il toscano. L’ Allgemeine Literaturzeitung del 1829 (2) tolse una volta occasione da una pubblicazione di questo genere per sferzare a sangue l’editore che, col pretesto d’insegnare l’italiano o di far conoscere il Goldoni ai tedeschi, conciava così malamente il suo teatro ! Il Goldoni stesso trasse una volta da una sua bella commedia veneziana (Chi la fa l’aspetta) un lavoro in toscano (La burla retrocessa nel contraccambio) per il teatrino dell'Albergati. Nel 1845 l’Accademia filodrammatica romana eseguì / rustici, ossia uno sciagurato rifacimento toscano del grande capolavoro (3), e questa profanazione dei Rusteghi è anche a stampa. La stessa accademia recitò in quel torno anche il Servitore di due padroni, e non c’è dubbio che anche lì Truffaldino, non più da Bergamo, spero, avrà detto la sua parte in lingua. Non mancano neppure esempi di commedie italiane recate in dialetto veneziano. N’ ha più d’una nel suo repertorio la compagnia Zago-Privato. Dei molti libretti, che il Goldoni stesso ed altri trassero dalle sue commedie diede conto, or non è molto, Cesare Masatti in un ottimo saggio bibliografico. Men nota, crediamo, una commedia in 5 atti, intitolata Vittorina che Ferdinando Meneghezzi derivò dall’omonimo dramma per musica, e fece rappresentare a Milano nel 1828. Il carattere di tutte queste riduzioni non si può dunque tacciare d’uniforme! Nello stesso Museo Correr il prof. Foffano trovò ancora un epilogo inedito del Goldoni recitato dalla Medebac dopo i Pettegolezzi delle donne, commedia che poneva termine alla serie delle sedici.· All’importanza di questa scoperta avemmo occasione d’accennare in altra rivista (4). Auguriamoci che, secondo la sua promessa, il prof. Foffano ripubblichi quanto prima quest’epilogo assieme ai molti altri componimenti che servivano d' introduzione o di congedo, secondo che una nuova stagione teatrale cominciava o si compieva. * * * Lungi dal mettere in luce nuovi documenti, Marietta Tovini in un suo saggio che reca in fronte un titolo ben sonoro mostra d’ avere scarsa conoscenza di ciò che intorno al Goldoni fu scritto, e persino di quanto scrisse egli stesso. Fedele a un suo proposito espresso nella prefazione l’autrice non (1) Der Facìier. Lustspiel in drei Aufziigen und in Alexandrinern von Cari Blum (nach der Idee des Goldoni. Leipzig, 1832). (2) Volume 4. Novembre 1829, col. 993. (3) V. Prinzivau.i Accademia filodramihatica romana. Memorie. Terni, 188$, p. 67. (4) Flkgrba, 20 maggio 1900. Una diavoleria di titoli r di cifre. Gioni. s/or. e lett. d. Lig. II. 4 50 GIORNALE STORICO E LETTERARIO DELLA LIGURIA ci dà nulla di nuovo. Per la biografia le servirono d’unica fonte le Memorie e nell’apprezzamento delle opere ella si giova dei giudizi dello Schlegel, del Sismondi, del Guerzoni e di pochi altri. Ma per riassumere anche una volta le Memorie e ricordare sempre di nuovo certe critiche che non furono mai vangelo, o riprodurre le sentenze del Voltaire e del Gibbon, luoghi comuni della filologia goldoniana, non ci pare metta conto dar fuori un nuovo libro. E se mai, converrebbe almeno curar meglio l’esattezza. Il Goldoni ha scritto tre avari, nota con poco felice elocuzione l’autrice. Ma gli avari del suo teatro son cinque. Accanto alle tre commedie : L'Avaro, Il geloso avaro e L’avaro fastoso bisogna menzionare Star lodare brontolon e l’Ottavio del Vero amico. Analizzando la figura del burbero nel teatro del veneziano, come si fa a trascurare quel Cristoforo della Casa nova che fu il progenitore di Geronte? Nel solito immancabile paragone tra il Goldoni e il Molière scorgiamo poi uno strano pasticcio. Si citano (p. 48) come tolte alla premessa dell’ Impostore alcune linee che si leggono invece nella prefazione al Molière (1) e riguardano il Signor Pirlone ipocrita, personaggio della commedia, imitato dal Tartufo. L’a. senz’avvertire il fatale spostamento osserva che a nell’ Impostore manca affatto lo studio psicologico, di cui è frutto il Tartuffo ». Ora sa il perchè. Per debito di critici imparziali notiamo qualche buona osservazione sul Cavaliere e la dama (lavoro per il quale 1’ a. avrebbe potuto tiarre buon partito dall’arguto commento che ne scrisse il Brognoligo) (2) e sulla Vedova scaltra. * * * Nel giudicare la Vedova scaltra un lavoro scadente e peggio la Tovini si accorda col Bonfanti il quale in una sua amplissima monografia sulla Donna di garbo, eh’è in verità un esame critico di tutto il primo periodo dell’opera del Goldoni ( 1729 * ' 742)t condotto con acume e soda erudizione, oltre al negare pregi letterari a quella commedia cerca anche di toglierle la gloria di aver iniziato la riforma del nostro teatro. Che il valore letterario delle due opere sia suppergiù il medesimo, va concesso, benché per parte nostra non esitiamo a preferire la Vedova scaltra a quell’ indigesto centone di tutte le bravure di Colombina nella commedia dell’arte, ch’è la Donna di garbo. Ma il fatto sta che eseguita questa pure con buon esito, Goldoni non pensò più che tanto al teatro e si ridusse proprio in quel torno con tutt’altrc aspirazioni in Toscana per un soggiorno di più anni. Viceversa il successo della Vedova scaltra qualche anno dopo lo determina a votarsi da quell’istante a Me scene, senz’altre intermittenze. fi) Edizione Pasquali. Vol. Ili, p. 168. (2) Il rinascimento. Foggia. Vol. Ili, p. 136-147. GIORNALE STORICO E LETTERARIO DELLA LIGURIA Giovandosi di tutti gli studi sulla vita e l’attività drammatica del Goldoni che facevano al suo scopo, il Bonfanti narra l’origine della Donna di garbo, primo serio compromesso fra il teatro estemporaneo e la commedia scritta, accenna alle importanti divergenze tra la prima edizione Bettinelli e le edizioni Paperini e Pasquali e prende in esame gli apprezzamenti recati su questo lavoro da quanti ebbero ad occuparsene. Segue poi una digressione lunga e poco opportuna, ma ricca di buone notizie e spesso nuove, su tutte le opere del Goldoni composte innanzi la Donna di garbo. Specialmente notevole in questa parte ci sembra il confronto della Bancarotta con la sua fonte, ch’è la commedia di Tomaso Mondini Pantalone Mercante fallito. Tornando poi al suo soggetto 1’ a. prova come per la favola questa Donna di garbo continui quelle innumerevoli opere di trasformazione ch’erano un punto saldo nel bagaglio della commedia improvvisa. Se n’ avvede presto chi per poco conosca il Dictionnaire des theatres de Paris, 1’ Histoire du theatre italien, il Nouveau theatre italien, la famosa raccolta del Gherardi, e altre opere dello stesso genere. E anzi nel Theatre del Gherardi che il Bonfanti trova il modello onde si giovò assai liberamente il Goldoni per l’opera sua. Si tratta della commedia Colombine avocat pour et contre, recitata 1’ 8 giugno 1685 nell’Hôtel de Bourgogne, che tradisce in verità stretta parentela con la Donna di garbo. Siamo ben lieti che uno studioso, dell’ingegno e della coltura del Bonfanti, si sia dato a investigare le fonti goldoniane, campo rigoglioso dove poco finora s’é mietuto. Particolare interesse hanno poi le relazioni fra il teatro del Goldoni e quello dell’arte; e qui il Bonfanti prendendo in esame un solo momento dell’opera letteraria del veneziano seppe fare assai più di chi molt’ anni fa diede fuori sullo stesso argomento un’operetta di nessun valore. (1) Fra le traduzioni della Donna di garbo il Bonfanti, seguendo la Bibliografia dello Spinelli ricorda Die sanfte Frau (Lipsia, 1765, r779). Ma è uno sbaglio (2). Die sanfte Frau è la Moglie saggia. La Donna di garbo ebbe in Germania una fortuna ben superiore al suo scarso merito artistico e, salvo errore, fa tradotta quattro volte in tedesco. Di tre versioni, che ci stanno sott’occhio, ecco i titoli esatti : Die geschickte Kammerjungfer. In drey Aufziigen 1764. Voi. 149 della Deutsche Schaubiihne. Das ivackere Màdchen. Nel vol. IX0 (1771) della nota traduzione del Saal. Wissenschaft geht vor Schonheit. Fin Lustspiel in drey Aufziigen. Leipzig, bey Christian Gottlob Hilschern, 1778. Tradusse I. C. Bock. E. Maddalena. (1) Alfonso Ai.oi. Il Goldoni e la commedia dell’arte. Catan ia, 1883. (2) Bibliografia goldoniana. Milano, 1884. p. 25a. L’errore fu ripetuto dal Rabany (P· 325)· 52 GIORNALE STORICO E LETTERARIO DELLA LIGURIA Les Milanais eu Corse. Une investiture de fief Cortinco par François Sforza. La terre des Communes, par M. A. De Morati. Bastia, Ollagnier, 1900 (in Bulletin de la Société des sciances historiques et naturelles de la Corse, a. XX, fase. 234, pp. 1-112). Antonio de’ Morati è nome ben noto a quanti s’ occupano della storia della Corsica principalmente pei suoi studi : La Corse; Cosmc de Medicis et Philippe II; Sampiero et Vannino d' Ornano; la Conspiration d’ Oletta. Ora coll’annunziata monografia arricchisce la letteratura storica dell’isola d’un nuovo interessantissimo studio. Prendendo le mosse della morte di Vincentiello d’ Istria (1434), egli rapidamente tratteggia le vicende dell’ isola sino al punto che nel 1464 passò con Genova e tutte le possessioni di questa sotto il dominio di 1· ranccsco Sforza. Fa risaltar la parte principale che nell’ avvenimento ebbe Giudicello da Gaggio, Cortinco, e pubblica due documenti inediti sullo stesso. Poi descrive la breve durata della signoria milanese, il succederle prima, per termine ancora più breve, di quella di Tomasino Campofregoso, poi la ripresa dell amministrazione dell’ isola da parte dell’ Officio di S. Giorgio e con un rapido sguardo sintetico ne compendia la storia sino alla sua conquista liliale per parte dei Francesi nel 1769. E un riassunto brevissimo, che tuttavia serve di filo nella intricata matassa della storia della Corsica. Ma l’importanza e l’interesse principale del presente studio a parer mio non risiede tanto in questa per quanto magistrale sintesi della storia della Corsica, e nemmeno ne’ due documenti inediti di Giudicello da Gaggio eh’ egli ci fa conoscere, quanto nello sguardo penetrante che getta nella vita politica del popolo corso. Il M. molto profondamente osserva contro il canonico Salvini, I autore della Giustificazione, che mal a proposito si citano Giudice, Vicentiello d'Istna, Rinuccio da Leca, Rinuccio della Rocca, Gian Paolo da Leca come eroi nazionali della Corsica ; sempre in guerre sanguinose fra di loro, alternativamente alleati, servi o nemici degli stranieri, solo preoccupati de’ loro interessi, mai di quelli del popolo corso, i grandi feudatari corsi arrecarono all’ isola I a-narchia perpetua e guerre interminabili ; 1’ opera loro fu sterile e disastrosa, per quanto se ne ammiri l’indomabile energia e se ne compianga la tragica sorte (1). Lo sviluppo nazionale della Corsica non va cercato fra le famiglie de suoi grandi signori, ma nello svolgimento della vita comunale. I germi ne sono antichi ; probabilmente datano dalla supremazia de’ Pisani ; troviamo confa-lonieri delle plebi alla fine del XIII e al principio del XIV secolo; la de· (1) Fu del resto anche la sorte di Vicentiello da Gaggio; pochi anni dopo del ritorno effimero alla antica condizione di signoria feudale coll’ investitura di Pietrcllcrata egli fu decapitato, suo figlio (infante) incarcerato, suo fratello Ottaviano ucciso pure, i beni sequestrati. GIORNALE STORICO E LETTERARIO DELLA LIGURIA 53 mocrazia corsa s’afferma vittoriosa in tutta l’isola nel 1358 ; ridotta poi a più ristretto campo dalle ristorazioni feudali trova la sua cittadella nella terra di comune che ne era stata probabilmente la culla e nel 1468 ottiene di veder sanzionate da Galeazzo M. Sforza le sue aspirazioni in statuti che sono ammirevoli per l’epoca e de’ quali il M. fa risaltare con compiacenza lo spirito prettamente democratico. E un altro punto essenziale fa emergere il nostro autore, 1’ importanza predominante che nello sviluppo morale dell’isola ebbe la regione cismontana. Aperta verso il continente italiano, sin dagli albori della nuova civiltà italica ne sentì l’influsso ; quivi tutti i maggiori centri dell’isola (1), quivi il primo cenno di vita libera di comune. È nel Cismonti che sorge il grandioso movimento popolare, che nel XIV secolo per un momento, pur troppo breve, riunisce tutta la Corsica in una comune libera ; a ben guardare Simone Boccanegra, Sambocuccio d'Alando, Michele di Landò, Cola da Rienzi non son che fenomeni d’un unico momento storico, onde della grande marea popolare che verso la metà del XIV secolo invade tutti i versanti tirreni italiani. Più tardi qui pure Ceccaldi, Giafferri, Gaffori, Paoli risolleveranno l’antica bandiera del popolo corso; qui Pasquale Paoli detterà un’altra volta per tutta l’isola, come al tempo di Sambocuccio, una costituzione ammirabile, tanto più quando si pensi che precedette quella degli Stati Uniti d’America. In una opinione non saprei consentir con lo scrittore ; laddove dice che la famiglia dei Cortinchi da Gaggio rappresenta nella sua espressione più Vera lo spirito democratico della terra dei comuni, Peritoso, metto innanzi una opinione contraria a quella di giudice tanto autorevole. Ammetto che diversità di origini ed il vivere in un ambiente fecondato da antica civiltà toscana, fra popolazioni che avean forse imito, e in parte conservavano ancor residui, di vita comunale, sopratutto in una regione aperta all’ influsso della vita libera e civile che allora fervea attivissima in Liguria ed in Toscana, abbiano impresso alla aristocrazia feudale del Capo corso e del Cismonti un carattere diverso, alquanto più civile e mite, di quel che avessero i contemporanei dinasti rozzi e feroci dellOItremonti. Ma nel fondo non credo la conseguenza della loro oppressione fosse molto diversa, dato il diverso grado di coltura dei loro soggetti che dovea renderli diversamente sensibili. A buon conto trovo i signori feudali Cortinchi nelle sottomissioni del 1289 ; Orlando Cortinco signore di Patrimonio è spossessato da Gotifredo de Zoagli, ed Ugo Cortinco è fra quelli che sollecitano l’invasione aragonese « e li puopoli restavano di tutti maltractati e tanto che a la fine non potendo più sopportare quelli popoli di Marana e (1) É noto che l’attuale Ajaccio è una creazione genovese come Bastia; fondata nel 1492, poco lungi dall’antica, dall’ufficio di S. Giorgio, popolata con coloni liguri (nel 1520 soltanto circa un centinaio di famiglie), rimase per quasi un secolo un centro tanto esclusivamente genovese quanto Bonifacio. E del resto secondo il Dizion. di geografia dell’ Hachette, ancora verso la metà del secolo scorso la sua popolazione non era che d'un tremila abitanti. 54 GIORNALE STORICO E LETTERARIO DELLA LIGURIA del dominio de li Cortinchi si unirono insieme e fecero per capitano a Sam-buquero d’Alando » ( i ). Non trovo che nel moto del r358 i loro castelli siano stati rispettati più di quelli dei signori di Capocorso e de’ Cinarchesi ; nel 136b in seguito alla rivoluzione popolare, Guglielmo Cortinco avea dovuto abbandonar l’isola, e scopo della congiura capitanata dai feudatari del Capocorso era che i gentiluomini dominassero in Corsica e che Guglielmo vi ritornasse e fosse signore. Lo stesso M. (p. 34) ci dice che il popolo corso negli statuti de’»quali chiese l’approvazione a Galeazzo M. Visconti domandava la distruzione, salvo Bastia, Biguglia, S. Fiorenzo e Corte (nessuno terra feudale), di tutti i castelli nella terra di comune, senza eccezione per quelli dei Cortinchi, nemmeno per quello di Pietra Ellerata investito solo otto anni prima da Francesco Sforza a Giudicello da Gaggio. Il movimento popolare per cui le terre di comune ottennero i liberi statuti del 1468 si compiè sotto la direzione del secondo Sambocuccio d’Alando, al quale, vicario del popolo, e a Guiduccio di S. Lucia capitano, per gratitudine il popolo stesso confermò le cariche a vita. Giudicello da Gaggio prese il posto di Sambocuccio per ragioni che ci restano oscure, forse per una reazione contro l’elemento popolare e democratico. Del resto egli stesso allorché lo credette di suo interesse passò agli avversari. Non dobbiamo dimenticare che i Cortinchi, i più potenti feudatari del Cismonti, erano antichi rivali dei Cinarchesi, i quali dominavano nell’ Oltremonti, che per natura delle cose doveano essere avversi ai caporali elevatisi appunto in quest’epoca nel Cismonti, che un da Casta padroneggiava l’avito loro castello di Petrellarata e che infine ancora in quegli anni tutta l’isola si divideva nelle due fazioni dei Cagionacci e Ristagnacci, sorte un secolo prima. Ragioni più che sufficienti a spiegar la condotta di Guidicello senza attribuirgli tendenza a democrazia. Sottometto al giudizio dell’autore queste osservazioni, che azzardo contro un’opinione pur tanto autorevole, espressa in uno scritto che illumina di nuova luce la storia della Corsica. Aggiungo, sebbene sia superfluo per chi conosce gli scritti del de M., che anche questo è ammirevole per la serena obbiettività con cui si giudicano uomini e cose. Già accennai come discolpi il governo di Genova dell’accusa che gli mosse il Salvini, d’aver conculcato i feudatari corsi ; così non avessero avuto altre colpe i nostri padri verso i Corsi ! che io francamente inclino a credere che se qualche cosa si può in questa parte rimproverare alla Serenissima, egli è di non aver mai esaudite le domande di quegli isolani, liberandoli da tutte le signorie che gli angariavano, dei Gentili, dei Mari o de’ Cinarchesi che fossero, le quali eran state dannose a quelli che sono soggetti...... che. desiderariano di essere liberati (p. 105). E non solo su questo punto, ma sempre l’A. è equanime ne’ suoi giudizi del governo de’ Genovesi, nè tace i difetti dei Corsi. Pur troppo le colpe che il governo di Genova ebbe verso la (1) MSS.Y. della Bibl. di Bastia, citato dal Colonna, Notes crii., μ. io. GIORNALE STORICO E LETTERARIO DELLA LIGURIA 55 Corsica, pur tenendo calcolo della morale che dominava la politica di quell’epoca, son grandi, ma ora grazia a Dio, una repubblica di Genova non esiste più e vi è l’Italia, la quale non fu complice della Serenissima nell’oppressione della Corsica, ma invece accompagnò questa coi voti nelle ultime sue generose lotte e tutta coll’Alfieri rese omaggio alla grande figura del Paoli. Noto in ultimo che il lavoro del M. fu pubblicato nel Bulletin de la Société de Sciences hist. e naturelles di Bastia, un’ ottima pubblicazione di quell’istituto che da venti anni mette alla luce scritti e documenti importantissimi della storia d’ Italia e di Genova sovratutto. Pur troppo di tal pubblicazione per quanto so non trovasi a Genova che una copia, incompleta, presso la Società di storia patria ; manca in tutte le pubbliche biblioteche, anche in quella universitaria e nella civica, nella qual ultima pure tutto ciò che ha tratto alla storia di Genova e della Liguria dovrebbe, parmi, raccogliersi con diligente premura. Ugo Assereto. Livio Migliorini. Cronistoria della Garfagnana dal 1618 al 1800. I Galli-Ispani. Rivoluzione francese del 1796. Castelnuovo Garf., Stabilimento tipografico A. Rosa, 1900 ; in-16, di pp. 36. Come nota il sig. Migliorini, « l’unica storia (sebbene lasci molto a desiderare per le ricerche moderne) che parla de’ fatti principali avvenuti in Garfagnana è quella di monsig. prof. Domenico Pacchi da Villa-Collemandina (1733-1825); ma non arriva che all’anno 1618 ». Desiderando, per tanto, di « far cosa grata agli studiosi » pubblica questa Cronistoria, che ha principio appunto dall’anno con cui il Pacchi finisce ; lavoro attinto da « manoscritti che pochi curiosi hanno letto », non che da memorie a stampa. In una nota alla « prefazione » dà 1’ elenco de’ « principali storiografi garfagnini ». Ricorda le opere rimaste inedite di Giovanni Bosi (Cronaca ; ms. del 1579» in latino), di Sigismondo Bertacchi (Descrizione istorica di tutta la Garfagnana; ms. del 1550, nella Biblioteca Pagliaroli in Modena) (1), di Silvestro Bonini {Notizie istoriche di Castelnumjo di Garfagnana (2) ; dall’anno 1591 al 1610 ; ms. che trovasi nell’Archivio Notarile di Guastalla) di Valentino Carli (Istoria della Garfagnana antica, che parla delle guerre e fazioni garfagnine dal 1097 al 1681 ; ms. in cinque libri (3) nella Biblioteca Estense); di Antonio Vallisneri (Primi itineris per montes Regienses, (1) Il Tiraboschi (Biblioteca Modenese; I, 252-253) scrive: «l’originale conservasi presso quella nobil famiglia, e una copia ne hanno qui in Modena i sigg. conti Fabrizi ». (2) Il P. Ireneo Affi) la fece copiare per conto dell’ab. Girolamo Tiraboschi, che parla del Bonini nella sua Biblioteca Modenese; I, 319. Cfr. Lettere di Girolamo Tiraboschi al P. Ireneo Affò, Modena, 1894; pp. 19e, 191, 227, 377, 382 e 384. (3) Il Tirahoschi (Biblioteca Modenese; I, 406-407) afferma, invece, che è «divisa in due parti»; e aggiunge: «dedicata al Duca Rinaldo I. L’originale, destinato alla stampa e approvato già dall’ Inquisitore per la edizione da farsene in Venezia, ma poscia, non so per qual ragione, non pubblicati), si conserva in questa Ducale Biblioteca ». 5<5 GIORNALE STORICO E LETTERARIO DELLA LIGUBIA Mutinenses atque Capharonianos specimen ; opera ms. da cui il dottor G. B. Perrucchini estrasse una succinta descrizione della Garfagnana) (i) ; e di Anseimo Micotti (Storia' di Garfagnana ; ms. del 1670, esistente nella Biblioteca Estense di Modena) (2). Ricorda i lavori a stampa di Pellegrino Paolucci (La Garfagnana illustrata, In Modena, mdccxx. Per Bartolomeo Soliani) ; di Domenico Pacchi (Ricerche isteriche sulla Provincia della Garfagnana, In Modena, mdcclxxxv. Presso la Società Tipografica) ; di Raffaello Raffaelli 'Descrizionegeografica, storica, economica della Garfagnana, Lucca, tip. Giusti, i87q); di Pietro Pieroni (La stirpe ligure in Garfagnana, Padova, Prosperini, 1882) ; e di Carlo De Stefani (1 Comuni della Garfagnana, lavoro stampato nel giornale La Garfagnana) (3). E un elenco assai magro, che bisogna accrescere, perchè mancante di alcune tra le fonti storiche della Garfagnana più importanti e più ricche. Il dott. Giovanni Targioni Tozzetti di Firenze nelle sue Relazioni d’alcuni viaggi fatti in diverse parti della Toscana (edizione seconda ; tomi V e Vi) non solo dà una « descrizione delle montagne della Garfagnana», ma stampa anche ima lunga lettera che gli scrisse il marchese Filippo Ponticelli, il 20 agosto 1773) contenente «una più sicura e circostanziata notizia di essa Provincia » ; descrive pure il suo « viaggio da Gallicano alla Romita di Calomini » e di li alle Chiuse e poi alle Bocchette del Forno Volastro, e riporta le « osservazioni che fece nella valle della Turrita ». Emanuele Repetti di Carrara nel suo Dizionario geografico, fisico, storico della Toscana abbraccia anche la Garfagnana ; ed è quanto di meglio fino a qui è stato scritto su quella regione. Tra le-opere, che son pure alle stampe, il sig. Migliorini avreblw dovuto ricordare le Scritture e lettere intorno alla guerra della Garfagnana, dedicate all’III.ino et Eccellent.mo Sig. Marchese Carlojelice Malatesta generate delibarmi della Santità di Nostro Signore nello Stato d’Avignone (In Venetia, M. DC. XIII, senza nome di stampatore). Avrebbe dovuto ricordare la Illustrazione di un antico sigillo della Garfagnana, di monsig. Garampi ( In Roma, MDCCLXIX. Per Niccolò e Mario Paglialini). Questo autore sostiene che per la donazione della Contessa Matilde la Garfagnana appartiene per diritto alla Chiesa Romana; opinione, dopo di lui, propugnata anche dal Cenni (Monumenta jurisdictionis pontificiae; II, 216 e segg.) e con grande calore (i> 11 Vallisneri indirizzò questo saggio alla Società Reale di Londra. Il Pcrruccliim fece un estratto non della sola parte che riguarda la Garfagnana, ma di tutto il lavoro, e lo pubblicò nel supplemento al Giornale de' Letterati, di Venezia, anno 1722, tomo lì. articolo vii. (2) Il titolo è: Descrizione cronologica della Provincia della Garfagnana, e la dedicò al Duca Francesco II. Cfr. Tiraboschi, Biblioteca Modenese; III, 209. (3) Del Prof. Carlo De Stefani, tanto benemerito della Garfagnana e della sua storia, avrebbe dovuto ricordare anche gli scritti seguenti : Monografia del Circondario di Caste/nuovo di Garfagnana, Roma, Forzani, 1883: m i· Ordini amministrativi dei Comuni di Garfagnana da! XII ai XVIII secolo; nello Archivio storico italiano, serie v, tom ix, disp 1 d~l 1892, pp. 31-60. GIORNALE STORICO E LETTERARIO DELLA LIGURIA 57 combattuta da un frate lucchese, il P. Federico Vincenzo Di Poggio dellOrdine de’ Predicatori (i'; che, nel 1774, scrisse anche una Lettera, per dimostrare, « contro al sig. Proposto Muratori, che l’Ospedale di S. Pellegrino delle Alpi è nella Garfagnana » (2). Inoltre dimentica la dissertazione del P. Niccolao Cianelli sui Conti rurali nello Stato Lucchese (3), dove tratta diffusamente dei feudatari di Loppia, di Careggine, di S. Michele e Castelvecchio, di Dallo, della Verrucola Gherardinga e di altri luoghi della Garfagnana. Dimentica le Notizie storiche del contado lucchese e specialmente stille valli del Lima e dell’alto Serchio iLucca, Giusti, 1871), di Alessandro Carina. Nel R. Archivio di Stato in Lucca si conserva manoscritta un’opera curiosa sulla Garfagnana. Ha per titolo : Peristromi Pellegrini, ovvero Comentario fiorito in ogni genere d’erudizione sulla Leggenda di S. Pellegrino Re di Scozia, Anacoreta e Protettore degl’Alpi (sic) d’Italia. Opera ingegnosa di Timoteo Tramonti Castiglionese, data in luce da.....In un secondo frontespizio si legge: data in luce da Cesare Cortesi cittadino modenese ; e poi, ma d’altro carattere : data in luce da LEONARDO MORGANTI. È im voi. in-4 di pp. 869 numerate, oltre 6 cc. in principio senza numerazione. La famiglia de’ Cortesi è nota nella storia letteraria, e il Tiraboschi parla di Ersilia, di Iacopo, del cardinal Gregorio e di più altri di essa, ma tace di Cesare, e nulla poi dice nè del Morganti, nè del Tramonti. Quest’ultimo vien ricordato dal Pacchi, ma soltanto come aatore Sylvae Feronianae, rimaste inedite. Come inedite sono rimaste le Memorie intorno alla Rócca di Castel-mtovo di Garfagnana e all’ Ariosto, lettere a Giovanni de Brignoli di Brunnlioff, del compianto prof. Olinto Dini. Nella Cronistoria 1’ A., tra le altre cose, ricorda Fulvio Testi, che fu Governatore della Garfagnana. Non era mal fatto accennare, in nota, che di quell’episodio della vita del poeta infelice ne hanno trattato di recente, con la scorta di novi documenti, il marchese Giuseppe Campori (Del gcn'emo di Fulvio Testi in Garfagnana ; in Annuario storico modenese, tom. I, pp. 141-164) ec* A. Campani (La nomina di Fulvio Testi al Governo della Garfagnana; in Rivista Emiliana, ann. I, pp. 102-105). Ricorda un altro de’ Governatori della Garfagnana, il marchese Gaudenzio Valotti, e accenna al busto che gli fu inaugurato a Castelnuovo nel 1778, e come in quell’occasione venisse messa alle stampe « una variata raccolta di versi ». Sarebbe stato utile dame il titolo, che è questo: Per il solenne festevole inaliguramento del marmoreo busto eretto in Ca- (1) Lettere ragionate, con una disset Iasione controposta alla Illustrazione di un antico sigillo della Garfagnana scritta da N. N. Lucca, Rocchi, 1776 ; in-S. Nel R. Archivio di Stato in Lucca si trova il ms. originale, ma con differenze notevoli. Ve n’ è anche una compilazione affatto diversa, col titolo : Dissertazione apologetica per la Serenissima Repubblica di Lucca intorno le cose di Garfagnana al tempo di papa Gregorio IX. (2) Non fu data alle stampe e si conserva nella Biblioteca del R. Archivio di Stato in Lucca. (3) Si legge a pp. 81 -245 delle Memorie e documenti per servire alla storia di Lucca. 58 GIORNALE STORICO E LETTERARIO DELLA LIGUBIA stelnuovo della Provincia di Garfagnana all'immortai memoria dì Sua Eccellenza il Signor Marchese Gaudenzio Vallotigià Governatore della medesima, Consigliere intimo attuale di Stato delle Cesaree SS. AA. A’R. Maestà Loro e del Serenissimo Duca di Modena, Marchese di Castellarono e dì S. Cassano, Conte di Roteglia, S. Michele, ec. ec. componimenti poetici alla medesima E. S. dedicati, In Massa, MDCCLXXVIII. Per Giambattista Frediani Stampator ducale. Accenna pure al passaggio che fece per la Garfagnana nel 1658 la famosa Cristina di Svezia. Se il sig. Migliorini avesse consultata la monografia del sig. Cesare Sardi (Cristina di Svezia in Lucca nel MDCLVIII, ricordi storici, Lucca, Giusti, 1873) v' avrebbe attinto particolarità curiose. Anche quello che scrive intorno ad Alfonso IH, Duca di Modena, che, rinunziata la corona, si fece cappuccino e finì la vita in un convento della Garfagnana, è assai monco. Gli sarebbe stata utile guida la vita che del Duca cappuccino dettò, con una certa naturale ingenuità, il suo compagno di Religione, P. Giovanni da Sestola (1). La parte meglio riuscita della Cronistoria è quella che racconta la rivoluzione del 1796. Si servì principalmente di una memoria, diretta da’ Gar-fagnini al Direttorio della Repubblica Cisalpina e stampata a Modena nel 1797 co torchi del Vincenzi. Su quella rivoluzione è ricca di particolarità minute, interessanti e curiosissime la Cronaca degli avvenimenti accaduti in Modena e dei fatti principali che succedevano in Europa dal 1796 al 1S18, di Antonio Rovatti, che si conserva nell’Archivio del Comune di Modena. Giovanni Sforza. Giovanni Jachino. Leon Pancaldo. Saggio Storico Critico. — Savona, Peluffo 1900 ; in-4, di pp. 55. In tutta la storia umana non v* ha per avventura un momento più solenne, più splendido e più fecondo, quanto quello che, allo spirare del secolo XV e negli inizii del XVI si verificò contemporaneamente nella nazione spagnuola e portoghese ; allorquando la prima, facendo veleggiare le sue navi nel tenebroso occidente, rivelava all’attonito vecchio mondo un immenso continente ; e la seconda, operando dal lato opposto, esplorava palmo a palmo le coste dell Africa, e, superando il Capo di B. Speranza, penetrava nel Malabar, a Malaca, a Ceilan fino alle Molucche, ed oltre. In questi due popoli avresti detto che allora la febbre delle avventure marinaresche, lo spirito di sacrifizio per gli incrementi della patria spinto fino all’ eroismo, la smania di cercare 1 ignoto, 1 audacia di propositi arrischiatissimi erano, come dire, patrimonio comune. (i) Del Cappuccino d'Este du fu nel secolo il Serenissimo Alfonso III & Este Duco, di Modena e nella Religione Serafica il P. Gio. Battista ec. ec. nascita, vita, morte e sepoltura descritta in brevità, ma veridicamente de! P. F. Gio. im Srstola, Modena, per Bartolomeo Soliani, 1645; in-4. GIORNALE STORICO E LETTERARIO DELLA LIGURIA 59 Ed è così che essi operarono portenti che paiono favolosi ; è così che fecero sventolare la loro bandiera in mari sconfinati e lontanissimi che nessuna nave europea aveva mai solcato ; è così che acquistarono alla riconoscenza del mondo civile un titolo immortale, e un posto privilegiato nella storia. Ma è altresì una gloria speciale, specialissima degli italiani di essere stati, fra tutte le nazioni europee, i primi, e i più numerosi, e più utili ed efficaci cooperatori (quando non furono iniziatori) in quasi tutte le grandiose imprese di scoperte ed esplorazioni marittime compiute in quel tempo di risveglio straordinario. Laonde sono sempre lodevoli e ben accetti tutti gli studi che mirano ad illustrare e volgarizzare i meriti dei nostri connazionali che in diverso grado bensì, ma ognora in maniera distinta, si resero benemeriti in questo ordine di servigi, nei quali, giova ripetere, 1’ Italia per lungo corso di anni non ebbe rivali. Il lavoro del Dr. Giovanni Jachino è sotto questo rispetto pregevolissimo ; come quello che ricomponendo accuratamente e riunendo in un corpo con fino criterio e critica sapiente quanto intorno all’ illustre navigatore Savonese Leone Pancaldo si trova sparso in documenti sincroni, e in molti fra i numerosi volumi che trattano o ex professo, o incidentemente di Magalhàes, venne ad arricchire la letteratura italiana con una monografia degna di essere segnalata ai cultori delle patrie memorie. Quando il Pancaldo era nel fiore della giovinezza, il gran problema di raggiungere, navigando nella direzione dell’ occidente, il paese incantato e sospirato degli aromi e delle spezierie, non era stato sciolto nè da Cristoforo Colombo, nè da Giovanni Caboto che era andato a cercare il varco nei paraggi del Labrador. Ma s’impose violentemente alla imaginazione dei navigatori, dopo che Vasco Nuilez de Balboa scoprì dalle alture del Darien l’ampio mare del quale Colombo aveva divinato 1’ esistenza, e corse egli attraverso pericoli inauditi, a prenderne possesso in nome di Castiglia : sublime audacia ! Vero è che i portoghesi aveano già incontrato quel passaggio, procedendo dal lato orientale dell’ atlantico ; ma quell’ oceano visto da Balboa doveva essere la via più facile e breve per arrivarvi ; e l’interesse, 1’ onore, la gloria della Spagna esigevano che, se il tentativo di Solis fu infruttuoso, non si desistesse dalle indagini. E la fortuna le fu propizia più presto che non si credeva. Il portoghese Fernando de Magalhaes, uomo di alto intelletto e sperimentato navigatore, aveva osservato che il Nuovo Mondo, dal capo di S. Agostino in giù si andava via via restringendo ; talché era probabilissimo che terminasse in una forma piramidale, al pari dell’Africa, e quindi oflfrisse alle navi un libero passaggio al mare di Balboa; allo stesso modo che Vasco da Gama 1’ aveva trovato al Capo di B. Speranza per passare al mare Indiano. E non s’ingannò. Fondato sopra questa induzione, propose alla Spagna il suo progetto di 6θ GIORNALE STORICO E LETTERARIO DELLA LIGURIA viaggio alle Molucche : e il disegno fu accolto con favore, e fatto eseguire (i). Trovavasi allora colà il giovine Leone Pancaldo ; e certo doveva esservi già in fama di espertissimo e coraggioso nocchiero, se il grande ammiraglio Magelliaes lo prese non solo al suo servizio nel naviglio del suo comando, ma lo insignì del grado importante di piloto. E da questo punto comincia la parte interessante della monografia del J. Premessa una larga notizia delle numerose fonti da lui consultate con amore pel suo lavoro, e dati pochi cenni sulla gioventù del biografato, perchè poco davvero finora se ne conosce positivamente, il J. espone a larghi tratti, ma sempre fedelmente, la storia della memorabile spedizione complicata di mille avventure di fughe, di tradimenti, di morti violente, di cospirazioni ; in che però la persona del piloto Pancaldo non si vede mai compromessa, rimanendo sempre fedele al suo capo, e al suo uffizio. Vari scrittori portoghesi non perdonano a Magalhaes di aver proposto alla Spagna 1’ impresa, accusandolo di leso patriottismo. Ma un uomo che dal re Don Emanuele era stato malissimamente corrisposto, che avea veduto respinte da lui insignificanti dimande, poteva mai avere qualche anche lontana speranza di essere ascoltato e favorito in ordine alla gigantesca spedizione che proponeva ? La sua proposta alla Spagna fu la conseguenza forzata, fatale dei mali trattamenti ricevuti, del poco ed umile conto in cui furono tenuti i suoi servigi dal Sovrano della sua patria. Ripeto che sono convinto che D. Emmanuele non si sarebbe neppure degnato di esaminare il disegno di Magalhaes. Costui era risentito, è vero. Afa è anche vero che la pazienza degli uomini di genio ha limiti, e che non si umiliano impunemente. Ma dopo la morte di Magalhaes nell’isola di Matan, la figura di Pancaldo comincia a disegnarsi distintamente nella storia, e la monografia dello J. si estende allora in tutti i particolari, atti a farci apprezzare i servigi importanti che il Pancaldo rese nelle difficilissime e pericolosissime circostanze in cui si trovò la flotta spagnuola dopo lo sbarco nelle isole (i) Las Casas, che si trovava presente quando Magelliaes fu presentato al (Iran Cancelliere di Spagna, racconta cosi un abboccamento che ebbe allora stesso col navigatore: Cfr. Hist. de las Ind., vol. IV, cap. 101, p. 377. En «Valladolid vino huyendo de Portugal, ò escondidamente por cierta queja que del Rey tenia, un hombra marinerò.. llamado Hernando de Magallanes.. y con £·Ι un bachiler.. por nombre Rui Fa-leiro, à lo que mostraba ser grande astrologo.... estos se ofrecieron à mostrar que las islas de Maluco... caian 6 estabau dentro de la demarcacion... y que descuhririan camino para ir à ellas fuera del camino que llevaban los portugucscs. Vinieron con està novedad, primero, al obispo de Burgos... y el obispo los llevó al Gran Chanciller, y el Gran Chanciller habló al Rey y à Mosior de Xevres. Traia el Magallanes un globo bien pintado, en que toda la tierra estaba, y alli senaló el camino que habia de llevar, salvo que el estrecho dejó, de industria, en bianco. Y yo me halli aquel dia y bora en la camara del Gran Chanciller, cuando lo trujo el Obispo y mostrò al Gran Chanciller el vhje que habia de llevar, y hablando yo con el Magallanes, diciendolc que camino pcnsaba de llevar, respondiome que habia de ir à tornar el caho de Sancta Maria, que nombramos el Rio de la Piata, y de all! seguir por la costa amba, y asi pcnsaba topar el estrecho, Dijele mâs: « y si no hallais estrecho por donde habeis de pasar A la otra mar? « Respondiome que cuando no lo hallase, irse ia por el ramino que los portllgncscs llevaban » ere. GIORNALE STORICO E LETTERARIO DELLA LIGURIA 6l Molucche; ma nel tempo stesso si diffonde a fornirci un’ idea adeguata delle grandi sventure che lo colpirono dal momento che venne catturato dal governatore portoghese Antonio de Brito, fino al giorno in che fu liberato dalla prigione in Lisbona : insulti, privazioni crudeli, inumani trattamenti, angustie morali atrocissime, minaccie di morte : cose tutte che risultano da attestazioni giurate, da dichiarazioni legali, dalle lettere commoventissime che Pancaldo e il suo compaesano Giovanni Battista da Polcevera scrissero al vescovo Giovanni da Fon seca e all’ imperatore Carlo V, e finalmente dalla relazione che lo stesso Antonio de Brito spediva a D. Giovanni, al quale dipingeva il Pancaldo come degno di morte, per ciò appunto che aveva scoperto in lui la stoffa di uno tra i più abili e perciò più pericolosi nocchieri della marina spagnuola sbarcata alle Molucche. Però dopo la tempesta, la calma. Questa stessa spedizione che fu per Pancaldo un semenzaio di dolori inenarrabili, fu altresì quella che gli conferì celebrità. Era appena ritornato in seno alla patria Savona, quando Francesco I, che nascostamente quanto slealmente favoriva una società di armatori francesi di contrabbando, lo chiamò presso di sè, per affidargli il comando di una spedizione naturalmente diretta o alle Molucche, credo io, o a qualche altra possessione dei portoghesi. Il navigatore Savonese, che doveva essere fieramente irritato per quello che da essi aveva sofferto, accettò immediatamente il partito, trasferendosi in Francia. Viaggiando sotto la protezione della bandiera francese, poteva ripromettersi maggiori guarentigie per la sua incolumità, in caso di cattura da parte dei portoghesi. Giovanni III di Portogallo ne ebbe ben presto contezza ; e il J. informa anche qui largamente il lettore intorno ai mezzi impiegati dall’ abile diplomazia di Gaspare Palha per sventare, come sventò, i maneggi francesi ; tanto che indusse il Pancaldo non solo ad abbandonare di nascosto la Francia, ma a firmare poco dopo, cioè nel 1531, in Savona, una convenzione in cui si obbligava a non fare nè consigliare cosa alcuna che tornasse in pregiudizio del Portogallo, ricevendo un grosso compenso in danaro. Come ciò non bastasse, D. Giovanni III lo invitava a trasferirsi a Lisbona colla consorte, per viverci agiatamente a spese del tesoro reale. Tanta era la stima che aveva del suo valore, e tanto il timore che egli si mettesse al servizio di qualche altra potenza! E il nostro Pancaldo come promise a D. Giovanni, così mantenne. Vero è che alcuni anni più tardi si accinse nuovamente a navigare, constando infatti che fu incontrato dalla nave di un Pietro Vivaldi presso allo stretto Magellanico. Ma ciò non ci autorizza menomamente ad asserire che sua intenzione fosse quella di ritornare alle Molucche. Nè era così sciocco da mettere a sicurissimo repentaglio la propria testa ; perchè se la prima volta, pur appartenendo alla squadra reale della Spagna, fu a un pelo di essere decapitato, lo sarebbe stato certissimamente la seconda volta, essendo facilmente sorpreso sopra un naviglio privato. Dire, come qualcheduno pensò, che 62 GIORNALE STORICO E LETTERARIO DELLA LIGURIA avrebbe per tale navigazione ottenuto il permesso di D. Giovanni III è enunciare un assurdo. Nè Pancaldo era cosi sfacciato da presentare una simile dimanda ; nè D. Giovanni l’avrebbe degnata di risposta. In vece, egli poteva liberissimamente navigare al Perù, possessione della Spagna. Solo questa navigazione proverebbe che non fu abbastanza sincero, quando scrisse a D. Giovanni III che era risoluto a non mettere mas el pie en la mar. — Ma poteva anche aver detto questo in buona fede: propositi da marinari, già si sà, che durano un giorno : il mare ha un tal fascino che li attrae magneticamente. E questa volta la navigazione gli fu fatale ; perchè consta che nei paraggi del Rio della Piata perdette miseramente la vita nel 1538. E qui mi occorre una piccola avvertenza circa una svista dell’ A. Egli suppone ( pag. 45) che Pancaldo abbia lasciato un orfano. Ora ciò non risulta da alcun documento. Nel 15 31 egli dichiarava di non avere figli né figlie. Vero è che nel testamento del 1535 chiamava erede delle sue sostanze il figlio nascituro, ossia ventrem____ Salvagie uxoris sue ad presens pregnantis, tuttavia lascia in dubbio che fosse gravida : casu quo non esset ptegnans. Sicché nè si può dire, fino a documento incontrario, che figlio o figlia sia nata ; e tanto meno che esistesse all’epoca della morte di Pancaldo. Quale età aveva egli ? Il nostro biografo, in mancanza assoluta di dati positivi, ammette col Belloro che nascesse nel 14880 a! più tardi nel 1490. In questo caso, avrebbe avuto nel 1531 o 40 o 43 anni; troppo fresca età per potersi anche scherzando chiamare viejo, come scriveva a D. Giovanni. E per questo, che io, in un mio lavoro, credetti soggette a cauzione le due date del Belloro. Ma ora ogni incertezza è pienamente scomparsa. 11 J. aveva già arricchito la sua monografia colla copia di due testamenti, importanti documenti dettati dal Pancaldo: ed ecco aggiungersene un altro freschissimo e importante al pari, trovato dall’amico Achille Neri che mi dava la seguente informazione : «Nella filza n. 9 Confinium nel nostro Archivio di Stato esiste un censimento di Savona per parrocchie, fatto nel 1531. Fra gli abitanti nella parrocchia di S. Pietro si trova : Leo pancaldus annorum L cum uxore. Era stato scritto LX, ma poi fu cancellalo il X. Cosi I' anno di nascita sarebbe il 1481, e verrebbe ad esser meglio giustificato il soi va viejo della sua lettera a Giovanni III ». Sicché Pancaldo mori in età di 57 anni. E meritamente ripeteremo di lui ciò che il J. ne scrive, conchiudendo il suo pregevole studio, cioè che « si distinse per l’indole buona e mite, l’anima grande, l’ardimento e la costanza, la tempra adamantina che, senza mai fiaccarsi, regge a tutto, l’iniziativa sempre verde a ogni più arrischiata impresa, la sconfinata eterna passione al mare ». Savona ha quindi gran diritto di vantarsi di questo suo figlio. Prospero Per agallo GIORNALE STORICO E LETTERARIO DELLA LIGURIA 63 ANNUNZI ANALITICI. JOHN Adding'I'ON Symonds. Il rinascimento in Italia. L’ era dei tiranni. Prima versione italiana del conte Guglielmo de la Fald. 1900, Roux e Viarengo, Torino; in-8, di pp. xvm-522. — L’opera del geniale scrittore inglese, che tanto amore dimostrò per l’Italia, e ne studiò così addentro la storia in tutti gli aspetti e le manifestazioni, esce ora per la prima volta in veste italiana. Già avevamo di lui, recata nella nostra lingua da una colta signora, la parte che riguarda le belle arti, ed ora ci è messa dinanzi, e resa accessibile ad un maggior numero di lettori italiani, P altra parte del suo lodato lavoro intorno al rinascimento, che comprende il periodo storico racchiuso fra i due gran fatti della caduta di Costantinopoli e del sacco di Roma. Stimiamo superfluo e fuor di luogo ripetere i giudizi rilevanti dati di quest’ opera quando nel suo originale fu conosciuta in Italia, da critici valenti e di grande competenza ; ben ricordiamo come fin d’ allora fosse fatto 1’ augurio che 1’ opera potesse andare con facilità fra le mani delle persone colte, mediante una buona versione; tanta è la genialità onde questo lavoro invita alla lettura anche i non strettamente eruditi. Or ecco che il conte Guglielmo de La Feld adempie a quel desiderio con la traduzione di questo volume, che i solerti editori torinesi hanno accolto con ottimo consiglio nella biblioteca storica. Ma il traduttore non si è contentato di curare 1’ esattezza del riprodurre, e la bontà della forma ; ha voluto altresì corredare il testo di alcune noterelle, distinte da quelle dell’ autore, per meglio chiarire i riscontri del testo o rilevarne alcune non esatte informazioni. Vittorio Murari B r λ. Dati statistici, storici, politici e militari sitile colonie degli Stati Europei e degli Stati Uniti d’America con carta dimostrativa disegnata da Pietro Umberto Antona. Roux e Viarengo, Torino (1900) ; in-4, di pp. 77. — La carta utilissima, ci mette sotto gli occhi con buona distribuzione di colori e di determinazioni tutte le colonie del-1 Europa e degli Stati Uniti, secondo gli ultimissimi risultati degli avvenimenti politici. Ed è bello veder raccolto in una sola ed ampia tavola con lucidità quanto geograficamente si riferisce alla materia. Del pari vanno segnalate le notizie storiche, statistiche, economiche ecc. che servono come necessaria illustrazione alla carta stessa. Appaiono condotte con buon metodo, sopra le principali pubblicazioni dei diversi stati, delle quali è data una bibliogiafia in principio. Il lavoro, utile in generale a tutti, riescirà di molto profitto nelle scuole, specialmente in quelle ne’ cui programmi tiene singolare luogo la storia delle colonie. Tancredi Tibaldi. La regione d’Aosta attraverso i secoli. Studi critici di storia. (Parte 1 .a Evo Antico). 1900, Roux e Viarengo, Torino; in-8, di pp. 408. Dopo una « Isagoge », in cui 1’ a. esamina tutti gli scritti che trattano della materia da lui presa a discorrere, con rilievi e giudizi, seguono undici capitoli ne’ quali è spartita la storia critica della regione Assegnata a questo volume. Quivi ha suo luogo la storia preromana, quindi quella romana fino al sopravvenire dei barbari, la quale si chiude con due capitoli riguai danti i monumenti di questo periodo, e gli inizi e lo svolgersi del cristianesimo. Il I. si è ti ovato dinnanzi un difficile argomento, ben spesso involuto e controverso. Occorreva perciò conoscenza piena della materia in ogni sua parte, oculatezza, e severità di metodo nel discriminare e giungere a conclusioni plausibili ed accettabili. A noi sembra che il suo lavoro ciglia sufficente testimonianza dell’ una cosa e dell’ altra, sebbene qua e colà possano trovare gli eruditi qualche difetto di lucidità e di illazione, da non ri- 64 GIORNALE STORICO E LETTERARIO DELLA LIGURIA manere in tutto soddisfatti. Un buon servigio egli ha reso certamente alla storia spazzando il terreno dalle favole e dalle leggende, pur non trascurando quella parte di queste che possono adombrare un fondo di vero, o aprire la via a ricercarlo. Ciò che ci sembra più desiderabile in questo libro si è la perfetta fusione delle parti, dal difetto della quale deriva un procedimento espositivo un po’ slegato che affatica, sebbene s’ abbia a riconoscere che la materia non si piegava sempre alla ragion dell’arte. Dispiace poi veder in alcuni rari luoghi citati come fonti compilazioni di scarso valore, ed articoli di comune divulgazione ; ad esempio la piccola enciclopedia del Sonzogno, e la storia dello Stefanoni. E’ infine da lodarsi altamente 1’ a. per avei scritto in italiano anziché in francese, e le ragioni patriottiche che egli reca di ciò tornano a suo grandissimo onore. Felix Bouvier. Un amour de Napoléon, (in Souvenirs et Mémoires. Paris, Gougy, >900; a. Ili, n. 25, 26). — L’autore dell’ottimo libro Bonaparte in Italie (1796) segnalato a suo tempo nel Giornale, pubblica la storia di un amoretto del futuro Cesare, del quale fece cenno egli stesso nel Memoriale di S. Elena, e di cui parlarono anche i suoi biografi. Soltanto il nome dell’ eroina, taciuto nel Memoriale e tutto al più indicato coll iniziale da altri scrittori, dal Bouvier è stampato per intero ; di più egli giunse a forza di pazienti e minuziose indagini ad appurare le circostanze più importanti della vita di lei. E’ un idilio che precede 1’ epopea, idilio volgare, affrettiamoci a dirlo. Luisa Felicita Gauthier, 1’ eroina, era la figlia d un medico militare maritata a Luigi Turreau de I.iniéres, an ex ufficiale sotto la monarchia, un ex nobile sotto la repubblica, un de' molli nobilucci spiantati che divennero furiosi demagoghi. Nell’ epoca in cui lo troviamo, divorziato da una prima moglie, riammogliato allora, Turreau deputato alla convenzione, regicida, reduce dalla Vandea ove s’è distinto per zelo sanguinario, è in missione presso l’esercito d’Italia per..... passarvi la sua luna di miele. È un di quei giganti della convenzione della leggenda rivoluzionaria che la critica di Taine ridusse alla mediocre volgarità. Siamo o a I ernia o a Loano, il punto non è ben precisato, ma certo nell’estrema riviera ligure, fra Γ11 ed il 21 settembre, che neppur la data è precisa, del <794' ^u" turo eroe non è ancora che generale d’artiglieria, a 25 anni I Luisa 1 urreati, virtù molto facile che non chiedeva che di capitolare, s’è lasciata sedurre dal corso pallido e macilento, il qual viceversa s’avvantaggerà del potente appoggio del marito pei primi passi d’una carriera imprevedibilmente luminosa. Quell’avventura di accantonamento, lo sappiamo perché Napoleone stesso se ne accusò nel Memoriale, a parecchi bravi soldati francesi o austrosardi costò la vita, perchè egli ordinò un piccolo attacco d'avamposti visto che la sua, non si può dir gentile, innamorata desiderava lo spettacolo d’ un combattimento a fuoco vivo, con colpi di fucile e di cannone. Questo il soggetto dello studio del Bouvier ; è un idilio volgare che precede su questo stesso teatro della riviera ligure l’immortale campagna del 1796. E volgari, meno Napoleone, sono gli attori che finiranno oscuramente. Ma l’autore colla sua finezza d’indagine seppe raccoglier su di essi tanta copia di notizie sinora ignorate, colse tanto abilmente l’occasione per lasciarci penetrar collo sguardo nella vita sociale di quello strano periodo, ravvivò il racconto di un episodio comune con tale ammirevole maestria dello stile, che per tali pregi si legge il suo racconto con vivo interesse come del resto tutto quanto ha tratto alla figura gigantesca di quello che per un momento fu creduto, e per fortuna non fu, il fondatore d’un nuovo impero. (Ugo Assereto). Francesco Corridore. Storia documentata della Marina Sarda dal dominio Spagnolo al Savoino (1479-1720). Bologna, Zanichelli, (Cagliari, GIORNALE STORICO E LETTERARIO DELLA LIGURIA 65 Meloni e Aitelli) 1900; in-8, di pp. 221. — Come dice il titolo stesso, in questo lavoro vano sarebbe il cercare notizie intorno al periodo genovese della storia navale della Sardegna ; tuttavia crediamo opportuno dare un cenno di questo lavoro importante, che servirà di ottimo complemento agli studi che da molte parti si vanno facendo intorno alla storia della marina italiana. Il professor Corridore si serve di un largo materiale inedito, da lui scoperto nell’archivio cagliaritano, lettere reali al viceré, risposte di questi, decreti, avvisi e bandi pubblici, preventivi di spese etc. ed opportunamente collegando le numerose notizie che se ne ricavano con quelle altre poche, che vengono fornite dagli scrittori di cronache e di storie, tratteggia la storia, breve, e non troppo gloriosa, della marina sarda durante il governo spagnolo. L’isola, com’è noto, fu assai trascurata dai dominatori spagnuoli, e, come tutti gli altri rami della pubblica attività, anche la marina militare si risentì del mal governo di Madrid; la Sardegna restò lungo tempo esposta agli assalti dei privati barbareschi e le poche e scarse precauzioni, prese dai governatori, non valsero a tutelare dai rapaci assalti di costoro le città litoranee. Dopo molti reclami e molte insistenze sul principio del sec. XVII i Sardi ottennero finalmente la creazione d’un piccolo nucleo, quasi si potrebbe dire d’un embrione di marina militare a remi ; ma pur troppo l’inerzia dei governanti e la scarsezza dei fondi disponibili fecero sì che i vantaggi ottenuti riuscissero assai scarsi. Solo quando coll'aprirsi della guerra dei Treni anni si rinnovò la lotta fra la Spagna e la Francia anche nei nostri mari, parve che il governo di Madrid si riscuotesse dal sonno, e una serie di ordini e di provvedimenti viene a mostrarci quanto potesse la paura sull’ animo dei dominatori. Il Corridore studiosamente raccoglie tutti i ricordi delle crociere, delle annuali campagne della squadriglia di galee sarde, ma nel tempo stesso non trascura di mostrarci i provvedimenti finanziari, le condizioni dell’erario pubblico, lo stato d’animo degli equipaggi e degli ufficiali, le condizioni morali di quell’ armata, che spagnolescamente aveva ammiragli, cerimoniali, privilegi etc., ma difettava poi delle cose più necessarie. Lo studio del Corridore si arresta agli inizi della dominazione Sabauda ; ma l’autore promette di continuare l’interessante ed istruttivo racconto suo, pel quale ha già raccolto numeroso materiale inedito. Nel porgergli le dovute lodi per l’opera intrapresa, vorremmo raccomandargli una maggior diligenza nella trascrizione dei documenti, poiché, scorrendo le pagine del-1’ appendice, ci siamo abbattuti in numerosi errori di lettura, specialmente nella parte catalana e spagnuola, in frequenti sviste, che non tutte possono credersi frutto di trascuranza tipografica. (C. M.) Carlo Moratti. La iscrizione arcaica del Fòro Romano e altre. Bologna, Zanichelli, 1900. — Segnaliamo questo opuscolo, il quale porta una nota nuova e serena nel lavoro di reintegrazione e interpretazione congetturali della epigrafe, ormai famosa, messa in luce da recenti scavi del fòro ; soggetto intorno al quale, abbiamo già veduto moltiplicarsi gli scritti.... e le ire. Non diciamo che le conclusioni del Moratti siano definitive ; egli stesso è ben lungi dal presumerlo, mentre deplora le troppe lacune del testo proteiforme e crede possibile che la scoperta di qualche altro frammento susciti un giorno un’ olimpica esilarazione sugli sforzi della filologia. Ma ci piace la sua indipendenza di pensiero rispetto ai tentativi anteriori, e non possiamo non ammirare la vasta coltura eh’ ei mette a servizio della sua impresa, 1’ acutezza che ne governa 1’ uso e la modestia dubitativa con cui sono presentate le nuove opinioni, modestia così lontana dalla sicumera di altri illustratori, de’ quali si videro le sentenze solenni proclamate in giornali e in opuscoli. Il Moratti, accennato brevemente allo stato della questione e agli scritti del Tropea, del De Cara, del Vaglieli, che di quella 66 GIORNALE STORICO E LETTERARIO DELLA LIGURIA narrano le fasi, si mette all’ opera per conto suo, e con argomenti, la cui attendibilità lasciamo giudicare ai filologi e ai glottologi, giunge a proporre un’ altra soluzione dell’ enigma epigrafico, con un’ ipotesi, diremo così, di ordine politico. Egli pensa che si possa trattare d’ una legge posteriore al-1’ istituzione del tribunato militare e della censura, con cui si scaricherebbero i clienti dall’ obbligo di concorrere in certi casi alla dote della figlia del patrono, per gravarne invece il rex sacronim : ciò che sarebbe un ricambio, da parte dei comizi tributi, all’ aiuto dai clienti prestato alla causa de’ plebei contro i patrizi. — La trovata è ingegnosa, ma sulla sua stabilita non osiamo dir nulla. Ci basta aver additata 1’ ipotesi agli specialisti. Se non altro, essa proverà, in contrasto colle opinioni degl’ interpreti anteriori, in quali diversi modi sia possibile compire e spiegare un lesto, quando è troppo monco e imperfetto. La questione sul valore d’un quoi nel monumento del fòro dà occasione a un capitolo sull’ iscrizione del vaso di Duenos ; dove poi una forma rara trae a dire anche della osca dcfixio capuana. E qui pure il dotto autore mostra d’ essere ricco di coltura e d’ingegno. (S. F.). G. B. Gerini. Gli scrittori pedagogici italiani del secolo dccimosettimo. G. B. Paravia e comp., 1900 ; in-8, pp. 260. — Ecco un altro volume della serie promessa da quest’ operoso professore, del quale abbiamo annunziato in altro fascicolo 1’ opera su P. M. Doria. Dobbiamo anche questa volta lodare lo zelo della ricerca, ma dolerci che il libro non sia costruito su disegno ben maturato e con limiti precisi, sovratutto che non vi si sveli altro intento da quello di raccogliere prove per la tesi che tutta la nostra pedagogia sia stata fedele a una tradizione filosofica ortodossa. Si ripetono da un capitolo all’ altro cose, che si potrebbero sottintendere, nè si agevola quindi al lettore la distinzione di ciò che hanno di caratteristico le varie dottrine. Un buon terzo del libro è poi dato a scrittori che non appartengono affatto, o quasi affatto, al secolo decimoscttinio. Ma sulla fedeltà del libro al suo titolo si potrebbe ridire anche da questo riguardo, clic vi compajono scrittori, i quali non eccellono per scritti di pedagogia, nò s’ occuparono di essa se non incidentalmente. Era forse meglio intitolare il lavoro, salvo a limitarne con precisione il tempo : la pedagogia negli scrittori italiani del secolo decimosettimo. Senonchè allora quella che è detti Appendice del libro, dove si parla di alcuni scrittori che fecero qualche accenno all’ educazione, avrebbe dovuto allargarsi d’ assai e far posto anche alle teoriche più strane e più aliene da quelle che 1’ autore vagheggia. — H libro in fondo risulta dall’ apposizione semplice di vari capitoli, che sono altrettante notizie sommarie della vita e delle opere degli autori menzionati. Cionondimeno, perchè non di tutti era facile trovare la biografia e possiamo il volume presterà qualche servigio agli studiosi, e in questo senso le opere, lodare il Gerini del suo repertorio. Avvertiamo poi, per i lettori liguri in particolare, che un capitolo del libro è dato al genovese Ansaldo Ceba e ai principii educativi da lui espressi nella sua opera : Il cittadino di republua ; e che in altro capitolo si contiene il cenno di una polemica tra il ligure Matteo Giorgi e il siciliano Michelangelo Fardella. (S. F.). Luigi Credaro. La Pedagogia di G. I·'. Herbart. Roma, Società Dante Alighieri, 1900; in-8, di pp. 327. — L’onorevole Luigi Credaro, che non è soltanto un deputato del parlamento italiano, ma anche un professore dcl-1’ università di Pavia, ben noto a tutti i cultori degli studi filosofici, che più volte ha scritto di soggetti scolastici e di educazione, e che dirige insieme col prof. Martinazzoli il Dizionario di Pedagogia in corso di pubblicazione, ha da alcuni mesi licenziato alle stampe il libro che qui sopra annunziamo, dopo averci speso d’intorno parecchio tempo e le cure più dili- GIORNALE STORICO E LETTERARIO DELLA LIGURIA 67 genti. Il nome del filosofo tedesco, delle cui dottrine pedagogiche abbiamo ora un’ esposizione chiara, ordinata, compiuta, suona così alto nella storia della scienza dell’ educazione, che nessuno può dubitare dell’ opportunità di un’ opera che ne divulghi gl’ insegnamenti tra noi, essendo mancato fin qui un lavoro che ne trattasse espressamente e adeguatamente così nella letteratura italiana come nella francese, alla quale tanto spesso si ricorre per colmare i vuoti della nostra. Aggiungasi che il libro è fatto con arte e con amore, e presentato ai lettori italiani da un uomo quanto meglio preparato ad apprezzare il valore e 1’ originalità delle idee, a giudicare della saldezza o della discutibilità dei consigli, dal pedagogista tedesco impartiti alle famiglie, agl’ istitutori, ai maestri ; e si comprenderà facilmente che abbiamo dinanzi non solo un interprete fedele, sì anche una guida illuminata. Il volume è pertanto degno d’essere additato e raccomandato a tutti i docenti delle nostre scuole e a quanti aspirano ad insegnarvi quando che sia, e più specialmente a coloro che volgono l’opera o l’attenzione propria all’ istruzione secondaria. Non è il caso di trattenerci qui sul disegno e sui particolari del libro ; informiamo soltanto, che la parte espositiva, cioè 1’ essenziale e la più estesa di gran lunga (pp. 65-293), è preceduta da tre capitoli che discorrono della vita del Herbart, della sua educazione filosofica e de’ suoi scritti; e seguita da una Conclusione (295-315), in cui, trattandosi della posizione storica della pedagogia herbartiana, si riguarda ai rapporti che l’autore ha per essa col Kant, col Fichte, col Rousseau e col Basedow, infine col Pestalozzi. (S. F.). Pietro Micheli. Letteratura che non ha senso. Livorno, Giusti, 1900; in-8, di pp. vil-90. — L’a. ha saputo raccogliere materia curiosa, e aggiungiamo abbondante dando vita ad un libretto che volontieri si legge, e invita qualche volta a domandare se certe cose furono dette o scritte da senno o da burla. In ogni modo chi legge queste pagine resta stupito nel vedere quante stranezze siano state prodotte dalla mente umana, ed è tentato a riconoscere che anche la più equilibrata possiede una corda, donde deriva qualche volta una stonatura. Lo studio di questa men nobile parte della letteratura non torna al tutto disutile, e il M. ha fatto bene ad occuparsene, a. vero che qua e colà si lascia prendere un po la mano ed esorbita nel giudicare, nè sempre può dirsi felice nel cogliere il non senso nell’espressione. Anche parecchie fonti, donde avrebbe potuto trar buona messe ha lasciato addietro; ed alcune le ha tirate dentro senza opportunità. Tuttavia molte cose vere ci sono, e non mancano neppure considerazioni giuste e ponderate. Gli studi archeologici sulla Lunigiana e i suoi scavi dal 1801 al 1850 notizie raccolte da Giovanni Sforza. Modena, Vincenzi, 1900; in-8, di pp. 178 (Estr. dagli Atti e Memorie della R. Deputazione di Storia patria per le provincie Modenesi, Ser. V, vol. I). — Questa seconda parte del lavoro dello S. (la prima uscì nel 1895) consta di cinque capitoli, ne’ quali egli spartisce la materia raccolta che si riferisce ai primi cinquant’anni del nostro secolo. Il metodo seguito dall’a, è quello cronologico, e perciò si recano qui le notizie di tutti gli studi che vennero fatti intorno alla regione nel succedersi degli anni indicati, opportunamente disposti e posti fra loro in relazione. È questa una geniale esposizione ed insieme una ricca e diligente bibliografia che presenta allo studioso in bell’ordine un materiale difficilissimo ad essere riscontrato nelle innumerevoli pubblicazioni d’indole e di natura diversa dove si trova, e saputo trascegliere e disciplinare corredandolo di utili rilievi ed acute osservazioni. Nulla è stato trascurato dall’a. pur quando si trattava di scrittori, i quali sono caduti, discorrendo delle antichità lunigianesi, in errori evidenti, e qualche volta davvero straordinari. Ma qui era principalmente ne- 68 GIORNALE STORICO E LETTERARIO DELLA LIGUBIA cessano indicare con esattezza ed accennare di passata, o trattenere il lettore sui dibattiti sollevati, riserbando il migliore e maggior luogo a scritture più sostanziali e più serie, specie quelle meno accessibili agli studiosi. E stato quindi retto criterio quello di riprodurre per intero, o quasi, certi scritti giacenti in giornali non da tutti conosciuti, o in libri, dove non si immaginerebbe invero potessero nascondersi dissertazioni archeologiche pregevoli e per 1’ argomento, e per 1’ autore. Quest’opera, che può dirsi fondamentale per chi voglia studiare le antichità lunensi, si chiuderà, ne siam certi, con una terza parte, la quale giunga sino alla fine del secolo; e vogliamo sperare abbia a corredo un indice analitico affinchè siano agevolate le rirceche. Alfredo Chiti. Alcune notizie su Benedetto Colucci. Pistoia, l'lori, 1900; in-8, di pp. 20 (Estr. dal Bullettino storico Pistoiese, a. II, fase. 3) Nuove ricerche in archivi e biblioteche hanno dato modo al C. di aggiungere notizie intorno a questo umanista pistoiese, del quale già altri nel secolo scorso, e nel presente avevano parlato. Ma egli è in grado di esporre con maggiore esattezza e più sicuri particolari i casi della sua vita, donde si vede in qual guisa da umili principi s’innalzasse a degni uffici, e riuscisse a procacciarsi un certo nome fra i contemporanei. Dà quindi 1’ a. contezza delle opere da lui lasciate, così delle edite come delle inedite. Crede il C. che il giovinetto Colucci fosse in patria avviato agli studi sotto la guida di Simone di Francesco di Lunigiana, il quale insegnò in Pistoia dal 1439 a' *44^> e fu poi chiamato nello studio fiorentino 1’ anno 1452 con 100 fiorini di stipendio, e qui confermato nel 1458 (Zanelli, Del pubblico insegnamento in Pistoia dal XIV al XVI secolo. Roma, Loescher 1900, pp· 47)· Nè solo lunigianese che insegnasse grammatica a Pistoia, che nel 1420 era stato eletto Pellegrino di Corradino da Pontremoli « vir bonus, idoneus et honestus et bene morigeratus et prudens in scientia et facultate predicta » : ebbe 1 assegno di 80 fiorini d’oro (op. cit., pp. 43-44). A corredo di queste diligenti notizie sono pubblicate due lettere inedite di Coluccio una delle quali a Lorenzo De Medici. Giovanni Sforza. La fine di un Borbone. Roma, Forzani, 1900; in-8, di pp. 26 (Estr. dalla Nuova Antologia, 16 settembre, 19001. — Sono qui narrate dall’a. le ultime vicende di Carlo Ludovico, già duca di Lucca, e divenuto poi duca di Parma. I fatti si svolgono dalla creazione del Governo provvisorio e successiva partenza del duca, fino alla morte di questi, del quale si producono curiose e interessanti lettere, e si riferiscono aneddoti degni di nota. La bizzarra personalità di quel principe, cosi bene caratterizzato dall arguzia del Giusti, riceve qui lume e rilievo, e lascia nell’animo del lettore una impressione favorevole, suffragata dal sapere come egli abbia, solo fra gli spodestati, riconosciuto la nuova Italia, ed espresso vivo e sincero cordoglio alla morte di Vittorio Emanuele. Le parole scritte a questo proposito in una lettera confidenziale, che chiudono opportunamente questa monografia, sono veramente singolari e notevoli. A. FIAMMAZZO. Nel XIV luglio MCM primo centenario della morte di Lorenzo Mascheroni. Bergamo, Ist. arti grafiche, 1900; in-8, di pp· "9· ” Consta di due parti questo volume ; nella prima sono pubblicate le notizie biografiche del Mascheroni lasciate inedite da Aloisio Fantoni, il quale, quando ordinò le poesie di lui edite dal Le Monnier nel 1863, vi premise un breve estratto da questo suo maggior lavoro; la seconda contiene dieci lettere del gran matematico, due (del Mangili e dell’Oriani) che a lui si riferiscono, e poi una serie di brevi scritti critici e bibliografici si come materiale per una compiuta biografia mascheroniana. Quivi sono prodotti documenti e discusse GIORNALE STORICO E LETTERARIO DELLA LIGURIA 69 date con perfetta conoscenza della materia e con singolare acume. Le quali doti appariscono altresì nelle numerose annotazioni erudite che accompagnano così la prima come la seconda parte. Chi legge per via d’esempio ciò che è detto là dove si stabilisce la data della morte e si rileva la genesi degli errori in cui caddero parecchi biografi, e poi quanto concerne la controversia sull’ultimo aneddoto della vita a proposito della lettera di Napoleone e della risposta, resta chiaramente persuaso dalle conclusioni a cui giunge 1’ autore. Il quale, come appendice a questo volumetto, ha pubblicato poi nella Biblioteca delle scuole italiane, e quindi tirato a parte, il seguente opuscolo : L’ ultima edizione de « L' invito a Lesbia Cidonia » (Paravia igooj. Esame con documenti inediti. Bergamo, Ist. arti grafiche, 1900. Quivi rileva con la consueta competenza le inesattezze, gli errori, i difetti di una recentissima ristampa del carme mascheroniano, con prove abbondanti dei suoi giudizi critici. Aggiunge in fine qualche notevole documento atto a meglio chiarire alcuni dati biografici. G. F. Airoli. Gli ultimi viaggi di Cristoforo Colombo. Firenze, (Prato, Vestri) 1900; in-8, di pp. 52 (Estr. dalla Rassegna Nazionale). — L’a. ha voluto dimostrare con questo studio che Colombo, contrariamente a quanto hanno detto alcuni critici a capo dei quali sta Humboldt, ha scientemente scoperto il nuovo mondo, e che non è già morto, secondo essi vogliono, con la persuasione di aver trovato in Cuba anziché un isola, la terraferma, e nella costa di Veragua una parte di quell’Asia della quale egli andava in traccia. L’a. quindi prende in esame i due ultimi viaggi di Colombo, e intende a raccogliere le maggiori testimonianze a fine di provare il suo assunto. Il ragionamento procede logicamente ordinato, mettendo in evidenza quanto si rileva dalle relazioni personali dell’ammiraglio e dagli scrittori contemporanei ; donde non par dubbio riconoscesse il gran navigatore essere necessario passare al di la delle terre, da lui rinvenute viaggiando verso ponente, per raggiungere i paesi degli aromi veduti da Marco Polo. Non si dicono qui cose nuove, ma dalle fonti note e da un più accurato esame dei fatti si traggono conseguenze attendibili, e si espongono postulati e giudizi degni di considerazione. Notevole è una lettera scritta da Cadice il 2 gennaio 1499 da Simone del Verde fiorentino a Matteo Cini, nella quale si danno le notizie del terzo viaggio colombiano, secondo le relazioni recate in Ispagna dalle cinque navi spedite dall’ ammiraglio mentre si trovava a S. Domingo intento, sebbene invano, a ristabilire 1’ ordine turbato dai suoi nemici. Questo documento è riprodotto in fototipia, invero non ben riuscita, il che può dirsi del pari della carta di Juan de la Cosa, pur qui riprodotta per illustrazione del testo. Angelo Solerti. Ferrara e la Corte Estense nella seconda metà del secolo decimosesto. I discorsi di Annibale Romei gentiluomo ferrarese. Seconda edizione corretta e accresciuta, con la pianta di Ferrara nel 1597 dell’ ing. Filippo Borgatti. Città di Castello, S. Lupi, 1900; in-8; pp. 8 n. n. - CCLVI-588. — Dopo nove anni si ripresenta agli studiosi questo libro, accolto al suo primo comparire con meritate lodi, con le correzioni suggerite all’ autore da uno studio più sollecito ed oculato dell’ opera sua, e di più con giunte importanti. Uno dei capitoli ne’ quali la mano del S. si è rifatti da capo ricomponendo in nuovo assetto la materia, è il primo ; vo-gliam dire la descrizione di Ferrara e dei luoghi di delizie degli estensi; capitolo corredato di una bella carta a colori, dovuta alla diligenza dell’ ingegner Borgatti, nella quale viene rappresentata la città di Ferrara nel 1597. Notevoli aggiunte si riscontrano nel capitolo sui personaggi della corte e sulla nobiltà ferrarese. Nuovo nella presente edizione può dirsi 1’ altro capitolo intorno al teatro ferrarese ; che è lo studio assai importante pubblicato pii- 7 ο GIORNALE STORICO E LETTERARIO DELLA LIGURIA mamente nel Giornale storico della letteratura italiana, ma che qui si vantaggia di non poche aggiunte e di qualche necessaria correzione. Sono in ispecie degne di rilievo le notizie sulle recite delle tragedie del Giraldi, e sulle prime favole pastorali. Nell’ appendice è riprodotta la seconda parte della interessante relazione di Ferrara dovuta ad Orazio della Rena, ambasciatore fiorentino, sul duca Alfonso e la sua corte. Questo singolare documento era stato messo a stampa negli Atti della Deputazione ferrarese di Storia patria, per cura dell’Agnelli. Alfredo Comandini. L’ Italia nei cento anni del secolo XIX giorno per giorno illustrata. Milano, A. Vallardi, 1900. — Già abbiamo lodato la diligenza e il buon discerniménto dell’a., annunziando le due prime dispense di quest’ opera. Ora ne abbiamo sotto gli occhi il seguito, dalla terza cioè, alla diciasettesima dispensa, dove si comprendono gli anni 1801 (dall’agosto) fino al 1818 (agosto). Le effemeridi proseguono sempre scelte con buon criterio, e danno notizie non solo di fatti pubblici assai notevoli, ma altresì di ciò che vale a colorire la ragione dei tempi, e l’indole della società nelle varie sue manifestazioni. Utilissimo il ricordo degli uomini, anche di poco grido, che si spensero nel corso del secolo, e delle notizie riferentesi ad opere letterarie, scientifiche, artistiche, così aneddotiche come bibliografiche. Numerose e lodevoli le riproduzioni di stampe, quadri, ritratti, caricature, opuscoli, monete, medaglie, bolli, mode, autografi ecc., sempre adatte alla illustrazione di singoli fatti o di momenti storici. Noteremo per l’errata, che necessariamente dovrà compire il volume, a pag. 242 un 1485 in luogo di 1465, e un Macchella a pag. 395, che è Antonio Maghella. V. Podestà. Memorie storiche di Sestri Levante. L’Isola, in occasione delle feste quinquennali alla madonna del Buonvias^gio, agosto IÇOO. Chiavari, Esposito, 1900; in-8, pp. 42. — Dagli accenni che si leggono qua e là in questo libretto si vede che 1’ a. sta raccogliendo materiali per la storia di Sestri Levante, intanto, prendendo occasione da una ricorrenza religiosa, pubblica le notizie riguardanti l’Isola di Sestri, ormai divenuta penisola. Egli ricerca 1’ origine del castello e del piccolo borgo quivi sottostante, le cui vestigia si veggono anche oggi, e co’ documenti la fa risalire al mezzo del secolo dodicesimo, quando quel luogo venne in mano ai genovesi. Da questo punto ne divisa brevemente le vicende, secondo gli sono suggerite dalle antiche testimonianze, e passa poi con maggior larghezza a discorrere della chiesa di S. Nicolò eretta nel vetusto borgo e tuttora esistente; chiesa nella quale appunto si venera l’immagine della Vergine detta del Buonviaggio. Pregevole dipintura in tavola, che 1’a. ritiene non senza ragione, parte e forse la centrale di un trittico, le altre sezioni del quale andarono disperse o distrutte. Sei documenti corredano la narrazione; quattro già editi, tratti dal Liber Jurium della repubblica Genovese ; due inediti, e cioè una bolla di Alessandro IV del 16 agosto 1256 che si trova negli atti del notaro Andrea de Cairo, e la descrizione dei confini della Podesteria di Sestri dettata, per incarico del Senato, nel 1601, il cui originale si conserva nell’archivio notarile di Chiavari. Adomano la pubblicazione alcune ben riuscite fototipie, singolarmente quelle che riproducono la facciata della chiesa di S. Nicolò, lo spaccato longitudinale, e l’immagine della Madonna. Aspettiamo con desiderio la storia di Sestri, e ci auguriamo che 1’ a. si attenga nella esposizione a stile ed a metodo rigorosamente storico, lasciando stare certe fantasie e certi voli (il P. è anche non infelice poeta) giustificabili in pubblicazione occasionale, ma non convenienti alla storia. GIORNALE STORICO e LETTERARIO DELLA LIGURIA D. Nicolò Schiappacasse. Camogli. Memorie storiche fino al ΐζοο. S. Pier d’Arena, tip. Salesiana, 1900;'in-8, pp. 79. — E’ pietoso il pensale come 1 autore pochi momenti prima di morire (3 novembre 1899) abbia ancora scritto di suo pugno un periodo di questo lavoro, che egli, già pre-ve endo la sua fine, valle compilare in brevi giorni a fine di lasciare alla sua terra natale una testimonianza del suo affetto e delle sue sollecitudini. Onde e a lodare assai il fratello, fr. Gregorio olivetano, per aver dato alle stampe questa monografia, secondando i desideri del giovane studioso, deceduto appena trentenne. L’a. l’ha divisa in sette capitoli; raccoglie nel primo tutte e notizie antichissime riguardanti Camogli, di cui è ricordo innanzi al mille ; iscoi re nel secondo della chiesa parrocchiale ; del governo civile nel terzo ; ella marina commerciale nel quarto ; nel quinto delle lettere a dei letterati , nel sesto delle belle arti ; e finalmente il settimo contiene una silloge 1 tutti quelli appunti e regesti in ordine cronologico, non usufruiti nel corso e opeia. Segue un’appendice con documenti e notizie tratti da fonti edite, e va evoli ad illustrare qualche parte della narrazione. Due ragioni di merito vanno riconosciute nell’ a., e sono la prudenza con la quale ei si governa a oiquando registra notizie non suffragate da sicuri documenti; l’uso delle migliori fonti suggerite dalla critica moderna, e le indagini d’archivio. Il suo 1 ro perciò riposa sopra salde fondamenta, e il lettore può con piena fiducia ri arsi a queste pagine. Se la vita gli fosse bastata certo egli avrebbe dato 01 ma ed ordinamento più omogeneo alla esposizione, la quale risente della retta con cui venne distesa per l’incalzare della morte, e corretto qua e là alcune inesattezze ed alcune incongruenze. In ogni modo così com’è può ritenersi un utile contributo alla storia municipale. G. O. ( R0SIGLIA. Torriglia. Cenni storici, tradizioni, leggende. Tor-rig la, presso 1 ito Crosiglia, 1900 (Genova, tip. Ciminago); in-16, pp. 173. — volume si divide in due parti. La prima in forma di lettera reca tutte n‘f.'"e seriche che intorno a Torriglia ha potuto raccogliere 1’a. da libri 0 pu, Mozioni diveise, e quelle che toccano la fine del secolo passato e i primi tei presente, avute per tradizione di famiglia; dà un cenno dello statuto stampato nel 1736; si ferma sopra alcune singolari leggende; e continue con una serie di note saltuarie le quali dal 1849 giungono al 1890. • ckllt un intermezzo peri patetico dovuto alla penna di Eugenio Carraro, in cui si tocca Kfpubblica Ligure del 1797. L’a. ordinando questo libretto, non ha '0 nio (are una monografia erudita ed ordinata, ma solamente la raccolta miscellanea
  • si legge : « Questo libro si è della compagnia de’ Genovesi, e non di altri: 1549. Antonio ricorresse ». Contiene: « Capitoli della Compagnia dei Genovesi di San Friano (5a - 18 b). Precedono (1 *- 3a) alcune preci ; quindi il preambolo, il quale ci apprende che la compagnia ebbe principio il 10 luglio 1474 « nella chiesa overo prioria di Sancto Fridiano di Firenze ». Seguono i 50 capitoli (8* - 18 1>) ; ma gli ultimi dieci sembrano aggiunti un pò più tardi. In fine l'approvazione data nel 1501 dall’arcivescovo Ludovico Adimari, e altre giunte fino al 1661 ». .·. In un articolo di ANTONIO Filangeri di Candida: Monumenti ed °SSe^1 d' arte trasportati da Napoli a Palermo nel 1806 (in Napoli Nobilissima,, X, 14) troviamo che fra i quadri presi dalla Galleria di Francavilla figurava una tavola con il ritratto di Cristoforo Colombo, attribuito al Par-migianino. Crediamo si tratti dello stesso quadro ora esistente nel Museo di Napoli, di cui fu parlato altra volta (Neri, Ritratti di C. C., Roma, 1893, p. 18, tav. XVII) nel quale non possono riconoscersi le sembianze del grande scopritore. .·. In Alcune poesie politiche in dialetto veneziano e volgari del secolo XVII pubblicate da Filippo Cavicchi (in Antologia veneta, 1, 384) troviamo un sonetto che si riferisce all’entrata de’ francesi in Casale nel 1681 ; e quivi il poeta, dopo aver detto Come tutti sentano il suono che avvisa la venuta dello straniero, ma che nessuno si muove, soggiunge : « E Genova con dir gho di dine — Punto d’orecchio a tal fragor non dà ». .·. Nella monografia di G. ROMANO, Niccoli Spinelli da Giavenazzo diplomatico de! secoli XIV, si accenna ad un salvacondotto richiesto dal papa per due suoi legati che si recavano per affari della Curia presso il doge di Genova. Forse si trattava della liberazione di un Corrado Grimaldi detenuto nelle carceri di Genova. Ciò al cadere di dicembre del 1373. La notizia è rilevata dall’Archivio Segvlo Valicano (Archivili Stor. Napol., XXV, 430). .·. Maria Caterina Hrignole principessa di Monaco ha dato occasione ad una piacevole ed interessantissima monografia dettata maestrevolmente da Pietro De Segiirk (nel volume Lo dernière des Condc, Paris, Levy, 1899; pp. 167 scgg.j, prendendo argomento dalla esposizione particolareggiata della viti di Luisa Adelaide di Borbone principessa di Condé, e dalle necessarie relazioni intervenute fra loro. Maria Caterina era di Genova, quivi nata 76 GIORNALE STORICO E LETTERARIO DELLA LIGURIA nel 1739, figliuola del marchese Giuseppe Brignole-Sale e di Anna Balbi. La madre che ebbe vanto di bellezza dimorava assai tempo dell anno a Parigi, e qui incontrò il giovane Onorato III di Monaco (primo della discendenza Matignon-Valentinois in cui era passata la signoria del principato) col quale si legò in intimi rapporti, e più tardi in istretta parentela, mediante il matrimonio dell’ unica sua figliuola. Connubio infelice che condusse ad una causa clamorosa per separazione, mentre Maria Caterina, già in relazione col vedovo principe di Condé, visse poi sempre con lui, prendendo parte a tutte le peripezie a cui egli andò soggetto durante la rivoluzione, dando prova di un affetto, d’un coraggio, d’un carattere veramente straordinari. Le nozze avvenute in Inghilterra, quando già vecchi e perduta la maggior parte delle ingenti sostanze vivevano esuli assai modestamente con i sussidi della corte, sanò sull’ estremo della vita la irregolare condizione domestica, in cui passarono la maggior parte della loro esistenza. La narrazione condotta sopra autentici documenti, alcuni de’ quali singolarissimi sono riprodotti in appendice, procede spigliata e geniale, mettendoci dinanzi un notevole episodio dell’ alta società nel secolo passato, in mezzo alla quale campeggiano egregiamente rilevate due figure femminili appartenenti a nobili famiglie genovesi. .·. Negli Atti della Società Ligustica di scienze naturali e geografiche (Genova, 1900 ; XI, pp. 165 sgg.) si leggono i Cenni sopra alcuni Istituti scientifici della R. Università di Genorva. Quivi P. M. GARIBALDI fa la storia dell’ Istituto di fisica ; A. Issel del Gabinetto di Geologia ; O. Penzig dell’ Orto e Istituto Botanico ; C. Parona del Museo zoologico ; G. Cattaneo del Gabinetto di anatomia e fisiologia comparata. .·. Col titolo: Un cifrario dantesco di Giuseppe Mazzini è pubblicato da Dino Provenzal (in Rivista Abruzzese di scienze, lettere ed arti, XV, 545) una lettera di Giuseppe Mazzini, 16 settembre 1842, diretta forse ad Anseimo Carpi da Cento, con la quale gli suggerisce un metodo di corrispondenza per mezzo delle dodici prime terzine dell’ Inferno di Dante. .·. Edoardo Gachot ha inserito in Le Gaulois du dimanche (21-22 Juillet 1900) un articolo con il titolo : Massena au siege de Gênes. Le Centenaire (d'après des documents inédits). Lo stesso scrittore tratta il medesimo argomento ne L’Armée Illustrée (η. 41 e 42) : Le Sicge de Gênes. Les opérations militaires. .·. Il Corriere della Spezia (a. IV, η. 200) pubblica un articolo di U[baldo] M[azzini] intorno alla nuova chiesa di S. Maria della Neve nel rispetto architettonico. Quindi dello stesso scrittore (n. 202): Il duomo di Santa Maria Assunta e i suoi restauri, con documenti; e poi II palazzo comunale [della Spezia] (a. V, n. 3). .·. Nella Rivista storica del Risorgimento italiano è pubblicata, per comunicazione di Vincenzo Berghini, una bella lettera di Giuseppe Mazzini a Camillo Ugoni, del 15 novembre 1838, riguardante i suoi propositi e le sue ricerche per la vita di Ugo Foscolo che aveva in animo di scrivere. Sta essa in relazione con quel carteggio del Mazzini che riguarda lo stesso argomento e venne illustrato dal Chiarini e dal Martini nella Nuerva Antologia (1884 e 1890), e dal Campani in Natura e Arie (18941. .·. Nello studio di G. SCARAMELLA: Relazioni tra Pisa e Venezia (1495" 1496) si fa menzione della venuta a Genova dell’imperatore Massimiliano il 26 settembre 1496. Si fatto studio, in continuazione, si legge negli Studi storici (Pisa, 1900, IX, 329 e sgg), dove è ancora una recensione favorevole di Giulio Coggiola sulla Storia della Lunigiana feudale del Branchi (p. 392 sgg). Si combattono alcuni giudizi dati da altri intorno a quell’opera, non senza rilevarne i difetti. GIORNALE STORICO E LETTERARIO DELLA LIGURIA 77 In un estratto dalle Memorie della guerra per la rivoluzione di Francia per ciò che riguarda specialmente gli stati del nostro re Vittorio Amedeo Terzo lasciate manoscritte dal prete Venanzio Parone da Canelli, e pubblicate da Vincenzo Molinari (Rivista di Storia, Arte, Archeologia della provincia d'Alessandria, IX, fase. 31, p. 73) si leggono alcune notizie intorno all’entrata dei Francesi in Liguria 1792-94. .·. E’ sotto il torchio il secondo volume de’ Cenni biografici sugli uomini illustri della Francescana osservante famiglia di Bologna, compilato dal P. Giacinto da Cantalupo cronologo della medesima. Il primo volume uscì fuori a Parma nel 1894, co’ torcili della Tip. della SS. Annunziata. E’ un voi. in-8, di pp. XVI-460, e contiene, tra le altre, le biografie del P. Antonio da Moneglia (pp. 164-171), del P. Candido da Portomaurizio, del P. Carlo Bassi di Fosdinovo (pp. 329-334) missionario nella Cina, del P. Domenico Contestabili di Pontremoli (pp. 415-417), e d’altri liguri e lunigianesi, tra cui il P. Cherubino Ghelli di Fosdinovo (355-356), da aggiungersi alla schiera de’ nostri pittori. .·. Nella Revista de Archivos, Bibliotecas y Museos (Madrid, 1900, n. 8-9, p. 494) è riprodotta in zincotlpia da Luis Tkamoyeres Blasco nel suo articolo : Letras de cambio valencianas, una lettera di cambio del 3 luglio 1505 a favore di Cristoforo Spinola, tirata da Battista Lombardi sopra Paolo Gentile e Giambattista Grimaldi. .·. Il Bullettino Senese di Storia Patria (a. VII, fase, n) ci reca alcune notizie riguardanti la nostra regione. Nelle informazioni mandate dal Brognolo il 18 agosto 1499 al marchese di Murtora, edite da L. G. Pélissier in Quelques documents pour Γ histoire de Sienne (p. 291 ), è data notizia della resa d’Arazzo, aggiungendo: « dove era dentro uno Augustino de Manaro, zenovese, cum ottocento fanti ». Dalle Notizie intorno a Scipione Bargagli di A. Makenduzzo, si rileva che quell’erudito senese aveva regolato l’impresa dell’Accademia degli Accordati di Genova (p. 336), e fra i suoi corrispondenti si ricorda G. Vincenzo Pinelli, di cui si citano lettere inedite (p. 338). .·. L’opuscolo del SCILLACIO, De insulis nuper inventis, che è la relazione del secondo viaggio di Cristoforo Colombo, ha avuto di recente una riproduzione fototipografica, sopra un esemplare testé ritrovato da Leo S. Olischki, che è il quinto dei conosciuti. Il lavoro è riuscito sotto ogni aspetto commendevole, e ha dato argomento ad un articolo illustrativo di Giuseppe Fumagalli (La Bibliofilia, II, 205-06) competentissimo della materia, il quale ricerca da quale officina tipografica sia uscito, e ritiene con plausibili confronti debbasi assegnare a Francesco Girardengo (della nota famiglia di Novi) che stampava in Pavia sul cadere del secolo XV, confortando così il dubbio del Ronchini e del Merkel. Ma egli non si ferma a questo punto c dopo aver dato le notizie intorno al Scillacio fin qui raccolte, esamina con brevità ma compiutamente il contenuto della relazione, rilevandone i pregi e gli errori con osservazioni notevoli. .·. Il Catalogo di una ricca collezione di autografi di celebri personaggi vendibili presso Antonio Gheno in Roma, reca alcuni nomi di liguri o lunigianesi. V’hanno registrate due lettere del p. Costantino Battini (1798 e 1816); una in francese del 1828 da Parigi di Giosafat Nicola Biagioli ; quattro di Giunio Carbone ; cinque di Giuseppe Gazzino ; tre di Gian Carlo di Negro ; una del p. Tommaso Pendola ; due di Paolo Rebuffo ; due di Giambattista Spotomo (1834 c 1837); importante quella di Luca Spinola del 1640, c veramente notevoli le sedici del marchese Giacomo Filippo Durazzo al libraio Tillard di Parigi, intorno all’acquisto di libri in pubbliche vendite, fra le quali quella del duca de La Vallièrc. Dove andranno mai a finire questi autografi clic troverebbero a Genova la loro sede naturale ? 78 GIORNALE STORICO E LETTERARIO DELLA LIGURIA .·. Intorno a Galeotto del Carretto troviamo una bella pagina nell importante studio : La coltura e le relazioni letterarie d'Isabella d’Este Gonzaga dovuto ad Alessandro Luzio e Rodolfo Renier ( Giornale storico della letteratura italiana, XXXVI, 329 sgg.). Vi si pubblica una breve, ma notevole, letterina di Galeotto alla marchesa, rimasta fino a qui inedita, dove è parola di una comedia da lui composta e della quale non dice il titolo, nè si sa che sia a noi pervenuta. E’ superfluo aggiungere che Γ erudito lettore troverà qui una compiuta bibliografia di tutto quanto venne fino ad ora pubblicato sopra quello scrittore, che viene considerato per origine siccome appartenente alla Liguria. .·. Nelle Notizie storiche tratte dai documenti conosciuti col nome di « Arche in carta bambagina », edite per cura di RICCARDO Bevere (Arch. Stor. per le provincie napoletane, XXV, 1900), si trova all’anno 1326 un Grisiotto Lastario di Genova capitano di Barletta. Esso figura fra i delegati a sindacare Giovanni Capograsso di Salerno già capitano della stessa città (p. 268). Noi crediamo che quel nome sia stato letto inesattamente, e ci sembra più tosto debba essere un Grifiotto o Grisiolo (nomi che si incontrano nei documenti) Lascario della nobile famiglia de’ conti di Ventimiglia, nella genealogìa dei quali si trova un Grigesio vivente nel 1306 e 1311. Potrebbe darsi che il capitano di Barletta appartenesse ai rami di lenda, Briga e Castellana ai quali spettava specialmente la denominazione di Lascaris. Vero è che quel « di Genova » condurrebbe anche all’ ipotesi di leggere Larcario invece di Lastario, ma le genealogie di questa famiglia non ci danno alcun lume. Ed è poi ricordato (p. 390) un documento (forse del 1289) riguardante 1 ammiraglio Corrado Spinola de Incoio. .·. Discorre Giuseppe Beccaria di Vincenzo Colocasio umanista siciliano del sec. XVI (in Archivio storico siciliano, a. XXV, 1900, p. 1) e si intrattiene a lungo sopra il poema latino di lui : Quarti belli punici libri sex, stampato a Messina nel 1552. Si tratta della impresa di Mehcdia (Afrodisio) in Affrica e della caduta di questa fortezza, per opera in ispecial modo di Giovanni de Vega, viceré di Sicilia, al quale il poema è dedicato. Il Beccaria rileva l’attendibilità storica dei fatti quivi narrati, perchè l’autore attinse ad una fonte sicura, e cioè alle informazioni dategli da Antonio D Oria, del cui merito parla adeguatamente ne’ suoi versi. Sorge a questo proposito il dubbio, secondo il B., se il D’Oria abbia verbalmente riferite le notizie domandate, o non piuttosto comunicato al Colocasio il manoscritto del suo Compendio delle cose di sua notizia et memoria occorse al mondo nel tempo dell’ imperatore Carlo V, che vide la luce in Genova nel 1571 ; ed è a dolere che il B. non siasi procurato il libro (cosa d'altra parte assai agevole) e fatto quello « studio comparativo » ch’ei pure, a risolvere il dubbio, riteneva necessario. Tanto più sembrando a noi assai ovvio il credere, che, posto pur non avesse il D’Oria composta ancora quella sua notevole operetta, avrà dato molto probabilmente per iscritto le notizie deli’impresa, e questa relazione può avergli servito senza meno a narrare que' medesimi fatti nel suo Compendio. Di questo nostro genovese reca il B. alcune brevi notizie desunte da fonti conosciute, singolarmente dal Guglielmotti ; ma aggiunge tre inediti documenti, tratti dall’Archivio di Stato, nel primo dei quali (22 luglio 1551) il D’Oria è soltanto nominato; gli altri due iH e 21 agosto 1551 1 sono ordini di pagamento per vitto ai soldati, e per artiglierie fornite da lui nella impresa affricana. GIORNALE STORICO E LETTERARIO DELLA LIGURIA 7g APPUNTI DI BIBLIOGRAFIA LIGURE. Antica (L’) villa Della Rovere in Albissola (con 7 illustrazioni) (in Emporium, novembre 1900). Arellano (de) Rafael Ramirez. Datos nuevos referentes à Beatriz Enriquez de Arana y los Aranas de Córdoba (in Boletin de la Reai Academia de la historia, xxxvn, 461). Bandellus Matteus. Religiosissimi fratris Ioannis Baptae Cattanei Ge-nuensis vita (in Masi E. Matteo Bandelle 0 vita italiana in un novelliere del cinquecento. Bologna, Zanichelli, 1900 ; pp. 223-235). Bensa Paolo. Le grotte dell’Appennino Ligure e delle Alpi Marittime. Torino, Cassoni, 1900 ; in-8, pp. 65, fìg. e 2 tav. Bruzzone P. L. Un notaio rivoluzionario (in ■ Fanfulla della Domenica, xxill (1901) n. 2). Vi si discorre di congiure liguri-piemontesi nel 1797-98. Capecelatro Alfonso. V'ita della serva di Dio Paola Frassinetti fondatrice delle Suore di Santa Dorotea. Roma, Desclée, Lefebvre e C., 1900; in-8, di pp. 540. Cervetio L. A. Per l’epistolario di Verdi. Lettere autografe inedite scritte da Verdi ad Angelo Mariani. (Cittadino, 1901, n. 30-31). Cipolla Costantino. L’azione letteraria di Niccolò V nel rinascimento. Frosinone, tip. Claudio Stracca, 1900 ; in-8, di pp. 60. Duhois A. Le bienheureux Alexandre Sauli barnabite, éveque d’ Aleria (Corse), puis de Pavie Jtaliej. tìar-le-Duc, impr. de Saint-Paul; 1900 ; in-8, di pp. 164, fìg. Effe Ekre (Ferdinando Rcsasco). Verdi a Genova, ricordi aneddoti ed episodi completamente inediti (in Caffaro, 1901, n. 28-29-31 e segg. 1. Ferretto Arturo. Codice diplomatico delle relazioni fra la Liguria, la Toscana c la Lunigiana ai tempi di Dante (1265-1321). Parte prima dal 1265 al 1274. (in Alti della Soc. Ligure di Stor. Pat., voi. xxxi, fase. I, Roma, tip. Artigianelli, 1901). — Note diverse (genov. u miu) (in Archivio Glottologico Italiano, 1900, vol. xv, punt. ni, p. 394). Fioravanti ISABELLA. Gian Luca Pallavicino (in Patriziato Cattolico, marzo 1900). Flechia Giuseppe. Manipoletto di etimologie genovesi (in Appunti lessicali e toponomastici pubblicati da Tito Zanardeli.1. Sec. puntata. Bologna, Zanichelli, 1900). lULLIAN C. Nord et Sud. Gaulois et Ligures in La Revue de Paris, 15 settembre 1900). M. U. (Mazzini Ubaldo). Il palazzo Comunale [della Spezia] (in Corriere della Spezia, a. V, n. 3). Memorie storiche Chiavaresi. Santa Margherita (in La Sveglia, Chiavari, jgoi, η. i). 8θ GIORNALE STORICO E LETTERARIO DELLA LIGURIA Nota Alfredo. Giulio II e l’assedio della Mirandola ; vecchia polemica. Modena, Soliani, in-8, pp. 29. Oberziner Giovanni. Le guerre di Augusto contro i popoli alpini. Roma, Loescher (Trento, Monauni) 1900; 111-4, di pp. XII-239-14 ; con 5 carte. Pauli Z. Sind die Ligurer Indogermanen ? (in Beilageznr Miinchener Allgermtinen Zeitung, n. 157). Peragallo Prospero. Viaggio di Geronimo da Santo Stefano e di Geronimo Adonio in India nel 1494-99 (in Bollettino delta Società Geografica italiana, ser. iv, voi. Π, p. 24). Pro-Guidoni, risposta al dott. P. Vinassa De Regny. Spezia, Argiroffo, 1901 ; in-8, di pp. 8. Si veda anche L’Unione..... e Corriere della Spezia, a. IV, n. 203; a. V, η. I. Provenzal Dino. Un cifrario dantesco di Giuseppe Mazzini (in Rivista Abruzzese di scienze, lettere ed arti, XV, 545)· Rossi Girolamo. La famiglia Brea in Liguria nel Giornale araldico geneologico-diplomatico, a. xxvil, n. il, p. 243). — La valle di Diano (Liguria) e i suoi statuti antichi. Torino, Paravia, 1900; in-8, pp. 139 (Estr. dalla Miscellanea di storia italiana, ser. ili, voi. vii). Staglieno Marcello. Due documenti di Tedisio vescovo di Torino. Torino, Paravia, 1900 ; in-8, pp. II (Estr. dalla Miscellanea di stona italiana, ser. ni, voi. vii). Staffetti Luigi. Due case di campagna. Modena, Vincenzi, 1900; in-8, pp. 22 (Estratto dagli Atti e Memorie della A'. Deputazione di stori,, patria delle prcrv. Modenesi, ser. V, voi. li. Doc. riguardanti la Lunigiana. Zanardelli Tito. Suffisso d’origine ligure in - ino, - ma - nelle voci Balmo, Calmus ed altre (in Appunti lessicali c toponomastici pubblicati a liberi intervalli da Tito ZANARDELLI, seconda puntata, Bologna, Zanichelli, 1900). Giovanni Dapozzo amministratore responsabile. PUBBLICAZIONI RICEVUTE Giuseppe Flechia. Manipoletto di Etimologie liguri. Bologna, Zanichelli, 1901. Costantino Cipolla. L' azione letteraria di Niccolò V nel rinascimento. Frosinone, Stracca, 1900. Francesco NovATr. Vita e poesia di Corte nel dugento. Milano, Hoepli, 1900. Francesco Foffano. L' estetica della prosa volgare nel cinquecento. Prolusione a un corso libero di letteratura italiana. Pavia, Frattini, 1900. Boffito Giuseppe. Se Dante sia stato metercologo. Pavia, Fusi, 1900. Paul Marmottan. Documents sur le Royanne d’Etrurie (1801-1807). Paris, Paul, 1900. Giuseppe Boffito. L' eresia di Matteo Palmieri « cittadin fiorentino ». Torino, Loescher, 1901. Pro-Guidoni, risposta al dott. P. Vinassa De Regny. Spezia, Argiroffo, 1901. Gaetano Cogo. Tre lettere inedite di Ippolito Nievo. Venezia, Visentiui, 1901. L’ARIOSTE extraits avec une introduction et des notes explicatives par Raymond Bonafous. Paris, Garnier, 1900. Francesco Flamini. Compendio di storia della letteratura italiana ad uso delle scuole secondarie. Seconda edizione rifatta e arricchita di una notizia bibliografica. Livorno, Giusti, 1901. Facezie di LODOVICO Carbonu ferrarese edite con prefazione da ABD-EL-KADER Salza. Livorno, Giusti, 1900. G. Fazio. Memorie giovanili della rivoluzione siciliana e della guerra del 1860. Spezia, Zappa, 190I; Uomini di guerra de' tempi nostri. IV. Skobeleff. Saggio storico di Severino Zanelli. Roma, Voghera, 1900. Carlo Cipolla. Nuove notizie intorno ai diplomi imperiali conservati nell' archivio comunale di Savona. Rovereto, Sottochiesa, 1900. Prospero Peragallo. Viaggio di Geronimo da Santo Stefano e di Geronimo Adorno in India nel 1404-çg. Roma, Civelli, 1901. Paolo Bensa. Le Grotte dell' Appennino Ligure e delle Alpi marittime. Torino, Cassone, 1901. A. 1' [ammazzo. L' ultima edizione- de « L'Invito a Lesbia Cidonìa » (Paravia, igoo) Esame con documenti inediti. In Bergamo, Arti grafiche, 1900. F. CORAZZINE. Risposta alla critica fatta all' opera del contrammiraglio (V, otti % Intorno alle battaglie navali della Repubblica di Genova ». Roma, Forzani, 1901. Corridore F. Documenti per la difesa inaritt. della Sardegna nel sec. XVI, Torino, Clausen, 1901, in-8. % — L’Italia in attesa delPUllimatum del congresso di Vienna. Torino, Clausen, 1900, in-8. — Vittorio Emanuele I e i suoi piani di guerra (1809). Torino, Clausen, 1900, in-8. — Per una missione segreta del re di Sicilia, del ministro di Spagna e di quello d’ Inghilterra a Pio VII (1810). Torino, Clausen, 1900, iu-8. — La politica della Santa Sede rispetto alla questione polacca e al blocco continentale. Torino, Clausen, 1900, in-8. Le Musée de portraite de Paul /ove contributions pour servir à l'iconographie du moyen âge et de la renaissance par M. Eugène MüNTZ. Paris, Impremerie Nationale, MDCCCC. PREZZO DEL PRESENTE FASCICOLO Giornale storico E LETTERARIO DELLA LIGURIA diretto da ACHILLE NERI e F ASC. 3-4 Marzo - Aprile SOMMARIO E. Sforza : Le gabelle e le pubbliche imposte a Massa di Lunigiana nella prima metà del secolo xiv, pag. 81 — Ing. F. M. Parodi: La compagnia del Mandiletto in Genova, pag. 108 — L. Piccioni: Per gli antecedenti del romanticismo, pag. 125. — A^ARIETÀ : A. N. : La duchessa di Chartres a Genova, pag. 135. — ANEDDOTI: A. N. : Un singolare rifiuto, pag. 141 — G. Flechia: Ancora del nome Cintraco, pag. 144. — BOLLETTINO BIBLIOGRAFICO: Si parla di F. Ruffini (G. Bigoni) pag. 146; di P. Bensa, pag. 153* — ANNUNZI ANALITICI: Si parla di F. Corazzini, L. Vicchi, B. E. Maineri. — SPIGOLATURE E NOTIZIE, pag. 157. — APPUNTI DI BIBLIOGRAFIA LIGURE, pag. ιςο. ANNO 11. IÇOI ÌMHK/IONI: Genova · Corso Mentati» 4.V1* Ι.Λ SPEZIA Società «Γ IiiroraRRiamcnto editrice Tir. ni Γιμνγι Ζλργλ AMMINISTRAZIONE La Spezia - Amministrazione (1). Provvide anche alla custodia della ròcca di Massa, mandandovi Castellano Nic-cola di Guglielmo de’ Tedici, « cum salario librarum x parvo « rum per mensem, habendo a Comunibus diete Vicarie ». Doveva costui tenere « quinque famulos sufficientes in dicta roc « cha, ad rationem librarum quinque parvorum pe 1 mensem «-pro quolibet, expensis dicte Vicarie ». Scelse per Camarlingo della Curia della Vicaria stessa Telloro Campanari, con lo sti pendio di due lire di piccoli al mese; e il 3'aprile del 1332 lo costituì inoltre Camarlingo « super gabella solidorum iij prò « stario panis, quod venditur ad minutum, et super gabella de « nariorum xij per libram oley, quod venditur ad minutum ». Il 23 del medesimo mese gli commise anche * quod exigat gabel- * lam ferri, ad rationem solidorum iij pro quolibet centenario « ferri non laborati » ; il 6 di maggio vi aggiunse pure < qua-« sdam condictiones facte tempore Bonifatii Tibe », il quale non restò in carica l’intiero semestre, ma il 15 di febbraio ebbe per successore Laberio Simonetti; il 18 di maggio, gli conferì inoltre l’esazione della gabella « prò biado, quod portant extia « Vicariam Masse, ad rationem denariorum viij bonorum pro « stario » (2). C’ era dunque una gabella sul pane e sull'olio, che si vendeva al minuto; una gabella sul ferro, che si cavava dalle (1) Questo Statuto disgraziatamente è andato disperso. (2) R. Archivio di Stato in Lucca, Libri di corredo alle carte della Signoria ; reg. 5· GIORNALE STORICO E LETTERARIO DELLA LIGURIA 85 miniere dell Antona (i) ; e una gabella sulle biade, che si estraevano dalla Vicaria. Di più, il Signore di Lucca aveva il monopolio del sale, e due volte Γ anno lo dava forzatamente ai omuni di Massa, deir Antona e di San Vitale, facendoci su guadagno. C erano, per giunta, i Proventi, cioè quelle gabelle, tasse o imposte che si affittavano ai privati mediante il pubblico incanto. una filza da non venire mai a fine. Si pagava una tassa sulle doti ; una tassa sul prezzo de’ beni che si vendevano o permutavano (2); una tassa sulle successioni; una tassa sulle pigioni e sui livelli ; una tassa sulle bestie da tiro, date a vet-tuta, una tassa sui carri e sulle carrette; una tassa sulle fornaci da calcina, da mattoni e da vasellame; una tassa sui forni pei il ferro; una tassa sulle ruote da arrotare i ferri; una tassa sulle macine de' molini; una tassa sugli usurai, tenessero banco pubblico, o prestassero in privato ; una tassa sugli osti, che consisteva in un soldo di buona moneta per ogni letto che affittavano, e più altre di varia qualità e natura. Soprattutte però tiuscivano gravose la Taglia delle Cinquantasettemila e la Paga de Pedoni. Dopo che Castruccio ebbe preso al proprio soldo numerose schiere di oltremontani e di ghibellini fuorusciti del resto d Italia, le milizie paesane, formate dal concorso di tutto il popolo alle armi e divise in cavalieri (milites) e pedoni (pedites)), di nerbo principale, diventarono nerbo secondario. La spesa esorbitante che tirò con sè quel continuo stipendiare tanti mercenari ebbe per effetto l'aumento delle imposte, e due ne mise, appunto per questo, Castruccio: la Taglia delle Cin- (1) Castracane degli Antelminelli, avo di Castruccio, per seicento lire di buoni denari lucchesi comprò dagli uomini dell’Antona tutta la vena del ferro, scoperta e da scoprirsi in quel territorio. Cfr. Sforza G. Castruccio Castracani degli Antelminelli e gli altri lucchesi dì parte Bianca in esilio, Torino, 1891 ; pp. 9-11 e 40-44. (2) Per ciascuna vendita di beni immobili e per ciascuna pennuta, e quando si davano beni a titolo di pagamento vi era la tassa di otto denari per ogni lira del prezzo o del valore, da pagarsi, metà dal compratore e metA dal venditore. Dentro un mese doveva esser fatta la denunzia del contratto, sotto pena del raddoppiamento della tassa. Se però si trattava della vendita dei frutti della terra, non in perpetuo, ma a tempo determinato, il dazio era ridotto a quattro denari per lira ; e in questo solo caso n’ era eccettuata dal pagamento la Lunigiana. 86 GIORNALE STORICO E LETTERARIO DELLA LIGUBIA quantasettemìla lire (chiamata delle Cìnquantasetteniila, Per bre vita) e la Paga de’ Pedoni. La prima si spartiva sui Comuni, in ragione de’ fuochi e dell’estimo (i), e i Comuni se ne riavevano sugli abitanti ; la seconda si divideva parimente tra i Comuni in ragione de’ pedoni che avrebbero dovuto mandare sotto le armi, e che col pagamento di questa tassa erano esonerati dal mandare (2). Marsiglio, Pietro e Rolando de’ Rossi, che avevano comprato Lucca dal Re di Boemia per trentacinquemila fiorini, e ne pre-ser possesso il 3 ottobre del 1333, la cedettero a Mastino e Alberto della Scala il i.° novembre del 1335. Pietro però ritenne per sè la Vicaria di Massa come cosa propria (3)> e staccata dalla dipendenza di Lucca (4). Si ricava dal Liber ge- (1) Castruccio verso il 1319 ordinò una generale riforma dell Estimo, registro in cui si notava non solo qualsiasi possesso stabile e mobile, speci ficandone la misura e il valore, e per gli stabili e i beni allivellati e affittati mettendo in conto solamente il frutto che apparteneva al colono ; ma registro in cui si scriveva pur anche il nome, la qualità e la condizione di ogni ahi tante, da giovarsene per l’esazione del focatico e per le prestazioni personali. (2) I Comuni se ne riavevano sugli abitanti, che gravavano a ragione di estimo e di possesso. Chiunque poi, per un tempo più o meno lungo, voleva esser liberato dal servizio militare, pagava un balzello straordinario, detto la Sega, consistente in un tanto per testa il giorno. (3) Quando i Rossi nel 1334 trattarono di ceder Lucca a’ Fiorentini, Pietro già vagheggiava il disegno di conservare per sè la signoria di Massa, e ne’ patti « petita pro reassignatione dominii civitatis Lucane » si legge ■ « Item, petit quod Florentini dent domino Petro de Rubeis terram et forti-« litiam Masse Lunexane cum villis, vicaria et iurisdictione spectantibus ad « ipsam terram et fortilitiam, cum mero et misto imperio et piena ìurisdì-« ctione ». Cfr. Ficker, Urkunden zur Geschichte des Roemerzuges Kaiser Ludwig des Baiern und der Italienischen Verhaeltnisse seiner zeit, Innsbruck, 1865; p. 165. (4) Il 30 dicembre del 1334, ossia del 1333, giacché i Lucchesi incominciavano a contare l’anno dal giorno della nascita di Cristo, Ruggero da Parma, Vicevicario de’ Rossi, insieme col collegio degli Anziani del Comune di Lucca, deliberò « quod proceres et captani de Bozano et aliis partibus « Versilie, et de Monteclaro, et de Massa Marchionis, et filii domini Henrici « de Falcinello pro eorum mobili et pensionibus, pane, vino et oleo solvant « et solvere teneantur et debeant prout solvunt alii lucani cives ». Stabili inoltre che a cominciare dal 1. di gennaio dovessero pagare « nomine tallie « seu sece » lire dugento di buona moneta, in rate trimestrali. Cfr. R. Ar- chivio di Stato in Lucca. Anziani avanti il tempo della libertà; reg. 5> c· I0, GIORNALE STORICO E LETTERARIO DELLA LIGURIA 87 neralìs omnium proventuum et introytum Lucane Camere, che dal 15 novembre del '35, giorno in cui gli Scaligeri presero a governare i Lucchesi, arriva al 10 novembre del '36. E vi è detto che al tempo de’ Rossi, tanto dal provento della Gabella, quanto dalla Taglia delle Cinquantasettemila, dal sale « et omnibus « aliis » il Comune di Lucca incassava a Massa milleottocento fiorini d oro l’anno. Del sale Massa era tenuta a pigliarne annualmente mille sessantanove staia; per la Taglia pagava mille trecentoquarantaquattro lire, dieci soldi e sette denari di piccoli (1). Era allora un paese piccolissimo e povero, e quel cumulo di tasse, e così esorbitanti, doveva rendervi la vita un tormento e una maledizione ! Gli Scaligeri non tardarono a farsi padroni anche di Massa. Alla gabella di essa nel 1336 soprintendeva per conto loro Matteo Squarcialupi, che ricopriva anche l’ufficio di Camarlingo della Vicaria; Tommasino Chiavari era al tempo stesso notaro della Curia e della Gabella; tutti e due « cum salario decla-« rando » (2). Il medesimo giorno della loro nomina, che ebbe (1) Documento η. II. (2) I registri della Gabella della Vicaria di Massa del secolo XIV, che si conservano a Lucca nel R. Archivio di Stato, sono dieci tra tutti, e cominciano col 15 maggio del 1336, quando n’era gabelliere appunto lo Squarcialupi. Tra documenti (cfr. il η. III ne do 1 ’ elenco e ne trascrivo i titoli. Del secolo XV si hanno registri della Gabella massese degli anni 1401, 1411, >414-1429 e 1434. Delle altre terre lunigianesi, allora unite a Lucca, vi è un Liber generalis Gabelle Comunis Mentisti gnosi, del secondo semestre del 1340, e una Vacchetta Gabelle Comunis Montist/gnosi, del secondo semestre del 1384. Vi è un piccolo registro della Gabella dell’Avenza, dell’anno 1405, di sole nove carte, con questo titolo: Hic "est liber crediti et exationis Gabelle biavi conducti de extra Lucanum districtus ad marinam de Aventia, Vicarie Carrarie, Lucani districtus, ad ractionem denariorum sex pro quolibet stario castanearum, panici et mila, ad compotum denariorum quindecim pro quolibet populeno ; factus, editus et compositus in primo semestri anno N. D. MCCCCV, indictione XIII, et scriptus et publicatus per me Tomam Mey Ciani de Montefegatese notarium et tunc Potestatem dicte terre Aventie, ac exactorem dicte Gabelle dicti biadi conducti ad macinandum, pro magnifiche et potenti Domino, Domino Paulo de Guinigiis, Lucane civitatis eiusque comitatus, fortie et districtus Domino Generali. Existente Camerario dicte Gabelle dicti biadi Meticcio l'ornacii de Villa Basilica, inorante in Aven- GIORNALE STORICO E LETTERARIO DELLA LIGURIA * luogo il 20 aprile, Spinetta Malaspina, Vice-agente degli Scaligeri a Lucca, nominò Vanni de’ Martini « Vicarius dicte Vi-« carie, exceptis villa et fortilitia Masse, Comunis Antonii et « Sancti Vitalis ». Il 28 di giugno Vanni ebbe per successore Lanzilotto Martini; il 9 settembre ser Landò Affricanti del Cer-ruglio fu eletto notaro del Comune di San Vitale (1). In quel medesimo anno, nell’adunanza che gli Anziani di Lucca tennero il 6 di giugno, volendo essi provvedere « utilitati Gabelle « Provincie Versilie et Masse Lunigiane et commodo merca-« torum », alla presenza e col consenso di Zanobi de’ Cipriani di Firenze, giudice e vicario del Marchese Spinetta, stanziarono: Quod de rebus et mercantiis que reducantur de extra districtum Lucanum in terras de Pietrasancta, Camaioris et Masse Lanigiane et alias terras dictarum Vicariarum dummodo ibi remaneant, solvatur gabella pro introitu tantum, cum tertio pluri. Et de mercantiis et rebus que extrahantur de ipsis terris et Vicariis et portantur extra Lucanum districtum, solvatur gabella pro exitu tantum, cum tertio pluris. Si vero alique mercantiones et res reducerentur ad ipsas terras et Vicarias de extra districtum lucanum seu per territorium dictarum terrarum et Vicariarum et portarentur extra districtum Lucanum, quod in ipso transitu solvatur gabella pro duabus partibus de tribus partibus introitus et exitus de eo quod exigi debet secundum formam capitulorum Lucane Gabelle, sine additione tertii pluris. Verum si dicte mercantiones et res expedirentur vel venderentur in dictis terris et \ icariis, solvatur gabella pro introitu per mictentem, secundum formam Statuti integraliter, et per extrahentem pro exitu integraliter, secundum formam Statuti, cum tertio pluri in quolibet casu. Et si de ipsis terris ad alias partes Lucani districtus vel da una Vicaria tia. Qui quidem exactionis officium Gabelle fit, detinetur et residet in Aventia· predicta, in apotheca domus Ugolinelli Ugolini dicti loci, nunc habitatione Potestatis, cui ab una parte est domus Michaelis facopucci dicti loci, ab alia domus facopi Antoni dicti lori, ab alia domus facopi Benvenuti dicti loci, ab alia vie publice. E vi è un registro della Gabella di Carrara, che dall’agosto del 1433 va al gennaio del '34 e porta scritto nel frontespizio : Carrane. PLic est quinternus crediti Magistrorum Marmorum, editi ultimorum semestri 1433> et introytus pcdagii, folio 10. Et inlroytus Dovane Marmoris, fol. 14. Et crediti pastorum bestiaminurn minutorum, folio 16. Et crediti Mortellarum, folio 17. (1) R. Archivio di Stato in Lucca. Libri di corredo alle carte della Signoria; reg. 6. GIORNALE STORICO E LETTERARIO DELLA LIGURIA 89 predictarnm ad aliam portaverint, exigatur gabella secundum formam Statuti, cum tertio pluri. Item, quod de ferro non laborato quod portatur de ipsis Vicariis extra districtum Lucanum, solvatur gabella ad rationem soldorum trium bone monete pro quolibet centenario pro exitu, et nil ultra solvatur. Item, de ferro laborato quod portatur de ipsis Vicariis extra districtum Lucanum solvatur gabella ad ractionem soldorum sex bone monete pro quolibet centenario pro exitu, et nil ultra exigatur. Item, quod de rebus mobilibus que emuntur et venduntur in foro Petre-sancte nulla gabella exigatur. Item, quod nullum pedagium exigatur ab illis lombardis pro eorum personis, equis et ronthinis, de quibus loquitur Statutum Gabelle, nisi dicti equi et ronthini conducerentur pro vendendo ; et tunc de ipsis equis et ronthinis exigatur gabella secundum formam Statuti, cum tertio pluri. Item, de vino tondo quod reducitur de extra districtum Lucanum ad dictas terras et Vicarias exigatur gabella prout exigi debet de vino nostrato quod portatur de una terra ad aliam, cum tertio pluri. In aliis vero maneriebus (sic) vini solvatur gabella secundum formam Statuti, cum tertio pluri. Item, quod de vino Vernaccie et Grecho quod conducitur de extra districtum Lucanum ad dictas terras et Vicarias in quantum vendi debeat ad minutum in ipsis terris, nulla exigatur gabella pro introitu cum pro vendita ad minutum debeant solvi denarii duo et .... ni duo pro tertio pluri pro quolibet soldo ; et sic exigatur dicta gabella venditionis ad minutum ad rationem denariorum duorum bone monete pro quolibet soldo, non derogando Statuto lòquenti de hiis qui conducuntur ad civitatem Lucanam, de quibus solvi debet gabella Luce et non alibi, prout in capitulis continetur et est hactenus observatum. Item, quod de vino Riperie quod conducitur ad ipsas terras dummodo non sit de spetie Vernaccie, et non vendatur ad minutum mezecta ultra, denarios sex solvatur gabella prout solvitur de vino Corsescho in introitu tantum pro ipso introitu, cum tertio pluri. Item, quod de piastris fiat compositio cum Comuni Pomezani ad rationem librarum quindecim per annum, et cum Comuni de Stassema ad rationem librarum sex bone monete per annum ; et pro dicta compositione et solutione possint portare libere plastras per Lucanum districtum sine aliqua solutione gabelle. Item, quod de colonnellis et capitellis marmorum solvatur gabella pro duabus partibus de tribus partibus que exigeretur secundum formam Statuti, sine aliqua additione tertii. Item, quod de ferrato componatur annuatim per gabellarium Petrasancte cum fodientibus seu capientibus, ut melius videbitur dicto gabellario. Item, quod de vena ferri exigatur gabella secundum formam Statuti sine aliquo augmento tertii pluris. go GIORNALE STORICO E LETTERARIO DELLA LIGURIA Item, pro quibuslibet soldis viginti bone monete recipiantur soldi vigincti-quactuor et denarii duo parvorum et ad eandem rationem plus et minus. Et predicta omnia et singula fiant et observentur non obstanto aliquo Statuto Gabelle vel aliquo alio in contrarium loquente, quibus auctoritate pre-sentis stantiamenti sit et intelligatur solemniter dispensatum donec aliud provideatur. In aliis vero servetur in exigendo gabellam forma Statuti cum additione tertii pluris. Item, quod de ferro quod extraetur de dictis Vicariis vel aliqua earum et portabitur in Sex millia solvatur gabella ut solvitur de ferro quod poitatur de una Vicaria ad aliam (i). II. Mastino, nel tener Lucca e le terre ad essa soggette, non ebbe che un intento : quello di trarne danaro e averla come pegno e strumento della sua ambizione: < falso e disleale ti-« ranno », così lo chiama il vecchio Villani, « s’ avea conceputo, « con disordinata e folle covidigia e malvagio consiglio, per la « città di Lucca e della sua forza avere la signoria di tutta « Toscana » (2). Vi comparve una sola volta, e fu nell’aprile del 39. Venne per la via di Pontremoli, e traversò Massa. L’accompagnavano Spinetta Malaspina, Ugolino Gonzaga e Burrazzo de Gangalandi di Firenze. Governò da lontano, e impose gravami e pagamenti ad arbitrio, senza titolo, nè ragione, e pur d averne, calcò la mano sopra i sudditi e la fece calcare da’ suoi fidati (3). Una delle prime imprese del nuovo Signore fu quella di acquistare Pietrasanta. Niccolò Di Poggio l’aveva avuta in pegno « dal Conestabile di Francia, al tempo che venne in Lucca col « Re Giovanni, per diecimila fiorini d’oro, che gli aveva pre-« stati ; ma non potendo di suo podere » (come racconta il Villani) « guardare la terra, la diede in guardia al Comune di * Firenze, salvo si ritenne la ròcca ; i quali vi mandaro cento « cavalieri e trecento pedoni, capitano messer Gerozzo de’ Bardi. « Ma poi, l’aprile vegnente », cioè del 1336, * il detto Nicco-« laio de’ Pogginghi vendè Pietrasanta a messer Mastino Della (I) R. Archivio di Stato in Lucca. Anziani avanti il tempo della libertà; reg. 10, c. 16 e segg. (2) Villani G. Cronica; lib. XI, cap. 40. (3) Bongi S. Bandi lucchesi del secolo XIV; pp. 335-336. GIORNALE STORICO e LETTERARIO DELLA LIGURIA 91 « Scala, che tenea già Lucca, per undicimila fiorini d’oro, « mandandone fuori le masnade de’ fiorentini » (1). Per cacciarle via, fu fatto un esercito; e Massa, più mesi dopo, venne condannata a una multa, perchè a quell' esercito non accorse nessuna delle sue cerne. Gli uomini e i Comuni della Vicaria se ne appellarono a Guglielmo Canacci degli Scannabecchi, Luogotenente degli Scaligeri a Lucca, con dirgli: « est contra « debitum rationis; quia tempore dicti exercitus et ante et post « erant sub vicariatu domini Petri de Rubeis, ut est notum. » Il Collegio degli Anziani, il 4 dicembre, « considerato quod « per Dominos nostros fuit vicariatus Vicariae Masse attributo « et concesso eidem domino Petro, et sic dieta Comunia et « homines ipsius fuerunt et steterunt sub vicariatu ipsius do-« mini Petri quandiu fuit obediens Dominorum nostrorum (2), « et quod exercitus factus contra Petramsanctam fuit de mense « aprilis, quo ipsa Vicaria et homines ipsius erant sub vicariatu « dicti domini Petri, sine cuius licentia et mandato parere non « potuerant Comuni Lucano », cassò la ingiusta condanna, nè furon più oltre angariati e molestati per quella multa (3). Più volte però vennero chiamati alle armi e dovettero col sangue , e col braccio prestare aiuto alle varie imprese del loro Signore, come seguì nel marzo del '37, quando con « dugento soldati « a cavallo della città di Lucca e popolo a piedi assai » piombò addosso a' guelfi Malaspina di Villafranca, ma senza che gli arridesse la fortuna, chè la gente sua fu sconfitta e ricevette « grande danno di pregioni e di morti » (4). (1) Villani G. Cronica; lib. XI, cap. 32. (2) Da queste parole sembra ricavarsi che Massa cessò d esser soggetta a Pietro de’ Rossi, quando esso la ruppe con Mastino, che dopo averlo con raggiri c violenza spogliato di Parma, lo stringeva d assedio in Pontremoli. L’ impresa contro Pietrasanta seguì al cominciare d’ aprile, e prima e dopo quell’ impresa (anjc et post) Massa continuò ad esser soggetta al Rossi, lo continuò, ma per pochi giorni ; e che il 20 dello stesso mese già fosse in mano di Mastino, lo prova il fatto della nomina di Vanni de’ Martini a Vicario degli Scaligeri in Massa ; nomina che ebbe luogo appunto il 20 d aprile. (3) R. Archivio di Stato in Lucca. Anziani avanti la libertà; reg. 12, c. 37- (4) VILLANI G. Cronica; lib. XI, cap. 76. 92 GIORNALE STORICO E LETTERARIO DELLA LIGURIA Il 4 agosto del 1341 Mastino cedette Lucca (1) e le « castella « eh egli tenea » a’ Fiorentini (2). Della città, eh’ era assediata da Pisani, ne presero possesso il 25 di settembre; delle castella di cui « ebbono la possessione », il Villani non ricorda (,1) L anonimo continuatore del Chronicon Veronensis di Parisio da Ce-reta scrive: « Eodem anno» [1336] «ultimo maii, quidam florentinus di-« misso in castro Massae de Lunixana per Regem Bohemie tradidit ipsum « castrum domino Mastino pro XVI millibus florenorum ». Cfr. Continuatio Chronici Veronensis auctore anonymo; in MURATORI, Rerum Ital. scriptores ; VIII, 642. L’autore confonde Massa di Lunigiana con Massa di Val-dinievole, che fu appunto consegnata agli Scaligeri da un fiorentino, come attesta un altro cronista di Verona, assai meglio informato. « Anno 1336 » (scrive) « ca- « strum Mase Λ allis Nebule D. Mastino a quodam Florentino pro ducatis ^ . « traditum fuit». Cfr. Cronica inedita dei tempi degli Scaligeri pubblicata con annotazioni e corredata di monumenti per cura nel nob. GIOVANNI ORTI Manara, Venezia, Antonelli, 1842; p. 15. (2) Gli officiali che ressero Massa negli ultimi anni della dominazione degli Scaligeri furono: nel secondo semestre del 1337, Luporo da Pisa no-taro del Comune di Massa, Landò Affricanti notaro del Comune di San Vitale, Benencasa Ducchi di Coreglia notaro della Curia della Vicaria ; nel secondo semestre del 1338, Vicario Muccio Franceschi, Giudice della Vicaria Vieri * da Prato, notari della Curia Angelo Serbenedetti e Iacopo da Moniardino, notaro del Comune di San Vitale Niccolao dal Cerruglio, Camarlingo della Curia della Vicaria di Pietrasanta e della Curia della Vicaria di Massa Belluc-cino Dombellinghi ; nel primo semestre del 1339, notaro del Comune di Massa Simone da Parma « cum salario, modo et ordine contentis et declaratis in « Statuto seu Ordinamentis dicti Comunis », notaro del Comune di San Vitale Niccolao dal Cerruglio, Bardino Garzoni officiale « super devetis » nelle Vicarie di Camaiore, Pietrasanta e Massa con 25 lire di piccoli al mese, da aversi da V icari e da’ Comuni suddetti per sè, un famiglio e un ronzino ; il 9 dicembre dello stesso anno fu eletto notaro della Vicaria di Massa Nello Cortevecchia, che non accettò, e in suo luogo, l’ultimo dicembre, venne nominato Pietro di Vanni Dati per il futuro semestre ; nel primo semestre del '40, giudice della Vicaria Giovanni da S. Elpidio e notaro Luporo Boninsegni della Verrucola, notaro del Comune di San Vitale Niccolao da Montecatino; nel primo semestre del '41, \ icario Puccio Fenzi di Prato, con dugento lire di piccoli di stipendio e l’obbligo di mantenere « uno equo armigero, uno « ronzino et duobus famulis », giudice Giovanni da S. Elpidio, notari Giovanni Lenzi di Pescia e Guido quondam Bonaventure di Pietrasanta. R. Archivio di Stato in Lucca. Libri di corredo alle carte della Signoria, reg. 7, 8, 9, 10 e 11. GIORNALE STORICO E LETTERARIO DELLA LIGURIA 93 che Pietrasanta e Barga (i). Massa senza dubbio seguì la sorte di Pietrasanta e fece parte di quella tempestosa dominazione, che ebbe fine il 4 luglio del '42; nel qual giorno, dopo undici mesi d’asprissimo assedio, Lucca, col suo territorio (2), divenne preda de’ Pisani (3). I figli di Castruccio, che gagliardamente si erano adoperati per essi durante l’assedio, lusingandosi che la disgraziata città avrebbe finito col restar loro nelle mani, visto che Pisa se la teneva come cosa sua, per vendicarsi, corsero da nemici la Garfagnana; poi, d’intesa con Spinetta, le scatenarono contro le armi di Luchino Visconti; e ne seguì una guerra, nella quale anche Massa fu involta e la fece mutare padrone. Luchino, ch’era cognato d’Antonio de’ Fieschi, Vescovo di Luni, (lo racconta un contemporaneo, il meglio informato di tutti) tratto con lui « di fargli prendere la guardia di Pietra-« santa e di Massa del Marchese con la gente sua. E fatto lo « trattato e messo l’ordine fra loro, M. Luchino mandò sua * gente a cavallo al Vescovo (4). Quando lo Vescovo ebbe « avuta la gente, cavalcò a Massa, e fornì la ròcca di sua gente, « e puose le insegne di M. Luchino e le suoi in sulla ròcca; e « poscia, con volontà del Comune di Firenze e per trattato < fatto insieme, cavalcò a Pietrasanta, la quale a quel tempo « si tenea per lo Comune di Firenze (5), e quella simigliante- (1) Villani G. Cronica; lib. XI, cap. 133. (2) Del perduto dominio, Firenze peraltro conservò per sè Barga, Pietrasanta, Corcglia e alcune terre della Garfagnana e della Versilia. Cfr. la pace stipulata il 9 ottobre 1342 tra il Duca d’Atene Signore di Firenze ed i Comuni di Pisa e di Lucca, edita nelle Memorie e documenti per servire all’istoria del Principato di Lucca; I, 338-348. (3) Nel secondo semestre del 1342 la Vicaria di Massa ebbe per Vicario Laberio Simonetti ; ne fu Camarlingo, Cionello Dal Portico ; e notaro, ser Michele Barellie. Del provento della Gabella fu Camarlingo Leone di Gemmo Bovi ; notaro, ser Dino ser Arrighi di Pescia. Cfr. Libri di corredo alle carte della Signoria, reg. 12. (4) Per testimonianza del Villani [Cronica; lib. XII, cap. 26], Luchino « mandò in aiuto al Vescovo di Luni milledugento de’ suoi cavalieri » sotto il comando di Giovanni Visconti. (5) Accenna a questo fatto anche il Villani [Cronica, lib. XII, cap. 24] con dire: « diessi il castello di Pietrasanta al Vescovo di Luni, acciocché « guerreggiasse i Pisani coll’aiuto di messer Luchino ». 94 GIORNALE STORICO E LETTERARIO DELLA LIGURIA « mente fornio di gente a cavallo ed a piedi con le insegne « suoi e di M. Luchino. Come lo Comune di Pisa sentìo che « ’l Vescovo avea presa la guardia di Pietrasanta e di Massa, « incontenente bandìo l’oste, e facto lo fornimento che biso-« gnava, cavalcò con secento cavalieri e con ventimila pedoni, « e puose l’oste a Pietrasanta, e quella più volte combatteo. « Lo Vescovo vedendo lo Comune di Pisa a oste, ed egli « non avea gente da potere resistere, mandò a M. Luchino « significando come lo Comune di Pisa era a oste a Pietrasanta « e che egli gli dovesse mandare gente per resistere a’ Pisani. « Quando M. Luchino seppe che la gente pisana era a oste a « Pietrasanta, incontenente ordinò di mandare M. Arrigo di « di M. Castruccio c Vallerano, suo fratello, con gente a cavallo « ed a piedi, in aiuto del Vescovo e per levare da oste la « gente pisana dal castello di Pietrasanta; e fece comandare a « ventiquattro conostabili tedeschi che dovessero cavalcare e « ubbidire M. Arrigo siccome loro generale capitano. Fatto lo « comandamento, incontenente, quanto più tosto si potèo, ca-« vaicaro, tantoché giunsono nelle parti di Lunigiana presso al « castello di Pietrasanta. Puosersi a oste presso all’oste de' Pi-« sani, per volere passare verso la città di Lucca. Gli Pisani « erano molto afforzati con molti steccati e bertesche, ed aveano « grandissima gente di pedoni e di balestrieri, e faceano sì « grande la guardia, che non poteano passare. Bene si narra « e dicesi, che’ conostabili tedeschi di M. Luchino non volsono « passare, dicendo a M. Arrigo che non voleano offendere gli « Pisani. M. Arrigo e Vallerano ripuosono lo castello loro di « Monte Giori (i), lo quale gli Pisani aveano disfatto, e quello « forniro di loro gente. Vedendo la gente di M. Luchino e M. « Arrigo che non poteano passare per la grande guardia che’ « Pisani faceano, ed erano già stati per passare tre mesi, o « presso, M. Arrigo si partìo e andò a Melano con alquanti « cavalieri, e disse a M. Luchino tutto ciò che aveano fatto. « M. Luchino si meravigliò molto perchè non erano passati, e « vuolse sapere la cagione. M. Arrigo disse che’ conostabili « della gente sua non aveano voluto offendere gli Pisani. Allora (i) Monteggiori, castello della Versilia, che Pina degli Streghi portò in dote a Castruccio, e che Lodovico il Bavaro, il 17 dicembre del 1328, assegnò ad essa Pina e a’ figliuoli. GIORNALE STORICO e LETTERARIO DELLA LIGURIA 95 « M. Luchino mandò per quelli conostabili, che erano tornati « in Melano, che fossono dinanzi a lui ; coloro v’ andarono ; « quando furono dinanzi a lui, che furono quattordici, tutti gli « fece prendere e tagliare loro la testa. Gli altri conostabili, < quando il seppono come a coloro era stata tagliata la testa, « incontenente si partirò, per paura di non venirgli alle mani. « Ora quando la gente di M. Luchino fue partita di Lunigiana, « lo Vescovo di Luni fece tregua co’ Pisani sei mesi; di che « M. Luchino, quando ciò sentio, fue molto dolente, e sdegnò « forte contra lui, perchè non gli fece a sapere neente; e stando « in tale maniera, anziché i sei mesi della trieguasi compiesse, « Io Vescovo moriò (i) ; e vuoisi dire che per lo sdegno che « M. Luchino avea preso contro a lui, lo avea fatto avvelenare; < ed alcuna gente diceano che’ Pisani l’aveano fatto fare eglino; « e quello fue openione della più gente, per quello che Pisani « feciono dopo la sua morte ». Infatti cavalcarono subito in Lunigiana « con grande gente * a cavallo ed a piedi e presono più castella, fra le quali fue * Villafranca, San Stefano, Massa del Marchese, e Lavenza, e « più altre castella ». Luchino, dal canto suo, « quanto più « tosto potèo » mandò in Lunigiana un forte nerbo di soldati, a cavallo e a piedi; i quali, « come furono giunti, puosono gli « campi loro a Villafranca, e pochi giorni vi stettono, che « ebbono la terra; poscia cavalcarono a Massa del Marchese, « e quine stettono pochi giorni, che quelli che v'erano dentro « la diedeno loro. Quando la gente di Luchino ebbono avuta * la terra, e fornita di loro gente, come bisogno facea, caval-« caro a Santo Stefano e puosono l’oste intorno al castello e « quello più volte combatterò, ed in pochi giorni, tra per bat-« taglia e per forza d’arme, vinsono la terra. Molta gente fue « morta e presa di quella di dentro. Coloro che furono presi, « furono mandati in prigione nella città di Melano. Gli Pisani « forniro Lavenza, Monte Giori, Rotaio e' I Motrone di gente < e di vettovaglia, e l'altra gente tornò tutta dentro degli stec- (i) Mori nel 1343, ma il giorno e il mese s’ignora. I canonici della cattedrale di Luni gli dettero per successore Giovanni Clerici dell’ Ordine de’ Predicatori ; nomina che non fu approvata da papa Clemente VI, che il 9 gennaio del 1344 elesse in luogo suo il proprio cappellano Agapito Colonna di Roma. g6 GIORNALE STORICO E LETTERARIO DELLA LIGURIA « cati e delle fortezze che fatte aveano, e quelle guardavano « perchè la gente di Luchino non potesse passare ». S’era questa accampata, parte intorno all’Avenza (i) e parte intorno a Rotaio, dove il 5 aprile del '44 sconfisse i Pisani, de’ quali « gli « morti e presi (secondo che si narra) furono più di cinque-« cento » (2). Fin che durò la guerra, Massa rimase in potere di Niccolò de’Fieschi conte di Lavagna (3); conclusa che fu la pace il 17 maggio del 1345, da Luchino non venne restituita a’ Pisani insieme con 1’ altre terre loro e de’ Lucchesi che teneva, ma la lasciò in potere del Fieschi, che peraltro non seppe, nè potè conservarla (4). (1) Il Petrarca, che da Avignone andava a Napoli, giunto all’Avenza, si trovò in mezzo a’ due eserciti. Lo racconta in una sua lettera al cardinale Giovanni Colonna. Ecco quello che dice : « Est inter Pisanos ad praesens « et Mediolani Dominum bellum ingens, magis ( ut vides ) de animorum fa-« scibus, quam de terrarum finibus se praebente materia. Late enim confinia « discreverat Apenninus, ut contemnatur antiquus Padi limes ; sed superbia « frenum nescit, et nullis terminis est contenta cupiditas. Dum recto tramite « proficisci vellem, haud procul Laventia exercitus ambo constiterant. Tyranno « graviter urgente, contra Pisanis Mutronem suum sumina vi tuentibus, coactus « sum apud Ericem mari iterum me credere, et Corvum, scopulum ingentem « a colore nominatum, ac rupem candidam, et Macrae ostia ac Lunam, olim « famosam potentemque, nunc nudum et inane nomen, praetervectus, nocte « concubui apud ipsum Mutronem in Pisanorum castris expositus. Per terras « absque insigni impedimento reliquum viae feci ». Cfr. Franoso Petkar-CAE Epistolae de rebus familiaribus ; lib. V, ep. 3. (2) Istorie pistoiesi ovvero delle cose avvenute in Toscana dall’ anno 1330 al 1348, Prato, Guasti, 1835; P· 4*6 e sgg· (3) Lo rilevo da un processo civile che si agitò nel '45 tra Giovanni Nicolucci di Nocchi, Cuccio Manni di Lucca, Commanetto e Puccetto libertini di Massa, Peghino Lisi di Massa, Guadagnacelo Vivaldi e Simonello Ugolino di San Vitale ; processo che si conserva nel R. Archivio di Stato in Lucca e ha questa intestatura : Continetur in libro causarum civilium Curie Vicarie Masse lunensis, facto et composito tempore Vicariatus nobilis et sapientis viri domini Nicolosii Bianchi Lavante Comitis, Vicarii Vicarie Masse Lunensis prò magnifico et potenti Domino, Domino Nicolao de FUscho Palatino et Lavarne Comite, existente notario et scriba publico Curie diete Vicarie me Michaelem Colucci de Massa notarium sub anno N. D. MCCCXLV, indictione XIII, primo sexmestri dicti anni. (4) Infatti nel trattato di pace si legge : « dictus doininus Lucchinus GIORNALE STORICO e LETTERARIO DELLA LIGURIA 97 L assegnare che fanno i cronisti il principio di questa guerra al 1343 «on è esatto. L’8 di maggio del '43 gli uomini del Comunello del Forno e del Carfaro (una delle vicinanze di Massa), radunati a generale consiglio sulla pubblica piazza (in platea de Fumo), scelsero a loro procuratore Guadagnino Di-nelli, affinchè, a nome loro, si presentasse dinanzi agli Anziani del Comune di Lucca, e specialmente a Nuccino Bottacci, che allora ricopriva la dignità di Anziano e nel tempo stesso 1’ uffizio di Vicario della Vicaria di Massa, a prestargli obbedienza e fedeltà (1). Il Comune di Lucca era divenuto una provincia Pisana, ma seguitava però ad amministrare le terre che formavano il suo territorio al tempo della perduta autonomia; e quel prestare obbedienza a Lucca, di fatto era un prestare obbedienza a Pisa, la vera padrona. L’8 di maggio, pertanto, il Vescovo Antonio de’ Fieschi già aveva cessato di vivere. Ora, se si tien conto che morì dopo fermata la tregua, e che durante la guerra i soldati di Luchino, dopo varie avvisaglie, erano stati « tre mesi, o presso », di fronte all’oste pisana, conviene concludere che la guerra fu rotta negli ultimi mesi del 1342. L anonimo autore della Cronica di Pisa (2) afferma però che nel 1344) * del mese di settembre, li Pisani andonno a oste a « Pietrasanta » contro il Vescovo di Luni ; e aggiunge « lo « giorno di S. Croce, a dì XIV di settembre, li Pisani combat-« tenno le mura di Pietrasanta, credendola avere per battaglia « e per forza, per la qual cosa dalla parte delli Pisani ve n’ebbe « non teneatur restituere vel restitui facere dicto Comuni Pisano roccham « Masse Marchionum, nec terram, seu burgum, nec vicariam ipsius terre « Masse, que tenetur per Nicholosum dei Fiescho, vel alium ; verumtamen « liceat dicto Comuni Pisano et etiam Comuni Lucano dictam roccham, « terram, burgum vel vicariam ipsius Masse quandocumque recuperare per « violentiam et alium quemcumque modum, sicut melius poterunt. Ipse do-« minus Lucchinus eidem Niccholosio, vel aliis, dictam roccham, burgum, « terram vel vicariam, tenentibus contra voluntatem dictorum Comunium te-« neatur non dare, vel prestare contra ipsa Comunia publice vel occulte, di-« recte vel per obliquum auxilium, consilium vel favorem ». R. Archivio di Stato in Pisa. Paces; rcg. 29, c. IOJ tergo e segg. (1) Archivio de’ Malaspina di Fosdinovo. (2) Cronica di Pisa; in MURATORI, Rerum Halicarum scriptores ; XV, 1014. Giorn. stor. e lett. d. Lig. II. η gS GIORNALE STORICO E LETTERARIO DELLA LIGURIA « de’ morti e de’ feriti assai. Alla fine niente v acquistonno e « da inde a parecchi giorni l’oste delli Pisani si ritornò a Pisa ». Il cronista contava gli anni alla pisana; e il 14 settembre del 1344, secondo lo stile di Pisa, è il 1343> secondo lo stile comune; ora il 14 settembre del '43 il Vescovo era morto da più mesi, dunque quell’impresa non seguì nel settembre del 43, bensì nel settembre del '42. Di più, appena il Vescovo Antonio ebbe conclusa la tregua, il Marchese Spinetta Malaspina, dal canto suo, si affrettò a pacificarsi con Pisa. « Del mese d aprile » 1344 (alla pisana, ossia 1343, secondo Io stile comune) « è fatto « pace tra Spinetta Marchese e li suoi dall’una parte e lo Co- < mune di Pisa dall’ altra parte ». Così il nostro cronista, che prosegue: « E di maggio, lo dì della Scencione di Cristo, lo ditto messer Spinetto venne a Pisa, e benché a' Pisani avesse « fatto grande danno, nondimeno li fu fatto grande onore e « graziosamente fu riceuto in Pisa ». Tutto questo avvenne realmente nel '43. Infatti il 9 d’aprile di quell’ anno, per comando de’ Pisani, si adunò a Lucca il Consiglio Maggiore ed elesse uno speciale procuratore per fare la pace con Spinetta (1). E il vecchio Marchese, benché cognato anche lui di Luchino, avendo per moglie la sua sorella Beatrice, quando il Visconti riprese di lì a poco la guerra contro Pisa, a lei si mantenne fedele. Appunto per questo, nel lodo col quale Filippino Gonzaga, per volontà delle parti, il 17 maggio del 1345, concordò insieme Pisa e Luchino, Spinetta fu il sacrificato. Non lo tollerò l’amica città, e il 27 giugno del medesimo anno Ranieri Novello conte di Donoratico, ( apitano generale di Pisa e di Lucca, « consideratis servitiis et beneficiis « quod magnificus dominus Spinetta Marchio Malaspina in gucna « que nuper occurrit Comuni Pisano cum magnifico et excelso < Principe Luchino Vicecomite, Mediolani Domino, contulit ( o-« muni prefata » ; e visto che « propter pacem nuper factam « cum prefato domino Luchino terre Vicariarum Castiglionis et « Camporeggiane Provincie Garfagnane olim predicti domini « Marchionis, quibusdam conventionibus obstantibus, ad eun-c dem dominum Marchionem et eius dominium devenire non « possint », volendo premiarlo e compensarlo « dedit et tradidit (i) Archivio de’ Malaspina di Fosdinovo GIORNALE STORICO E LETTERARIO DELLA LIGURIA 99 « eidem domino Massam lunensem et totam Vicariam ipsius, « videlicet Sanctum Vitalem, Mortetum, Antognam, Lavacchium « et I* rigidum et omnes et singulas alias villas et personas » ; di più, promise pagare ogni anno a lui e ai suoi eredi la somma di mille dugento fiorini d’oro in tre rate; con patto che qualora riavesse Castiglione e Camporgiano, cessi la pensione e sia tenuto restituire Massa al Comune di Pisa (i). Questa signoria di Spinetta su Massa è un episodio affatto ignorato dagli storici della Lunigiana, e nessuno dei genealogisti de’ Malaspina ne fa parola. III. Da più mesi Massa era in podestà di Spinetta, quando ecco che Dino Della Rocca, Vicario de’ Pisani a Lucca, manda a Pisa un’ ambasceria per far noto agli Anziani « quod in Vica-« ria Camaioris et aliis terris Petrasancte et Masse lunensis et « certis aliis terris ultra Serchium restant exigende libras M iiij « vel quasi, tempore guerre domini Lucchini et ante, debite « Lucano Comuni, et quod dicunt se non teneri ad solutionem, « vigore sententie late per dominum Filippinum de Gonzaga, « occasione salis habiti et non habiti a Lucana dovana dicto « tempore ». Gli Anziani, il 14 di novembre, deliberarono « quod « supersedeatur ad presens » (2). In que’ pochi mesi del 1343, tra la prima e la seconda guerra, ne' quali Massa tornò sotto il dominio pisano, « prò « parte aliquorum civium lucanorum habentium recipere ab ho-« minibus et personis et Comunibus seu vicineis Vicarie Masse « lunensis » venne presentata una petizione al collegio degli Anziani di Lucca, con la quale chiedevano che forzasse i mas-sesi a pagare una terza parte del debito nel prossimo « recoltu « biave », cioè il primo di settembre; non ostante « quod ex « vigore immunitatis concesse dictis Comunibus et hominibus « Masse » quella terza parte dovesse sborsarsi soltanto di lì a un anno, come il precedente collegio aveva stabilito. Dichiaravano « quod dieta Comunia et homines Masse et eius « Vicarie sunt sufficientes solvendo et bene solvere possent si (1) R. Archivio di Stato in Massa. Diplomatico; pergamena ad annum. (2) R. Archivio di Stato di Pisa. Consilia, Provisiones, ec. reg. 9, c. 29. IOO GIORNALE STORICO E LETTERARIO DELLA LIGURIA « vellent » ; chiedevano dovessero inoltre « respondere dictis « creditoribus de tertia parte fructum seu beneficii eorum pe-« cunie ad rationem librarum decem per centenarium per an-« num ». Gli Anziani però, il 29 di luglio, stabilirono che fossero obbligati « solvere et pagare cum effectu tertiam partem eorum « debitorum » il primo di novembre del 1344 > potessero « ulterius vel aliter a dictis eorum creditoribus in personis vel « rebus modo « aliquo inquietari vel molestari » (1)· Di quello stesso anno 1343 resta un frammento del Liber generalis introytns Gabelle Vicariae Masse lunensis; comincia il 17 di giugno, termina col 22 di luglio; frammento prezioso, essendo 1’ unico de’ registri arrivati fino a noi che sia scritto in lingua volgare (2). La gabella si pagava « de omnibus et « singulis mercantiis et rebus que mittuntur et extrahuntur et « deferuntur in Vicariis, et per Vicarias, et extra Vicarias », non che « de una Vicaria ad aliam, et de una terra ad aliam »; e si pagava € pro introitu et exitu » (3). S’entrerebbe in un dettaglio troppo lungo e minuto, e non riuscirebbe punto interessante, l'esaminare quello che si pagava per ciascuna mercanzia. Invece è utile e curioso il conoscere quali erano le principali mercanzie allora in uso. Nello statuto la seta tiene il primo luogo, e si distingue in cruda e lavorata. Della lavorata si rammentano i drappi, i velluti, le borse, i cordoni, i nastri. Le sete crude sono di parecchie specie e hanno una quantità di nomi : di filugello, di capitone, di bavelle, di sirichelle, ecc. Nè vi mancano i filugelli « in vermibus ». Tra’ panni si fa parola di quelli di mezzalana, « qui dicuntur Matarelle », de’ panni fiorentini, pisani, milanesi, senesi, d’Ascoli, di Volterra; non che de’ panni « telozanorum et lombardorum ». Si parla dell’oro e dell’argento lavorato a Lucca, degli orpelli e argimpelli; argento falso quest'ultimo, fabbricato a modo dell’ orpello, che si mettevano tutti c due in certe qualità di drapperie. De’ panni di lino c’ erano i no- (1) R. Archivio di Stato in Lucca. Anziani avanti la libertà, reg. 21, c. 28. (2) Ne do un saggio tra’ documenti. Cfr. quello che lia il η. IV. (3) Statuto della Gabella delle Vicarie lucchesi dell’anno MCC CLXXIIl in Monumenti di storia patria per le Prcrvincie Modenesi. Scric degli Statuti, tom. Ili, part. II, pp. 43-73. GIORNALE STORICO E LETTERARIO DELLA LIGURIA Iór strati e gli alessandrini; tra le lane, oltre la nostrale, la sar-desca, assai rozza; quella di garbo, fina e pregiata; tra le tele, la « sargia de Yrlanda, vel banchali ad sedendum, vel cortinali >; tra i lavori in cuoio, le borse, i guanti, le cinture. Il ferro non lavorato, che si estraeva dalle miniere del Forno e dell'Antona, pagava di dazio un fiorino il migliaio quando si estraeva dal territorio lucchese. Di più qualità il cacio: messinese, di Gallura, salato, cavallo. De’ pesci, oltre la tonnina e le sardelle salate, si parla di « sardellarum et cactinellorum recensium » sardine e calcinelli, ossia arselle. I marmi grezzi pagavano un soldo e sei denari ogni carrata all’uscita; « de illis qui fodiuntur « m montibus Corvarie et Vallecchie, Vicarie Camaioris et Pe-« trasancte et Masse lunensis » due soldi « de quolibet colun-« nello », un soldo < de quolibet capitello », due soldi e otto denari « de quolibet alio petio marmoris a brachio quadro in < sursum ». In uso gli orcioli, i vasi di terra dipinti e non dipinti, le pignatte dell’Elba. Di più qualità i vini: il nostrato, la vernaccia (e per vernaccia s’intendeva « quodlibet vinum Riperie « Janue »), il greco, il trebbiano, quello santo, quello corso, il vino « Noceti », dell’Elba, di Castiglione, del Giglio « et Alba-tie ». Tra le bestie da macello: l’orso e il cinghiale, il cavallo, il mulo, l’asino, il ronzino. Lungo l’elenco delle sostanze per la tintoria; lungo l'elenco delle spezierie e de’ medicinali. Pagavano poi il pedaggio, viaggiassero a cavallo, o sul ronzino, o a piedi, gli uomini di Parma, di Piacenza e di Pavia; soltanto per i cavalli e i ronzini, gli uomini di Modena, di Reggio, di Mantova e di Vallebuona. La gabella delle mercanzie che si portavano a Lucca dalle Vicarie, non si pagava nelle Vicarie, ma nella città. E la gabella poi si pagava da tutti, « ab omnibus indifferenter » ; nessuno era escluso dal pagarla, e chiunque la frodasse veniva punito, con più o meno rigore, a seconda del caso e del valore della merce. Giovanni Sforza. DOCUMENTI I. Inventario delle robe e munizioni esistenti nella rócca di Massa il io agosto del 1376. [R. Archivio di Stato in Lucca. Atti civili della Vicaria di Massa; rcg. 2, c. 3 c segg.] In nomine Domini, amen. Infrasciipte sunt res et munitiones existentes in roccha 102 GIORNALE STORICO E LETTERARIO DELLA LIGURIA et fortilitia Masse lunensis, consignate per hoc inventarium Lippo Ser Ughi, civi lucano, Castellano rocche suprascripte, per Johannem Cecchi de Corelia eius antecessorem, vi-delicet : Duo fanalia. Tabule a mensa due. Salis in duobus saccis lib. ccxxx. Pulveris pule milii et micarum panis biscocti lib. cL. Panis biscocti quasi guasti lib. cccxxvj. Panis biscocti novi et boni et recentis lib. Dcxviiij. Libre ottocento sexaginta farine grani aburactate bone. Libre quingente xxxiiij farine grani bone et recentis aburactate. Staria decem milii boni. Staria quadraginta et dimidium milii et panici in simul misti. Staria octo fabarum, que sunt in uno arcibanco ; in eo videlicet quod inscripte ad iij ucellos. Staria xxv grani. Staria xx farine castaneaccie tristris et putride. Balistre cum cordis tres et tres crocchi. Corasse veteres et tristes quinque. Elmi sex tristes et veteres. Cassa una piena verrectonum. Olei in duabus brocchis lib. tres. Unus saccus. Trivelle tres. Sacchi veteres et tristes xix. Palum unum ferri cum texta fissa seu scissa ponderis lib. xxv vel quasi. Aceti in una vegete barili x. Tres mezine porci putride. Quatuor massafrusta. Unum arcone, in quo est milium et panicum mistum et biscoctus novus, ad duos ucellos. Arcibancum unum ad tres ucellos. Unum molendinum machinas. Staria xxj farine castaneaccie putride et tristes existentes in uno scrineo. Martellum unum grossum ferri Una banneria balsana ad arma, Lucani Comunis. Unus funis que dicitur porta et vega. Unus confinellus. Una lanterna ossis. Una veges tenens xviij barilia. Unum arcibancum ad duos ucellos. Unum scrineum sine tegimine, in quo est farina castaneaccia. Unum tinellum in quo est farina de qua supra fit mentio. Unum tinellum stipule veteres Lxxiij. Fasces lignorum comburendorum vetererorum Lxmj, que ligna prima non erant numerata, sed de mandato prudentis viri Johannis Anguille, Vicarii Masse, fuerunt numerata et conderata in turricella procintus. Baliste quatuor. Casse due verrectonum plene. Massafrusta quatuor munita. Unum scrineum de castaneo teneris staria xxv. Una veges neapolitana teneris barilium xij. Unum scrineum de castaneo teneris staria xvj. Una cassa de castaneo teneris staria xj. GIORNALE STORICO e LETTERARIO DELLA LIGURIA 103 Lanterne due ossis. Duo fanalia ferri. Stomboli quinquaginta. * Baliste sex cum cordis. Crocchi septem. Corassine quatuor. Cervilliere sex. Paluin unum ferri ponderis librarum xxnj vel quasi. Massafrusta quinque munita. Unum massafrustum sine basta. Unum fanale. Unum martellum. Una ascia. Tres casse quasi piene verrectonum. Una banneria stamine tristis facta ad arma Lucani Comunis. Unum barile dovarum cum fundo tristi. Verrectoni centum quatuor. Una serrecta parva. Tres trivelle, videlicet una magna et due parve. Libre quinquaginta et media salis. Una securis ferri. Una girella et unum canapum. Pali lignaminis quercus appuntati et arsicciati in puncta trecenti. Una banca grossa cum mj picciolis brachiorum trium. Centum vigiliti fasces lignorum novorum comburendorum missi et positi in dicta for-lilicia de mense iulii vel augusti A. MCCCLXXvj per homines Masse. Item, Johannes Cecchi suprascriptus dedit, vendidit et consignavit Lippo sipra-scripto staria decem farine, quam ipse Johannes habebat et retinebat in roccha per se et sotiis, ut tenebatur. Et quas res suprascriptas omnes suprascriptus Lippus castellanus fuit confessus et publice guarentavit eidem Johanni Cecchi, presenti et interroganti, habuisse et recepisse et sibi Lippo a dicto Johanne Cecchi consignate esse, renuntians exceptioni rei sic non geste et dictarum rerum non consignatarum et doli mali et actioni in factum, etc. Insuper suprascriptus Johannes Cecchi dedit et tradidit et consignavit eidem Lippo Ser Ughi castellano novo, presenti et recipienti pro Populo et Comuni Lucano, dictam roccham et fortilicia eiusdem que pertinent et munitiones omnes, ac claves dicte rocche; de quibus omnibus suprascripti Johannes Cecchi et Lippus rogaverunt me Johannem notarium infrascriptum ut deberem conficere publicum documentum. Actum in roccha et fortilicia suprascripta, presentibus Jacobo quondam Arrigaccii Castagnaccii et Benedicto Curradini Savinelle, lucanis civibus, testibus ad predicta vocatis et rogatis, anno nativitatis Domini mccclxxvj', indictione xmj, die x augusti. [L. S.] Ero Johannes ser Ursi Barzellocti de Luca notarius. II. Brani del pin antico registro de* Proventi della Camera di Lucca, riguardanti Massa di Lunigiana. [R. Archivio di Stato in Lucca. Proventi; rcg. i, carte 2, 18 e 23]. In Xpi nomine. Liber generalis omnium Proventuum et Introytuum Lucane Camere ordinariorum et extraordinariorum, affictatorum et non affictatorum videlicet ut inferius continctur, de tempore in tempus et de mense in mensem. Incipiendo, pro maiori parte, in medio novembris de MCCCXXXV, continuando usque ad kalendas aprilis in MCCCXXXVI. GIORNALE STORICO E LETTERARIO DELLA LIGURIA Proventus Vicarie Masse Lunensis possidetur per dominum Petrum de Rubeis et dicitur quod Lucanum Comune solitum erat percipere de eo quolibet anno tam de Gabella, quam Tallia librarum —^ et Sale et omnibus aliis florenos M yjjj auri. Proventus Doane Salis continetur in se salem quod venditur ad minutum in Doana Lucana ad rationem, etc. de quo nullus civis est astrictus ad accipiendum pro impositione. Et valet dictus Proventus Salis quod venditur ad minutum in anno, detracta mercatione Salis, libras — —parvorum. Item, continetur in se impositionem Salis quod A. VII datur Comunibus villarum et usque nunc datur bis in anno incipiendo de mense iulii usque ad kalendas ianuarii. Sed hoc anno non fuit datum in kalendis ianuarii quia M C sal non erat 111 campis et potest valere in anno de bono et equo lib. yj Pai~ vorum, detracta mercatione salis. Et non computata impositione Vicario Corellie que * C ... consueta erat accipere quolibet anno staria M qqqq lxviii salis, nec impositione Vicarie Masse que consueta erat accipere quolibet anno staria MLxvmj, nec impositione terre C burgi Petresancte que consueta erat accipere in anno staria lxxxvij' salis. M Introytus Tallie librarum et Peditum Comunium Sex miliariorum et Vicaria- rum ac etiam custodie Rocche Masse Lunensis et terrarum Vicarie Vallis Ariane debet M C esse singulo mense librarum yj-jy -^y lviij, solidorum xvj, denariorum v. Licet solva-M tur dicta Tallia per Vicarias singulis tribus mensibus et per Comunia Sex Mi- liariarum singulis duobus mensibus et Tallia peditum singulis duobus mensibus. Computando Vicarias Petrasancte, Masse Lunensis, Corellie et Castillionis que ad presens non respondent, videlicet quedam quia concesso per gratiam et quedam propter rebellionem. In sex mensibus videlicet novembris, decembris, ianuarii, februarii, martii et aprilis proxime preteritis Camerarius Comunis exegit tantum lib. —--lxxv, sol. V, XV VII den. III. Et cause fuerunt iste quia dominus Petrus de Rubeis habuit in se quos consignavit M aliis personis lib. — C VI, sol. XVIIII, den. II parvorum. Et computata etiam Vicaria Masse Lunensis, que spectat ad eum, que est lib. MCCCXLIIII, sol.X, den. VII parvorum in sex mensibus predictis. Et propter Vicaria Corellie quam possidet Franciscus Castracanis, que est lib. M — cclxxxxv, sol. XIIII, den. I parvorum 111 dicto tempore sex mensium. Et propter Vicaria Petrasancte quia tempore preterito non fuit ad obedientiam, que M C est lib. — χχι> sol. X, den. XI in dicto tempore sex mensium. Et certe ville sunt quibus facta fuit imunitas propter guerras et incendia illata ab inimicis a quibus non debuit fieri exactio aut de toto aut de parte ab aliis vero pre-paratur fieri exactio de die in diem. Et propter Vicaria Castilionis quam possessa fuit et possidetur per dominum Mar-chionem pro parte. GIORNALE STORICO E LETTERARIO DELLA LIGURIA 105 ili. Elcnco de registri delle Gabelle della Vicaria di Massa del secolo XIV, esistenti nel R. Archivio di Stato in Lucca [Gabelle del contado e delle Vicarie; reg. 38-43]. a) Libei introytus denariorum perceptorum de Gabella Vicarie Masse Lunensis...... per Matheum Squarcialupi Gabellarii diete Gabelle...... tempore magnificorum Domino- rum Della Schala, existente notano diete Gabelle Thomasino Clavarii, sub anno N. D. M.CCCXXXvj. In 4.° di c. 23 7i. n., delle quali le ultime io bianche. Comincia il 15 di viaggio e termina il 7 di luglio. b) Memoria denariorum perceptorum per Matheum Squarcialupi Gabellarium Gabelle Masse Lunensis, sub anno N. D. Mcccxxxvj, sub datalibus infrascriptis. Vacchetta di c. 10 n. n. Comincia col 15 e termina col 31 di maggio. c) Frammento senza titolo. In 4.0 di c. 22, con questa numerazione : 3-6, 11-15, 24-27, 36-40 e 45-48, delle quali 11 bianche. Và dal /7 giugno al 22 luglio 1343; ed è scritto in volgare. d) Iste est liber crediti de rebus extrahordinariis pervenientibus et proveniendis in terra Masse Lunensis ad solvendum gabellam de predictis ad opus Lucani Comunis, factus, compositus et ordinatus tempore discreti viri Chelluccii Ugolini de Luca Camelarii dicte Gabelle Masse, et scriptus per me Joannem Simonis, notarium dicte Gabelle, Gabellarium et officialem dicte Gabelle, ad dictum officium exercendum pro Lucano Comuni, incipiendo anno N. D. Mccclxviiii, indictione vij, die XV mensis may, et finiendo per totum mensem decembris, indictione vnj. In 4.0 Il solo frontespizio. e) Hic est liber crediti ac etiam totius generalis introytus Gabelle Vicarie Masse Lunensis, Lucani Comitatus, mensium septem, inceptorum die prima kalendarum decembris anni Nativitatis Domini McccLXxxxvnj et finitorum ultima iunii anni Nativitatis Domini millesimi trecentesimi nonagesimi noni, indictione septima, existente Gabellario et Camerario dicte Gabelle pro magnifico Populo et Comuni Lucano et etiam pro se ipso, pro parte ad eum spedante, provido viro Bartholomeo ser Stephani de Massa Lunensi, scriptus et ordinatus per me Johannem filium quondam Nicolai Nesis de Luca notarium et nunc pro dicto Populo et Comuni Lucano notarium dicte Gabelle Vicarie Masse predicte. Que quidem Gabella exigitur in Comuni Masse Lunensis, in aptheca domus ipsius Bartholomei Camerarii, posita in Vicinea dicta Bagnara, iuxta lodia Curie dicte Vicarie, et coheret a tribus partibus viis publicis et ab alia domui ser Francisci ser Stephani de Massa notarii, vel si melius confinetur, etc. In 4.0 di c. III numerate, delle quali /7 bianche. f) Hic est liber crediti generalis Gabelle Vicarie Masse Lunensis, Lucani districtus, ultimorum sex mensium anni N. D. McccLxxxxvmj, indictione vij, usque ad kalendas septembris et ab inde in antea, indictione octava. Existenti Vicario predicte Vicarie pro magnificho et potenti Lucano Populo et Comuni, nobili et circumspecto viro Jacobo quondam Francisci Sbarre de Luca, et esixtente Camerario et proventuale dicte Gabelle pro dicto tempore prodenti et discreto viro Bartholomeo ser Stefani de Massa predicta ; factus, compositus et ordinatus per me Giarinum Taluccini Nutini, notarium, Iu cami m civem et nunc dicte Gabelle pro dictis Lucano Populo et Comuni notarium et publicum scribam, ut infra continetur, etc. In 4.0 di c. 50, delle quali 38 bianche. g) Hic est liber generalis introytus Gabelle Vicarie Masse Lunensis, Lucani districtus, ultimorum sex mensium anni N. D. McccLxxxxvmj, indictione vij, usque ad kalendas septembris et ah inde supra, indictione vnj. Esistente Vicario predicte Vicarie pro magnifico et potenti Lucano Populo et Comuni nobili et circuspecto viro Jacobo quondam Ιθ6 GIORNALE STORICO E LETTERARIO DELLA LIGURIA Francisci Sbarre de Luca; et existente Camerario et proventuale diete Gabelle pro dicto tempore prudenti et discreto viro Bartolomeo ser Stefani de Massa predicta ; factus, compositus et ordinatus per me Giarinum Taluccini Nutini, notarium, lucanum civem et nunc diete Gabelle pro dictis Lucanum Populo et Comuni notarium et publicum scribam, ut infra continetur et scriptum est. In 4.0 di c. 81 numerate, delle quali 32 bianche. h) Hic est liber crediti generalis Gabelle Vicarie Masse Lunensis, Lucani districtus, primorum sex mensium anni N. D. Mcccc, indictione vnj. Existente Vicario nobili et circumspecto viro Sancto quondam Filippuccii de Falabrinis de Luca Vicarie Masse Lunensis infrascripte prò magnifico et potenti Lucano Populo et Comuni. Et existente Camerario et proventuale diete Gabelle prò dicto tempore prudenti et discreto viro Bartholomeo ser Stefani de Massa Lunensi ; factus, compositus et ordinatus per me Guarinum Taluccini, notarium, lucanum civem et nunc diete Gabelle pro dictis Lucano Populo et Comuni notariam et publicum scribam, ut infra continetur et scriptum est. In 4.0 di c. 25 manerate. i) Hic est liber crediti denariorum Gabelle Vicarie Masse Lunensis, Lucani districtus ; factus compositus, scriptus et ordinatus per me Marcum quondam Coluccini quondam Landi de Savinis de Luca, notarium, et nunc notarium, officialem et publicum scribam Gabelle Vicarie Alasse Lunensis, per magnificos Dominos, Dominos Anthianos et Vexilliferum Justitie Populi et Comunis Lucani ad dictum officium deputatum pro secundis sex mensibus anni Mcccc, indictione vnj, usque ad kalendas septembris et ab inde in antea, indictione vmj. Existente Camerario generali dicte Gabelle discreto viro Bartholomeo ser Stefani de Massa Lunensi, tempore nobilis et circumspecti viri Petri quondam Macthei de Bernardinis de Luca honorabilis Vicarii pro dicto magnifico Populo et Comuni Lucano dicte Vicarie Masse Lunensis pro dicto tempore, ad dictum officium specialiter deputatum. In 4.0 di c. 50 numerate, 28 delle quali bianche. k) Hic est liber generalis introytus Gabelle Vicarie Masse Lunensis, Lucani districtus, primorum sex mensium anni N. D. millesimi quatuorcentesimi, indictione octava; existente Vicario predicte Vicarie, pro magnificho et potenti Lucano Populo et Comuni, nobili et circumspecto viro Sancto quondam Filippuccii Falabrine de Falabrinis de Luca ; et existente Camerario et proventuale dicte Gabelle, pro dicto tempore, prudenti et discreto viro Bartholomeo quondam ser Stefani de Massa predicta ; factus, scriptus, compositus et ordinatus per me Giarinum Taluccini Nutini, notarium, lucanum civem et nunc pro dicte Gabelle pro dicto Lucano Populo et Comuni notarium et publicum scribam, ut infra continetur et scriptum est. In 4.0 di c. 8ot delle quali 22 bianche. IV. Brani del registro della Gabella della Vicaria di Massa, delVanno 1343· scritto in lingua volgare [R. Archivio di Stato in Lucca. Gabelle del contado e delle Vicarie ; reg. 38]. A di x Giungno. Da Francesco Bertucci da Massa per stara I quarra I di pane Lb. — s. nj d. vmj b. (*) A di xj Giungno. Da Gemma da Morruccio da Massa per stara I e 1/2 di pane venduto a minuto.........Lb. — s. nij d. — b. Da Tozo Jovanni da Massa per stara x quarra I di pane venduto a minuto..........Lb. J s. x d. vmj b. (*) Lb. significa libre, s. soldi, d. denari, b. buoni, cioè di buona moneta. GIORNALE STORICO E LETTERARIO DELLA LIGURIA 107 Da Manfrea moglie che fu di Marchezello per stara I 1/2 pane Lb. — A di xvij Giungno. Da ser Pietro da Pietrasanta per un arato da Massa a Pietrasanta . T , >···.. Lit). — A di xvnj Giungno. Da Vannello da Pietrasanta per uno tino di tenere di staja lx porto a Pietrasanta. . .......Lb — A di xvmj Giungno. Da Martino da Pietrasanta per una nacchatella di stima di Lb. — Da monna Bella del Duglia per fila j di cacio messanese . Lb. — s A di xxj Giungno. Da Fiancesco Garin i da Massa paghò per stara vnj vino vermiglio venduto allo chanto al dicto Francesco e ditracta la parte dei fanti lo qua portava Muccio Micheli da Sare-zana porta contra diritto . Da Choluccio chaciajuolo per soma J aceto porto a Pietrasanta ' la Riccobuono dalla Chappella San Martini per albuoli potati regiiò a Massa...... Item, per b. xij borraccio........ Da Andruccio Gualtieri da Sarezana porto soma J di vino vermiglio di stara mj........ A di xxx Giungno. A Petro Nutini, lo quale dimora a Massa, per fila x di chacio messanese, lo quale reghò da Pisa a Massa Item, per certe merce stimate Lb. xxv s. xv b Item, per libre xl di funi delba e libre xvmj di funi di cha- nape e libre c di minussame.......Lb. _ s Lb. — s. 1 itulo pane che si vende a minuto a di xvnj Giungno. Donna Margharita moglie di Luporino Pucci fornaia per stara ij e 1/2 pane.........Lb. _ s Donna Bella moglie del Dugha per stara mj di pane venduto a minuto a libre Lxj........Lb. _ s Da Giambuono Salvi da Massa per stara xij 1/2 di pane venduto Lb. 1 s. Da Puccepta moglie di Moncello da Massa per stara mj e 1/2 di pane...........Lb. — s A di Iij Luglio. A Taluccio Celli da Massa per libre vnj di choiame concio . Lb. — s A Orso Guillielini da Montetignoso per vmj di barachano . Lb. — s A di vij Luglio. Da Francescho Nessi da Pisa per libre CL di barachano reghò da Cliarrara a Massa........Lb. ij s. A di x Luglio. A Michele da Bargona per uno porcello comprato da Manfredo di Marchezello stimato libre iij soldi x Lb. — s. Lb. I s Lb. — Lb. — Lb. — Lb. — ! Lb. mj Lb. mj Lb. J s. s. mj d. vj b. s. J d. ij p. (*) s. xij d. j p. s. iij d. ij p. . xvmj d. mj p. . ij d. vj p. s. ij d. vnj p. s. ij d. v p. s. — d. xj p. 3. ij d. vnj p. b. s. xvj d. vnj p. . — d. vnj p. i. ij d. ij b. ij d. vij p. i. vij d. vj b. . xij d. — b. xiv d. vj b. . xnj d. v b. . ij d. — p. . J d. iij p. vnj d. mj p. ij d. x p. (*) L’abbreviazione fi. vuol dir piccoli, cioè di piccoli. IOS GIORNALE STORICO E LETTERARIO DELLA LIGURIA A Martino Ulivieri condannato di facto per ferro sodo portava al Frigito verso Marina senza licentia . . . Lb. J s. mj d. x p. dietracta la metà a’ fanti chello trovaro. A Francesco Vessi da Pisa per braccia mj panno stimato libre mj e per braccia vj mezzalana mandò a Charrara per s. mj buoni.........Lb. — s. mj d. xv p. A di xj Luglio. A Puccepto da Carrara per libre xvj ferro lavorato soldi J denari vj buoni . ......Lb. — s. J d. x p. A di xnj Luglio. A Martino Corsi da Pietrasanta per uno tino vecchio di stara xnj portò a Pietrasanta soldi vij [buoni] .... Lb. — s. vnj d. mj p. A monna Bella del Dugha per mezza soma di sosine . . Lb. — s. J. A Pericciuolo da Ortola da Massa per ij pelli di beccho . Lb. — s. — d. vj. A Vegnutello di Veganto da Vessano per soma J prungne e mela............Lb. — s. J. A di xvnj Luglio. A Nese Garini da Massa per soma di vino .... Lb. — s. ij d. vnj p. A Petro Nuti da Pescia, lo Quale sta a Massa, per fila xmj di cacio messanese mandò messer Rosso da Genova, dal Lavenza a Massa libre vmj soldi xij [buoni] . . . Lb. xj s. xij p. LA COMPAGNIA DEL MANDILETTO IN GENOVA. La storia di questa Pia Opera si trova racchiusa nei documenti confidati ad un vecchio codice manoscritto che esisteva nell’archivio della Compagnia, ed ora è depositato nell’Archivio Municipale di Genova (i). (i) Questo codice è cartaceo, di mm. 195X270: rilegato in tavola coperta di vacchetta bruna con filettature a mano e riquadro con ornati impressi a secco sulle due faccie esterne e con cantonali e borchie in ottone. Le carte sono numerate dall’ 1 al 50, essendo escluse dalla numerazione le due prime bianche di risguardo e 1’ ultima, essa pure, in origine, di risguardo, sulla quale venne poi trascritta la continuazione dell’ indice. Le carte dall’ 1 all’ 11 portano gli antichi capitoli della Compagnia, scritti in goticello della fine del sec. XVI. La prima carta-recto porta sul contorno un fregio di fiori ad acquerello. In alto, entro la lettera capitale D, è dipinta, del pari ad acquerello, la impresa della Compagnia, raffigurante un Ecce Homo in mezzo alla Vergine e ad un santo. Queste decorazioni non hanno alcun pregio artistico. Le altre pagine non hanno decorazioni ad eccezione delle lettere capitali di intestazione dei singoli capitoli, che sono alte, di color rosso, con piccoli fregini neri. Nei margini alcune brevi annotazioni in corsivo che appaiono d’epoca posteriore. La carta 12 è bianca. Seguono nelle carte 13 a 18 i nuovi capitoli del- GIORNALE STORICO E LETTERARIO DELLA LIGURIA IOÇ Questo Codice comincia così: IN NOME DELLA SANTISSIMA TRINITÀ AUTRICE, E D’ OGNI NOSTRO BENE FONDATRICE. Desiderando di sorchare questo periglioso mare di questo mondo con qualche santa opera, accioche con quella se reduchiamo alla fine dei nostri giorni nel quieto porto della beata patria, veghando massime con li spirituali ochij molta sumersione in quello de’ fratelli, vagabondi, che par mancamento de esseicitij spirituali fanno naufragio. Et havendone nostro signore illuminato dell inventione de uno che resta per seculare lo più prossimo a sua divina maestà, per contenere in lei tutto quello, che nel finale giuditio del Signore ne venira domandato. Per ciò col suo santìssimo favore procuraremo varcar detto mare con una nave, che sotto metaffora spirituale intenderemo la compagnia del mandillo, che così chiameremo, la presente da noi in appresso instituenda, dedicandola a portar provigioni spirituali, e temporali a poveri infermi della città nostra. In la quale nave tutti noi come suoi marinari procureremo ridurla per nostra e per 1 altrui salute a buon porto, e si come in le navi materiali se gli sale per doe scale, cossi faremo noi in questa, una delle quali sarà buoni, e santi 1 anno 1601, col decreto di loro approvazione da parte del Senato, in data 21 Novembre 1601, firmato Andreas Costa Cancellarius et Secretarius, il tutto di un bello e nitido corsivo, che pare di mano dello stesso cancelliere Costa. Nelle carte 18 a 44 sono trascritti i ricorsi fatti dalla Compagnia al Senato, dal 1601 al 18 Maggio 1688, per avere confermati o modificati i suoi capitoli, o per avere approvate le nomine dei Superiori, o per provocare quella del Presidente, coi relativi decreti originali del Senato. Il verso della carta 44 è bianco. Nelle carte 45 e 46 sono trascritti nel 1827 1 estratto dei Registri del Banco di S. Giorgio ed il nome dei nove confratelli superstiti della peste del 1657, ricavati dal libro degli Ordini della Compagnia : nonché la annotazione della inscrizione di questo Codice nel-l’inventario della Compagnia. Le carte 47, 48 e 49 sono bianche. Nel recto della carta 50 è riportata per copia la nomina del Presidente della Pia Opera in data dell’11 Settembre 1731. Nel verso di questa e nel recto della seguente di risguardo non numerata è l’indice dei diversi capitoli e decreti contenuti nel codice fino alla carta 28. Questo codice si conservava nell’Archivio della Compagnia, posto nel suo oratorio. Qualche anno fa, a fine di ovviare al pericolo di deperimento per l’infelicità del locale, e di dispersione ed anche per renderlo più accessibile agli studiosi, si deliberava fame ima copia accurata e consegnare l’originale al Municipio, perchè sia depositato e custodito nel suo Archivio. Il che venne fatto coll’ Assenso dell’ Autorità Municipale. HO GIORNALE STORICO E LETTERARIO DELLA LIGURIA costumi proprij, e 1’ altra visitatione de infermi, con quelli caritativi exordij che il signore ne somministrerà, nelli quali se presuponeremo vedere 1 istesso iddio, cossi havendosi per le evangeliche sue parole promesso. E di gratia fratelli siamo conrispondenti a tanta, e tale vocatione. Sicuri che tutte le nostre fatiche et oppobrij ne saranno pagate de premij eterni, dandosi luogo, con i continui e buoni essempli a riconoscere tanta gratia della ellettione nostra fra tanto numero di persone, che privi ne sono, che aguagliar si possiamo alle otto anime salve in l’Arca al tempo dell' universal diluvio, e per corrispondenza di questo. Otto vogliamo che siano li officiali, che governino, et ornino la compagnia nostra; il numero della quale non eccederà quaranta, e sarà intitolata della pietà di santa Maria de castello, perchè in quel santo luogo hebbe origine il giorno della circuncisione del nostro signore gesu cristo, dell’anno millequattrocento novantasette. — Et in prima non vogliamo che li presenti nostri capitoli obblighino li fratelli a peccato alcuno mortale, ne veniale, ma si bene a psalmi, a pellegrinationi, per sino a miglia cinque lontano dalla città, et ad ogn’ altra penitenza consueta a superiori. Nessun nome, nessuna data, segue in calce a questa dichiarazione, per dirci chi la redigesse e quando, nè chi fosse quel se.culare, promotore di quella prima adunanza che si ebbe a Santa Maria di Castello, il i° di Gennaio 1497, dalla quale si ripete l’origine della Compagnia; ma è pacifico che questi fu quell’Ettore Vernazza, Notaro, che dotò Genova di tanti istituti di beneficenza a sollievo di ogni umana miseria, e, non solo Genova, ma e Roma e Napoli scaldò al fuoco della sua canta evangelica. Non esistono, 0 quanto meno non pare siano venuti in luce finora, documenti coevi a provarlo, giacché nonne trovai traccia nelle ricerche che feci in proposito nel piccolo Archivio della Compagnia, e non ne citano gli avvocati Gerolamo Del Re e Giovanni Noce, che nel Giugno 1862, a richiesta della Compagnia, redassero un parere in risposta alle pretese della Deputazione Provinciale di Genova, che voleva sopprimere quest’opera per incorporarla nella Congregazione di Carità. Ma la Compagnia ha ab immemorabili il pacifico ed assoluto possesso di un oratorio 'con annessa sacristia sotto la chiesa di S. Colombano, che fa corpo col fabbricato dell’Ospedale dei Cronici, fondato, come è noto, dal Vernazza, ed é tradizione che questo locale le venisse assegnato dal Vernazza stesso, perchè vi tenesse le sue adunanze, come fa tutt’ora; e in questo oratorio è collocato un busto del Vernazza, e pel Vernazza in GIORNALE STORICO e LETTERARIO DELLA LIGURIA ogni adunanza delia Compagnia si fanno speciali preghiere, prescritte da’ suoi riti. In calce a detto codice poi, sotto la data del 30 ottobre 1837, si trova trascritto d ordine dei « Signori Superiori della Venera 1 e Compagnia del Mandilletto, Cavaliere Giovanni Quartara, Priore, ed Antonio Cerruti del Cavaliere Marcello, Sottopriore, ».... un « giro fatto nel Cartulario originale S. L. delle già Compere di S. Giorgio dal fu Benedetto Toso, Notaio Colleggiato di Genova l’ anno 1666 » nel quale è detto che « Confraternitas, el Mandiletto sive della Crocetta (i) cuius Confratres congre-gantur in corum antiquo oratorio posito sub Ecclesia Sancti Columbani Genuae..... fuit instituta anno 1497 per Nob. Virum nostrum Civem Hectorem Vernatiam Notarium, hominem ad glotiam natum, ut eius praeclara facta hic Genuae et in aliis Italiae civitatibus clare demonstrant ». E poiché questa trascrizione fu ordinata « all’effetto di comprovare la data della istituzione della Compagnia.... affine di conservarne eterna la memoria », devesi ritenere che documenti pubblici più antichi non si conoscessero dai quali questa istituzione sia dichiarata (2). Alla sui riferita dichiarazione in capo al codice seguono immediatamente i capitoli delle regole della Compagnia in numero di ventiquattro, tutti, ad eccezione del xxi e del xxn, scritti, al parere, dalla stessa mano ed alla stessa epoca. Il primo che porta una data è il xv che si conchiude colle parole seguenti: « E questo ordine è stato fatto il secondo dì di Ottobre del 1547 a gloria de Dio e stabilimento della compagnia nostra », onde (1) In nessun altro documento della Compagnia ho trovato questa denominazione della Crocetta, nè alcun cenno che ne dia ragione. (2) Da quanto scrive l’Accinelli parrebbe che l’Opera del Vernazza più che alla fondazione di un’ Istituzione affatto nuova mirasse alla riorganizzazione ed all’ampliamento di una Istituzione preesistente. Infatti nella sua Liguria Sacra, manoscritto presso la Biblioteca Civico-Beriana di Genova, a pag. 98-99 del Vol. II si legge: « ....la Compagnia del Mandiletto, della quale ve ne ha memoria sino dal 1430, col nome di Ufficiali di Misericordia del Natale, come dice il Roccatagliata, rinnovata poi ne’ tempi di Ettore Vernazza.... Detta opera chiamasi non solo del Mandiletto, ma anco de’ Moistretti ». Di questo fatto però, e di questo nuovo nome non trovai traccia in alcuno degli atti della Compagnia, nè in altri documenti. I I 2 GIORNALE STORICO E LETTERARIO DELLA LIGURIA pare che a questa data debbasi riferire lo stabile assetto dato alla Compagnia, dopo cinquanta anni da che essa esercitava nella città la sua caritatevole azione. Sembra tuttavia che questo codice sia non il primo originale, ma una copia di esso, fatta a mio avviso nell’anno 15^9- Infatti tutti i capitoli seguenti, fuorché il xvm ed il xxiii che non hanno data, portano una data distinta, che va in ordine progressivo ascendente fino al 15 Agosto 1585, che è del xx; salta rispettivamente al 4 Dicembre 1594 e al i° Agosto 1598 nel xxi e nel xxii, e torna indietro agli 11 Giugno 1589 ne' capitolo xxiv. Ma qui si osserva che i due capitoli xxi e xxii appaiono scritti d’altra mano e con inchiostro diverso, mano che tentò di imitare quella che scrisse il rimanente, ma con risultato men bello d’assai: mentre nei due ultimi capitoli ritorna la stessa mano e lo stesso inchiostro dei primi. Inoltre r due ultimi capitoli non contengono più regole per la Compagnia, ma il xxiii tratta « Della promissione fatta dal Reverendo Abbate di santa Catterina, per le messe che si hanno a celebrare per la nostra compagnia » ; e il xxiv è intitolato : « Per quello, e quanto che se gli ha da dare per elemosina per 1’ ante detto obligo per le messe » ; e, mentre negli altri capitoli 1’ addiet-tivo numerale che ne designa l'ordine è in tutte lettere di carattere analogo e di scrittura contemporanea a quella dei relativi capitoli, e in ispazio comodamente sufficiente, in questi ultimi due sono invece premuti in ispazio non adeguato, scritti in cifre arabiche, di inchiostro e carattere diversi da quelli della scrittura dei capitoli, e piuttosto conformi a quelli della seguente parte del Codice, di qualche anno posteriore. Se si consideri da ultimo che il cap. xxiii porta in calce la firma autografa dell’ abate contraente Don Honorato Spinola, onde non parrebbe ammissibile che la loro trascrizione nel Codice fosse di data posteriore a quella indicata per la stipulazione, par lecito arguire che questo codice fosse, fino al capitolo xx incluso, trascritto da altro più antico, e ciò in sul principio dell’anno 1589; che in quell’anno facendosi la Convenzione coll’Abate di Santa Caterina, questa si trascrivesse nel Codice in seguito ai capitoli delle regole, lasciando due facciate in bianco e omettendo la numerazione dei capitoli, perchè questa convenzione era cosa da essi distinta. Qualche anno, dopo sta- GIORNALE STORICO e LETTERARIO DELLA LIGURIA I 13 bilitesi due nuove regole (1594 e 1598), parve opportuno trascriverle nelle due facciate rimaste in bianco, seguendo la numerazione dei capitoli. Fu ancora più tardi che qualche zelante mise i numeri suddetti ai due capitoli della convenzione coll’abate Spinola, e questo forse, a giudicarne dal carattere, nel 1601 quando si compilarono le riforme trascritte nella seconda parte del Codice, se si ha da arguire dalla somiglianza dei caratteri. E interessante spigolare in questi capitoli, a studio dei costumi di quell epoca e a dimostrazione della serietà che i nostri avi mettevano nel fare opere di carità. Il capitolo primo tratta « della ellettione delli superiori et officiali » e premette che « la vigilanza è sempre laudabile in tutte le attioni nostre, massime in quelle che vertano al culto divino, per onde giudichiamo sia necessarissima in la ellettione delli superiori della compagnia nostra. Percio sara bene per molti giorni prima imponere qualche orationi publiche e private a questo fine, che Iddio proveda di persone atte, per conservare et augumentare detta compagnia nel suo santo servitio » : quindi prescrive « che ogni anno la dominica seguente alla Epif-fania » congregati i fratelli, previe le opportune preghiere, si leggano « fra li superiori e consiglio li nomi di tutti li fratelli, fra li quali se ne farà scielta de dodici, con essortatione per lo superiore a fratelli concorrenti in la nominatione che li nominandi abbino quelle parti di antichità e spirito, che sono necessarie a tanto pezo. Fatto questo si publichino a tutta la compagnia, detti dodici promovendi, facendosi anco un poco di essordio per il superiore a tutto il corpo della compagnia intorno alla buona elettrone, che finita si ponghino ad uno ad uno sotto calchuli, facendo appartare quello sopra il quale cadarà la ballatura, a fin che non si desse balla per errore, e che li restanti elettori quando gli occorressi cosa di lui per quale fusse indegno di tal carico potessero liberamente dirlo ». Chi ha * maggior numero di voti favorevoli resta eletto priore, chi gli vien dietro sottopriore. In caso di parità di voti si procede per estrazione a sorte. Seguono negli altri capitoli le prescrizioni circa alle norme alle quali debbono attenersi i fratelli per informare la loro vita allo spirito di carità e di pietà cristiana, e circa alla nomina dei nuovi fratelli, e particolarmente le istruzioni sul modo da Giom. slor. e luti. d. Lig. II. 114 GIORNALE STORICO E LETTERARIO DELLA LIGURIA seguirsi per raccogliere e distribuire le elemosine, scopo precipuo della istituzione. Nei capitoli dal n al x si prescrivono i suffragi da farsi « in la morte particulare d'ognuno de noi fratelli o nostre mogli » ; e si inculca ai fratelli Γ obbligo di essere assidui alle pratiche religiose dell’ascoltar la messa e del confessarsi e comunicarsi e fare altre determinate preghiere, di mantenere corretto contegno in chiesa; e si vieta « de biastemare. nè il nome di nostro signore Giesu Cristo nè della Madonna santissima o altri santi » e di giocare « a carte o dadi dalla santa chiesa vietati, o..... a tali giochi stare a vedere » e di andare a taverne che « sono il più delle volte diaboliche ridotti ....se non passato il Borgo di bisagno da oriente, o di santo lazaro da occidente, et in ambi luoghi si intendi sempre per viaggio ». Chi trasgredisce questi precetti incorre nella ammo-nizioneo « in pena arbitraria alli superiori e consiglio » ; ma per chi vada a taverne è tassativamento prescritto che « doppo tre charitative admonitioni sia da noi espulso ». Ed i fratelli debbono essere tra loro caritatevoli, non « mormorare l’uno de l’altro nè in pubblico, nè in privaffe:.... supire le differenze..... così civili come criminali » che possono sor- . gere tra loro, rimettendosi ai superiori ed al consiglio, ai quali incombe « quanto prima per tutti modi, e forme possibili terminare con minor scandolo e più spirito si può dette differenze ». E tra i fratelli vi sono i visitatori delli infermi dei quali è < parte..... de invigilare in la lor cura, per ciò quando sarà lor notitia d’infermità di alcuno de noi, di subito precurino di vederne ed essortarne..... alli santissimi sacramenti » ed aiutarlo in ogni modo, secondo le norme che sono più minutamente espresse al cap. xix approvato in aggiunta nel 1582. E, prosegue il ix degli antichi capitoli, « se detto infermo fussi con-•stituito in povertà, spetti alli superiori tassare li fratelli una cosa lecita per sulevamento di detto fratello, prohibendo però che per tempo alcuno a tale indigente fratello non sia provisto della publica elemosina sotto pena arbitraria, a transgressori, per detti superiori e conseglio ». Tutti questi caritatevoli offici non debbono menomare tra i fratelli gli usi della « buona creanza », la quale, « quando non passa i termini, non altera ma conferma il spirito. Vogliamo GIORNALE STORICO e LETTERARIO DELLA LIGURIA US perciò » (dice il capitolo xiv) « quando saranno radunati i fratelli si chiamino l’un con l’altro: Messere, prohibendo qual si voglia altro titolo o parentado ». Questi capitoli poi vogliono che si vada molto guardinghi nell’aggregare nuovi fratelli alla Compagnia: a tal uopo i proposti a questo uffizio debbono essere notificati in secreto ai superiori, « i quali con destro modo investighino le attioni sue, volendone più scontri, e trovandole degne, lo introduchino alla compagnia, facendolo puoi per quattro domeniche venture, dal giorno della sua accettatione andare a dispensare con le mobbe (1), e che stii sei mesi prima che se gli conferì il man-dillo ». (Cap. x). Minuziose e molto assennate sono le disposizioni date per la raccolta e la distribuzione delle elemosine, giacché « ogn’uno prova la propria fragillità, la quale può assai, massime in materia de denari, tanto al depravato gusto dilettevoli ». (Cap. xvi). Però, dice il capitolo undecimo, « non vogliamo che in alcun tempo le racolte publiche siano convertite in alcun uso, se no che subito di ricepute la domenica doppo pranso siano dispensate a poveri infermi alla forma de nostri ordeni », e nel seguente è stabilito che « li fratelli nostri saranno obligati congregarsi ogni dominica, subito doppo pranso nell’oratorio nostro, a fine di poter fare l’officio della dispensa con più quiete », e chi per causa legittima non possa intervenire all’ adunanza deve « mandar notta in buona forma per sua o per altrui mano scritta delle elemosine in quello istesso giorno ricepute » (cap. xn). Ai fratelli poi « stanti con il mandillo a far 1’ opera della charità » è ordinato « che stiano in tal atto di continuo accompagnati, che sarà esseguito inrefragabilmente » (cap. xv). Nel capitolo decimosesto, approvato nel 1567, questo ordine è ripetuto e viemmeglio schiarito, aggiungendosi che « fornito la racolta.... nanti di partirsi l’uno dall’altro d’accordio contar debbano quanto sara importato detta raccolta, e parimente numerarla, pur d’accordio da giesa a giesa, accioche nell’oratorio gionti possino destintamente ambidue collettori dare conto a chi bisogna. Apresso puoi quando si anderà a distribuire debbano detti distributori tenere destinto conto in un li- (1) Squadre. 116 GIORNALE STORICO E LETTERARIO DELLA LIGURIA bretto di tutto quello, e quanto gli accadera conferire, procurando sempre farlo di comun consenso, agiustandosi prima di partirsi di insieme quello della cassa, con quello del libretto, e se gli avanzarà denari, li conteranno d’ accordo per poterli la dominica seguente portare alla compagnia ». Ed anche questa disposizione è ripetuta e maggiormente dichiarata in apposito capitolo, al vigesimo secondo approvato il i° Agosto 159§, inculcandosi che « in 1’ avenire li fratelli deputati a dispensare in ogn’uno delli dodici quarteri, abbino uno Quadernetto nel quale, dispensando la lemosina che secondo 1’ uzo gli toccherà, nottino li nomi et cognomi di tutti coloro a cui converrà dare, o si sara data la detta lemosina, et la dominica seguente li detti fratelli deputati daranno conto al Superiore dell’introito che haranno riccevuto et anche dell’esito, et a chi si sono dispensati ». Analoghe disposizioni sono stabilite per le offerte che possano essere fatte alla Compagnia da pii elemosinari all’ infuori delle questue ordinarie. E non solo la Compagnia voleva assicurarsi che i fratelli procedessero con tutta regolarità nella raccolta e nella distribuzione delle elemosine, ma voleva anche premunirsi contro gli inganni di chi tentasse di usufruirne il benefizio senza trovarsi nelle condizioni da meritarlo. A quest’ uopo il capitolo dodicesimo ordina « una dispensa feriale, per ogni mese, eligenda dal superiore, a fine de ritrovare alla sprovista li simulati dalli veri infermi ». Queste cure della contabilità delle elemosine raccolte e distribuite occupano molto tempo nelle settimanali adunanze della Compagnia « che per essere stimulata dalla subita dispensa delle dominiche, di raddo in le cose proprie si può occupare. e desiderando per il bene, che ne ha da risultare haver giorno dedicato per essame di noi medesimi. Percio hoggi a 15 di Agosto 1585. congregati li fratelli nel solito oratorio in numero competente si a voci come a carculi tutti favorevoli » deliberano, che in avvenire ogni mese i superiori eleggano « una festa di detto mese » per tenere una adunanza « admonen-done li fratelli, quali restino obligati a concorrirgli personalmente ». In questa radunanza prima di procedere « alle solite çonsuetudine » e « prima di ogni altra cosa, doppo di detto GIORNALE STORICO E LETTERARIO DELLA LIGURIA ÎI7 1 officio, se imponghi dal superiore un quarto d’ hora de oratione mentale » (cap. xx). Ad ognuno di questi capitoli è premesso un breve esordio ne quale è dimostrata la opportunità della regola in esso prescritta, per gli inosservanti di esse è comminata l’ammonizione o altra « pena arbitraria dei superiori e consiglio ». Chi persista nella trasgressione o si renda reo « di fraude o di qualsivoglia enorme delitto contra.... capitoli » è « privato dalla compagnia » e non può « per qualsivoglia tempo essere rimesso, e nel medesimo incorre il procurante per lui » — secondo è deliberato « di volunta de tutti i fratelli, a honor di dio, e cautione della compagnia nostra nell’anno del signore 1570 » (cap. xvn). Nessuna deroga 0 aggiunta a questi capitoli è lecita in alcun tempo se non approvata « con i quatro quinti de favorevoli calculi de fratelli.... in legitimo numero congregati »; nè possono i fratelli fare proposte di innovazioni direttamente nella Compagnia, ma « ogni cosa di nuovo » deve in prima essere « da lor nottificatu in secreto ai superiori, et a loro spetti puoi il publicarla quando la giudichino espediente, con conditione di haver tempo otto giorni a pensargli, accio resti pratica bene tntta, che finiti ponghassi a ballote » (cap. xm). Pare che, malgrado le buone regole e la vigilanza dei superiori, qualche elemento men puro si fosse infiltrato nella Compagnia, giacché nel capitolo vigesimo primo noi leggiamo che ai quattro di dicembre del 1594 la Compagnia « conosciuto dalla longa esperienza esser neccesario metter termine a qualche disordine ha determinato non sij lecito a nisuno di noi per l’have-nire entrare nella Compagnia Secreta, ne meno sia in poter nostro accetare niuno di detta compagnia sotto pena a contrafacienti di esser esplusi da noi e questo si è fatto perchè l’una Compagnia impedisse 1’ altra, a honore di Dio e benefitio della detta nostra Compagnia » (1). Da tutto quanto è esposto risulta anzitutto che, contraria- (I) Questo divieto fu revocato coi nuovi capitoli del 1601 « poiché non si deve prohibire la multiplicatione delle Opere Pie » (cap. 18). Di questa Compagnia Secreta non potei avere altra notizia malgrado le molte ricerche fatte nei documenti di quell’epoca, e le informazioni chieste a parecchi egregi amici, ben addentro nella storia delle cose genovesi. i IS GIORNALE STORICO E LETTERARIO DELLA LIGÜBIA mente a quello che oggidì si ritiene da molti (i), i fratelli della Compagnia nel primo secolo di sua esistenza non facevano alcun mistero dell’ esser loro, nè presso coloro dai quali ricevevano le elemosine, nè presso quegli altri ai quali le distribuivano. In particolare le precauzioni adottate verso coloro cui portavano soccorsi, rendevano ogni mistero impossibile. Rimaneva determinato in quaranta il numero dei fratelli: quello degli ufficiali in otto, quante le « anime salve in l’Arca al tempo dell’ universal diluvio » : non pare che alcuna condizione fosse posta per la scelta ed accettazione dei nuovi fratelli, se non quelle che fossero degne le attioni loro. Già a metà del secolo xvi non si radunarono più nella Chiesa di Santa Maria di Castello, dove ebbe origine la Compagnia, ma per le loro adunanze avevano un proprio oratorio, che risulta da atti posteriori essere l’attuale sotto la Chiesa di S. Colombano, afferente all’Ospedale dei Cronici, sul colle di Piccapietra. La Compagnia non aveva redditi fissi, ma ricavava i denari per le sue distribuzioni da questue fatte nelle chiese per mezzo de’ suoi fratelli, o da oblazioni spontanee di più benefattori, che si servivano di essa come di tramite della loro carità. Le elemosine raccolte distribuiva a domicilio a poveri della città. Le frasi « stare al Mandillo » e « tener Mandillo » per raccogliere le elemosine, « conferire il Mandillo » per ammettere a far parte definitivamente della Compagnia, ne accertano che si raccogliessero le elemosine facendo borsa di un fazzoletto (in vernacolo Mandillo) tenuto per le cocche. Da quest’uso certo venne alla Compagnia il predicato del Mandillo, che già troviamo nella introduzione ai capitoli sopra trascritta, il quale si convertì poi nel diminutivo Mandiletto (2). Questo diminutivo Mandiletto occorre per la prima volta nel nostro codice sotto la data del 1601. — In quel tempo « un buon numero di fratelli et operaj » della Compagnia, osservando che questo vivere « con alcuni capitoli (1) Non ha fondamento in nessun documento della Compagnia la credenza che i confratelli recandosi a portare le elemosine dovessero coprirsi il volto con un fazzoletto a guisa di maschera. (2) Lo conferma l’Accinelli (loc. cit.) laddove dice : « Questa Compagnia ____detta del Mandiletto perchè alle feste stava un de’ Confratelli in la Chiesa con un Mandillo per ricevere le oblazioni____ ». GIORNALE STORICO E LETTERARIO DELLA LIGÜRIA I ÏQ poco conformi l’un’all’altro e non in tutto ben’ordinati per la necessaria conservazione di opera tanto santa, e quel che importa più senza essere mai stati comprovati nè temperati dall’autorità e somma prudenza » del Senato, supplicavano questo a « deputare doi del Ser.mo Collegio, o chi meglio li parrà, che vedano detti capitoli, li corregano moderino e v’agiongano quelli che lo Spirito Santo le ditterà, provedendo intanto a qualche urgente bisogno che tien detta compagnia, non così unita come converrebbe, dando la debita corretione e penitenza a chi havesse usato termini violenti », e protestavano voler riconoscere la suprema autorità del Doge e del Senato. Presentavano questo ricorso i fratelli della Compagnia Agostino Chighizola, Giovanni Giorgio Frugoni e Giovanni Solari. Il Senato, accogliendo l’istanza, delegava per la formazione dei nuovi capitoli i Senatori Giambattista Sisto e Domenico Donato che, sentito il parere deH’Ill.mo Matteo Senarega, « uti de negocio huiusmodi satis edocto », rassegnavano le loro proposte, che dal Senato stesso venivano approvate il giorno 21 novembre 1601, « virtute.... publici decreti duraturi per decemnium proximum tantum ». I nuovi capitoli non sono in massima sostanzialmente diversi dagli antichi. È conservato il numero dei fratelli e degli officiali stabilito in origine; la rinnovazione di questi stabilita in due volte all’anno, cioè alla Vigilia di Natale, e alla festa di S. Giambattista; assegnate più particolareggiate istruzioni per la nomina degli officiali e dei nuovi fratelli, dando alla Compagnia intera alcune facoltà a questo riguardo che nei primi capitoli erano devolute solo ai superiori; sono confermate le pratiche religiose; « lodando ad essi fratelli che qualche padre religioso alle volte visiti la detta compagnia nel loro luogo solito a farvi qualche esortatione spirituale per tener uniti essi fratelli in carità e ben fondati nella via di Dio ». Si nomina « a tal effetto la Compagnia di Jesùs per quel tempo che parrà al ser.mo Senato » (Cap. 3). Nuova carica troviamo introdotta, e cioè i due capi di mobe, da eleggersi ad ogni semestre dai superiori e consiglieri. Questi capi di mobe « con li due superiori che saranno usciti di ufficio che resteranno eletti in compagnia loro a tal carico, abbino la loro solita cura di deputare li fratelli alle chiese per raccogliere elemosine con li mandilli, e quelli ch’haveranno da dispensare i denari » (cap. 8): sono anche istituiti due contadori e due vi- 120 GIORNALE STORICO E LETTERARIO DELLA LIGURIA sitatori dei fratelli ammalati, e « dodeci altri fratelli di quelli che sanno leggere e scrivere c'havranno di andare uno per moba delle dodeci che saranno deputate a dispensare 1’ elemosine per li 12 quartieri della città, variando la vicenda » ad ogni mese (Cap. 9). Son diminuite le facoltà di infligger pene ai fratelli, già accordate ai due superiori dagli antichi capitoli, stabilendosi che « l’autorità e bailìa di essi non si estenda se non in poter dare a’ fratelli con carità penitenze salutari dentro dell’ istesso loro Oratorio e no’ fuori, che sarà di baciar la terra, stare in gi-nochie, dir salmi, pater, avemarie, o la corona o rosario della Madonna, o’ vero farli sedere all’ultimo luogo dei fratelli » (Cap. 11). La suspensione o vero privatione dalla compagnia di qualche fratelli » è riserbata all’ « universale di essa compagnia » potendo i superiori coi consiglieri sospendere un confratello per soli otto giorni (Cap. 12). Ma sopratutto si insiste nelle prescrizioni atte ad assicurare la esatta raccolta e distribuzione delle elemosine; le quali dovranno sempre farsi dal fratello incaricato insieme ad altro fratello destinatogli dai superiori per compagno. Solo nel caso in cui un’ elemosina « fussi a pericolo di perdersi », un fratello per riceverla dovrà « chiamare un’ altro fratello, e poi havuta detta elemosima insieme debbono di subito dar aviso ai superiori di quello sarà seguito » (Cap. 14), ed è ingiunto « che si debbino portare alla compagnia le medesime monete che si saranno raccolte senza permutarle 111 altre, e nel d’spensare non si debbano cambiare se no' in buona moneta, e questo per schiffare qualche inconvenienti che potessero seguire » (Cap. 16). In questi capitoli per la prima volta si ammette che qualche elemosina « possi esser anco distributa a quelle persone che non fusseron inferme che patissero di estrema necessità secondo la volontà delli elemosinari » (Cap. 15). Si stabilisce infine che per ogni interpretazione, riforma od innovazione, che occorra relativamente a questi capitoli, « di tutto si habbi ricorso alli doi Ser.mi Senatori residenti in Palazzo, i quali sentite le cause, e visti gl’ordini possino riferire al Ser.mo Senato ciò che li occorrerà per lo buon governo di essa compagnia » (Cap. 21). Comincia così il secondo periodo della vita della Compagnia, che si svolge sotto l’impero e l’egida delle patrie leggi. Il Se- GIORNALE STORICO e LETTERARIO DELLA LIGURIA 121 nato di dieci in dieci anni con speciali decreti, su domanda dei Superiori, ne riconosce l’esistenza legale, ne conferma e modifica i capitoli, provvede a rimuovere gli inconvenienti che ne possono impedire il regolare andamento o l’opera benefica, le accorda privilegi. Questi decreti sino al 1731 sono registrati nel nostro codice in massima parte. La prima conferma dei capitoli approvati nel 1601 si ha, trascorso il decennio, in un decreto del 2 dicembre 1611, nel quale il Doge e i Governatori della Repubblica approvano nuovamente e convalidano « capitula predicta et unum quod cumque eorum..., per aliud decennium proximum. Ampliusque.... decernunt, singulis annis, (durante tamen dicto decennio) eligendum esse a' DD. SS. Ser.mis civem nobilem in Presidentem Societatis predictae » e nominano a questa carica per ii primo anno il Magn. Giambattista Sisto. Pochi anni appresso, addi 16 febbraio 1620, la Compagnia ritorna sulla antica disposizione che ammette di tassare i fratelli a sollevamento di qualche fratello infermo costituito in povertà, e « per levare ogni genere di dubitatione et ad abondante cautela » determina che « se in l’avenire alcun fratello si ridurà a miseria e povertà e che habbi bisogno di prendere dell’ellemosina pubblica si debba da essa Compagnia appartare in modo che sia inabilitato a racogliere et a dispensare e conseguentemente non possa essere eletto a grado alcuno sino che sia nel stato suddetto di miseria e povertà ». Inoltre, « per provedere anco che li danari che si dispensano sian datti senza verun genere d’affetto nè possa prevalere interesse di sangue o altro », stabilisce « che non si possa in l’avenire dare dell’ ellemosine pubbliche.... a parente alcuno delli fratelli che al presente sono in la Compagnia.... solo con scienza e consenso delli superiori a quali doveranno dar parte del bisogno di essi parenti.... nè sara tampoco lecito alli superiori dare, 0 far dare di detta ellemosina a proprij parenti senz’ il consenzo del Consiglio ». Avuta esistenza legale, cominciò la Compagnia a ricevere donazioni e lasciti da più benefattori, sicché intorno al 1627 si trovò ad avere « qualche debitori de Legati, censi et piggioni per la cui essatione provano molte difficoltà in alcuni », onde « quelli confratelli che occupano notabil tempo in ricercare et distribuire l’elemosine ... doverano per l’interesse della Compagnia 122 GIORNALE STORICO E LETTERARIO DELLA LIGURIA andare per li tribunali de giudici ordinarij, e consumarvi tempo « et denari soverchiamente abbandonando le loro botteghe e negotij » oppure « saranno necissitati lasciar patire opera di tancta carità in danno de poveri ». Ad evitare tali danni i Superiori della Compagnia fanno supplica ai Serenissimi Governatori « che per favorire proteggere opera così accetta a Dio voglino darle giudice particolare » che abbia autorità di abbreviare ogni procedura; ed il Senato con decreto del 4 Febbraio 1627, accogliendo la istanza, affida tale incarico al presidente dell’opera da esso nominato, al quale « committit et delegat causas dicti operis, Legatorum et pensionum, et solutionis censnum cum facultate illas cuçmoscendi, decidendi et terminandi summarie simpliciter et de plano, et sola facti veritate inspecta; et si sibi videbitur convenire etiam fine processu; et quidquid iudicaverit exequendi ». Più tardi il Senato, in seguito a domanda fattane dalla Compagnia, con decreto del 2 Aprile 1676 prescriveva che « Il Venerando Collegio de Notari della presente Città dia gli ordini opportuni perchè dall’Università di detti Notari si rivelino alla Compagnia del Mandiletto le dispositioni pie, che avessero ricevuto in tutto e per tutto come si pratica con le altre opere pie ». Da tutto ciò si può arguire quali fossero a quell’ epoca le benemerenze della Compagnia, quanta la stima in che essa era tenuta dalla cittadinanza; stima che inoltre ben appare dalla bolla del 12 Giugno 1624 colla quale Papa Urbemo VIII concedeva ai fratelli della Compagnia numerose indulgenze. Come ogni cosa umana, anche Essa ebbe le sue crisi, momenti nei quali forse si raffreddò alquanto il fervore de’ suoi membri : e ce lo mettono in chiaro i provvedimenti che più volte i Superiori invocarono dall’autorità del Senato, e da questo furono concessi per limitato numero di anni, a fine di ridurre il tempo prescritto ai novizi per potere essere ammessi a fratelli e, dopo l’elezione, venir nominati Consiglieri o Superiori, e sopratutto per ridurre a minor proporzione, in rapporto col totale dei fratelli inscritti, il numero dei presenti alle radunanze necessario per rendere valide le loro deliberazioni. Segno questo evidente di freddezza nei fratelli, che radi intervenivano alle adunanze, anche quando vi si dovevano trattare pratiche importanti. Pur troppo l’uomo è sempre e dovunque l’istesso! GIORNALE STORICO e LETTERARIO DELLA LIGURIA I23 Ed anche la Compagnia ebbe a lottare colla perversità degli uomini ad essa estranei, giacché appare che per meglio assicurare la detta distribuzione delle elemosine e restringere il maneggio « de denari tanto al depravato gusto dilettevoli », con deliberazione del!’11 Settembre 1689 si stabilirono le seguenti norme: « Da deputati alli quartieri si farà la descrit-tione de Poveri infermi, e vergognosi più bisognosi, che haverano li loro quartieri con visitarli nelle proprie case. « Si ripartirà alli detti poveri la limosina a chi più, a chi meno secondo il loro bisogno, purché non sia meno di Soldi trenta e più di lire tre. Si darà a detti poveri una poliza con notare il suo nome, e contrada dove habitano con quella limosina che le sarà stata assignata ». Queste polizze, prima di essere consegnate ai poveri cui spettavano, dovevano essere firmate dai due confratelli deputati al quartiere e descritte dallo scritturale « nelli quadernette de loro quartieri ». « Le limosine notate nelle polize » si dovevano destribuire « nella seconda festa di Natale, Pasqua Pentecoste, ed il giorno de Morti alla mattina ne chiostri da due confratelli unitamente insieme da deputarsi da Superiori ». (Libro degli ordini della Compagnia, N. i, a pag. 121). Se non chè l’avarizia umana trovò modo di profittare di queste polizze a danno dei poverelli che le ricevevano in elemosina, prendendole in pegno 0 comprandole a prezzo minore del nominale : onde la Compagnia, dopo aver tentato di impedire l'abuso, (Libro degli ordini della Compagnia, N. 3, a pag. 118 sotto la data 3 Dicembre 1720), soppresse le cedole e tornò alla diretta distribuzione dei denari. La bufera, che tanto abbattè del vecchio mondo sul finire del secolo decimo ottavo, scosse anche la nostra Opera. Del pingue suo patrimonio, affidato in massima parte al Banco S. Giorgio, meglio che i due terzi, si calcola, andarono perduti. (1) Altre (1) Il patrimonio della Compagnia è attualmente costituito da titoli di rendita dello Stato, e di prestiti del Municipio di Genova, da legati a carico di altre Opere Pie della nnstra Città, da capitali mutuati all'Albergo dei Poveri di Carbonara in Genova. Il loro reddito complessivo secondo il bilancio dell’anno 1900 è di L. 6100 circa. Dedotte le speee di Amministrazione, le imposte, e altri oneri restano in questo bilancio L. 5200 per distribuzione di elemosine. 124 GIORNALE STORICO E LETTERARIO DELLA LIGURIA minacce sopravvennero colle nuove leggi che vollero accentrare le opere limosiniere, sopprimere i lasciti religiosi, onde essa qualche strappo ebbe ancora a subire; ma nel suo istituto stette salda e sta tuttora, rispettata dai diversi governi che si succedettero in Genova. Re Vittorio Emanuele II con decreto dell’8 Novembre 1874 approvava Io Statuto che ancor oggi ne riconosce 1’ esistenza legale e le dà norma, senza che siasi finora riscontrata in esso alcuna incompatibilità colle leggi promulgate posteriormente. In questo Statuto lo scopo della Compagnia, in quanto è della distribuzione delle elemosine, è conservato ; sono mutate le modalità dell’adempiervi, secondo le nuove condizioni sue e le mutate esigenze dei tempi. Cessato l’obbligo delle pratiche religiose, soppressa la questua, l’azione della Compagnia si riduce alla Amministrazione del suo patrimonio, e alla distribuzione delle elemosine, che si fa due volte l’anno, a Natale e a Pasqua, a mezzo dei ventiquattro confratelli più anziani, nelle circoscrizioni parrocchiali a ciascuno di essi assegnate, entro la cerchia delle mura di Genova del 1625, da Porta Lanterna a Porta Pila. Queste elemosine debbono darsi a « poveri infermi non ricoverati negli Ospedali, visitandoli nelle loro case di abitazione » (Art. 1). « Mancando i poveri infermi, cui visitare e soccorrere, i Confratelli incaricati delle distribuzioni possono.... rivolgerne i benefici a profitto delle famiglie di condizione civile, che cadute in bassa fortuna, abbiano vergogna di mostrare il loro stato di povertà » (Art. 22). « Nessuno dei Confratelli può a titolo veruno percepire sul bilancio della Compagnia assegnamento o rimunerazione », salvo lo stipendio che può essere assegnato al Se-gratario e al Cassiere (Art. 21). È abolito il Presidente che era designato dal Senato con speciale giurisdizione. Nel resto poco è cambiato circa ai modi di ammettere nuovi confratelli e di nominare di anno in anno i Consiglieri e i Superiori, ora chiamati Priore e Sottopriore, che insieme costituiscono la Consulta alla quale è devoluta la direzione delle cose della Compagnia. Nulla è mutato quanto al numero di essi confratelli ed ufficiali, che rimangono quanti abbiam visto essere stati stabiliti nella sua prima costituzione: grandemente però è scemata la autorità di questimi ultimi, dacché venne soppressa la sanzione delle pene che essi dovevano applicare a chi si mo- IORNALE SIORICO E LETTERARIO DELLA LIGURIA 125 dai capitor^6'6 ° ne^'^ente neH’adempiere agli obblighi imposti p * ova sperare che non per questo vengano meno in alcun ·. * 3 e 1° zelo dei confratelli, i quali, se non hanno emere di dover « baciare la terra, stare in ginocchie... σ , G1,e ultimo luogo dei fratelli », pur sentono che p e e la responsabilità che si assunsero quando diedero li-mente il ioro nome aj]a Compagnia, togliendo ad altri di arvi in lor vece: che la soddisfazione, di contribuire con opera propria ad alleviare le miserie di tanti tapini, compensa usura i piccoli disturbi che a questo scopo sono imposti, ^on ^ alla lettera di quel secco, freddo Statuto che attualmente g verna la Compagnia, ma da quel caldo spirito di amore il-uminato, che in questa istituzione infuse il suo Fondatore, ttore Vernazza, che alle opere di carità sapiente dedicò le sue sostanze, il suo intelletto, la vita intera. Ing. Francesco M. Parodi. per gli antecedenti DEL ROMANTICISMO NOTIZIOLE ED APPUNTI. Emilio Bertana, dalla cui scelta dottrina e lunga preparazione, gli studiosi attendono quella storia del Romanticismo nostro che, partendo dalle più lontane e forse impensate origini, sappia darci una nozione chiara e sicura della evoluzione, del contenuto e dell importanza di quel fenomeno letterario; ha accennato, or non è molto, su questo stesso Giornale (i), in un dotto articolo Intorno al sermone del Monti sulla « Mitologia », ad alcune manifestazioni di dottrine e di gusti affini a quelli che il romanticismo fece poi più tardi prevalere. E, risalendo al Tasso, dall’età del quale, dice il Bertana, « incomincia tra noi la reazione letteraria contro la mitologia » (2), I egregio critico ha toccato di parecchi che scrissero contro ..... gli Dei, che di leggiadre Fantasie già fiorir le carte argive. (1) Num. 3-4, marzo-aprile 1900. (2) Pp. 4-5 dell’Estr. (Spezia, F. Zappa, 1900''. 12(5 GIORNALE STORICO E LETTERARIO DELLA LIGURIA Il Bertana non ha voluto di proposito raccogliere tutti gli argomenti e tutti i nomi degli accusatori della Mitologia sorti nel ’6oo e nel '700 ; chè non gli sarebbero certo mancate la possibilità e la dottrina (1). Ma a qualcun altro scrittore non è forse male accennare, e vi accenneremo noi, senz’ alcuna pretesa, ben s’intende, di fare facile sfoggio di erudizione, ma col solo proposito di dimostrare da una parte l’abbondanza della messe che se ne potrebbe mietere, e di portare dall’altra un piccolissimo e modestissimo contributo allo studio del fatto letterario, senza dubbio, più importante e caratteristico del secolo XIX. Che certi fenomeni letterari, i quali occupano gran patte dell’attività di un secolo, non siano esclusivamente dovuti alla azione del tempo e dell’ambiente in cui appaiono predominanti o da cui la loro età prende le mosse, ma siano piuttosto, quali manifestazioni di tendenze e di qualità innate nell’anima umana e sociale, da considerarsi come perenni nella vita evolutiva della letteratura, ci pare, in verità, che non sia più il caso di mettere in dubbio. Come il corpo umano porta spesso con sè i germi delle più varie malattie, e nondimeno, per naturai potenza di reazione, vive una vita sana finché quelli non trovino nel corpo stesso le condizioni che ne favoriscano lo sviluppo; così 1 organismo della letteratura— se l’organismo, più che nel contatto degli elementi, consiste nel concorso delle loro funzioni porta con sè i germi, per così dire, di quelle caratteristiche tendenze, le quali, vissute per lungo tempo larvate, e all’occhio del profano affatto invisibili, si manifestano ad un tratto con meraviglioso vigore, improntando di sè la vita di tutto il complesso organismo. Non fa d’uopo ripeter qui, come esempio, che quel fenomeno letterario che si disse secentismo e che appunto nel ’6oo scoppio violentemente, manifesta già all’occhio esperto del critico i primi sintomi pericolosi sin dall’inizio della nostra letteratura, e non muore già del tutto, nemmeno dopo la reazione arcadica ed il glorioso rinnovamento: pensiamo soltanto a certi eloquenti preziosismi di forma della nostra giovane letteratura. Vero è che (1) Di alcuni altri il Bertana toccò già nel suo bel saggio su Un precursore del Romanticismo (G. C. Becelli), in Gior. Stor. d. Lett. Hai., XXVI, 114 sgg. GIORNALE STORICO E LETTERARIO DELLA LIGURIA la legge d evoluzione, fatalmente ed inesorabilmente, va modi-can o, nel corso dei secoli, le varie manifestazioni dello stesso enomeno, assecondando la mutazione dei tempi e degli amenti, ma il fatto non cessa per questo d’esser vero e reale, osi e, pare a noi, di molti altri caratteristici fenomeni della nostra letteratura, che per 1’ occhio profano sono in modo e-sc usivo effetto di quell’età in cui si manifestano con maggior prepotenza, così è, pare a noi, di quell’intransigente odio alla nzione mitologica, che fu spesso considerato come tendenza esclusiva e caratteristica della letteratura romantica. I. Certo la reazione filosofica e letteraria contro la Mitologia la sua origine in una reazione religiosa: reazione, per verità, natuiale in chi eia mosso da scrupoli cristiani a combattere il paganesimo dovunque e sotto qualunque forma si annidasse. E se la causa è religiosa, la lotta contro la Mitologia ripete evidentemente le sue origini dalla lotta contro il paganesimo ; e nei padri e nei dottori della Chiesa noi dobbiamo cercare i primi mitofobi. Ma noi non vogliamo indugiarci in codesta ricerca, la quale, in verità, non è difficile presagire ci darebbe buoni frutti. A noi basti ricordare che S. Giovanni Damasceno, che fu pure uno dei più fieri oppositori degli iconoclasti, detesta aspramente in bocca del cristiano le parole poetiche di Giove onnipotente, di Hercole, di Polluce, e degli altri numi loro. Sin dunque dall Vili secolo — e perchè non prima ancora ? _ si preludeva al fervore mitofobo dell’austero e condannato giansenismo. Ma il benigno lettore non ci deve, neppur per questa citazione, attribuire una certa qual dimestichezza colle sacre carte. La citazione, lo diciamo subito e schiettamente, è di seconda mano; e la confessione speriamo non tolga nulla alla verità del fatto e delle osservazioni nostre. La citazione è dovuta a Tommaso Garzoni, il quale dettò, com’è noto, sulla fine del '500 La Piazza Universale di tutte le Professioni del Mondo, opera fortunata, se almeno possiamo giudicarlo dalle tre edizioni che essa ebbe in pochi anni (1). Spirito bizzarro ed antipedantesco, (1) Venezia, 1585; Venezia, 158;; Venezia, 1599. 128 GIORNALE STORICO E LETTERARIO DELLA LIGURIA che a dieci anni dettava in ottava rima, a quattordici studiava leggi a Ferrara, e seppe d’ebraico, e scrisse spagnuolo, il Garzoni meriterebbe davvero qualche amorosa e diligente pagina critica, la quale soddisfacesse un po’ più di quell’unico cenno che sul dotto romagnolo ci resta, a quanto almeno noi ne sappiamo, in grazia del Camerini (i). Nè lo studio sarebbe inutile — come tanti, ahimè! ai dì nostri — perchè il Garzoni, pur essendo un cervello un po’ balzano e un grande e noioso ìn-filzatore di citazioni, è, come il Camerini osserva, « pregevole per le notizie che dà de’ suoi tempi ». A dar l’idea di que difetti e di questo merito basta l’esame della sua Piazza Universale, in cui, con bizzarria e piacevolezza, e non di rado con un certo furbesco e malizioso sorriso, citando nientemeno che più di mille e dugento autori, egli, in un migliaio di pagine, discorre dei vantaggi e dei danni, dei difetti e dei pregi, di più di quattrocento professioni, dagli assassini e dai ruffiani agli historici ed ai giurisconsulti. « Superbo foro », canta il Tasso dedicando con altri poeti un suo sonetto alla Piazza U-niversale, intitolata ad Alfonso II d’Este: Superbo foro, ove le scienze e 1’ arti Fan, che ’l suo Autor per mille gradi ascende, Dove la gloria col saper contende, Alzando i vanni a le più etheree parti. (2) In questo foro dovevano naturalmente essere chiamati e giudicati anche i poeti, in quell’età specialmente in cui la poesia era professione, se non sempre più dignitosa, di certo più lucrosa che ai nostri giorni non sia. E De' Poeti m generale et (1) Precursori del Goldoni, Milano, Sonzogno, 1872. È riferito anche nei Nuovi Profili letterari vol. iv pp. 170-2 ; Milano, Battezzati, 1876. (2) Questo sonetto, premesso alle varie ristampe della Piazza Universale, apparve poi pubblicato nella Nuova Scielta di rime di diversi eccellenti scrittori dell’ età nostra nuovamente raccolte e mandate in luce per Benedetto Varoli (Casalmaggiore, Guerino, 1590) ; e fu edito dal Carducci in Scritti di letteratura e d’istruzione. Strenna del giornale La Gioventù per l anno 1864 (Firenze, Cellini, 1863) ; poi nel Buonarroti di Roma S. Ili, vol. III (1888), p. 102, e nel Giornale d’ Erudizione vol. II (1889), p. 13. Infine comparirà prossimamente nel vol. Ili delle Rime di Torquato Tasso, edite dal Solerti, alla cortesia del quale dobbiamo questa notizia. GIORNALE STORICO e LETTERARIO DELLA LIGURIA I29 de formatori d'Epitaffi e pasquinate in particolare tratta appunto, il Garzoni nel discorso cliv, nel quale, dopo aver notato che i poeti « par ch’abbiano posto tutto lo studio loro in mentire, et in scrivere cose laide, e cattive, nè sanno a pena far altro che con affamati versetti cantacchiare nell’ orecchie de’ pazzi, rumoreggiare con involgi di parole, et machinare ogni cosa sopra il fumo » (1), il bizzarro critico li biasima perchè ricantano le vecchie favole della Mitologia (2). Eccoci adunque in quell’età del Tasso, da cui, come osserva il Bertana, incomincia la reazione contro la Mitologia, eccoci di fronte a un altro mitofobo, la propaganda del quale possiam credere, per la fortuna stessa della Piazza, non sia riuscita del tutto inefficace. Mette conto di riferire le parole stesse del Garzoni. Dopo aver citato certo loco del Campano in cui si legge : Vivono i pazzi poeti di versi ; S’ e affameran, se lor le ciancie levi Le menzogne gli son ricchezze et oro ; il Garzoni soggiunge (3) : « Et questo si vede mentre cantano del nodo d’Hercole, dell’arbor casta, delle lettere di Giacinto de figli di Niobe, delle piante presso le quali Latona partorì Diana, delle Cicale di Titone, delle rane de’ Licii, delle formiche de Mirmidoni, e mentre fanno principio delle lor favole, fin dal chaós, raccontando il castramento di Celo, il parto di Venere, la pugna de Titani, la culla di Giove, gli inganni di Rhea, le suppositioni della pietra, la prigionia di Saturno, la ribellione de Giganti, il furto di Prometheo, gli errori A\ Deio, la morte di Pithone, 1 insidie di Titio, il diluvio di Deucalione, lo stratio d’Iacho, l’inganno di Giunone, l’incendio di Semele, i due sessi di Bacco, la piazza d Athmante, la conversione d’Io in vacca, gli incantesmi di Medea, le metamorfosi di Circe, et mill’altre vanità simile a queste; e donde son venute le favole di Scilla di Cariddi, di Macareo, di Protheo, di Phorba, di Medusa, di Glauco, di Melicerta, di Calmoneo, di Sisifo, di Alcione, di (1) Pag. 933. (2) Lo notava già il Graf trattando dell’ Antipetrarchismo V. Attraverso il Cinquecento, Torino, Loescher, 1888; p. 52. (3) Ibid. Oiorn. stor. e lett. d. Lig. II. 9 130 GIORNALE STORICO E LETTERARIO DELLA LIGURIA Acheloo, di Dirce, di Thiresia, di Agrippe, dell’ Orca, dell’Arpie, dell’Hiena, del cavai Pegaseo, et altre schiocchezze tali, se non da Poeti? Onde son procedute le menzogne di tanti Dei silvestri, marini, terrestri, infernali? tanti amori bestiali di vacche, di Tori, Cinedi, tanti ratti, tante trasformationì, tante monstruosità, se non da Poeti, i quali son tanto più gloriosi, quanto nelle trovate son più fantastici, e mostruosi?». Non si può, pare à noi, dimostrarsi migliori avversari della Mitologia. Certo è, che anche qui la reazione letteraria ha origine schiettamente religiosa. Non per nulla il Garzoni, preso, come dice il Camerini, da un accesso di divozione, era entrato a diciassette anni nella congregazione lateranense; non per nulla da tutta la Piazza Universale spira la più genuina intolleranza cattolica; al punto, che il suo autore, nella prefazione ai lettori, chiede loro scusa — nè v’ha meraviglia per chi pensi ai tempi fervorosi della contro-riforma — « se particolarmente nel nominar qualche autore di fede, o di costumi profano, in così gran Catalogo di autori diversi, havesse mancato di darli quegli epitethi d'infami et scelerati..... dichiarando l’opere et i nomi di cotali monstri doversi con ogni epitheto bestiale et abbomi-nevole pronunciare, non essendo degni di comparire in stampa se non in forma di bestie et animalacci come sono ». Tuttavia nel Garzoni pare a noi che non manchi altresì una preoccupazione letteraria, perchè egli si dice disposto a tollerare i « limpidetti poeti petrarcheschi », i quali almeno non sono « di tanto stomachevole invenzione » da « convertir gli uomini in piante, le Dee in fiumi, le Ninfe in fonti, i Satiri in augelli » (i): e più sopra nota che « almeno i nostri Romancelli han qualche scusa perchè seguon 1’historia de’ Reali di Francia, di Bovo d’Antona, d’Herminione, di Drusiana, di Pulicane, di Macabruno, e cantan le bizarrie di Marfisa, le sciocchezze di Margute, il valor di Mambrino, quel di Guidon Selvaggio, quel di Drusian dal Leone; quello di Antifor di Barosia, quel di Altobello, quel di Falconetto, quel di Scardaffo, quel del Danese, quel d’Ancroia, quel di Dama Roenza dal martello, e simili altre novelle, c’hanno alquanto più del verisimile in loro ». E vero che, particolarmente parlando dei Petrarchisti, il (i) Ibid. p. 933. GIORNALE STORICO E LETTERARIO DELLA LIGURIA I 3 I Garzoni, com’è solito, canzona; ma noi crediamo che l’aperta canzonatura non riesca a nascondere 1’ intento letterario del critico; e, specialmente per quanto riguarda la materia dei nostri Romancelli, dobbiamo convenire che, se il romanticismo è in sostanza un ritorno dell’arte agli ideali eroici cavallereschi e religiosi dell’età di mezzo, l’atteggiamento di quella critica, se non precede, ricorda gusti e dottrine che il romanticismo farà poi più tardi prevalere. Questo scriveva il Garzoni sulla fine del '500; ma alla sua voce potrà certo aggiungerne ben altre e più potenti chi si farà a ricercare, con severa disamina, gli antecedenti del romanticismo in quell’età. II. Così nel secolo XVIII, sul cui inizio l’austero Addison imprendeva, nelle colonne dello Spectator, una vigorosa campagna contro la Mitologia, giungendo persino a biasimare il Milton per le sue allusioni a favole pagane — nè qui lo noteremmo se non si sapesse come lo Spectator fosse noto in Italia e il Gozzi v’attingesse volontieri pe’ suoi giornali (i) — nel secolo XVIII, dicevamo, la schiera degli avversari della Mitologia non si fa certo più esigua; e se il ligure Francesco Maria Salvi ne fu, come vuole il Bertana, il più baldo e animoso, noi esprimiamo modestamente il desiderio che il futuro storico del romanticismo non voglia trascurare del tutto il modenese abate Girolamo Tagliazucchi. Il quale, se non combattè con dissertazioni — per quanto almeno noi ne sappiamo — 1’ uso delle finzioni mitologiche, può forse, secondo noi, aver più efficacemente contribuito, dalla cattedra e coll’esempio, ad allontanarlo od a frenarlo. Giacché è noto che il dottor Tagliazucchi, dapprima maestro di lingua greca nel collegio dei Nobili di Modena, poi docente privato in Milano, fu per ben sedici anni professore di eloquenza nell’Ateneo torinese, e là, in mezzo a contrasti e ad opposizioni di invidiosi e di potenti, « giovò non poco », dice (i) Alla campagna dell’Addison contro la mitologia accennava recentemente anche la signorina Pia Treves nel suo studio su L’ Osservatore di Gasparo Gozzi ne’ suoi rapporti collo Spectator di Giuseppe Addison (Venezia, Fontana, 1900; pp. 25 sgg.). 132 GIORNALE STORICO E LETTERARIO DELLA LIGURIA il Tiraboschi (i) « a condurre al suo compimento quella felice rivoluzione, che nelle belle lettere avea cominciato a introdursi in Italia, e a cacciare del tutto in bando l’incolto e vizioso stile del secolo precedente ». Il Tagliazucchi, forse per quello spirito religioso ch’egli dimostra in tutte le sue opere, ma anche, senza dubbio, per convinzione letteraria, ben difficilmente fa uso ne suoi versi di figure e di immagini mitologiche. E che questo non fosse casuale, ma effetto di schietta convinzione e di particolari idee poetiche, ce lo prova un fatto carattestico, del quale, pur troppo, non abbiamo che testimonianze indirette. Quello strano libro che il palermitano Giovanni Baldanza dettava, sotto il nome accademico di Zenodoto Abelio, in difesa del Padre Teobaldo Ceva e contro II dottor Biagio Schiavo discepolo del Lazzarini Convinto di gravissimi errori nel suo Filale te (2), nella famosa ed astiosa polemica di cui abbiamo altrove toccato (3), contiene a questo proposito delle notizie interessanti. Intanto il Tagliazucchi è posto fra « quei moderni che non curano i misteri dell’antica Mitologia » (4). E di lui si ricorda un grave sonetto pubblicato in una piccola raccolta di poesie per nozze, stampata a Torino dal Mairesse nel 1735 (5)! il quale sonetto veniva in quella raccolta « comentato e lodato assaissimo dal sig. Cavaliere Michel Angelo Boccardo, amico intrinseco del Tagliazucchi » (6), specialmente perchè il poeta aveva in esso trasandata la mitologia. « Il sonetto — diceva il commentatore — con nobilissimo volo esce fuori della maniera comune, che suole introdurre in sì fatti componimenti le Veneri ed Imeneo, e simili cianfrusaglie ». E davvero peccato che, mentre del sonetto abbiamo copia (1) Biblioteca Modenese ecc. Modena, Soc. Tipografica, 1784; T. V.; pp. 167 sgg. (2) Milano, Malatesta, 1740. (3) Ci sia lecito citare il nostro scritto Beghe Accademiche nel volume, di prossima pubblicazione presso il Barbèra di Firenze, per le onoranze ad Alessandro d’Ancona. (4) Ibid. p. 327-8. (5) Questa raccolta, non ostante le più diligenti indagini — per le quali dobbiamo ringraziare anche l’egregio amico prof. Bertana — ci è rimasta irreperibile. (6) Ibid. p. 328. GIORNALE STORICO E LETTERARIO DELLA LIGURIA 133 anche nel grosso volume di Prose e Poesie dell'abate Girolamo Tagliazucchi (i), pubblicato contemporaneamente a quella raccolta, di questo commento del Boccardo non ci sia possibile conoscere altro che il frammento che ci offre il Baldanza. Il quale d altra parte ci pare di per sè abbastanza eloquente, specialmente poi quando il Baldanza soggiunge che « questo trascurare, anzi disprezzare la Mitologia non è in lui [Tagliazucchi] cosa pas-saggiera, ma è chiamato dal Boccardo, che ottimamente sapeva tutto il fondo di sua dottrina, ammaestramento suo proprio e singolare ». Il Tagliazucchi dunque era noto come un avversario convinto della Mitologia, e questo gli muoveva contro le ire degli avversari, ch’egli, d’indole ben diversa da quella del Baretti (2) che gli fu scolaro ed amico, non si dava gran pena di rintuzzare. E bisogna proprio convenire che le sue teoriche mitofobe sembrassero pericolose, se contro il povero sonetto, modestamente rimpiattato in una di quelle innumerabili raccolte poetiche che oggi ci appaiono come una delle tante disgrazie matrimoniali del '700, « uscì subito in Torino — come racconta il Baldanza — una critica manoscritta » (3). Anche questa critica, come la raccolta, fu invano cercata da noi e da altri (4); e anche questa ci è rimasta, con maggior (1) Torino, Mairesse, 1735 ! son· XXVI. Il sonetto, in verità, non ha nulla di straordinario, ma ci pa,r tuttavia utile riferirlo qui in nota, per quello che se ne dirà. Forse d’ Abramo fu la man restia, O tardo il piè, quando la voce intese Di Dio, che il figlio in vittima gli chiese, Il figlio amato ed unico, che avla? No; ma col Foco, e col coltel la via Dell' alto monte a lui mostrato, prese ,· E là (se non che il colpo Angel sospese) Avea già il braccio aliato, e lo feria. O se d’amabil prole il Ciel vi rende Ricchi un giorno e contenti, o Sposi illustri, Sempre suo dritto abbia la legge e ’l Tempio. Che non per altro, se da voi s’intende, Quale han bersaglio i gravi versi industri, Io rammentai del forte Abram l'esempio. (2) A proposito del quale qualche notizia, che faccia al caso nostro, si potrebbe pur spigolare nella Frusta e in parecchie altre opere di lui. (3) Ibid. p. 310. (4) Fra i quali dobbiamo specialmente render grazie al d.r Luigi Agliardi, che per noi ha invano rovistate pubbliche e private raccolte torinesi di ma- noscritti. ί 34 GIORNALE STORICO E LETTERARIO DELLA LIGURIA nostro dolore, irreperibile. Abbiamo detto con maggior dolore, perchè quel manoscritto ci avrebbe certo rivelato uno di quei pochissimi paladini, come nota il Bertana, della Veneranda Mitica Dea, che fra noi sorsero, innanzi che i romantici la battessero in breccia. Per fortuna, qualche cosa ce ne dice il Baldanza stesso; ma assai poco, perchè egli, più che d’altro, preoccupato di dimostrare che il Tagliazucchi, amico dello Schiavo, ha fatto un pessimo sonetto, e che Abramo non ha niente a che fare col matrimonio, e che non « s’ha da scegliere la prima sera delle nozze per predicare agli sposi la legge in versi e farne loro in un sonetto un compendio cattechistico » (i), sorvola sulla prima e per noi più importante accusa. Anzi, in sostanza, 1 ' Ab elio nota solo che il critico « insegna che sarebbe ridicola cosa se verbi gratia in vece di Santo Imene si dicesse Santo Matrimonio ; e in vece: ed in seconda prole Sia propizia Lucina al vostro letto, si dicesse: ed in seconda prole Le Levatrici sieno pronte al letto » (2). Il che è davvero pochino assai, e ci fa più curiosi di conoscere il resto. Ma il resto, come abbiamo detto, ci è rimasto irreperibile; il che, pare a noi, non ci può però impedire di porre anche il Tagliazucchi fra coloro che, singolarmente per la loro condizione, contribuirono ad abbattere il vecchio tronco della Mitologia nel campo fiorito della nostra poesia. Anch’egli non scalzò certo l’uso letterario di cui fu manifestamente nemico ; ma chi negherebbe — conchiuderò colle parole del Bertana — che anche i suoi esempi e le sue parole « non contribuissero almeno ad avviare 1’ opera demolitrice che fu compiuta in seguito da altri? » (3). Luigi Piccioni. (1) Ibid. p. 331. (2) Ibid. p. 330. (3) P. 10 dell’Estr. già cit. GIORNALE STORICO E LETTERARIO DELLA LIGURIA 135 VARIETÀ LA DUCHESSA DI CHARTRES A GENOVA. Allorquando venne deciso che Luigi Filippo d’Orleans duca· di Chartres si sarebbe recato a Tolone, a fine di prendere il comando della squadra che si armava a Brest e doveva vaneggiare nell’oceano, Luigia Maria Adelaide di Borbone, sua moglie, espresse il desiderio di cogliere questa opportunità per accompagnare il marito fino a quel porto di 4mare, e quindi, nel tempo della sua assenza, compiere un viaggio attraverso l’Italia. Così infatti fu deliberato. Il ministro genovese a Parigi, Cristoforo Spinola, scrivendo a questo proposito, il 4 marzo 1776, avvisava 1’ allestimento delle navi a Brest, e soggiungeva « che detta squadra sarà comandata dal sig. Duca di Chartres, il quale monterà un vascello di 64 cannoni » (1). E quattordici giorni dopo riferiva: « Dicesi che la sig. Duchessa di Chartres si disponga anch’essa a fare un viaggio in Tolone per accompagnarvi il Duca suo marito», alla quale notizia nel successivo dispaccio del 25 aggiungeva aver saputo come essa in questa occasione avesse « in vista di fare una scorsa » a Genova, « dove guarderà l’incognito », il che ripeteva nella lettera del i° aprile. Il governo a questa insistenza si decise a interrogare la Giunta dei Confini « se per il caso della venuta della Sig. Duchessa di Chartres sia luogo a praticare colla medesima qualche attenzione o distinzione », .nvitando quel magistrato a riferire al più presto. Così la Repubblica era già informata del viaggio che Luigia Adelaide si proponeva di fare « in un perfetto incognito », e stava già prendendo delle disposizioni prima che il ministro di Vergennes lo partecipasse al residente francese a Genova, Boyer de Fons Colombs, la qual cosa egli fece il 9 aprile, quando i duchi avevano già lasciato Parigi, non sapendo dire però se « S. A. S. gardera ou non l’incognito » (2). E mentre dava sì fatta notizia lo stesso ministro ne teneva parola a Cristoforo Spinola, il quale in data del 15 scriveva: « Nella conferenza che io ebbi martedì scorso in Versailles col sig. Conte di Vergennes, mi parlò egli dell’avvisata partenza del sig. Duca e Duchessa di Chartres alla volta in Bordeaux, per fare il già (1) Arch. di Stato, Genova. Lettere Ministri, Francia, Mazzo 80. (2) VlC.CHt. Il viaggio della duchessa di Chartres, Imola, Galeati, 1900; pag- 43· 136 GIORNALE STORICO E LETTERARIO DELLA LIGURIA mentovato viaggio, e in questa occasione mi disse che dal prefato sig. Duca gli era stato scritto per avere i passaporti necessari, perchè la Signora sua Duchessa potesse uscire fuori del Regno, quali le aveva immediatamente spediti; e mi aggiunse che credeva che una tale richiesta fosse per effettuare costì la progettata scorsa, motivo per cui si era portato a darne avviso a cotesto sig. Boyer. Io li risposi che erano già da più settimane che avevo notiziato VV. SS. Ser.me d'un tale progetto, abbenchè per . parte di detta Principessa non me ne fosse stato data partecipazione alcuna; e così terminò questo discorso ». Infatti non c’era altro da dire dopo la diplomatica, ma non men pungente toccatina, per la mancata convenienza così rispetto al ministro francese come alla principessa. Il conte di Vergennes non soggiunse altro, ma in cuor suo avrà certamente pensato che quel genovese aveva un eccellente servizio d’informazioni, e compieva con molta cura al suo ufficio importante. Intanto la comitiva principesca s’era separata a Tolone, e mentre il duca si apprestata ad una più lunga traversata, sua moglie giunta ad Antibo si lasciò persuadere a recarsi per mare a Nizza; ma la breve navigazione le riuscì tanto infesta che elesse da quella città proseguire per terra il suo camino inerpicandosi per la via impervia della cornice. Il console di Francia Le Scure, in previsione appunto della difficoltà delle strade, scriveva da Nizza il 6 maggio al capitano di Ventimiglia, Francesco Luigi Federici, avvisandolo del prossimo passaggio della duchessa col seguito, perchè volesse provvedere alla viabilità, in ispecie « en faisant jetter des madriers ou planches sur la rivière », o prendendo altre misure atte ad « assurer le passage de la Princesse ». La quale doveva partire il giorno successivo, e desiderava mantenere l’incognito; onde «ce sera l’obliger beaucoup de ne la traiter que comme comtesse de Joinville » (1). Il capitano di Ventimiglia si rivolse subito alla Comunità, alla quale ordinò la costruzione del ponte di legno sul Nervia, e così « pure l'aggiustamento di vari passi che pessimi esistono dalla parte di Mentone ». La duchessa passò da quella città senza trattenersi, ed indugiatasi alquanto ad ammirare l’incantevole vista che si gode a Bordighera, dovette pernottare a Ospedaletti, con molto disagio per la insuffìcenza e povertà deU'alIoggiamento. Così procedette innanzi alla meglio, e lasciato da parte S. Remo, raggiunse Porto Maurizio quando era meno aspettata. Il capitano Lazzaro Federici riferiva 1’8 maggio: « Questa mattina tutto all’ improvviso verso le ore quindici di Italia è arrivato espresso che avvisava la venuta della signora Duchessa di Chartres: sorpreso da ciò ò fatto subito chiamare questi MM. Anziani per apprestarle un alloggio; ma assai presto (l) Arch. cit. Salutationum et Ceremonialtìm, filza 11 ; e così i documenti che seguono. GIORNALE STORICO e LETTERARIO DELLA LIGURIA I 3 7 cioè alle 16 i[2 è arrivata la stessa preceduta da tutta la sua Corte, ed io, credendo che spiegasse carattere le ho spedito questo M.ro di Cerimonie con una guardia di dodeci Granatieri; ma inteso che passava sotto nome della Marchesa di Juinville ò ritirato la stessa, ed in figura privata mi sono portato a farle un breve complimento, che non includesse il nome pubblico, a cui à risposto in francese con termini obbliganti, e con segno di gradimento. In questo punto mi sono ritirato perchè s’ è messa a tavola da questo Vice Console dove resta alloggiata; dimani deve proseguire per codesta Capitale ». Si affrettava perciò ad avvisare tutti i giusdicenti sottoposti alla sua giurisdizione, affinchè si prestassero ad agevolare il passaggio delle lettighe, del seguito, delle bestie e delle bagaglie. La strada fra Porto Maurizio Albenga e Pietra Ligure diede non poco da fare ai nostri viaggiatori, i quali elessero di mettarsi in mare per raggiungere Noli, donde si avviarono a Savona. Udiamo qui pure la relazione, in data del io, del Governatore di questa ■ città Alessandro Giustiniani: Questa mattina verso il mezzogiorno ho inteso 1’ imminente arrivo in questa città della Sig. Duchezza (sic) di Chartres sotto nome di Contezza di Ranevil (zie) preceduta da varie filuche, sulle quali eranvi da venti Granatieri francesi con le loro armi. Nelle angustie perciò del tempo che mancava al di lei arrivo, ho fatto guarnire le Porte di Città per puro ornamento di sufficiente numero di soldati senza essermi però impegnato in alcun ordine dì pubblica formalità. Verso le ore due doppo il mezzogiorno la stessa Principessa è gionta per terra da Noli, dove si era sbarcata, con seguito di un Ambasciatore che si dice destinato alla Corte di Napoli, e si nomina il Marchese di Clairmont, di due Dame, ed un competente numero di servitù. Ha ella smontato in Casa di questo Vice Console francese Garibaldi, che ha destinato per suo alloggio anche nella prossima notte, contando di partire dimani a codesta volta per terra. Al momento che mi è pervenuta detta notizia l’ho fatta complimentare da questo Sig. Cap. Langland, da cui le ho fatto offrire la mia carrozza, che ha immediatamente accettate. Ho pure col detto mezzo fatto esplorare il di lei animo su d’un complimento che mi son creduto in dovera di farle, e ne ho avuto in risposta il pieno gradimento della stessa. La ho perciò attesa al ritorno di un giro che ha quasi sabito fatto verso Albisola a vedere que’ Palazzi, et alle ore sei col seguito de’ miei ministri e di vari Ufficiali di questa Fortezza mi sono portato alla Casa del di lei alloggio. Mi ha Ella ricevuto con le più aggradevoli dimostrazioni, avendo anche accettata la nuova offerta che le ho fatto di detta carrozza per di lei servizio dimani sino in Albisola. Mi ha detto che saiebbe partita alle ore otto di mattina da qui per Albisola, d’indi sino a Volili in bussola per rendersi poi immediatamente in codesta Dominante in carrozza. Siccome poi mi sono avveduto che si faceva verso la casa del di lei alloggio folla di persone, ivi tratta da curiosità, ho stimato mandarvi alcuni soldati senz’ armi per ovviare la confusione ed il rumore. A Genova intanto la Giunta dei Confini, interpellata, come abbiamo veduto, dal Senato, si limitava a riferire quale era stato il trattamento fatto alla Duchessa di Modena (ava materna della Duchessa di Chartres) nel 1739, e al duca di Penthiévre 138 GIORNALE STORICO E LETTERARIO DELLA LIGURIA (padre della duchessa medesima) nel 1754, sebbene venuto in incognito. Teneva parola di questo viaggio il residente di Francia nella ordinaria conferenza avuta col segretario della Repubblica, dando notizia deU’avviso ricevutone dal ministro di Vergennes, ma dichiarando che ignorava se la duchessa, sarebbe giunta per terra o per mare, e se in forma pubblica o in incognito; per il che aveva scritto a Tolone a fine di esserne esattamente informato. Però pregava il segretario a non tenerne parola, o almeno a non palesare che sì fatte notizie provenivano da lui. Letta la relazione della Giunta, ed intese le spiegazioni soggiunte dal segretario, il Senato deliberò di regolarsi nel modo stesso onde venne ricevuto il duca di Penthiévre, aggiungendo la nomina di una deputazione di dame e di patrizi, per onorare maggiormente la illustre viaggiatrice. A questo ufficio erano nominate: Anna Brignole, Maria Centurione, Emilia De Franchi, Giovanna de Mari; e dei patrizi: Gio Francesco Pallavicino, che per rinunzia fu sostituito da Domenico Pallavicino, Giacomo Hurazzo, Nicolò de Mari, Domenico Ferretto. Venivano poi prese le opportune disposizioni per le onoranze, ove fosse giunta in forma pubblica, perchè si riteneva avrebbe percorsa la via di mare, e impartiti gli ordini necessari a Gaetano Pittaluga di provvedere le stanze del palazzo del duca Tursi in Strada Nuova, offerto a sì fatto uopo in nome di questi da Pier Francesco Grimaldi. Del pari si emanavano le convenienti istruzioni per 1 apertura delle porte, abbassamento di catene, ingresso di bussole e libero passaggio dell’equipaggio, siccome si autorizzava i hi di ragione a far vedere alla duchessa il sacro Catino, e le Sante Ceneri del Battista. Infine consentivano che nonostante si fosse nel periodo della novena di S. Caterina, pure si potessero fare al teatro feste da ballo con maschere (i). Al maestro delle Cerimonie ed al capo della Deputazione eletta si comunicarono per iscritto le modalità del ricevimento e delle visite sia che la duchersa arrivasse in pubblica forma, oppure in incognito. Tutti questi preparativi non ebbero poi seguito e in parte anzi vennero revocate le disposizioni e gli ordini impartiti, quando il 30 aprile Michele de Pinet, segretario del-ìnviato francese, notificava al segretario di Stato che la duchessa, t J1* Qul Ctade un aneddoto curioso. Pervenute le istruzioni a Cesare Lo- 1 ί1”0 6 f°rto’ rivolge una istanza al governo, con la quale, e ritrovandosi ItÌ * Γ® Sp6Se necessarie al decoro del suo impiego, fare dominH^ eSC 6 C,nî e situazi°ni di sua casa impossibilitato a ciò presenti circost™?!™ 6 straor<^nari° sussidio acciò possa valersene nelle quella nronriet'i nor ^ * empl[e a orclirli de’ quali viene incaricato con Ü sussidi è ZJT a tale,CariCa al C0SPett0 di nazioni forastiere ». E ma indi a noco ςηη \Ά°\ <( Per rsi un a^>ito conveniente al dHui carattere»; vocato (Arch. ku SalutlolumÌ^. ^ ten'a’ Π deCret° f“ ^ GIORNALE STORICO E LETTERARIO DELLA LIGURIA 139 viaggiando sotto nome di contessa de Joinville « veut être dans le plus grand incognito, ne voulant d’honneur d’aucune espece, ni fêtes ni magnificence, son projet étant de faire un voyage instructif », avvertiva poi che aveva accettato l’alloggio in casa del residente di Francia. Il quale fino dal 22 aveva scritto al suo ministro a Parigi: « mais comme j’imagine qu’ elle aimera mieux être incognito pour n’ être pas gênée, je me flatte qu’elle daignera agréer ma maison, ou qu’elle occupera le palais, dont je me suis assuré, supposé que ma maison ne soit pas assez grande pour loger les dames et messieurs de sa suite » (1). E poi quando seppe che la duchessa partiva da Savona, si recò ad incontrarla a Voltri, e di qui si affrettarono di conserva a Genova, dove giunsero la sera dell’ 11 maggio, andando tutti a smontare alla casa del residente Boyer. Nei libri dei Cerimoniali si trova memoria della permanenza quivi fatta da Luigia Maria Adelaide in questi termini (2): 1776, 11 maggio. In questo giorno arrivò per via di terra la Duchessa di Schiartres (sic), con tre Damigelle di sua Corte, accompagnata da uno Imbasciatore Francese, che andava per parte del Re di Francia Imbasciatore a Napoli (però incognito). Il Ser.mo Governo fece per l’istessa Principessa una Deputazione di quattro patrizi e quattro Dame. Il M.co M.ro delle Cerimonie si portò, secondo l’ordine datole da SS. Collegi, a complimentarla e felicitarla del suo arrivo in questa Ser.ma Dominante, e offerirle nell’istesso tempo la M.ca Deputazione, sì de’ Cavaglieri, come anche quella delle Dame, delle quali Capo era la M.ca Annetta Brignole ; al quale le fu risposto dal Sig. Inviato di Francia in nome suo, che era venuta in un perfettissimo incognito, e soltanto di passaggio, e che non si poteva trattenere in Genova, e che era stata proibita dalla sua Corte, e dal marito a dar incomodo a chi che sia altra Corte o Sovrano, e perciò essa avendo data questa parola, era in obbligo di doverla mantenere, poiché era solamente diretta per Modena a visitare suo Avo, il Sig. Duca ; e perciò ringraziava il Governo Ser.mo delle finezze e attenzioni le usava, e non voleva per alcun modo neppure incomodare questi Cavaglieri e Dame, che la volevan favorire; onde il tutto fu terminato. Essa però non tralasciò di far invitare a pranzo li suddetti Sig.r' Deputati per mezzo del suddetto signor Inviato di Boyé, ove era alloggiata, li quali tutti vi intervennero ; e in appresso le fu data una pubblica Conversazione di una bellissima Veglia con intervento di tutta la nobiltà, sì di Dame non che di Cavaglieri, che di buona voglia accettò e gradì. Indi a due giorni partì per il' suo destinato viaggio. Più particolari notizie intorno alla breve dimora della duchessa in Genova, e alle accoglienze ricevute, si leggono nel Diaro E-stero di Roma, dove, riferita la notizia dell’arrivo, si continua così (3): Domenica (12) le fu dato un assai lauto pranzo dal signor di Boyer, al quale intervennero i ministri di Spagna e di Sardegna, con altri signori di (1) Vicchi, op. cit., pag. 73. (2) Arch. cit., vol. 8, η. 481, p. 69. (3) in Vicchi, op. cit., p. 81. 140 GIORNALE STORICO E LETTERARIO DELLA LIGURIA questa nobiltà. La sera poi pa=sò alla veglia che davasi dal signor Carlo Lo-mellino alla nobiltà, nella quale godette di preziosi rinfreschi. La sera dopo (13) si portò al teatro di Sant’Agostino per godere la commedia buffa italiana, con festa di ballo e maschere; nel tempo della quale dal medesimo signor di Boyer venne imbandita una splendidissima cena. La mattina de’ 15 passò nuovamente in Voi tri, nel delizioso palazzo di campagna della signora Anna Brignole, ove fu dalla medesima disposto un magnifico pranzo, coll’intervento de’ signori della corte della duchessa e di altri di questa nobiltà. Nel suddetto giorno la prefata signora duchessa si portò a vedere nella chiesa metropolitana il prezioso catino di smeraldo e poscia molte di queste chiese, il reai palazzo, il grande ospedale di Pammatone, 1’ albergo de’ poveri, ed altri grandiosi edifizi, essendo stata sempre servita dall’anzidetto ministro di Francia. Di tutte queste cortesi onoranze rimase pienamente contenta, sì come riferiva il Boyer al ministro di Vergennes: « Cette princesse a été satisfaite des attentions qu’on lui a marquées sans affectation pour ne pas la gêner. En effet elle a été traité et reçue, suivant l’incognito qu’ elle a voulu garder, tant aux assemblées de la noblesse, qu’à un bal masqué, que l’on a paru ne donner que pour les dames du pays. S. A. S. a été sourtout fort sensible aux égards et aux politesse que lui a marquée madame la marquise de Brignoles mere de la princesse de Monaco » (1). Ma nelle carte genovesi si legge qualche altra breve menzione del viaggio di Luigia Maria Adelaide, dopo la sua partenza da Genova. Lasciando stare i semplici accenni all'arrivo ed alla partenza dati dei consoli rispettivamente di Venezia e di Napoli, qualche notizia maggiore se ne trova nelle lettere di Serafino Figari, residente per la Repubblica a Roma. Dopo aver notato l’arrivo della duchessa il 5 giugno, e 1’ alloggio preparatole nel palazzo Sciarra, egli tocca nella lettera successiva della sua partenza per Napoli « poco contenta, per qnanto è sembrato, di Roma, e vicendevolmente corrisposta dai Romani. Essa non è stata all’udienza del Santo Padre, forse perchè non fusse per accordarle lo stesso trattamento col quale fu ultimamente ricevuta 1’ arciduchessa Maria Cristina » (2). Così, comunicata la notizia del ritorno da Napoli, e una settimana più tardi quella della partenza per la Toscana, con « l’incomodo della ribaltatura » toccatale poco lungi dalla città « al sito volgarmente denominato la sepoltura di Nerone », senza però « verun nocumento personale », conclude: « Essa non ha veduto il Papa per etichetta di trattamento, sebbene desiderasse molto di vederlo: fu notata la sua divozione, allorché si pose in ginocchio ansiosa di ricevere dalla Loggia del Palazzo Sciarra, dove abitava, la benedizione del Santo Padre, che usciva dalla (1) Ivi, p. 83. La Brignole era Anna Balbi moglie di Giuseppe, intorno alla quale è da vedere: De Segure. La derniir des Conde, Paris, Levy, 1899. (2) Arch. cit. Lettere Ministri, Roma, mazzo 62. GIORNALE STORICO E LETTERARIO DELLA LIGURIA 141 vicina chiesa di S. Maria in Via Lata. Riflette taluno che il sig. Card, de Bernis abbia temuto di farsi un demerito colla casa d Orleans, mentre andava a mira di farsi un merito particolare colla medesima ». In questo modo succoso e diplomatico l’accorto genovese riassumeva molto prudentemente la situazione, come si dice, creata in quell’opportunità dal mondano cardinale, fonte di molti discorsi, di scritture polemiche, di pettegolezzi infiniti, a cui pose fine Pio VI con una provvidenziale cassetta di rosari benedetti, spediti a Parigi dopo che v’ ebbe fatto ritorno la ducal viaggiatrice (i). Della quale il residente genovese a Parigi il 22 luglio avvisa laconicamente la tornata così: « Sono due giorni che la Sig. Duchessa di Chartres si ritrova di ritorno in questa Capitale ». A. N. ANEDDOTI UN SINGOLARE RIFIUTO. E noto per le istorie genovesi con quanta febbrile sollecitudine, e con quale ingente dispendio la Repubblica provvedesse a cingere di mura la città, ed a fortificarla negli anni 1536 e 1537· Esauriti tutti gli espedienti finanziari, nè l’erario potendo far fronte alle spese necessarie per ridurre sì grande opera a compimento, si ricorse al patriottismo dei privati cittadini, i quali risposero in modo degno sborsando, secondo loro potere, somme più o meno notevoli. E a ciò non furono solleciti quelli soltanto che dimoravano in patria, ma altresì gli altri stanziati fuori di Genova. Così, per via di esempio, Edoardo Cicala, allora in Corte romana e più tardi vescovo di Sagona in Corsica, scriveva il 23 febbraio 1537 che avrebbe dato il suo concorso non appena intese che s’era posto mano al lavoro « senza altra persuasione et exhortatione », se avendo dovuto sborsare « certa bona partita de denari » non si fosse trovato « alquanto exausto » ; tuttavia non volendo ora « mancare, se non in tutto, saltim in parte, di far il debito » suo, avvertiva di aver scritto al nipote « quello tanto haveva da exbursare », pronto a far di più, « a la total satisfactione del debito », in appresso « succedendo megliori tempi » (1). Giano Grillo, il dovizioso patrizio che ha onore di statua nel palazzo di S. Giorgio per le sue larghezze, il 6 maggio da Lucca, dove aveva presa prima stanza e divenuto autorevole, e dove morì, lodava a’ reggitori della patria l’opera intrapresa, sì come la deliberazione di volgersi a’ privati (1) Cfr. Vicchi, op. cit., pag. 174 e seg. e 221 e segg. (2) Arch. di Stato, Genova. Litterarum, Fil 3-1960. Di qui sono tratti pur tutti i documenti che si citano o si riferiscono in seguito. 142 GIORNALE STORICO E LETTERARIO DELLA LIGURIA per sussidio, ed offriva « liberamente e di chore » scudi trecento del sole. Del pari Leonardo Gentile da Anversa il 9 giugno, dopo aver accennato al debito de’ cittadini, anche assenti, di soccorrere la patria, annunziava che tutti i genovesi dimoranti in quella citta s’erano mostrati « facili a cusì degna opera, et dovuto suffragio », e quanto a se desiderando di mostrarsi « di essa patria degno », offre cinquanta scudi del sole, con « 1 a-nimo ben disposto a maggior somma, ma la facultà noi comporta ». E per fine, lasciando stare le offerte di Domenico Sauli, Gio Gioacchino da Passano, e di più altri, Francesco Pallavicino vescovo di Aleria, alla richiesta della Repubblica rispondeva così: IH.mi S.ri et Pro.«i miei Osser.mi etc. Per 1’ humanissima di V. S. di vj del presente ho visto come per loro bontà mi connumerano nella spesa della fortificatione della Commune Pallia; cosa alla quale certo non debbo nè voglio inanellare ; sol mi duole non essere in facultoso stato di posser far quello che sarebbe l’animo mio in questa Santa Opera, et in ogni altra giovevole al dolce libero stato, pur per quel che per me si può in questa presente spesa, ne scrivo il bisogno a Μ. \ incentio, qual supplirà secondo si stendeno le mie facultà, e non secondo ch’io vorrei, considerato il tanto bene che per tal fortificatione alli presenti e Posteri^ Cittadini ne può seguire, mercè della Iddio gratia, con la Pietà e Bontà de suoi giusti Regitori, per i quali ne priego e pregherò sempre 1’ alto Iddio che la Città nostra di Tali ne sia sempre abbondevole, per la lunga conservatione del libero, quieto e felice stato. Et alle S. V. come buon figliuolo humile-mente mi raccomando et offero. Di Roma alli xxii di Febbraio MDXXXVII. D. V. 111. S. Dedit.mo F. Vesc.0 d’Aleria. Ma in tanta gara di offerte e di adesioni doveva sorgere una voce discordante, quella d'uno degli uomini più insigni che allora vivessero in Italia; Federico Fregoso. A lui, come a personaggio reputato e di non piccolo grido, scrivevano i governanti una lettera speciale ed a parte, in questo tenore : R.mo Mons. oss.mo La condicion de’ tempi, l’essempio delle altre città, li periculi in che fussimo li passati mexi et il desiderio della conservation di questa comune patria in quel libero stato che la si ritrova, ne ha constrctto a vivamente por mano alla fortification di questa città, e a cingerla di forte e gagliarde mura sperando con questi mezi non solamente a cautelarsi quando venissero a danni nostri forze esterne, ma che le debbino essere sufficiente causa a tronchar i designi de chi procurasse in l’avvenire la inquietudine e revolution nostra. E così con l’agiuto di Dio si persevera in l’opera la quale resterà fornita asai più presto di quel che da principio alchun existimar potesse. Egli è ben vero che la speza sarà magiore di quel pensassimo, imperilo quando consideriamo che quel tanto sarà nostro et delli habitanti che ne a-vanserà fornita del tutto l’opera non ne pare ne deve ad alchun dolere la spesa, per supplemento della quale oltra le generali gravesse imposte bisogna ricorrere a tutti quelli che giudichemo potere et volere suffragare la sua patria in si necessario bisogno, fra i quali sopra tutti li altri reputemo essere GIORNALE STORICO E LETTERARIO DELLA LIGURIA 143 • a . .ma S.'ia, le condicion e virtù della quale, notte e manifeste a tutti citta mi di questa Republica, ne assicurano che la suffragarà questa santa impreza con larga mano. E per questo giudichemo superfluo dir molte parolle, m persuader V.a R.ma S.na) quandoché se altramenti facessimo ne parebbe ο cndeie quella pietà con la quale è solita di abraciare tutte quelle cose che ree ondano a beneficio di questa Republica, e per questo facciamo fine, parendone che basti haver nottificato a V.a R.ma S.>'ia il bisogno magiore asai de ingun altro, che per adietro offerto si sia. E nostro S.r Dio conservi in sanità ^;a R;ma S.ria per la grandessa della quale si offeremo di bon core dispostissimi e pronti. Da Genova a dì primo di fevraro 1537. Da questa lettera ben si vede quanto fossero grandi le speranze che in tale uomo riponevano i feggitori della Repubblica, ed è quindi facile l’immaginare qual straordinario senso di stupore destasse la seguente risposta: 111.™° et Mag. S.ri Voluntieri sotisfaria a quanto V. S.r*e mi ricercano per subventione di quella buona opera, clre le hanno intrapreso, se la facultà mia, et le molte spese, che me circonstanno così extrinseche come domestice mel consentissero ; ma in verità io sono tanto da quelle oppresso per li molti parenti poveri et antichi servitori, i quali io non posso ragionevolmente abandonare, che a pena posso sustentare la mia assai piccola famiglia parcamenti et anche la persona mia, lasciando spesse volte a dietro per impossibilità di quelle, elemosine in questa citta a le quali io sono obbligato per il luoco ch’io tengo in quella. I eiò instantementi prego V. S.r>e siano contente haverme per iscusato, recorrendo in questo bisogno loro alle borse megliori che la mia ; perchè come quelle possono sapere, Jesu Christo benedetto prohibì alli suoi discepuli accumulare denari, ma contentarsi da giorno in giorno, ciò è da mano in mano; et non volere essere molto solleciti del tempo futuro, dicendo : Sufficit diei malitia sua. Et benché io riceva tutto dalle S.r‘e V. in buonissima parte, pure non ho possuto fare di non maravegliarmi, come sia caduto nella mente di quelle questo pensiero, essendo io così da longi et quasi nascosto in questa nostra montagna et massime havendo quelle ricevuto dal S.r Ottaviano mio fratello, cuius memoria in benedictione sit, per il suo testamento così ampio dono per quest’opra della fabrica di muri. Ma come io ho ditto di sopra, molto mi duole non potere in questo et in ogni altra cosa, che le me ricercassero, satisfarle intieramente come buon figliuolo di V. S.rie et di quella patria. Et così facendo fine, in loro buona gratia mi raccomando assiduamente. D’Eu-gubio il mj di Aprile mdxxxvij. De V. S.’ie Bonfigliolo F. Fregoso Are.0 di Salemo ( osi quest’uomo, circondato di tanta stima in patria, e reso celebre dovunque per opera di scrittori e di poeti; quegli che s’era manifestato liberalissimo nella sede episcopale di Gubbio, ricusò alla sua Genova, in gravi distrette, anche un modesto sussidio, testimone, se non altro, d’animo affezionato e volonteroso. A. N. 144 GIORNALE STORICO E LETTERARIO DELLA LIGURIA ANCORA DEL NOME « CINTRACO ». L’ipotesi messa innanzi da Ubaldo Mazzini nel fascicolo precedente del Giornale (p. 43-44) circa Γ origine del nome Cintraco, ci suggerisce alcune osservazioni che speriamo non torneranno discare nè al Mazzini stesso nè ai benevoli letton. Cominciamo col rammentare, per chi non lo ricordasse, che il Cintraco era un pubblico ufficiale del Comune, « ora bargello, ora capitano di giustizia, ora pubblico usciere o banditore », le cui molteplici attribuzioni sono così enumerate in un decreto consolare del 1142 (Liber Iiuriunì, I, col. 7°~79) ■ « i°) ordinare guardias civitatis et requirere et recognoscere si facte fuerint ; 20) voca're populum ad parlamentum pei civitatem et per burgum et per castrum in precepto consulum, 3°) verberare latrones et malefactores; 40) vocare homines ad placitum per civitatem et per burgum, et per castrum ; 5°) *a" cere bandum per civitatem et per totum episcopatum; 6°) intrare in mansionibus ad accipienda pignora.... ; 7°) quando ventus aquilo regnat, ire per civitatem et per castrum et per burgum admonendo ut bene caveant ignem; 8°) custodire in sabato sancto portas Sancti Johannis », ecc. (1). Poi, perduta la maggior parte delle antiche attribuzioni, l’ufficio del Cintraco si ridusse a quello di « precone, araldo, pubblico banditore ». Or ecco quanto crediamo di osservare all’ipotesi del Mazzini, secondo la quale il nome Cintraco deriverebbe dal greco σον-τρέχω , i°) che già il Serra, nel vol. IV, p. 102 della sua Storia dell' antica Liguria e di Genova metteva innanzi la medesima derivazione; 2°) che il Randaccio, a pag. 16 del suo libro Dell’idioma e della letter. genov. (Roma 1894) registra pure (senza però citare il Serra) cintraco come proveniente da (συντρέχω), 3°) che già il compianto prof. Girolamo Bertolotto nel vol. XXI del Giornale Ligustico (1896, p. 38) dimostrava l’insussistenza di codesta originazione; 40) che l’argomentazione, del trovarsi scritto sintricho in un documento del 1403 dell'Archivio Comun. della Spezia, non prova nulla in favore di quella tesi per le seguenti ragioni: a) perchè la lezione sintricho data dal docum. citato non è altro per noi che un novello esempio di quelle incoerenze grafiche che costituiscono una delle caratteristiche di tutti i documenti medievali, determinate da un cumulo di circostanze; senza dire che qui si tratterebbe, comunque, d una scrittura assai tarda (sec. XV), laddove tutti gli altri documenti citati dal Lumbroso e dal Mazzini stesso ci danno sempre cm-tracus o cintragus o gintracus 0 gintragus 0 centragus o centrego; b) perchè il più antico documento che ci serbi memoria di questo ufficiale (cioè il decreto sopra riferito del Π42ι c· dà già la (1) Cfr. Lumbroso, Storia dei Genovesi avanti il 1100. Torino, 1872, p. 20 ; Bertolotto, Giorn. Ligustico, XXI, p. 38. GIORNALE STORICO e LETTERARIO DELLA LIGURIA 145 lezione cìntragus dei documenti posteriori, mentre il sintricho del !403 si spiega benissimo come proveniente da cintracus (1); c) infine, perchè non è di niuna guisa ammissibile, come assolutamente contrario alle leggi della morfologia greca, un cosiffatto nome di agente σύντραχος·,· che tutto al più, come già avvertiva il Bertolotto (2), grecista di non comune valore, sarebbe σΰνδρομος col significato di agente diretto e non causativo. E' dunque da abbandonare senza esitazione Γ uguaglianza cintraco — ζχ>Ίτρέχω; laddove nulla contrasta alla ingegnosa etimologia di Giacomo [.umbroso (3), che vide in cintraco la traduzione letterale della parola ibrida (latino-greca) κένταρχος = centurione, voce usata nel linguaggio militare ed amministrativo della bassa grecità, donde, per via di metatesi, si venne a centrachus, cintraco, ecc. La quale etimologia venne favorevolmente accolta, tra gli altri, da un valoroso storico della Liguria, Cornelio Desimoni (4), e da un etimologo di somma autorità, Giovanni Flechia (5). Ma un’altra circostanza non dobbiamo dimenticare: che cioè a conferma della validità dell’etimologia del Lumbroso il Bertolotto citava un crisobullo (diploma suggellato con bolla d’oro) dell’imperatore Isacco colla data greca del 6700 (— 1192), il cui originale di conserva nell'Archivio di Stato di Genova, ove è detto: ταΰτα πάντα & περιέχει ή παρούσα γραφή ϊνα δμόσωσιν οι κόνσουλοι πάντες· Γένουας· διατηρησαι καί δ λαός Γένουας διά του ΕΚΑΤΟΝΤΑΡΧΟΓ καί ώς όμνύω ταυτα χωρίς1 δόλου καί περινοίας ,ούτος1 ϊνα μοι βοηθ-ή δ β-εός. Il magistrato quivi designato è appunto il cmtrago, e infatti poco dopo (2 agosto 1192) Balduino cintrago giura a Genova in pubblico parlamento l’osservanza di questo trattato (cfr. Giorn. Lig., I, p. 164). . Quale argomentazione più perentoria di questa si potrebbe addurre per rimuovere ogni dubbio circa la perfetta corrispondenza di cintraco έκατόνταρχος zi κένταρχος? (6). Giuseppe Flechia (1) E’ ancora da avvertire, tanto più che nè il Lumbroso nè il Bertolotto nè il Mazzini 1’ hanno notato, che negli Statuti di Nizza editi da Fed.^ Sclopis (.Monum. Hist. Patriae, II, p. I74) e da Pietro Datta (Delle liberta del comune di Nizza. Nizza, 1859) si parla d’ un ufficio esistente m quel comune detto « Centregaria, si ve nunciorum quos ponebant et tenebant in curia Nicie ». (2) Giornale Ligustico, XXI, p. 39· (3) G. Lumbroso, op. cit., pag. 19-26. (4) Giornale Ligustico, I, pag. 163-4, nota 3. (c) Archivio Glottologico Italiano, Vili, p. 338. (6) Mi sia lecito richiamare il num. 27 delle mie Postille al Glossano medievale ligure di Gir. Rossi. Giorn. stor. e lett. d. Lig. IL 10 146 GIORNALE STORICO E LETTERARIO DELLA LIGURIA BOLLETTINO BIBLIOGRAFICO. Francesco Ruffini. La libertà, religiosa. — Yol. I — Storia del-Γ idea. Torino, Bocca, 1901, in-8 di pp. XI 542. Quest’ opera molto importante sopra una questione die fra noi non attrae, come dovrebbe, l’attenzione del pubblico è dedicata alla Facoltà giuridica, genovese (1893-1899), di cui meritamente il li. lia latto parte in quel sessennio, come tiene con plauso ora la cattedra di diritto italiano nella Facoltà torinese. Ma havvi un’ altra ragione per cui si debba qui dare dell’ opera un cenno meno rapido di quello clie in altre riviste siasi tatto: cioè la trattazione relativamente larga che, in questo primo volume, θ fatta della politica ecclesiastica ligure sulla fine del secolo XVIII ed anche delle dottrine di certi sacerdoti della Liguria che, come il Solari, il Molinelli, il Palmieri, aderivano alle idee di Scipione dei Ricci; cose tutte di cui i critici delle sullodate riviste non poteano accorgersi, che del bel volume verisimilmente aveano letto solo la prefazione e.... l’ultima pagina, ov’è la conclusione sulla « storia dell’idea in Italia n. Abbondarono nelle lodi ed erano me-, ritate lodi.... se non motivate a sufficienza ; ma, si sa bene, la copia dei libri e la scarsità di tempo costringono spesso i recensenti a queste misure speditive ! Fortuna che, nella fretta, non abbiano visto, questa volta, a rovescio. Ma a chi scrive queste righe il nome del Dollinger, dalla cui tesi il R. prese le mosse, fu insegnato a venerare dalla nobil parola del De Leva (1) e siffatti argomenti dal De Leva stesso ben ricordo trattati, e anche nelle poche eloquenti lezioni di Luigi Luzzatti nella Università di Padova (2). Forse perchè la memoria di Marsilio, l’autore del Defensor pacis e risoluto difensore della tolleranza, memoria ravvivata in quegli anni fra il 1879 e il 1885 da Baldassare Labanca, allora professore pur egli della medesima Università, consentiva allo svolgimento di siffatti concetti aptissimum locum. Così fu da me cordialmente dato il benvenuto al volume del R. e cordialmente assunto l’impegno di dirne qualche cosa. Il volume, dopo della Introduzione ove sono svolti i concetti fondamentali, comprende quattro poderosi capitoli ciascuno dei quali (ιϊ Del quale si veda la Relazione sul Dante qual profeta di /. v. D. in Atti del R. Ist. Ven. ; Tomo VI della Serie VI (1888). V. pure il discorso su Giuseppe De Leva del prof. Sante Ferrari (Genova. Ciminago. 1897) specialmente da p. 12 a 15. (2) Ricordo quelle sui rapporti fra Stato e Chiesa in America che meriterebbero di essere pubblicate. Il R. cita i due studi del Luzzatti inseriti negli Atti del R. Ist. Ven. e nella Nuova Antologia su Temistio di Paflagonia e Spinoza in relazione alla libertà di coscienza. GIORNALE STORICO E LETTERARIO DELLA LIGURIA I47 u diviso in paragrafi e sezioni, secondo il costume dei trattatisti alemanni. S’intitolano: I, I precursori. — II, Periodo olandese. — III, I protestanti nei secoli XVII e XVIII. — IV, I paesi cattolici nei secoli stessi. Comincia a chiedersi il R. che cosa si debba intendere per libertà religiosa e a distinguere questa dalla libertà della chiesa (cattolica) non solo, ma anche, dalla libertà del pensiero. In fatti è vero che il progresso di quest’ultima ha giovato a quello della prima, ma son concetti diversi. Il vero concetto di libertà religiosa ha chi crede non debba dalla diversità di religione venire nè persecuzione, nè limitazione giuridica. Egregiamente dimostra il P. che può tal concetto essere attuato nel diritto pubblico cosi col regime di separazione delle chiese dallo Stato, che è il. sistema americano e dagli scrittori americani ritenuto indispensabile per quell’ attuazione, come col regime di giurisdizione dello stato sulla chiesa: sistema europeo adatto alle condizioni speciali dell’Europa molto diverse da quelle del nuovo continente. Il tondamente erudito della trattazione del P. è per gran parte d’opere straniere, e se ne capisce il perchè ; però non lo accuseremo di quello che recentemente il Lombroso chiamava 1’ antitalianismo degli Italiani; nel capitolo sui precursori egli mostra d’apprezzare i volumi del Crivellucci, altrove gli scritti del Gomba e dello Scaduto, e dove parla degli umanisti italiani le citazioni d’autori nostr’ se non sono copiose, sono però appropriate ; soltanto può destar meraviglia, trattando con amore il P. le cose di Genova, che mostri di non conoscere parecchi studi di Michele Rosi sulla politica della Ser.ma in relazione colla Romana Curia e coi protestanti: quegli scritti sopra un argomento, si può dire inesplorato, meritarono le lodi dei competenti e d’alcuno fu cenno pur in questo Giornale. Nel medesimo capitolo le osservazioni intorno alle encicliche dei tre ultimi pontefici fatte per mostrare che, con poche mutazioni più di forma che di sostanza, la dottrina della Chiesa Cattolica in questa questione della libertà religiosa è rimasta sempre la stessa, sono forse in un luogo che non è il più opportnno ; così le altre intorno agli scritti del famoso procuratore del SnntoSinodo Pobiedonetscheff; ciò probabilmente proviene dal modo com’ è venuto fatto il libro al R., modo eh’ egli stesso, a mo’ di scusa, narra nella succosa prefazione. Deve dirsi però che la mente esatta e organica dell’autore ha fatto sì che rare volte di quella formazione, a mo’ di valanga, il lettore avesse ad accorgersi. Sgombrata la via da queste inezie, possiamo tornare alla tesi del R. che è la seguente e viene dimostrata con gran copia d’argomenti e largo sunto di fonti contemporanee e specialmente di scritti 148 GIORNALE STORICO E LETTERARIO DELLA LIGURIA polemici : la riforma protestante, fondandosi sul principio della libertà d’ esame finì, dopo un secolo e mezzo di lotte religiose germaniche, a far trionfare il principio di tolleranza malgrado 1’ intolleranza insigne di Lutero e particolarmente di Calvino (1). Ma è dall’ unitarismo o antitrinitarismo o socinianismo italiano che l’idea della tolleranza prese il massimo vigore. Quel particolar modo largo (onde il latitudinarismo) di concepire il cristianesimo, dai sociniani d’Italia emigrati oltralpe per fuggire la persecuzione tu diffuso nella Svizzera primo rifugio e primo ostello, poi per un verso fino in Transilvania e in Polonia, per l’altro fino in Inghilterra e oltre l’Atlantico ; può dunque asserirsi: dal socinianismo italiano è venuta la maggior forza per la formazione del concetto moderno di libertà religiosa. L’ arminianismo olandese poggia su due basi: la tolleranza di Desiderio Erasmo da Rotterdam e gli scritti dei Socini e dell’Ac-concio. Ecco quindi Grozio e Spinoza e Locke, ecco svolta la dottrina di quell’ insigne precursore che fu Marsilio da Padova, ecco un ugonotto di Francia rifugiato pur egli come Locke in Olanda, e che precorre il u riso atroce e santo n di Voltaire. Il capitolo dell’ indipendentismo inglese parrà nuovo anche a quelli che hanno studiato a dovere la storia costituzionale e parlamentare dell’ Inghilterra ; perchè vi si segue passo passo il trionfo del principio di libertà dopo le molteplici persecuzioni regie e parlamentari ; la politica di Cromwell apparisce, per questo riguardo più liberale che non si creda comunemente ; e evidente è l’influsso del socinianismo sulle teoriche di Penn, sul latitudinarismo, sulle leggi di tolleranza che finalmente vinsero col famoso atto del 1689. Tal tolleranza però non fu estesa a tutti, per esempio non agli unitari, non ai cattolici che, secondo disse il Macaulay, con un secolo e mezzo di degradazione e soggezione pagarono i tre anni del-l’illegale e insolente trionfo, di cui aveano goduto sotto Giacomo II ». Quanto alla Germania il R. nota il significato preciso e i limiti delle sue paci di religione dei secoli XVI e XVII compresa quella famosa di "Westfalia. La dottrina liberale trionfò principalmente ad opera dei giuristi della scuola del diritto naturale cominciando da Pufendorfio e da Tomasio, e poi di quei letterati e pensatori del grande periodo che le teorie giuridiche adornarono coi fiori dell’arte; alla testa di questi sta G. E. Lessing col suo Natano. Nelle leggi furono gli Hohenzollern, e specialmente Federico il grande, che rup- (1) Altra volta fu da noi notata l’intolleranza dell'eretico Priscilliano (che venne poi, come tale, dannato a morte sotto Massimo imperatore) contro i Manichei. Riv. Stor. It. Fase. II del Vol. V (1888). GIORNALE STORICO e LETTERARIO DELLA LIGURIA 149 pero le pastoje messe dalla legislazione imperiale ai principi della libertà religiosa. Il resto della Germania segui gli Hohenzollern per questa via soltanto nel XIX secolo. Lo studio diligentissimo e minuto della questione in relazione col sorgere e crescere delle colonie cosi dette anglo-americane, consente al R. di mostrarci la intolleranza dei Puritani della Nuova Inghilterra, accanto alla benefica influenza degli Olandesi e anche dei cattolici. Molto interessante il caso del Maryland. La lotta per l’indipendenza corona alfine i comuni sforzi ; qualcuno anzi credette dovuta la famosa dichiarazione di diritti principalmente al desiderio di mettere in sodo la libertà religiosa. Sulla questione del separatismo l’idea del R., che abbiamo già accennata di sopra, è lucidamente esposta così : « Per dirla in una parola, in America non si diventò liberali perchè separatisti, nè, per converso, si diventò separatisti perchè più tolleranti che qualunque altra parte di Europa; ma unicamente perchè in difetto di un potere governativo centrale abbastanza forte da imporre la tolleranza, il solo separatismo poteva trovare colà un terreno neutro di conciliazione alle varie confessioni rivali e alle diverse chiese stabilite dai singoli stati. Alcune delle quali per altro rimasero ancora intolleranti malgrado e dopo la stessa costituzione federale ». Il che non toglie che « per l’America, ma badiamo unicamente per essa, libertà religiosa e separatismo si possano considerare come due termini correlativi η (1). Tralasciando ora d’intrattenerci sulle parti del libro che riguardano intolleranze elvetiche, scandinave, belgiche e polacche, richiamiamo però 1’ attenzione del lettore sulle osservazioni del R riguardanti la Polonia. I partiti che la dilaniarono, e prepararono alla malafede e prepotenza straniera la strada di compiere il gran delitto, tutti si dilaniarono a vicenda pur in nome della religione, e peccarono tutti della medesima intolleranza. Diciamo invece meno fuggevolmente degli stati che esercitarono maggiore influenza sulla storia italiana degli ultimi secoli : cioè Francia ed Austria. Margherita di Navarra, Michele Montaigne e particolarmente il cancelliere l’Hôpital son coraggiose voci per la tolleranza al tempo delle grandi guerre di religione. L’editto di Nantes può esser paragonato, pel suo carattere e le sue limitazioni, alla pace di Westfalia. Dopo la revoca dell’ editto e la morte di Luigi XIY, particolare importanza ha la restituzione della chiesa protestante di Francia an (1) Interessanti su ciò il IV e V capitolo del recente volume di Angelo Mosso. La democrazia nella religione e nella scienza. (Milano, Treves, 1901). Sonvi però in quest’ opera proposizioni non bene ponderate p. e. a p. 153 sulla molteplicità delle eresie data come prova di men forte sentimento religioso. 150 GIORNALE STORICO E LETTERARIO DELLA LIGUBIA désert e 1’ opera dei filosofi, opera non letteraria soltanto in favore della tolleranza: famosissima la riabilitazione di Calas. Accanto al vindice di Calas (Voltaire) debbono esser onorati i nomi di Marmontel, Condorcet, Turgot e Malesherbes. Di Rousseau no, per quanto nella bella schiera lo comprendesse Giulio Simon. In fatti come il molteplice movimento: giansenista, gallicanista, quietista non aveva favorita la libertà religiosa nel senso giuridico, cosi molti degli enciclopedisti essendo ostili alla religione sull’esempio dei razionalisti d’Inghilterra, uomini per cui a l’incredulità * secondo la frase di d’Alembert u era diventata anch’ essa una fede «, vennero a conseguenze contrarie affatto alla libertà. Mirabeau, apostolo di questa libertà, respingeva come-umiliante perfino la parola di tolleranza; ma coloro che, fino a Bonaparte, rimasero i padroni in Francia diedero il singolare esempio della persecuzione bandita in nome non della religione, ma della irreligione. Tanta è la potenza delle, idee nel campo dei fatti ! Nè ciò fu senza efficacia sulle cose italiane in sulla fine del settecento. Ma, per altra parte, agiva in Italia il movimento episcopalista austriaco. Infatti nell’Austria, nel gran paese della controritorma, il fe-bronianismo dirigeva il movimento episcopalista, che nel quattrocento aveva fatto ardere Giovanni IIuss, sulla via della mitezza e della tolleranza. Il libro di Gian Nicola di Hontheim, più noto col pseudonimo di Febronius, e intitolato: De stata ecclesiae.... ad reuniendos dissidentes in religione Christianos compositus, era pubblicato nel 1763 (1). Non sarebbero passati vent’anni e il figlio e successore di Maria Teresa (colla famosa Patente di tolleranza del 1781) acquistava quasi unanime plauso .e nome immortale. 11 Giuseppinismo trionfava, e Pio VI stretto, come diceva Scipione dei Ricci, fra Mamachi e Zaccaria indarno tentava d’opporvisi. I curialisti s’ affaticavano a confutare Febronio ed Evbel, ma nuovi febroniani sorgevano in Italia ; nelle provincie soggette all’Austria non solo, ma in Toscana e a Genova. Insigni prelati austriaci seguivano l’imperatore e si spingevano anche più in là, e col nome d’un canonico d’Olmiitz, studente alla Università di Pavia, Taddeo Conte di Trautmansdorf, i famosi professori Pietro Tamburini e Giuseppe Zola dettarono l’opuscolo: De tolerantia ecclesiastica et civili (1783). Esso ebbe un successo grande anche fuor d’Italia specialmente nel Belgio, e il Lecky nella sua Storia dello spirito di razionalismo in Europa, pur attribuendolo al Trautmansdorf, a cui spese era stato pubblicato, lo dichiarò « uno dei libri più notevoli che un ecclesiastico cattolico abbia pubblicato nel ΧΥΠΙ se- (i) Nel R. leggesi per errore di stampa 1663. Perchè poi il R. ha sempre italianizzalo il nome tedesco Habsburg in Ausburgo ? GIORNALE STORICO E LETTERARIO DELLA LIGURIA colo a favore della tolleranza ». Cosa singolare : i nostri ecclesiastici andavano più innanzi dei laici. Il Muratori già erasi mostrato, sia pure con molte riserve, più liberale del Vico in questa materia. Lo Spedalieri imprecava addirittura contro il fanatismo della tolleranza. E vero che il Giannone avea scritto ben diversamente toccando dei Romani per farla capire ai suoi contemporanei, e il piemontese Radicati di Passerano, il lombardo Corani, il trentino Pilati facevano udire nova verha all’Italia del Parini e dell’Alfieri, ma Γ importanza dei loro scritti non e da paragonarsi a quella del libro T)e tolerantia, opera del Zola e del Tamburini, di quest’ultimo specialmente, che ne assunse le difese contro parecchi avversari, e le medesime teorie a viso aperto difese nelle famose sue Lezioni di filosofìa morale. E da notare invece, in parecchi tratti dei citati scrittori laici, la palese influenza della irreligione e della intolleranza francese. Le loro tendenze prevalsero poi per le vicende politiche di Francia e d’Italia ; quindi la viva resistenza del popolo italiano alla loro propaganda, e di conseguenza anche alle idee della libertà religiosa intesa a quel modo. E l’idea del cattolicismo liberale, quello che oggi chiamiamo cattolicismo americano, naufragò ; i suoi sostenitori condannati da Roma, prima come giansenisti e nel 1799 come giacobini, videro in quell’ultimo scorcio del secolo atti feroci di intolleranza politica e religiosa da parte d’ un popolo che, nella pratica, erasi mostrato sempre tollerantissimo e scevro di fanatismo. Un eccesso ne aveva partorito un altro; e il genovese Vincenzo Palmieri indarno avea voluto fissare i termini della questione col vivace scritto : La libertà e la legge (Genova, Ogliati, 1798) e contrapporre la voce dell’ umanità, della ragione e del diritto alle intemperanze del cittadino Ranza e de’ compagni suoi. Coll’ esame dell’ opera suddetta termina appunto il volume del R., dell’ importanza del quale è superfluo tener altra parola. L’ ultima parte, riguardante la penisola, e divisa in due sezioni, l’una sul movimento legislativo e 1’ altra sul letterario. L’esame della questione doveva forse, nelle cose italiane, farsi da un punto di vista filosofico e storico, non esclusivamente giuridico ; poi vi ha certa sproporzione fra i tratti riguardanti 1’ uno e l’altro dei vari stati in cui l’Italia era divisa; nè si comprende bene perchè il R. esaminando così dappresso la questione della tolleranza nella repubblica ligure, successa a quella aristocratica eli’ era caduta nel 1797 (1), abbia fatto troppo lieve cenno delle leggi e delle pubblicazioni polemiche che si riferiscono alle altre repubbliche istituite fra noi dalle milizie francesi. Pro- ti) Dolse all’A. di non poter rintracciare gli opuscoli di David Morchio scritti allora pro tolerantia, specialmente il primo il quale « con una calda glorificazione della più illimitata libertà di coscienza e di culto, accese il vivace dibattito ». Esaminò bensì la Lettera apologetica di Gian Felice Calleri (Genova. 1797). 152 GIORNALE STORICO E LETTERARIO DELLA LIGURIA babilmente nocque a questo capitolo l’essere ultimo nel volume, e necessità di spazio s’imposero all’A. senza eli’ ei vi si potesse sottrarre. La sezione sullo svolgimento legislativo riguarda in particolari punti: 1° gli Israeliti; 11° i Yaldesi e i Protestanti in genere; ΠΙ° i Greci scismatici e in generale gli Orientali. Essa pure giunge sino alla fine del settecento ed è condotta colla scorta delle migliori storie della legislazione e del diritto in Italia, e di importanti scritti che non mancano specialmente in quanto si riferisce agli Israeliti e ai Valdesi. L’impronta personale del R. e, ci sembra, alquanto minore nel trattare questa sezione. Non ci resta ora che augurarci di leggere e dar conto presto del volume secondo che esaminerà lo stato attuale della questione, dopo averne condotta la storia per tutto il secolo XIX. Dove 1’ autore elogia la consueta tolleranza del popolo italiano nelle cose di religione, senza curarsi di indagare se provenga, come dicono molti stranieri, dalla indifferenza nostra in siffatta materia, egli ha ragione, come giurista. Ma quell’ indagine merita di esser fatta dal punto di vista filosofico e sociologico. Con piacere abbiamo visto il secondo tema per la Fondazione Villari riguardare appunto « La riforma e Controriforma in Italia nel secolo XVI ». Speriamo nei giovani ; pare strano che dalle scuole del Tocco e del Castelli, del Mariano e del Labanca a coltivar tali studi sia uscito uno soltanto nobile e multiforme ingegno, Alessandro Chiappelli, mentre una legione dovrebbero essere. In una sua bella originale prolusione chiedevasi nel decorso anno Giacinto Romano come nessuno siasi accinto fra noi a narrare, con severità di metodo, la storia del papato. E nella prefazione al suo volume sulle Invasioni barbariche Io stesso Villari si mostra preoccupato del disdegno che molti fra i giovani studiosi mostrano per argomenti interessantissimi, e colle cose nostre collegatissimi, di storia straniera. Qualche tentativo isolato e timido non basta ; esso cadrebbe nel solito pozzo senza line cupo di cui ebbe a parlare più volte un maestro insigne e che ha avuto troppo scarsi discepoli : voglio dire Terenzio Mamiani. Occorre una associazione di forze giovanili per indagare, con metodo moderno, queste correnti della vita italiana nei secoli andati. Quando avremo fatta quest’ indagine, potremo dire di conoscere un po’ meglio anche l’Italia d’ oggi. L’opera del R. sulla Libertà religiosa, opera singolarmente dotta e, in Italia, si può dir nuova, ha un suo proprio carattere di trattazione giuridica che più si manifesterà nel secondo volume. Ma essa è un buon esempio per quei cultori di filosofia e di storia che troppo insistentemente si vanno affaticando o su Nietzsche e l’e-goarchia o sui soliti nomi di monarchi e di scrittori. Guido Bigoni GIORNALE STORICO E LETTERARIO DELLA LIGURIA 153 Paolo Bensa. Le grotte dell'Apennino e delle Alpi Marittime, Torino, per cura del Club Alpino Italiano, 1900, in-8, di pp. 65 e 1 tav. (Estr. d. Bollettino del C. A. I. pel 1900, vol. XXXIII, n. 66). In occasione del primo Congresso Geografico italiano tenutosi in Genova nel 1892, dietro proposta del prof. A. Issel la Società Geografica instituiva un premio per il miglior lavoro illustrante un sistema di caverne italiane. Nel congresso tenuto in Firenze nel 1898 venne reso pubblico l’esito del concorso, resultando premiate tre memorie, fra le quali questa che il Bensa ha pubblicato teste nel Bollettino del Club Alpino Italiano, ampliata, com’egli avverte nella prefazione, e corretta. Ij’ a. ha diviso il suo lavoro in quattro parti distinte. Dà nella prima l’Elenco delle caverne liguri conosciute fino ad oggi, partite secondo 1’ ordine geografico, cioè delle Alpi Liguri, della Riviera di Ponente, di Genova e della Riviera di Levante. Di ogni caverna dà la posizione geografica, talvolta i dati topografici, il genere delle raccolte fattevi, il nome degli esploratori. Nella seconda parte tratta della fauna delle grotte ; soltanto però della fauna vivente. La terza parte comprende alcune note preliminari sulle Caverne del Finalese, con una tavola e otto belle vedute. Nella quarta è la Bibliografìa delle Caverne Liguri. Il lavoro del B. è assai utile e ben fatto ; non manca per altro di alcuni di quei difetti dei quali è assai diffìcile vadano immuni opere di cotesto genere ; difetti che 1’ egregio a. permetterà che qui rileviamo, perchè egli possa toglierli quando concreterà il molto lodevole proposito di allargare le basi del suo lavoro in una seconda pubblicazione spoleologica. E il primo è un difetto di metodo, del quale lo studioso s’ accorge subito appena apre 1’ opuscolo : la mancanza di corrispondenza fra la enumerazione e descrizione delle caverne, e la Bibliografia. Pregio dell’ opera sarebbe stato mettere sott’ occhio al lettore la bibliografìa di ogni grotta descritta, in modo da fornire a chi vuole occuparsi di una qualunque di esse le indicazioni di tutte quante le pubblicazioni che ne trattano. Per far ciò bastava segnare con un numero progressivo tutte le opere elencate nella parte IV, e indicare per ogni caverna, tra parentesi, i numeri delle pubblicazioni che vi si riferiscono. Nè gioverebbe obbiettare che con 1’ aiuto del nome degli esploratori, dato per ogni caverna, è facile trovare le opere che ne trattano scorrendo 1’ elenco delle pubblicazioni ; giacché non tutti gli autori citati sono esploratori ; nè sempre il titolo dell’ opera è così chiaro da far comprendere a prima vista a quale delle caverne essa si riferisca. Come si farà, per es. a sapere che l’opera del Boyd Dawkins (Cave Hunting, Researches on thè cvidence of Caves respecting thè early 154 GIORNALE STORICO E LETTERARIO DELLA LIGURIA inliabitants of Europe) è elencata come referentesi alla Grotta dei Colombi nell’isola Palmaria? che la.memoria del Savi Sopra una, caverna ossifera stata scoperta in Italia tratta dalla grotta di Gassana in vai di Vara ? Questo riguardo al metodo. Quanto al contenuto, mi pare che 1’ a. (se ne devo giudicare per la parte che riguarda la Rivièra di Levante) non abbia usato tutta la diligenza che conveniva nel dar notizia di quelle caverne che hanno una bibliografia, ed abbia taciuto di parecchie pubblicazioni che trattano ex professo della materia. Per non uscire dai confini della regione del Golfo della Spezia, citerò fra le grotte dimenticate dal B. le due grandi caverne, meglio conosciute sotto il nome di Sprùgole, che si trovano a poca distanza dalla città, appena al di là del passo della Foce, dette di Zègori e di Campastrino ; due importanti cavità, la prima special-mente dal lato idrografico. Di esse, per tacere dei molti moderni, parlano diffusamente il Vallisnieri nella sua lezione accademica sull’ origine delle fontane, il Targioni-Tozzetti nella Relazione di alcuni viaggi in Toscana, lo Spadoni nelle Lettere odeporiche sulle montagne ligustiche, opere tutte che pure il B. ha posto nella sua bibliografia. Per essergli poi sfuggita una Memoria di E. Regàlia pubblicata in Archivio per l’Etnol. e J’Antropol. (vol. VI, 1876), intitolata Ricerche in grotte dei dintorni della Spezia e in Toscana, l’a. non fa parola della Teccia, posta a breve distanza della Bocca Lupara, esplorata dal Regàlia nel 1873; nè della Grotta del Eezzano, segnalata dallo stesso esploratore. Altre caverne dimenticate sono la Grotta della Redarca sul versante del monte Rocchetta, poco lontano dalla Serra, nella quale il Regàlia raccolse un esemplare di Rhinolophus euryale (v. Forsyth Major C. I. Vertebrati italiani, nuovi e poco noti; in Atti della Soc. Tose, di Se. Nat.; Pisa, 1877, vol. III, I.); la grotta Ragazza]a presso Pitelli, esplorata dal Caselli che vi raccolse VAnoplithalmus Casellii (v. Ann. del Museo Civ. di St. Nat. di Genova, serie II, vol XIX, pag. 18). Credo pure opportuno di far notare come la grotta del Monte del Pino, indicata dall’a. come esplorata nel 1873 dal Regàlia ed esistente nell’ Isola Palmaria, sia invece situata nel continente, sulla costa a nord di Portovenere, esplorata nel 1872 (v. Regalia, Ricerche in grotte ecc.). Noterò qui parecchie fra le principali omissioni occorse nella Bibliografia, perchè l’a. possa giovarsi di queste indicazioni quando pubblicherà, il promesso lavoro completo sulle caverne italiane. Capellini (G.) Di una caverna ossifera presso Pegazzano nei GIORNALE STORICO E LETTERARIO DELLA LIGURIA 155 dintorni del Golfo delia Spezia, in Rend. d. lì. Accademia dei Lincei, Serie V, vol. V, pag. 79-84. In. 1 jettera al prof. Lessona, in Liguria Medica, n. 5-6 (1864). Caselli (C.) Fauna di alcune caverne dei dintorni del golfo della Spezia, ivi, Eredi Argiroffo, 1898, in-8. Fairmaiue (L.) L’Anophthalmus Doriae, in Ann. Soc. Ent. Frane. Ser. ΙΠ, voi. VII (1859). Regàlia (E.) Le ossa dell’isola Palmaria, in Archivio per l'Antropologia e 1' Etnologia, vol. Ili, 1873, Rendiconto, p. 850. Id. La grotta deli' Isola Palmaria, in Arch. cit., vol. IV, pp. 128-131. Io. Ricerche in grotte dei dintorni della Spezia e in Toscana, in Arch. cit., vol. VI, 1876, pp. 108-115. In. Per la priorità di una sua determinazione di resti umani della Caverna della Palmaria, stati prima attribuiti ad un Macacus, in Arch. cit. Vol. XVI (1886) pp. 437-442. Id. Il Gulo borealis nella grotta dei Colombi, in Arch. cit. Vol. XXVI (1896). Id. II Gulo borealis nella grotta dei Colombi (Is. Palmaria, Spezia), in Atti della Soc. Tose, di Se. Nat. Vol. X. Id. La prima Nyctea nivea quaternaria d'Italia, in Atti della Soc. ecc. Proc. verb., vol. X. Richard (Andrée), Die Anthropofaghie. Eine ethnographisehe Studie, Leipzig, Veit und Comp., 1887, pag. 5. Portis (Alessandro), Contribuzioni alla storia tìsica del bacino di Roma e studii sopra Γ estensione da darsi al Pliocene superiore, vol. II, p.u 48 e 5a, Torino, Roux, Frassati e C., 1896, pp. 138-139. Carazzi (D.) Oggetti trovati della Grotta dei Colombi, in Guida-Catalogo del Museo Civico della Spezia, La Spezia, 1898 (Firenze, Stali. Tip. Fiorentino) pp. 58-62. Della parte puramente scientifica del lavoro, cioè di quella che riguarda il catalogo della Fauna vivente nelle caverne, non è questo il luogo di trattare ; noterò solamente che l’a., non avendo avuto conoscenza di alcune delle sopra accennate pubblicazioni, special-mente della Fauna del Caselli, non ha registrato parecchie nuove specie e varietà di gasteropodi, di aracnidi e di insetti. ANNUNZI ANALITICI. F. Corazzine. Risposta alla critica fatta all’opera del Contrammiraglio Garottì « Intorno alle battaglie navali della Repubblica di Genova ». Roma Forzati i. 1903; in-f, pp. 22. - G. Coeo. Intorno alle battaglie navali del Contrammiraglio Gavotti (Difese e Critiche). Genova, Stab. Art. Tipog., I I 56 GIORNALE STORICO E LETTERARIO DELLA LIGURIA 1901 ; in-16, pp. 20. Col primo opuscolo s’intende rispondere alle critiche formulate dal nostro collaboratore (Cfr. Giornale, I, 44-6) intorno al libro del Gavotti; ma chi legge con ponderatezza e cognizione di causa l’opuscolo non modifica per nulla il suo giudizio rispetto all’imperfezione storica di quell’opera, anche se gli appunti ivi fatti alla recensione fossero veri e si reggessero in gambe. Senonché queste ventidue pagine innalzano un ingegnoso e specioso castello di carta, che qualunque conoscitore della materia agevolmente poteva demolire, il che viene a luce meridiana dimostrato dal Cogo nella sua replica esauriente. Per noi, a dir vero, non era questa necessaria, e, crediamo, neanche per i nostri lettori, tanto più considerando certi criteri fondamentali di metodo e d’intenti rispetto alla critica storica messi innanzi dal Corazzini, che sono per lo meno molto singolari e curiosi. Leone Yicchi. Il viaggio della duchessa di Chartres prolusione alla storia del Re Chiappini (Luigi Filippo re dei Francesi). Imola, G-aleati, 1900 ; in-16, di pp. 301. - La espressione del Giusti ha fatto fortuna, perche toglieva argomento da una curiosa leggenda, la quale ebbe l’onore d’essere tenuta (e forse lo è ancora) in conto di verità indiscutibile, passò nelle storie e ne’ romanzi, fu argomento di ricerche da parte di quella Maria Stella che, pretendendo di essere 1’ altra protagonista della commedia, volle intentare una lite, e si cercò una penna per narrare i casi suoi. L’ autrice principale del fatto era, secondo si narrava, Luigia Maria Adelaide di Borbone, moglie a Luigi Filippo d’Orleans, noto nel periodo rivoluzionario col nomignolo d’Egalité ; una delle prove fra le principali, il suo viaggio in Italia nel 1776, che si voleva fosse stato il secondo, quasi clandestino a fine di rivedere la figliuoletta cambiata tre anni innanzi col maschio d’un tal Chiappini birro di Modigliana. Ora il Vicchi, che si propone di spiegare il mistero onde va coperta l’origine e l’infanzia di Maria Stella (poiché veramente, secondo afferma, « non è figlia di Chiappini, e Chiappini ha goduto favori straordinari a causa di Maria Stella i), intende con questo gustoso libro dimostrare che il viaggio del 1776 non fu per nulla segreto, e perciò accompagna la principessa viaggiatrice con la sua comitiva passo passo in tutti quei luoghi dove si è condotta, tenendole dietro con molta diligenza anche per la via da lei battuta nel suo cammino. I punti ai quali egli attinge sono i Souvenirs della Genlis (compagna di viaggio della duchessa) e le Memoires, ma specialmente le corrispondenze ufficiali, e i ricordi dei giornali di quel tempo. La dimostrazione a noi sembra luminosa, piena ed intera ; per di più il lavoro riesce a più ragioni importante, poiché l’a. si ferma a descrivere la condizione delle principali città, ciò che poteva attirare 1’ attenzione della viaggiatrice, quello che essa ha fatto nella sua permanenza, con notevole ricchezza di particolari e di aneddoti, che rendono il libro piacevole. Alla quale genialità conferisce l’arte onde il V. ha saputo disciplinare la materia, con una esposizione piana ed efficace, atta a dar rilievo ai personaggi che ci passano man mano dinanzi, e alle principali figure che campeggiano continuamente nel quadro. Anche da Genova passò nella sua venuta la duchessa, e vi si trattenne qualche giorno-ma noi non ci fermeremo su questo episodio del viaggio, poiché ne rendiamo conto più largamente in altra parte del Giornale. Desideriamo vivamente di veder pubblicato l’altro lavoro promesso nel quale sia posto nella sua vera luce « il delitto di casa Chiappini di Modigliana », il quale non accadde « nei modi inesistenti e im- GIORNALE STORICO E LETTERARIO DELLA LIGURIA I 57 possibili ohe Maria Stella sostenne », come l’a. si propone dimostrare facendone ala storia, lunga, dettagliata, documentata». B. E. Μλινκιιι. La leggenda del Buranco. Streghe, folletti e apparizioni in Liguria. Firenze, Franceschini, 19G0; in-8, di pp. xxxv-307. - Baccio Emanuele Maineri, morto a Eoma nel 1899 di 68 anni, era di Toirano nella riviera ligure di ponente. Bella mente, animo buono, retta coscienza, scrisse molti libri pregevoli per la forma, per la serena concezione, l’alta ed efficace idealità. Anche della storia ligure locale si occupò con amore, e ne ritrasse episodi, usi, costumanze in guisa sempre geniale e piacevole. Questo libro che esce postumo è 1’ ultimo da lui composto, e non meno degli altri attrae per la curiosa materia, e per il modo ond’essa viene svolta. 11 Buranco e una profonda voragine, forse poco più di trenta metri, che si trova nell’Alpe Marittima presso il Giovo nella dizione di Bardineto. Facile assai l’intendere come intorno a questo pauroso buco si venissero di bocca in bocca, e di generazione in generazione trasmettendo leggende strane, fino a ritenere che quella fosse la via dell’ inferno, donde a suo uopo e a sua preda usciva a quando a quando il diavolo in persona. E si fatte leggende, come avviene, s’incalzano e si moltiplicano, si accrescono e si trasformano, a seconda della maggiore o minore fantastica inventiva de’ popolari. La prova si riscontra appunto in questo volume, dove l’a. fatto centro, quasi diremo, di una storia, ed è la più ampia e drammatica, che si narra a proposito del Buranco, si fa a dire di altre moltissime da lui raccolte, alle qrali vanno di conserva quelle sulle streghe, i folletti, gli spiriti, le apparizioni poste nel quadro con buon disegno ed utilissime al folk-lore della regione. Nè basta, chè a luogo opportuno il lettore trova notizie istoriche e topografiche, certamente importanti, a sbramare la sua curiosità, e ad acquistare cognizioni sopra chiese, edilìzi, ruderi di cui il tempo man mano va cancellando la memoria. L’ultima parte e come la conclusione del lavoro, è riserbata alla verita, poiché vi si narra di una gita su quelPaltura e della discesa in quel baratro, esplorato in ogni parte da più d’uno : esplorazione che può ben chiamarsi la fine della leggenda. L’impronta dell’ uomo, qui, come in qualunque suo libro, appare rilevata, e vi si manifesta più chiara la melanconia, caratteristica peculiare dello scrittore, il quale ora sentiva precipitare la vita all’ultimo suo destino. SPIGOLATURE E NOTIZIE. .·. Troviamo fra i manoscritti in vendita presso il libraio Luzzietti di Roma (Catalogo 123) i seguenti che riguardano la Liguria : u De logicis sermonibus secundum Aristotelis doctrinam ex auditione R. Antonii Mariae Parentucellii Romae publicae in Collegio Ro: Vincentiue Cincius audiebat anno 1578. Cartaceo di carte 21, in-4 picc., leg. orig. perg. molle ». Di questo discendente dalla famiglia di Nicolò Y si conosceva un altro commentario d’Aristotile « de Anima et de Methaphysica », raccolto nel 1584 da un suo discepolo e rimasto pure manoscritto (cfr. Sforza, La patria, la famiglia e la giovinezza di Niccolò V. Lucca, 1884; p. 311 e 334. — « Jesus y Nel nome della Santissima et individua Trinità Padre, Figliolo e Spirito Santo. Seguitano li capitoli o sia decreti della valle d’Oneglia I 5S GIORNALE STORICO E LETTERARIO DELLA LIGURIA tradotti dal latino in volgare ad uso di chi non intende latino dal venerabile prete Benedetto Amirato da Montalto rettore d’Orsarola. Cartaceo della prima metà del sec. XYLH di carte 77 in-fol. ». Degli statuti di Oneglia si hanno alcuni testi nell’originale latino cir. Rossi, Gli siatuti della Liguria, in Atti à. Soc. Lig. d. stor. pat., XI \ , 141, 142), ma questa traduzione era ignota, e l’Amirato o Ammirati apparteneva sicuraments alla famiglia di quel prete Giacomo che ci ha lasciato il codice intitolato : Jurium parrovhialis ecclesiae sancti Georgii loci Montìsalti Liber exccrptoriws (Ivi., p. 33) — **· Regesto del Comune di S. Remo. Cartaceo dei secoli XVII e XVIII di c. 206 num. recentem., ben chiaro, di più mani. Com. a c. Ir. <- Decreti del Magnifico Consiglio e Parlamento || per la derroga al Statuto j| De Guastis et Incendiis j| 1731 die sabbatti prima xrnbris » etc. Fin. a c. 206. a Capitoli dell’ufficio d’Abbondanza || di S. R emo Antonio Massa quondam Gio: Maria ». Contiene: Decreti per la derroga al Statuto De Guastis et incendiis, seguono: Capitoli delle Accomende. Capitoli della frutta alla Tedesca fatti dal MDLXXXY die XXI Februari al 1683 die 8» Januarii. Vi si leggono inoltre, da c. 49 a 75 copiativi della stessa prima mano : « Decreti dell’Acque » dal MDCVIII die 14 Martii, al 1671, 9 octobris. Capitoli per la concessa ampliatione della Chiesa di S. Stefano ai Gesuiti (1735 20 febbr.) Riforme degli statuti civili, in data 12 decembre 1535. Riforme de’ Statuti Criminali, in data 15 giugno 1(52. Lettere a Nicolò Preirolo (?) del duce e Governatori della Republica di Genova in data 18 sett. 1599 e 18 aprile 1600. Decreto 9 maggio 1697 sulla proibizione di portar armi. Capitoli per la riforma de’ danni campestri, dei 2 sett. 1697. Ordini co’ quali dovrà regolarsi il pagamenio della carta bollata, in data 5 maggio 1749. Decreti sulla conservazione del bosco di S. Remo, in data 9 sett. 1622 e 17 gennaio 1631. Capitoli dell’ufficio d’Abbondanza, in data del 1618 25 marzo. Notisi che al margine interno è quasi sempre indicato il libro comunale, donde è stato esemplato il documento ». Anche per questi documenti rispetto alle relazioni con gli statuti si può riscontrare il Rossi (op. cit., p. 161 e sgg.). — Oltre ai sopra indicati si ha un diploma del 1781 di Francesco Maria Cer-vetti, in pergamena con stemma colorato, e i documenti per la causa della canonizazione di suor Chiara Isabella Ghezzi da Pontedecimo. .·. Gian Giacomo Francia di Cella, agente presso la Republica Ligure, che si era trovato presente alle rivolte genovesi del 1797, di cui egli ragiona all’amico suo Matteo Mollino in una curiosa lettera che ci proponiamo di mettere in luce, aveva preso in moglie una genovese, Maddalena di Domenico Beraldi. Dopo pochi mesi, nel giugno del 1799, al sopravenire in Casale delle truppe Austro-Russe, venne imprigionato, e l’infelice giovine sposa fu presa da tanto dolore che morì, non ancora diciassettenne* il 18 settembre di quell’anno (cfr. G. Giorcelli, Il 2»'0cess0 dei giacobini Casalesi, in Rivista di storia, arte, archeologia della provincia di Alessandria, A. IX fase. 32, p. 17). .·. Nella Revue des Cours et Conférences (Paris, 1901, η. 19) si legge una lezione di Arthur Chuquet sopra Le « Fiesque » de Schiller. Égli non si occupa delle fonti ma esamina la tragedia nella sua struttura, nello svolgimento, nei caratteri, rilevandone i pregi e i difetti e mettendola a confronto con altre dell’autore medesimo. .·. Ubaldo Mazzini ha preso argomento dalla ricorrenza di S. Giù- GIORNALE STORICO E LETTERARIO DELLA LIGURIA 159 seppe per pubblicare due articoli storici. Nel primo rileva Quando e ferohè S. Giuseppe fu eletto protettore della Spezia, nell’ altro discorre de La fiera di S. Giuseppe. Sono corredati da documenti, e riguardano fatti dei secoli xvii-xvm. — Egli poi rende conto nelle Excursioni archeologiche fra i ruderi del Palazzo degli avanzi di un antichissimo ponte romano, e d’un edificio medioevale che ritiene essere stato un Irantoio. Sono questi ritrovamenti assai importanti per la topografia dell’antico fundum specie si come è notato in antiche carte il luogo dove ora sorge la città (in Corriere della Spezia nn. 12 e 13). .·. A Perugia fra le monete d’oro trovate in un ripostiglio nella demolizione di antico edificio, .figura "altresì nn ducato di G-aleazzo Maria Sforza (cfr. Bollettino della B. Deputazione di storia patria per V Umbria, VII, 160) la cui impronta risponde al n. 737 delle Tavole descrittive delle monete della zecca di Genova (in Atti Soc. Lig. dt stor. pat., XXII, 80-81). .·. Nell’ Inventario e spoglio dei registri della tesoreria apostolica di Città di Castello dal B. Archivio di Stato di Boma (Perugia, tip. cooperativa, 1900) troviamo in ufficio di tesoriere apostolico nel 1449-50, il nobile uomo Giovan Filippo u de Cassanis de Serezana » (p. 26). Siamo a’ tempi di Niccolò V del quale si recano qui due brevi ed una bolla (pp. 28-30), il secondo reca la firma di Pietro da Noceto. .·. Nel giornale Neues Archiv (XXVI, 19C0) si legge un articolo critico di G. Caro intorno ad una parte degli annali di Iacopo D’Oria (Zur Kritïk der Annales Januenses) là dove racconta la impresa di Corsica del 1289, di cui si hanno due redazioni. .·. Segnaliamo ai nostri lettori la pubblicazione importantissima e desideratissima dell’ Epistolario di Ludovico Antonio Muratori, di cui sta per uscire il primo volume. Essa è fatta per le cure di Matteo Campori, il quale ha comunicato alla Deputazione di Storia patria di Modena (tornata del 2 marzo) l’ampia prefazione che apre la notevole raccolta. In essa dopo aver rilevato quale segnalato servizio renderà sì fatto epistolario alla biografia del Muratori, esamina le lettere di questi messe in luce mentre egli era in vita; fa quindi una compiuta rassegna delle pubblicate dalla morte di lui, sino a noi ; segnala le fonti edite e inedite che servirono alla formazione della sua raccolta ; e chiude discorrendo con assai competenza del metodo che lo guidò nel vasto lavoro. .·. Sta per vedere la luce il terzo volume de’ Procès-verbaux des Assemblées générales des Etats de Corse, tenues à Bastìa de 1770 à 1774, publiés par M. A. de Morati. Son pure sotto il torchio le Lettres diverses à Paoli (1759-1791), publiées par M. François de Morati-Gentile; e la Correspondance des Agents de France à Gênes avec le Ministère (ann. 1730 et suiv.) publiée par M. l’abbè Letteron. APPUNTI DI BIBLIOGRAFIA LIGURE. Annali Genovesi di Caffaro e dei suoi continuatori dal MCLXXIV al MCCXXIV nuova edizione a cura di Luigi Tommaso Belgrano e di Cesare Imperiale. Voi. secondo. Genova, Sordo-muti, 1901 ; in-8, di pp. LXX-205; con otto tav. e crom. (nei Fonti per la Storia d’Italia pub. dall’istituto storico italiano). Bustico Guido. Un musicista poco noto del settecento. Pier Alessandro Guglielmi (in Bivista teatrale italiana, Napoli, 1901 ; Anno I, vol. I, fase. 6, pp. 246-2G1). ι6ο GIORNALE STORICO E LETTERARIO DELLA LIGURIA Capello Amalia. La nuova chiesa del S. C. di Gesù in Bussana ed il terremoto del 23 febbraio 1887. Descrizioni e ricordi. Sec. ediz. Genova, tip. della Gioventù, 1900, in-8, p. '227, tav. 25. Caro Georg. Zar Kritik der Annales Januensen II. Die doppelt Rédaction des Berichts uber die gonuesische Expédition nach Corsica iui Jahre 1289 (in Neues Archili der Geselhchaft fiir altere deutsohe Geschichtskunde, XXVI, 1900, p. 73). Cervetto L. A. Genova a Giuseppe Verdi (in Cittadino. 1901, n. 53) — Il Giubileo in Genova nel 1826 (ivi, n. 57) — Quaresima. Benedizione delle case (ivi, n. 73) — Caduta di pioggia meteoriche in Genova e Liguria (ivi, n. 71) — Il Conservatorio delle figlie di S. Giuseppe. La località di S. Raschino (ivi, n. 78) — La popolazione di Genova nel passato (ivi, n. 81, 87, 90, 93, 95, 111). Chuquet Arthur. Le u Fiesque » de Schiller (in Revue des Cours et Conférences, Paris, 1901, η. 19). . De Laurentiis C. Il Colonnello Silvano Olivieri e la sezione italiana la valorosa : lettere di Giuseppe Mazzini e notizie. Chieti, ti-pogr. Marchionne, 1900; in-8, p. 38. Documenti riguardanti N. S. del Gazzo. (In La Madonna della Guardia, 1901, febbraio, n. 10). . . Gandolfi Riccardo. Un equivoco a proposito dell’ inno di Goffredo Mameli «Fratelli d’Italia n. (in Rassegna Nazionale, 1 marzo, 1901). .... Inaugurazione (nella) di una lapida nel R. Ginnasio di Ventimiglia, in onore del comm. Tommaso Hambury. Ventimiglia, Bilh, 1901; in-8, p. 21. Mazzini Ubaldo. Quando e perchè S. Giuseppe tu eletto protettore della Spezia (in Corriere della Spezia, 1901, n. 12) — La fiera di S. Giuseppe — Escursioni archeologiche fra i ruderi del Palazzo (ivi, n. 13). Lombardini Achille. Per l’inaugurazione del monumento a Pietio Tacca. Discorso. Carrara, tip. D. Sanguinetti, 1900. N. Malnate. Le corporazioni operaie e la libera concorrenza nel porto di Genova. Genova. Pellas, 1901 ; in-8; p. 37. Monti Alessandro. Vitta de San Françesco d’Assisi in portolian per chi no g’ ha guae testa a làze l’italian. Zena, stampala da Zoentù 1900, in-8, p. 194. t — A storia da Madonna da Guardia in portolian tanto ch’a posse mëgio ëse de tuti a man. Zena, Stampala da Zoventù, 1900; in-16, p. 14. Museo (II) Giovio a Como (nel Corriere della Sera. 1901, n. 52, art. fina. Polifilo). Si discorre del ritratto di Andrea D’Oria del Bronzino, già nel museo di Paolo Giovio, ed ora alla Pinacoteca di Brera, non conosciuto dal Muntz e perciò non registrato nel suo lavoro : Le musée de portraits de Paul Jove. Olivieri Gaspare. L’imitazione classica e le innovazioni metriche di Gabriello Chiabrera ; nota critica. Girgenti, stamp. di Salvatore Montes, 1900; in-8, p. 15. Pietro Giuria. Numero unico. Savona 3 marzo 1091. Stab. tipog. Ricci. Poggi Gaetano. La Polcevera 117 anni a. C. (Club Alpino Italiano, Sezione Ligure. Gite storiche, Anno I. Epoca preromana e romana). Genova, stab. F.lli Pagano, 1901 ; in-8, p. 40 e 1 tav. Rossi Pasquale. Giuseppe Mazzini e la scienza moderna. Cosenza, Caputi, 1900; in-16, di p. XI-197. Giovanni Dapozzo amministratore responsabile. PUBBLICAZIONI RICEVUTE Giuseppe Giorcelli. Documenti storici del Monferrato — I. II Bilancio del ducato di Monferrato dell’anno 1600. Alessandria, Jacquernond, 1893· II, III. La fìne del ducato di Monferrato. L'ultimo duca regnante di Monferrato. Ivi, 1891. — IV, V. Passaggio per 1’ alto Monferrato e per Acqui dell’ imperatrice Margherita d’Austria nell’anno 1666 e di Filippo V re di Spagna nell’anno 1702. Ivi, 1894. — VI. Memorie di Camilla Faa contessina di Bruno e marchesa di Mombaruzzo 1622. Ivi, 1895. — VII. Relazione (seconda) esatta e sincera di ciò che è passato nella resa di Casale alle armi imperiali nell’anno 1706 (di un contemporaneo anonimo). Ivi, 1895. — Vili. Cronaca del Monferrato in ottava rima del marchese Galeotto del Carretto del Terziere di Millesimo 1493 con uno studio storico sui marchesi del Carretto di Casale e sul poeta Galeotto. Ivi, 1897. — IX. Storia della lunga contesa fra i marchesi Moscheni di Bergamasco ed i marchesi Faa di Bruno nell’Acquese (1686-1752). Ivi, 1899. — X. Giornale storico di Casale dall’anno 1785 al 1810 scritto dal casalese canonico Giuseppe De Conti. Ivi, 1900. — XI. Il processo dei giacobini casalesi, arresti, prigionia e liberazione per la battaglia di Marengo (22 giugno 1799 - 15 giugno 1800). Studio storico. Ivi, 1900. Annuario della nobiltà italiana. Anno XXIII, 1901. Bari (Rocca S. Casciano, Cappelli) 1901. D’Ancona e Bacci. Manuale della letteratura italiana. Vol. IV. Nuova edizione rifatta. Firenze, Barbera, 1900. Nella inaugurazione di una lapide nel R. Ginnasio di Ventimiglia in onore del comm. Tommaso Ilambury. Ventimiglia, Billi, 1901. Giambattista Marchesi. I romanzi de'l’abate Chiari. Bergamo, arti graf., 1900 Eleonora de Fonseca Pimentel. Sonetti in morte del suo unico tìglio ripubblicati a cura di Β. Croce. Napoli, Melfi e Ivele, 1900. Orsini Begani. Fra Dolcino nella tradizione e nella storia. Milano, Co-gliati, 1901. Conferenze fiorentine di Isidoro Dei, Lungo. Milano, Cogliati, 1901. Marco Vattasso. Antonio Flaminio e le principali poesie dell' autografo vaticano 2870. Roma, tip. Vaticana, 1900. — Le due bibbie di Bovino ora codici vaticani latini 10510, 10511 e le loro note storiche. Ivi, 1900. Aneddoti in dialetto romanesco del sec. XIV tratti dal codice vaticano 7654. Ivi, 1901. Gaspare Oliveri. Ij’ imitazione classica e le innovazioni metriche di Gabriello Chiabrera. Nota critica. Girgenti, Montes, 1900. Giovanni Targioni-Tozzetti. Sul “ Rinaldi Ardito ■> di Lodovico Ariosto. Livorno, Meueci, 1901. Codici sconosciuti della biblioteca Novalicense, Memoria di Carlo Cipolla. Torino, Clausen, 1900. Alfredo Comandini. l'Italia nei cento anni del secolo XIX giorno per giorno illustrata. Milano, Antonio Vallardi, 1901 ; disp. 18. G. Cogo. Intorno alle « Battaglie navali » del contrammiraglio G. Ga volti. (Difese e critiche). Genova, Stab. Artist. Tipografico, 1901. PREZZO DEL PRESENTE FASCICOLO: L. 2 IORNALE STORICO E LETTERARIO DELLA LIGURIA diretto da ACHILLE NERI e da UBALDO MAZZINI. £z & & & ANNO II. FASC. 5„-ó 1901 Maggio - Giug no SOMMARIO G. Manacorda : Dalla corrispondenza tra Leone Allacci ed Angelico Aprosio, pag. 161. ANEDDOTI: G. Sforza: Uno scrittore di Monte Marcello, pag. 228. BOLLETTINO BIBLIOGRAFICO: Si parla di Zanardelli e Flechia (E. G. Parodi), Pag· 230· ANNUNZI ANALITICI : Si parla di G. Mazzini, E. Masi, F. Foffano, A. Capecelatro, C. Cipolla, G. Olivieri, G. Rossi, F. Novati, pag. 233. — SPIGOLATURE E NOTIZIE, pag. 237. — APPUNTI DI BIBLIOGRAFIA LIGURE, pag. 239. DIREZIONE Genova - Corso Mentana 43-1* LA SPEZIA Società d1 Incoraggiamento editrice Tip. di Francesco Zappa AMMINISTRAZIONE La Spezia - Amministrazione del Giornale AI SIGNORI ASSOCIATI Si fa calda preghiera a quei pochi associati che ancora non Panilo pagato Γ abbonamento dell’ anno passato, perchè si mettano in regola coll’ amministrazione. Si sollecitano pure tutti quelli di quest’ anno ad inviare il prezzo dell abbonamento all’ Amministrazione del Giornale, Spezia. v amministratore G. DA POZZO. AVVERTENZE Il giornale si pubblica in fascicoli bimensili di 80 pagine. Il prezzo dell’ associazione annua è di L. 10 — Per Γ estero fr. 11. — I soci della Società Ligure di Storia Patria di Genova, e quelli della Società d’ Incoraggiamento della Spezia godono di uno speciale abbonamento di favore a Lire SEI. La Direzione concede ai propri collaboratori 25 estratti gratuiti dei loro scritti. Coloro che desiderassero un numero maggiore di esemplari potranno trattare direttamente col tipografo. GIORNALE STORICO E LETTERARIO DELLA LIGURIA 161 DALLA CORRISPONDENZA TRA LEONE ALLACCI ed ANGELICO APROSIO Uno dei vanti più gloriosi del sec. XVII, che fu già tanto disprezzato e vilipeso, è senza dubbio quello d’aver dato grande impulso agli studi d’erudizione e di averci lasciato un gran numero di biblioteche non solo, ma anche di repertori, di cataloghi, di indici e di prime edizioni dovute a dottissimi bibliofili. Questi sebbene fossero per lo più farraginosi ed amanti dell’erudizione per l’erudizione, ebbero tuttavia il merito di preparare un ampio materiale utile anche oggi (i). Leone Allacci è senza dubbio tra i più insigni per la vastità della dottrina, per il numero delle opere, per la varietà delle materie trattate e per la speciale utilità delle poche sue opere d’erudizione letteraria che egli ci lasciò tra le tante teologiche e religiose. Di lui però, tranne una diligente ricerca di Curzio Mazzi sul trasporto della Biblioteca palatina di Heildelberg (2) (alla quale ora deve aggiungersi un altro lavoro dell’Olschki) (3) non abbiamo ancora uno studio che illustri interamente 1’ opera molteplice, il che sarebbe possibile a chi prendesse a studiare il suo epistolario, ricchissima ed inesauribile miniera di notizie storiche, critiche e sopratutto bibliografiche. All’opposto il padre Angelico Aprosio da Ventimiglia agostiniano, benché meno benemerito degli studi, si acquistò più simpatie (4), forse per quel suo bizzarro carattere di frate (1) Per l’erudizione in genere nel sec. XVII Cfr. Belloni. Il seicento. Milano, Vallardi, 1899, Cap. XI. — F. Foffano. Saggio stilla critica letteraria nel sec. XVII in Ricerche letterarie, Livorno, Giusti, 1897. (2) Leone Allacci e la Biblioteca palatina di Heidelberg in Propugnatore, N. S., IV, 21, V, 27-30. Cfr. pure Bibliofilo. Anno VI, 78. (3) In Bibliofilìa, II, 3-5, 1900. Per altre notizie di bibliografia allacciana antica cfr. il Belloni, op. cit., nelle note bibliografiche al cap. XI, 32. Brevi appunti in NERI, Una traduz. di Giovenale sconosciuta, nel Giorn. stor. d. Lett. ItaL, XIII, 456 e Studi bibliog. e letter., Genova, Sordomuti, 1890, p- 194· . . (4) Parlano di lui oltre all’OssiNGER nella Bibliotheca augustiniana, 1508, ed al Mazzucchelli (T.I, part. II, 895) lo Spotorno (Stor. letter. di Li- Giorn. stor. c lett. d. Lig. IL 11 1Ô2 GIORNALE STORICO E LETTERARIO DELLA LIGURIA allegro, brioso, un po’ lubrico se occorre, ma sempre zeppo di una erudizione spaventevole, che gli trasuda, per così dire, da tutti i pori e che egli dissemina e bizzeffe, dovunque, sempre, a proposito ed a sproposito. Nell’ Universitaria di Genova si conserva di lui un carteggio copiosissimo e denso di ogni sorta di curiosità e notizie, nel quale posero le mani via via parecchi studiosi (i). Alcune lettere a lui dirette pubblicò già 1’Aprosio nella sua Biblioteca aprosiana ; altre recentemente furono edite in parte e sunteggiate dal Neri (2) e dal Tria (3). Colla scorta delle lettere dell’Aprosio all’Allacci che si conservano a Roma tra i mss. della Vallicelliana (4) e di quelle guria Genova, Schenone, 1858, V. 5); il Grosso (in Rivista Ligure di scienze e lett., Oneglia, 1869, fase, IV; articolo riprodotto in Giornale d. studiosi, Genova, 1869, n. 44); Girolamo ROSSI (Storia di Ventimiglia. Oneglia, Ghilini, 1888, pag. 221 e segg. e il discorso Nella inaugurazione nel R. Ginnasio di Ventimiglia di una lapide in onore di Tommaso Hanbury, Ventimiglia, Billi, 1901, pag. 10 e segg.) Si può anche vedere Gandolfo, Dispaccio isterico curioso et erudito. Mondovì, Veglia, 1695, pag. 12? e segg. - Mario Menghini nel suo studio sullo Stigliani (in Giorn. Ligustico, xvii, xviii, xix e a parte. Genova, Sordo-Muti (Modena, Sarasino) 1892). — F. Corcos. Il lusso donnesco ed una contesa letteraria nel Seicento nel Pensiero Italiano, XIII, 5. — G. B. MARCHESI. Le polemiche sul sesso femminile nei sec. XVI e XVII in Giorn. Stor. d. Lett. Ital., XXV, 362 ; ed assai lungamente il Belloni, op. cit., passim e specialmente a pag. 426-429. Cfr. anche Crescimbeni, .S. d. V. P., toni. V, lib. Ili, p. 183 e Quadrio, St. e Rag. ecc., Vol. II, pag. 376. (1) Sono 23 volumi di lettere a lui dirette. Quelle dell’Allacci sono oltre 60 e si conservano nel voi. E. V. 17. '2) Il vero autore dell’Alcibiade fanciullo a scuola c La prima edizione del la Grillaia in Giorn. Stor. d. Letter. Ital., XII, 219; e in Studi cit. pag. 153 e sgg. (3) D. Antonio Muscettola duca di Spezzano ed il P. Angelico Aprosio da Ventimiglia. Napoli, D’Auria 1898. Oltre ai brani di lettere e le lettere intiere a lui dirette che aveva già inserito l’Aprosio stesso nella sua Biblioteca aprosiana (Bologna Manolessi 1673) una lettera dell’Aprosio fu pure pubblicata dal Promis in Miscellanea di Storia Ital, tom. XII pag. 43°· Altre sparsamente, lui vivo, Cfr. MAZZUCCHELLI, 1. c. (4) Cfr. Curzio Mazzi. Tre epistolari della Vallicelliana in Rivista delle Biblioteche ed Archivi (non in Propugnatore, come sfuggì al Belloni) Anno II, pag. 103-112, dove sono elencate 50 lettere dell'Aprosio all’Allacci GIORNALE STORICO E LETTERARIO DELLA LIGURIA 163 dell Allacci all’Aprosio che si trovano alI’Universitaria di Genova, noi ci siamo proposti di studiare le relazioni letterarie che corsero tra i due noti eruditi, e di porre in rilievo la parte importantissima che ebbe il buon agostiniano nella compilazione di due tra le più importanti ed utili opere letterarie dell’ Allacci, la Dramaturgia uscita per la prima volta in Roma coi tipi del Mascardi nel 1666 (1), e l’edizione dei poeti antichi uscita in Napoli nel 1664 (2). I. LA PRIMA EDIZIONE DELLA « DRAMATURGIA ». La prima vòlta che l’Allacci espose all’Aprosio il suo disegno di fare un catalogo di drammi fu nella lettera del 4 Aprile 1654. Ecco le sue parole o meglio i suoi progetti sull’ opera da farsi: *.....mi sono voluto levar un capriccio. Vedendo che la poesia dramatica si come è utile alla vita humana, così altre tanto per la pocha mole dell’opera e dispreggievole si va perdendo la memoria e delle opere e dell’autori, ho voluto raccogliere tutti quelli che ho potuto come in un indice, dove do il nome dell’opera, dell’autore con qualche sua singolarità appartenenti però a cose letterarie, com’ a dir s’ è academico, di che academia e sotto qual nome, poi aggionto la città dove è stampato, il stampatore, l’anno, la forma e se è in versi o in prosa. E già ne ho raccolte tante che si può fare un libro. Ma perchè è una materia che sempre si trova qualche cosa di novo, prego V. P. mi favorisca di farmene una lista di quante ne può trovare o siano comedie 0 tragedie o in qual si voglia modo rappresentatione o picciola o grossa in prosa o in verso. E per non pigliarsi molto fastidio mi bastarà per hora che la lista sia in questo modo: il Pastor fido di Gio. Batta Guarino, la Canace appartenenti alla filza XLV ; ad esse sono da aggiungere altre sei della filza B, 38. (1) Dramaturgia | di \ Leone Allacci \ divisa \ in | sette indici, in Roma, per il Mascardi, 1666 - un volume in 12. (2) Poeti antichi \ Raccolti da Codici Mss. | della Biblioteca Vaticana e Barberina | da Monsignor \ Leone Allacci ecc. ecc., in Napoli, per Sebastiano d’Alecci, 1661 - un volume ili 12. GIORNALE STORICO E LETTERARIO DELLA LIGUBIA del Speroni e così nelle altre, perchè io poi confrontandole con le mie, se non gli ho li darò fastidio mi scriva quello che desidero, perchè di quelli che io haverò non occorrerà altro. Mi imagino che di questa sorte di poema V. S. ne habbia quantità. Faccia diligenza appresso gli amici che si dilettano di simili sorte di scritture; la pregho quanto posso e della diligenza e della prestezza, perchè mi voglio quanto prima sbrigare e mandarle alle stampe». Così sperava egli allora, ma se l’indice invece tardò ancora ben dodici anni ad uscire alle stampe non ne ebbe colpa certamente il buon padre Angelico, il quale appena ritornato da Genova a Ventimiglia, trovata la lettera deH'Allacci, si pose al lavoro con tanta alacrità che in meno di di un mese aveva compilato e spedito a Roma un catalogo (senza indicazioni tipografiche secondo il desiderio dell’ amico) di ben centonovantotto drammi da lui posseduti nell’aprosiana. Pochi giorni dopo l’Allacci scriveva all’ Aprosio profondendosi in ringraziamenti per la lunga lista di drammi (sebbene essi in gran parte già fossero a lui noti) chiedendo notizia di quei tren-taquattro che a lui tornavano nuovi. Pregava poi l’Aprosio di suggerirgli esattamente « il titolo anchor con 1’ articolo inanzi dov’è -il nome e cognome dell’autore e patria et il titolo suo honorario, se è recitata, dove e con che occasione, il luogho dov’è stampata, l’anno, il nome dello stampatore e la forma se è in 4° o in 12° ». Chiudendo la lettera manifestava timidamente la speranza di ricevere da frate Angelico « altri indici, giacche vengono così fruttiferi ». Ma 1’Aprosio con uno zelo derivante forse non tutto da disinteressata cortesia, bensì anche da un certo qual desiderio di far pompa della sua erudizione e della ricchezza della sua biblioteca, aveva prevenuto il desiderio del-l’Allacci, e già fin dal g Maggio gli aveva inviato un nuovo elenco di altri 40 drammi, promettendogliene per di più un terzo a breve distanza. Ciò che gli premeva però era che fra i tanti drammi da lui registrati ve ne fosse qualcuno che tornasse nuovo aH’Allacci, « a fine », diceva egli, « di aver parte nell’adornamento di cotesta opera », giacché egli viveva <■ impazientissimo d’ attenderne notizie ». Poco dopo, quando cioè ricevette la lettera dell’ Allacci nella quale gli si chiedevano le indicazioni tipografiche di quelli, fra i drammi del primo elenco spedito, che a Mons. Leone erano ignoti, l’Aprosio, che si GIORNALE STORICO E LETTERARIO DELLA LIGURIA l6$ trovava allora in Genova, scrisse all’amico in data 6 Giugno 1654 scusandosi di non poterlo servire, perchè lontano dai suoi libri, e promettendogli di soddisfarlo appena fosse ritornato a Ventimiglia. Intanto ben lieto che l’Allacci « fra gli stracci della Biblioteca Aprosiana ci avesse trovato qualche cosa per l’accrescimento del suo catalogo degli autori drammatici », per non stare, come si dice, colle mani in mano, con quella inesauribilità così propria di lui in ogni ramo di erudizione, accodava alla lettera l’elenco di ben ottantun drammi, parecchi dei quali già forniti di dati tipografici completi; come ciò non bastasse chiudeva facendo intravedere all’Allacci la possibilità di inviargli ancora notizie di nuovi drammi nei dieci giorni nei quali egli si doveva ancora trattenere in Genova. Appena ritornato a Ventimiglia poi « fu il suo primo pensiero di attendere al completo ragguaglio dei drammi » ed il 23 Giugno scriveva all’Allacci dandogli le indicazioni richiestegli sui drammi del primo elenco. E superfluo aggiungere che tutte le notizie fornite dall’Aprosk» si trovano nella prima edizione della Dramaturgia e che il nome dell Aprosio vi compare più volte, come esigeva la cortesia alla quale molto si teneva dagli eruditi del seicento. Leone Allacci intanto, senza attendere i dati tipografici dei drammi contenuti nel primo elenco, appena ebbe ricevuta da Genova la lettera dell Aprosio in data 6 Giugno contenente il secondo elenco, scrisse il 14 dello stesso mese all’ amico per avere le indicazioni di stampa di diciotto drammi registrati in quello, e per essere informato se dodici di quegli altri che nel secondo elenco 1 Apiosio aveva già corredati dei dati di stampa, fossero scritti in prosa 0 in verso La risposta dell’ Aprosio a questa ultima lettera dell’Allacci manca nella filza della Vallicelliana, ma per fortuna non manca la risposta ad un’ altra lettera di Mons. Leone in data 2 Agosto, nella quale questi gli chiedeva vari schiarimenti intorno a parecchi drammi contenuti nei tre elenchi aprosiani. Avrebbe voluto sapere l’Allacci d’onde frate Angelico avesse tolta la notizia che l’autore della commedia intitolata Banchetto dei mal cibati, la quale va sotto il nome del-1 accademico Frusto, sia Giulio Cesare Croce, il bolognese autore del Bertoldo. « Io l’ho avuto in più stampe », dice egli, < ma in nessuna ho trovato simil nome; mi trovo bene un altro Giulio Cesare Croce di cui ho notato la Farinella commedia e la ι66 GIORNALE STORICO E LETTERARIO DELLA LIGURIA Sotterranea confusione, ovvero tragedia sopra la morte di Simon Bassa: non so se sia lo stesso che l’autore del Banchetto dei mal cibati. Sotto Γ istesso nome di Giulio Cesare Croce, trovo chiamate le Nozze della lesina; queste Nozze sono lo stesso che il Banchetto ? ». Desidera ancora sapere chi sia il vero autore del dramma pastorale Frutti d’Amore, che in un elenco speditogli dall’ Aprosio è attribuito a fra Carlo Aldobrandino, ed in un altro a fra Cristoforo Lauro perugino; poi quale sia il vero nome dell’autore della Cecilia, dramma sacro, se Annibaie Lo-meri o Romeri ; indi se il commediografo Malavolti si chiami Gerolamo Ubaldino o semplicemente Ubaldino; infine dove e quando venne alle stampe il Filosofo dell’Aretino e se all’Aprosio sia nota « 1’Horatia tragedia manoscritta dal medesimo ». A tutte queste domande prontamente rispondeva l’Aprosio in una lettera senza data, ma che deve essere stata scritta il 14 di Luglio, come si desume dalla lettera dell’Allacci in data 8 Settembre, in cui sono enumerate tutte le lettere pervenutegli da Ventimiglia dal 2 Maggio in poi. Quanto al primo quesito rife-rentesi al Croce, l’Aprosio così risponde : « appresso un amico che ha fatto raccolta delle opere di costui in due ben grossi volumi vi si legge il Banchetto dei mal cibati e la Sotterranea confusione, del che parmi possa assicurarsi V. S. di metterle tutte due sotto suo nome : delle Nozze della lesina non me ne ricordo ». I Frutti d'Amore sono di un fra Cristoforo Lauro e non di Carlo Aldobrandino, al quale invece detto dramma è dedicato (1 ). Quanto poi al vero nome dell’autore della Cecilia egli dice che e Annibaie Lomeri « satirico accademico Filomato, mentre visse suo amico ». Ed a proposito di costui dà i seguenti cenni: « Fu uno dei maggiori criminalisti che siano stati, e benché in questa materia egli non abbia scritto, ha difeso cause atrocissime e riportatane (1) Il Banchetto dei mal cibati è veramente commedia di Giulio Cesare Croce. Il Guerrini nello studio suo intorno al C. (Bologna, Zanichelli, 1879) e precisamente a pag. 337 del Saggio bibliografico ci fornisce i dati seguenti: Banchetto \ De' Malcibati | Commedia \ dell’accademico Frusto j recitata dagli affamati | nella città calamitosa \ Alli 15 del mese della Estrema Miseria I Vanno dell’ aspra e insoportabile necessità | opera di Giulio CESARE CROCE, in Bologna, per gli eredi del Cochi al Pozzo Rosso da S. Damiano, MDCXXIII. I due volumi dai quali l’Aprosio dice di aver tolto notizia dei drammi del GIORNALE STORICO E LETTERARIO DELLA LIGURIA 167 Vittoria » (i), ed aggiunge per ultimo la notizia di alcuni altri drammi inediti di lui. Quanto al Malavolti il suo vero nome è Gerolamo, ma veniva chiamato comunemente Gerolamo Ubaldino (2). Il Filosofo dell'Aretino doveva ritenersi inedito e del-1 Orazia (3] Γ Aprosio non aveva notizia alcuna. Per ultimo la lettera sì chiudeva con un nuovo indice di drammi che frate Angelico suggeriva all’amico coi dati tipografici completi. Importante assai è pure la lettera del 24 Agosto, nella quale l’Aprosio dava notizia all’Allacci di tre soli drammi: la Sofonisba tragedia di Galeotto Del Carretto, il Tempio d’Amore commedia del medesimo e la Daria tragedia di Angelo Leonico ; tutti e tre i drammi erano sprovvisti dei dati di stampa (4). « Io non mai le ho lette », aggiungeva l’Aprosio, «ma ne cavo le notizie dalle vite dei poeti italiani di Alessandro Zilioli, cittadino veneziano, il manoscritto originale delle quali non più stampato si conserva nell Aprosiana ». E chiudeva la lettera trascrivendo dallo Zilioli quei due lunghi brani biografici (non troppo esatti in verità) che si leggono nella Draviaturgia (5). Leone Allacci rispon- Cioce sono evidentemente quegli indici editi dal Cocchi nel 1640 e riprodotti dal Guerrini ; ma erra l’Aprosio parlando di un’edizione completa delle opere del C. E strano poi che nonostante le precise indicazioni dell’Aprosio il Banchetto dei Malcibati manchi nella Dramaturgia. — La sotterranea confusione cnwero tragedia sopra, la morte di Simon Bassà è invece riferita dall’Allacci, il quale conosce l’edizione di Viterbo 1612. Il Guerrini (pag. 466) ne annovera altre parecchie. — Le nozze di M. Trivello Foranti e M. Lesina degli Appuntati (Bologna, Cochi, 1613) è tutt’altra cosa che il Banchetto (Guerrini, Pag· 449)· — H dramma pastorale che ha.per titolo Frutti d’Amore nella prima edizione della Dramaturgia è attribuito infatti a Cristoforo Lauro coll’indi-cazione seguente: «come si cava dalla fine della dedicatoria». (1) Questi cenni sul Lonieri non furono riprodotti nella Dramaturgia. (2) Con tutte e due i nomi venne registrato daH’Allacci. (3) Strano è che l’Aprosio non conoscesse dell’ Orazia l’edizione giolitiana del 1546 e del Filosofo quella del Giolito stesso del 1546 e l’altra del 1549 in-8 assai rare entrambe. (4) L' aggiunse poi da sè l’Allacci citando esattamente della Sofonisba l’edizione veneziana del Giolito del 154^1 del Tempio d'Amore entrambe le edizioni del ’ 19 e del '24, delle Nozze dì Psiche e Cupidine ignota allo Zilioli quella di Milano del 1520. (5) La confusione fatta dallo Zilioli fra i due Galeotto del Carretto, 1’ uno marchese di trinale, 1 altro eli Savona, fu causa, come provammo altrove l68 GIORNALE SORICO E LETTERARIO DELLA LIGURIA dendo Γ 8 di settembre a questa lettera, dopo i soliti ringraziamenti e le cerimonie complimentose, prometteva all Apiosio di inserire nella Dramaturgia i dati biografici sul Del Carretto e sul Leonico, ma aggiungeva che la Sofonisba ed il Tempio d’Amore gli erano già noti prima e che anzi dello stesso autore egli conosceva pure le Nozze di Psiche e Cupidine, del quale dramma lo Zilioli non faceva alcun cenno : al tutto nuova invece gli era tornata la Daria di Angelo Leonico (i). Un alti a « lunga lista di comedie che si trovano nell’Aprosiana » inviava il 12 novembre di quello stesso anno Padre Angelico all Allacci, ma pur troppo essa non ci è pervenuta e solo ne apprendiamo notizia dalla lettera che l’Aprosio scriveva da Genova a Mons. Leone il 30 gennaio del 1655, lagnandosi di non avere avuto alcun cenno di ricevuta di quell’ indice e di non essere stato informato dei progressi della Dramaturgia che oramai lo interessava come un’ opera sua. Finalmente il sabato santo di quell’anno Γ Allacci rispondeva a tre lettere dell’amico pervenutegli tutte e tre in una sol volta, a quella cioè del 12 novembre, ad una del 3 gennaio, che a noi non pervenne, ed a quella del 30 gennaio sopra rammentata. La lettera lunghissima è assai interessante, come vedremo, per l’origine dell’edizione allacciana dei poeti antichi, ma perciò che si riferisce alla Dra-maturgia il celebre bibliofilo si limita a ringraziare l’Aprosio delle « lista molto lunga delle commedie di nuovo aggiunte » benché tutte (tranne la Cingana ed il Villano da Rimini di Francesco Moroni) gli fossero già note. Nella chiusa però 1 Al lacci chiede notizie di un dramma di Ansaldo Cebà intitolato Le due gemelle, del quale al solito voleva sapere « il luogo, l’anno della stampa, il nome dello stampatore, la forma dell edizione e se fosse in prosa o in versi ». Questa volta (caso strano) la corrispondenza non trovò intoppi, sicché già il 9 aprile 1 Apro- (C. Del Carretto in Memorie della R. Accademia delle Scienze di Tonno, ' S. II, tom. XLIX) della lunga serie di sbagli in cui caddero i biografi successivi del poeta monferrino. (I) Del Leonico l’Allacci conobbe la tragedia intitolata II soldato di cui cita l’edizione veneziana di Comin da Trino del 155° > la Dar,a era e (se non erriamo) è inedita (cfr. Quadrio, St. e Rag., tom. II, pag. 68, Milano, Agnelli 1743)- GIORNALE STORICO E LETTERARIO DELLA LIGURIA l6g sio rispondeva che Le due gemelle a parer suo dovevano essere ancora inedite (i), ma che ad ogni modo avrebbe assunte più precise informazioni dal sig. Nicolò Spinola parente del Cebà. Si mostrava dolente poi di non poter dare maggiori informazioni sul Villano e sulla Cingano, del Moderati e chiudeva colla solita promessa di mandargli presto una nuova lista di drammi. La lettera deH’Allacci datata da Roma il 9 aprile e partita prima che giungesse colà quella dell’Aprosio in data del 3, tranne la preghiera all’amico di fornigli le indicazioni di stampa della Cecilia, dramma sacro di Annibaie Lomeri, tutta si riferisce al- 1 elezione avvenuta appunto in quel giorno di Papa Alessandro VII Chigi. Del nuovo Papa parla pure la lettera del 15 aprile, nella quale l'Aprosio rispondeva all’Allacci rallegrandosi di quella elezione ed augurandogli il cappello cardinalizio; soltanto in un proscritto egli suggeriva all’amico i dati di stampa non della Cecilia del Lomeri, bensì della Cleopatra dramma, musicale di Marco Ettore Rosabella. Solo in un altra lettera, scritta il giorno 16 poco prima di partire per Ventimiglia, l’Aprosio promise all’Allacci di fornirgli i dati tipografici della Cecilia appena dopo fatto ritorno in patria. Mantenne infatti la promessa e da Ventimiglia inviò presto all’Allacci, oltre che la no-ticina desiderata, anche un nuovo indice di drammi. Di questo elenco che non si conserva nella filza della Vallicelliana, ΓΑ1-lacci ringraziava l’Aprosio nella sua lettera dell’11 giugno e gli chiedeva al solito le indicazioni di due drammi di Alessandro Ciccolino e di otto altri di Giovanni Faustini; prima di chiudere chiedeva ancora se le Vicende d'Amore del Faustini medesimo, già a lui note, fossero da identificarsi coll’Eritrea dramma compreso nell’ultima lista aprosiana. « Veda mo’ che il suo Leone mentre non è buono a servirla in niente », diceva in fine scusandosi cerimoniosamente 1’ Allacci, « sempre è buono a darli molestia. Accusine la sua amorevolezza che m’inanimisce a ciò ». Ma già prima che gli giungesse la lettera dell’Al-lacci in data 11 giugno, l’Aprosio per interrompere il silenzio (1) Tali erano veramente e come inedite le registrava in quegli anni il SOPRANI (Scrittori delta Liguria e particolarmente della marittima, Genova, pel Calenzani, 1667, pag. 28). Detta tragedia fu poi pubblicata nel vol. II del Teatro Italiano del MAFFEI, Verona, 1723-25. I/O GIORNALE STORICO E LETTERARIO DEI,LA LIGURIA dell’amico gli aveva scritto chiedendogli: « Che fanno le comedie? Conviene dire che V. S. non abbia più bisogno di me. perchè non me ne dice più altro. Sappia però che posso ancora dargliene qualche notizia, benché non così lunga, come vedrà qui appresso ». Seguiva infatti l’indice di sedici drammi, parecchi dei quali già forniti di indicazioni tipografiche ; sentiva però il dovere l’Aprosio di scusarsi se alle volte per « l’infingardaggine di non rivoltar carte » gli fosse sfuggito qualche dramma già registrato nei precedenti elenchi. Quando poi gli pervenne la lettera dell’Allacci in cui gli si chiedevano notizie sui drammi del Ciccolino e del Faustini (e Mons. Leone timoroso che la sua dell’ i x giugno fosse andata smarrita aveva ripetuto la domanda in un’altra lettera del 17 agosto) l’Aprosio si affrettò a comunicargliele almeno in parte con la sua lettera del 26 agosto. Appresso senza attendere nuove preghiere deH’Allacci, il 20 ottobre sempre del 65, l’Aprosio, avendo trovato menzione nelle Glorie degli Incogniti di due drammi da lui posseduti, ne dava notizia all’amico (1). Intanto dei sedici drammi contenuti nella lettera aprosiana del 27 luglio, sei erano tornati nuovi all’Allacci e di questi il 30 settembre Mons. Leone chiedeva al solito i dati di stampa, che gli furono comunicati dal p. Angelico colla lettera dell’8 dicembre. Del 1656 non troviamo dei due eruditi alcuna lettera nè nell'Universitaria di Genova nè nella Vallicelliana di Roma; va notato però che dalla lettera del 22 gennaio 1657 scritta dall’Allacci all’Aprosio si apprende che una lettera almeno era partita da Ventimiglia il 19 di maggio del 56. Dopo tanto silenzio la notizia che della Dramaturgia dà l’Allacci all’Aprosio ci fa noto che essa era oramai giunta a buon punto. « Il sig. Tobia Pallavicino quondam Fabritii »,(2) scrive egli, «s’è preso l’assunto di fare stampare la mia Dramaturgia italiana in Genova; a tal’effetto io gliel’ ho capitata; credo che a quest’hora sia dato principio ». E proseguiva manifestando all’amico l’intenzione di dedicare al Pallavicino l’opera sua pregandolo a tal fine di fargli noto « qualche tasto che (1) Sono VAlcippo e V Erminia del Chiabrera edili la prima a Genova per il Pavoni nel 1614 e la seconda ivi nel 1622. (2) Di Tobia Pallavicino parla l’Aprosio stesso in Bibt. Apr., pag. 387. GIORNALE STORICO e LETTERARIO DELLA LIGURIA I 7 I potesse dilettarlo per la prefatione », giacche egli non conosceva affatto quel signore che gli si mostrava così liberale. La promessa di una copia da inviarsi presto all’Aprosiana mostra quanto l’Allacci fosse persuaso della prossima stampa della Dramaturgia. Ma a scuotere in lui quella sicurezza sopravvenne dapprima la peste che già serpeggiava in Roma nel febbraio del '57. Dopo un lungo silenzio la prima lettera dell’Allacci all’Aprosio è quella del io giugno del '58, nella quale dopo avere accennato ad una lettera dell’Aprosio pervenutagli, che a noi non rimane, egli scriveva queste melanconiche parole: « mentre le disgrafie sono universali non è meraviglia che io ancora partecipi la mia parte e con me ancora la mia Drama-ìurgìa. E pure che la città di Genova sia libera da tanto mal’in-flusso posso bene io aspettare che si tiri in lungo l'impressione di quella. Il sig. Pallavicino scrisse alcuni dì sono che s’have-rebbe dato principio alla stampa; io non voglio altro che la sua commodità nè sono mai per aggravare gli amici e patroni ». La lettera, come vedremo, esponeva in seguito il piano del-I’ edizione allacciana dei poeti antichi e su questo solo argomento verte la risposta che il 27 luglio del '58 rinviava l’Aprosio. — Dopo questa lettera la filza della Vallicelliana presenta nella corrispondenza aprosiana una larga lacuna di ben tre anni che noi ci studieremo di colmare colle notizie desunte dalle lettere dell’Allacci all’Aprosio. I nuovi lavori intrapresi dal celebre bibliofilo della Vaticana, e sopratutto Γ edizione della poesia antica italiana, pare gli abbiano fatto dimenticare la Dra-maturgia, la quale, senza che egli se ne preoccupi troppo, continua a giacere inedita a Genova. « Della mia Dramaturgia », scrive egli, « dopo che è arrivata a Genova, sono tant’ anni, non so che se ..e faccia; la disgrafia universale ha colpito ancora me. Patienza! forse qualche tempo verrà a fine, ma io vorrei che fosse a’ giorni miei ». Intanto sopravviene alla Dra-maturgia un intoppo di là donde nessuno potrebbe pensarlo: non è più la peste che ne impedisce la stampa, ma 1’ ufficio del revisore ecclesiastico. « Con quest’ ordinario scrivo al signor Tobia Pallavicino », si legge nella lettera dell’Allacci del 16 Maggio 1659, « che mentre li revisori della mia Dramatnr-gia non cessano di fare difficoltà della stampa che ricuperi l’opera e me la mandi. Non basta haver scritto che levino quello 172 GIORNALE STORICO E LETTERARIO DELLA LIGURIA che a loro non pare di doversi stampare? ma che serve a parlare ? io scrivo assolutamente che mi si rimandi l’opera : credo che durerò fatica a riaverla ». Questo si può ben dire il colmo dello zelo per un revisore! opporre il veto ad un indice di drammi compilato, quel che è più, da un Monsignore e per l'appunto dal prefetto della Vaticana! Il manoscritto della Dramaturgia con tutto ciò non fu ritirato, anzi in una lettera di poco posteriore ΓAllacci annunziava aU'Aprosio d’aver spedito a Genova al Pallavicino la licenza di stamparla ottenuta a Roma per mezzo forse delle alte relazioni che vi aveva (i). « Così », conchiudeva Mons. Leone, « si quieterà il sig. Pallavicino ed io dopo tanti anni di travaglio ». E con mille ragioni esclamava per ultimo: « È stata ben disgratiata quest’operetta!». Ma oramai anche egli era tutto rivolto altrove che alla Dramaturgia ; quattro lunghe lettere di lui aU’Aprosio in data 14 giugno, 12 luglio, 26 luglio, 12 agosto non parlano oramai d’altro che dell’edizione dei poeti antichi che assorbe intieramente l'opera sua di studioso. Un fuggevole cenno alla Dramaturgia, il quale lascia capire come Γ Allacci stesso avesse posto il cuore in pace e non pensasse più a quella sfortunata sua opera, si trova nella lettera del 31 d’agosto di quell’anno. Parlando della lentezza delle pratiche presso i revisori genovesi, Monsignore esclama non senza una punta d' ironia: « ma se tutte le cose di Genova caminano con quella facilità che camina la mia Dramaturgia, non mi maraviglio che le cose non arrivino mai a fine ». In seguito quel povero indice di drammi ritorna nel dimenticatoio e non se ne parla più nè nella lettera del 10 ottobre, nè in quella del 18 o nell'altra dell’11 novembre e neppure in una del 3 gennaio 1660. Bisogna venire fino alla lettera del 29 maggio del ’6o per apprendere notizie della Dramaturgia. « lo mi trovo tribulato non pocho », scriveva l'Allacci all’amico, « perchè non vedo nè principio nè fine della stampa della mia Dramaturgia. Dal sig. Tobia ho havuto più e più volte buone spe- li) L’edizione del Mascardi porta un imprimatur datato in Roma il 27 giugno 1665; non può essere adunque quello che l'Allacci spedi al Pallavicino, ed è chiaro che Mons. Leone dovette rinnovare la domanda del-1’ imprimatur in seguito ai lunghi ritardi ed alle grandi aggiunte fatte, come vedremo, alla Dramaturgia. 0 GIORNALE STORICO e LETTERARIO DELLA LIGURIA 173 ranze e di presto (sic); non s’è però mai veduto effetto alcuno. Gli ho fatto scrivere dal sig. Peschiulli (i) che mi mandi l’originale o copia che gli ho mandato colle aggiunte; col non rispondere non potiamo imaginarsi a che gli .s’ haverà da apponere. Io certo cognosco qualche mia disgratia che non vuole che io m’honori col nome di tal signore. Le lungarie erano per causa delle difficultà che facevano i revisori? ora che queste difficulté si sono superate secondo che questo signore un pezzo fa mi ha scritto, non si vede risolutione alcuna, eppure sono parecchi anni che esso l’ha in mano. Io ne resterei soti-sfattissimo e obbligatissimo alla bona volontà sua pure che me la rimandasse che forse qua in Roma se troveria modo di stamparla ». Ed era in verità l’unico partito da prendersi, ma solo assai più tardi esso venne messo in opera. Intanto l’Allacci dopo un mese di inutile attesa, visto che il manoscritto della Dramaturgia. non ritornava, si rivolse direttamente all’Aprosio, che in quei giorni si trovava in Genova, scrivendogli i! 24 giugno la lettera che noi in parte riproduciamo: « Scrivo al sig. Tobia Pallavicino l'inclusa; mi farà gratia presentargliela in propria mano e farsi consegnare la mia Dramaturgia con le aggiunte che più volte li ho mandato e la licenza di stamparla del Rev. P. Maestro. Vedo che li tempi sono così disastrosi e li negozi ili detto signore molti, che io per dirla, me ne vergogno darli novi trattenimenti con queste mie bagattelle. Havutache l’haverà, per favorirmi si piglierà l'assunto di farmela capitare secura, che con l’aiuto di molte cose havute dopo e di un nuovo sortimento di comedie voglio mutarla tutta et aggiongervi due altri indici oltre alli sei mandati al sig. Tobia (2). Si piglierà fra tanti altri scomodi che li do questo ancora e scuserà de 1’ ardire ». Prima di chiudere questa lettera l’Allacci invitava il P. Ventimiglia a prendersi pure, se voleva, una copia della Dramaturgia coll'avvertenza di non dimenticare le aggiunte e di (il Amico dell’Allacci e dell'Aprosio che 11e fa ampi elogi nella Bibt. Apr., pag. 387, dove lo registra tra i donatori. Nelle lettere dell’Aprosio non mancano mai i saluti al Peschiulli ed un passo della lettera dell’Allacci in data 20 gennaio '63 dove si deplora la povertà del P. è riferita dall’Aprosio nel luogo cit. Il P. fu anche letterato e scrisse un dramma, 1 ' Orizia. (2) (ili indici invece furono poi sette soli. 174 GIORNALE STORICO E LETTERARIO DELLA LIGURIA metterle a loro luogo senza lasciar da parte neppure un « discorsetto > a mo’ d’introduzione. Ma la lentezza del Pallavicino davvero indiscreta ed un po’ anche la copia della Dramaturgia che l’Aprosio deve farsi prima di restituire l’autografo all Allacci, ritardano sempre più la stampa di quel disgraziato catalogo. La lettera dell'Allacci in data 4 settembre è tutta destinata alle pratiche per riottenere il manoscritto; oramai il celebre bibliofilo è risoluto a romperla col Pallavicino che ha abusato tioppo della sua pazienza. La lettera merita d’essere ripoi tata in gran parte. « Più d'una volta mandai all’amico alcune gionte per la mia Dramaturgia, poiché ogni volta che esso mi scriveva che col primo ordinario io haverei havuto fogli, per essere a tempo alla stampa subito gliele mandavo; hora io non so imaginarmi quello che haverà consegnato a V. P.t. Abbiamo esposto tutto il passo della lettera che si riferisce alle vite dei poeti antichi dello Zilioli, perchè sia facile indirettamente farsi un’ idea di quell’ opera tutt’ ora inedita. Essa a parer nostro doveva essere fatta sul sistema medesimo che più tardi adottò il Crescimbeni ed è pure sempre una bella prova del culto che godettero nel sec. XVII gli studi d’erudizione e di storia letteraria. — In quella stessa lettera è incluso l’indice di quei poeti che l’Allacci aveva trovati nuovi e sconosciuti nel secondo indice delle opere conservate nell’ aprosiana inviatogli dall'amico; a questo, secondo il solito, il buon P. Aprosio era pregato di apporre coi dati di stampa tutte le indicazioni possibili. P. Angelico, benché convalescente, anche questa volta servì l’amico con tutta puntualità e larghezza, sicché già il 31 Agosto l’Allacci scriveva a lui per ringraziarlo non solo dei dati bibliografici che egli aveva richiesto, ma anche di alcune brevi vite dei sommi poeti italiani che l’Aprosio aveva per lui a bella posta scritte. Le parole che in quella lettera Mons. Leone scriveva al P. Ventimiglia non dovevano adunque essere solo di complimento : « Io poi desidero essere favorito dagli amici e patroni », come egli diceva, « ma con moderatione. V. S. eccede ed il P. Vigarelli, al mio vedere infaticabile, metterebbe tutti li quattro Evangeli in foglio di carta et ogni cosa an-derebbe bene quando io poi fossi atto per riservirla, ma 1’ età, le facoltà, il valore non lo permette ; pregharò Iddio che lo rimuneri lui ». AH'Allacci erano tornate graditissime le brevi biografie di poeti scritte dall’Aprosio per lui ; eccellenti gli erano sembrate quelle del Guarini e del Marino (ed ognun sa quanta viva parte l’Aprosio avesse preso alle polemiche ma-rinistiche) ; ora avrebbe gradito da parte dell’Aprosio un cenno biografico del Tasso. Egli, l’Allacci, aveva sì, raccolte notizie sulla vita di quei poeti, « ma non con quella esattezza e cognitione di nomi supposti » (1) che era davvero tutta propria di frat'Angelico. Intanto altri cenni biografici di poeti giunge- (1) Non era questa adulazione da parte deU’Allacci ; tutti sanno che frate I98 GIORNALE STORICO E LETTERARIO DELLA LIGURIA vano via via all’Allacci da parte del suo infaticabile amico di Ventimiglia, come ci attestano i ringraziamenti, che abbondano nella lettera del Bibliotecario della Vaticana in data 11 Ottobre di quell’anno, e quelli anche più vivi che si leggono nell’altra sua del 18 Ottobre. Di quei cenni così enfaticamente esaltava il pregio l’Allacci : « So che nell’ opera se mai arriverò a tanto di poterla finire riluceranno come tante gioie ». — Ma per la storia della edizione allacciana dei poeti antichi è di somma importanza la lettera lunghissima che Mons. Leone scriveva 1 ’ 11 Novembre del 59. Dopo i soliti ringraziamenti per un terzo quinternetto di « note sopra li poeti » pervenutogli da P. Angelico, e dopo la promessa esplicita, certo gradita all’Aprosio, che se mai fosse arrivata a perfezione l’opera avrebbe fatto « più d’una volta mentione a chi (sic) tanto doveva », l’Allacci aggiungeva per ultimo : « Delle lodi spirituali io fo capitolo particolare, come havessero origine e degli loro auttori, delli quali si trovano molti volumi manoscritti. La ringratio della notitia che mi dà » (non sappiamo in quale lettera nè a che proposito) » dell’ anonimo venetiano quale è Leonardo Giustiniano, del quale ancora io a suo tempo farò mentione ». Prima di chiudere quella lettera pregava l’Aprosio di colmare parecchie lacune, che egli colla scorta dell’ indice aveva potuto riscontrare nella copia manoscritta dello Zilioli pervenutagli. Bene osservava l’Allacci che quei nomi di poeti non potevano essere stati inventati dal copista e che quindi nel manoscritto originale dello Zilioli dovevano pure avere una piccola biografia. A noi l’elenco di quei poeti mancanti nel manoscritto allacciano, colle indicazioni del luogo dove mancano, torna utilissimo per farci indirettamente un' idea di quella dimenticata opera dello Zilioli, di cui ci viene offerto per questa via quasi un’indice (1). Angelico è autore di un libro intitolato la Visiera alzata (Parma 1689) in cui si dà il nome vero di molti autori le cui opere vanno sotto uno pseudonimo. (1) Ecco 1’ elenco dei poeti mancanti nella copia allacciana dello Zilioli : « fra Angelo Politiano e Gio. Pico, Francesco Berlingeri ; fra Matteo Maria Boiardo ed Ercole Strozzi, Nicolò Agostini ; fra Egidio di Viterbo e Galeotto Del Carretto, Antonio Filesio (o Fileremo) e Ferrante d’Avalo; fra Girolamo da Molino e Giovanni Battista Giraldi, Ercole Bentivoglio ; fra Giulio Camilli e Vi ttoria Colonna, Nicolò Tiepolo ; fra Nicolò Franco e Bartolomeo Malombra, Margherita Valesia e Maria Franco ; fra Giovanni Bat- GIORNALE STORICO e LETTERARIO DELLA LIGURIA 1ÇQ E superfluo dire che caso rriai di quei poeti mancanti si fosse tt ovato cenno nel manoscritto originale dello Zilioli, l’Aprosio era pregato di aggiungere quelle notizie ed inviarle all’Allacci. La risposta deU’Allacci, che dovette essere prontissima, non pei venne a noi; se ne parla tuttavia nella lettera in data 3 Gennaio 1660, colla quale l’Allacci riscontrava quella dell’Aprosio smarrita. Mons. Leone ringraziandolo di quelle aggiunte che, non si capisce come (1), erano rimaste fuori dalla prima tra-sciizione dello Zilioli, sciorinando la solita tiritera dei complimenti, giungeva a dire: « ho a caro di ricevere i favori e le gratie, ma nella maniera che li suole fare e li fa V. S. à di mestieri che io m’ astenghi dal ricorrere alle loro cortesie. Per questa volta passa, per l’avvenire starò un poco più· avertito, usque ad aras, diceva quello ». Quelli sì che erano puri e meri complimenti che l’Allacci faceva, tanto per uscire una volta dalle solite frasi con cui soleva esprimere all’amico la sua gratitudine! In realtà, noi lo vedremo, egli era mille miglia lontano dall astenersi sul serio dal chiedere aiuto a colui che era così pronto e generoso nel corrispondere alle sue richieste. Dopo questa lettera essendosi l’Allacci tutto rivolto di nuovo alla Dramaturgia, (che proprio allora coll’aiuto dell’Aprosio s’in- tista Amalteo e Remigio Nannini, Ferrante Gonzaga ; fra Angelo Leonico e Bernardino Daniello, Giacomo Angelo Cartuso ; fra Bernardino Rota e Bernardo Navagero, Francesco Castiglione ; fra Gabriele Framina e Modesto Bolzo, Francesco Amidi ; fra Bernardo Navagero e Filippo da Terzi, Marco Antonio Pagani ; fra Gio. Giorgio Trissino e Aloigi Pascaligo, Gerolamo Fenarolo ». (1) L’Aprosio in Bibl. Apr., pag. 621, parlando della copia dello Zilioli da lui spedita ad Anfrano Mattia Fransoni, nota che essa era assai più scorretta che quella inviata aU’Allacci, perchè questa fu trascritta da una copia che con infinito studio e pazienza P. Angelico stesso aveva ricavato 'dall’autografo pieno di cassature e d’ aggiunte, quella invece era stata fatta da un copista frettoloso sull’ autografo quasi inintelligibile. Forse le lacune dell’ esemplare allacciano dello Zilioli si spiegano così. P. Michelangelo, il copista, non potè trascrivere (checché dica l’Aprosio) le Vite dei poeti dalla copia fatta dal-1’autografo per mano di frate Angelico e destinata al Du Fresne ; questi infatti chiese una copia dello Zilioli soltanto colla lettera del 21 Settembre 1660 che è riprodotta nella Bibl. Apr., loc. cit., ed a quel tempo la copia allac-ciana gi;\ era pervenuta a Roma. P. Michelangelo trascrisse adunque dall’ autografo e fra le cassature e le aggiunte si smarrì ed incorse in omissioni. 200 GIORNALE STORICO E LETTERARIO DELLA LIGURIA gegnava di togliere di mano a quel Tobia Pallavicino, il quale nè la stampava nè la restituiva) l’edizione dei poeti antichi parve per un tratto messa in disparte. Ma per fortuna 1' opera non era interrotta, anzi, benché l’Allacci non ne facesse menzione nelle sue lettere all’Aprosio, essa progrediva celermente, tant’è che già il 2 Ottobre di quell’anno stesso 1660 Mons. Leone dava all’ amico la notizia che se n’ era già cominciata la stampa, ed ecco come : « Questa settimana ho ricevuto doi fogli stampati in Messina delle rime dei poeti italiani antichi raccolti da me, le quali io haveva mandato a quella eccellentissima Academia delle fucine, e quella compiacendosi di quell’ antichità s’è presa l’assunto di stamparle e già me n’ha mandati doi fogli in stampa bellissima in ottavo e così seguiterà. L’ opera riuscirà curiosa e verranno fuora una gran quantità di poeti italiani, delli quali non se ne sapeva manco il nome. Chi l’havesse detto che havesse da venire uno da non so dove per dar vita a persone così varie di nazione! (i). Sopra tutto s’osserva l’ortografia secondo che s’è trovata nelli manoscritti antichissimi e credo che cacciaranno le mani più presto che l’uomo non si crede; li vederà ancora lei a suo tempo ». Vero è che gli ostacoli esterni frapposti alla stampa della sua Dramaturgia lo hanno disanimato e scoraggito alquanto anche nel lavoro sui poeti, ma non tanto però che quell’ opera insigne sia ora affatto trascurata. « Vo notando ancora 1’ editioni varie secondo che io posso haverle », dice ΓAllacci stesso poco più sotto, « ma insin hora non posso accertarmi di quello che sarà ». Tuttavia che i poeti antichi fossero alquanto trascurati dall’Allacci parrebbe provato dal fatto che in parecchie lettere consecutive da lui dirette al-l’Aprosio non se ne fa alcuna menzione. P. Angelico però, del quale ritroviamo nel 1661 la corrispondenza, andata smarrita, come dicemmo, pei due anni precedenti, non cessava di chiedergli notizie di quei benedetti poeti antichi. « Ed i poeti toscani sono per anco stampati ? V. S. mi ha promesso di farmeli vedere e questo mi fa ricercare se siano sbrigati », così si legge nella lettera dell’Aprosio in data 4 Marzo 1661. Come per la Dramaturgia, così pei poeti antichi, in fondo in fondo, se non (1) È noto che l’Allacci era nativo di Scio e quindi greco; più volte irate Angelico Io chiama enfaticamente compaesano ed emulo di Omero ! GIORNALE STORICO e LETTERARIO DELLA LIGURIA 201 c inganniamo, l’Aprosio sperava forse che se ne procrastinasse la stampa per essere sempre a tempo ad inviare nuove aggiunte. La lettera del 20 Ottobre infatti, oltre ad un’ discreto numero di drammi destinati alla Dramaturgia, conteneva pure notizie di due raccolte liriche per la raccolta allacciana. Era però troppo tardi, perchè già il 19 Dicembre l’Allacci così annunziava all’amico la fine della stampa del primo tomo dei poeti antichi: « in Messina (1) s’ è finito di stampare il mio primo tomo di poeti antichi; aspetto alcune copie ; sarà una in tutti i modi per il P. Ventimiglia. Non so se vorranno stampare le restanti che al sicuro quando ciò fusse arriverebbono a 12 o 15 tomi e più; la scarsezza del denaro è causa d’ ogni male e la pocha buona volontà di chi 1’ ha ». Ma già prima ancora che l’Allacci avesse potuto mandarne una copia all’ amico, l’Aprosio, che aveva relazione coi letterati d’ ogni parte d’Italia, con lettera del 28 Dicembre 1661 gli annunziava di averne ricevuto da Messina ben sci esemplari uniti con cinque tometti di liriche deH’Accademia dei Fucinanti di quella città, e colle notizie storiche di Messina di Placido Reina (2). Dopo aver ringraziato l’Allacci degli elogi che gli aveva prodigato nella prefazione ai lettori premessa alle rime antiche (3), così proseguiva l’Aprosio : « Mi piace il carattere nel quale sono stampate le poesie non solamente pel rispetto di chi ha corta vista come io, ma per non affliggere chi ha poca pacienza in leggere le cose antiche e così contraffatte non per ignoranza degli autori, ma per l’imperizia dei copisti (4) come ben conosce chi ha fior d’ingegno. Io bramo di vedere stampati gli altri volumi che restano e perciò scrivo (1) Evidentemente qui l’Allacci erra; i Poeti antichi erano stampati sì a cura ed a spesa degli Accademici fucinanti di Messina, ma la stampa del-1’opera si faceva in Napoli presso l’Alecci. (2) Tutti quei libri glieli aveva spediti da Messina D. Giovanni Ventimiglia, del quale v. gli elogi in Bibl. Apr., pag. 431 ; quivi si legge che questo letterato aveva cominciato a scrivere una Storia dei poeti siciliani rimasta in tronco per la sua morte. (3) Parlando di Antonio Beccali per es. l’Allacci a pag. 5 della lettera ai Lettori cita lo Zilioli e rammenta le cortesie ricevute da frate Angelico. (4) Che direbbe ora l’Aprosio se sapesse che insigni filologi moderni a cominciar dal Battoli, dal D’Ancona e dal D’Ovidio pensano tutto il contrario c vogliono clic le liriche siciliane siano state dai copisti toscanizzate ! 202 GIORNALE STORICO E LETTERARIO DELLA LIGURIA per intendere qualche novella al Sig. D. Francesco Ventimiglia figliuolo del Sig. D. Giovanni da cui parirpenti questa mattina ho ricevuto lettere ». A provare che l’Aprosio non era poi come è stato detto troppo ingordo e farraginoso lettore, ma che sulle cose lette rifletteva e cercava di penetrarvi addentro, bastino le seguenti domande che egli rivolgeva aH’Allacci dopo aver letto i poeti antichi : « Ritrovo nell' indice dei poeti Cecco d’Ascoli; or di costui mi trovo un’opera imperfetta, stampata non so da chi per mancamento del fine, in 4, e ne ho 9 quin-ternetti di 8 carte per ciascuno. Il titolo del libro è: Incomincia il primo l/bro del clarissimo philosopho Cicho asculano dieta l’Acerba: Ultra non segue più la nostra luce Fuor de la superficie de quel primo In qual natura per poder conduce La forma indivisibil ecc. » L’ opera dell’Allacci era dunque bene incominciata ed era da augurarsi che il disegno grandioso da lui concepito avesse potuto essere condotto a termine. Ma intanto nella corrispondenza posteriore al ’6i, se si toglie una fuggevole reminiscenza del contrasto di Cielo d’Alcamo (1), non si trova più alcun accenno a quei tanti volumi di poesie che avrebbero dovuto ancora uscire alle stampe. III. L’APROSIO PRECURSORE DEL MAZZUCCHELLI. Fra le benemerenze più notevoli dei secentisti nel campo dell’ erudizione, certo va annoverata quella di averci lasciato un gran numero di indici di scrittori appartenenti ad una data regione o ad una data città; basti ricordare quelli dell’Oldoino, del Soprani e del Giustiniani per la Liguria, l’altro dei piemontesi dovuto a Mons. Della Chiesa, quello del Calvi per gli scrittori bergamaschi, del Toppi pei napoletani ed altri non (i) Nella lettera del 20 Gennaio 1663 l’Allacci parlando delle sue soverchie occupazioni dice che per lui non vi ha « abento, come dice il siciliano, notte ne dia ». GIORNALE STORICO E LETTERARIO DELLA LIGURIA 203 pochi. Questo genere di ricerche fiorito sempre più nel secolo seguente per opera dell’Argelati, del Santamaria, del Barotti, del Ginanni, del Fantuzzi, del Morano e di molti altri ancora, preparo il materiale a quei grandiosi monumenti di erudizione che ci ha lasciato il settecento per opera del Tiraboschi, del Quadrio e, per tacer d’altri, del Mazzucchelli. Quest’ultimo se non potè compiere l’opera sua, certo ha il vanto di avere concepito un disegno così vasto che, non meno di quelli del Muratori desta 1’ ammirazione nostra, e fa chiedere come mai la vita di un uomo bastasse ad imprese così colossali. Eppure l’idea generale d’un -catalogo completo degli scrittori d’ogni parte d’Italia era già balenata circa un secolo innanzi alla mente dell’Aprosio, il quale s’era anche provato a metterla in atto, sebbene ai suoi tempi egli non potesse ancora fare assegnamento su tutti quei numerosi cataloghi regionali, che costituirono una ricca miniera di notizie pel Mazzucchelli. Non già che nel seicento stesso alcuno non avesse pensato a dare notizie di scrittori italiani in genere senza limitazioni di regione o di disciplina; al-1’ opposto abbondano in quel secolo opere di tal genere e basti ricordare la Pinacotheca di G. N. Eritreo, gli Elogi di Lorenzo Crasso, il Teatro degli huomini letterati del Ghilini e persino le Api urbane dell’Allacci ; ma queste erano più che altro apologie di scrittori e non di tutti gli scrittori, bensì solo di alcuni scelti fra i tanti. Non così concepì 1’ opera sua il Mazzucchelli e non così molto tempo prima aveva divisato di fare l’Aprosio. Il disegno suo ci è reso noto dalla lettera che egli scriveva da Venezia aH’Allacci il 2 Luglio 1644. Ecco le sue parole: « Io sto raccogliendo notizie per un’ opera grande intitolata Athenae italicae sive de viris qui Italiam ingenio et scriptis ilhistrarunt, opus. Fr. Angelici Aprosio Vintimilia Ord. Erem. S. Augustini. Il modo tenuto da me lo vedrà nel P. Lorenzo Longo somasco essendo di già stampato » (1). Egli trascriveva nella lettera (1) Ecco il cenno sul Longo « Laurentius Longus Congreg. Somasch. Sacerdos mihi familiaris anno 1603 Kal. Nov.br. natus Parmae, sub optimis praeceptoribus in Academia et patrio Gimnasio omnium liberalium artium cursu perfectu, pubblice doctorum laurea est decoratus. Linguarum latinae graecæ nec non hebraicæ studiosus, litterariae enciclopediae et jitteratorum amantissimus fuit, quorum doctrina consilio ac familiari consuetudine usus est. 204 GIORNALE STORICO E LETTERARIO DELLA LIGURIA tutto il cenno biografico del Longo che a noi giova per farci un’idea dell’opera dell’Aprosio quale doveva essere. Chi sa come gli eruditi del seicento lavoravano a sbalzi e sempre con due o tre opere in corso, chi si ricorda ancora delle eterne lungaggini delle stampe non si meraviglierà se di questo grandioso catalogo di scrittori l’Aprosio parlerà ancora (anzi riprenderà a parlare) dopo un lungo silenzio nelle lettere che venti anni dopo egli scrive all’Allacci. Parecchi altri lavori nel frattempo erano stati da lui intrapresi e condotti a termine; egli poi da Venezia si era confinato a Ventimiglia, ove senz'altro sussidio che la sua aprosiana l’opera doveva tornargli vieppiù difficile e faticosa. Non si sgomentava però l’Aprosio; con buona ragione egli, che era così prodigo negli aiuti agli amiei, faceva assegnamento sugli amici medesimi per portare inanzi l’opera sua; l’aiuto reciproco era il solo mezzo nel seicento con cui gli eruditi vincevano le difficoltà di studio. Già fino dal 2 Dicembre 1645, vale a dire un anno dopo avere esposto all’ amico il piano del Inter alios coluic Iosephum Blancanum preceptorem suum in mathematicis facultatibus, Marium Bettinum, Nicolaum Cabeum et alios qui hoc sacculum scriptis et ingemo illustrarunt. Vir ad omnia natus, in heroico cannine modo poeticae sirenae phoenicem Virgilium et modo generosissimum poetarum Statium modo obeuntis iam eloquentiae romanae postremo fulgorem Claudianum in elegiaco ingeniosissimum elegiacorum principem Ovidium, in conscribenda historiam lacteam ubertatem Livii facilitate ac claritate aemulatus est. Veterum scriptorum elegantiam, recentiorum sales et caculeatas sententias coniun-gens, multa scripsit quorum hic sillabus. Vincta oratione : Ireneidos i. e. de bello et pace Italiae libri XX ecc. Soluta oratione : Breviarium inorale ecc. Vivit valetque et in dies nova meditatur ut de eo illud horatianum de Q. Cassio poeta parmensi dictum possim usurpare Scribere quod Cassi parmensis opuscula vincat ». Come si vede il catalogo aprosiano non doveva essere immune dalle esagerazioni apologetiche, ma tra le lodi si rinvengono pure utili notizie biografiche e bibliografiche. Tutto il passo riferentesi al P. Longo, che, come dice frate Angelico, era già stato pubblicato, leggesi a guisa di Elogio inanzi ad un opera del Longo intitolata Soteria, hoc est prò salute carmina ecc. edila in Venezia da Matteo Lenio e Giovanni Vecelli nel 1644. (Cfr. AFFÒ. Memorie degli scrittori parmigiani, Parma, Stamperia reale, MDCCXCVII, tom. V, pag. 163, dove parlando del Longo l’autore rimanda spesso al-1’ elogio aprosiano). GIORNALE STORICO e LETTERARIO DELLA LIGURIA 205 suo lavoro, frate Angelico all’Allacci, che gli aveva chiesto notizie sui progressi dell’ opera, cosi rispondeva : « ΓAthenae italicae si faranno piacendo al Signore, ma dipendendo nel comporle dalle notizie d’altri che vanno in lungo, non posso sbrigarle quando volessi ». E subito appresso, quasi in compenso degli aiuti che sperava dall’Allacci, senza osare di chiederli aggiungeva: « Il Sig. Leone avrà in esse il suo luogo ». Per più di vent’anni, dicemmo, non si ritrova più alcun cenno nel carteggio dei due eruditi delle Athenae Italicae ; la Dramaturgia ed i poeti antichi tengono occupati non meno l’Aprosio che l’Allacci. Per di più questi è tutto assorto nelle sue opere teologiche, quello profonde la sua erudizione'nel fallace scopo di rendere immortali l’opere di dubbio valore che gli amici gli inviano (i). Finalmente 1’11 Ottobre 1666 l’Aprosio scrivendo all’Allacci manifestava il proposito di mettersi seriamente al lavoro intorno alle Athenae Italicae. « E per dare a V. S. qualche novella di me », scriveva egli, « sto tutto applicato alla fabrica delle Atene d’Italia, della quale m’ era poco meno che dimenticato, stanti li pochi aiuti che mi sono stati prestati da molti a' quali ero ricorso ». (Fra questi in verità si poteva anche noverare l’Allacci). « Ultimamente però da Firenze non manco di riceverne, ed in Gubbio ho sperimentato cortesissimo il sig. Francesco Armanni (2). In Bologna pure il signor Dott. Giovan Francesco Bonomi, amico di buona stampa (3), ha impiegato il Dott. Cuppellini (4) per mandarmi nota degli scrittori bolognesi dal 1641 in qua, che mancano appunto alla (1) Si ricordi l’illustrazione della 1Selisa del Muscettola fatta dall’Aprosio; oltre al Muscettola, da una lettera dell’Aprosio apprendiamo che anche Lo--renzo Crasso, il noto autore degli Elogi, s’ era rivolto all’Aprosio, perchè questi con illustrazioni opportune rendesse immortale una sua tragedia. (2) Di Vincenzo Armanni da Gubbio dà sparsamente non poche notizie l’Aprosio stesso nella sua Bibl. Apr. Fu segretario di Mons. Carlo Rossetti quando questi, che poi fu cardinale, era nunzio in Inghilterra. Caro ad Alessandro VII, dopo la morte fu principe dell’Accademia degli Ansiosi di Gubbio. Frate Angelico di lui ricorda dei versi scritti per la laurea di A. Gabrielli, una versione dal francese ed una dal latino di opere ascetiche. (3) Delle opere di lui parla l’Aprosio in Bibl. Apr., pagg. 328, 330, 404. (4) Bibl. Apr., pagg. 27 e 205. 20Ô GIORNALE STORICO e LETTERARIO DELLA LIGURIA Biblioteca del Montalbani (i). Quanto a’ Piemontesi già ho il catalogo, di Monsignor Della Chiesa (2) vescovo di Saluzzo e di fresco si stampa in Mondovì il Sillabo dei medesimi del P. D. Andrea Rossotto (3) monaco di S. Bernardo, che in testo di Aldo sarà volume di ottanta fogli e ne sarà stampata la quarta parte. Per li nostri liguri aspettava che il sig. Abate Michele Giustiniani (4) stampasse il suo e se non egli, il signor Raffaele Soprani (5) gentilhuomo genovese che s’ è accinto alla medesima impresa. Hor haverei piacere d’intendere se dei Romani ci sia alcuno che habbia scritto, così di quelli dei regni di Napoli e della Sicilia; degl·' Umbri ho il Giacobini (6), dei Fiorentini il Poccianti (7), de’ Venetiani il Soperbi (8) e ΓΑ1-berici » (9). L'elemento apologetico e le incensature dei contemporanei erano ben lungi dall’esser bandite dall’opera futura dell’Aprosio ; e se ne può forse fargliene gran colpa ? si pensi ai Dizionari di scrittori contemporanei che oggi si stampano ! Ecco in quale bel modo l’Aprosio indirettamente cercava di procurarsi i dati biografici deU’Allacci, che egli voleva nel suo volume consacrare all’immortalità: « Bramerei d’intendere se debba nominare V. S. 111.ma fra gli scrittori d’Italia, parendomi (1) Catalogo dei Dottori collegiali, Bologna, per Gio. Batt. Cavazza, 1664. (2) Uscito in Torino, appresso Cesare e Giovan Francesco fratelli de’ Ca-valeri, 1614, in-4. (3) Le aggiunte di Andrea Rossotto al Catalogo del Della Chiesa uscirono in Mondovì dalla tipografia di Francesco Maria Gislandi 1’ anno dopo, cioè nel 1667. Il Rossotto fu un generoso donatore di libri a frate Angelico. Cfr. Bibl. Apr., pag. 389. (4) Uscito in Roma, 1667. (5) Edito in Genova nel 1667. L’Aprosio non poteva ancora servirsi del catalogo dell’ OLDOINO, Atheneuni ligusticum seu sillabus Scriptorum li-gurum, che usci in Perugia solo nel 1680. (6) Catalogo degli scrittori dell’ Umbria, s. d. n. tip. (7) Catalogus scriptorum florentinorum omnis generis. Firenze, 1589. (8) Agostino Soperbi. Trionfo glorioso d’heroi illustri et eminenti dell’ inclita et meravigliosa città di Venezia ecc. In Venezia, per Evangelista Deuchino, 1629, in-4. (9) Giacomo Alberici da Sarnico Agost., Catalogo breve degli illustri e famosi scrittori venetiani ecc. In Bologna, presso gli credi di Giovanni Rossi, 1605. GIORNALE STORICO e LETTERARIO DELLA LIGURIA 207 pe ’l lungo domicilio n’ abbia acquistato la cittadinanza. Che se 1 rancesco Swertio nella sua Athenae belgica: si fece lecito di riporvi Ludovico Guicciardino fiorentino, perchè visse molti anni e morì in Francia (i), certo non tanti quanti V. S. Ill.ma e Dio la mantenga pure per molti anni, penso non voglia lassare altrove la vita ». Vorrebbe sapere ancora frate Angelico se Cassiodoro sia nato in Italia (2) e se quindi possa essere iscritto nelle sue Athenae italicae; di più gli occorrerebbe la nota degli sci itti del Peschiulli (3) e quella di Gerolamo Moroni, se pure quest ultimo ha stampato qualche cosa. La risposta dell’Allacci lo mostra premuroso più che di aiutare 1’ amico nella sua fatica, di accaparrarsi per sè e per i suoi amici un buon posto nel futuro catalogo aprosiano. Si può scusare l’Allacci se, vecchio com era, non contraccambiava all’ amico i favori ricevuti, e quanto alla smania di procurarsi un bell’ elogio, giova pensare che gli usi del secolo consentivano di mostrare più esplicitamente i propri desideri di gloria, che oggi forse si cercano di mascherare con ipocrita modestia. « La fatica che V. P.tà s’ è preso delle Athene d Italia », scriveva Mons. all’ amico il 20 Novembre 1666, « si come è lodevoli^sima, altre tanto è difficilissima per la moltitudine de’soggetti ». La vastità dell’opera, osserva a ragione l’Allacci, dipende anche dal fatto se si includono in essa 0 no gli scrittori latini, ed in genere dal tempo in cui s incominciano a raccogliere gli autori. Ben inteso che riconoscendone la vastita e la difficolta l’Allacci non intende di dire che le forze dell Aprosio siano insufficienti ; anzi a disperdere ogni sospetto che egli nutra tale opinione, Monsignore si profonde in elogi della dottrina vasta ed inesauribile del buon * frate Angelico. Di questa si può credere aU’Allacci che egli veramente facesse stima, non però che avesse fede nella costanza (1) L’autore dei Commentari delle cose d’Europa dal 1529 al 1560 morto in Fiandra nel 1589; esso infatti è registrato a pag. 146 delle Athenae Belgicae sive nomciiclator infcriorius Germaniae scriptorum. An-tuerpiae, apud Guilielmum a Tungris sub signo Griphi, MDCXXIIX ; opera compilata da Francesco Swertio. (2) Cassiodoro, come ognun sa, era di Squillace in Calabria e fa meraviglia che questo fatto fosse sconosciuto all’Aprosio. (3) Del Peschiulli oltre ad un melodramma, V Orizia, l’Aprosio accenna a parecchie altre opere in Bibl. Apr., 388-89. 208 GIORNALE STORICO e LETTERARIO DELLA LIGURIA e nella tenacia di propositi del frate ventimigliese. Quando l’Allacci gli dice : « Pregarò Iddio che li dia vita e sanità per compier » quel famoso catalogo, pare quasi di leggere tra le righe: vita lunga, lunga molto, perchè il catalogo non finirà mai. Ed è appunto perchè aveva questa persuasione che l’Allacci, anziché seri aiuti si limitava a dare all’Aprosio poche e saltuarie notizie: sono usciti gli Elogi del Crasso; dell indice di Michele Giustiniani sono già usciti dieci fogli e tutta 1’ opera ne occuperà cento, giacché quell’ erudito, a dire del-l’Allacci, ha usato grande diligenza « nè credo che altri 1 arriverà mai ; il tempo chiarirà il negotio » : ecco tutti gli aiuti che l’Allacci ricambia all’Aprosio. Ben più generoso d’informazioni egli è per ciò che si riferisce alla sua persona; per essere considerato romano egli vanta, oltre che la lunga dimora, un « decreto del senato romano che lo dichiara patritio e nobile romano e da godere (sic) tutti gli honori che godono simili persone in Roma, non solo luì ma tutti li suoi successori ». A comprovare la verità di ciò che asserisce acclude nella lettera una copia del decreto del senato, affinchè l’Aprosio « se ne possa servire », e si dichiara pronto a spedire il decreto autentico se gli viene chiesto (i). « È assai », dice egli, « che un forestiero habbia conseguito tanta gratia e questa senza spendere un quatrino, nè senza fare istanza, che i] Senato romano senza che io pensassi a ciò, me 1' habbia mandato insino a casa ». Curiose sono le parole seguenti con cui egli chiude le proprie informazioni apologetiche : « Et averta V. P.tà che qualched’ uno non 1’ habbia da opporre pocho • honore poter ricevere Italia da un tal soggetto, ma di questo si parlerà meglio con altra occasione ». In qualunque modo come si poteva contrastare all’Allacci i meriti suoi di studioso? Del Moroni dà brevi notizie; egli è « protettore ed avvocato delle persone letterate », e sebbene « non habbia stampato nulla, pure nel dare alle stampe le opere altrui ha faticato assai più che non avrebbe fatto a stampare le proprie ». La lettera colla quale l’Aprosio rispondeva all’Allacci 1’8 Dicembre del ’66 merita di essere in gran parte riprodotta, perchè (i) È superfluo aggiungere che l’Aprosio nella lettera di risposta si dichiarava più che contento della copia del decreto. GIORNALE oTORICO E LETTERARIO DELLA LIGURIA 209 prova quel che noi già dicemmo, che cioè i nostri antichi eruditi supplivano alle comodità che oggi dànno agli studiosi i prestiti delle biblioteche e la facilità dei viaggi, coll’ essere stretti come in una società di mutuo soccorso, si chè al lavoro di uno prendevano parte cento, lieti e ben paghi di trovarsi poi elogiati nell’ opera a cui avevano prestato mano. Cediamo adunque la parola all'Aprosio : « Io ben so che 1’ opera da me intrapresa àe\V Athenae è faticosissima, non ignoro pure che io sia il meno atto a tirarla innanzi (nè importa che l’amore verso la mia persona detti a V. S. III.ma altrimenti) con tutto ciò non dispero nel divino aiuto di tirare inanzi le Athenae, che sarà il primo volume; e ’l supplemento che sarà il secondo. Il supplemento del supplemento lo faranno altri. Ancorché abbia pochi aiuti ho trovato ultimamente cortesissimi i signori Ludovico Zingoli da Rimini, che mi ha dati in nota gli riminesi ; Vincenzo Armani (so che è amico di V. S. 111.ma) da cui aspetto gli Gubbini poco ben trattati dal Iacobilli ; Hercole Cuppellini gli moderni bolognesi e il nostro Muscettola mi ha promesso qualche aiuto intorno a’ napolitani. Ma che devo dire del signor Carlo Antonio Del Pozzo? (1) Non gli è bastato d’offerirsi delle notizie che poteva darmi del suo Museo che voleva anche incomodare V. S. 111.ma, scrivere a Milano e a Firenze, ma io gli I10 scritto che non se ne faccia altro, non mancando a V. S. III.ma altre brighe ed in Firenze ed in Milano avendo amici che non lassano di sovvenirmi. In Firenze tra gli altri che mi somministrano notizie ci è il dottor Lazzero Lapi medico (2), da cui per un anno intiero che contrahemmo amicitia sono passate poche settimane che da lui non abbia ricevuti pieghi di tre, di quattro e talhora di sette fogli e dal medesimo fin dall’Agosto passato ricevei aviso degli Elogi del sig. Crasso (3), e con lettera del 15 Ottobre mi scrivono li signori Combi di mandarmene un corpo di ordine dell autore, il quale senza (1) Cfr. Bibl. Apr., pag. 202. (2) Iacopo Lapi già cit. a pag. 184 del presente studio, detto qui per svista Lazzero, ò più volte ricordato nella Bibl. Apr. (v. pagg. 209, 207 e 571). L’Aprosio dice che a rendergli meno antipatici i medici bastano i nomi del Redi e del Lapi. (3) Usciti appunto in Venezia nel 1666. L’Aprosio vi è lodato pag. 318. Giorn. stor. c lett. d. Lig. IL ^ 210 GIORNALE STORICO E LETTERARIO DELLA LIGURIA considerare che io non ho inerito alcuno, ha voluto accompagnarmi a pari di V.. S. III.ma che suppongo vi sia elogiato, del Vossio, del Capacci e simili scrittori di grido. Penso però che 1’ habbia fatto a bello studio, acciocché dalla mia tenebre maggiormente apparisse del nome di quelli il chiarore. O che gusto che ho sentito in udire da V. S. 111.ma che il sig Abbate Michele Giustiniani tira inanzi la stampa delli suoi scrittori genovesi e che di già nel tempo che mi scrisse ne fussero stampati dieci fogli ! Or è un pezzo che mi fu scritto da Genova aver egli accordato la stampa co ’l Calenzano, ma non avendone poi sentito altro stimava avesse mandato il libro e che fusse in mano de’ revisori. Ha pensato meglio stamparlo costì e senza dubio sarà meglio servito. La settimana passata io gli scrissi e gli mandai anco nota d’alcuni libri che m’imaginai potessero essergli nuovi, che se non a tempo, potranno mettersi nell' appendice in fine. Gli ho motivato che può metterci Aulo Persio Fiacco, ancorché creduto fino qui volterrano, ma assolutamente del porto di Luni. Io ho fatto sopra questo una dissertazione e se egli la volesse stampare in fine della sua opera io gliela manderei ; è più agiustata che non è nelle mani del sig. Raffaele Soprani gentilhuomo genovese (il quale fa un’opera simile degli scrittori della Liguria) e dell'accennato sig. Lapi in Firenze. Nè mi parrebbe che ci stasse male come che paia un paradosso 1’ asserire che Persio non sia da Volterra. Il sig. Soprani è un pezzo che tiene nell’ ordine la sua opera, ma come di genio molto freddo, anzi freddissimo, se non viene riscaldato dalle continue istanze che glie ne fanno gli amici et in particolare l’Ecc.mo Marco Antonio Saoli senatore della Seren.ma Republica ed efficacissimo nel persuadere, son di parere che non sia cominciata a stamparsi al finire di quella del sig. Abate Giustiniano ». Poco dopo l’Aprosio si recò a Genova e suo primo pensiero fu quello d’ andare in traccia del ab. Giustiniani per informarsi da lui dei progressi dell’indice suo e di quello del Soprani. Lo trovò nella bottega d’ un libraio e da lui seppe che al principio dell’ anno IÓ68 si sarebbe posto mano alla stampa del catalogo del Soprani col proposito di sbrigarlo prima delle sue Athenae. Queste notizie dava l’Aprosio aU’Allacci nella lettera del 15 Gennaio 1667, chiudendo la quale esclamava un po’ piccato: « staremo a ve- GIORNALE STORICO e LETTERARIO DELLA LIGURIA 211 dere! ». Col Giustiniani l’Aprosio procedeva invece d’amore e d'accordo nè temeva che questi gli attraversasse la via; anzi nell’ altra lettera all’Allacci del 12 Febbraio così scriveva del-1'erudito genovese: « Il sig. Giustiniani mi ha mandato un foglio della sua opera che mi riesce bella a meraviglia. Se fussi stato informato da principio della maniera che tiene, gli averei som-ministrato qualche cosa intorno alla cognizione de’ soggetti che in quelli si nominano e se bene ci sarebbe ancora tempo, il trovarmi fuori della nostra aprosiana e il dover andare a predicare mi vieta il potermici applicare. Se V. S. 111.ma ne vorrà una copia potrà chiederla ». Con tutta l’antipatia pel Soprani che l’Aprosio nutriva egli non mancò però di aiutare anche lui, sbrigate che ebbe le sue cure ecclesiastiche. Dalla lettera al-l’Allacci in data 7 Maggio 1667 si apprende che egli non solo era al corrente dei progressi dell’ opera del Soprani, ma che pur riconoscendone l’inferiorità di fronte a quella del Giustiniani, gli suggeriva notizie e gli affidava la sua dissertazione sulla patria di Persio da accodarsi a quell’ indice. « In Genova si stampano gli Scrittori della Liguria del sig. Raffaele Soprani », scriveva l’Aprosio all'Allacci, « ed oggi si dovrà tirare il foglio 0 dell’ alfabeto, col quale de’ nomi finisce lo F e si comincia il G. Sarà volume di 50 fogli o poco più, aggiuntevi due operine intorno alla vita e patria di Aulo Persio Fiacco, una di D. Gasparo Massa fratello del fu Giacinto Massa, mastro di camera dell’ Ecc.mo Zacchia di p. m., di cinque fogli e mezzo, e l'altra mia di.due e mezzo (1) in testo d’Aldo amendue. Stampandosi l’opera in.... stimo debbano esservi degli scrittori non osservati dal sig. Abbate Giustiniano siccome in questo di quelli che sono ignorati dal sig. Soprani. Per verità 1’ opera del signor Giustiniani assai mi piace e sarà senza dubbio assai più curiosa di questa, come che egli più si diffonda nel dar notizia degli scrittori. Stimo che per tutto Giugno debba essere terminata ». E che davvero l’Aprosio fornisse notizie al Soprani ce ne persuadiamo facilmente, osservando nell’ indice di lui il cenno intorno a Galeotto Del Carretto; ivi (2) si fa menzione di quel (1) Della vita, origine e patria di Aulo Persio Fiacco, osservationi e racconto in Soprani, op. cit. (2) Pag. in. 212 GIORNALE STORICO E LETTERARIO DELLA LIGURIA passo dello Zilioli che abbiamo visto essere stato dall Aprosio comunicato aU’Allacei per la Dramaturgia (i). Non fu però contento l’Aprosio del modo come venne stampata in coda al catalogo la sua dissertazione sulla patria di Persio, sì che scrivendo al-l’Allacci il 9 Agosto di quell'anno lo pregava di chiedere a Michele Giustiniani, il quale si era allora recato a Roma, se avrebbe accettato di ristampare la sua dissertazione su Persio nonché alcuni cenni storici su Ventimiglia in certe Lettere liguri che Γ erudito genovese aveva allora per le mani. E le Athenae Italicae ? Nel carteggio dell’Aprosio se ne parla ancora per qualche anno, poi tutto tace. Nel '69 in una lettera all’Xllacci dove si parla del Giustiniani vi è forse Γ ultimo fuggevole cenno a quell’ opera rimasta interrotta. La Biblioteca Aprosiana che frate Angelico scriveva nel 1673 lo assorbiva intieramente, e più comodo era parlare dei suoi libri e della sua vita che correre dietro attraverso tutt’Italia a notizie sugli scrittori (2). O gran Muratori, non tutti hanno la tua tenacia, la tua costanza, la tua perseveranza ! IV. ANCORA DELLA PRIMA EDIZIONE DE « LA GRILLAIA ». I Sulla prima edizione della Grillaia dell’Aprosio dette già notizie colla consueta diligenza il Neri (3); poco adunque potremo aggiungere noi intorno alle peripezie a cui andò incontro (1) Intorno alla pubblicazione degli Scrittori di Michele Giustiniani, ed ai contrasti avuti col governo genovese, a cui pare non fosse estraneo il Soprani, è da vedere Neri, Note su Pier Giovanni Capriata, in Giorn. Ligust., I, 413 e segg. (2) Il Mazzucchelli (luog. cit.) e lo Spotorno (id.) accennano alle Athenae italicae rimaste interrotte e riferiscono un distico che nelle Glorie degli Incogniti (Venetia, Valvasense, 1647) si legge sotto la fotografia di frate Angelico ; esso allude appunto a quel grandioso indice allora da lui ideato : Doctos facunde italicis celebravit Athenis Indoctos critica dulci pupugit acu. (3) prima edizione de « la Grillaia » in Giornale Storico d. Lett. Ita/., Vol. XII, pag. 227 cit., e in Studi bibliog. e letter. cit., pag. 170. GIORNALE STORICO e LETTERARIO DELLA LIGURIA 213 quella curiosa operetta, che rispecchia tanto fedelmente Γ indole bizzarra del suo eruditissimo autore. Prima ancora che il manoscritto della Grillaia venisse spedito a al Muscettola, l’Aprosio, come acutamente intuì il Neri, doveva aver tentato di dare alla stampa quell’ opera altrove e precisamente, se non erriamo, a koma. Infatti fino dal 26 Luglio 1659 l’Allacci informava Frate Angelico di avere consegnato ad Andrea Peschiulli « li argumenti de la Grillaia », e pochi giorni dopo, cioè il 2 Agosto, 1 avvertiva che avrebbe dato ordine al Peschiulli di trasmettere, secondo il desiderio dell’Aprosio, quegli argomenti al sig. Giuseppe Battista. Ma per tutto quell’ anno e nel seguente non si trova più menzione della Grillaia nel carteggio dei due eruditi; sólo nel ’6i, e precisamente nella lettera del 4 Marzo, 1 Aprosio prometteva all’amico di portare qualche modificazione al Grillo diretto al sig. Peschiulli per includervi nuovi elogi del-I Allacci ; « ma per carità », soggiungeva l’Aprosio, « non abbia a male ciò che dirò, perchè so di dire la pura verità ». Intanto la curiosità dell'Allacci di vedere uscita la Grillaia era tanto grande che egli, vedendosi così stuzzicato dall’ amico, nella lettera del 19 Dicembre 1661 gli scriveva che per veder presto quell' operetta bisognava a tutti i costi « sollecitare il signor Muscettola » (1). Il tentativo di far stampare la Grillaia per mezzo del Peschiulli e del Battista doveva essere fallito già da un pezzo, ed il manoscritto era passato, come si sa, nelle mani del letterato napoletano, che si era offerto di assumersi le spese della stampa. Nella lettera di Frate Angelico a Leone Allacci in data 20 Ottobre 1661 si leggono queste parole : « La Grillaia, cioè la prima Pentecoste dei Grilli, è finita un pezzo fa : dal sig. D. Antonio Muscettola cavaliere napolitano mi viene chiesta per farla stampare ; ne ho già mandati 24 quin-ternetti da otto carte l’uno, e ne mancaranno ancora otto. V. S. 111.ma si vedarà descritta in più d’un luogo di essa, ma non so se avçrô incontrato il suo genio ». L’Aprosio per trascrivere la Grillaia in fretta e mandarla presto a Napoli s’era tanto affaticato da cadere ammalato, sicché il 28 Dicembre (1) A costui, che, appena stretta amicizia coll’Aprosio (Bibl. Apr., pag. 470 e segg.) s’cra addossalo la stampa della Grillaia, l’Aprosio aveva in quello stesso anno 1661 spedito il suo manoscritto (Cfr. Neri, pag. 228). 214 GIORNALE STORICO E LETTERARIO DELLA LIGURIA quando già 1’ operetta trascritta per intiero era stata spedita 3 Napoli al Muscettola, egli non si sentiva ancora in forze abbastanza per scrivere due componimenti che dovevano essere inclusi in quella, cioè una lettera apologetica a Francesco Sbarra te quella curiosa prefazione che, omessa nella stampa per capriccio dell’ editore, fu più tardi pubblicata da frate Angelico nella sua Biblioteca Aprosiana (i). Sperava allora l’Aprosio di vedere presto stampata quel-1’ operetta tanto a lui cara, e per esserne più sicuro non cessava di sollecitare garbatamente il Muscettola, mentre pregava l’Allacci da parte sua di insistere egli pure scrivendo al duca di Spezzano. Da principio infatti le cose andarono bene, sicché nell’ Ottobre del '62 il primo foglio di stampa era già uscito dalle officine del Baba di Venezia, al quale, com’ è noto, il Muscettola aveva inviato il manoscritto. Quando nel Dicembre questo primo foglio giunse all’Aprosio egli si affrettò a darne notizia all’Allacci : « Giorni sono ebbi il primo foglio della Grillaia che si stampa in Venetia nella forma di 12 in carattere garamone che è l’istesso dei Simmicti di V. S. 111.ma » (2). Dopo una breve descrizione di quel primo saggio di stampa l’Aprosio esclamava: « Ma oh quanta pacienza ci vuole con cotesti stampatori venetiani! non la finiscano mai! ». E non sapeva il buon frate che solo allora cominciava la via crucis di quella sua operetta destinata a girare l’Italia per anni ed anni, passando da una stamperia ad un ufficio di revisione e viceversa! L’Allacci che allora proprio vedeva strascicarsi avanti da stampatore a stampatore la sua Dramatìirgia, congratulavasi di cuore della stampa del primo foglio, e fatti i ringraziamenti per le lodi a lui tributate in quello dell'amico, soggiungeva non senza ragione: « Le querele contra li stampatori le lasci fare a me che ogni giorno li provo e molto acerbe ». Si sa (1) Pag. 203. (2) L’ opera allacciarla accennata dall’Aprosio è la seguente : Leonis Altatii Συμμίκτα | Sive | opusculorum I graecorum \ et \ latinorum \ vetustiorum j ac recentiorum \ libri duo | edente nonnullis additis | Bar-toldo Nihusio | -Sillàbus omnium subjicitur sequenh Dedicatoriam Prefa-tiunculae — Coloniae Agrip. | apud Iodocum Calcorinum (seu Amstelod. Waesberg) MDCLIII in-8 ; ristampato in Corpus bizantmae historiae. Venezia, 1733, voi. 23, in f.° GIORNALE STORICO e LETTERARIO DELLA LIGURIA 2 I 5 come la stampa della Grillaia rimanesse presto interrotta ; per quali ragioni, già lo espose il Neri. P. Angelico il 7 Giugno ne dava all’ amico asciutta partecipazione, senza spiegargli quali erano le cause di quella brusca sospensione. Mons. Leone con la sua spicciola e bonaria filosofia s’ingegnò tosto di confortare l’amico di quella disdetta. « Che la sua Grillaia habbia trovato difficoltà », scriveva egli, « non mi vien nuovo, perchè vedo assolutamente essere molti più oggi quelli che cercano di deprimere che di consciare l’opere dei virtuosi; l’impotenza, l’ignoranza, l’invidia e la malvagità » (qui Mons. parla ex corde perchè ci viveva in mezzo) « puole (sic) più che la virtù. Bisogna haver pacienza e non abbandonarsi ». Ottima sentenza questa, e curiosi quegli accenni quando si pensa che li scriveva un Monsignore che era bibliotecario della Vaticana; si tenga conto specialmente che egli non doveva ignorare (nonostante il silenzio dell’ amico) come il primo e forse il solo ostacolo frapposto alla stampa della Grillaia veniva da parte dei revisori ecclesiastici. Intanto anche ΓAllacci aveva letto il primo foglio dell’opuscolo aprosiano edito dal Baba, ed il 17 Maggio del 64 gliene faceva i più ampi ed iperbolici elogi, elevando a cielo l'erudizione dell’Aprosio che a giudizio suo aveva « più del miracoloso che dell’ umano » ; per ultimo si rammaricava che sì bell’ opera tardasse tanto ad uscire completa alle stampe. Accadde poi, come espose il Neri, che il Muscettola, stanco delle lungaggini del Baba, si fece da lui restituire il manoscritto della Grillaia e suggerì all’Aprosio di stamparla in Genova, dove le alte relazioni dell' autore potevano rendere meno scrupolosi i revisori. L’Aprosio invece preferì di rivolgersi a Piacenza, dove mandò il manoscritto d’intesa con Francesco Passerini (1) pro-tonotario apostolico di quella città, che gli faceva sperare di condurre presto l’opera al fine. Il manoscritto fu spedito a Piacenza la Pasqua del '64, ed il 7 Agosto, allorché l’Aprosio seppe che il revisore piacentino aveva sott’ occhio la parte della Grillaia speditagli, aggiunse anche gli ultimi quinterni rimasti presso di lui. Tutto questo egli narrava aH’Allacci nella lettera del 13 Ottobre e soggiungeva: « Staremo a sentire cosa ne seguirà. Quanto a me ne sono stuffo, avendola copiata tre (i) Autore di versi latini riferiti in Bibl. Apr., pag. 419. 2l6 GIORNALE STORICO E LETTERARIO DELLA LIGURIA volte e mezza. Ben è vero che questa ultima è ben diversa da quella che è nelle mani del sig. Muscettola ». Anche a Piacenza, come si sa, il revisore nel Gennaio del 65 oppose il veto alla Grillaia per Γ oscenità, pare, di certi grilli ; dandone notizia all Allacci parecchi mesi dopo l’Aprosio aggiungeva di voler « tentare di nuovo raccomandando a Mons. Vicario Generale del vescovo, dal quale haveva inteso essere originato tutto dalla poca cura che altri se ri haveva preso ». Le ultime parole alludono evidentemente al Passerini. Ma intanto il Muscettola aveva fatto nuove premure all’Aprosio perchè la Grillaia venisse stampata in Napoli dove il revisore sarebbe stato meno severo : cedette alfine a quelle istanze frate Angelico ed abbandonò tipografi, revisori ed amici piacentini per rivolgersi a Napoli. Mandò adunque il manoscritto al Muscettola aggiungendovi « cinque fogli di mutationi » ; come si apprende dalla lettera diretta all’Allacci 1’ 11 Novembre del '65 Quei cinque fogli dovevano evidentemente ridurre il primitivo manoscritto, pervenuto già anni addietro dal Muscettola, a quella forma ampliata ed accresciuta che era stata sottoposta al revisore piacentino. La strada per giungere alla stampa della Grillaia a Napoli parve da principio assai facile e piana, e si capisce quindi che l’Aprosio il 17 Febbraio del '66, scrivendo all’Allacci, presagisse assai prossima l’intiera stampa dell’opera; infatti dall’ indulgente revisore napoletano già s’ era strappato 1’ imprimatur col sacrifizio di soli quattro grilli. Nel Maggio sempre più soddisfatto l’Aprosio scriveva all’amico: « Coverà poi sapere che la mia Grillaia ha havuto migliore fortuna in Napoli che non in Venetia ed in Piacenza, imperciocché mi scrive il sig. Muscettola con sue del passato Marzo e ricevute da me solo questa settimana, che di già stava sbrigata dal revisore ecclesiastico e stava nelle mani del regio e sperava prima di Pasqua si cominciasse la stampa ». Proprio allora la disgrazia dell’Aprosio volle che quel revisore ecclesiastico assai indulgente fosse licenziato e ne venisse nominato un altro al suo posto molto severo. Le speranze dell’Aprosio furono presto deluse, sicché egli l’u Ottobre di quell’anno così scriveva all’amico suo: « La Grillaia come che sia nemica delle mali operationi da per tutto incontra disgratia. In Napoli già era saltata dalla padella, ma poi è caduta nella bragie; io non GIORNALE STORICO e LETTERARIO DELLA LIGURIA 217 cerco più, ma è in mano del sig. Muscettola » (i). Quando a Dio piacque però giunse notizia all’Aprosio che dalle mani del nuovo revisore la Grillaia era uscita libera e che al ritorno in Napoli del Muscettola si sarebbe dato mano alle stampe. Questa lieta notizia inviava l’Aprosio all’Allacci nella lettera dell’ 8 Dicembre 1666, ma solo 1’ anno dopo nel Maggio del '67 si trova menzione nelle lettere dell’Aprosio dei primi fogli di stampa che gli giungevano da Napoli. L’ultimo accenno alla Grillaia nel carteggio dei due eruditi si ha nella lettera del 7 Dicembre 1667, nella quale frate Angelico informava 1’ amico che la stampa procedeva regolarmente e che già gliene erano giunti diciotto fogli. Soggiungeva tuttavia: « È stata mutilata in parecchi luoghi, ma però è rimasto intiero quel grillo indirizzato al sig. Peschiulli in cui non si dice male di V. S. 111.ma ». La Grillaia uscì finalmente, come si sa, nel 1668 e frate Angelico nella sua Biblioteca aprosiana, dando alle stampe per la prima volta la prefazione omessa dall’ editore, poteva rievocare brevemente le peripezie ed i contrasti che a quello sfortunato libro si erano apposti. V. LA FABBRICA E LA FORMAZIONE DELL APROSIANA DI VENTIMIGLIA. Come sorgesse la Biblioteca aprosiana di Ventimiglia frate Angelico stesso ce lo narra nell' opera sua più nota che porta appunto quel titolo, ma nè tutte le notizie riferentisi a quella fondazione sono esposte in quel libro, nè quelle che vi sono si [Tossono facilmente trovare in quel mare magnum di digressioni erudite. — Dopo parecchi anni di dimora in Venezia, dove aveva fatto grandi acquisti di amicizie e di libri, frate Angelico se (1) Non si capisce come dopo tante difficoltà incontrate per ottenere la dispensa della stampa, Carlo Antonio Dal Pozzo potesse scrivere aU’Aprosio queste parole che si leggono a pag. 202 della Bibl. Apr. : « La Grillaia uscì di mano dal maestro del sacro palazzo quale altro 11011 seppe dirmi che materie così erudite potevano avere titolo superiore a quello la modestia sua aveva dato ». 2lS GIORNALE STORICO E LETTERARIO DELLA LIGURIA n’ era ritornato a Genova colie sue casse, fisso oramai di donare i suoi libri al Convento della Consolazione degli Agostiniani di quella città. Ne fu dissuaso però da Basilio Bernardi teatino, sicché venuto a Ventimiglia a predicare, l’Aprosio deliberò di fondare in patria la biblioteca che doveva portare il suo nome, ottenne allora (sotto minaccia in caso di rifiuto di donare tutti i suoi libri all’Angelica di Roma) che si ponesse subito mano ai lavori di adattamento dei locali. Furono assegnate alla biblioteca alcune camere del convento, dove subito i libri vennero collocati, senza tener conto delle lagnanze di frate Angelico che avrebbe voluto fare la biblioteca in una parte nuova del fabbricato, destinata ad uso di legnaia. Intanto egli, che nella Congregazione del suo ordine era stato nominato priore del convento del Crocefisso di Promontorio e poscia segretario del Vicario generale, dovette allora abbandonare Ventimiglia. Anche nella sua nuova carica non dimenticò i suoi libri, anzi fece in modo che pure il convento della Consolazione in Genova, al quale già egli aveva pensato di donare la sua Biblioteca, arricchisse ed ampliasse la sua libreria. Per consiglio di lui, fra Fedele Gutello priore del convento tutto si rivolse a quella « accrescendola di scafali ed assettando gli altri secondo l'altezza de’ libri, essendo quelli che ci erano più accomodati per riporvi scatole da spetiale ». Giovanni Battista Lercari, patrizio genovese e già doge della repubblica, lasciò morendo, per consiglio dell’ Aprosio, una ricca raccolta di libri al convento della Consolazione. Due biblioteche così per opera di frate Angelico venivano sorgendo 1’ una a Ventimiglia, 1’ altra a Genova ; ma sapendo che « li frati poco si curano di libri » l’Aprosio, mentre ancora occupava alti uffici nel suo ordine, volle, a maggior tutela dei libri raccolti, ottenere un breve papale che vietasse di asportare i libri dalle due biblioteche. Il breve fu emanato da Innocenzo X in data 3 Gennaio 1653 ed è quello che si legge nella Biblioteca Aprosiana (i). Nel 1654, finito l’ufficio di segretario, frate Angelico ritornò in patria con una nuova provvista di libri, sicché le camere prima assegnategli per la biblioteca non erano più sufficienti ; non avendo egli denari, chiese allora che si erigesse per la libreria (1) Pag. 188 e segg. GIORNALE STORICO e LETTERARIO DELLA LIGURIA 2IQ una nuova ala di tabbricato. La sua domanda fu esaudita ed i lavori procedettero sì prestamente che nel 1656 già il tetto era fatto ; ma un frate che l’Aprosio designa col curioso nomignolo di Tragopogono (barba di capro) (i), risoluto di mandare in fumo il disegno dell’Aprosio· si rivolse al Generale accusando frate Angelico di deturpare Γ architettura del convento con quella nuova fabbrica. Il Generale dette ordine allora al Vicario Generale (che è quanto dire Padre provinciale) di fare sospendere i lavori di costruzione. Il Vicario si adoperava a persuadere colle buone l’Aprosio ad abbattere ciò che già s’ era fatto della fabbrica, quando, capitato a Ventimiglia il Generale dell’ ordine, conobbe la malignità di Tragopogono e dette 1’ ordine che si continuasse a costruire, purché 1’ Aprosio s’impegnasse di non fare spendere più di duecento scudi. Tragopogono non si arrese e ricorse a Roma alla Congregazione dei vescovi e regolari, nonché a Genova presso il governo della repubblica. L’Aprosio naturalmente non stette colle mani alla cintola, ma presentò alla Congregazione stessa un suo memoriale in difesa dell’Aprosiana (2). Si ricordò egli allora di avere a Roma un sincero amico nell’Allacci ed a lui si raccomandò : ecco come gli rispose Mons. Leone 1’ 11 Ottobre del’59: « Sono andato rattenuto nel scriverli aspettando qualche felice esito del suo memoriale per la fabrica de la libraria, ma vedendo che il negotio non chiarisce per le longarie di Roma le ne dirò in succinto 1’ historia. Io essendo poco prat-tico nelli tribunali et in particolare delle congregationi raccomandai il suo memoriale ad un Cardinale et per altri mezzi ancora molto efficaci. Questo Signore intesa la causa 1’ abbracciò * e disse essere giusto che la fabrica si proseguisse et in questa conformità sotto il summario del memoriale scrisse : annuendimi. fo mi credevo che il memoriale dovesse essere portato in Congregatione, e così essendo passate due o tre, nè vedendo spe-ditione, ne domandai al suo auditore, il quale mi rispose non (1) Ogni tentativo di scoprire il vero nome di Tragopogono ci pare inutile trattandosi di un oscuro frate mosso a contrariare l’Aprosio da nient’ altro, pare, che da gelosia ed invidia. (2) Tutto quanto abbiamo finora narrato è desunto dalla Bibl. Apr., pag. 180 e segg. 220 GIORNALE STORICO E LETTERARIO DELLA LIGURIA essere solito proporsi li memoriali se prima non li proponeva il Secretario, e quelli proposti correvano li voti, sì che io mi feci restituire il memoriale per farlo capitare in mano di Monsignor Secretario col mezzo d’ un gentilhuomo amico mio. Pareva che la cosa si disponesse a buon fine ; ma mentre si vuole vedere che apportava la parte per poter definire, mentre si cerca il suo memoriale non si trova, sì che quello ancora e sparito ; il Secretario sta fermo d’ haversi a parlare al Procu- ' ratore Generale dell’ Ordine, io, per dirla, sono stato renitente non sapendo di che umore egli sia e per non difficoltarsi al tutto la cosa, si che per concluderla non s’è fatto niente. Non mancherò però d’ andare scalzando detto procuratore, e se bisognasse qualche mezzo di moverlo dalla cattiva entragna, se però fosse di continuo persistente nella sua negativa ». Anche allora come oggi le lungaggini degli uffici erano eterne ed il buon Allacci lieto di poter favorire l’amico nelle sue tendenze di bibliomane, giacche non poteva aiutarlo nelle sue opere erudite, non mancava di tenerlo al corrente delle pratiche di Roma. Otto giorni dopo quella lunga lettera Mons. Leone riscriveva a frate Angelico che avendo fatto parlare da due ecclesiastici reputati al Procuratore generale s’ era venuti d’accordo « per fare uscire un decreto che interim si proseguisse la fabrica della Libraria e chi pretendesse il contrario ricorresse e questo tanto più che il memoriale de la parte adversa è smarrito ». Bel ragionamento e bel modo di giudicare! vien fatto di dire. Comunque fosse, certo la causa dell’Aprosio era buona e non si può fare a meno di essere lieti della sua vittoria. L’Allacci in quella stessa lettera, dando speranza all’ amico che la faccenda si sarebbe sbrigata entro una settimana, soggiungeva: « Haverà patienza già che li negotii di Roma carni-nano per la lunga ». Ad ogni modo la previsione dell’Allacci si avverò e già 1’ n di Novembre egli poteva dare all’amico la bella notizia della causa vinta. « Godo che la sua fabrica habbia d’haver il suo effetto », scriveva Mons. Leone, « per una cosa così honorata. Questi ministri e superiori de l’ordine ■ si meravigliorno molto de la persona che haveva cercato di mettervi l’impedimento, aggiungendovi che se era uno di quelli sottoscritti e che havevano consentito si meritava gastigo. Bisogna consolarsi che chi vive in communità rare hore passano GIORNALE STORICO e LETTERARIO DELLA LIGURIA 221 che non incontri qualche spina, le quale in luogho di pungere fanno più gloriosa la persona contro la quale s’ aventano. I’roseguisca pure V. S. Γ opera sapendo molto bene che a le cose utili al genere humano sempre s’infrapone il Diavolo ». 1 olto quell’impedimento, la fabbrica della nuova biblioteca procedette a gonfie vele ; Mons. Leone poco tempo appresso, cioè il 3 Gennaio del ’6o così scriveva all’ amico : « godo che la fabrica camini inanzi, e per dirli la verità qua apresso questi signori ufficiali non s’è intesa troppo bene la malignità dell’ aver saro e si è ammirata la bontà e prontezza nel beneficare il pubblico di chi fabbrica simili mausolei alli posteri ». E l’Apro-siana infatti era un degno monumento che frate Angelico erigeva a sè stesso; a lui infaticabile nel raccogliere sempre nuovi libri con ragione e senza cortigianeria poteva ben dirg ΓΑΙ-lacci: « Goda seco stesso che ha fatto cosa che non rilaverebbe fatta un prencepe ». In verità quanta fatica costasse all’Aprosio il radunare tanti libri vivendo in quell'estremo angolo d’Italia, noi possiamo apprendere dalle sue lettere. Gli ostacoli erano di mille specie, non ultimo quello del divieto ecclesiastico di leggere libri proibiti ; l’avidità di leggere nell’Aprosio non soffriva restrizioni, eppure gli scrupoli di religioso ed il bigottismo del secolo gli vietavano gran parte della produzione letteraria d’allora. Era un continuo affannarsi per parte sua a fine di provvedersi delle licenze di lettura che gli venivano concesse via via con certe restrizioni di tempo e di autori. L’Allacci era colui che più di frequente si incaricava di ottenere per l’Aprosio e talvolta anche pei suoi amici le sospirate dispense. — Spigoliamo qualche notizia dal suo carteggio. Il 31 Gennaio 1643 l’Aprosio pregava l’Al lacci di fargli avere il permesso di leggere certe opere proibite, per le quali la raccomandazione di Mons. Tommasini non era stata sufficiente. Un anno dopo l'Aprosio si raccomandava all’amico non solo per poter tenere tra i suoi libri un’opera posta all’ indice, ma anche perchè gli fosse concesso di poter fare « gli indici espurgatorii di molti libri », diceva egli, < che infino ad ora non erano stati corretti, per levare occasione a molti di leggerli senza correzioni » (0 non piuttosto, chiediamo noi, per offrire l’occasione a sè stesso di leggerli non espurgati?) Altre volte con bell’arte l’Aprosio, che non GIORNALE STORICO E LETTERARIO DEfcLA LIGURIA vuole far sapere d’ aver letto un libro proibito, escluso da ogni licenza, chiede all’Allacci per conto di un suo ipotetico amico, come mai quella data opera si trovi all’indice « non parendogli » (all’ amico, si capisce) « d’haver trovato cosa alcuna che meriti censura ». 11 sogno dell’Aprosio era però sempre quello di avere le mani in pasta nell’ufficio di revisione, cosicché quel suo ardore di leggere libri e libri, lungi dall' essere peccaminoso potesse venir comandato e chiamarsi santo. Veggasi con quanto candore egli confessa il suo desiderio nella lettera del 3 Settembre 1644: « Vorrei acquistare qualche cosa appresso la sacra Congregazione », scrive egli, « potendo io con Γ occasione di leggere significarle molte cose in materia di libri che forse non sanno, perchè mentre non sia per avere nulla non mi mette il conto di buttar via il denaro nei libri nel farli capitare ». E per provare all’Allacci quanto egli colla sua prontezza e col suo fiuto di topo da biblioteca poteva giovare alla Congregazione dell’ indice narrava un’ aneddoto ; 1’ Inquisizione di Venezia proprio in quei giorni s’era affaticata inutilmente per trovare copia delle Strigliate allo Stigliani, libello di Robusto Pogommega (1), mentre frate Angelico con un ducatone l’aveva avuto subito. « Io non ambisco altro che essere famigliare del S. Offitio », concludeva egli, « ed avere una patente universale di leggere libri di lettere umane senza limitazione di sorta, e perciò raccomando il negotio a V. S. che amandomi più che non merito farà il possibile perchè io rimanga soddisfatto. Sono state concesse ad altri che certissimamente hanno fine diverso dal, mio che non è che buono ». In attesa che Santa Madre Chiesa si servisse dell’opera sua, il buon frate, stando in Venezia, non si lasciava sfuggire alcuna novità libraria, qualunque fosse ; anzi pare se ne mostrasse tanto più ghiotto quanto più Γ opera puzzava di eresia. Così, era appena uscita un’ opera De potestate papae in societatem Iesu del P. Giulio Clemente Scotti che si era « sgiesuitato due volte » (1) Le Strigliate a Tommaso Stigliani del Sig. Robusto Pogommega dedicato all’ Ill.mo e Rev.nio Sig. Card. Pier Maria Borghese. In Spira, appresso Henrico Starkio, 1629, in 12. Di quest’opera l’Aprosio inviava una copia da Venezia all’Allacci il 3 Settembre 1644. Per il Pogommega (nome grecizzato dall’ italiano Barbazza) cfr. la Visiera alzata dell’Aprosio cit. GIORNALE STORICO E LETTERARIO DELLA LIGURIA 223 che già l’Aprosio ne scriveva all’Allacci, e dopo aver premesso candidamente: « io non l’ho ancor letta », ne dava un giudizio così preciso da fare credere tutto il contrario. « Io 1’ ho per ottima fatica », diceva egli, « e voglio credere che dica la verità, è però disposta malamente e se bene io non sono gie-suita nè fui, mi darebbe l’animo di disporla meglio ». Ben lieve appunto faceva il buon frate ad un’opera così empia! 11 17 Novembre del '46 l’Aprosio dà notizia all 'Allacci dell’improvviso arresto fattosi a Venezia di un tal Matteo Leni tipografo (1) caduto in sospetto d’ aver stampato alla macchia un’opera intitolata: Stravaganze del regno di Franza; l’autore doveva essere, a quanto si diceva, un domenicano. Capiva Mons. Leone i sotterfugi dell’Aprosio? Forse; ed era questa nuova ragione per mostrarsi sollecito nel fornire di dispense 1’ amico : egli capiva che a negare una dispensa di leggere libri ad un uomo che di leggere libri era così avido come l’Aprosio, era un tenerio in continuo peccato. Le dispense adunque giungevano via via a Ventimiglia da Roma spesso rinnovate prima che fossero scadute, ed i ringraziamenti onde frate Angelico ricompensava Γ amico salivano al diapason dell' esagerazione. Curiosa è la lettera in data 10 Novembre 1650, nella quale il bizzarro agostiniano faceva un' indice dei libri proibiti pei quali chiedeva la dispensa; tra quelli erano De rerum varietate e De sublimitate del Cardano, Merlini Cocai Macheroniaim opus ed Equitis Marini opera. Dopo lunga attesa la licenza venne, ma lu quella l'ultima volta che l’Aprosio potè leggere senza scrupolo il poema a lui più caro, XAdone, perchè 1’ anno appresso, scaduta la licenza si provò invano a richiederla. « Per novi ordini della S. Congregatione », gli aveva risposto l’Allacci per ciò che si riferiva a\X Adone, « non si concede più licenza a nessuno, e così lo vedrà cassato anche nella sua. Ho detto, ridetto, pregato, supplicato, non è valuta diceria nè ingegno (1) Questo Matteo Leni che già vedemmo essere stato editore della Soteria del Longo, doveva essere ligure e precisamente di Vezzano, dove trovo questa famiglia in censimento del 1607; di più viveva in Venezia nel 1651 un fiate Antonio Leni di Vezzano, ingegnere, che aveva servito quella repubblica, e servì poi anche la repubblica di Genova (Arch. di Stato, Genova — Litterarum fil. 31 - 1988 e 32 - 1989). 224 GIORNALE STORICO E LETTERARIO DELLA LIGURIA sì che V. Ptà insieme col sig. Basini haverà patienza e aspetterà ahio tempo ». Per superare'quell’impedimento l’Allacci era ricorso ad un sotterfugio : aveva composto lui di sua testa un lungo indice di libri proibiti pei quali ei chiedeva la didispensa, e vi aveva incluso pure l'Adone, sperando forse che nella quantità sfuggisse e l’intera lista venisse approvata; invece « di tutti s’è havuta la licenza e l'Adone è rimasto fuori ». Pensi ognuno come dovesse rimanere l’Aprosio, gran paladino del marinismo! Varie licenze, dicemmo, via via giungevano all’Aprosio per sè e per gli amici suoi : così nella lettera dell’ 8 Settembre 1654 si fa menzione di una dispensa ottenuta daH'AUacci per conto di un medico, amico di frate Angelico, che desiderava leggere Paracelso. Nel '58 però quando, l’Aprosio ancora una volta tentò di strappare una dispensa universale di leggere senza restrizioni « opere politiche, historiche, poetiche e filologiche », l’Allacci dovette rispondergli che « simili licenze non si davano », e lo pregò di fare una lista dei libri che voleva leggere per ottenere per ciascuno una dispensa speciale. Era titolo valevole per ottenere una licenza più ampia il dimostrare d’averne già ottenute parecchie, e l’Allacci stesso teneva copia di quelle anteriormente concesse all’Aprosio per ottenerne via via delle altre : così fece nel 165$ quando non solo ottenne per 1’ amico una licenza di lettura, ma gliene fece avere prima una brutta copia per sapere se gli pareva abbastanza ampia. Troppo lungo sarebbe raccogliere dal carteggio dei due eruditi tutti i passi che si riferiscono a libri proibiti ed a dispense di leggerli, era una lotta continua, tenace, paziente fra le esigenze dei loro studi e gli scrupoli di religiosi. L’Aprosio ricorreva anche all’Allacci come a consigliere spirituale ; così, per ben due volte egli chiese all’amico se nelle biblioteche dei conventi si potessero colle dovute cautele tenere libri proibiti. In questo modo si studiava nel seicento, lottando a corpo a corpo coi revisori e contrastando il terreno palmo per palmo al S. Ufficio. Ma v’ erano pur troppo anche molte altre difficoltà da sormontare, le quali rendono sempre più ammirabili e benemeriti gli eruditi d’allora; prima tra queste difficoltà, quella di procurarsi libri. L’Aprosio finché vive a Venezia ha mezzo di raccoglierne e comperarne in gran quantità; confinato poi a Ventimiglia, nel più remoto angolo d’Italia, egli sempre avido di GIORNALE STORICO E LETTERARIO DELLA LIGURIA 225 leggere s’ingegna di tenere dietro alle novità librarie, e mantiene attiva corrispondenza con i dotti d'ogni parte d’Italia, e con parecchi stranieri. Era un continuo affluire in Ventimiglia di libri provenienti da ogni parte riferentisi ad ogni materia. « La nostra aprosiana vie più s’accresce », scriveva frate Angelico il 27 Febbraio 1666, « mercè alla cortesia di molti amici che alla giornata non cessano di somministrarmi le loro opere. Ultimamente hebbi da Firenze dal sig. Francesco Redi gentiluomo aretino e medico del Granduca un libro intitolato Osservazioni intorno alle vipere (i), e dal sig. Carlo Dati un’ orazione delle lodi del sig. Commendator Cassiano Dal Pozzo (2), nella quale ho trovato dipinta V. S. 111.ma et al presente sono in viaggio le opere tutte del sig. Agostino Coltellini (3), fondatore dell’Università degli Apatisti, ed altri libri a quelle accompagnate ». DeH’Allacci frate Angelico possedeva tutte le opere (e non era poco) regalategli dall’ autore, al quale egli una volta aveva spedito l’indice di quelle che già possedeva perchè gli mandasse le rimanenti. Un bel dì dopo un lungo silenzio deH’Allacci all’Aprosio venne il sospetto che 1’ amico suo fosse morto, ma Mons. Leone a provargli che era vivo gli scrisse e lo assicurò che.... egli mai sarebbe passato all'altra vita senza che a frate Angelico pervenissero libri per ricordo. Nelle lettere è un’ eco continua di quell’attivo scambio di pacchi di libri; da Roma le comunicazioni dirette con Ventimiglia erano quasi impossibili ; quando adunque l’Allacci inviava all’Aprosio qualche primizia libraria (per esempio le opere del Gronovio, del Heinsio, del Grutero, i pacchi facevano capo a Genova presso il signor Niccolò Spinola; di qui per mare giungevano a Ventimiglia. Ma una volta frate Angelico avvertì 1’ amico che da Ostia e da Roma stessa arrivavano a S. Remo barche cariche di vino; d’allora in poi il mezzo più frequente di comunicazione fu quello. Da Ventimiglia invece l’Aprosio trovava più facilmente persone che si recavano a Roma e che si incaricavano di portare libri (1) Lettera a Lorenzo Magalotti — Firenze, alla Stella, 1664. Cfr. lettera del Redi 20 Maggio 1666 in Propugnatore, vol. V, Par. 2a, pag. 76. (2) Firenze, alla Stella, 1664. (3) Sono registrate in Bibl. Apr., pag. 268-283. G ioni. slor. c ldi. d. Lig. II. 15 w?: 226 GIORNALE STORICO E LETTERARIO DELLA LIGURIA e lettere; erano per lo più preti o frati che andavano colà per affari ecclesiastici od anche dotti forestieri che venivano in Italia come il Wepfer. Costoro non erano certo i più sicuri portatori di pacchi ; quante volte i libri si perdevano ! ed allora era un ritentare paziente di nuove spedizioni, di nuovi pacchi a cui toccavano talora anche nuovi smarrimenti. Eppure l’Aprosio che chiamava sè stesso divoratore di libri con tali mezzi, con tali fatiche doveva procurarsi il cibo quotidiano! Pensando a questo fatto chi non si rallegra delle nostre comodità postali, del prestito dei libri e persino dello scambio dei manoscritti tra biblioteca e biblioteca ? Pio Raina parecchi anni or sono discorrendo del Nisieli (1) osservava che la rigogliosa fioritura di erudizione svoltasi nel secolo XVII non è tutta trascurabile e che meriterebbe anzi di essere studiata nella sua origine, nelle sue tendenze e sopratutto nei criterii che la informarono. A noi che abbiamo seguito passo passo dal loro principio alcune opere tra le più notevoli di quel genere, dettate da due studiosi, i quali del seicento rappresentano meglio d’ogni altro l’indole, torna opportuno fare qualche breve considerazione. L’erudizione in quel secolo ci pare che porti incluso in sè uno sbaglio d’indirizzo iniziale. Essa è in gran parte scopo a sè stessa. Il dotto studiando e ricercando, o meglio, come allora si diceva, faticando su le carte, non si propone già di raccogliere fatti e fatti sicuramente provati, perchè poggiandosi sulla solida base di quelli la critica si elevi là d’ onde con occhio sicuro possa discernere e giudicare ogni fenomeno intellettuale ; il suo intento è assai più gretto ; ostentare la propria dottrina e fare stupire il lettore, annientandolo sotto la mole ponderosa delle cognizioni e la valanga delle reminiscenze di letture; ecco tutto. Succede nelle ricerche ciò che succede nella poesia; far stupire il lettore è lo scopo del Marini, e per tal scopo egli abbarbaglia colle iridescenze di colori e coi giochi di luce ; fare stupire è il fine degli eruditi o almeno di gran parte di essi, e perciò s'affannano a fare passare sotto gli occhi del lettore fatti, ricordi, cognizioni, giudizi alla rinfusa; non importa quali, ma quanti. Intento indiretto (1) Fonti dell’ Orlando, prima edizione — Firenze, Sansoni, 1876; pref. pag. 10. GIORNALE STORICO E LETTERARIO DELLA LIGURIA 227 che lo scrittore si propone dalla meraviglia destata in chi legge è sempre uno solo, la fama: l’erudito sa o crede che la fama gli deve venire dal lettore quindi egli tutto si dà a servir questo, non la scienza : ciò che gli preme è di salvare sè od altri dall’ oblio. Diamone una prova: l’Allacci quando prepara l’edizione delle rime antiche scrivendo all’Aprosio non una sol volta accenna alla vera ragione dell' importanza dell' opera sua, che sta solo nel porgere utile e sicuro materiale per ben conoscere il nascere e lo svolgersi del gusto, le varie tendenze d’arte nei primissimi tempi della nostra letteratura; egli invece solo è preoccupato dal desiderio di rendere famosi nomi di poeti oramai dimenticati. E tale pure iu il criterio che Io mosse a compilare la Dramaturgia; egli forse neanche sospettava che °§S* quell’ indice potesse servire ad uno scopo pratico e non ideale, di scienza e non di sentimento, ad attingervi cioè notizie bibliografiche, anziché a destare negli animi 1’ammirazione per gli autori citati. Il falso preconcetto che gli studi di erudizione fossero destinati esclusivamente a mantenere ricordo glorioso dei nomi, fu la causa che determinò il vizio più caratteristico dell'opere erudite nel seicento: le commemorazioni laudative degli amici e delle loro opere. Le citazioni frequentissime hanno raramente lo scopo di appoggiare su un dato oramai certo per ricerche altrui, un fatto od un giudizio che 1’ autore esponga od enunci ; esse invece devono fare fede che 1’ autore ha letto tutti i libri riferentisi a quel dato argomento (e fin qui, tranne l’ostentazione, è una benemerenza del seicento, come ben dice il Belloni, quella d’ avere per primo sentito la necessità d’ una compiuta bibliografia) e più ancora devono perpetuare colte lodi iperboliche la memoria degli autori citati. L’Aprosio e l’Allacci, noi lo vedemmo, continuamente si scambiano promesse di commemorarsi l’un l’altro nei loro libri. Pare che a giudizio loro presso i posteri uno scrittore avrebbe dovuto essere tanto più glorioso quante più volte il suo nome era citato e lodato nei vari libri. Così una falsa cortesia in voga in quel secolo tutto parata e tutto titoli intralciava la via agli studi; ogni scrittore, per non essere scortese cogli amici, qualunque opera scrivesse, doveva girare e rigirare il discorso in modo di fare entrare le lodi dell’ amico. Quanto questo giovasse all’erudizione dicalo chi ha letto la Biblioteca aprosiana del padre Angelico 228 GIORNALE STORICO E LETTERARIO DELLA LIGURIA da Ventimiglia. Noi Io vedemmo, il buon frate, darsi attorno per procurarsi un buon posto nel tempio deil’immortalità ; egli aiuta 1 Allacci infatti nella Dramaturgia e nell'edizione dei poeti solo per essere citato, lodato in quelle due opere. Una volta poco mancò che la sua antica amicizia verso ΓAllacci non si rompesse, e perchè? perchè questi in un’opera sulla papessa Giovanna, facendo menzione di parecchi autori che avevano approvata 1 opinione sua, si era dimenticato il nome dell’Aprosio. Frate Angelico gli scrisse allora lagnandosi che « potendo fare ancora menzione di lui lo avesse lasciato in disparte » e per mostrargli intanto che egli ben diversamente s’era comportato con lui, riferiva dalle sue varie opere tutte le lodi deH’Allacci che vi aveva sparse. Monsignore rispose tutto confuso: « scuserà la poca memoria che con l’età si va perdendo », e dopo avergli promesse ampie lodi in altri lavori soggiungeva: « Non mancherà occasione, la quale anderò cercando e credo che verrà presto premendomi non pocho ». Tali i criteri gretti e piccini dell’erudizione nel seicento. Nè perciò fu biasimevole od inutile ; per risparmiare ad essa il biasimo basti riflettere che in un secolo di servitù politica ed intellettuale non fu pocj merito vincere tante difficoltà per amor di sapere e dare all’ Italia dottrina invece che arte, come già in Grecia avevano fatto gli alessandrini. La sorte parve voler premiare la costanza di quegli infaticabili eruditi, facendo sì che le loro opere, i loro cataloghi di autori, avessero presso i posteri una utilità diversa da quella che essi si erano immaginato, ma non meno nobile e grande; quella di utili miniere di notizie storiche, biografiche e bibliografiche. Giuseppe Manacorda. ANEDDOTI UNO SCRITTORE DI MONTE MARCELLO. L'ab. Emanuele Gerini, a p. 137 del vol. I delle sue Memorie storiche d'illustri scrittori e di uomini insigni dell’ antica e moderna Lunigiana, discorrendo di Girolamo Bonifazi di Arcola, piglia a dire: « L,a pietà, l’interezza e la sapienza resero il Bonifazi commendato, siccome assicuracene il Soprani..... Così fu Giovanni Rechino di Monte Marcelli, villa sul dorso del monte Caprione rimpetto a Sarzana, il quale, secondo Bonaventura de’ Rossi, riuscì di vasto sapere ; essendo ei piovano di Monti- GIORNALE STORICO E LETTERARIO DELLA LIGURIA 229 gnoso fece suoi buoni frutti conoscere con un dotto volume di varie lezioni, scritte con gusto ed erudizione ». A p. 301 dello stesso volume, non ricordandosi più di averne tenuto parola, così ne torna a discorrere: « Furono di Portovenere Giovanni Rechino e Giuliano Lamorati, e ambedue uomini ricordevoli e addottrinati assai, quantunque il primo non abbia lasciato a luce pruove distinte de’suoi studi; l’altro facile troppo siasi posto nelle patrie tradizioni. Non ostante, il Rechino, come avea fama d illustre sacerdote per pietà e per dottrina, si reputa degno di ricordanza. Costui, essendo piovano di Montignoso, mostrò quanto abile sarebbe stato a fare di più, scrivendo un erudito volume di varie lezioni, encomiato dall’egregio Landinelli e da Bonaventura de’ Róssi ». Non si tratta di due persone diverse, ma di una sola, che il Gerini fa ad un tempo nativa di Monte Marcello e di Portovenere, e di cui stroppia perfino il cognome. Il De Rossi, dal quale ha attinto il Gerini, così parla di lui: « Ha dato a questo luogo [Monte Marcello] non poco nome Gio. Ze-chino, nativo di questa Terra, che fu Piovano di Montignoso nello Stato della Republica di Lucca, che lasciò del suo nobile ingegno un dotto volume di varie lezzioni ». Il Gerini non ebbe però nelle mani l'autografo dell 'Istoria universale dell’antica in °SSi distrutta città di Luni e della provincia di Lunigiana, raccolta da autentiche istorie e diverse antiche e moderne scritture, composta da Bonaventura de’ Rossi, Nobile Sarzanese, Dottore dell una e l'altra legge; bensì una cattiva copia della seconda redazione di quel lavoro, che intitolò : Collettanea copiosissima di memorie e notizie istonche appartenenti alla citta e Provincia di Luni, desonte con gran tempo e fatica per me Bonaventura Rossi di Sarzana da moltissime scritture et istorie autentiche e da varii Archivi. Nell’autografo si legge Gio. Zechino, nella copia invece, per una svista dell’amanuense, Gio Rechino. Che realmente fosse di cognome Zechino, anzi Cecchino, si rileva dal Terrilogio vecchio della Pieve di Montignoso, dove scrisse di suo pugno: « A dì 26 di giugnio 1582 io prete Giovanni Ciecchino di Monte Marcello presi il possesso della Pieve di Montignoso; così alla gloriosa Vergine Maria, alli nostri protettori SS. Vito, Modesto e Crescenzia e a tutta la Corte Celeste piaccia di pregare la Divina Maestà che sia a salute del Popolo e mia ». Morì a Montignoso il 30 aprile del 1612. Altro non si sa di lui (1). Giovanni Sforza (1) E un discendente di questa famiglia Stefano Pietro Zecchini, nato a Genova il 29 luglio 1809, che mise stanza a Torino, dove sposò una figlia dell’editore Giuseppe Pomba e si rese noto per varie opere a stampa, tra le quali ebbe e meritò lode il suo Dizionario dei sinonimi, del quale ci sono due edizioni, una del '49 e una del '59. Il padre suo era un armatore, che dal patrio Monte Marcello andq a trapiantare le tende a Genova. 230 GIORNALE STORICO E LETTERARIO DELLA LIGURIA BOLLETTINO BIBLIOGRAFICO. Appunti lessicali e toponomastici pubblicati a liberi intervalli da Li io Zanardelli. Seconda puntata. Bologna, Nicola Zanichelli, 1901 , m-8, pp. 48. Il prof. Zanardelli, che ha intrapreso coraggiosamente la pubblicazione di questa raccolta di scritti linguistici riguardanti Γ etimologia e la topono mastica, s’ è fatto anche nella seconda puntata la parte del leone, dissei laudo in 39 pagine del suffisso d’ origine ligure in -mo- -ma, nelle voci balma, Calmus ed altre ; e anche in questo nuovo studio ha mostrato quella diligenza di raccoglitore e quell’ acume di ricercatore, che rendono pregevoli alili suoi lavori sulla toponomastica romanza. Della lingua dei Liguri noi non sap piamo nulla, poiché nulla significano le poche glosse, che si possono raccogliere in scrittori greci e latini ; e solo ci vien qualche fioco barlume di luce dai nomi locali, enumerati con felice abbondanza nel noto arbitrato dei Minuci. Tra questi, 4 contengono, o solo o congiunto con altri, il suffisso -ma (Berigiema, Caeptiema; Blustiemelus, Lebriemelus), il quale poi si trova pure in altri nomi locali della Liguria, che lo Z. enumera, e può essei quind attribuito all’ antico ligure con grande sicurezza. Partendo da questo fatto, che considera come accertato, lo Z. intende di dimostiare che sono d 011^,1 ligure anche i due vocaboli balma e calmo, i quali indicano particolarità di configurazione locale ma spesso son divenuti, per il solito naturale processo, nomi proprii di luoghi determinati. Che il dialetto ligure odierno sia d’origine romana, non è necessario ripetere, e l’immensa maggioranza delle sue voci si riconducono con facilità e sicurezza ad etimi latini , ma non è possibile, anzi si può ritenere come abbastanza verosimile che fra le paiole, la cui origine ci rimane oscura, alcune poche risalgano proprio all antichis sima e ignotissima lingua dei Liguri primitivi. Allo stesso modo, alcune decine di vocaboli francesi sono di provenienza celtica, ed hanno esatti riscontri in vocaboli delle lingue celtiche, antiche o moderne, che ci sono note, h naturale che tanto in Francia, come in Spagna e come in Italia, qualche parola dei linguaggi anteriori alla conquista romana potesse sopravvivere, anche quando il latino colla sua maravigliosa forza d’ espansione e di penetrazione s’ era imposto a tutti e aveva fatto dimenticare a tutti gli antichi linguaggi materni. Ciò vuol dire, in fondo, soltanto questo, che alcune di quelle parole, per le quali forse il romano non aveva sinonimi esatti, riuscirono a insinuarsi, quasi di contrabbando, nel latino parlato, assumendo apparenza di latine ; al modo stesso che certe altre s’ erano insinuate pur nel latino scritto e letterario (per es., le voci celtiche carrus, alauda, bracae, sagum, ecc.). Ma sieno poche o molte le voci liguri originarie che possiamo supporre si conservino nell’ odierno dialetto, esse si nascondono ai nostri occhi sotto un fitto velo, che non è lecito sperare deva mai diradarsi, lanto più curiosi GIORNALE STORICO E LETTERARIO DELLA LIGURIA 23I e notevoli sono dunque per noi questi due superstiti balma e calmo, alla cui origine ligure sembra in verità si possa credere anche dalle persone prudenti e nspettose del metodo, le quali sanno che in simili casi bisogna contentarsi della verosimiglianza. Ma se i due vocaboli si salvarono dal comune naufragio e 1 aggiunsero anzi così larga diffusione, si deve al loro carattere di nomi di luogo. Il vocabolo balma significò dapprima grotta, caverna ; poi, a poco a poco, anche « riparo sotto roccia, fossa, tomba, buco, parete verticale di roccia, pietra sepolcrale, condotto sotterraneo, e perfino serbatoio d’ acqua ». Lo Z. raccoglie con molta diligenza le attestazioni della sua presenza in varii dominii romanzi e inoltre dà 1’ elenco dei nomi locali, formati da esso in Liguria, in Piemonte e in Lombardia. Appare dall’insieme eh’esso è diffuso nell’ Italia Superiore, nella Francia meridionale, nella Svizzera francese e perfino nella parte vallona del Belgio ; balma o bauma nel senso di « grotta » si sente anche nel catalano, ma può ben essere un’ importazione provenzale. Una variante di balma crede lo Z. dover riconoscere in arma, che Girolamo Rossi, nel suo Dizionario medievale ligure, cosi utile sebbene troppo lontano da ogni buon indirizzo metodico, dice d’ aver trovato nella Riviera di Ponente, a Pigna, con senso alquanto diverso da quello di balma, e che ricorre anche altrove, ed è inoltre frequente come nome locale, in ispecie nella Liguria e nel Piemonte. È possibile che lo Z. abbia ragione ; ma bisogna senz’ altro escludere che balma sia divenuto alma in tempo latino o romanzo, ed è forse invece da supporre che per qualche particolarità, a noi ignota, dell’ antico ligure, un b- iniziale ora si conservasse intatto ed ora cadesse. Ciò vorrebbe dire che quando i Romani latinizzarono i territori liguri, vi trovarono già entrambe le forme, balma e alma. Lo Z., che non sempre in fatto di fonetica procede con tutto il rigore che sarebbe desiderabile, non presenta e non poteva presentare la più piccola prova in appoggio della sua supposizione che il b- di balma venisse attenuandosi in tempo romanzo fino a v, e poi cadesse del tutto ; per fortuna, questa che è la parte più debole della sua trattazione, può venir soppressa senza alcun danno. Quanto al nome loc. Oamà « costiera che da Giovi va alla Bocchetta e nome di altri punti elevati in vista al mare », non può in nessun modo considerarsi come « regolare riduzione di Bodamà (per Bodamare) bosco del mare (?), regione contermine alla città d’Oneglia », e bisognerà rassegnarsi ad andare in cerca d’ un’ etimologia più sodisfacente e più d’ accordo colla fonetica. In Ventimiglia infine, 1’ antico b è divenuto v per erronea interpretazione del nome, cioè per confusione col numerale venti. Lo Z. termina la sua bella dissertazione intorno a balma raccogliendo gli esempi del sufi, ligure, o supposto ligure, -mo. Non tutti sono ugualmente sicuri ; ma mi contenterò di accennare al Cadaplauma, di cui parlai altrove io stesso, e che si trova in documenti del 1000, 1029, 1081, ecc., colle varie forme Caaploma Cada piuma, ecc. Ora io propendo a credere che la forma 232 GIORNALE STORICO E LETTERARIO DELLA LIGURIA plauma usiana inesatta ricostruzione dello scriba, e che il nome rappresenti un umile co da (o a alla) piuma, cioè Casa dalia o alla piuma. Il secondo articolo dello Z. riguarda calmo, ligure carmn, monte, colle, che si trova anche nel provenzale e nel francese, col significato, come dice il Thomas nella Romania, XXI, g n., di « landa, terra incolta che serve al pascolo, di solito situata sopra un’altura ». In Francia il vocabolo è femminile, rappresenta cioè un lat. calma (e anche cairn z'i); e calma può ben essere il plurale di un neutro calmutn. Qui pure lo Z. raccoglie i nomi locali della Liguria, che ne sono derivati. Il fascicolo contiene ancora un breve articoletto (a p. 40) di Emilio Lo-varini, intitolato Di alcuni nomi di paesi trevisani derivati da Vie m a tu s; e un manipoletto di etimologie genovesi di Giuseppe Flechia, giovine studioso di linguistica, al quale il nome che porta impone gravi doveri. Le sue etimologie non insegnano molto di nuovo a chi è provetto nella scienza ; ma possono nondimeno esser utili ai profani o a chi, senza voler divenire uno specialista, ami d’ essere informato con esattezza da chi lo può fare. Sono le seguenti : 1. Age'n « nome d’ una frazione del comune di Megli in quel di Recco, come pure d’ una famiglia ligure, originaria, pare, da quella località ». Il Flechia pensa al gentilizio Allianus (fundus Allianus nella tavola dei Liguri Bebbiani), e non c’ è dubbio che coglie nel segno ; solo, bisogna partire dalla forma dell’ antico locativo (considerato come genitivo) in -i, come io stesso ho già osservato altrove a proposito di Curnigén Corneliani, ecc. Da Allianus verrebbe Agidn; ma un -i finale nel nostro dialetto soffre una specie di metatesi, o, come direbbero i tedeschi, di Umlaut, risuonando nella sillaba precedente: cani cain clien, limuni limuin, ecc. La medesima osservazione è da fare pel num. 2, Arençén, pel quale qualche erudito ligure ha proposto così graziose etimologie. Il FI. lo trarrebbe volentieri da un lat. Arincianus, metatesi di Aricinianus (fundus Aricinianus), che sarebbe 1’ aggettivo derivato dal gentilizio Aricinius; ma varie difficoltà m’inducono a pensare ad etimo diverso, forse ad Arruntiamis. — 3. asciûnâ «verbo che significa “inaridire” “asciugare” e si dice segnatamente del sole e del vento che inaridiscono, asciugano la terra ». Appartiene alla Liguria orientale, ma io non 1’ ho mai sentito e quindi non mi rendo ben conto delle particolarità della sua pronuncia. Però l’etimo arsionare, dal sostantivo arsione, che è patrocinato dal FI., non mi persuade, e credo invece si tratti di un derivato del noto verbo genovese Sciud ex-aurare, e rappresenti cioè la forma ligure dell’ital. sciorinare ex-aurin-are “ asciugare all’aria.” Si ebbe adunque prima asciurind; poi, quando verso il sec. XVII il r intervocalico cominciò nel ligure centrale e orientale a cadere, a semina ; infine asciitnd, dove la contrazione di ui in u ha lasciato una traccia evidente nella lunghezza dell’ u (che il Flechia rappresenta col circonflesso). — 4. assegueggid punzecchiare, mordere GIORNALE STORICO e LETTERARIO DELLA LIGURIA 233 (detto delle vespe, delle serpi, ecc.). Un illustre .uomo, che fra le sue cure di diplomatico e d uomo di stato trova il tempo di onorare la scienza italiana coi suoi scritti, anche e specialmente linguistici, Costantino Nigra, in una delle bellissime ricerche etimologiche che va pubblicando ne}\’Archivio dell’Ascoli, dimostrava recentemente che il nome genovese dell’ anguis fragilis, saguégia, è un derivato del lat. caecula ; la forma più antica fu senza dubbio segu-teggia caecultlia (o caeculicula). Si sa che il popolo considera comunemente. I’ anguis fragilis come cieco. Il FI. dunque non fa che constatale che dal nome s’ è tratto anche un verbo ; di nuovo aggiunge solo che il significato del verbo si determinò come fece, per confusione col verbo sagugià, che è (o almeno si crede) di diversa origine. Non so però perch’ egli afieimi che questo vocabolo non è vivo in Genova, mentre vi si usa tuttora con una certa frequenza, insieme col sostant. saguggiu (u e non il). — 5. beateceli scappellotto, manrovescio ; scherzosa corruzione del fax tecum, che il vescovo pronuncia nell’ atto d’impartire la cresima. — 6. caestiusu, a Genova caistiusu (s dolce) ; naturalmente va con caro, carestia. — 7. cicciollu, col lat. insicia. Bisognerebbe essere più precisi ; ma 1’ etimo è giusto, benché il vocabolo sia certo venuto a noi da altri dialetti. Si confronti il toscano ciccia carne. — 8. inguannu, cfr. 1’ it. uguanmt, ecc. È notissimo che si uniscono con hoc anno. — 9. pappetasci pappa e taci. — io. Straloggiu : il II. 11011 considera abbastanza certe difficoltà morfologiche che presenta questo vocabolo, così chiaro in apparenza. — 11. testu, naturalmente dal lat. testu, o testum: cita un passo di Plinio, in cui si parla di un aereum testum. — 12. zenbii da gibbus, (cfr. strambti da strabus), come tutti sanno. Ma forse 11011 tutti sanno che non solo zembìito (Ciriffo Calvaneo), ricordato dal FI., ma proprio zembo si trova pure in testi toscani, nel Tristano riccardiano pubblicato da me, e nel Romanzo di Merlino, pubblicato da Ireneo Sanesi. Mi par strano che a quest’ultimo articoletto del FI. il Direttore della pubblicazione apponga una noticina, in cui promette di confutarlo, insistendo sopra la 11011 felice idea, che zembu ecc., insieme col sardo zihnburu, provengano da glomulum, derivato di glomus. Pel ligure e pel toscano non si potrebbe parlare di glomulum senza cader nell’ assurdo ; pel sardo sono da fare più lunghe considerazioni, che qui 11011 sarebbero a posto. E. G. Parodi ANNUNZI ANALITICI. Scrini scelti ili Giuseppe Mazzini con note e cenni biografici di Iesse Whitk V.a Mario. Firenze, Sansoni, 1901 : in-8. pp. xliy-407. — Questa scelta è fatta con studio diligente ed amoroso; poiché intende a mettere dinanzi ai giovani, e in generale alle persone che 11011 hanno modo di leggere i molti volumi della raccolta mazziniana, la perso- 234 GIORNALE STORICO E LETTERARIO DELLA LIGURIA nalità del patriota genovese nelle sue più spiccate manifestazioni. Quivi apparisce ben chiaro l’alto concetto letterario, politico, morale da lui proseguito con mirabile tenacia lungo il cammino dell’agitata sua vita: qui si manifesta la lucidità e l’acutezza dell’intelletto, si come la fermezza dell’animo; del pari la convinzione profonda delle verità da Ivi' bandite, dell’apostolato a cui s’era votato, del grande, puro, disinteressato amore della patria. Leggendo queste pagine noi seguiamo lo svolgimento del suo ideale negli atteggiamenti vari e molteplici delle contingenze e dei tempi, dai primi giorni della sua giovinezza in cui assorse scrittore persuasivo ed efficace, fino agli ultimi della esistenza, quando la mirabile utopia era diventata una realtà. Or bene è notevole il rilevare che non troviamo in quella mente nessuna manchevolezza, nessuna, come oggi si dice, evoluzione ma una consacrazione quasi diremmo, intangibile del concetto onde egli era mosso nelle sue prime manifestazioni. Nè la forma colla quale ebbe l’arte di colorire, di rendere vitale il suo pensiero, subisce modificazioni col volgere degli anni, resta qual’è così ne’suoi pregi, che ne ha di grandi, come ne’ suoi difetti ; tanta saldezza era in quell’organismo quasi esile, in quella bonomia affascinante. La raccoglitrice di questi scritti non ha fatto soltanto opera di compilazione, ma v’ ha posto assai del suo. I cenni biografici possono ben dirsi qualche cosa più di quel che suona il modesto sostantivo, perche oltre ad essere convenientemente larghi, secondo comportava l’uomo, sono dettati tenendo conto di tutto quanto si venne pubblicando intorno al Mazzini in questi ultimi anni, e di documenti inediti recentemente conosciuti dall’autrice. Nè basta, chè con le note i proemi, gli schiarimenti a’ luoghi opportuni, si dà ragione degli scritti, della cronologia, de’ momenti storici, e si illustra e si chiarisce quanto in essi è toccato. Libro questo infine, sotto ogni aspetto commendevole. Ernesto Masi. Matteo Bandelle o vita italiana in un novelliere del cinquecento. Bologna, Zanichelli, 1900; in-8, di pp. ‘255.- Allorquando questo lavoro del M. comparve la prima volta nella Nuova Antologia (1892) ebbe lodi vive a sincere per l’acutezza delle osservazioni, per il rilievo dell’ambiente, per la varia pittura efficace de’ personaggi, per gli ingegnosi riferimenti storici, infine per la genialità della trattazione. Si fatte qualità campeggiano altresì nel presente volume dove quello studio ricomparisce con nuove cure, alquanto allargato tenendo conto di tutto quello che è comparso fino ai nostri giorni in relazione dell’argomento, così in modo diretto come laterale. Due appendici crescono pregio allo studio del M. Nella prima è riprodotta per estratto, e nelle parti più notevoli e singolari l’inedita biografia latina di Giambattista Cattaneo dettata dal Bandello, che a quel giovane domenicano fu compagno nel convento di S. M. di Castello in Genova. La seconda riferisce, pur per estratto, 1’ orazione dello stesso scrittore in morte di Francesco Gonzaga, impressa in un rarissimo opuscolo contemporaneo. Il M. si è giovato della biografia per constatare il tempo in cui il Bandello dimorò in Genova, e toccare della parte episodica ch’egli ebbe nella breve vita dell’amico e confratello, allargandosi per conseguenza a narrare succintamente i casi di quel patrizio fattosi domenicano, malgrado 1’ opposizione fierissima de’ suoi, e morto indi a poco di peste. I casi ài questo frate non ci erano ignoti, essendo già stati narrati in due distinti libri dal P. Amedeo Vigna (/ domenicani illustri del convento di S. M. di GIORNALE STORICO E LETTERARIO DELLA LIGURIA 235 Castello. Genova, Lanata, 1886, p. 81 sgg. Storia cronologica del convento di S. M. di Castello, in Atti Soc. Lig. di Stor. rat., xxi,'245 sgg.), il quale abbreviò le ampie notizie che si trovano nelle cronache del cenobio. Ed è curioso il rilevare, come la narrazione che servì di guida al Vigna, abbia tale affinità con quello del Bandello, da ripeterne sovente i singoli fatti con le medesime parole. Onde sarebbe a credere che il lavoro di questi stesse dinanzi al cronista del convento quando era intento alla sua compilazione. Anche . in questa ricorre, com’ e naturale, il nome del nostro novellatore. Di avvenimenti genovesi si tocca altresì nell’ orazione per il Gonzaga ; ed ampiamente il M. discorre le relazioni del Bandello con Cesare Fre-'goso, di cui fu affezionato e fedele famigliare, restando, anche dopo la morte violenta del suo signore, appresso la vedova curatore sollecito degli interessi della casa, è dell’educazione de’ figliuoli. Francesco Foffano. L’ estetica della prosa volgare nel cinquecento. Prolusione a un corso libero di letteratura italiana. Pavia, Frattini, 1900; in-8, pp. 41. - L’argomento che il F. si propone di svolgere, se non può dirsi affatto nuovo, convien pur riconoscere sia fra quelli non trattati principalmente ed ex professo, ma 0 per incidenza, o in via secondaria. Tanto più che il fine a cui egli intende, e il modo onde raggiungerlo, si scostano alquanto da quanto fu fatto fino a qui. In questa prolusione sono tracciate le prime linee delle lezioni, e accennati alcuni problemi eh’ ei si. propone di risolvere, sì come avviamento alla sua trattazione. La quistione della lingua, la dottrina grammaticale, l’imitazione classica e la forma popolare daranno modo al F. di aprirsi la strada a discorrere della critica nel cinquecento (di che egli ha dato altrove dei cenni), e della formazione di quella prosa così splendida e caratteristica, che ebbe tanti seguaci buoni e cattivi, e fu troppo lodata, 0 troppo biasimata da poi. In questa guisa ei si propone di richiamare, senza esagerazioni e senza feticismo, con giusta misura, il gusto dei discenti a rifarsi a quei principi dai quali un senso, non sempre ben inteso, di modernità, ha cercato di allontanarli. Alfonso Capf.of.latro. Vita della serra di Dio Paola Frassinetti fondatrice delle suore di santa Dorotea. Roma, Desclée, Lefebvre e C., 19C0: in-8, di pp. 540. — L’istituzione e lo svolgimento d’ un ordine religioso ha nella storia la sua importanza, sia che si guardi dal solo lato ascetico, sia e forse meglio da quello civile, quando in ispecie il fine al quale mira l’istituto si è 1’ educazione e l’istruzione. Così fatto è quello di cui si narrano ampiamente gli inizi le prime mosse, e, quindi, il suo procedere ed allargarsi nel tempo che rimase in vita la fondatrice. Racconto dettato con bell’arte, ed ottima forma secondo è stile dell’ autore, che è fra i nostri più dotti prelati. E perchè anche qui si leggono pure alcune pagine importanti, dove in qualche guisa gli avvenimenti di quell’ ordine novello si trovano a contatto con i fatti politici, così ci sembra doveroso richiamare in ispecial modo Γ attenzione su quelle che possono gettar qualche luce sopra episodi del nostro risorgimento, e sopra gli uomini che vi ebbero parte. Tali sono tutte le pagine che costituiscono il capitolo nono, dove si tocca delle vicende di Roma nel 1849. Qui due cose riescono singolarmente notevoli, lasciando stare la fortezza e la prudenza dimostrate dalla Frassinetti in que’ giorni momentosi, vogliam dire una lettera, in vero assai bella, di Giù- 236 GIORNALE STORICO E LETTERARIO DELLA LIGURIA seppe Mazzini, in risposta ad altra d’ una suora Angela Costa genovese scritta per incarico della superiora; e i buoni diportamenti elei garibaldini verso il conservatorio mentre stettero,là su a San-t Onofrio in difesa della città battuta dai francesi. E un interessante capitolo, ben degno, per i giudizi e per l’equanime temperanza, d’una mente serena e d’un animo eletto. Si tocca in un altro capitolo delle turbolenze di Genova nel 1849 dopo la disfatta di Novara. Costantino Cipolla. L’azione letteraria di Nieeolò V nel rinascimento. 1 Tosinone, tip. Stracca, 1900 ; in-8, pp. 60. — Tutti coloro che hanno parlato o in generale deil’umanesimo e del rinascimento, o di Nicolò Y m particolare si sono fermati più o men lungamente intorno alle benemerenze di questo pontefice verso le lettere. Ma qui l’a. lia avuto l’intenzione di trattare l’argomento nella sua essenza speciale, considerando Tommaso da Sarzana come promotore della cultura e mecenate dei letterati. Bell’ argomento da svolgersi in un volume anziché nelle ristrette pagine di un opuscolo, quando, come qui, non ci si voglia limitare a discorrere dei traduttóri, della biblioteca vaticana, e del noto canone bibliografico. Il C. riassume cose dette e rilevate da altri ; nè tutto apparisce eh’ ei conosca ; ricerche nuove e dirette non ne ha fatte. In certi giudizi non ci sentiamo di convenire. A noi sembra, per via d’esempio, che Γ a. sia caduto in eccesso di biasimo là dove fa carico a Nicolò di leggerezza e di assenza di buon discernimento nell’opera sua di cultore e di raccoglitore di classici, il che si palesa altresì per quelle lodi onde pul- ii pontefice vien proseguito nel seguito della trattazione, e che appaiono stridenti con le premesse. Il qual difetto deriva, secondo nostro parere, dal fatto che la materia non si presenta disciplinata con ordine, e lo svolgimento sente qua e colà di quella fretta che è nemica di ben digesto disegno. Di qui anche alcune incongruenze, come la ripetizione (pag. 36) a proposito della traduzione del Tra-pezunta (pp. 25-26); l’accenno alla scomunica minacciata per ricupero di libri (p. 44) non ben d’accordo con l’antecedente affermazione (p. 40); il tocco sul carattere del papa (p. 58) poco consentaneo a quanto altrove (p. 5) è detto, e alcune altre. Gaspare Oliveri. L’imitazione classica e le innovazioni metriche di Gabriello Cliiahrera. Noia critica. Girgenti, Montes, 1900; in-8, di pp. 15. — Come semplice nota, e come risultato di studi generali sul Chiabrera, può passare anche questo breve scritto, in cui, se non c’è novità, si riscontrano alcuni rilievi non trascurabili e che mostrano nell’ a. attitudini sufficenti. Tuttavia non ci sembra si palesi la desiderabile conoscenza della letteratura chiabreresca ; onde, per dirne una, e crede sempre fosse al poeta familiare il greco, e attribuisce ancora ad Urbano Vili la nota iscrizione laudativa. L’ argomento preso a trattare dall’ 0. è importante e merita eh’ egli vi consacri qualche cosa di più de’ presenti u cenni fugaci ». Nella inaugurazione di una lapide nel 11. Ginnasio di Ventimiglia in onore del comm. Tommaso Hanbury. Ventimiglia, Billi, 1901; iii-8, di pp. 24. — E’ un doveroso omaggio reso alla liberalità del gentiluomo inglese, vero mecenate delle scienze e delle arti. Egli, a cui Genova deve un Istituto botanico a pochi secondo, volle costrurre aule capaci con appositi scaffali per riporvi il museo e la Biblioteca Apro-siana di Ventimiglia. In questa opportunità Girolamo Rossi ha GIORNALE STORICO E LETTERARIO DELLA LIGURIA 237 ]etto mi notevole discorso, nel quale, dopo aver dato alcune notizie siine scoperte archeologiche, si ferma a discorrere del fondatore 1 biblioteca, p. Angelico Aprosio, con succosa brevità, e con equanime giudizio. Facciamo voti perche le reliquie, pur non trascurabili, di quella veramente notevole biblioteca,' abbiano al più presto un conveniente assetto nelle nuove sale, e ne sia compilato il catalogo troppo urgente e necessario alle ricerche degli studiosi. l· kaxoesco Novati. Vita e poesia di aorte nel Dugenlo. [Milano, Hoepli, IJOl]; in-16, di pp. 36, con 2 tav.(Estratto dal volume: ai te, scienza e, fede ai giorni di Dante). — E’ una conferenza, e perciò a Mattazione, del piacevole soggetto, con arte geniale presentato agli ascoltanti, limitata in brevi confini, ma piena di sostanza, e, senza apparenza, di dottrina. Notevoli i rilievi intorno all’episodio di xrancesca da Rimini, in rapporto alla conoscenza ed alla diffusione dei. romanzi d’avventura, e a quello singolarmente di che tocca 1 Alighieri ; acuta l’osservazione in nota a proposito dell’ im-peiietto ricordo del poeta su quella che tossio - Al primo fallo scritto di Ginevra. SPIGOLATURE E NOTIZIE. Col titolo : Un hhgio fra Venezia c Savona è pubblicata da Carlo CIPOLLA (Atti r. Accad. d. Scienze di Torino, XXXVI, 172) una lettera, che si conserva in pergamena originale nell’archivio di Savona, del doge Giovanni Soranzo (6 ottobre 1324), con la quale si richiama ai reggitori del comune, perchè due navi savonesi presero presso Porto Pisano una nave ragu-sina, che tornava da Tunisi. La condussero a Lerici, e dopo averla spogliata del caiico, la restituirono al suo patrono. Armatori delle navi savonesi erano Giacomo de Bonacato e Paganino Doria. .·. Bernardo Narici (o meglio Narice) genovese, sotto il nome teatrale di (hazio, sosteneva le parti d’innamorato nella compagnia comica del duca di Modena, intorno al 1675 (Rasi, I comici italiani, II, 179), La famiglia Narixe, clic sembra derivasse in antico da Sestri Ponente, si trova ascritta nel 1528 nell albergo Lomellino, e v’ha appunto un Bernardo che fu padre di Niccolò da cui discese un altro Bernardo ; e questi e il fratello Leonardo sembra fossero gli ultimi della prosapia ascritta. Sarà appartenuto ad essa il nostro comico come ne potrebbe dare indizio il ripetersi del nome di battesimo ? Un cenno sopra il genovese Nicola Medoni, è pur dato nella stessa opeia (p. 120); dove tuttavia si vede errata la data della morte che non fu nel 1882, ma il 4 novembre 1881, e quella della nascita che è il 15 ottobre 1799, e non nel 1803. Questo comico singolare, scrittore di tragedie, e di novelle in versi, meritava una più ampia biografia. Di lui aveva scritto Emilio Spinola, giovandosi di memorie autobiografiche, nel Mattino di Napoli; articolo riprodotto . nel Cajfaro dell’ 11 aprile 1881 (Supplemento al num. 101). .·. Esamina Costantino Nigra nel suo articolo Uno degli Edoardi in Italia. Favola 0 leggenda? (in Nuova Antologia, XCII, ses. IV, p. 403), qual grado di attendibilità possa avere la lettera di Emanuele Fiesco trovata in copia nel cartolario episcopale di Maguelone, e pubblicata nel 1878 dal Germain. In essa si discorre degli ultimi anni di Edoardo II, che avrebbe passato in Italia, contradicendo alle narrazioni degli storici, i quali riferiscono la morte violenta di quel re d’Inghilterra. Le conclusioni non sono, 238 GIORNALE STORICO E LETTERARIO DELLA LIGURIA nè potevano essere, assolute, ma pongono un quesito storico degno di ulteriori indagini. .·. Federigo di Savorgnano e Marzio di Colloredo friulani sfidatisi a duello vennero a battersi il 15 giugno 1564 presso Arenzano nel luogo detto alle fornaci di Panaggio. Rimasero tutti e due feriti e furono condotti a Genova per curarsi, dove il notaro della Curia Lorenzo Martignoni distese il pi ocesso verbale dell’avvenimento, autenticato nella cancelleria dell’arcivescovo Agostino Saivago. Non abbiamo trovato i protocolli di questo notaro nel nostro Ai-chivio di Stato, ma potrebbero forse conservarsi nella cancelleria della Curia Arcivescovile. Una lettera di Soldaniero de Signori di Strasoldo scritta da Genova ad Andrea Patavino di Belgrado il 16 giugno rende conto del [atto, che venne eziandio rammentato con pochi esametri da un Ubaldo genovese (cfr. Carmina illustrium, poetarum italorum. Florentiae, 1720, volume V, p. 283) che non ci è riuscito sapere chi fosse (Degani, I partiti in Frulli: nel 1500 e la storia di un famoso duello, Udine, del Bianco, 1900, 125 e sgg.) .·. Nelle Spigolature fiorentine in Reggio e Modena (1478-14'''1 ' CoMANl (in Studi storici, X, 73 sgg.) rileva la ragione per la quale Antonio Gallo inserì nel suo Commentarius la lettera dei fiorentini, 21 luglio 1478, a Sisto IV. Più innanzi illustra un documento che si riferisce alla guerra di Lunigiana, tra i fiorentini e i genovesi, e che riguarda specialmentte il possesso di Fivizzano. .·. È uscito il primo fascicolo del Piccolo Archivio storico dell antico marchesato di Saluzzo che è diretto da Domenico Chiattone, ed ha come cooperatori Costanzo Rinaudo, Ferdinando Gabotto, Giuseppe Roberti. Buona è la materia che quivi si porge agli studiosi, e dà promessa sicura per 1’ avvenire, essendo fatto con serietà d’ intenti e singolare discernimento. Si apre con un documento, comunicato da L. G. Pellissier, intoino al traforo del Viso, che risale al 1481, segue La guerra del Conte Verde contro i Marchesi di Saluzzo e di Monferrato nel 1363 esposta sui documenti dal Gabotto, a cui tien dietro la monografia del Roberti sopra I moti di Revello e dell' alta valle del Po in luglio 1797: questa prima parte si chiude con il lavoro di Chiattone intorno a I due Cod. mss. della « Francesca da Rimini » di Silvio Pellico esistenti in casa Gavazza a Saluzzo e 1 loro annotatori. La Collecta Saluciensia contiene : Savio, I conti di Crissolo; Vicario, Due lettere di Silvio Pellico; Moschetti, Un affresco del punti-pio del sec. XV; Marsengo-Bastia, Tre lettere di mons. Della Chiesa all’Aprosio ; Chiattone, Una lettera di S. Pellico a Stanislao Marchisio; Flechia, Mani/poletto di etimologie saluzzesi; Appunti di bibliografia saluzzese ecc. — Troviamo a nostro uopo nella monografia del Gabotto che il conte Verde sulla fine di giugno spedisce Folchetto da Piossasco « ad Octobonum de Flesco apud Januam pro balisteriis habendis » (p. 30) ; e nel ìifanipoletto di etimologie saluzzesi parecchi riferimenti al dialetto ligure. Rileviamo altresì la corrispondenza di mons. Della Chiesa con il p. Aprosio da Ventimiglia. .*. È comparso come parte degli Annales de la Faculté des Lettres de Βοι-deaux et des Universités du Midi, ma che d’ora innanzi si pubblicherà a se, il Bulletin Italien. Gli studiosi delle cose italiane in Francia avranno qui un organo proprio e speciale, che sarà insieme importante palestra, e raccolto di utili informazioni. I nomi dei redattori non potrebbero costituire un migliore affidamento; essi sono il Bouvy, il Radet, il Dejob, 1 Hauvette, il Pé-lissier, il Picot, il Thomas, il de Nolhac, il Miintz, il Dorez, il Gebhart, il Cochin, l’Auvray, il Mérimé, il Morel-Fatio, il Jeanroy, il Vianey. Segnaliamo intanto nel primo fascicolo un articolo importante dell’Hauvette intorno al Corbaccio del Boccaccio, e l’indicazione bibliografica delle traduzioni della GIORNALE STORICO E LETTERARIO DELLA LIGURIA 239 \"'i' ~[C ° ^a're ^0VLlta B°uvy, siccome la proposta della interpretazione Wr a v°c®kolo dispetto, nell’inferno di Dante (IX, gì) messa innanzi a ole ■ atio. Gli articoli bibliografici sono rilevanti per compiutezza di esposizione e competenza di giudizio. Ci si consenta esprimere il desiderio che questo periodico, destinato ad acquistare certamente grandissimo favore, accolga una piena e larga informazione di tutto quanto riferentesi all’ Italia si stampa in Francia. APPUNTI DI BIBLIOGRAFIA LIGURE. A. Sui nostri monti. Lungo il Bisagno (in Cittadino, a. XXIX, n. 158, 160). Aiiolaguirre (de) y Duvale. Estudio juridico de las capitulaciones y piivilegios de Cristòbal Colòn (in Boletin de la Reai Academia de la historia, Madrid, χχχνπι, 279). Amadei Angelo. Il santuario di N. Signora della Neve alla Spezia. Cenni storici. S. Pier d’Arena, tip. Salesiana, 1901 ; in-8, pp. 71. Beltrami Luca. Il ritratto di Andrea Doria e il Museo Giovio a Como (in Rassegna d’Arte, 1901. fase. 2). Buscaglia D. Il trasporto di un grandioso affresco di Paolo Gerolamo Biusco (in Arte e Storia, 1900, 20 agosto). Nella chiesa dei ss. Giovanni e Domenico di Savona. — Opere robbiane poco note in Liguria (ivi, 15-30 ottobre 1900). Cervetto L. A. Giovedì Santo: ricordanze. (R Cittadino 1901 n. 94) — Pasqua: costumanze (ivi, 97) — I. P. Ottavio Assarotti. Il primo centenario della fondazione in Genova dell’istituto dei Sordomuti (ivi, 101) — La missione alla Basilica di Carignano. Ricordi (ivi, 103) — S. Giorgio : ricordi patrii: festeggiamenti popolari (ivi, 113) — Il primo maggio (ivi, n. 120) — I quadri del Van Dyck a Palazzo Rosso (ivi, 147). — La festa di Sant Antonio da Padova. Distribuzione del pane ai poveri (ivi 163). CIPOLLA Carlo. Un litigio tra Venezia e Savona nel 1324 (in Atti della R. Accademia di Torino, xxxvi, 172). Coma Ni F. E. Spigolature fiorentine in Reggio e Modena (1478-1481) (in Studi Stona, x, 1, p. 73). Si veda specialmente I, riguardo a un documento pubblicato da Antonio Gallo; e IV, intorno ai fiorentini in Fivizzano. Commemorazione centenaria dalla fondazione della scuola pei sordomuti in Genova. Numero unico. Genova, Sordomuti, 1901 ; in fol., pp. 51. Cristoferii Joannis. Episcopi Ecclesiae Apuanae et eccellentes Seminarii Apuani doctores. Accedit index virorum illustrimi qui ex eiusdem Seminarii scholis prodierunt. Apuae, ex officina Rapii. Rossetti, mcm; in-8, di pp. vi-128. Decani Ernesto. 1 partili in Friuli nel 1500 e la storia di un famoso duello. Udine, Del Bianco, 1900; in-8, pp. 171. Il duello fu combattuto presso Arenzano (pp. 125-129). l·ERRETTO Arturo. 11 santuario di N. S. di Caravaggio a Santa Maria del Campo in quel di Rapallo (in I.a Madonna della Guardia, 1901, maggio). Gachot Edouard. Histoire militaire de Massella. La première campagne d’ Italie (1799 a 1798). Paris, Pctrin e C., 1901 ; in-8, pp. xx-405 ; con lig. e cari. — Riguardano specialmente i fatti d’armi in Liguria, cap. i-vii. Gioberti (II) alla Spezia nel 1848 (in Corriere della Spezia, a. V, n. 20). G UER Ri 1-'. Intorno a un verso di Lanfranco Cigala (in Studi di Filologia Romanza, fase. 23 (voi. vili, fase. 3) 1901, pp. 503-508). Harrisse Henry. Christophe Colomb et la Typographie espagnole (in Centralblatt für Bibliothckswcsen, 1901, 1). 240 GIORNALE STORICO E LETTERARIO DELLA LIGURIA Jung Iulius. Die Stadt Luna und ihr Gebiet. Ein Beitrage zur histo-, rischen Landeskunpe Italiens (in Mittheilungen des Instituts für osterreichische Geschichts-forschung, xxii). Letter (A) concerning Edward IV (in Athenaeum, 1900, 6 ottob. n. 3806, p. 444). La lettera è scritta da Londra da Battista Oldovini di Biugnato ad Antonio Biacelli a Milano, nel 1476. Madonna (La) della Neve. Numero unico dei solenni festeggiamenti per la consacrazione del suo artistico e monumentale Santuario alla Spezia. S. Pier d’Arena, tip. Salesiana, 1901. Manis Fanny. Giuseppe Verdi e l’Inno di Goffredo Mameli (in Bulle tt ino bibliogafico sardo, I, 11. 4). Merkel Carlo. L’opuscolo « De insulis nuper inventis » del messinese Nicolò Scillacio professore a Pavia confrontato colle altre relazioni del secondo viaggio di Cristoforo Colombo in America. Milano, Cogliati, 1901 ; in-4, pp. vm-118 e facs. Nigra Costantino. Uno degli Edoardi in Italia. Favola o storia? (in Nuova Antologia, xcil, Ser. IV, p. 403). Vi si parla di Emanuele I iesco e di una sua lettera sulle ultime vicende di Edoardo II d’ Inghilterra. P. L. P. Le vie di Genova (in Lasettimana religiosa, 1901, n. 3, 13, 15)· (In continuazione dell’anno 1900). Podestà Emmanuel. Carmen ad navem cui nomen « Regina Margarita». Spediae, Argiroffo, 1901 ; 111-4; cc· 4 η·η· Podestà Ferdinando. Il Preziosissimo Sangue di N. S. Gesù Cristo in Sarzana. Genova, Sordumuti, 1901 ; in-8, pp. 179, con tav. Poggi G. Le due riviere ossia la Liguria Marittima nell’ epoca romana. Genova, Pagano, 1901 ; in-8, di pp. 136 con fig. Poggi Vittorio. Catalogo descrittivo della Pinacoteca Civica di Savona. Savona, Ricci, 1901 ; in-8, di pp. 82. — Series rectorum Reipublicae Genuensis videlicet potestatum, consolum, vicariorum et capitaneorum populi inde a primi potestatis electione anno MCXCI usque ad ducalis regiminis institutionem anno MCCCXXXIX accedit series abbatum populi a prima eorum origine anno MCCLXX ad annum MCCCXXXIX. Augustae Taurinorum, Paraviae, 1900; in-8, di pp. 307. Schulte A. Geschichte des mittelalterlichen Handels und Verkehrs zwi-schen Westdetschland und Italien mit Ausschluss von Venedig. Leipzig, Duncker en. Flumblot, 1900. — Si parla, con documenti, delle relazioni commerciali dei tedeschi con Genova. Sorbelli Albano. Francesco Sforza a Genova (1458-1466). Saggio sulla politica italiana di Luigi XI con L Documenti inediti tratti dalle biblioteche e dagli archivi di Parigi. Bologna, Ditta Nicola Zanichelli, (tip. Legale), 1901; in-8, di p. 821. Spagna G. Una lettera inedita del Mazzini. Siracusa, tip. del Tamburo, 1901 ; in-8, di pp. 12. Torraca Francesco. Le donne italiane nella poesia provenzale. Su la «Treva» di Guglielmo de la Tor. Firenze, Sansoni, 1901; in-8, pp. 84. — Vi si parla delle donne liguri e lunigianesi ricordate dai trovatori. Giovanni Dapozzo amministratore responsabile. PUBBLICAZIONI RICEVUTE VICTORIUS Poggi. Series rectorum Reipublicae Genuensis videlicet potestatum, consolum. vicariorum, et capitaneorum populi inde a primi potestatis electione anno MCXCI usque ad ducalis regiminis institutionem anno MCCCXXXIX accedit series abbatum populi a prima corum origine anno MCCLXX ad annuiti MCCCXXXIX. Augustae Tourinorum, Paraviae, 1900. Annali genovesi di CaJJaro e de’ suoi continuatori dal MCLXXIVal MCCXXIV a cura di Luigi Tommaso Belgrano e di Cesare Imperiale di Sant’Angelo. Vol. II. Roma, Istituto Storico. 1901 (Genova, Sordomuti). Carlo Petri. Commemorazione di Salvatore Bongi nel primo anniversario della sua morte. Lucca, Giusti, 1901. Episodi diplomatici del risorgimento italiano dal 1856 al 1863 estratti dalle carte del • generale Giacomo Durando compilati da Cesare Durando. Torino, Roux e Viarengo, 1901. Per V inaugurazione del monumento a Pietro Tacca. Carrara 18 novembre igoo. Discorso del dott. ACHILLE Lombardini. Carrara, Sanguinetti, 1900. A. Fi AMMAZZO. Tra bibliografi. Lettere inedite. Bergamo, Istituto Arti grafiche, 1901. Trentasette lettere inedite del can. dott. LUCIO DOGLIONI. Feltre, tip. Castaldi, 1901. Carlo Caselli. L’ affettività degli animali. 1901, Remo Sandron (F. Andò) Milano-Palermo. Ugo Ojetti. Elogio di Giuseppe Verdi. La Spezia, Zappa, 1901 (collezione Iride). Guido Bigoni. Una fonte per la storia del Regno di Sicilia. Il Carmen di Pietro da Eboli. Genova, Pagano, 1901. Giovanni Jachino. Storiografia Alessandrina (Alessandria dalle sue origini alla pace di Costanza). Alessandria, Iacquemond, 1900. Carlo Cilleni-Nepis. Il « Drago » nella leggenda di S. Mauro e di S. Felice in Val di N'arco. Aquila, Vecchioni, 1900. ATTILIO Gentille. Una lettera inedita di Carlo Goldoni. Trieste, Caprin, 1900. Henri HaUVETTE. Recherches sur le « De casibus virorum illustrium » de Boccace. Paris, Alcar, 1901 — Une Confession de Boccace « Il Corbaccio». Bordeaux, Feret et fils, 1901. Angelo Amadei. Il Santuario di N. Signora della Neve atta Spezia. Cenni Storici. S. Pier d’Arena, tip. Salesiana, 1901. Prospero Peragallo. La Bibbia dos Jeronymos e la Bibbia di Clemente Sernigi. Studi comparativi. Genova, 1901, Stab. Papini. ALFREDO Comandini. L’ Italia nei Cento anni del secolo XIX giorno per giorno illustrata. Milano, Vallardi, 1901 ; Disp. 19, 20. Raffaello Barbiera. Immortali e dimenticati. Milano, Cogliati, 1901. P. M. Leonardo. Inventario dei sacri arredi della Tesoreria metropolitana di Bene-vento nel 1431. Benevento, D’Alessandro, 1900. E. Maddalena. Lettere inedite del Goldoni. Napoli, Detken et Rocholl, 1901. Intorno alla Famiglia dell' antiquario Carlo Goldoni. Napoli, Melfi e Joele, 1901. Lno t scenario inedito. Wien, 1901, Holzhausen. Nuovi documenti sui dissidii Francescani trascritti dal p. G. Boffito Barnabita. Nota di Felice Tocco. Roma, Lincei, 1901. Giuseppe Roberti. Un anno della vita di Carlo Botto. Roma, Forzani, 1901. La musica in Italia nel secolo XVIII secondo le impressioni di viaggiatori stranieri. Torino, Bocca, 1900. Commemorazione centenaria della fondazione della scuola pei sordomuti in Genova. Numero unico. Genova, Sordomuti, 1901. Podestà Emanuel. Carmen ad navem cui nomen « Regina Margarita». Spediae, Ar- giroffo, 1901. . Filippo Bosdari. Giovanni da Legnano canonista e uomo politico. Bologna, Zanichelli 1901. Vittorio Poggi. Catalogo descrittivo della Pinacoteca Civica di Savona. Savona, Ricci, 1901. Nel varo della « Regina Margherita » XXX maggio MCMI. Ode di Giuseppe Finzi. Spezia, Zappa, 1901. PREZZO DEL PRESENTE FASCICOLO: L. 2 TORNALE STORICO E LETTERARIO DELLA LIGURIA diretto da ACHILLE NERI e da UBALDO MAZZINI. & £. ^ ^ ANNO II. FASC. 7-8-9 içoi γλ ^ ·. --, , Luglio-Ag.-Sett. SOMMARIO ΛΓ ,.^V P°®GIor-INi : Un poeta scapigliato, Marco Lamberti, pag. 241 —-A. Ferretto· — FrmaeStri ,dÌ. SCUOk ed altri benemeritì di Rapallo nel sec. xv, pag. 277 F Sforza in λ ct-i neutralità astense nella guerra fra Genova e Milano e la signoria di bi'blioteea di Pao nT nU0V1 d°CUmenti’ ^ 300 ~ F· Affamo : Il catalogo della F NOTI7TF ° * F‘ Gabotto ' Ct· Dalla Santa’ Pa§· 346 — SPIGOLATURE p PaS· 354 ~ APPUNTI DI BIBLIOGRAFIA LIGURE, pag. 3c8 _ Pubblicazioni ricevute, pag. 360. LA SPEZIA DIREZIONE Società d’incoraggiamento editrice AMMINISTRAZIONE Genova - Corso Mentana -— Ln Spezia - Amministrazione 43-12 Tip. ni Francksco Zappa del Giornale GIORNALE STORICO e LETTERARIO DELLA LIGURIA 24 I UN POETA SCAPIGLIATO MARCO LAMBERTI. Un poeta che appartiene a quel gruppo di rimatori giocosi e satìrici fioriti in Toscana sulla fine del cinquecento e i primi del secento, cui accenna il Belloni (i) nel suo recente volume intorno al secolo XVII, è Marco Lamberti, dottore in leggi e teologo, che fu preposto nella terra di S. Casciano, e che ebbe a suoi giorni rinomanza notevole. Alessandro Allegri (2), fondatore dell Accademia della Borra, lo salutava « poeta, matematico e dottore ». Il Cinelli (3) e il Targioni Tozzetti (4) lo dicono celebre. Per la vita che condusse fu un sacerdote tut-t altro che esemplare, cioè fu un perfetto campione della « scapigliatura ». Che cosa fosse la scapigliatura, ce Io spiega un poeta giocoso di quel tempo, Girolamo Leopardi, detto fra gli Accademici della Borra il Ricardato, nato a Firenze il 3 novembre del 1559, mortovi il 12 marzo del 1620 (5), uno fra i tanti imitatori della poesia bernesca, il quale in una meschinissima raccolta di versi, che ebbero l’onore di tre edizioni (6), e (r) Il Seicento (Milano, Vallardi, 1899), P· 236. (2) Seconda parte delle rime piacevoli (Verona, 1607). Capit. al signor Marco Lamberti. (3) Prefazione al Malmantile racquistato, (Finaro, Rossi, 1676) p. ri. Fa pure menzione di lui nella Biblioteca Volante, scanzia IX, p. 76. (4) Relazioni di alcuni viaggi fatti in diverse parti della Toscana. Edizione seconda. Tomo ottavo, (Firenze, Cambiagi, 1775) p. 158. Il Lamberti è ricordato altresì nel Dizionario geografico fisico-storico della Toscana di Emanuele Repetti, vol. V, (Firenze, 1843) p. 26-32 ; come pure nelle Memorie di San Casciano di Ermenegildo Francolini, (Montepulciano, 1847) p. 36-37. Il Crescimbeni nella Istoria della volgar poesia (vol. I, libr. 6) e il Quadrio, Della storia e della ragione d’ogni poesia, (vol. II, libr. 1, distinzione 2, cap. 6) ne fanno appena il nome. (5) La data della nascita è attinta ai libri de’ Battezzati dell’Opera di S. Maria del Fiore; l’altra al Libro dei Mol ti neH’archivio di Stato di Firenze, voi. 256, c. 175, dove, secondo lo stile fiorentino, è segnata la data del 12 marzo 1619. (6) La prima edizione è del 1613: Capitoli e canzoni piacevoli di Girolamo Leopardi fiorentino, nell’Accademia della Borra detto il Ricardato, Firenze, nella stamperia de’ Sermartelli, 1613. La seconda edizione, Giorn. stor. e lett. d. Lig. II. jg 242 GIORNALE STORICO E LETTERARIO DELLA LIGURIA furon citati come testo dall’Accademia della Crusca, ci ha lasciato due canzonette caratteristiche, che, a guisa di canti carnascialeschi, suonano quale inno trionfale degli scapigliati. La frase era allora di moda : coloro che facevano di ogni erba fascio, tenendo una vita disordinata e scandalosa, li chia-mavan prima rompicolli — avverte egli in un suo capitolo ora scapigliati. E nella Scapigliatura degli uomini li fa cantare in quartine di negletti ottonari : Noi siam tutti scapigliati, Gente ardita e fanti lesti, Che per dire i nostri gesti Siam qui oggi radunati. Che cosa fanno? Si può immaginare: cominciano a bere fin dalla mattina: han per domicilio la taverna; per amiche, finché le posson pagare, le donnine più allegre e più compiacenti. Non vive strozzino alla cui pietà non si siano raccomandati; nè occorre molta intelligenza a indovinare le gesta loro. Rotti ai vizi e al mal costume, son pieni di guai, d incomodi e di preziosi ricordi : Bolle, infiati, gomme, doglie, D’ogni cosa abbiamo un poco : Siam fuggiti più che Ί fuoco Nel trattar di pigliar moglie. » Agli uomini scapigliati fan degna corona le donne scapigliate, che non voglion esser da meno dell’altro sesso, e che rivelano sè medesime: Donne siam, pur donne oneste, Benché vane a paragone, Senza fil di discrezione, Alla terra e al ciel moleste. Si abbigliano e si adornano, seguendo la moda, pur di esser guardate : passano il tempo nel far visite di convenit nza e di amicizia; ballano e si divertono di continuo. Aman lo sposo, ma senza prendersela troppo: danno i figliuoli a custodire alle go- corretta ed ampliata, con un’ avvertenza dello stampatore e con la dedica all' illustrissimo sig. Ferdinando Sa racine Ili, gran cancelliere della sacra Religione di S. Stefano e cameriere segreto del serenissimo G. Duca di Toscana, è del 1616. La terza, del 1636, non è che un’esatta ristampa della seconda : solo v’ è tolta 1’ avvertenza citata. GIORNALE STORICO E LETTERARIO DELLA LIGURIA 243 vernanti, e ingannano i mariti con astuzie e strattagemmi. Trionfa in loto la vanità più sfrenata e lo svago continuo (i). Tutto ciò è detto in versi da colascione, che, se non hanno valore letterario, presentano per altro un certo valore storico, perchè Orazio Persiani, un altro della cricca, poeta arguto e faceto di quel tempo, ha una canzone che contiene anch’essa il programma epicureo qui riassunto; e Antonio Malatesti lo ribadisce in un Dialogo fra un poeta ed uno scapigliato (2). Ta scapigliatura raccoglie adunque in Firenze, negli ultimi del 1500 e nei primi del 1600, i discoli e gli sbarazzini, siano poveri o ricchi, preti o secolari, libertini insensati od uomini d ingegno. Il Dati (3) menziona qualcuna fra le tante burle, in mezzo alle quali la gioventù scapigliata passava il tempo, prendendo specialmente di mira i preti che bazzicavano quei capi scarichi. E fra i preti scapigliati è Marco Lamberti, toscano senza dubbio; ma la data e il luogo della nascita non mi è stato possibile rintracciarli; e le ricerche nei libri dei battezzati dell Opera di S. Maria del Fiore non han presentato nessun resultamento sicuro. Il Salvini in una postilla all’esemplare ma-rucelliano della Stona del Negri lo dice, non so con qual fondamento, « canonico di Figline ». Comunque sia, egli è nato certamente nella seconda metà del secolo XVI; e si palesa poeta di vena inesauribile e d’ingegno vivacissimo, abbandonandosi a ogni genere di capestrerie, depravato nello scrivere e depravato ne’ costumi. Lasciò una quantità innumerevole di rime burlesche, satiriche e sacre, che si conservano in massima parte manoscritte nelle biblioteche fiorentine. Il Cinelli nella Toscana letterata (4) narra -che il padre suo Domenico, amico intimo del Lamberti, possedeva molte composizioni poetiche di lui, licenziosissime, illustrate da disegni immorali: mosso da sentimenti religiosi, le dava alle (1) Leopardi, ediz. cit. del 1616, p. 87-112. (2) C. Arlia, La Bohème, scapigliatura ec., in Risveglio educativo (Anno XII, n. 40, Milano, 29 febbraio 1896), p. 164-165 ; Propugnatore, vol. VI, parte 1, p. 103 e seg. (1873). Anche nella raccolta di Poesie italiane inedite, per cura del Trucchi, si allude alla scapigliatura, vol. IV, p. 249. (3) Lepidezze di spiriti bizzarri, (Firenze, Magheri, 1829), p. 36, 37, 48, 49. (4) Toscana letterata, ms, t. II, c. 1212-1215. 244 GIORNALE STORICO E LETTERARIO DELLA LIGURIA fiamme. Insofferente di giogo, sboccato, manesco e sensuale, aveva il Lamberti qualità opposte a quelle che si richiedono a un sacerdote, e non ci farà meraviglia se divenne un prete libertino e senza scrupoli. Fu amicissimo di Galileo, come attestano il Cinelli (i) e il Magliabechi (2), e come risulta da una lettera di Iacopo Sol-dani (3), il quale, indirizzandola il 7 gennaio 1636 al Galilei stesso, lo informava di esser passato da S. Casciano e di avervi veduto monsignor Marco Lamberti, che gli aveva letto dei versi, dicendogli di aver l’intenzione di recarsi presto a visitare il grande scienziato. Fu altresì nelle buone grazie^ dei prìncipi di Casa Medici; e il granduca Ferdinando II, che si dilettava delle sue poesie, passavagli una provvisione — come attestano il Cinelli e il Magliabechi — di diciotto scudi il mese, sebbene i proventi di S. Casciano, aggiunge quest’ultimo, fossero abbastanza buoni (4). Sfogava Γ estro in capitoli alla bernesca, in sonetti, in ottave, in canzoni, in poesie amorose, satiriche facete e lubriche; e, insieme con queste, improvvisava rime d’argomento sacro, parafrasando 1 Salmi, come vedremo, o ispirandosi alla passione o al maitiiio di Gesù Cristo. Scriveva versi mattina e sera che, se profani, piacevano per la scorrevolezza, per la maldicenza o per la scurrilità loro; satirici, flagellavano l’ipocrisia dominante; religiosi, parlavano al cuore de’ credenti. Nè mancano versi in cui ritrae la vita scapigliata eh egli conduceva fin da giovane, e nei quali fa come una specie di esame di coscienza: Quanto m’ abbia, per Dio, fatto quest’ anno, Non ho giocato mai tanto in disdetta, E per cavare i creditor d’ affanno Fra pochi dì la prigionia m’aspetta: (1) Toscana cit. e nella prefaz. all’ediz. già cit. del Malmantile. (2) In un suo zibaldone, che trovasi fra i codici della Biblioteca Nazionale di Firenze, sino ad ora non registrati, il Magliabechi dà notizie importanti intorno al Lamberti. Debbo tale comunicazione all'egregio signor Costantino Arlia, studiosissimo di questo periodo letterario, noto per le sue pregiate pubblicazioni, e che mi è stato largo di consiglio e di aiuto con una gentilezza senza pari. (3) Opere di Galileo, prima ediz. compì. Tomo X, (Firenze, 1853), p· 134-135· (4) Cinelli, Toscana cit. e Magliabechi nello zibaldone, di cui sopra. GIORNALE STORICO E LETTERARIO DELLA LIGURIA 245 I libri al Cianfi, e ’l ferraiol di panno Λ1 Monte, e gli scaffali alla Loggetta : Di più lasciai venerdì sera in ghetto Asperges, cotta, breviario e letto (1). Confessa inoltre di essersi giocati i danari che gli dovevano servire per addottorarsi, e il Cinelli (2) lo conferma; confessa anche di aver relazioni tutt’ altro che spirituali con qualche donna molto allegra. E il dichiarare di essersi rovinato per gli stravizi e pei disordini di una vita licenziosa, è come il ritornello di questi e di altri suoi versi : E non ho più di patrimoni entrate, Di ben di chiesa son ridotto al basso, Ch’imbroglio il verno ciò ch'io ho l’estate. I canonici poi fanno, un fracasso, E non mi voglion dar chiese curate, Ch’ io manderei le pecorelle in chiasso (3). Tale essendo il suo carattere e la sua indole, non ci stupiremo nel ravvisarlo eternamente innamorato e nel sentirlo spasimare per più donne. Ammette egli stesso (4) di aver cominciato fino dai sedici anni a desiderarle e a cantarle, e i codici consei vano più nomi: Anna, Angela, Giulia, Nina, Settimia, oppure ci danno semplici iniziali. Anzi, a completare il quadro, v’ è anche una monaca, suor Ottavia, di cui s era invaghito, e per cui allagava d’amarissimo pianto il parlatorio (5). Quando la passione amorosa Io affanna, scrive sonetti in cui in apparenza si dispera e impreca, rivolgendosi anche alle ombre di Averno : Spirti infernal, che daìle fauci ardenti Fiamme spirate di perpetuo danno, Udite il pianto e ’l disperato affanno Scritto col sangue de’ pensier dolenti. Udite, ombre d’Averno, i miei lamenti.... (6 . (1) Cod. Marne. C. 212. (2) Toscana te!ter. cit. (3) Mar. C. 212 e C. 24r ; Mgl. VII 494. (4) Mgl. VII 200. (5) Mgl. VII 363; Mar C. 241. (6) Mar. C. 212; Mgl. VII 200 e VII 356. 246 GIORNALE STORICO E LETTERARIO DELLA LIGURIA E passa talora ad accenti di cupo lamento con intonazione e reminiscenza petrarchesca: Del mal gioisco e d’ ogni ben m’ attristo, Turban la mente mia larve infernali, Che fan gelar li spiriti vitali, E dentro al cor mille contrari ho misto. Non d’ onor, non di gloria ho fatto acquisto, Vivo misero al mondo 111 tanti mali, Ch’ io già dispero e son fra gli animali Il più confuso che facesse Cristo. La testa che mi gira e mi si spezza, E di me stesso ancor 1’ odio e lo sdegno, Un inferno di pene han fatto a ’l core. Così la vita a mille morti avvezza, Brama di giorni suoi 1’ ultimo segno, Che non sa schermo ritrovar migliore (1). Versi mediocrissimi e poveri d’ispirazione, ma pur sempre passabili, se riflettiamo alle esagerazioni ed alle goffaggini, cui si abbandonano nel secento i più noti poeti. Nè il Lamberti è immune da rime artificiose e convenzionali, perchè talora si diletta di antitesi, di concettuzzi, di giochetti di parole e di bisticci. Ora chiede pietà, ora si lagna, o rimprovera la bella di esser troppo fredda, o si contorce fra spasimi sensuali, o impreca contro la superbia, la civetteria e la vanità delle donne con tono petrarchesco della peggior maniera e con un fare sdolcinato e lezioso. Ma quando in forma di strambotto ritrae a piena gola il cantare di piazza, ha versi d’innegabile naturalezza: S’ io ti cerco mai più dove tu sia A predica o perdono, a ballo o festa, Se mai ti parlo in casa o per la via, S’ io mi ti cavo più, donna, di testa, Se mai pretendo amore o cortesia, O di tuo conversar pratica onesta, O s’ io mai più di te penso o ragiono, Sputami in faccia ch’io te lo perdono (2). E altrove dirà con la medesima scorrevolezza di tono: Giulia, tu fai da trista e sei balorda, E quanto strilli più, manco ne sai ; Chi vuol meco durar, lecchi e non morda, Mostri di non voler chi vuole assai ; Se tiri, ti diss’ io, tanto la corda, O Giulia, un giorno tu la strapperai : Allor tu mi burlavi, et or t’ incresce Che t’ è scappato dalle reti il pesce. (ί) Μ gl. VII 356, VII 200; Mar. C. 212 e 241. (2) Mgl. VII 364 e 495. GIORNALE STORICO E LETTERARIO DELLA LIGURIA 247 N Pegg'° è quando avventa contumelie e insulti, quando prorompe in oscenità plebee, nelle quali è maestro: Ma resta col malan, brutta carogna, Robaccia da chiassuoli c scannatoi, Soggettàccio da torsoli e da gogna, Bersaglio da bastoni e da rasoi (1). Egli alterna con grande varietà rime facete, burlesche e malediche insieme, sia per passare il tempo, per dar libero sfogo all animo suo o per tenere allegre le brigate e i capi scarichi della sua specie. E fin qui nulla di male. Il guaio è che, pur troppo, ci restano di lui parecchi versi di argomento addirittura nefando. È l'oscenità per l’oscenità, la pornografìa per la pornografia. Non si tratta di rime in parte licenziose o equivoche, sulle quali si possa chiudere un occhio per la leggiadria dello scherzo e per la tenuità della cosa. Qui siamo dinanzi a sozzure inqualificabili, tanto più ripugnanti e nauseanti in quanto chi le scriveva era un sacerdote fornito d'ingegno e di attitudini poetiche, e che, in fondo in fondo, non era un perverso nè un abbrutito. Intendo alludere ai Dubbi 0 casi di coscienza del Lamberti, che consistono in una serie continuata di strambotti, l’uno più sozzo dell’ altro (2). È questo un traviamento dei più sciagurati e de’ più miserandi, di cui a mala pena ci possiamo render ragione. Certo è che i versi innominabili, che egli scriveva, correvano per molte mani ; venivan letti con malsana avidità e desiderati ardentemente fra il precipitar dei costumi, l’infiacchirsi degli animi e il decadere politico: il che darà incentivo e materia a una letteratura burlesca in gran parte obbrobriosa. Il Granduca non si compiaceva forse di quei versi? L’abbiam visto: a un cultore principale di questa poesia passava una contribuzione mensile. Codesta società sfarzosa e sudicia ne rideva e vi si ingrassava. A noi muovono semplicemente nausea, e non si arriva a comprendere come, a lungo andare, non ne fossero stomacati anch’ essi. Notevole un altro particolare: in qualche sonetto il nostro maledico prete accumula descrizioni obbrobriose di atti nefandi (1) Mgl. VII 495. (2) Mar. C. 214. Quasi tutti i codd. ricord, contengono versi pornografici del Lamberti. 248 GIORNALE STORICO E LETTERARIO DELLA LIGURIA perpetrati in sagrestia (1); e contro i frati soprattutto rivela un odio feroce e implacabile, e non tralascia nessuna occasione per flagellarli con tutto il furore o schernirli con tutto il disprezzo. Per esempio: scrive de' versi, come a lui capita spesso, contro una donna perduta; e in una corona di quattro sonetti si rivolge all’ eroina, ce la descrive coi soliti colori, Γ apostrofa con le espressioni triviali del suo intercalare, e chiude così il terzo sonetto (2) : Troppo superba sei, sei troppo ingorda, Troppo ti pregi, ohimè, troppo ti vanti, Troppo da te la carità discorda, Troppo hai la mira ne’ danar contanti : Or se troppo così tiri la corda, T’ avranno in odio (3) i più fedeli amanti. E riprendendo l’ultimo verso, comincia in tal modo il quarto sonetto : T’ avranno in odio i nobili e furfanti, E quei di dentro e quei fuor di Fiorenza, Di Sem, di Cam, di Jafet la semenza, Pinzochere, giudei, birri e pedanti. T’avranno in odio i frati tutti quanti, Quei della scarpa e quei che vanno senza, E gli altri manigoldi in quintessenza, Che sono, al parer mio, gli zoccolanti. È vero che di accuse e contumelie non v’è mai stata scarsità contro i frati, ma questo è un prete, fratello nella stessa fede, e dipendente dalla Chiesa comune, che li vitupera e li maltratta; e qualche volta, vedremo, si prenderà il gusto di bastonarne taluno. Ma si dirà: e l’autorità ecclesiastica così rigorosa e implacabile dopo il Concilio di Trento, che faceva? Come poteva tollerar lo scandalo di un prete licenzioso ne’ costumi, pornografico e maledico nello scrivere? Badiamo: si cercherà, quando trascorra agli estremi, di punirlo; sarà condannato anche alla prigione; ma il guaio è che, in casi di questo genere, una risoluzione definitiva non verrà mai presa; e chi paragonasse i rigori dell’inquisizione contro Galileo alla perniciosa tolleranza, di cui qui si ha un esempio, dovrebbe pur troppo convenire (1) Mar. C. 241 e Mgl. VII 364. (2) Mar. C. 241, C. 212, Ashburn. 749-680. (3) Sostituisco la variante odio, che a questo verso presenta il cod. Ashburn. 749-680 perchè 1’ altra espressione, confermata da vari codici, è oscena. GIORNALE STORICO E LETTERARIO DELLA LIGURIA 249 quanto sia grandfc e inesplicabile la cecità, per non dir l’ingiustizia, degli uomini. Giocatore e donnaiolo, pien di debiti, il Lamberti credè che, a pagarli, il cambiar aria gli potesse giovare sotto ogni aspetto, e che la fortuna gli sorridesse. Lo starsene a Firenze trita e doma Per 1’ aria di quaggiù, 1’ estate appesta ; Però vi lascio per portar la soma In parte ove non sia tanto molesta ; E me n’ andrò fra quattro mesi a Roma In corte d’ un pretin, eh’ alza la cresta, Che non è cardinal, ma gran prelato ; Ma vi so dir, per Dio, eh’ io 1’ ho chiappato (i). Eccolo dunque a servire un prelato, probabilmente di casa Strozzi, come parrebbe dall’indicazione di un codice (2). Ma con la sua indole irrequieta e insofferente di ogni giogo, con quella lingua sboccata, con le abitudini sue, con la testa al vento e che pensava solo a far versi, era possibile che conseguisse onori e importanza nella corte pontificia ? Ahimè! Dai verbosi capitoli ch'egli indirizza agli amici, apparisce subito che l’uomo non è cambiato, e che non è affatto disposto a servir nessuno. Io mi sto a Roma, e ’l barbazzale e ’l morso Ho posto a’ miei pensier per farmi in tutto Cortigian goffo e destro come 1’ orso (3). E anela di uscir dalla rete, dove è incappato, lasciando a chi le vuole tutte le ricchezze e gli onori. Il suo malumore non ha più tregua, giacché la servitù gli pesa troppo e per 1’ avvenire non vuol più servir preti. Se la piglia quindi coi cardinali, rotti al male, all'intrigo, alle finzioni; con la corte pontificia, ch’egli paragona al diavolo, con la città di Roma, che qualifica per « vecchia baldracca », con le tradizioni classiche, che ci abbagliano. Romolo chi era? «un capo di ladri e di assassini ». La grande stirpe romana derivò da quella prima canaglia. E finisce col detestar Roma, che gli ha fatto provar tanti disinganni; s’augura persino che il dominio del triregno vada in malora, ed esclama: (1) Mar. C. 212. (2) Ashb. 580. (3) Mgl. VII 244 e Ashb. 580. 2 50 GIORNALE STORICO E LETTERARIO DELLA LIGURIA Così vedrei ridotta in monarchia I.’ Italia, e ’1 papa, all’avarizia intento, In chiasso andar con la sua preteria (l). Sperava, servendo, di ottener vantaggi e benefici da pai te dei cardinali, e invece lo fanno morir mendicante. Non pagan mai, e quando se ne ricordano, ti corrispondono una mercede irrisoria. E ne’ grandi e ne’ ricchi ognun si specchia, Ma alle genti misere e mendiche Nessun rivolge 1’ occhio nè 1’ orecchia. Che non è sì gran numer di formiche, Come di quei che miseri e falliti Sospiran dentro queste mura antiche (2). Meglio starsene in casa propria; e fortunati coloro che non son dovuti fuggire dal dolce terreno, dove son nati. Felice davvero chi sa contenersi ne’ propri desideri ; chi è contento del proprio stato, fra le pareti domestiche. Vivere a casa sua vita si chiama, Però che gli anni che trapassi in corte, O serva duca, cardinale o dama, Vita non si può dir, ma dolce morte Che ti fa diventar ’n un batter d’ occhio, Termine d’anticamera 0 di porte (3). Il « gran prelato » nel quale sperava e che egli serviva, a quanto ci dice, per circa venti anni (4), diverrà un ricordo insopportabile della sua vita. Bastano a testimoniarlo due sonetti piccantissimi, già editi, nel primo dei quali traccia il confronto tra la Roma di una volta e quella d allora ; nel secondo manda un ultimo saluto alla città eterna (5). (1) Riccard. 2779, Mgl. VII 363, Palat. E, 7.8.6. (2) Riccard. 2779, Mgl. VII 363. (3) Riccard. 2779 e 2833, Mgl. VII 363· Capii, pubblicato nella Miscellanea di cose inedite 0 rare di I·. CORAZZIMI, (Firenze, Baracchi, 1853, p. 340-342). (4) Riccard. 2779, Mgl. VII 363 e VII 7, 313. (5 1 Questi due sonetti furon pubblicati, secondo la lezione del cod. Ricc. 1906, nella raccoltina di Poesie inedite di Galileo Galilei, di /■raucesco Redi, di Pier Salvetti, di Marco Lamberti e di Antonio Mala testi per cura di G. Piccini, (Firenze, Cecchi, 1867). Si trovano con varianti nei codd. Mar. C. 241, Ricc. 1906 e 2779, Mgl. VII 369 e 373, e nel-l’Ashb. 580. GIORNALE STORICO E LETTERARIO DELLA LIGURIA 25I Non ci è dato determinare con esattezza gli anni durante i quali rimase a Roma ; certo vi si trovava nel 1606, e lo desumiamo da un capitolo che egli rivolgeva allora a papa Pio V (1). L anno dopo, stando all’indicazione di un codice (2), ne scriveva da Firenze un altro al cardinale Macinghi. Dovevano in questo tempo esser già noti i versi di lui contro la corte di Roma, perchè nella seconda parte delle Rime piacevoli di Alessandro Allegri, pubblicate a Verona nel 1607, si legge quel capitolo che ΓAllegri rivolgeva al Lamberti, alludendo ai versi medesimi e salutandolo, come abbiam veduto, « poeta, matematico e dottore ». Suo desiderio ardentissimo era quello di ristabilirsi in Toscana; ma se vi restasse dopo il 1607, oppure proseguisse a vivere ancora a Roma, non possiamo affermarlo. Abbiamo già notato che la sua vita libera e scapigliata, i suoi versi licenziosi, dovevano, prima o poi, farlo cadere sotto il rigore del-l’autorità ecclesiastica, giacché era tempo che questa, pel decoro della veste sacerdotale, si facesse viva ; e non ci stupiremo quindi se nel 1620 lo troviamo nelle carceri fiorentine del Bargello (3). Per quale motivo per altro? A. sentir lui, parrebbe che non se ne sapesse rendere nemmen ragione. Ma s’ io sapessi almen per quai peccati 10 ci son messo, ci starei contento Insieme con quest’ altri tribolati. Nondimeno sembra che la coscienza lo rimordesse in qualche cosa, perchè confessa che la fragilità dei sensi umani Io ha fatto traviare. Ma si affretta a soggiungere che si tratta di un leggero peccato veniale, per cui non occorreva tanto rigore ; e si sfoga con accento burlesco, velato da un po’ di amarezza. Se avessi fatto le corna al Bargello, S’io fossi 1’ inventor di tutti i mali, 11 truffatore ancor di questo e quello ; (1) Ashb. 580. (2) Ibid. (3) Il Targioni Tozzetti nell’opera citata, vol. VIII, p. 158; il RepetTI nel vol. V del suo Dizionario, p. 31, e il Francolini nella pubblicazione ricordata, p. 36-37, parlando del Lamberti, fan cenno della prigionia da lui sofferta pei suoi versi mordaci e osceni, e della parafrasi in ottava rima dei Sette Salmi penitenziali. 252 GIORNALE STORICO E LETTERARIO DELLA LIGURIA Se avessi tutti quanti i capitali Peccati, e insieme andassi congiurando La morte stessa al Papa e a’ Cardinali, Che stessi con gli eretici trattando Di far che Roma con 1’ Italia insieme Sottoposta venisse al lor comando ; e non basta : Se avessi il cuor d’ ogni peccato misto, S’ al fin fussi quel tanto iniquo e rio Ch’ in croce conficcò le braccia a Cristo, ebbene, neppure allora avrebbero dovuto infliggergli 1 orrenda prigionia, cui è costretto. Ed enumera i guai della prigione, vitupera i carcerieri (i); ma in un altro capitolo ad un amico non prevale più il tono giocoso, perchè sperava uscir di prigione al più presto ; invece vi giaceva da un pezzo. Si addolora quindi e si dispera; arde invano d’ira, di sdegno e di rancore, non si sa dar pace, nè sa capacitarsi della punizione. Se la prende con chi sembra riferisse ai superiori le mancanze ch egli aveva commesso, e manifesta persino il proposito di vendicarsi. Quel traditor, che m’ ha fatto la spia, Spero mandarlo a suo dispetto un giorno Tutto disperso per la mala via (2). È lecito tuttavia presumere che il soffrire a lungo e il macerarsi nel dolore lo piegassero un poco, e gli facessero ricordare che era sacerdote, e, come tale, attinger naturalmente alla fede conforto e ispirazione. Il fatto è che il 7 luglio del 1620 indirizzava dalla carcere al cardinale Carlo de’ Medici una parafrasi in ottava rima de’ Salmi penitenziali, accompagnandoli con una lettera piena di umiltà, di rassegnazione e di pentimento nella sostanza, tutt’ altro che perfetta quanto allo stile. Per non aggravare in un maggior pericolo l'anima mia, cerco, Monsignore illustrissimo, di spegnere, con l’antidoto delle rime spirituali, il veleno di quelle già composte da me nel furore della gioventù. E benché considerata l’umana imperfezione, sia impossibile che le opere buone contrappesino il difetto delle malvage, è anco vero che il Signore Iddio per placare la sua ira non bilancia rigorosamente gli affetti nostri, e se contro i buoni costumi già composi (1) Ricc. 2779, Mgl. VII 495, Mar. C. 214. (2) Ricc. 3490 (3153). Giornale storico e letterario della Liguria 253 qualche verso burlesco, dove non concorre l’animo, l’ardire della penna dovrebbe più facilmente trovare il perdono·, non per questo confido nella mia innocenza, sicché in virtù di quella rimanga difeso ; poiché mi confesso peccatore, e perciò ho composto in ottava rima i sette salmi del profeta David in penitenza de’ suoi peccati, i quali dedico a V. S. Ill.ma, desideroso di consumare con lo splendore della sua bontà la putredine che mi ha macchiato in qualche parte l'anima.... (1). E una specie di poema sacro costituito da sette canti, tuttora inediti; che risultati complessivamente di 118 stanze, ciascuna delle quali parafrasa un versetto dei salmi, ed ha in fronte la Volgata latina. Sappiamo dal Magliabechi (2) che questi versi, benché non stampati, erano sulle bocche di tutti, « sì dotti come indotti, tanto nobili come plebei ». Meritavano anzi maggior fortuna, poiché in mezzo a ridondanze e a difetti inevitabili, vi spiccano tuttavia bellezze intrinseche, un pio fervore religioso, un’ispirazione elevata e talora solenne. Così comincia il primo salmo (3): Domine, ne in furore tuo arguas me, neque in ira tua corripias me. Signor, che vedi i miei pensieri aperti, che scruti 1’ alme e i cor d’ ogni vivente, deh ! volgi gli occhi di pietà coperti a un cor contrito, a un peccator dolente ; non che degno ne sia, ma per quei merti eh’ usciron, mentr’ in croce eri pendente, sana i miei falli e non voler, Signore, riprendermi con ira e con furore. Miserere mei, Domine, quoniam infirmus vius: sana me, Domine, quoniam conturbata sunt ossa mea. (1) La lettera trovasi nel Mar. C. 214, nel Ricc. 2966 e in vari altri codici che contengono i salmi ; ma vi è trascritta in modo confuso ed errato. Ilo confrontato il testo con quello migliore, che riscontro in un manoscritto di proprietà privata, contenente poesie del Lamberti, gentilmente favoritomi dal sig. Cav. Carlo Nardini, bibliotecario alla Riccardiana di Firenze. (2) Zibaldone ricordato. (3) Ecco i codici, da me esaminati e confrontati, dove trovansi questi salmi: Mgl. VIT 201, 202, 203, 313, 494, 495, 824, 922, 945 e XL 48, 49; Riccard. 2947, 2966, 2972; Palat. 10, 60, 177 e 178; Ashb. 723-654 e 618; Mar. C. 214, 377, 208; Moreniani 146 e 306, più il cod. privato, di cui ho fatto cenno. 2 54 GIORNALE STORICO E LETTERARIO DELLA LIGURIA Miserere di me, che afflitto e stanco fuggo le voglie scellerate et empie ; che mi fan divenir pallido e bianco mentr’ il pensier di duol 1’ alma riempie : miserere di me, che inferni’ ho il fianco, l’ossa turbate e candide le tempie ; e ’l gelato mio cor co’ dolci sguardi del sol delle tue grazie avvampa et ardi. Et anima mea turbata est valde ; sed tu, Domine, usque quo? L’anima traviata in sè raccolta, spiegando il volo al canunin cieco e torto, lume non ebbe, in tenebre sepolta, da cui prender potesse alcun conforto ; ma s’ un tempo vagò misera e stolta, giunger or brama di salute al porto, e fra le nubi un divin raggio attende di quell’amor, eh’ in ogni parte splende. Ricapitoliamo brevemente e sostanzialmente 1 insieme dei canti, fermandoci dove i versi si elevino per vigore d ispirazione e per efficacia di poesia. È un' apostrofe di lamento e di spasimo rivolta alla Divinità; è una preghiera calda e appassionata che ritrae il timore, la speranza e la fede di un anima contrita. E i concetti generali si svolgono approssimativamente in quest'ordine d’idee. Tu sei, Signore, fonte di pietà che lavi e purghi le colpe, e che infondi il pentimento: i beati esalteranno sempre il tuo nome, pensando al quale, alla tua potenza e alle colpe nostre sgorga il pianto dai nostri occhi: questi si offuscano e la mente si confonde al lampeggiar della tua ira e del tuo furore. Beati coloro, cui son rimesse le colpe, e che, spiriti felici, han la grazia di esser riparati dal manto di Dio. Beatus vir, qui non abiit in consilio impiorum et in via peccatorum non stetit, et in cathedra pestilentiae non sedit. O beato colui, benché mortale, benché di terra e di vii fango nato, eh’ ad ogni pura forma è fatto eguale, a cui il Signor non imputa il peccato ; ma per alzarsi al ciel gli ha dato l’ale ; oh mille e mille volte più beato eh’ in questa vita di miserie piena, erge la mente a Dio chiara e serena (I). (l) Salmo secondo. GIORNALE STORICO E LETTERARIO DELLA LIGURIA 255 Offesa la maestà del Creatore, non è possibile liberar sè dal peccato; allora la mano di Dio si aggrava sopra di noi, ci colpisce, e non resta, quale sfogo e sollievo, che pianto amarissimo e implorarne il perdono. Tu es refugium meum a tribulatione, quae circumdedit me: exidtatio mea, erue me a circumdantibiis me. Tu che scopri il mio mal, tu che le piaghe miri d’ un peccator aperte e nude, e le sirene allettatrici maghe scorgi, ch’il falso mondo in sè racchiude; tu che sai quanto al mal oprar fur vaghe le voglie mie sì dispietate e crude, prender non voglia al mio soccorso indugio, sendo tu la mia speme, il mio refugio. A Te, dunque, ricorro e in Te pongo la speranza e la fede; e quando mi disvii dal retto cammino, soccorrimi e illuminami. E nell’ore notturne brevi e corte di questa vita, nel mio petto accendi col vivo sol de’ luminosi rai fiamma d’amor, che non s’estingua mai. Quante pene, quanti tormenti provano i miseri peccatori! Solo chi spera nella potenza celeste potrà vincer 1’ ambascia e sfidare l’avversità. Sale la preghiera in alto tra gli affanni e i sospiri, e il peccatore si dibatte fra i rimorsi e gli spasimi. Il suo cuore non trova nè pace nè conforto, ma la colpa è tutta sua, ed è percosso giustamente dal dolore. Quoniam iniquitates meae supergressae sunt caput meum : et sicut onus grave gravatae sunt super me. Qual diluvio raccolto in chiusa valle, da cui l’uom sopraggiunto orrido resta, l’acqua sentendo al fianco, or alle spalle, ch’alfin sopravanzar vede la testa, tal smarrito avend’ io quel dritto calle, ch’alia strada del ciel l’animo desta, grave peso d’ error s’avanza et erge, che nel fondo m’aggrava, e mi sommerge. Ma se tutti — prosegue il poeta — mi abbandonano e mi lasciano nel pianto, rimane Γ aiuto celeste a salvare gli uomini, purché la fede li sproni. Quoniam m te, Domine, speravi: tu exaudies me, Domine, Deus meus. 256 GIORNALE STORICO E LETTERARIO DELLA LIGURIA Ma che debb’ io temer, se tu, mio Dio, co’ remi di pietà riduci in porto la fragil barca ornai del viver mio, già prescritto nel ciel sì breve e corto? Te sol cerco, te bramo e te desìo, tu la fiducia mia, tu Ί mio conforto : sol nel tuo amor ogni mio ben s’avanza, tu sai ben. eh’ in altrui non ho speranza (1). Sgombra da me le some gravose della vita: ch’io lacrimi tanto quanto ho peccato, e se Tu non mi abbandoni, saprò trionfare d’ogni empio. E la preghiera continua ardente, volgendosi e ritornando sullo stesso motivo dominante e prediletto. Libera ine de sanguinibus, Deus, Deus salutis meae ; et exul-tabit lingua mea iustitiam tuam. Se dal corrotto sangue del peccato un dì libero sia, prima la morte recida il nodo, che mi tien legato a questa luce, e tenebre m’apporte, che mai ritorni a quel misero stato ch’alle speranze mie chiude le porte. Ma farò noto all’una e all’altra etade di te, giusto Signor, l’alta bontade. Domine, labia mea aperies: et os meum annuntiabit laudem tuam. Sciogli la lingua mia sì che le lodi del santo nome tuo celebri e canti ; apri le labbra eh’ in diversi modi t’offeser già con tanti falli e tanti ; fa’ che la voce dolcemente snodi dell’eterna tua gloria i pregi e i vanti, e questa bocca, ch’or di pianto abbonda, spiri dolce armonia eli’in ciel risponda (2). Dio trionferà su tutti: a’ suoi piedi cadranno le forze nemiche ed empie prostrate e annichilite. A Te, dunque, ogni lode, ogni onore, ogni gloria. Dunque a Te della gloria archi e trofei, eh’ in cielo e in terra non avran mai fine, barbari t’ergeran Sciti e Caldei, e quei eh’ han d’oro inanellato il crine : s’affretteranno gli Arabi e i Sabei ; ogni estremo del mondo, ogni confine già desolato resta, e veder parmi cedere al tuo gran nome i regni e l’armi (3). (1) Salmo terzo. (2) Salmo quarto. (3) Salmo quinto. GIORNALE STORICO E LETTERARIO DELLA LIGURIA 257 L’ultimo canto si chiude col proposito che l’anima non sia più schiava del peccato. Tu che vedi il mio mal, tu che ben sai quant’ebbi per altrui vergogne e danni, quante furon le pene e quant’ i guai eh’ ho sofferto d’amor molti e molt’anni, questi nodi, ond’ il piè non sciolgi mai, rompi, ond’ io vissi in così lunghi affanni, che ben coni’ uom fuss’ io duro e protervo, vo cercando or, Signor, d’esser tuo servo (I). Se è vera la notizia contenuta in un codice (2), egli avrebbe ottenuta la libertà dopo avere scritto questi versi, ma di carattere religioso ne ha parecchi altri: un centinaio di sonetti, qualche sestina, canzoni e ottave scritte in età più avanzata, in momenti di riflessione, di pentimento e di malattia, allorché il pensiero della morte lo tormentava o lo turbava il ricordo dei peccati commessi. In alcune rime di tal genere si rammenta il dramma del Calvario, e vi si tessono inni di gloria a Dio. Ma anche qui manca il senso della misura: Γ autore non lima e ritocca quello che compone. La sua vena poetica, così abbondante, non frenata nè regolata, si va disperdendo e intorbidando ; e i versi appaiono freddi, artificiosi e dilavati. Dove si segnala è nell’ ottava, che maneggia, come abbiam veduto, con facilità e con maestria, infondendole di quando in quando ampiezza d’intonazione, sonorità e musicalità di verso : Ecco eh’ io piango e nel mio pianto porto Il viso per vergogna ascoso e chino, In braccio del dolor trafitto e smorto, A te, Signore, mi prosterno e inchino. Prestami aita, ahimè, dammi conforto, Chè all’ombra della morte son vicino, Acciocché, invece di cipresso, sia Di palma fatta la corona mia, E prosegue con ispirazione crescente: Non sei tu quello che la Maddalena Di pianti fatta ampio lavacro e fonte, Dalla colpa levasti e dalla pena? E al tuo ladron, eh’ in sul Calvario monte Con voce umile e di speranza piena Te riconobbe tra l’offese e Tonte, Del ciel donasti la beata sorte, Che meritò d’accompagnarti in morte. (1) Salmo settimo. (2) Mgl. VII 495. È un cod. cartac. del sec. XVII, appartenuto al G ioni. stor. e lett. d. Lig. II. 258 GIORNALE STORICO E LETTERARIO DELLA LIGURIA E conchiude implorando: O Gesù pio, Gesù verace e degno, Che non vuoi morto il peccator, ma vivo, Per farlo erede del celeste regno ; Per quell’ampio di sangue ondoso rivo, Che spargi in sul funesto e duro legno, Mentre all’occaso di mia vita arrivo, Accogli in requie questo spirto, e sia In pace l’ora della morte mia (1). Uscito di segreta dal Palazzo di Giustizia in virtù, sembra, de’ suoi canti sacri, parrebbe avesse dovuto imparar qualcosa, mantenere i proponimenti fatti, pentirsi sul serio e non ricadere in nuovi eccessi. Ma questo prete era incorreggibile. Dal Bargello esce, per ora, ma nel Bargello lo ritroveremo. Il 26 gennaio del 1629 otteneva la prepositura di S. Casciano, nominatovi dai popolani, secondo che allora si usava (2). Ed oltre a rivestir la carica di preposto nella Chiesa madre di quella terra, aveva anche la cura della Chiesa di S. Maria Argiano (3), in una regione fertilissima e deliziosa, fra le più ricche e feraci della Toscana, tra la vai di Greve e la vai di Pesa, a 318 metri di altitudine, in mezzo ad un’ubertosa campagna, fiorente di uliveti, di vigne, di gelsi, di orti, di giardini e di boschi, a otto miglia da Firenze (4). I redditi abbondavano, e godendo per giunta di una provvisione di diciotto scudi al mese, che il granduca Ferdinando II, come abbiam veduto, Lami. Nella parte interna è scritto: / sette salmi composti da Marco Lamberti quando egli stava in carcere. Per questa composizione fu liberato dal carcere. (1) Racchiudono versi ascetici i cod. Mgl. VIT, 200, 359 > Mar· C. 241; Riccard. 3490 (3153); Moreniano 306 e Palat 177. Le stanze qui riprodotte appartengono al Riccard. 3490 e al Moren. 306. (2) Debbo la data alla cortesia del reverendo sig. canonico dott. Enrico Falaschi dell’Arcivescovado di Firenze, il quale 1’ ha attinta alle carte di quel tempo dall’ archivio dell’Arcivescovado medesimo. Vedi anche le Memorie di San Casciano del Francolini, già citale. (3) Dal registro delle Deliberazioni e partiti dall’anno 1633 al 1652, che ho potuto consultare nell’Archivio del Comune di S. Casciano, c. 46 v. (4) G. Targioni-Tozzetti, op. e vol. cit. E. Repetti, Dizionario geografico, fisico, storico della Toscana, cit. vol. V, p. 26-32. FRANCOLINI, op. cit., p. 7. Marinelli, La Terra, vol. IV, l'Italia, (Milano, 1895) §. VI, p. 899. GIORNALE STORICO I! LETTERARIO DELLA LIGURIA 259 gli passava, il Lamberti poteva ben dirsi sodisfatto in tutti i suoi desideri, perchè, ormai, non gli mancava proprio nulla. Certo, dovè proseguire a scriver versi in quel tenore di vita abitualmente allegra, che ben conosciamo, lasciando correre a briglia sciolta l'estro poetico sopra ogni soggetto e per qualunque occasione. Saranno canzoni all’amore, al sole, alla campagna, o sonetti che ritraggon la sua vita di gaudente e di bontempone, e da cui trasparisce una serenità ed una semplicità tutta agreste : Oh quant’è meglio vivere in quiete E godendo gli amici in pace e in ozio, Tendere a’ pettirossi la parete! (i). E in una serie di versi di questa specie disegna e ritrae la vita placida e beata del pievano di campagna, che ingrassa e arrotonda senza pensieri molesti, conversando e giocando in lieto tripudio di conviti e di cacce. E soprattutto canterà il buon vino e le sue delizie con un senso di voluttà e di stordimento : Un vin delicatissimo e soave Che fa venir la lacrimetta agli occhi ; A chi troppo ne bee, parrà che tocchi Brillando, con la testa, 1’ architrave (2). E altre rime scriverà contro persone superbe, contro vecchie che fan da giovani, contro donne brutte e villane, contro spie, scrocconi, male lingue che diran corna di lui : rime innumerevoli, d ogni specie, serie e burlesche, spesso spesso con allusioni sconce e volgari tanto per non perder l’abitudine (3). E le ottave specialmente si seguono scorrevoli e facili con le ripetizioni e le amplificazioni proprie a questo genere popolare: Donne, la bella donna senz’amore n. giusto come Γ uovo senza sale, O come il vin, che all’occhio ha bel colore, Ma sciocco è al gusto, e non fa ben nè male ; r- una minestra che non ha sapore, Cibo che per nutrir, nulla non vale, Ed è popon, che odore al naso getta, Ma 11011 se ne può aver pur una fetta. (1) Mar. C. 241 e Palat. 264. (2) Ibid. (3) Mgl· vn 200, 356> 363 ; Mar. C. 212, 241. 26ο GIORNALE STORICO E LETTERARIO DELLA LIGURIA È vago e nobilissimo palazzo Fabbricato però di carne e d’ ossa, Ma chi vi cerca dentro aver sollazzo, Non trova scala ove montar si possa ; E’ bestia che il cervello e il senno ha pazzo, Scrupoli fini e coscienza grossa; E’ gioia mai non vista e messa in opra ; Perla che non s’ infila e non s’adopra (i). E con accento di poeta estemporaneo improvviserà stanze « sopra le sberrettate », trovando talora, in mezzo alle facezie, qualche osservazione profonda manifestata genialmente. Ma se così dal cielo è destinato, Con pazienza sopportar bisogna : E’ il viver nostro un sogno travagliato, E quest’è cosa chiara e non menzogna. Quei che già furon vivi, hanno sognato, Questi che vivon oggi, ciascun sogna : Così con breve gioia e lungo affanno, Son per sognar ancor quei che verranno (2). Se famiglie nobili, decadute, conserveranno il loro orgoglio aristocratico, andrà ripetendo che la nobiltà consiste nell’avere; che è ridicolo aver belle cantine, tini e botti smisurate senza vino che le riempia; che non conta proprio nulla aver il sacco senza la farina: Che se la nobiltà stesse ne’ quarti, Chi più nobil saria de’ macellari? (3). Il lusso, lo sfarzo crescente, il desiderio di avventar dei pronostici, il bisogno di scherzar con gli amici, o d'ingannare il tempo, scombiccherando versi senza capo nè coda, e alternandovi talvolta versi latini maccheronici, tutto ciò gli porgerà sempre materia e sprone a scrivere e a diffonder nuove rime. Benedetto Guerrini, segretario di Camera di Sua Altezza Serenissima, pagava da parte del Granduca la provvisione mensile al Lamberti, come il Magliabechi pure c’ informa nello (1) Riccard. 1906. (2) Mgl. VII 357 e 364. Le ottave « sopra le sberrettate » furon riprodotte nelle Rime burlesche raccolte da P. Fanfani, p. 52-56, ediz. cit. (3) Mar. C. 212; Mgl. VII 3^4· Pubblicati in Gente allegra Dia l’aiuta, raccolta di poesie burlesche per cura di AUGUSTO Alk.VNI, (Firenze, 1*73) p. 100-103. Ricordava questi versi anche il Cinelli nella prefaz. al Mal-mantile racqaistato, cit. (Finaro, 1676). GIORNALE SÌOfìÌCO è lëtTeràriô bELLA Ligürîà 26 I zibaldone manoscritto già menzionato (1). Or bene, il prete cortigiano e bontempone gl’inviava spesso de’ versi per rin-giaziarlo e per mantener più vivi che fosse possibile, i rapporti con lui. Ma quanto apparisce sommesso e cortese! Gli mandera, ad esempio, delle primizie di campagna, presentandole con grazia garbata e con accento di beneficato a benefattore : gli offrirà sei raviggiuoli preparati da una vezzosa contadina, dalla sua Francesca: eh’ ha le guance rosate e gli occhi neri. A lui descriverà come passi la vita a S. Casciano, alzandosi presto, dicendo Γ ufizio, celebrando o ascoltando la messa, studiando in pace il Vangelo, scrivendo prose e carmi, vivendo modestamente, senza stravizi di nessun genere. Parrebbe, a sentirlo, un sacerdote esemplare, ma da alcuni tratti si riconosce 1 impenitente scapigliato, perchè ha versi mordaci e sconvenienti contro il Pontefice, e ingiuriosi contro dei frati, ch’egli chiama furfanti. Ho detto poco prima che a S. Casciano non gli mancava proprio nulla, e che ormai doveva esser contento ; ma ahimè! per quanto si goda e si possegga, chi è mai contento e appagato? Lo cominciava a pungere il desiderio di stabilirsi a Firenze, proprio nel bel mezzo della città, a reggervi la prioria di S. Romolo. E n’ esprimeva il desiderio al Guerrmi stesso, cui si rivolgeva con affetto di persona obbligata, chiamandolo gentile e cortese, padrone de’ più cari, giusto, leale e schietto. Lo pregava inoltre di trasmettere al sovrano le sue composizioni poetiche, profondendosi in elogi ed in ringraziamenti, senza dimenticar 1’ avvertimento che più gli premeva: Verrò pe’ soldi, eli’ alla fin del mese Saranno al gusto mio mandorle lisce, Sborsatimi da voi senza contese (2). E vano quindi il voler rintracciare il benché minimo barlume di idee salde e virili in caratteri di questa specie: l’ossequio dipende qui da un criterio molto positivo e tutt’ altro (1) Dalla nota dei segretari di S. A. contenuta in Lettere inedite a Galileo Galilei raccolte dal Dott. Arturo Wolynski, (Firenze, 1872, estratto dalla Rivista Europea) apparisce che Benedetto Guerrini resse l'ufficio di confidente del Granduca dal 1632 al 1637. (2) Riccard. 2557; Mgl. VII 3(14, 369, 495; Palat. 274. 2Ô2 GIORNALE STORICO E LETTERARIO DELLA LIGURIA che disinteressato: dal denaro cioè che viene elargito dall alto. Non è neppure un cortigiano che sia abbagliato dallo splendore del trono o legato dal vincolo di sentimenti e di convinzioni sincere: l’interesse di pochi scudi mensili gli fa chinare il capo e proferir lodi nè schiette nè vers ci. E anche quando apparisce in lui qualche lampo fugace di un idea elevata, qualche scatto di fierezza o di slancio battagliero, come 1 augurio espresso nei versi già citati, che il triregno papale s infranga e 1’ Italia si costituisca nazione, non si tratta che di frasi isolate, cui non risponde saldezza di convinzioni. Nè possono farci cambiar di parere alcune composizioni in versi, d’indole politica, che vari codici contengono, dandone come autore il Lamberti, e ricordate anche dal Carducci nella prefazione alle poesie di Salvator Rosa, ma senza nome di autore e con varianti. Si tratta del F ater noster e dell Ave Maria parafrasati contro gli Spagnuoli, in forma di preghiera e con le parole del testo latino ad ogni strofetta. È chiaro che intendono manifestare il sentimento del popolo angariato contro la dominazione straniera, dissimulando lo sdegno sotto un accento giocoso. Pietà, Signor, ch’ogni speranza è morta : Porgi rimedio a’ miseri cristiani, Che strapazzati siamo da marrani, Pater noster. Questi son quei che su la dura Croce Fino alla morte ti fen sempre guerra, E peggio ti farian, se foss’ in terra, qìd es in coelis. Non gli basta stracciar e tór la roba : Per doppio scorno di tutti i vassalli Danno in cambio di biada a’ lor cavalli Panetti nostrum. La canzone enuncia quindi le violenze, le frodi e le rapine degli oppressori : supplica Iddio di cacciarli dall’ Italia, o di far sì che l’Italia provveda alla salvezza comune. L'Ave Maria è della stessa fattura e della stessa intonazione, ma si comprende che apparisce troppo evidente lo sforzo e l’artifìcio per far corrisponder l’idea al versetto della preghiera. Nondimeno qualche verso è abbastanza efficace e colorito: O Regina del Ciel, sposa di Dio, Abbi pietà di tanti nostri duoli, E contro questi perversi Spagnoli Ora pro nobis. GIORNALE STORICO e LETTERARIO della LIGURIA 263 O che possa dal Ciel scender saetta, Che mandi Spagna tutta nel profondo, E mi risponda 1’ universo mondo : Amen (i). L asserzione di qualche codice non basta a provare che sian proprio sue, trattandosi tanto più di un genere di parodie antichissime, che rimontano a secoli anteriori, e che sullo stampo dei canti sacri si trasmettono di generazione in generazione (2). Pur ammettendo che egli possa esser Γ autore di uno dei tanti rifacimenti di questa specie, egli vi si trastulla nè più nè meno che con le altre rime. Perchè, in fondo, rimane il bontempone spensierato e noncurante di tutto quello che possa accadere in Toscana, in Italia e fuori. Deriderà chi si preoccupa di guerre, di politica e d’interessi generali. Avvenga quel che vuole accadere, si faccia 0 non si faccia la guerra, scendano o 110 i Francesi, i Veneziani la pensino come credano, il papa abbia o non abbia denari, il meglio ch’io possa fare — confesserà in un sonetto — è eh’ io viva in pace e che .... in questi solitari almi paesi Imbotti un vin leggiadro che mi piaccia. In conclusione, è 1' uomo beato e gaudente che vuol viver bene, cioè nutrirsi bene e ber meglio, col fiasco sempre accanto, col ghiaccio d’estate, al fuoco d’inverno; che vuol fare il comodo suo, sbizzarrendosi come crede, senza voler nessun fastidio, senza prendersi impaccio di nulla, in una vita spensierata e gaia, con un senso di voluttà e di maldicenza perenne: Oh quanto è meglio in dolce libertate Questa vita mortai passar felice, Autunno, verno, primavera, estate ! (3). Tale il suo motivo prediletto e costante. Affrettiamoci però a riconoscerlo. V’è un periodo della sua (1) Cod. Palat. 264; Mgl. VII 313 e 363; cod. Palat. II, III, 209, (Schede Foliini). (2) l· RANCESCO No VATI. La parodìa sacra nelle letterature moderne negli Studi critici e letterari (Torino, 1889). (3) Mgl. VII 200, 363 e 494; Riccard. 2557; Mar C. 241; Palat. 264. 2Ó4 GÌORNAtE STORICO È LÈTÌERARIÒ DELLA LIGURIA vita che merita di essere altamente lodato, poiché egli da prova di esser uomo di cuore e di coraggio, e presta la sua opeia con vera abnegazione, mostrandosi in terribili circostanze un sacerdote esemplare. Attestano il Cinelli e il Magliabechi, l'uno nella Toscana letterata, l’altro nello zibaldone, più volte citati, che nello spaventevole contagio del 1630 e del 1633 (1) nessuno, si può dire, lo eguagliò nello zelo religioso, nella carità e nel coraggio per soccorrere gl’ infermi e amministrar loro i conforti della Chiesa. * Pose la vita a manifesto sbaraglio > scrive il Cinelli: « si porto santissimamente », aggiunge il Magliabechi. In vari sonetti egli ricorda quel tempo doloroso, Γ angoscia e le fatiche sopportate : Dio sa quanto penai, quanto soffersi Nella mia cuva al tempo della peste: All’anime perdute, afflitte e meste Co’ Sacramenti il paradiso apersi. Senza timor nel pelago m’immersi Del mal contagioso, e furon queste Cose al mondo preclare, opere oneste Da lasciarne memoria in prosa e in versi (2). In un capitolo « sopra la peste venuta a S. Casciano » (3) descrive l’infierire del contagio e i casi pietosi e miserandi da lui veduti : si avventa contro le colpe e le ipocrisie degli uomini, che destano l’ira del cielo; flagella l’inerzia dei frati di quella terra; li accusa apertamente di aver mancato all’obbligo loro: ricorda le vittime mietute dal morbo, i sintomi e la violenza terribile del male. Un fanciul bianco come un alabastro, Rosso come un cinabro, bigio e nero Divenne a un tratto per toccare un nastro. Giovine donna, che vedere spero In paradiso un dì, tant’era bella, Piangendo il morto sposo dietro al clero, Perse la vista a un tratto e la favella, Morta cadendo, e per voler de’ fati S’ unì soavemente alla sua stella. (1) Di tale pestilenza parla FRANCESCO RONDINELLI nella Relazione del contagio stato in Firenze I’ anno 1630 e 1633. In Fiorenza, per Gio. Battista Landini, 1634. Il Settimanni ne fa cenno nel Diario ms. nell’Archivio di Firenze, tomo ottavo, c. 602-668 e nel principio del tomo nono; il Galluzzi nella Istoria del Granducato di Toscana, libro sesto, capit. ottavo. (2) Mar. C. 212, 214, 241; Mgl. VII 363 e 494. (3) Riccard. 1906, 2557, 3490 e Mgl. VII 495. GIORNALE STORICO É LÉTTERARiO DELLA LIGURIA 265 Allude inoltre ai casi frequenti di persone ancora vive, portate come cadaveri al camposanto ; ad altre, ritenute morte, che si risvegliavano ad un tratto, mentre i più si estinguevano miseramente fra la disperazione generale. Infatti, dentro Firenze e nel contado, alla distanza di un miglio, sarebbero morte, secondo le testimonianze del tempo, un dodici mila persone in tredici mesi; e ritornando l’epidemia nel 1633, ne perivano un mille ottocento ; e perivano specialmente gli uomini più forti e vigorosi (1). Or bene, la condotta coraggiosa e valorosa del Lamberti lo rialza qui dal fango di una vita libertina, e ci fa dimenticare un momento le rime sozze che la scioperataggine e il mal vezzo del tempo gli dettavano. Ed è bene ravvisarlo sotto un altro aspetto, perchè nel poeta allegro, ozioso e scioperato v’ è 1’ uomo, a cui per esperienza di vita, come sacerdote, e per le qualità dell’ ingegno libero e sciolto da ogni vincolo di riguardo, non poteva sfuggire la terribile ipocrisia del suo tempo, contro la quale il Ruspoli, il Soldani, il Ricciardi, il Menzini, il Sergardi ed altri lanciarono invettive e sarcasmi. In un capitolo prolisso e licenzioso egli ci presenta la figura di un bacchettone pentito, che esclama con un senso di ammirazione ironica : Oh fortunata bacchettona gente, Ch’ alle spalle d’altrui si nutre e veste Sotto finta bontà continuamente ! (2). Santi all’apparenza, ribaldi nel cuore e nelle opere: ipocrisia (1) Rondinelli, Relazione cit. (2) Mar. C. 214; Mgl. VII 363, 364, 873. Il Rosselli nel commento alle poesie del Ruspoli pubblicato per cura di C. Arlìa (Livorno, Vigo, 1882, p. 63-65) ci riferisce le due opinioni che sin d’allora correvano per spiegar 1’ origine della voce bacchettoni. Secondo alcuni si chiamavan così perchè, frequentando le chiese e le compagnie spirituali, se ne andavano a occhi bassi e chetoni chetoni, quasi Va chetoni. Secondo altri, perchè erano sempre a confessarsi e i confessori anticamente tenevano certe bacchette in mano con le quali leggermente percuotevano que’ penitenti. Nella quinta impressione del Vocabolario degli Accademici della Cmsca (Vol? II, 1866) si accetta questa seconda ipotesi come la più attendibile a spiegar la parola, che deriverebbe dal « costume che i devoti avevano di farsi per devozione battere con una bacchetta dal confessore ». 266 giornale storico e letterario della Liguria che giovava a chi aveva compreso il segreto del proprio tempo, ai più furbi per insinuarsi, salire in alto e pervenire senza scrupoli all’ apice dei loro desideri. Ciò che merita di esser ricordata è una collana di 18 sonetti, nei quali il satirico pievano ci dà il ritratto, la fisiologia, a dir così, dell'ipocrita con ricchezza di colorito, con versi fieri, caustici e flagellatori. Servir Rachele e maritarsi a Lia, Amare Dio, del prossimo far scempio, Mostrarsi un uom devoto, esser un empio, Aborrir la perfidia e far la spia ; Giurar il falso e odiar poi la bugia, Dir bene, e dar oprando mal esempio, Udir la messa e profanar il tempio, Bestemmiar Cristo et adorar Maria ; Mangiar superfluo et empiersi di vino, E pesar in palese acqua e biscotto, Far lenzuol di capecchio e star nel lino; Essere un ignorante e parer dotto, Posporre al positivo il jus divino, Sono gli abusi del secol corrotto. Così dal contrasto, dall’antitesi continuata balza la figura dell’ipocrita, doppio di aspetto e di carattere. Ed ecco il poeta passare in rassegna i diversi tipi : Un, che col fiato affumica i colori De’ santi un’ora e mezzo d’oriolo, In ginocchion consuma il noce e il suolo, Che danno ai pavimenti i muratori ; Un, che ronza scopando altari e cori, E ’n cento chiese va ’n un punto solo, Portando in viso il pentimento e ’l duolo, E disprezza le pompe, odia gli onori ; Un che a mangiar con gli angeli m’ invita, E con un certo rauco mugolio O predica, o riprende o spaternostra, A me torrà la roba, altrui la vita, Alle donne l’onor? Poter di Dio ! Che infamia è questa della città nostra ? E con tratti scultorii, con mirabile efficacia, con vigore che chiamerei quasi dantesco, addita e flagella dinanzi ai nostri occhi gl’ ipocriti. Questi, che non isputano in sagrato, Che stanno il giorno a passeggiar pe' chiostri. Snocciolando orazioni e paternostri, Più che a santa Lucia un cieco nato ; GIORNALE STORICO e LETTERARIO DELLA LIGURIA 267 Che nelPesterïor fanno il beato, Se ben di notte poi son tutti vostri, Sconfitti sì che paion mummie e mostri, Quasi ritratti di spagnuol malato ; Questi eh’ han più virtù, se tu gli tocchi, Che la pila dell’acqua benedetta, Riputati per santi dagli sciocchi ; Hanno con un parlar che il volgo alletta, Sebben dimostran la pietà negli occhi, Nel profondo del cuor odio e vendetta. Nei sonetti successivi disegna tipi speciali di bacchettoni riconoscibili a prima vista, e colorisce con tocchi da maestro le fattezze loro, che in pochi tratti ha delineate nei versi or ora citati: descrive con dovizia di piccanti particolari la vita che in apparenza conducono e quello che in realtà fanno; mette a nudo il loro cuore, dove ardono sinistre passioni ; li qualifica diavoli in casa e santi per la via, con gli occhi di colomba e il cor di boia, con Γ animo volto ai più turpi guadagni, praticando 1 usura più spietata, fra le pareti domestiche ubriacandosi e bestemmiando, e abbandonandosi a istinti bestiali. In chiesa piangono e sospirano sui loro falli, stanno sempre intorno a preti, a frati e a monache ; odono al giorno tre o quattro messe, macerano il corpo e lo spirito, si battono il petto, portano il cilizio o dormono sulla paglia, ma quando la concupiscenza carnale li infiamma o l’idea di arricchire li muove, Stupri, incesti, omicidi e sacrilegi E falsare in argento il piombo e ’l rame, son piccolezze, cui non bada la coscienza dell’ipocrita. Guai se alcuno li tocca nella borsa! Mentre ostentano di chieder perdono a Dio, il loro cuore trabocca d’odio e di veleno. Son questi in mal oprar stabili e fermi, Diavoli in casa e santi per la via ; A’ notabili error di simonia Hanno mille refugi e mille schermi. Se il lor far non approvi e non confermi, Al padre inquisitor fanno la spia, Mescolando col tristo la pazzìa Per subornar senza timor gl’ infermi. Schiatta nemica a Dio, gente sì furba, Ch'a primi onor, a’ primi gradi agogna, E brama esser temuta dalla turba. Gente plebea da mitera e da gogna, Ch’a parlarne la gente si conturba, E lo scriverne è proprio una vergogna. 268 GIORNALE STÒRICO Ë LETTERARIO DELLA LÎGÜRtA Ingannano dunque il prossimo e il mondo, ma non la Divinità che saprà colpirli e flagellarli. In conclusione, a che cosa approda la loro sinistra condotta? In chiesa comparir con faccia onesta, Tener sopra la terra gli occhi fissi, E far il santo, e peggio eh’ io non dissi, Non è la via della salute questa. Uomin senza pietà, eh’ hanno del tristo, Si sforzan d’apparire alle persone Casti, devoti, vigilanti e sobri. Scellerata genia ch’a Gesù Cristo Con la tela di falsa devozione Pensa coprir la scena delli obbrobri. Nell’ insieme, nonostante difetti innegabili — le terzine di quest’ ultimo sonetto valgano a darne prova — egli ha saputo presentarci, pur con qualche indecenza qua e là, il tipo, la fiso-nomia del bacchettone, e con vigoria di tratti, con varietà di colorito, con ardimento di stile, un quadro caratteristico del-1’ipocrisia del tempo: quadro — ripeto — che merita di esser ricordato in mezzo a tante rime oziose, lascive e peggio (i). E nello scriver versi licenziosi mostrandosi davvero incorreggibile, le autorità ecclesiastiche lo vigilavano, e lo punivano di nuovo. Ma più cresceva il rigore, più si ribellava la fibra di questo prete scapigliato. E si rivolgeva ai prìncipi di Casa Medici perchè lo proteggessero, ammettendo di aver composto dei versi allegri, ma facendo capire che il castigo gli sembrava più che sufficiente. Per la seconda volta era stato messo in prigione : entratovi d’inverno, vi giaceva ancora nel mese di agosto. Le rime dove il pregiudizio cade Furon per compiacere a questo e a quello Da me composte nella prima etade. Lo accusavano di avere scritto de’ versi contro canonici e contro gentildonne; di non aver timor di Dio; di essere stato causa di vive questioni, ma egli se ne protestava innocente, (i) I diciotto sonetti contro gl’ ipocriti sono contenuti ne codici Mgl. VII 3S8> 359 e 494! nelPAsbburn. 749-680 e nel Palat. 274 (tomo secondo). Contengono gli stessi sonetti in raggruppamenti diversi il Mgl. VII 356, 364, 495, il Riccard. 2977 e il Mar. C. 241. Che fossero 18 conferma il GIORNALE STORICO E LETTERARIO DELLA LIGURIA 269 affermando di non aver mai intaccato l’onore di nessuno. Ammetteva di aver composto « cosette » ardite, piccanti, un po’ grassocce, ma teneva a far sapere di non essere un perverso; nè disperava di ottenere il perdono di Sua Altezza (1). L’aveva soprattutto col padre inquisitore, contro il quale avventava sonetti comici di questa specie: Cinelli nella Toscana letterata (T. II, c. 1212-1215). Tre ne pubblicava il Piovano Arlotto (Anno 1, Firenze, Le Monnier, 1858); cinque ne inseriva il Fanfani alla voce Lustrapredeìle nel Vocabolario dell’ uso toscano (parte 2a). L Alfani includeva questi, tranne uno, nella raccolta, già cit. di Poesie burlesche. L Arila, seguendo il Mgl. 364, ne dava alla luce tredici in appendice alla sua pubblicazione citata, delle poesie del Ruspoli. Il sonetto che incomincia : « Qjiesti, che non isputano in sagrato », e che è il terzo della collana, è proprio del Lamberti, e non del Ruspoli. Fu attribuito al Ruspoli nel terzo libro delle Opere burlesche di F. Berni e di altri (Firenze, 1723) e nella seconda raccolta di Poesie di eccellenti autori toscani \fit\o\toW, 1760), come nelle Rime burlesche raccolte da P. Fanfani (Firenze, Le Monnier, 1856), mentre nel Vocabolario rammentato, alla voce Ipocrita, egli Io attribuiva a Romolo Ber-tini, e lo stesso faceva l’Alfani nella raccolta, di cui è cenno. Anche nella Dispensa CL della Scelta di curiosità letterarie inedite 0 rare, è attribuito pure al Ruspoli, seguendosi erroneamente il cod. Pai. 430, óra sez. Capponi n. 78. Nell’edizione delle poesie del Ruspoli medesimo, curate dall’Arlìa, il sonetto in questione comparisce due volte, prima all’ appendice η. Ili come appartenente al Lamberti, poi una seconda volta a p. 198-199, ultimo fra i sonetti del Ruspoli, ripetendosi l’errore predetto. L’autorità dei codici, da me esaminati, lo. restituisce al Lamberti. Nelle Letture di famiglia del 1882, η. 15, 16, l’Arlìa riproduceva un sonetto caudato di lui, che il cav. Piccini nella Dispensa CXI della Scelta di curiosità letterarie aveva attribuito a Curzio da Marignolle. Nel Borghini del 1878-79 fu pubblicato il capitolo del Lamberti Sul significato de’ colori. Molte rime giocose dello stesso furono stampate nel vol. 30 delle Rime piacevoli e burlesche per divertimento e passatempo, di vari eccellenti autori, Yverdon (ma Firenze), 1782: pubblicazione che 11011 si trova in nessuna biblioteca fiorentina e che è rarissima. L’Arlìa nel Bibliofilo del 1885, 11. 5, ne ha fatto la storia. Ne era editore 1 abate Modesto Rastrelli. L’opera doveva comporsi di sei tomi: i primi tre passarono inosservati ; il quarto conteneva altri versi del Lamberti, ma dei più licenziosi. Allora il governo granducale sul finire del 1782 intervenne a tutela della morale: ritirò gli esemplari invenduti dei primi tre tomi e quasi tutti quelli del quarto, distruggendoli e indennizzando lo stampatore in modo che non guadagnasse nè facesse perdita. Di qui la rarità di tale raccolta. (i) Mgl. VII 200, 244, 357, 364; Riccard. 2779, 2833 e Palat. 264. 2 70 GIORNALE STORICO E LETTERARIO DELLA LIGURIA Messer Domenedio, voi che potete Quello che il mondo vuol che voi possiate, Levatemi d’ intorno questo frate, Che turba in tanti modi la mia quiete. Fatei morir di fame o pur di sete, O in galera a vita lo mandate, Purché dinanzi voi me lo leviate, Fatene tutto quel che voi volete. Voi che siete Messer Domenedio, In questa cosa, che mi preme tanto, Dovreste aver pietà del fatto mio. Un frate scellerato, che altrettanto È un empio quanto mostra d’esser pio... .....verrebbe collera ad un santo! (l). E contro il Padre Vicario del S. Ufizio lanciava improperi come questi : Chi vuol vedere un miterin galante, Ch’ ha la lingua in dir mal morbida e grata, La faccia a ghirigori invetriata, Il cor maligno e l’animo furfante, Chi vuol vedere un furbo, un arrogante, Nobil di sangue, antico di casata, Se la madre però non fu impregnata Dal villan, dallo schiavo o dal pedante ; Chi vuol veder l’effigie d’Anticristo, • Un arsenale, guardaroba o erario Di mille furberie, nemico a Cristo, Chi vuol veder un uom più ch’ordinario, Ch’abbia del traditor, ch’abbia del tristo, Volga la mente a monsignor Vicario (2). Siamo giusti però: le sue villanie non risparmiavan nessuno fra i suoi superiori. Dopo avere insolentito il Padre inquisitore e monsignor Vicario, passava di pari passo al Pontefice, dirigendogli, ad esempio, un sonetto caudato pieno d'impertinenze e d’ironia: Le mie decime pago di contanti, Non curando saper se vanno in mano Agl’ imbriachi eretici e furfanti (3). Anzi contro Urbano Vili, a proposito delle decime stesse, sfogava nel 1633 il suo malumore in una corona di sonetti. Se in cose da poco non la perdonava ad alcuno, figuriamoci la (1) Riccard. 2833; Mgl. VII 363; Mar. C. 212 e 214. (2) Mar. C. 241; Mgl. VII 364, 494. (3) Mar. C. 212, 241; Riccard. 1906; Mgl. VII 364, 495 e 872. 7 GIORNALE STORICO E LETTERARIO DELLA LIGURIA 27 I sua stizza quando era in ballo l'interesse proprio, e che doveva toglier qualcosa alla sua vita comodissima, la quale ne esigeva parecchi! Nè poteva dissimulare il proprio dispetto, specie contro i cardinali, esenti dalla parte e dall’intero. E chiedeva a sè medesimo: chi ci sa poi dire dove finiscono questi danari ? Già di questi danar, ch’escon da noi, Due terzi se ne vanno in quintessenza. Dall altra parte a quel che servin poi Lo sa Domenedio, e in conseguenza, O Padre Santo, lo sapete voi (i). E neppure in queste rime lascerà stare i frati, anzi li tormenterà, li bistratterà secondo il suo costume ; cosicché non era il caso di stupirsi se questi cercavan di ripagarlo di eguale moneta. Infatti un padre francescano cominciò a spargere e a legger contro di lui degli scritti e delle composizioni dello stesso genere. Lo sbrigliato pievano, che si prendeva per sè tanta libertà, non era disposto a concederne agli altri neppure una minima parte; per questo s’inalberò subito strepitando e minacciando con risposte iraconde : Benché il sacro concilio tenga a segno Noi altri, che portiam lunga la vesta, E che il decoro della vita onesta Xon 'comporti in un prete odio nè sdegno, Nulla di meno ho fatto il mio disegno Teco finir la musica e la festa, E per rimedio romperti la testa E fracassarti Tossa con un legno. Dello scandalo alfin tu porterai La punizion, chè con inganno e frode Mille poltronerie tramando vai. E se la rabbia e ’l canchero mi rode, Se traviar da’ canoni mi fai, Le picchiate ch’avrai saran più sode 12). L gli rovescia addosso un sacco d’insolenze e d’improperi. L’altro doveva rincarar la dose, e il Lamberti raddoppiava le minacce. L’ usarmi, come fai, poco rispetto, È cosa veramente da villani. Un’altra volta adopero le mani. Per or spieghi la penna il suo concetto (3). (1) Riccard. 1906, 2833; Mar. C. 241; Mgl. VII 364, 369, 494 e Ashburn. 749-680. (2) Mar. C. 212; Mgl. VII 363, 494. (3) Mgl. VII 200. 272 GIORNALE STORICO E LETTERARIO DELLA LIGURIA Che non conoscesse scrupoli nel menar le mani, l’aveva già mostrato un’ altra volta, percuotendo una donna di mal affare, e per cui era nato un gran chiasso (i). Or bene, batti e ribatti, Γ audace preposto bastonava solennemente il frate francescano, che osava competere con lui : O rare e preziose bastonate! (2). Ne derivò uno scandalo e un subbuglio indescrivibile, tanto più che le bastonate del Lamberti non cadevano soltanto sulle spalle del frate, ma anche su quelli che probabilmente erano accorsi a separarli. Altro fallo sì nuovo anco ho commesso, Fiera tragedia a’ secoli futuri : Bastonati un rettore, un birro, un messo (3). La misura era colma: l'autorità ecclesiastica intervenne e istruì il processo contro i due colpevoli. Da un capitolo che il manesco prete indirizza al principe don Lorenzo, appare che egli immediatamente era stato esiliato dalla propria cura di S. Casciano; se non che il poco mansueto proposto non si pente di ciò che ha fatto. Ma che ! se qualche altro frate indegno si divertisse a sparlare di lui, lo bastonerebbe senza pensarci due volte: temeva soltanto di dover pagare qualche grossa multa; lo turbava l’idea che ne fosse informata la .Corte papale e che si volessero prendere contro di lui gravi provvedimenti (4). Raccomandavasi pertanto al principe, perchè lo proteggesse ; anzi già cominciava a imprecare contro i suoi giudici, tacciandoli di parzialità venale e gratificandoli di altri insulti, quando, processato e condannato, fu chiuso ancora una volta nelle carceri del Bargello. Non poteva sperare che nella clemenza del Granduca, che lo aveva sempre protetto, ed a lui dedicava una corona di otto sonetti, ricordando 1’ opera prestata durante il contagio : descriveva come fosse trattato in prigione, e implorava l’aiuto del principe, scusando sè medesimo, maravigliandosi quasi della punizione inflittagli, secondo lui, per una faccenda semplicissima e più che naturale (5). (1) Ibid. (2) Mgl. VII 495. (3) Mgl. VII 495· (4) Id. cod. cit. (5) Mar. C. 212, 214, 241; Mgl. VII 363 e 494. GIORNALE STORICO E LETTERARIO DELLA LIGURIA 2 73 l’tir, come Dio volle, scontò la prigionia, ma uscì fuori più rabbioso di prima e inferocito nell’animo, con l'idea di sfogarsi contro chi era stato causa della pena, inflittagli, del resto, con tutta ragione. Il canonico Bonsi l’aveva esaminato e condannato; e contro di lui scaraventava nove sonetti furibondi come lo spirito suo, pungenti come frecce acutissime. Se alla porta alla Croce un giorno andrete In mezzo del pratello, e da un lato Contemplerete, o Bonsi, un impiccato, Conoscerete in lui quel che voi siete. Che per.privare altrui d’ogni quiete, Essendo dal demonio registrato, Al far de’ conti, in voi non ho trovato Altro forse di buon che Tesser prete. Ma l’invettiva e il sarcasmo non bastano: è d’uopo che agg'unga l’offesa più cruda: Non c’ è simil furfante, unto o non unto, A cercar tutto quanto 1’ universo. Il canonico Bonsi non ha faccia, non ha sapere, non ha coscienza ; ma è parziale e ingiusto nel procedere, nè conosce la legge. Peggio ancora: ha il vizio di allungar la mano sulla roba altrui : Benché tenga le man sempre ne’ guanti, Spesso le borse altrui razzola e fruga, Allievo della scuola de’ Bianti, Come il fratei, che fece una gran buca, Ottomila rubando di contanti Al nostro serenissimo Gran Duca. E ce lo descrive odioso nell’ aspetto, livido e smorto in faccia, senza cuore nè anima. Giudice voi? che siete un’ ingiustizia, Un prete interessato e parziale, Ch’ avete un occhio all’altro diseguale, Ma l’uno e l’altro pregni di malizia. (l). Giudice voi? e prosegue affibbiandogli altri epiteti, dipingendocelo quale ritratto d’ingiustizia, con le mani ad oncini e il cor venale, che sottopone i poveri a lunga prigionia, a pene diverse; avventa imprecazioni contro di lui, lo taccia d’aguzzino e di boia, gli augura di morir impiccato ; si rivolge a Dio (i) Riccard. 2779; Mar. C. 241; Mgl. VII 494. Giorn. sÌor. e ìett. d. Lig. II. 18 2 74 GIORNALE STORICO E LETTERARIO DELLA LIGURIA con apostrofi comiche tanto per continuare a dir insulti all' o-diato canonico; ma tardando a riaver la cura di S. Casciano, rovescia la collera e il furore contro monsignor Bolognetti, nunzio apostolico in Firenze, e gli si scatena addosso con una grandine di versi: Marco d’Anton Lamberti, oggi proposto Della propositura in San Casciano, Ma della chiesa sua stato discosto Son già quindici mesi a mano a mano, Supplica in grazia, a’ vostri piedi esposto, Passato Sant’Antonio e San Bastiano, D’esser rimesso sotto il sacro tetto E goder del suo pane e del suo letto. Non so s’ io mi battezzo ermafrodito, Un imbriaco o un mostro di natura, Da voi sì mal trattato e sì schernito, Senza pietà, senz’ordine e misura. Il Concilio di Trento ha stabilito Pur de /ure Divino esser la cura, Ma vi piace in tal caso eh’ il Concilio Permetta darmi dalla chiesa esilio. E perchè mai tutto questo rigore? Per aver bastonato un frate! Or bene, soggiunge: Il danno eh’ ho patito è stato tale, Che s’io avessi bastonato voi, Sarebbe state forse manco male. E gli torna alla mente il canonico Bonsi, il suo metodo di procedura, che egli chiama barbaro; nè si sa dar pace della condanna avuta, nè del suo allontanamento dalla chiesa; tanto più che aveva fatto pace col frate; avevano anzi mangiato insieme in segno di concordia. Perchè dunque tanto accanimento contro di lui? Non basta ciò che ha patito, ciò che soffre presentemente? Ed esasperato, fuori della grazia di Dio, pone un dilemma a monsignor Bolognetti : o mi rimandate alla mia chiesa, o mi vendico atrocemente con rime sacrileghe. Preso quest’ andazzo, lancia invettive e contumelie contro il nunzio pontificio, dichiarando che egli si ribellerà sempre ai superiori di quella specie avari e ingiusti, che tosano il gregge e ne fanno di tutti i colori. E grida che tutti i Fiorentini detestano monsignor Bolognetti: i canonici ne sono disgustati; chiunque lo conosce, lo manda al diavolo. È tempo di porvi rimedio, e a questo penserà proprio lui, prete Lamberti. giornale storico e letterario della Liguria 275 Ma se tra pochi dì non m’assolvete, Me n’andrò a Roma a. sciorinar pel verso : Conterò al papa che voi siete un prete Avaro, empio, crudel, bigio e traverso ; E che la roba ai monaster togliete , E che mandate il povero disperso, E che fra l'altre cose tutte ladre, Voi non credete in Dio nè nella Madre (i). E nella chiusa minaccia di vendicarsi non più con versi e con parole, ma nientemeno a pugni! Come si vede, la condanna lo aveva proprio domato! E a S. Casciano ritornava, nonostante le insolenze contro i superiori, delle quali ho dato un semplice saggio. Può sembrare strano che nel secolo in cui la Chiesa, dopo il Concilio tridentino, inesorabile con gli avversari, mirava a riordinare le ptoprie forze e a purificare sè medesima, permanesse tanto rilassata la disciplina ecclesiastica da conservare nel sacerdozio un prete di tale stampo, ma la verità è che il Lamberti riaveva il proprio ufficio. Vecchio e malato di gotta, se il corpo deperiva, 1 estro poetico rimaneva sempre vivo, perchè fino al- 1 ultimo improvviserà capitoli e sonetti, sia celebrando le acque purgative di Colle, sia continuando a rivolgersi o al principe don Lorenzo o al serenissimo Granduca, supplicandoli per ottenere in Firenze un benefizio ecclesiastico senza cura o almeno, nuovi aiuti in danaro (2). 1 soccorsi in danaro non gli saranno certo mancati, perchè, evidentemente, si aveva paura di lui e della sua lingua sboccata; ma invano desiderò nella vicina città 1 invocato benefizio ecclesiastico. Carico d’anni, moriva preposto a S. Casciano il 15 novembre del 1637. Trascrivo i primi versi di alcune strofe, che sembra egli dettasse poco prima di scendere nella tomba: Ecco che la mia morte si avvicina, E di molti peccati ho colmo il petto : Domine ad adiuvandum me festina. (1) Mgl. VII 494 e 495 ; Mar. C. 241 ; Riccard. 2779. (2) Mgl. λ [Γ 200, 363, 494! Mar. C. 212. Seguendo l’indicazione di una scheda Foliini, nella Biblioteca Nazionale di Firenze rintracciavo due fogli staccati contenenti un capitolo del Lamberti al marchese Scipione Capponi intorno all’ efficacia delle acque di Colle e sette sonetti caudati diretti al Granduca. Nel margine superiore della prima pagina è segnato in lapis ; autografo. 2/6 GIORNALE STORICO E LETTERARIO DELLA LIGURIA Or è tempo eh’ io pianga il mio difetto, E spieghi avanti a te le mie querele, Ut passer solitarius in tecto. Sempre fui peccator fiero e crudele. Ma sol per tua pietà, Signor, ti prego : Omnes iniquitates meas dele .... (i). Niuno potrà negare al Lamberti ingegno pronto, vivace e attitudini di poeta spontaneo, delle quali troppo abusò. La parafrasi dei salmi penitenziali e i sonetti contro gl ipocriti non hanno solo un valore storico relativo, ma ben anche un valore letterario: mediocre, è vero, ma pur sempre notevole. 1 ipica figura di prete sboccato e manesco, non possiede certo le virtù indispensabili al sacerdozio: la pazienza, la rassegnazione, la dolcezza, l’umiltà, il sacrifizio di sè parlano un linguaggio, che egli non può comprendere. Solo nel periodo del contagio rivela intrepidezza di uomo ardimentoso e forte; ci appare degno della veste che indossa, mostrandoci che se fosse vissuto in tempi più liberi e migliori, se un'idea grande e generosa, purificando l’aria stagnante e avvelenata d'allora, e trascinando gli animi più ardenti, avesse ravvivato il suo spirito, egli avrebbe forse potuto altamente segnalarsi; ma lo travolge pur troppo la corrente fangosa del tempo suo. La vita immorale di lui, i versi che egli scrive contro le autorità ecclesiastiche da cui dipende, la nessuna stima ch'egli palesa pe’ suoi fratelli di lede, ci confermano una volta di più quanto fossero radicate nel clero le abitudini licenziose, e quanto fosse profonda la corruttela generale. Come prete è uno spostato, ma nel momento in cui la Toscana sta per convertirsi in un gran convento, e l’ipocrisia è una maschera che nasconde (i) Mar. C. 208, 212, 214; Mgl. VII 359, 3(13, 494 r I’alat. 273, 274 (10 tomo'. Ho attìnti) la data (3). La pace coi Fiorentini fu stipulata in Lucca il 27 aprile del 1413 (4). Il 29 dicembre del 1413 fu inviato dal genovese Comune a Lodi, ove in qualità di ambasciatore giurò fedeltà a Sigi- (i) Atti del Not. Corrado de Castello de Rapallo, Registro I, p. 63, Archivio di Stato in Genova. In questo Archivio si conservano tutti i documenti donde, salvo poche eccezioni singolarmente indicate, lui tratto tutte le notizie. (2 ) « Zoalium terra est sine muro abundantissima deo optimo et castaneis tuta montibus asperrimis cuius habitantes sunt firme ducenti. Distat a Clavaro per miliaria duo ». (Lettóre di GIACOMO Bracei.i.I, p. ^02, MS. alla Biblioteca Civico-Berio in Genova). (3) Giscarei, Origine e Fasti della Refi, di Genova, Ioni. Ili, p. 1393' MS. del 1774, alla Bibl. Civico-Berio. (41 Liber htriìtm, Toin. II, col. 1411. GIORNALE STORICO E LETTERARIO DELLA LIGURIA 28 I smondo, imperatore dei Romani (i). Giacendo egli infermo, chiese la medichessa Chichizola que erga ipsum operata est, e, guarito dal male, in contracambio del servigio resogli, volendo esternare la sua grande riconoscenza, supplicò i governatori del 'genovese Comune ad esentare dai pubblici balzelli la medichessa di Zoagli ed i suoi discendenti, tanto più che immuni dalle tasse erano tutti i medici per decreto, confermato il 25 settembre del 1385 dagli Ufficiali di Sanità (2). Il privilegio fu concesso, ma, non essendo stato innoltrato per il visto all’Ufficio di Moneta, dovea più tardi fornire un pretesto per essere annullato. Il Q agosto del 1434 gli anziani del genovese Comune e Oldrado di Lampugnano, luogotenente in Genova per Filippo Maria Visconti, duca di Milano, signore di Genova e delle riviere, accolsero in udienza Benedetto Chichizola, ambasciatore del quartiere rapallese di Borzoli. Lamentavasi del privilegio largo ed eccezionale, concesso già alla medichessa Teodora, all’insaputa degli uomini di Rapallo e senza che fossero neppure interpellati, il quale ridondava in massimo danno del rapailese Comune, aggravato di tasse. I Rapallesi poi, memori non solo dell’ incendio, che il 3 settembre del 1432 subirono i borghi di Zoagli, S. Margherita e Corte dalle 22 galee, che secondo i nostri annalisti vennero nel golfo di Rapallo, ma esausti altresì per il continuo cozzar delle parti, per l’incertezza del reggimento, per il malaugurato mutare dei governanti, che si succedevano in Genova e quindi in Rapallo, per la triste paretaria, che era allora il partito del color bianco e del colore nero, dominanti sulle piazze orientale e occidentale di Rapallo, non potevano darsi pace che i poveri fossero obbligati a pagare, ed i ricchi fossero esenti. Da ciò emerge che Γ arte, esercitata dalla medichessa non gli era stata avara di un buon gruzzolo e che la sua famiglia non versava nelle ristrettezze, ma godeva di tale agiatezza da far invidia anche ai rappresentanti del Comune. L’ambasciatore linguacciuto, mal celando la sua acrimonia, aggiungeva per soprassello che i medicamenti di una simile donna (1) Liber Iuri udi, Tom. II, col. 1446. (2) LORENZO Isnardi, Storia della Università ili Genova, Genova, Sordo Muti, 1861, I, 348. 282 GIORNALE STORICO E LETTERARIO DELLA LIGURIA non meritavano la vittoria di una franchigia, estensibile ai suoi discendenti, tanto più che la medichessa era morta (i). Lo stesso giorno il governatore e gli anziani ingiunsero al podestà di Rapallo (2) di far venire a Genova Bertone Chichi-zola, vedovo della medichessa, 0 il loro figlio Giacomo, insieme con un ambasciatore della Comunità di Rapallo (3). Giacomo (1) « Vobis prestantissime domine domine locumtenens ducalis et venerando consilio dominorum ancianorum civitatis Janue reverenter exponitur per Benedictum de Chigizola sindicum universitatis quarterii Borzuli de Rapallo et pro eis quod alias dum Baptista de Montaldo in sua infirmitate iaceret querens remedium sanitatis missit prò Theodora cui dicebatur Divina de Zoalio que erga ipsum operata est. Et volens sibi de sui mercede laboris satisfacere supplicationem suam porrexit ante tunc gubernantes per quam inter cetera requisivit ipsam et ex ea discendentes franchos fore et esse debere immunes ab avariis et angariis realibus et personalibus semper abinde citra et sic obtinuit hominibus seu sindicis dicte universitatis insciis et ignorantibus ipsis non citatis neque de huiusmodi noticiam aliquam habentibus et non auditis quod cessit ad maximam lexionem et dampnum dicte universitatis qui gravati laniis ho-neribus et avariis non possunt ne dum aliena imo sua gravamina et honera sopportare neque unquam sciverunt intelligere huiusmodi franchixiam precipue quod divites fiant franchi et pauperes solvere compelantur quodque in prede-cessorum vestrorum consiliis tales talibus de causis liberentur et franchi fiant et quod homines dicte universitatis pro eis solvere debeant. Item hec causa franchixie nullum habet collorem racionabilem quia inde si dicta medica medicavit dominum Baptistam non ad homines dicte universitatis pertinet quod pio ea et suis successoribus solvere debeant. Ob hanc ideo causam ad domi-nacionis vestre brachium recursum habent supplicantes humiliter et devote quatenus dignemini et velitis ita et taliter providere sibi quod afflicio non addatur afflictis et quod unusquisque honus suum portet asserta franchista non obstante de cuius causa nil perlinet ad Comune. Et si pur edixeritis ipsam franchixiam remanere saltem placeat aut cassetur in racione comunis qui franchavit illam illud quod debuit et debebit aut ille persone quarum interest de ipsa solvant quod debent quum medicamenta huiusmodi mulieris non est tanta victoria dominacioni quod mereatur tantam immunitatem in dam-pnum et preiudicium eorum qji ut premittitur non citati non auditi fuenmt ad racionem eorum dicendam et defensionem faciendam. MCCCCXXXIIII die VIIII Augusti. Scriptum fuit potestati Rapalli in forma opportuna. (Diversorum, filza VIII ). (2) Podestà di Rapallo era Giovanni dei Mercatori (Diversorum, FilzaVIII). (3) Oldradus et Consilium etc. — Prudenti viro.....potestati Rapalli no- bis carissimo. - Carissime. Volumus ut moneri faciatis Bcrtonum de Chi- GIORNALE STORICO e LETTERARIO DELLA LIGURIA 283 Chichizola il 7 settembre del 1434 si presentò al governatore e al consiglio degli anziani, i quali in legittimo numero congregati, esaminata la supplica dell’ ambasciatore del quartiere di Borzoli, e l’immunità concessa, priva però dell’assenso dell’Ufficio di Moneta, decretarono che Bertone Chichizola e i suoi discendenti dovessero pagare le avarie e le altre tasse dal giorno della morte della medichessa Teodora (1). Lo stesso giorno al podestà di Rapallo venivano trasmesse le deliberazioni prese (2). I discendenti della medichessa non cessarono però dall’ essere benevisi dai governatori di Genova, tanto è vero che il 6 maggio del 1455 il doge Pietro Campofregoso ordinava che gizola seu Jacobum eius filiuin ad comparendum coram nobis in dies octo ab hodie numerandos responsurum de iuribus suis quare non debeat contribuere oneribus publicis in Rapallo prout consuevit cum quo Bertono etiam veniat in dictum tempus sindicus dicte Comuni tati § Rapalli. Data die VI III Augusti (MCCCCXXXIIII) (Litterarum, Reg. IV, N. 545, p. 173). (1) >-J< MCCCCXXXIIII die VII Septembris. Magnificus et prestantis-simus dominus ducalis in Janua locumtenens et Spectabile consi li lini dominorum ancianorum in sufficienti et legitimo numero congregatorum intellecta supplicacione prescripta et contentis in ea et ex adverso audito Jacobino filio Bertoni supradicti visa et lecta immunitate de qua supra est mentio que caret consensu officii de Moneta considerantes supradictam Thedoram jam defunctam esse reprobaverant dictam immunitatem et graciam non obstante quod dicta immunitas se extendat ad alias personas quod ad dictam Thedoram iubentes ut dictus Bertonus et filius et quicumque descendentes ex eis solvant prout solvere consueverunt in potestacia Rapalli avarias et imposiciones a die qua dicta Thedora mortua est citra. (Diversorum, Filza VIII1. (2) Oldradus et Consilium etc. Egregio viro. .. potestati Rapalli et cui-cumque eius successori nobis carissimo. Carissime. Copiam supplicacionis coram nobis porrecte per Benedictum de Chigizola sindicum quarterii Borzuli de Rapallo cum responsione sub ea descripta mittimus his inclusam mandantes ut cogatis Bertonum de Chigizola filium ad scribendum onera comunis in potestacia Rapalli prout consuevit a die mortis Thedore uxoris dicti Bertoni citra non obstante immunitate quadam seu franchixia retroactis temporibus per dictam Thedoram et suos descendentes adeptam quam franchixiam reprobavimus in ipsius supplicacionis responsione et eciam presentirmi tenore 'eam revocamus. Data ut supra VII Septembris MCCCCXXXIIII) (Litterarum, Reg. IV, N. 379- P· "3)· 284 GIORNALE STORICO E LETTERARIO DELLA LIGURIA Giacomo Chichizola da Zoagli e suo figlio Antonio non fossero nè molestati, nè aggravati di balzelli (1). * * * La seconda medichessa, che presento ai lettori è di Rapallo, la terra cospicua, dove allora agli ulivi si alternavano gli aranci (2). Rapallo vantava nella metà del secolo XV i suoi 800 abitanti, secondo troviamo scritto dall’ umanista Jacopo Bracelli, cancelliere del genovese Comune (3), il quale nella villa di Cerisola passò buona parte dell’estate dgl 1458, come emerge da una sua lettera del 21 agosto, scritta ex Cerasola villa Rapalli (4). In detta villa erasi rifugiato per timore della peste ed era tornato in Genova il 5 ottobre del 1458 (5)· Il Comune di Rapallo tenne sin dal secolo XIII ai suoi stipendi un medico, ora rapallese, ora forestiero. Sin dai tempi remoti medicina e spezieria venivano esercitate dai monaci, che nella pacifica abitazione del chiostro trovavano luogo opportuno ad operare pel bene dei sofferenti. 1 più antichi medici adunque mossero dal monastero di S. Fruttuoso di C apodimonte, (1) Diversorum X, Registro LXI. (2) Il 16 giugno del 1432 Oldrado de Lampugnano, governatore di Genova, scriveva al podestà di Rapallo di mandargli celeremente due o tre ceste di aranci (Litterarum, Reg. V, N. 699, p. 245). Il 5 gennaio del 1433 Opizzino de Alzate, il genovese tiranno che il 25 dicembre del 1435 veniva pugnalato sulla piazza di S. Siro, scriveva al podestà di Rapallo di mandargli quattro alberi grossi di aranci con belle radici, rami e fronde per adornare il suo giardino (Litterarum, Reg. VI, N. l/°> I'· 54)· (3) Rapallum burgum et terra sine muro tutissima propter passus strictos territorii et est principium gulfi Rapalli. Hinc vinum oleum castanee di. < i-troni sic vulgariter nominati 111 magna copia alias transferuntur. Eius abi-tantes sunt ultra octingenti. Distat a Zoalio per miliaria tria. (Lettere di Giacomo Bracelli, 1. c., p. 402). Anche frate Leandro Alberti nella sua Descrizione di tutta Italia fatta nel 1553 chiama la Valle di Rapallo « tutta piacevole ancora et dilettevole ove si veggono da ogni lato cedri, limoni, olivi et altri fruttiferi alberi». Nella notte del 7 gennaio 1709 gelarono tutti gli agrumi e d’allora in poi si perdette il grande ed antico commercio di essi. (4) Braggio, Giacomo Bracelli e Γ Umanesimo dei Liguri in Atti della Soc. Lig. di Stor. Pair. Vol. XXIII, p. 13. (5) Diversorum X, Reg. LXV. GIORNALE STORICO E LETTERARIO DELLA LIGURIA 285 primo faro della civiltà rapailese. Nel 1216 si ha ricordo di Maestro Alberto medico e notaro in Rapallo (1). Profondo conoscitore di medicina fu il rapallese notaio Giovanni de Amandolesio, il quale rogava a mezzo il dugento, e che « ci tramandò a sua volta le formole per arrestare il sangue colante dalle narici, per partorire felicemente, per cessare le emoraggie etc. > (2). Nei suoi atti, che conservatisi al-l’Archivio di Stato, trovasi uno schizzerello od embrione di ventaglio a mò di banderuola, segnato a penna con questi esametri : Mota meo flatu plusquam lupus oris hiatu Mordax pellit oves (ugo muscas tollo calores. Oberto de Spignano, famiglia che ebbe già culla a S. Michele di Pagana, esercitava la medicina nella nostra Rapallo, secondo si rileva da un atto del 24 gennaio 1268 (3)- Nel 1285 era medico condotto Raimondo Pichenotto, nativo di Zerega su quel di Cicagna. Il suo nome appare in un certificato, rilasciato a favore di un certo Galvano de Prina. il quale, essendo affetto da una fistola nella gamba sinistra, veniva esentato da qualsiasi avaria (4). I figli del medico Pichenotto Gabriele e Rai-mondino nel 1312 esercitavano Γ arte farmaceutica nella località di Pozzarello (5) Il 16 marzo del 1287 Guglielmo, medico e (1) Atti del Not. Lanfranco, Reg. II, Parte II, p. 33. (2) Riìlgrano, 1. c. p. 629. (3) Noi. Vivaldo de Sarzano, Reg. I, p. 169. (4) « In burgo Rapalli libi regitur curia. Dominus Thomas Marconus ra-palli et piccarne potestas viso oculata fide et cognito assercione Raymondi de Pichenoto medici Galvanum de Prina esse magagnatura in crure sinistro morbo malo et infirmitate fistule et ipsam infirmitatem esse incurabilem ita quod propter infirmitatem predictam insuficiens est ad avarias plures de cetero faciendas absolvit et absolutum esse pronunciai dictum Galvanum ab omnibus avariis ct pro angariis pluribus de cetero faciendis pro Comuni Iantte in mari vel terra laudans statuens et pronuncians quod deinceps non posset vel debeat ad aliquas avarias vel per angarias plures faciendas per aliquem magistratum lamie.... (Notari Ignoti, Reg. XL, Parte II, Sala , 4 '· II decreto non ha data, ma da altri atti dello stesso registro appare che nel luglio del 1285 era podestà di Rapallo e di Cicagna Tommaso Marcone, che nel 1268 avea pure rivestito tale dignità (Notari Ignoti, Reg. XVI). (5) Atti del Not. Filippo Fasccto da Rapallo, Reg. I. GIORNALE STORICO E LETTERARIO DELLA LIGURIA chirurgo in Rapallo, figlio del qm. Enrico da Vercelli, pure medico e chirurgo, sposa la figlia di Giacomo Salinero (i). Il 23 aprile dello stesso anno maestro Lazzaro esercita la medicina in Rapallo (2). Il 20 gennaio del 1288 Nicolò Fieschi dei conti di Rapallo prometteva dare soldi 50 a maestro Bianco da Millesimo, chirurgo in Rapallo, avendo medicato nella tibia sinistra il figlio Ambrosino (3). Il 2 marzo del 1288 il nostro chirurgo riceveva soldi 50 da Rainaldino da Leivi, promettendo di guarirlo d’una fistola, che il paziente avea nella coscia sinistra. Se però prima dell’ agosto non era perfetta la guarigione, il dottore doveva restituire i soldi ricevuti (4). Maestro Alberto de Ravaxiis da Reggio il 12 agosto del 13120 medico in Rapallo (5). 11 rapallese Benvenuto de Prina il 10 giugno del 1340 era medico in patria (6), come pure il 2 aprile del 1343 maestro Benvenuto da Parma esercita la medicina in Rapallo (7). Altri medici rapallesi distinguevansi altrove. Maestro Gabriele da Rapallo il 30 dicembre del 1306 esercita la chirurgia in Genova (8). Dal 27 marzo del 1310 a! 4 novembre del 1337 si ha notizia di maestro Rollando, figlio di Filippo Pelliciaio da Rapallo, chirurgo in Genova, e abitante in fondo al vicolo del Cetrone non lungi da S. Donato (9). Il 4 luglio del 1342 acconciava il figlio Bartolomeo ad apprendere l'arte dello speziale (10). Il rapallese maestro Paolo, figlio di Nicolò Patuccio, è medico in Genova; lo ricordano due atti del 29 agosto 1313 e 22 giugno 1325 (11). II 4 giugno del 1331 insieme col medico Cristoforo de Amico (1) Atti del Noi. Corrado de Spignatto, Reg. I, p. 143 (2) » » » » » p. 153 (3) » » » » » p- 129 (4) » » » » » p. 156 (5) Atti del Not. Filippo de Fasceto, Reg. I. (6) Atti del Not. Crexino Arata, Reg. I. (7) Atti » » » Reg. I. (8) Atti del Not. Corrado de Castello, Reg. VII, p. 4. (9) Atti del Not. Lamberto de Sambuceto, Reg. Ili; del Noi. Leonardo de Ganbaldo, Reg. II, pag. 161, e del Not. Benedetto Vivaldi, Reg. X, pag. 91. (10) Atti del Not. Zino Vivaldo de Porta, Reg. I, p. 104. (11) Atti del Not. Ambrosio de Rapallo, Reg. V, p. 100 e del Not. Giorgio da Camogli, Reg. I, p. 58. GIORNALE STORICO E LETTERARIO DELLA LIGURIA 287 da Portofino (ij e col medico Tommaso Costa da Santa Margherita fa parte del collegio dei medici di Genova (2). Bella manifestazione di affetto diedero sui primordi del secolo XV i Rapailesi ad un loro concittadino, che in Rapallo avea prestato i suoi salutari servizi durante la peste, che afflisse Genova e le due riviere, già turbate dallo scisma d’ occidente, che per la venuta dell’ antipapa Pietro da Luna, anche in Rapallo continuava a fare proseliti. Il 13 aprile del I4°7 più di due terze parti degli uomini della podesteria ra-pallese, la quale comprendeva quello spazio, che si presenta quale aperto ventaglio da Portofino a Rovereto, si radunavano, previo il suono della campana e il robusto vociare del cintraco o banditore, nella chiesa plebana dei SS. Gervasio e Protasio, e, alla presenza del podestà Bernabò de Lisorio, dichiaravano franco dalle avarie il flebotomo rapallese Giovanni Maino, perchè durante 1’ infermità passata avea curato molti infermi, senza percepire emolumento alcuno, tanto più che consideravano « essere necessario avere un tale individuo che curi gli infermi, essendo detto Giovanni pratico nell’ arte sua et curialis in medicando pauperes personas » (3). Altri medici dovevano prestare la loro opera nei tre ospedali di Rapallo. Primo e più antico era 1’ ospedale di S. Cristoforo di Pozzarello. Volevasi intraprendere un lungo viaggio ed avere un felice ritorno? Bastava aver guardato, in partendo, le gigantesche forme di S. Cristoforo, dipinte sopra il muro dell ospedale, a lui sacro, situato presso il ponte romano, che faceva capo non lungi dall’ elegante palazzo dei fratelli Pendola. L’attuale giardino dell’Hôtel Prandoni, sede un giorno prediletta degli Spinola e poi dei Serra, era il cimitero del vetusto ospedale, che avea due reparti, uno per gli uomini e 1’ altro per le donne. Il 7 giugno del 1210 Rubaldo Galletta lasciava L. 13 hospitali novo de Rapallo ubi stant domine (4). L’ospedale ap- (1) Di questo medico portofinese ai servizi del Comune di Genova, del quale fu più volte priore, si hanno ricordi del 26 novembre del 1356, allorché fu inviato ambasciatore ai Duchi di Milano (Masseria Comunis fanne, Registro VII, p. 326). (2) Atti di Notari Ignoti, Reg. XVIII, Sala 74. (3) Atti iti Notali Ignoti, Reg. XI.IV, Sala 74. (4) Atti iiel .Voi, Lanfranco, Reg. IV, p. 7. 28S GIORNALE STORICO E LETTERARIO DELLA LIGURIA parteneva ai quattro canonici della pieve, ai quali spettava il diritto dell’elezione dell’ospitaliero e dell’ospitaliera, pieposti al governo di esso. 11 23 novembre del 1406 Pileo de Marini, arcivescovo di Genova, accordava il giuspatronato di detto ospedale al nobile Odoardo della Torre e il 21 giugno del 1462 Paolo Campofregoso, altro arcivescovo, confermava detto gius-patronato a Francesco della Torre (i), nipote di Odoardo, annullando in pari tempo la cessione, fattane da Nicolò della I orre, fratello di Francesco, ai disciplinanti dellOratorio dei Bianchi (2). Altro ospedale era quello di S. Antonio abate, in paite sede dell’attuale Municipio e la cui chiesuola funge da teatro. Fu eretto con decreto del 15 novembre 1451, emanato da Giacomo Imperiale, arcivescovo di Genova (3). Il terzo ospedale, del quale scorgonsi tuttora le rovine, tro-vavasi nella parrocchia di S Massimo, lunghesso la vecchia strada romana, che conduce a Bana e a Ruta. Dedicato a S. Lazzaro fu eretto per i lebbrosi nel 1468 da Giacomo Aste. Avea speciali statuti per l’accettazione degli ammalati. Il 18 maggio del 1484 l’arcivescovo Paolo Campofregoso accordava il gius-patronato di esso a Tommasino d’Aste, figlio di Giacomo e a Giovanni de Barbieri, benefattori e principali protettori (4). Altri ospedali sorgevano nel territorio della podesteria rapallese. Lungo la strada romana, che da Zoagli conduceva a S. Pietio di Rovereto, esisteva 1’ ospedale di S. Orsola e i valligiani ne additano tuttora il luogo. Da un atto del 10 dicembre 1 ?13 s' apprende che da tanto tempo era vacante (5). Presso il ponte di Zoagli sul quale passava l’antica strada romana esisteva (1) Giacomo della Torre, figlio di detto Francesco, avea il 17 ottobre del 1496 alloggiato in Rapallo nel suo palazzo di Pozzarello (ora proprietà del Dott. Piaggio) l’imperatore Massimiliano d’Austria, il quale in compenso lo creava cavaliere del Santo Romano impero colla solita facoltà di crear notari e legittimare bastardi. Massimiliano scrisse da Rapallo al doge Agostino Adorno una lettera, che porta la data del 17 ottobre e un’ altra da Sestri, che porta la data del 18 ottobre (Litterarum, Reg. XXXVII, N. 600, p. 165). (2) M. S. segnato N. 579. (3) Atti del Not. Andrea de Cairo, Filza VII, foglio 295. (4) M. S. segnato N. 579. (5) Atti del Not. Bartolomeo Podestà, Filza I, foglio 272. GIORNALE STORICO E LETTERARIO DELLA LIGURIA 289 l’ospedale di S. Giacinto. Infatti il 5 febbraio del 1412 prete Antonio Beretta da Cogorno lasciava un letto hospitali de Zoalio (1). Il 10 agosto del 1295 la munifica donna Isabella de Spignattò fondava un ospedale a Portofino, ancora esistente nel 1556 (2). Rapallo, che avea dato adunque un grande contingente di medici, non doveva esserci avaro di una medichessa. Il nome è taciuto, ma l'esistenza è certa. 11 14 maggio del 1438 I ommaso da Campofregoso, doge per la terza volta, scriveva al podestà di Rapallo (3), di far venire in Genova la medichessa di Rapallo, ad istanza del parente Benedetto da Campofregoso, che trovavasi infermo (4). Nello stesso tempo inviava un salvacondotto, durevole due mesi, nel quale la medichessa è chiamata pure vaticinatrix (5); essa non poteva quindi essere arrestata, giacche con decreto del 19 febbraio 1438 erano state concesse le rappresaglie contro gli uomini di Rapallo e del suo distretto, confermate poi il 21 febbraio 1439 (6). (1) Atti del Not. Nicolo Rivaro/a, 1403-1422, Archivio Distrettuale di Chiavari. (2) Sagg‘° Storico del Connine di Portofmo, p. 27, Genova, Tip. delle Letture Cattoliche, 1876. (3) Podestà di Rapallo era allora il patrizio genovese Antonio de Andrea (.Litterarum, Reg. VI, N. 564, 618, pp. 178, 192). (4) Dux Januensium etc. — Provido viro potestati Rapalli nobis carissimo. — Carissime. Ut complaceamus requisicionibus Benedicti nostri de Campofregoso nunc infirmi mandamus vobis ut jnedicam illam Rapalli co-herceatis ad veniendum huc omnimodo et omni exceptione reiecta cui mittimus salvum conductum in ampla forma veniendi standi et redeundi tute et libere absque impedimento aliquo ut cessent omnes dubitaciones aut excusa-ciones ad veniendum. Data die xim Marcii MCCCCXXX VIII (Litterarum, Reg. IX, N. 51, p. 14). (5) Pro Medica Rapalli MCCCCXXXVIII die xim Marcii. — De beneplacito et expressa licencia Illustris et excelsi domini Tliome de Campo-fregoso Januensium ducis et libertatis defensoris est quod.... medica seu va-ticinatrix appellata possit Januam accedere ibique stare morari pernoctari et inde libere recedere atque Rapallum redire tute libere et impune omni impedimento reali et personali cessante non obstantibus obstandis quibuscumque valituris presentibus mensibus duobus proxime futuris (.Diversorum, X, Reg. XXV). (6) Litterarum, Reg. VI, N. 776, 1180, pp. 244, 372. Gioni. stor. e lett. d. Lis· II· 19 2QO GIORNALE STORICO E LETTERARIO DELLA LIGURIA Il Petrarca nelle sue lettere osserva che i medici de’ suoi tempi correvano dietro agli studi dell’alchimia e dell’astrologia stessa, dalla quale traevano i vaticini. Allorché nel 1435 il prode Biagio Assereto, oriundo rapallese, cancelliere del genovese Comune, pose il piede sulla flottiglia, inviata in soccorso di Gaeta, e della quale avea il supremo comando, una folgore fece staccare una pietra del campanile di S. Ambrogio, onde « Quilico Franco dei Sacchi medico e dotto in astrologia af-firmava con efficaci ragioni secondo che patisce quell’arte, che la pietra marmorea significava che il capitano dell’armata inimica doveva esser menato prigione con Γ armata sua in Genova » (1). Medichessa e astrologa era pure la nostra rapallese. Scorgendo le rughe della mano del Campofregoso gli avrà adunque predetto non solo la sua buona ed infausta sorte o, secondo il costume invalso, gli avrà dato a bere l’acqua di rosmarino, reputata come la panacea universale, giacche « vale a tutte le infermità » (2), ma chiamata d’urgenza da un illustre personaggio qual fu il doge Tommaso Campofregoso, che tanta parte ha nel movimento letterario della sua epoca, qual benemerito promotore della cultura dell’Umanesimo, e quale cortese mecenate degli studiosi, avrà pure prodigato i tesori della sua scienza vera, acquistata collo studio, e non frutto della sola superstizione e della profonda conoscenza di malìe, incantesimi e di altre scienze occulte. Si noti pure che in Genova non facevano difetto medici di vaglia. Me ne informa una lettera del Bracelli, che il 4 ottobre del 1456, domandando consigli per una sua figliuola ammalata al genovese Giovanni Marabotto, medico in Bologna, soggiungeva :.... non quia apud nos desint preclari medici et preter eos sunt etiam proxima nobis studia Papiensium (3)· Benedetto Campofregoso, che ebbe bisogno della medichessa rapallese era figlio di queU’Abramo (fratello del doge Tommaso) che nel 1416 era stato eletto governatore di Corsica (4) e che, secondo ci dicono gli annali di Giorgio Stella, nel settembre del 1426, radunato un manipolo di contadini di Rapallo e di altri luoghi, (1) Giustiniani, Annali, Vol. II, p. 333, Genova, Canapa, 1X35. (2) Bei.GRANO, Di nn Codice Genovese etc., I. c., p. 637. (3) Lettere· di Giacomo Bracelli, I. c., p. 26. (4) Litta Famiglia, Fregoso, Tav. II. GIORNALE STORICO E LETTERARIO DELLA LIGURIA 29I era entrato in Genova ai danni dello stato milanese colle grida di Viva il Popolo e i Fregosi. Non potendo queste donne frequentare le Università, che allora erano in fiore, considerando che esercitavano con plauso la medicina, come la nostra Teodora Chichizola, è necessario ammettere che facessero studi privati sotto professori di grido, acquistando poi il titolo di dottoresse dai governatori delle città, o da non pochi di quei marchesi, conti palatini, che godevano pure del privilegio di crear notari e legittimare bastardi. Infatti nel 1475 figura in Milano come medichessa fixica et ciroyca et doctorata per litteras ducales la nobile magistra Antonia de Genua de Campogrando moglie di Cristoforo de Padulio, abitante in Santa Maria della Chiusa. Da un atto del 26 maggio 1475 risulta aver essa conosciuto ex in-spcctione urine unius brentatoris illum in extremis laborari ex una magna impostematione (1). Gli studi di questa medichessa m inducono a credere che fosse allieva del più famoso dei chirurghi d’allora, di Maestro Battista da Rapallo, celebre litotomo nel 1473 ed inventore del grande apparecchio per l'estrazione delle pietre dalla vescica, che professò la chirurgia in Genova e poi in Saluzzo « homo scienziato et experientissimo nella ci- rurgia.....et nell arte del sanare le piaghe et d’extrahere da le ici ite non solo tutte le malignitadi et li pezzi degli corpi feritori, ma etiamdio dalle intime viscere le pietre dentro generate et abscondite con li suoi finissimi instrumenti ad oportuno locho et cum angelica dexteritate aperte » (2). Questo dotto rapallese trasmise i tesori delle sue scientifiche dovizie a quel Giovanni da Vigo, medico di papa Giulio II (3), nato in Rapallo (1) Emilio Motta, Un medico condotto in Abbiategrasso nel 14.7.) in Arch. St. Lombardo, Serie III, XXVII, p. 325 ; Giornale Storico e Letterario della Liguria, [891, Grenn. Febbr. pp. 74-75. (2) PESCETTO, op. cit., p. 56. Ij) lutti gli storici, che parlano di Giovanni da Vii^o, lo dicono figlio di Maestro Battista da Rapallo. L’errore è manifesto da parecchi atti notarili. I.’ 11 luglio 1500 son nominati i fratelli Giovanni, chirurgo, Vincenzo, bam-baxaro, I addeo e Nicolo, figli del qm. Ambrogio de Vigo, i quali vendono una lor casa posta in Rapallo in carubco recto (ruges, che già nel secolo XIV dovevano esportare i Genovesi per le loro grandi relazioni, che avevano colle Fiandre. Le donne rapallesi nel secolo XV gareggiavano nel confezionamento di queste trine di refe e di seta, per invenzione e per arte sommamente pregevoli e ricercate, ed alle quali davano ancora risalto l’oro e l’argento filato. * * * Affermava il Burckhardt, che prima dei tempi di Andrea 1)’ Oria gli abitanti della riviera passavano in tutta Italia per nemici di qualsiasi coltura. Ma sì fatta opinione, desunta dal Valeriano e dal Menke, non vuoisi intendere per modo assoluto, e dagli studi recenti viene di mollo attenuata (5). Rapallo ce ne porge una prova, poiché nel secolo XV oltre le industrie dei pizzi, dei velluti, dei saponi e dei coralli, degli aranci e dell’olio, oltre aver dato notevoli pittori (6) e cartoli) Atti del ATot. Lanfranco, Reg. Ili, p. 203. (2) Atti del ATot. Salomone, Reg. II, p. 326. (3) Atti di Notari Ignoti, Reg. XXXVI, Sala 74. (4) Atti del Not. Corrado de Castello, Reg. VII, p. 168. (5) BURCKHARDT, La civiltà del Rinascimento in Italia, Firenze, Sansoni, 1900, II, 99. In questa seconda edizione il Zippel ha rilevato Γ inesattezza dell’ affermazione. ((>) Dei pittori parla diffusamente l’Alizeri, intrattenendosi intorno al pittore Guglielmo Grillo da Zoagli (1310), ai pittori rapailesi Simone Smeraldo (1339-1369) Giovanni Re (1343-1367)1 Bernardo Re (1457-14(12), Cosimo 294 GIORNALE STORICO E LETTERARIO DELLA LIGURIA grafi (i), non fu estranea a quel movimento erudito, che correva ormai da un capo all’ altro la penisola e pervadeva anche i centri minori. Un pallido segno di coltura rapallese rintracciasi in quel Guglielmo, prevosto di S. Stefano di Rapallo (ora Oratorio dei Neri) e già monaco dei Benedettini di S. Fruttuoso di Capodimonte, che il 2 dicembre del 1209 facea testamento e lasciava a Giovanni, canonico di detta chiesa, un Lucano, colla facoltà di essere consultato da Ferrario, canonico della pieve di S. Gervasio..... habeat licenciant operandi (2). E uomini dotti soggiornavano in quell’abazia. 11 2 ottobre del 1439 il doge Tommaso Campofregoso raccomandava al pontefice e all’arcivescovo di Firenze frate Rainerio da Pisa, virum sat/s litteratum che era stato tanti anni nel monastero di S. Fruttuoso, retto ora da un abate ormai vecchio, e lo proponeva per il governo dell’ abazia (3). Già nel secolo XIII, se non prima, si aprirono in Rapallo scuole di grammatrca per opera di maestri, non più canonici, addetti alla pieve o all’antica parrocchia di S. Stefano, ma di laici od anche ecclesiastici indipendenti, che riscuotevano una tassa dai discepoli, ovvero ricevevano uno stipendio dal rapallese Comune. Infatti il 3 febbraio del 1282 trovo maestro Giovanni da Treviso, dottor di grammatica in Rapallo (4). In pari tempo Re (1459-1470) suo figlio, c Giovanni Barbagelata (1484-1508). (Federico Alizeri, Notizie dei Professori del Disegno in Liguria, Vol. I e'Vol. II). Alle ancone, eseguite dal nostro Barbagelata, dobbiamo aggiungerne un’altra, ignota all’Alizeri, e dipinta per l’oratorio di S. Bernardo a S. Margherita. Rappresentava S. Chiara d’Assisi in mezzo a due angeli. La rimanenza del prezzo pattuito per detto quadro fu sborsata il 15 settembre del 1504 da Paolo Larco, cassiere dell’ oratorio (Atti del Not. Gio. Andrea Ottmwggio, I5°3‘I5°4i foglio 200, Arch. Distrettuale di Chiavari). (1) I cartografi Maggiolo tanto celebrati in Genova, Napoli e altrove sono oriundi di S. Ambrogio di Rapallo. Il 1. settembre del 1531 vi possedeva una casa il noto fabbricante di carte per navigare maestro Visconte Maggiolo, venduta per L. 800 a Bartolomeo Borzese. La casa era posta nella località detta Ronco (Staglieno, Dite Nuovi Cartografi della Famiglia Maggiolo in Giornale Ligustico di Archeologia, An. 1875, Vol. II, p. 217). (2) Atti del Not. Giovanni de Amandolesio etc., Reg. I, p. 90. (3) Litterarum, Reg. Vili, N. 1620, p. 591. (4) Atti del Not. Giovanni Finamore, Reg. I, p. 30. GIORNALE STORICO e LETTERARIO DELLA LIGURIA 2Q$ altii soggetti notevoli della podesteria rapailese distribuivano in Genova il pane della scienza. Dal 27 maggio del 1298 al 16 marzo 1325 trovo ricordato maestro Rollando Pugnotto da S. Lorenzo di Rapallo, abitante in Genova nella contrada di Pellicierta e poi in Chiavica, e che faceva parte del fiorente collegio dei maestri di scuola (1). Il 4 luglio del 1304 il maestro Percivalle da Zoagli veniva accettato in Genova nel collegio dei maestri (2), del quale fa parte ancora il 20 luglio del 1329 (3). Benemerito pure dell’istruzione è quel Bertolino Fieschi, canonico della pieve di Rapallo, il quale con testamento del 2 febbraio 1313 lasciava un cospicuo capitale, i cui redditi dovessero servire per un cappellano da nominarsi nella cattedrale di Genova e che avesse l’obbligo di insegnare la grammatica e il canto ai fanciulli (4). Il 12 dicembre del 1325 Percivalle de Valle da Rapallo teneva scuola in Genova nella casa di Francesco de Franceschi (5), e più tardi un altro rapallese, il maestro Pietro de Brina, rivestiva 1’ufficio di rettore del collegio dei maestri, dandocene contezza un atto del 28 novembre 1394 (6). Il sam-margaritese prete Antonio de Vialino il 20 luglio del 1452 reggeva le scuole nel suburbio di S Fruttuoso in Genova (7). Il 9 gennaio del i486 parecchi maestri sacerdoti in Genova (tra i quali figurano i rapallesi Bernardo Maggiocco, Leone Barlaro, Pietro I'igallo e Paolo Mollino) eleggono un procuratore per essere difesi contro i maestri laici (8). Curiosi sono i patti stipulati il 9 marzo del 1490 tra il notaio Giovanni Canessa e Andrea Piaggio, rappresentanti gli uomini di Rapallo, a riguardo d’una scuola, che volevano instituita a benefizio del paese. Si accordarono col rapallese notaro Domenico de Arzelleto e con (1) Atti dei Not. Stefano Corradi, Reg. I, p. 59; Giannino Vataccio, Reg. I, p. 120, e Ugo/ino Cenino, Reg. V, p. 251. (2) Atti del Noi. Corrado de Castello, Reg. V, p. 30. (3) Atti del Not. Giovanni Gallo, Reg. II, Parte li, p. 155. (4) Atti del Arot. Leonardo de Garibaldo, Reg. I, Parte II, p. 168. (5) Atti del Not. Simone Batizati, Reg. I, p. 106. (6) Atti del Not. Giovanni de Aiegro, Reg. I, p. 242. (7) Atti del Not. Andrea de Cairo, filza Vili, foglio 185. Il Vialino era pure arciprete di S. Martino di Albaro, che rinunciava il 29 marzo del 1454 (Not. Andrea de Cairo, Filza X, foglio 79). (8) Atti c. s., Filza XI|[, foglio 13. 2QÔ GIORNALE STORICO E LETTERARIO DELLA LIGURIA prete Francesco Spina da Napoli, entrambi maestri di scuola. Il notaio, ricevuta la paga dai due rappresentanti del Comune si obbligava di dare per due anni consecutivi lire sei al mese a detto Francesco, percependo egli a sua volta soldi tre al mese da ciascun ragazzo, che frequentasse la scuola rapallese (i). Il 24 settembre del 1495 il prefato Arzelleto dava a pigione la sua casa al maestro Francesco de Lardonis da Compiano per 10 spazio di due anni colla decorrenza del primo ottobre, cedendogli pure le panche e i banchi della scuola, obbligandosi a non insegnare la grammatica a nessun fanciullo rapailese (2). 11 3 marzo del 1491 è nominato il maestro Gregorio da Val-dettaro, rettore delle scuole di Portofino, e il i° novembre del 1496 il maestro Battista de Luminariis, rettore delle scuole di S. Margherita (3). Il i° febbraio del 1501 il prefato Francesco Spina da Napoli, regens scholas in fiurgo Rapalli riceveva L. 42 da Cosimo Schiattino come stipendio, in ragione di L. 6 al mese, avendo retto le scuole in S. Margherita dal i° novembre 1491 sino al 20 giugno 1492 (4). In Genova godeva stima e riputazione la scuola del sacerdote Lorenzo Borzesc da Rapallo, cappellano della cattedrale genovese. Il 6 maggio del 1502 il maestro Cristoforo da Crovara gli cedeva la scuola con 50 ragazzi, posta nella contrada del Prionc (5). Da questi maestri di grammatica rapailesi appresero i primi rudimenti i nostri medici prima di frequentare gli studi di Bologna, Pavia e di altre università. * * * Genova avea pure ricevuto nei secoli XIV e XV un infinità di famiglie rapailesi, che nella volubile corsa del tempo non paghe più della coltivazione degli orti e delle vigne e della (1) Atti del Not. Benedetto Figai lo, 1488-1490, Ardi. Distrettuale ili Chiavari. (2) Atti del Not. Nicolò Zerega, 1490-96. Ardi. c. s. (3) Atti del Not. Gio. Andrea Ottoveggio, l'ilzc 141)0-1 192-1493-1496, Ardi. c. s. (4) Atti di Notari Ignoti, Reg. LIT, Parte I, Sala 74. (5) Atti del Not. Urbano Granello, Filza JjII, foglio 81. GIORNALE STORICO E LETTERARIO DELLA LIGURIA 297 pesca, cui si erano date, s’ ingagliardirono e da principi modesti salirono al fastigio dello splendore. Da S. Quirico di Assereto nella seconda decade del secolo XIV si partiva ad esercitare l’arte del cancelliere nella curia di Recco il notaio Simone Assereto, bisavolo del celebre Biagio, il noto vincitore della battaglia di Ponza (1). Da S. Pietro di Novella, e precisamente dal castello della Banca (2), si recava a Genova la famiglia Banca (e un Paolo Banca di Rapallo fu nel 1369 ambasciatore al Soldano d’Egitto), che entrata nei Giustiniani si onora di Mons. Agostino Giustiniani, vescovo di Nebbio in Corsica, principe degli Annalisti genovesi. Domenico Pastine da Rapallo moriva nella città di Famagosta di Cipro nel 1411, lasciando a prò del genovese Comune un discreto peculio. La sua statua, eretta nell’atrio del palazzo di S. Giorgio in Genova, reca fra le mani la leggenda : « Ciascuno studii fare simili servitù alla patria » (3). Battista di Simone da Rapallo, prevosto di S. Maria delle Vigne negli anni 1421-1423 è nunzio del pontefice Martino V e collettore delle decime, dovute alla camera apostolica (4). Il rapallese Lorenzo Morello nel 1439 arciprete di Recco (5) e dal 4 maggio 1447 canonico della cattedrale di Genova e prevosto di S. Stefano di Rapallo (6), faceva testamento il 28 settembre del 1471, ordinando che nel Banco di S. Giorgio venisse posto un piccolo capitale, i cui proventi dovessero servire per maritare zitelle del suo cognome e in mancanza di esse per le fanciulle della podesteria di Rapallo. La morte coglieva questo dimenticato benefattore nella notte del 30 set- (1) Ancora un atto del 30 marzo 1384 ricorda il padre del nostro Biagio Costantinus de Axcrcto de Rapallo gin. Johaitnis fai ri. (Atti del Not. Oberto Foglietta, Filza I, foglio 93). (2) Il 15 luglio del 1456 il doge di Genova, scriveva a Gio. Filippo Fieschi di togliere le armi e munizioni dal castello della Banca e da quello del monte Lasagna (Litterarum, Reg. ΧΥ1ΙΓ, N. 3212, p. 761. (3) Cuneo, Del Debito Pubblico di Genova e di S. Giorgio, Genova, Sordo-Muti, 1842, p. 215. (4) Giornale Ligustico, An. 1887, pp. 361-362. (5) Atti del Not. Hiagio Foglietta, foglio 225. (6) .Itti de! .Ynt. Andrea de Cario, Filza 111, foglio 88. 298 GIORNALE STORICO E LETTERARIO DELLA LIGURIA tembre dello stesso anno (1). Allo stesso fine, e in ispecie a prò’ delle povere fanciulle, il notaio rapallese Nicolò de Canneto, notaio, il 18 gennaio del 1463 lasciava il capitale di L. 2645 al Banco di S. Giorgio, ordinando che i canonici della Cattedrale di Genova dovessero distribuirne il frutto ogni anno nel mese di dicembre (2). Il rapallese Spirindeo Argiroffo dal 1468 al i5°9 arciprete di Camogli, prevosto pure di S. Donato in Genova, canonico di S. Maria in Via Lata e di N. S. delle Vigne, protonotaro apostolico e parecchie volte eletto dai pontefici giudice in questioni delicate, lasciò 1111 pingue capitale, per sovvenire alle figlie maritande della podesteria di Rapallo (3). L’ 8 luglio del 1491 il doge Agostino Adorno comunicava ai giusdicenti delle riviere che Alberto del Carretto consigliere ducale e podestà di Genova, d’ordine del Duca di Milano, avea bandito detto Argiroffo e il prete Lorenzo Costa di S. Lorenzo della Costa (4). Il Beato Battista Poggi, fondatore di parecchi conventi degli eremitani di S. Agostino, è di Rapallo, e da un atto dell 8 luglio 1475 risulta figlio di Mariola della Valle del fu Antonio, allora vedova di Giacomo de Podio (5)· A sua istanza il pontefice Sisto IV con lettera dell'8 giugno 1474 introdusse i frati agostiniani nel monastero (ora Ospedale Civico), che i Rapailesi aveano fabbricato a loro spese (6). Anche i benefizi ecclesiastici rapallesi vennero nel secolo XV concessi a persone, degne di ricordanza speciale. Sul cadere del maggio del 145° essendo morto in Roma, in tempo del giubileo, l’arciprete di Rapallo Gio. Andrea Giudice, il pontefice Nicolò V il 10 giugno dello stesso anno eleggeva Bartolomeo Pammoleo da Levanto, canonico di S. Lorenzo e di S. Donato in Genova e di S. Anastasia in Roma (7) ; gli venne poi affidata il 13 aprile del 1480 da Sisto IV la diocesi di Accia in Corsica, ove morì il 13 gennaio del 1493· (1) Atti del Not. Lorenzo Costa di Rapallo, Filza IV, foglio 825. (2) Cartulario Originale S. L., p. 389. (3) Nicolò Schiappacasse, Camogli, Memorie Storielle, S. Pier d’Avena, Tip. Salesiana, 1900, p. 29. (4) Diversorum, Filza XLVIII. (5) Atti del Not. Andrea de Cairo, Filza XXX, foglio 318. (6) lurisdietionalium, Filza segnata 149-1220. (7) Atti del Not. Andrea de Cairo, Filza VI, foglio 188. GIORNALE STORICO e LETTERARIO DELLA LIGURIA La pievostura di S. Stefano di Rapallo fu goduta dal 1474 al marzo del 1478 da Raffaele Riario, cardinale, nipote del pontefice Sisto IV (1), subentrando nel possesso il rapallese Domenico della Torre, sebbene fanciullo, raccomandato da Bona di Savoia e dal figlio Giovanni Galeazzo, duchi di Milano (2). Nel 13G8 si trova menzione di un Antonius de Rapallo vitrarius ed è notizia più antica rinvenuta sin qui circa 1’ arte del veti o » (3). Lo stesso, in qualità di vetraio a S. Donato, è testimone ad un alto del 10 Gennaio 1360, stipulato per l’arte del vetro (4). Nel secolo XV parecchi rapallesi vetrai trovansi in Genova. Primo fra essi è quel Luca Stiroccio, che il 13 dicembre del 1430 quivi esercitava la sua arte (5) insieme con Antonio J assara, vetraio in Sosilia, ricordato il 7 settembre del 1439 (6). Lo Stiroccio il 15 luglio del 1445 esponeva al Doge e agli Anziani di Genova che per le tasse impostegli era stato costi etto a ritornare a Rapallo, dove era nato ed educato (7). Il 16 ottobre del 1455 avea provvisto di vasi di vetro la cucina del doge (8). Il 5 settembre del 1431 Bartolomeo Capra, arcivescovo di Genova, e governatore in Genova per il Duca di Milano, accordava libero salvacondotto a parecchi maestri, deputati alla fornace di vetri di Giacomo da Rapallo (9). I Molfino, originari di S. Martino di Noceto, furono per una serie non interrotta di anni gli operai prescelti della zecca genovese e ottennero per ciò l’esenzione dalle tasse, in virtù di un decreto del 7 giugno 1413, concesso a Giacomo Molfino, e confermato il 12 giugno 1471 (10). 1 1 atuccio si erano già resi illustri per quel Filippo Patuccio (1) A. Ferretto, Le Rappresentazioni Sacre iti Chiavari e Rapallo, Genova, Sordo-Muti, 1898, p. 45. (2) Atti del Not. Andrea de Cairo, Filza XXXIII, foglio 88. (3) Atti della Società Ligure di Storia Patria, Vol. X, p. 8 nota. (4) Atti del Not. Zino Vivaldo, Reg. II, Parte II, p. 193. (5) Atti del Not. Domenico Cavallo, Reg. I, p. 224. (6) Atti del Not. Corrado de Vico da Rapallo, Reg. I, Areh. Distrettuale di Chiavari. (7) Diversorum X, Reg. XLI. (8) Diversorum X, Reg. LXVII. (9) Litterarum, Reg. VI, N. 27, p. 7. (IO) Diversorum, Filza XXXII. GIORNALE STORICO E LETTERARIO DELLA LIGURIA da Rapallo, che, vestito l’umile saio del poverello d’Assisi nel convento di S. Francesco di Castelletto in Genova, veniva nel 1390 eletto vescovo di Iglesias in Sardegna, perdurando nella dignità, sebbene esule per lo scisma, sin verso >1 130^ (')■ Un Bartolomeo Franzone, figlio di Giberto, prima della metà del XIV secolo, lasciava la sua misera casa del quartiere di Borzoli (luogo detto di Grè) per impiantare un’osteria al Molo ed è considerato come il capostipite della famiglia Franzone, che, ascritta al Libro d'Oro del Comune, si illustra di dogi, di vescovi e di cardinali. I Brignole di Rapallo trasportarono i loro telai in Genova e le prime orditure procacciarono ad essi, oltre la nobiltà, fama e gloria imperitura, mentre altri Rapailesi davano impulso alla navigazione per le coste italiche non solo, ma per le greche e per le orientali, dove il vessillo di S. Giorgio sventolava glorioso e temuto. Arturo Ferretto LA NEUTRALITÀ ASTESE NELLA GUERRA FRA GENOVA E MILANO E LA SIGNORIA DI FRANCESCO SFORZA IN ASTI SECONDO NUOVI DOCUMENTI (2) (1436-1441) Tra le cupidigie di Savoia e di Monferrato, che si eludevano a vicenda, Asti rimaneva a Filippo Maria Visconti, depositano della città e dello Stato astese in nome del nipote Carlo d'Or-léans, tuttora prigioniero in Inghilterra (3)· Dopo la perdita di (1) Atti del Not. Oberto Foglietta, Reg. V, p. 213, dei Notari Oberto e Antonio Foglietta, Reg. Ili, p. 65, del Not. Cristo/oro Revcllino, Keg. VI, p. 28 e del Not. Oberto Mainetto, Reg. IV, p. 34. (2) Avverto che non mi valgo in questo lavoro che del fondo dell’ Archivio Comunale di Asti, e, in via eccezionale, dell’ Archivio di Stato di Torino, Cat. Asti, riservandomi di adoperar altrove il materiale milanese c genovese. Sono costretto a ciò dalla necessità eli prevenire che altri tentino sfruttare materiali da me raccolti già da gran tempo, secondocliè mi ammaestra, pur troppo ! 1’ esperienza degli «Itimi anni. (3) Per la storia di Asti sotto la dominazione orleancse, ed il « deposito » visconteo fino a quest’ epoca, cfr. i miei scrini Asti e il Piemonte aI tempo di Carlo d’ Orléans (1407-1416), Alessandria, 1898, e II Piemonte e le relazioni visconteo-sabaudc da! 1416 n/ 1-134, di prossima publica/iolie. GIORNALE STORICO E LETTERARIO DELLA LIGURIA 3OI Genova (15 gennaio 1436), era quella un’eccellente base di operazioni al ricupero della Liguria, dove tenevano ancora pel Biscione Cavi e Voltaggio ed il fortissimo Castelletto ; ma per i primi mesi susseguenti alla rivoluzione di Genova manca per ora ogni notizia sull'attitudine degli Astigiani riguardo a quegli avvenimenti. I cronisti del tempo narrano particolareggiatamente le fazioni di Nicolò Piccinino nella riviera di Ponente, 1' abile presa del Castelletto da parte dei Genovesi, la defezione di Barnaba Adorno da Milano, l’adesione di Genova alla lega antiviscontea; nulla dicono delle relazioni di Asti col nuovo governo ligure, nè se e quanto il Piccinino siasi valso di quella città e del suo territorio per le sue operazioni di guerra (1). Un documentino inedito sembra attestare l’esercizio di una speciale autorità in Asti da parte del condottiero il 1 luglio 1436 (2); ma non pare che perciò lo Stato astese, il quale si considerava come un ente a sè, ben distinto dai veri domini del Visconti, avesse motivo di considerarsi in guerra con Genova, con cui il séguito delle notizie documentarie ce lo mostra ben deciso a conservare la pace e la neutralità. Asti ed il paese che ne dipendeva erano in quel tempo governati, in nome di Filippo Maria, da Francesco Barbavara, pur conservando tutto l’affetto al loro legittimo signore orleanese, (1) S. Ventura, Memoriale, in M.h.p., 55, III, 828; Decembrio, Vita ili .Vico/ò Piccinino, in MURATORI, Ii. I. S., XX, 1067 ; SIMONETTA, De rebus gestis Fr. Sphortiae, ibidem, XXI, 259. Regna incertezza sulla data della rivoluzione di Genova, che alcuni (Muratori, Ann. d’It., ad an. 1435) pongono il 12 dicembre 1435, altri (Cipolla, Storia delle Signorie, 360) il 13 dello stesso mese, altri ancora ritardano fino al 27 (De Rosmini, Istoria di Milano, II, 333) o lasciano incerto fra il 24 ed il 27 (Perret, Histoire des relations de la France avec Venise, I, 187), mentre il Serra, Storia dell' antica Liguria e di Genova, III, 167, la porta al 15 gennaio 1436, ed il GIUSTINIANI, Annali di Genoma, II, 351, al 25 di questo mese. Non hanno data il Canale, il Donaver, etc. Mi riservo di tornare di proposito sulla questione. (2) Ardi. Coni. d’Asti, Ann. III, cass. II : « Spectabiles et egregii amici, hayo veduto che me haveti scrito per lo portatore de la presente ; unde resto contento, et haveti fato bene et el dovere. Quel messo de la presente, fatillo contento de soa fadga per vegnire qua da me. Datum ex Caminata de Ron-charello prope Placentiam die primo iullii 1436. — Nicholaus Picininus de Perusio, ducallis locumtenens el capitaneus generalis ». 302 GIORNALE STORICO E LETTERARIO DELLA LIGURIA ed interessandosi quindi apertamente ed ufficialmente per gli agenti di lui, il francese Perrinet e l'astigiano Andrea Borgesio, naturalmente perseguitati dagli ufficiali viscontei (i). Le pratiche del bastardo Dunois, figlio di Luigi e fratello di Carlo d’Orléans, colla republica di Venezia per ritogliere lo Stato astese a Milano (2), non potevano sfuggir del tutto alla gelosa vigilanza del governo visconteo, e se per un Iato lo costringevano a riguardi, dall’altro erano causa di continui sospetti e paure. Il reggimento del Barbavara era per se stesso duro e fiscale, per quanto del fiscalismo egli cercasse dar causa ai publici bisogni e si studiasse di scaricarne il peso e l’odio sull'autorità comunale (3). Moveva a sdegno lo sfacciato favoritismo famigliare (1) Ibidem: « Spectabilis domine honorande, post debitas recomendationes; magnificus Francisais Barbavaria, gubernator noster, sive magnificus Berrar-dinus, ducalis capitaneus, misit hodie Andream Burgeysium, concivem nostrum, et cum ipso quemdam Perrinetum galicum, qui asseritur familiaris illustrissimi domini domini nostri ducis aurelianensis, et, ut speramus, propter malas in-formaciones. Timentes igitur ne opere facti fiat ut procedatur in personam contra dictum Andream, [quem] sfcmper reputavimus bone condicionis, vocis et fame, nec posset iniuria in personam, quod absit, si fiet, forte propter crudelitatem offitialis reparari, rogamus vos tota mente quod intercedere velitis pro ipso Andrea apud ilLmuin et ex.munl dominum Ducem quod nichil fiat ex arrupto nec opere facti vel iniuria, sed causa plene cognita, et si, quod non credimus et quod absit, peccaverit, penam debitam reportet ; si autem inventus innocens sit, recomissam habeat innocentiam suam tanta illustrissima Dominacio, cuius gubernacioni merito subiecti sumus. Hacque ex causa, mirati de casu et modo mittendi dictum Andream, ad vos destinamus fratrem Girardum ordinis Predicatorum, cui in premissis velit Magnificentia vestra fidem credulam adhibere. Datum Ast, die xxim anuarii MCCCCXXXVI1. — Consilium Sapientum civitatis astensis ». È spiacevole che non risulti a chi è diretta la lettera. Nella quale, a vero dire, si raccomanda solo il Borgesio, ma si parla pure, non senza simpatia, di Penino, nominandone' con reverenza il signore, duca d’Orlóans. (2) Perret, Histoire des relations de la France irvcc Venise, I, 153, n. 1. (3) Arch. Com. d’Asti, l. c.: « Franciscus Barba varie ducalis astensis gubernator etc. (sic). Visis literis illustrissimi domini nostri Ducis, datis Mediolani, quintadecima februarii proxime preteriti, per quas Dominatio sua concessit Communitati astensi licentiam imponendi aditionem reve vini, quod venditur ad minutum in dicta civitate, de ambrosinis sex monete astensis pro singulo sestario, tam pro ianuynis quingentis rctnperandis pro necessitatibus ipsius Comunitatis, quam pro disbitandis (sic) exemptis ac locis ipsius GIORNALE STORICO E LETTERARIO DELLA LIGURIA 3Ο3 del Governatore, che distribuiva le maggiori cariche tra i suoi parenti ed amici: Giovanni Barbavara, vescovo di Tortona, era stato fatto « luogotenente »; Nicolino Barbavara, « capitano, » e talvolta luogotenente ancor egli; Giovanni da Velate, « vicepodestà »; per tacere di tutta la turba occupatrice degli uffici minori. Nè meno indispettiva gli Astigiani lo sperpero delle ville del territorio, tra le quali Canelli era stata donata dal duca di Milano al conte Ardizzone da Carrara, Neive e Castagnole al < nobile » Enrico Poirano, soldato del Piccinino. Ai confini, Monferrato e Savoia continuavano a spiare, come falchi alla vedetta, l'agognata occasione di far nuovi acquisti a danno dello Stato astese e, possibilmente, d’ingoiarselo tutto (i): a questo riguardo è notevole un trattato del 3 settembre 1436, col quale Amedeo Vili concedeva al marchese Giovan Giacomo ed al figlio di lui Giovanni la facoltà d’impadronirsi di Asti alla morte di Filippo Maria, nonostante qualsiasi patto .anteriore in Comunitatis, prout latius in dictis literis continetur; visisque similibus literis per ipsum ill.mum Dominum nostrum sub eadem die Nobis scriptis super ipsa materia, cum postea supervenerint maiores necessitates dicte communitati pro quibus nequaquam supplere potuissent dicti ianuyni quingenti, ideoque necessarium sit, pro ipsis necessitatibus, ex ipsa aditione dicte reve fienda, ia-nuynos octingentos recuperare ; certique reddamur quod prelibatus dominus noster, pro comodilate dicte Communitatis, ita de pluribus concessisset, ut concessit, maxime cum inde sequatur ipsius Communitatis utilitas, quam Dominatio sua semper vellet; harum serie ex certa scientia dedimus et concessimus, ac damus et concedimus dictis Communitati et hominibus Ast, ac electis vel eligendis per ipsam Communitatem, licentiam, potestatem et baliam exigendi et recuperandi ex additione dicte reve, ultra dictos ianuynos quingentos auri, alios ianuynos tricentos auri, idest sftmmam ianuynorum octingentorum in totum ; promittentes etiam tenore presentium dictis Communitati et hominibus ac nobili Henrico Buneo, sindico dicte Communitatis, stipulanti et recipienti nomine et vice ipsius Communitatis, dare operam toto posse nostro quod illustrissimus dominus dominus noster dux Mediolani, quo citius fieri poterit, rattificabit et approbabit ut supra concessa per Nos, mediantibus Dominacionis sue litteris opportunis. In quorum testimonium présentes fieri iussimus et registrari, nostrique sigilli munimine roborari. Datum Ast, die vigesimoquinto martii MCCCC trigesimo septimo. — Andrionus ». Cfr. anche più innanzi, pp. 311, 312 325. ( 1 ) I-a prova documentaria di tutte queste affermazioni si trova più innanzi, Documenti, 11. III, 304 GIORNALE STORICO E LETTERARIO DELLA LIGURIA contrario (i). Si capisce come, in questa distretta, gli Astigiani, pieni di malcontento e di affanno, non volessero compì omettersi maggiormente ed aumentare il numero dei loro nemici partecipando per la non gradita signoria viscontea alla guerra di Milano contro Genova, donde potevano ridondar loro molti danni, nessun vantaggio. L·' animo del Comune astese e de’suoi cittadini riguardo a tale questione, e la loro risoluzione di conservare la neutralità fra il Visconti ed i Genovesi, appare fino all’evidenza da tutla una serie di documenti. D’ordine del Duca, Cristoforo Lam-pugnani, agente di lui, pretendeva, in un col Barbavara, d’imporre una nuova tassa agli Astigiani in sussidio della guerra contro Genova. 11 Comune protestò, e Filippo Maria, per non irritare soverchiamente quei suoi malcontenti protetti, consentì a rinunziare al sussidio con sue lettere dei 31 maggio 1437 (2). Ma sei mesi dopo si era da capo. In ottobre 1437 stesso, Battista Fregoso, nonostante la generosità dimostratagli dal Doge suo fratello in occasione della rivolta del marzo avanti (3) era sempre in armi contro di lui per conto del duca di Milano, il quale ne destinava 300 cavalli a svernare in Asti. Appena il Comune astese fu informato di questo divisamcnto del Visconti, si affrettò a mandargli ambasciatore Secondino Ventura, il cronista, coll’incombenza di esporgli i pericoli che sarebbero derivati agli Astigiani dall’intromettersi nella guerra di Genova col ricevere ed alloggiare le genti del Pregoso, guerreggiante contro il governo genovese. Il Duca cedette alle rimostranze (1) Vedi Documenti, η. I. Si confrontino questi |>;itti cogli altri del 12 giugno 1436 stesso, riassunti dallo Scakauelli, Paralipomeni iti storiti piemontese, in Arch. s/or. Hat., 1, XIII, 271 seg. (2) Arch. Coni, il’ Asti, Arni. Ili, cass. II: « Dux Mediolani ac l’apie, Anglerieque comes ac Ianue dominus. Dilecte noster, intellecta continentia literarum tuarum, contentamur quod Astenses illi non graventur ad exhibitionem alicuius subsidii contra presentem statum Ianue; proindequi' scribimus per annexas Xpistoforo de Lampugnano ut ah omni fienda requisitione desistat. Neque enim intendimus ut cives illi occasione dicti exhibendi subsidii locis que habent in comuni tate Ianue privati remaneant. Datum Mediolani, die ultimo maii MCCCCXXXVI I.° — Iohannes Franciscus. Spectabili dilecto nostro Francisco de Barbavariis, gubernatori Ast ». (3) Giustiniani, Ann., II, 359. GIORNALE STORICO e LETTERARIO ÜELLA LIGURIA 305 del Ventura, e fece scrivere a Nicolino Barbavara di non dar altia molestia al Comune ed allo Stato astese per l’alloggiamento dei cavalli di Battista Fregoso, disponendo fossero questi posti a svernare altrove (i). Questa volta, però, era ornai troppo tardi. I Genovesi, sospettando gli Astigiani di connivenza col J )uca, quasi partecipassero davvero alla guerra pur fingendosene ufficialmente alieni, avevano sequestrato i « luoghi » ch essi Astigiani avevano in Genova, sul banco di San Giorgio, con grave danno degl'interessati. I quali naturalmente strillando, mossero il loro Comune a mandare nuovo ambasciatore al Visconti il nobile Tomaso Layolo, a che désse facoltà d’inviare due cittadini a Genova a dar le opportune spiegazioni e procurare si togliesse il sequestro, ed a che, pure, non s’insistesse in una nuova domanda di truppe in socorso di Galeotto Del Carretto, aneli’ egli in guerra coi Genovesi. La missione del Layolo ebbe esito soddisfacente (2); ma questa giusta ostinazione degli Astigiani a non voler secondare il loro signore nelle guerre contrarie al proprio interesse non dovette esser (1) Arch. Com. d’Asti, l. c. : « Dnx Mediolani etc. (sic), Papie An-glorieque comcs ac Ianue dominus. Dilecti nostri, intelleximus continentiam literanim ad Nos Comunitatis illius; intelleximus etiam illa omnia que nobilis Secundinus Ventura, ambassiator eiusdem Comunitatis, prudenter exposuit circa materiam illorum tercentum equitum magnifici domini Baptiste de Cam-pofregoso, quibus de logiamento in patria illa provideri mandavimus. Attendentes igitur que dictus Secundinus tetigit de gravi iactura civibus illis secutura, qui statini privarentur locis Comunis que habent in Ianua quando se de guerra contra Ianuenses intromitterent, receptando equos prefati domini Baptiste contra presentem statum Ianue guerram facientis ; nec intendentes quod ista occasione cives ipsi dampnum supportarent; contentamur et placet Nobis quod pro dictis tercentum equitibus nullum penitus onus habeatis. Quare desistas tu, Nicoline, ab omni molestia eis occaxione dictorum equitum inferenda, quia nos faciemus ipsi domino Baptiste de alio logiamento provideri. Datum Mediolani, dic xvil octubris MCCCCXXXVII.o — Iohannes Franciscus. — Egregio, nobilibus et prudentibus dilectis nostris Nicolino Barbavarie, locumtenenti Gubernatoris, necnon Consilio, civibus et Comunitari Ast ». Questo dociK mento è slato già publicato da me in La vita in Asti al tempo di G. G. Allione, 48 n. 2, Asti, 1898, ma credo utile darlo qui di nuovo, perché si abbia insieme tutto questo gruppo di documenti. (2) Arch. e l. citt.: « Dux Mediolani etc. (sic), Papie Anglerieque comes ac Lume dominus. Dilecti nostri, displicentor intelleximus ea que 110- (liom. stor. e lett. d. Lig. II. 20 306 GIORNALE STORICO E LETTERARIO DELLA LIGURIA certo ultima causa di un disegno che, maturato poco a poco nell’ animo di Filippo Maria, non tardò ad avere la sua esplicazione ed il suo effetto. Premeva molto al Visconti staccare dalla lega veneto-fiorentina il celebre condottiero Francesco Sforza; onde intavolate con lui segrete pratiche, gli offriva in isposa la figliuola Bianca, illegittima sì, ma sua unica erede. A guarentigia del matrimonio, che doveva consumarsi soltanto più tardi, lo Sforza voleva un pegno territoriale immediato; ed ecco 1 astuto Filippo immaginare il modo di contentarlo con quel paese appunto che men gli serviva, cioè Coll’Astigiana, aggiuntovi il sacrifizio più doloroso del Tortonese. 11 conte Francesco accettò le proposte ducali delle future nozze e del pegno immediato di Tortona e di Asti (i), ed il Visconti si dispose a fargliene la consegna. Ma per quanto il negoziato fosse da principio tenuto segreto, qualche cosa ne trapelava al di fuori, e cominciava a spargersene voce in Asti, che fu subito sull’allarme. In aprile 1438 il Comune credette suo dovere inviar due ambasciatori a Milano nelle persone di Daniele Scarampi e Bartolomeo 1 elletta, am-bidue dottori in legge, per appurare e verificar quelle voci e, bilis Thomas Layolus, concivis et ambaxator vester, prudenter exposuit, sub credentia literarum vestrarum, de novitate per lamie uses facta in sequestratione locorum Comunis que cives illi in dicta civitate habere videntur ; nec potuimus non mirari quod Ianuenses ipsi ad hanc novitatem proruperint, adinventa causa quod de guerra que contra eos fit vos intromittatis, cum notissimum sit [contrarium], intellecto gravamine vobis apud Ianuenses sccu-turo in facto dictorum locorum, quando intromitteretis vos de guerra predicta. Contentamur igitur et placet Nobis quod pro defensione veritatis et cause vestre Ianuam mittatis duos cives, ut requiritis, dicturos et facturos provide quicquid oportunum extiterit. Contentamur etiam ut requisitos vobis centum pedites, ad presidia spectabilis Galeoti mittendos, non mittatis, nec de aliquibus ad illam guerram pertinentibus vos impediatis. Nolumus enim ut occasione huius subsidii aliqua vobis iactura sequatur, quia, Deo laudes, bene prouidebimus aliter ipsi Galeoto et per modum quidem quod non tantum conservabit que sua sunt, immo etiam hostes suos cum verecondia et damno repellet. Datum Mediolani, dic xxim octobris MCCCCX XX VII. Cfr. anche La vita in Asti, 11 n. 1. (1) Simonetta, Rerum gestarum Fr. Sphortiae, 1. IV, in R. /. S., XXI, 266. GIORNALE STORICO li LETTERARIO DELLA LIGURIA SO? se fossero trovate vere, opporsi energicamente al disegno de! I )uca, « in quanto la cessione allo Sforza non si poteva operare nè giuridicamente nè onestamente per molte ragioni ». Gli ambasciatori fecero quanto potevano, ma senza frutto; onde il Comune, presa visione degli atti rogati al riguardo da Secondino Ventura — il cronista allora notaio e cancelliere della città, decideva d’informare d’ogni cosa il duca d’Orlcans nella sua lontana prigionia d’Inghilterra (1). In questo frattempo le cose precipitavano. Il 14 maggio, l'ilippo Maria partecipava ufficialmente agli Astigiani il contratto di cessione stipulato collo Sforza (2), e il ig dello stesso mese dirigeva loro Nicolino De’ Giorgi ad effettuarla (3), mentre lo stesso giorno.il conte Francesco delegava Troilo Del Muro, (1) I'AUCON, Le mariage de Louis il'Orléans et de Vale/itine Visconti. — l.a domination française dans le A/i/anais de 1387 à 1450, 25 scg., Parigi, 1882. (2) Arch. Coni, d’Asii, Arm. Ili, cass. Ili: « Dux Mediolani ole. (sic), Papie Angleriéque qomes ac Ianue dominus. Dilecti nostri, ex conventionibus factis inter Nos et magnificum generum nostrum carissimum comitem Fran-ciscum Sfortiain Vicecomilem concedere ac dare sibi debemus civitatem illam astensem cum omnibus suis fortaliciis, pertinenciis et intratis. Volumus igitur ipiod in inanibus eiusdem comitis et cuiuscumque legitimi procuratoris et nuncii sui prestetis debitum fidelitatis et subiectionis iuramentum, sibique in omnibus ila reverentes et obedientes sitis sicut Nobis hucusquc fuistis sine aliqua exceptione et omni contradictione remota. Datum Mediolani, die xim inaii MCCCCXXXVIII. — Lanzalotus. — Iohannes Franciscus ». (3) Ibidem: « Dux Mediolani, etc. (sic), Papie, Anglerieque comes ac Ianue dominus. Mittemus nobilem aulicum nostrum dillectum Nicolinuni de Georgiis ad civitates astensem et Terdone, ut ipsas civitates eorumque for-tilicia ac loca omnia jurisdictionis et pertinentiamm ipsarum assignari faciat, ac libere et expedite tradere in manibus et potestate magnifici generi et filii nostri carissimi Francisci Sfortie Vicecomitis, Ariani et Montisalti comitis, marcliionisque Marchio Anchonitane ac sanctissimi domini nostri Pape et sancte Romane Ecclesie confallonerii, cui predicta concessimus et damus vigore conventionum quas secum habemus, sive vigentium pro eo, mandamus harum serie universis et singulis officialibus, castellanis, sive custodibus for-taliciorum et locorum prodictorum quatenus, adbibentes eidem Nicolino circa predicta fidem, crcdcnciam ct obedienciam plenariam, tamquam Nobis, pre-falum comitem Franciscum, sive quemcumque legiptimum nuncium suum pro ipso, in corporalem possessionem et tenutam predictorum omnium recipiatis SOS GIORNALE STORICO E LETTERARIO DELLA LIGURIA da Rossano, suo notissimo capitano, quale procuratore e commissario a ricevere la consegna del nuovo Stato (i). Il De’ Giorgi, presentate ai Dodici savi le lettere ducali del 14 e del 19 maggio, ne chiese la pronta obbedienza, rimettendo egli intanto al Del Muro tutte le fortezze e fortificazioni del-l’Astigiana e dipendenze. Nuove proteste dei Savi; minaccio di Nicolino e di Troilo, i quali ottengono facilmente dal vicepodestà la convocazione del Maggior Consiglio. Anche questo delibera dapprima « non volere, nè potere, nè dovere, prestar fedeltà alcuna senza aver consultato il duca d’Orléans »; poi, non acchetandosi i commissari del Visconti e dello Sforza, chiede almeno una dilazione fintantoché possano recarsi a Milano, e tornarne, due nuovi ambasciatori destinati a Filippo Maria, cioè Bartolomeo Pelletta ed Andrea Baverio, giurisperiti, incaricati di esplorar meglio le intenzioni del Duca. Ma il De’ Giorgi ricusa di consentire anche a questa domanda dichiarando — nè in ciò aveva torto — che gli Astigiani sanno ornai abbastanza quale sia davvero l’intenzione del Visconti, e minacciando di procedere contro di loro ad un precetto penale di 50.000 ducati. Egli fa anzi qualcosa di più: conduce nella sala grande del Palazzo, in cui era radunato il Consiglio, Troilo da Rossano, e protesta di trasferire in lui ogni autorità del duca di Milano su Asti, territorio e domini. A questo punto ogni resistenza diventava inutile e dannosa. Bisognò cedere; ma non senza dignità e profitto. Il procuratore dello Sforza consentiva a ricevere la città agli stessi patti ed alle stesse con- ct admitatis, sibique possessionem liberam et expeditam relaxetis, el ulterius prestent comunitates et homines dictarum civitatum et terrarum, in manibus ipsius comitis Francisci, sive cuiuscumque procuratoris sui pro eo, fidelitatis, obedientie et homagii iuramentum, ceteraque omnia faciant ct adimpleant que subdicti et vassalli dominis et superioribus suis facere tenentur, sine aliqua excepcione et omni contradicione remota, .sub indignacionis nostre pena, ct ulterius sub penis per eumdem Nicolinum imponendis et nostre Camere applicandis, presentibus usque ad expedicionem pedictorum firmiter vallituris. In quorum testimonium présentés fieri et registrari iussimus, nostrique sigilli munimine roborari. Datum Mediolani, die xvmi maii MCCCCXXXVIII. Lanzallotus ». (1) Arch. di St. di Tor., Prov., Asti, mazzo IV, 11. 11. Il documento, col solito formulario, non mi pare meritevole d’essere qui publicato. GIORNALE STORICO E LETTERARIO DELLA LIGURIA dizioni con cui I aveva tenuta Filippo Maria dal 1422 in poi, cioè salva sempre la sovranità del duca d’Orléans e con promessa di restituzione quando fosse rimesso in libertà. Promise inoltre che il suo signore avrebbe conservato ed osservato tutte le franchigie, libertà e Statuti della città; abolite le so-viaimposte daziarie appena pagati i debiti della medesima; concesse altue grazie ed altri privilegi. Allora finalmente, il 13 di giugno, fu prestato dal Maggior Consiglio il richiesto giuramento di fedeltà, e stabilita così in Asti la nuova signoria (1). Di questa signoria di Francesco Sforza in Asti finora si sapeva ben poco (2). Documenti fin qui sconosciuti c’informano che il Comune astese mandò tosto un’ambasciata al nuovo si-gnoie a fine di chiedergli ed ottenere l’approvazione di una setie di capitoli, preparati e discussi in antecedenza dai Consigli cittadini. Gli ambasciatori prescelti erano Giovan Bartolomeo Scarampi, Marchetto Riccio, Luigi Dalponte e Sibaldo dei Monti, i quali andarono a raggiungere il Conte nella Marca Anconitana, e più propriamente a Sassoferrato, dove in un monastero fuori delle mura della città gli presentarono i « capitoli » e ne ottennero all’ingrosso l’approvazione. 1 « capitoli », in numero di ventisette, hanno forma d’istruzioni agli ambasciatori, i quali, premessa la raccomandazione gelici ica della citta e del territorio allo Sforza, dovevano chiedere anzitutto la conferma ed approvazione di tutte le franchigie, immunità, convenzioni, statuti e patti, concesse e consentiti dai precedenti signori di Asti — Visconti ed Orleanesi — fino a Filippo Maria, e delle promesse fatte da Troilo da Rossano al- 1 atto del giuramento dei consiglieri. Notevole la domanda di non astringer gli Astigiani a dare alcun sussidio in caso di guerra (1) Arcli. c l. citt., 11. 12. Tralascio di publicare questo documento, per quanto importantissimo, perchè le lettere del 14 e del 19 maggio, ivi inserte, sono già date sopra, sugli originali. Per la procura dello Sforza .1 Troilo, pure inserta, cfr. n. preced., mentre di tutto quanto il contenuto ha dato una minuta analisi il Faucon, Op. cit., 21-28. (Cfr. anche Promis Delia '-f', < a iì Asti, 15 ; GoRRINI, lì Comune astigiano c ìa sua storiografìa, 200, 248, Firenze, 1884). (2) Grassi, Storia della città di Asti, II, 70, 2« ediz. curata da N. Galli,mi, Asti, 1891. Cfr. anche Promis, Faucon e Gorrini, lì. cc. 310 GIORNALE STORICO E LETTERARIO DELLA LIGURIA fra il Conte ed i Genovesi, perchè la più gran parte della foi-tuna loro era in « luoghi » di Genova, che li potrebbe sequestrare, e non mancherebbe di mettervi sopra le mani con grande soddisfazione, valendosene per fare a lungo la gueria allo Sforza ed allo Stato astese medesimo, il quale si troverebbe così ridotto all’ultima rovina; e questo è grave indizio a confermare la ragione dianzi supposta a spiegale la cessione di Asti al genero da parte del Visconti. Era quindi espresso il desiderio che il podestà, colla consueta famiglia, dovesse far residenza continua nella città; che ogni ufficiale, al termine del suo ufficio, sostenesse regolare sindacato; che la doppia carica di podestà e di commissario rimanesse riunita, come sotto Filippo Maria, in una sola persona, per minor dispendio, e pei evitar conflitti di giurisdizione fra i vari ufficiali; che, nel caso piacesse al Conte tener in Asti capitani d armi, non avcsseio alcuna giurisdizione, ma tutti i loro famigli e dipendenti, attori o convenuti, fossero giudicati dal podestà e dal Commissaiio, perchè in passato erano continue le violenze di quelle genti senza che mai i capitani rendessero la chiesta giustizia e ìi-parazione dei danni. Gli ambasciatori avevano pure incarico di adoperarsi per ottenere che il Commissaiio dovesse stabilii c, ad ogni richiesta, un giudice di appello, senza costringeie i cittadini a recarsi con gran dispendio lontano dal territorio dello Stato astese; venissero astretti i possessori di castelli nel territorio a desistere dall’esazione di pedaggi sopra i loro concittadini, essendo ciò contrario agli Statuti; si obbligassero tutti gli ufficiali, non espressamente esentati dagli Statuti, a pagar i dazi e le gabelle come i privati ; si desse « divieto », come si diceva a F irenze, agli ufficiali per dicci anni, a fine di spazzar via tutte le amicizie e clientele fra essi ed i cittadini; fossero mantenuti i due trombetti ed il banditore del Comune. Per accrescere la popolazione d'Asti, che era molto diminuita, si proponeva fossero assicurate le persone clic venissero ad abitare nella città contro i loro antichi signori. Alla eventuale domanda delle ville del Capitanato di I iemontc e dell’Astesana di essere giudicate esclusivamente dai loro podestà, si contrappose in anticipazione la preghiera di non tenerne conto, come lesiva dei diritti del Comune astcse ; per contro, si chiedeva la restituzione delle ville di fanelli, Ca- GIORNALE STORICO E LETTERARIO DELLA LIGURIA 3 11 stagnole e Neive, anche a cagione della diminuzione dei dazi di ti ansito, in quanto le merci condotte dal Piemonte riuscivano ora a deludere quelli del Comune astese, girando per detti luoghi. Altri capitoli erano relativi a certi Statuti fatti per limitare gli abusi delle esazioni notarili che allontanavano molti dalle liti, con danno del fisco; al diniego del braccio secolare a tal Lodovico abate di Sant’Onorato, commissario apostolico contro gli usurai, che dallo Stato sabaudo citava e molestava molti Astigiani — nobili, mercanti e d’ ogni ceto —, estorcendo loro denaro, e minacciava venire in Asti a far peggio; al mantenimento della giurisdizione del vescovo astese ed al ricupero di ciò ch’egli aveva perduto: altri ancora concernevano la riduzione delle misure del grano, del vino e delle altre derrate, dei luoghi del Capitanato di Astesana, al tipo di quelle d Asti, nonché il divieto di esportar vettovaglie senza permesso speciale del podestà e del Consiglio generale. Da parte dello Stato di Savoia erano continue minaccie, molestie ed attentati, specialmente contro il castello di Valdichiesa ed i nobili del Palazzo di Valgorrcra: gli Astigiani invocavano perciò energiche misure difensive da parte del Conte. Finalmente, in quattro ultimi capitoli aggiunti dopo la compilazione dei precedenti, è caratteristica la circostanza della domanda di revoca dall’ufficio contro Francesco Rarbavara e tutti i suoi, e quella pure della restituzione della custodia del sigillo comunale a due cittadini — un nobile ed un popolano —, anziché al podestà ed al vicario, colla motivazione che spesso questi e gli altri ufficiali impedivano al Comune di portar lagnanze contro di loro al signore con lettere chiuse, mediante appunto il diniego del sigillo. Gli altri « capitoli » aggiunti riflettevano soltanto gli ordinamenti da fare e i provvedimenti da stabilire per promuovere l’arte della lana a vantaggio dello sviluppo economico e demografico della città (i). Il Conte promise di tenere i cittadini e lo Stato astese per iscusati da ogni contributo di guerra contro Genova; consentì alla residenza continua obbligatoria ed al sindacato del podestà e de’ suoi ufficiali, dando affidamento ehe provvederebbe la città di chiari e adatti reggitori ; si riservò di provvedere a (i) Vedi Doc. II. 312 GIORNALE STORICO E LETTERARIO DELLA LIGURIA modo suo riguardo all’unione o separazione degli uffici di podestà e di commissàrio, lasciando intanto si facesse come in passato ; assicurò volere fosse fatta giustizia, e perciò ogni causa venisse portata dinanzi al podestà od al commissario, rispetto alla nomina di un giudice di appello, all’abolizione dei pedaggi da parte dei feudatari del territorio, al pagamento dei dazi e delle gabelle da imporsi anche agli ufficiali, all eventuale richiesta delle ville del Capitanato di Piemonte e d Astesana di non esser giudicate che dai proprii podestà, rimandò ad una stretta osservanza delle consuetudini e degli Statuti. Volle lo Sforza in suo beneplacito il « divieto » degli ufficiali, e delegò ad un suo nuovo commissario la soluzione della questione delle misure, ma non oppose difficoltà al mantenimento dei due trombetti e del banditore >n~ cominciando Γ anno a Natale, ma 1438 stile comune attuale) dissipava tutte le paure, soggiungendo anzi in poscritto « essere contento che d’ allora in poi gli Astigiani non prestassero più alcuna obbedienza a Francesco Barbavara nè ai fratelli di lui (1) ». Era d’ altronde interesse del Conte allontanare dal reggimento astese persone troppo devote al suocero Hlippo Maria, e così assicurarsi quello, mentre dava una giusta soddisfazione al malcontento dei suoi nuovi sudditi. Così un po’ più tardi, nel marzo 1439, noi vediamo lo Sforza occuparsi di nuovo dello Stato astese, dove aveva inviato suo commissario Eusebio Caymi, di Milano, ed ordinare il 16 a questo ed a tutti i suoi ufficiali, di osservare le promesse ed i Capitoli giurati alla città (2), concedere al Comune il pedaggio del nuovo ponte (1) Arch. Coin. d'Asti, I. c. : « Spectabiles viri lainquam fratres carissimi. È stato qui da Nuy el nobele homo Andrea de Ricij, vestro im-basciatore, el quale ce ha esposto de la dubitatione havete die 11011 siano refirmati in offitio meser Francescho Barbavayra e li fratelli : dicemovi di questo non dubitati, perochè a questo havimo providnto di novi officiali, e credemo che già liabiano comenzato lo offitio, et de nostra intentione sopra ogni cosa è a pieno informato lo detto Andrea, dal quale piglierete informatione: e de tutto ha exposto per vostra parte è da Nuy stato spasalo. Datum in Civitate nostra Esij, die XXVII! decembris 1439. l’ost daluni. Simo contenti che da qui in anci non diate alcliuna obedieiitia ali dilli miser Francischo nò ali fratelli, corno ad offitiali nostri. — Kranciseus [Ajinrll·· Vicecomes, Cotignole et Ariani cornés, Marcine etc. fs/c) ». (2) Ibidem: « Francisais [.S'jfortia Vicecomes, Cotignole el Ariani comcs, Marchie Anconitane marchio ac serenissimi domini nostri l’ape sancii que Romane Ecclesie confalonerius. Cum intencionis nostre et totalis dispositionis piane sit ut promissiones nostre et Capitula, que a Nobis magnifica ( 011111-nitas astensis civitatis habet, omnino debeant observari, cognoscentes posse in futurum aliquando contingere ut ex curia nostra, per inadverleiitiam, aut alias, per officiales nostros aliquo derogari, quod lanien preler nostre mentis dispositionem procederet, harum idcirco serie deliberamus nostri propositi esse ut Capitulis et concessionibus nostris profili1' Comunitali concessis nullatenus GIORNALE STORICO E LETTERARIO DELLA LIGURIA 3 I 5 sul Tanaro, purché con ciò non si facesse torto ad alcuno (i), mostrare in ogni circostanza la sua buona volontà. Lontano com era, non si trovava in grado di provvedere a tutto, e gli Astigiani continuavano a riguardare al Visconti come a più legittimo, più naturale e più sicuro rappresentante dei loro amati signori Orleanesi: d’altra parte, lo Sforza non tardava a rinnovare la condotta con Venezia contro il suocero (2), e questi ne aveva giusto motivo di ritorgliergli subito Asti. Già il 30 marzo stesso Antonio Pelletta, inviato ambasciatore dal Comune astese al duca di Milano, tornava colla risposta orale di quest’ultimo ed una lettera del medesimo che ringraziava gli Astigiani della contraveniatur vel derogetur; mandamusque spcctabili Eusebio de Caymis, ile Mediolano, Commissario nostro, ac aliis officialibus nostris, ad quos pertinet, ut Capitula, promissiones et conventiones, quas ipsa Comunitas a Nobis habet, debeant penitus et inviolabiliter observare ct attendere, nec ipsis capitulis ct convcncionibus, aut eorum parti alicui contrafaciant vigore aliqua-rum nostrarum literarum, seu quovis alio modo quesito colore, sub nostre indignationis pena. In quorum fidem présentes fieri et nostro iussinius sigillo roborari. Quas penes ipsam Comunitatem, aut nuncios sua, post earum pre-scntacionem et sufficientem ostensionem, pro eius cautela remanere volumus. Datum in civitate nostra Exii, dic xvi martii 1439 ». (1) Ibidem : « Spectabilis amice noster carissime, la Comunitade de Ast ha mandali ad nui ambassiatori, et fra le altre cose ne domandava che per rcstoro de le spese factc in la refectione de uno ponte facto sopra Tanaro, gli concedessimo che potesse fare rescotere el passagio sul ditto ponte. La quale cosa nuy non gli havemo voluta precisamente concedere, perchè,non siamo informati se questa concessione et exsacione de passaggio potesse essere prcgiudiciale ad alcuna terza persona, et Nui non voriamo fare torto ad alcuno. Sichc remetteno ad vui questo facto, ct comettemove che debiate informarvi de questa faconda, et pure clic preiudicio non 11e segua ad alcuna terza persona, quantunque ad la Camera nostra potesse arccare preludiato alcuno, siamo contenti gli concediate dicta licentia de posserc rescotere questo passagio. Ma quando ad alcuno pregiudicasse in speciale, o Comune, o singulare persona clic fosse, prevedete che la iusticia ct dovere habia luoco. Kx nostra civitate Exii, die xvt marcii 1439. Franciscus Sfortia Vicecomes, conics et Marcine Anconitane marchio etc. (sic). — [Nobijli secretario nostro carissimo Eusebio de [Cajymis, de Mediolano, Comissario nostro ». (2) CIPOLLA, S/. delle Sigtt., 364. Già il 21 marzo 1431) il doge di Venezia sollecitava lo Sforza a recarsi in soccorso di Brescia, assediata dai Viscontei (Osio, Dace dipìom., Ili, 11. 183). 316 GIORNALE STORICO E LETTERARIO DELLA LIGURIA loro « buona disposizione e devozione » verso di lui (i); e il dì seguente Filippo Maria rilasciava credenziali a Corrado Del Carretto dei marchesi di Savona, ad Urbano di Sant’Arosio, maestro generale e collaterale, ed a Giovanni Balbo, — tutti tre mandati in Asti a ripigliar possesso della città e dello Stato (2). Il rimutamento sembra essere accaduto senza scosse ; ma stavolta gli Astigiani non poterono più sottrarsi all onere ed al pericolo di ricevere ed alloggiar truppe. Ad istanza del ( o-mune, il Visconti provvedeva bensì il 31 luglio a reprimere Γ insolenza e le offese dei connestabili e dei soldati del presidio ordinario dei castelli e delle porte (3); ma il 27 è notizia di contribuzioni di guerra imposte dal Duca allo Stato orleanese (4), e nel febbraio 1440 si parla esplicitamente di (1) Arch. Cornuti, d’ Asti, I. c. : « Dux Mediolani etc. (sic) Papie Anglerieque comes, ac Ianue dominus. — Dilectissimi nostri, intelleximus diligenter que nobilis concivis vester Antonius Pelleta sub credentia literanim vestrarum nobis prudenter exposuit. Cui superinde illas dedimus responsiones, quas ab eo ad vos redeunte sentietis. Pro tam bona autem dispositione et devotione quam erga Nos vos habere per effectam videmus et cognoscimus, vobis plurimum regratiamur, et vos perinde admodum commendamus ; certi-ficantes vos quod ita Nobis continuo de vobis persuavimus (sic), sicut operationes vestre demonstrant, quas gratissimas quidem habemus et semper in memoria retinebimus, sicut decet. Datum Mediolani, die xxx martii MCCCCXXXVIIII0. — Aluysius. — Egregiis nobilibus et prudentibus dilectissimis nostris Comunitati et civibus civitatis astensis ». Se ne potrebbe forse indurre che gli Astigiani stessi provocassero il ritorno del loro Stato sotto il protettorato visconteo. (2) Arch. e l. citt. (3) Ibidem: « Dux Mediolani etc. (sic), Papie Anglerieque comes, ac Ianue dominus. — Dilecte noster, Capitulum unum Nobis exhibitum parte Comunitatis illius tibi mittimus his inclusum, volentes et tibi concedentes quod super eo capitulo, de damnis et guastis que infermi tur per conestabilcs, stipendiarios et familiares castrorum et portarum civitatis illius, et de debitis ad que stipendiarii ipsi tenentur civibus et hominibus dicte civitatis mencionem faciente, ius facere possis per modum quod ab ipsis insolentiis se contineant, et qui ab eis habere debuerint, sua credita consequantur. Datum Mediolani, die m iulii MCCCCXXXVIIII." — Urbanus. — Nobili dilecto nostro potestati Ast presenti et futuro ». (4) Ibidem: « MCCCCXXXVIIII,0 [die xxvn iulii]. Recepit Ga-leotus Toschanus, ducalis thexaurarius, a Comunitate civitatis Asl, pro solutione hominum armatorum requisitorum per illustrissimum dominum nostrum giornale storico e LETTERARIO DELLA LIGURIA 31 7 truppe acquartierate sul territorio di Asti (i). Questa condizione di cose perdurava ancora nei mesi seguenti, sebbene talvolta riuscisse agli Astigiani di allontanare in parte con ispe-ciali convenzioni il flagello (2): non è però traccia che prima della ristorazione orleanese ne rinascessero urti con Genova, ancorché tra questa e Milano la guerra rinata non avesse termine che colla pace di Cremona (20 novembre — 10 dicem- dicte Comunitati de anno presenti, ut per Andriolum de Breva, nomine diete Comunitatis, scriptum [est] Galeoto etc. ». ( 1 ) Ibidem : « Dux Mediolani etc. (sic), Papie Anglerieque comes, ac Ianue dominus. Sicuti conveniens est, quod nostre gentes armigere habeant logiamenta, stamina, ligna et alia secundum ordines haberi consueta, ita honestum videtur et debitum quod subditi nostri ipsis gentibus solum provideant pro rata equorum quos actualiter 111 deputatis sibi logiamentis repellantur habere, de quo etiam merito debent diete gentes nostre remanere contente. Neque enim dignum est quod provixiones eis fiant pro equis in dictis logiamentis non extantibus. Et cum etiam illud idem magnifico Capi-taneo nostro honestum et debitum videatur, et in hoc nobiscum conveniat, disponimus et omnino volumus quod ita servetur et fiat. Mandamus igitur vobis quatenus hunc ordinem nostrum, quem pro decreto nostro inviolabiliter volumus observari ab omnibus subdictis nostris iurisdictionis vestre, execu-tioni mandari faciatis, tales in hoc provisiones apponendo, quod huic ordini nostro nequaquam contrafiat, sub penis videlicet cuilibet subdito qualibet vice auferrendis et nostre Camere applicandis. Datum Mediolani, die vi februarii MCCCCXL ». (2) Ibidem: « Contcmplacione magnifice Comunitatis Ast, ego Borsius Estensis, armorum capitaneus, cum ipsa infrascriptas habere conventiones et observare promitto ; in quorum testimonium lias présentes fieri iussi et sigilli mei impressione muniri. — Primo namque promitto dicte magnifice Comunilati quod non allogiabo 111 Ast, neque in villis respondentibus civitati Ast, ultra trigintatres equos ex meis hinc usque ad festum Pasce Resuretionis domini nostri lliesu Xpisti proxime future. — Secundo, promicto dicte Comu-nitali, quantum in me erit et est, dare operam et pro posse facere quod nullus ex capitaneis ducalibus, neque ullus ex suis armigeris, allogiabit in Ast neque in villis dicte civitatis respondentibus hinc usque ad festum Resuretionis domini nostri lliesu Xpisti proxime venture. — Tertio et ultimo, promitto quod si aliqui ex armigeris meis aliquas inferent violentias, seu aliqua facerent damna, dummodo hoc manifeste appareat et demonstretur, ut supra, promitto illud dampnum solvi facere, ut fert honestas. — Datum Mediolani, vii ottobris MCCCCXL sub impressione sigilli mei consueti, ut supra ». 3 I S GIORNALE STORICO E LETTERARIO DELLA LIGURIA bre 1441). La stessa nota questione di rappresaglie private svoltasi nel corso del 1441 (1) prova che le buone relazioni diplomatiche fra Genova cd Asti erano ristabilite, e che quello Stato non faceva più carico a questo di atti politici ostili a vantaggio del Visconti. In questo senso, almeno, la breve signoria di Francesco Sforza aveva giovato ad Asti, seppure nuovi documenti non vengano a mostrarla impigliata di fatto in una lotta in cui aveva sempre voluto virtualmente mantenersi neutrale. Ferdinando Gabotto DOCUMENTI. I. (Ardi, di St. di Torino, Paesi in gener. Prora,.. Asti,, marzo XXXIX). Amedeus dux Sabaudie Ghablayii et Auliste, princeps, marchio in Italia, comes Pedemoncium et Gebennensis, Valentinensis et Dyensis, et de nostri auctoritate, iussu et licencia, Nos Ludovicus de Sabaudia, princeps I cc Ç* moncium, eius primogenitus et locumtenens generalis, universis ct singulis presencium serie facimus manifestum quod, cum die duodecima novissime fluxi mensis iunii, ad conservacionem status illustris principis filii et fiati is nostri carissimi domini Philipi Marie Angli, ducis Mediolani etc. (sic), edam proprii ac illustris fratris et avunculi nostri carissimi domini Iohannis faco >1, marchionis Montisferrati etc. (sic), quedam lige, federa, uniones et conven-ciones inliite fuerint inter prefatum Ludovicum, primogenitum et locum-tenentem, pro Nobis nostrisque heredibus et successoribus universis, ex una, et illustrem nepotem et consanguineum nostrum carissimum ct lidelem loh.innem de Monteferrato, pro ipso fratre nostro marcinone eius genitore, seque et eorum heredibus et successoribus universis, partibus (sic. t. ·' parte) ex altera; in quibus quidem federibus et convencionibus, casu quo contingeret ipsum dominum ducem Mediolani decedere ab humanis sine liberis naturalibus et legitimis ex suo proprio corpore, in porcione ipsius fratris et avunculi nostri marchionis et suorum cedunt omnes civitates, ville, terre, castra, homines, iurisdiciones et queeumque alia que ultra flumen 1’adi per ipsum filium nostrum et fratrem dominum ducem Mediolani quomodolibet possidentur, tenentur ac detinentur suo proprio nomine et edam alieno, et que eciam teneri et possideri continget in futurum, excepta dumtaxat civitate Ast et eius territorio, prout lacius in binis licteris eiusdem tenoris super hoc per Franciscum Fabri, secretarium nostris, confectis, ac propriis manibus ipsorum primogeniti et Iohannis nepotis nostrum subscriptis contincUir, ad quas relacionem haberi volumus; cumque ipse fratrer noster marchio Montisferrati potiora iura habere pretendat in dicta civitate Ast et ipsius territorio quam illustris frater noster et consanguineus dominus Karolus, dux aurelianensis ; quoccirca, Nos, memoria tenentes omnia et singula in dictis licteris contenta ; iuraque ipsorum fratrum nostrorum ducis Aurelianensis et (i) VAYRA, Un anno di vita publica del Comune di Asti (1441), in Misceli. St. ital., XXVII, 451 segg., Torino, 1889. GIORNALE STORICO e LETTERARIO DELLA LIGURIA 3 IQ aicuonis mutue diligentes et neutri ipsorum iathuram inferre volentes, ex < e, tis nostris scientiis animisque spontaneis et deliberatis ac ex causis in dictis ic eus per dictum l'ranci scura Fabri, ut supra, scriptis expressis; omnique uire, via, modo et forma quibus melius possumus per Nos filiosque nostros ac ici edes ct successores quoscumque, citra tamen semper derogacionem omnium et singulorum que inter primogenitum nostrum ex una, et ipsos ratiera et nepotem nostros marcliionera Montisferrati et Iohannem eius filium, pai ti ms (.sic) ex altera, Thaurini gesta fuerunt de anno Domini Millesimo quatercentesimo trigesiinoquinto et mense ianuarii, et per Anthonium Bolomerii secietarium nostrum recepta, et que per eventum et observandam, vel e con ra, supra et infrascriptorum minime lielidi aut alias infringi posse inten-( imus, tenoie presencium licterarum declaramus sollempniterque et expresse pio itemur, prefatis fratri Marcliioni et Iolianni nepoti consanguineoque no-slns, eoi unique heredibus et in marchionatu successoribus universis, quod, at veniente casu quo ipse illustris filius et frater noster dux Mediolani, ut piennctitur, decederet ab humanis sine liberis naturalibus et legitimis suo piopiio corpore procreandis, Nos Dux et Princeps, non obstante predicta excepcione seu reservacione in dictis lictoris per dictum Franciscum Fabri leceptis facta de dicta civitate As! et eius territorio, ipsos fratrem Marchionem et nepotem nostros Johamiem, ipsorumqiie heredes et successores, gentes et aimigeios, per Nos, liberos heredesque, successores, gentes et armigeros nosti os nullatenus impediemus aut alias perturbabimus, quin possint et va-eant, si sua putaverint interesse, eonmi iura prosequi, ipsamque civitatem Ast, cum illius territorio, capitaneatu, terris, castris, villis, vassallis, sub-tl it lis, introitibus, redditibus, daciis, gabellis, fendis, rctrofeudis, homagiis et ceteiis perlinenciis universis, que tamen per Nos Ducem et Principem pro pi esenti 11011 tenentur, habentur aut possidentur, repetere, recuperare, capere, habere et retinere propria auctoritate ad ipsorum meram et liberam voluntatem commodumque et utilitatem ; ymo, quod plus est, pro Nobis et no-stiis piedictis liberis et heredibus et successoribus universis eisdem fratri et nepoti nostris marcliioni ct Iolianni, et eorum heredibus et in marchionatu successoribus valide obligati esse volumus, et Nos obligamus, ad eos non impediendum per Nos, liberos, gentesque et annigeros nostros de ipsis civitate Ast illiusque territorio, capitaneatu, castris, villis, vassallis, subdictis, introitibus, redditibus, daciis, gabellis, feudis, retrofeudis, homagiis et ceteris pertinendis universis, ncc illas in toto vel 111 parte aliqua, exceptis, ut promittitur, que de illis presencialiter tenemus, habemus vel possidemus, recipiendum, capiendum aut alias occupandum sine scitu et expresso consensu dictorum marchionis aut lohannis, vel suorum prodictorum, sed si forte ille in totum vel in partem aliquam ad manus nostras aut alicuius nostrorum devenerit, illas et illa, salvis, ut prefertur, que presencialiter tenemus, habemus vel possidemus, eisdem fratri et nepoti nostris et suis libere et indifficulter lcmictemus a nobis et nostris tenendas secundum formam predesignatorum I liamini gestorum, quam primum ipsorum aut alicuius eorum parte requisiti fuci imus, omni prorsus caviliacione cessante; et ulterius erga ipsos fratrem et nepotem nostros Marchionem ot Iohannem et suos heredes et successores prodictos valide iterum obligati esse volumus et nos obligamus, si forte, ipso domino duce Mediolani de modio sublato, ipsa civitas Ast, cum illius territorio et capitaneatu per quemque occuparentur, caperentur aut alias detinerentur in totum sine partem aliquam, ad assistendum 'legaliter et bona fide, prout boni domini pro bonis vassallis facere tenentur, eisdem fratri et nepoti nostris marcliioni ct Iolianni, ac suis heredibus et successoribus predictis, ad illa(s) recuperandum, habendum, tenendum el retinendum contra quoscumquc dominos, comunia, dominia, collegia et personas, exceptis dumtaxat memorato illustri 320 GIORNALE STORICO E LETTERARIO DELLA LIGURIA domino duce Aurelianensi eiusque heredibus et successoribus, genti ms e armigeris, quibus per aliqua premissorum aliqualiter, obesse aut alias contra-facere non intendimus. Et hec omnia modis et formis supra expi essis os dux Sabaudie et princeps Pedemoncium pro Nobis liberisque ac leiec i us, successoribus, gentibus, hominibus, vassallis et subdictis nostris li lensque ac heredibus, successoribus, gentibus, homnibus, vassallis et subc ictis nos ns sollempniter et valide eisdem fratri et nepoti nostris marchiani et o lanm ac suis predictis promictimus bona fide, in verbo principum, iuramentisque nos us, tactis Evangeliis sacrosanctis, et sub nostrorum omnium expressa o > lgacione bonorum, secretario nostro subscripto, more persone publice, ad opus ipsorum sollempniter stipulante et recipiente, citra semper preiudicium aut quamvis derogacionem premissomm ïhaurini gestorum, que, ut supra deseri itur, per aliqua in hiis litteris contenta nequaquam helidi aut alias attentari inten imus, sed illarum perpetuam validitatem, perseverandam in omnem premissorum e-ventum expresse reservamus; has litteras nostras, sigillorum nostrorum n™u mine roboratas, et nostris propriis manibus subscriptas et signatas, in ven is testimonium concedentes. Datas Rippallie, die tercia septembris anno omini Millesimoquavercentesimotrigesimosexto, decimequarte indicionis. — ta es Amedeus dux Sabaudie etc. (sic).— Ita est: Ludovicus de Sabaudia, princeps Pedemoncium, locumtenens etc. (sic). — Per dominos Ducem et ’rincipem, peesentibus dominis Iohanne domino Bellifortis, cancellario; H[um )ertoJ a stardo de Sabaudia, Ludovico bastardo Achaye, Iohanne domino Bariacti, marescallis Sabaudie, et Guillielmo Bolomerii. — Fabri ». II. (Arch. Com. d’ Asti. Arm. Ili, cass. III). Infrascripta sunt capitula exponenda illustri et magnifico domino comiti Francischo Sfortie Vicecomiti pro parte comunitatis astensis pei nubi es et egregios dominum Iohannem Bartholomeum de Montibus et Ludovicum t e Ponte, cives et oratores astenses. Et primo quod devotissime recomendent cives et civitatem cum tota patria astensi prelibato domino comiti. || R: Gratanter amplectimur illam civitatem et patriam, et habebimus ipsam recomissam. Item quod cum instantia requirant promissionem solemnem cum uira-mento de observando et per quoscumque officiales présentes et futuros obseivari faciendo statuta, privilegia, conventiones, franchisias, libertates, immunitates, exempeiones et bonas consuetudines dicte civitatis et civium, et generaliter aliorum quorumcumque alias promissorum (sic. I. : alia queeumque alias promissa) per illustrissimos dominos Galeaz de Vicecomidbus, Iohannem Galeaz primum ducem Mediolani et duces Turonie et successive Aureliani; et consequenter modernum illustrissimum dominum Filipum Mariam ducem Mediolani et quoscumque eorum et cuiuslibet ipsorum gubernatores et officiales qui per tempora prefuerunt regimini et gubernio dicte civitatis et patrie; et etiam requirant ratifficacionem et approbationem cum iuramento corporali omnium et singulorum promissorom et conventorum per spectabilem ïroylum de Rossano, mandatarium prefati illustris et magnifici domini Comitis, iuxta promissionem de rato per ipsum Troylum factam tempore prestiti iuramenti per consiliarios dicte civitatis. || R. : Approbamus statuta, privilegia, convencioncs, franchisias et reliqua in capitulo contenta, que approbata, confirmata, ratificata sunt ct fuerunt per illustrem dominum ducem Mediolani et eius officiales, prout in contractu super his confecto plenius continentur. Item, contiderantibus dictis civibus sese maiorem partem fortunarum suarum et bonorum suorum habere in civitate Ianue, et sub quanto periculo GIORNALE STORICO e LETTERARIO DELLA LIGURIA 32I consistent ipsa bona casu quo, imminente guerra contra Ianuenses, prestari contingeretur subsidium aliquod per diclcs ciics eontia dictos Ianuenses, ideheho requiratis prelibatum dominum Comitem quod dignetur dictos cives et patriam astenses tenere et facere liberos et absolutos ab ]fortia Vicecomes etc. (sic), ibique cons 1 u us illustris et excelsus dominus Franciscus [5]fortia Vicecomes, o'ignoe e Ariani cornes, Marchie Anchonitane marchio, serenissimi domini nos 11 ape sancteque Romane Ecclesie confalonerius ; visis, auditis et iute ectis capi u ìs eidem illustri domino Comiti presentatis et exhibitis per egiegios no 1 esquc viros dominum Iohannem Bartholomeum de Scarampis, ili utioque ìuie icen tiatum, Marchetum Ricium, Sibadum de Montibus et Ludovicuni e on · , oratores urbis astensis; et viso ac lecto [et] ad eiusdem plenam ìnteigeniam deducto etiam instromento promissionis facte hominibus, Commutati c cm us dicte urbis astensis per spectabilem Troylum de Muro, de Rossano, piocu ratorem et mandatarium generalem ac specialem prelibati domini conii is Francisci [SJfortie, et per que ad cautellam promisit de rato Habendo, prout etc. (sic), et prout in instromento proinde confecto, îecepo e aire viato per Iohannem Petrum Martignonum, de Mediolano, et ecun ilium Venturam, civem astensem, notarios, anno et indictione presentibus, c ìe ei ciodecimo mensis iunii plenius et seriosius continetur; et visis et 111 e ec is omnibus et singulis in dictis capitulis et instromento contentis et escup is et ad eius plenam intelligentiam deductis, ex certa scientia et ac ms anciam et requisitionem dictorum oratorum astensium, ratifficando et aPP‘° an ° omnia et singula promissa et iurata per prelibatum spectabi em ìoy uni nomine ipsius illustris domini Comitis, promisit dictis oratoribus ui >is as en sis et mitili notario infrascripto ut publice persone stipulanti et ìecipien i 110 mine et vice et ad commodum et utilitatem ac bonum statum illustrissimo!um dominorum ducis Aurelianensis et comitis Angolesme et omnium et singu larum personarum dicte civitatis et Comunitatis astensis ct subdi toi um pie libati domini ducis Aurelianensis in patria et dominio astensi, a^lue luiavi ad sancta dei Evangelia, corporaliter tactis scripturis, quod ipse ii usLus o minus comes Franciscus [SJfortia, per se et officiales suos quoscumque ( e putatos et deputandos in dicta civitate astensi et dominio, toto posse, uti bonus gubernator et gubernatorio nomine prelibati illustrissimi domini omini ducis Aurelianensis in patiia astensi, et eius nomine et ad ipsius commoi. um et utilitatem, ut supra, predictam civitatem astensem cum pertinentiis suis, ac eius districtum, territorium et patriam et dominium astensem atque pci. tinentias et subditos prelibati domini ducis Aurelianensis, ut supra, salimi tei, provide et dilligenter reget et gubernabit, ac regi et gubernari faciet secun-duiti statuta, libertates, immunitatis, exemptiones, bonas consuetudines eL franchisias eidem Comunitati concessas et concessa per recolende memorie dominos Galeaz, Johannem Galeazque de Vicecomitibus et successive conlnmatas et confirmata per illustrissimos dominos dominos duces Turonie et Auieliam, usque ad relaxacionem liberam prefati domini ducis Aurelianensis ct prefati comitis Angolesme, aut alterius ipsorum relaxatorum requisitionem ; quodque dictam civitatem astensem, cum omnibus pertinentiis, prefato domino duci Aurelianensi aut prefato comiti Angolesme, germano prelibati domini ducis Aurelianensis, restituet et relaxabit quandoquidem contingeret ipsos dominos dominos ducem Aurelianensem et comitem Angolesiensem germanos, vel alterum ipsorum, relaxari et in libertate repponi, et ipse dominus comes l· ran-ciscus [.S]fortia per ipsos relaxatos, seu alterum ipsorum relaxatorum, de dicta restitucione fuerit requisitus. Item quod ipse illustris dominus comes Franciscus [5]fortia servabit loca que sunt in Comuni Ast cum suis proventibus, pactisque, et eciam molegiuin et additiones gabellarmi! usque ad in te- GIORNALE STORICO e LETTERARIO DELLA LIGURIA 327 grani solucionem tocius in qno Comune Ast est obligatum, et facta integra solutione, quod ipse additiones ipso facto et ipso iure cessent et prò can-zelatis habeantur. Item quod prefatus illustris dominus comes Franciscus [.S’jfortia attendet et observabit ac effectualiter adimplebit omnia et singula gesta, promissa et conventa civibus Ast, tam in singulari, quam in comuni, per olim dominos gubernatores Ast, et etiam promissa per thesaurarios Ast, nomine prelibati domini ducis Aurelianensis et germanorum suorum, et etiam omnia et singula ipsis civibus promissa, conventa, concessa et confirmata per illustrissimum dominuur Filipum Mariam Anglum ducem Mediolani etc. (sic) tam per se, quam per procuratores suos, quam etiam per commissarios et gubernatores et locnmtenentes ipsorum gubernatorum prelibati domini ducis Mediolani, et omnia et singula promissa iurata per prefatum spectabilem Iroylum dicto procuratorio et mandatario nomine ipsius domini Comitis; eaque omnia et sigula attendet et observabit ac effectualiter adimplebit ipse illustris dominus comes Franciscus [SJfortia, et nullo tempore contrafaciet vel contraveniet per se vel alium seu alios aliqua ratione, occasione seu causa vel ingenio, de iure vel de facto, sub reffectione et restitucione omnium et singulorum dampnorum, expensarum et interesse litis et extra, que et quas perinde de cetero illustrissimus dominus dominus dux Aurelianensis et comes Angolesme ac homines et singulares persone dicte civitatis et tocius dominii et territorii astensis, et quilibet seu alter predictorum, facerent, incurrerent vel substinerent, et de quibus prelibatus illustris dominus comes Franciscus [.SJfortia eisdem credere promisit verbo simplici, sine testibns et sacramento et qualibet alia probatione. Et pro predictis omnibus et singuli, attendendis et observandis prelibatus illustris dominus comes Franciscus omnia sua bona mobilia et immobilia presentia et futura dictis oratoribus et michi notario, recipientibus ut supra, pignori obligavit et ypothecavit ; mandans michi notario notario infrascripto et canzelario ut de predictis publicum conficiam instrumentum unum et plura tenoris eiusdem, per predictos etiam oratores fieri rogatum (sic) ; presentibus spectabilibus et egregio (sic) viris Scharamuza de Balbis, de Mediolano, ducali commissario ; Iohanne Galeaz Troto, de Castelatio, et Surleono de Pelatis, etiam de dicta terra Castelatii, et aliis pluribus testibus ad premissa vocatis specialiter et rogatis. — Alexander de Ubertaciis quondam Princivalis de Sancto Nazario, publicus imperiali et apostolica auctoritatibus notarius ac prefati illustris domini Comitis canzelarius, premissis omnibus et singulis, dum sic, ut premititur, fierent et agerentur, una cum prenominatis testibus presens fui, eaque sic fieri vidi et audivi, et inde rogatus hoc instrumentum traddidi et in hanc formam reddegi, meque subscripsi, signum meum apponens consuetum ad fidem et testimonium premissorum etc. (sic), cum aditione posita inter decimamnonam et vigesimam lineam, dicente « statuta », quod verbum non vitio, sed scriptoris errore obmissum est, silicet « statuta ». IL CATALOGO DELLA BIBLIOTECA DI PAOLO BENI In un mio saggio su la critica letteraria nel secolo decimo-settimo (1) ho avuto spesso occasione di citare gli scritti di (1) Sta nelle Ricerche letterarie, Livorno, Giusti, 1897. Cfr. specialmente le pag. 194 e sgg. 32δ GIORNALE STORICO E LETTERARIO DELLA LIGURIA Paolo Beni, erudito professore dell’università di Padova e fecondo autore di svariate opere di letteratura; anzi in un punto ho accennato al catalogo della sua biblioteca, che si conserva manoscritto tra i codici italiani della Marciana (cl. XIII, n. 87). Non ho certo intenzione di pubblicare per disteso quelle trecento facciate, scritte dal Beni di proprio pugno, che siffatti cataloghi pèrdono, dopo il secolo decimoquinto, la loro importanza, salvo che si tratti (e non è questo il caso) di raccolte notevoli di manoscritti, d’incunaboli, di opuscoli rari; credo pei altro opportuno di farne conoscere una parte, per le ragioni che dirò in appresso. Premetterò intanto che il Beni dettava questo catalogo nel 1623 (1), l’anno stesso in cui, dopo parecchi lustri d insegnamento, era messo a riposo e, quasi presentendo vicina la morte (che seguì nel 1625), faceva testamento, legando tutto il suo, compresi i libri, ai padri Teatini (2). Il codice, come ho già detto, è autografo. Precede in due facciate una specie di prefazione-indice, e segue, da carte 1 a ' carte 232 (numerate solo da una parte), il catalogo, copiosissimo, de’ libri latini, distribuiti in cinque gruppi, secondo che si riferiscono : ad linguam hebraicam, graecatu, latinam, italicam; ad eloquentiam, historiam, poesim; ad philosophiam moralem et civilem, naturalem, ex Platone et Aristotile; ad mathematicam, geographiam, cosmographiam, astrologiam ; ad divinas letteras. I fogli 233-245 contengono la prefazione, stampata, di un opera del Beni : Benianae lucubrationes sive Pauli Beni Eugubini ad historiam, ad poesim.... institutio. Segue poi l’indice dei libri volgari, che occupa ben cinquan-taquattro fogli. Questa indicazione farebbe supporre che la biblioteca dei libri italiani fosse molto ricca, ma devo avvertire che il catalogo del Beni non è un elenco aridamente bibliogra- fi Per le notizie biografiche e bibliografiche è da vedere il Mazzuchelli, v. II, p. II, pag. 842 e sgg. (2) L’atto notarile è alla biblioteca Comunale di Gubbio, fondo Armanni, segn. XVII, F, 59, come rilevo dagl’Inventari del Μαζζαντινι, I, 58. GIORNALE STORICO E LETTERARIO DELLA LIGURIA 329 fico; esso contiene, sparsi qua e là, giudizi, osservazioni, avvertenze, che ne fanno quasi un catalogo ragionato e metodico, una specie di vade-mecum per gli studiosi. li appunto per questo che io ho creduto non inutile darne notizia. Si direbbe che lo stizzoso professore, al quale pareva proprio di essere un genio incompreso ed un letterato di cui gli emuli disconoscessero malignamente l’acume critico, abbia quasi lasciato in questa opericciola il suo testamento letterario. Nel registrare l’uno 0 l'altro libro, egli ha occasione di ritornare sopra idee, di ribadire giudizi sostenuti con molta pertinacia, se non con molta dottrina, cosicché uno il quale non conosca la sua copiosa produzione letteraria e le polemiche da lui sostenute, può da questo catalogo farsene un’idea sufficientemente esatta. Nè manca qualche osservazione d’indole bibliografica, qualche notiziola su edizioni e testi non dico ignoti, come egli credeva, ma nemmeno molto conosciuti. 11 Beni ha poi un altro merito, quello di aver tentato una divisione dei libri per materie, e soprattutto di aver disposto le opere in volgare con un tal quale ordine logico, sì che il catalogo potesse servire quasi di guida a chi voleva approfondirsi nello studio della lingua e della letteratura italiana. Riporterò senz'altro l’indice premesso al catalogo. Indice 0 Tavola dei libri italiani della biblioteca Beniatta. Grammatiche carte 247 Vocabolari » 249 Osservationi et Avvertimenti varij intorno alla detta lingua » 252 Rimatori e lor Commentatori, cominciando da Dante e suo secolo e venendo di mano in mano fino a nostri tempi, et in ogni sorte di Poema con altre loro osservationi e commenti .» 256 Tragedie » 266 Comedie » 267 Tragicomedie » 267 ldilij e Poemetti varij dove troverai anco varie Rime » 268 Prosatori, ma intorno a Poeti e Argomenti poetici > 272 Poetiche » 273 Libri pertinenti all’Eloquenza » 275 Ìlistorici » 280 Scrittori intorno all’Historia e simili » 282 330 GIORNALE STORICO E LETTERARIO DELLA LIGURIA Filosofi morali carte 285 Lettere * 2^9 Filosofi naturali * 29° Geografia e Matematici * 293 Spirituali * 295 Dovrei ora recare i titoli delle opere registrate dal Beni, ma sarebbe uno sciupìo di tempo e di spazio, tanto più che egli non possedeva, come ho detto, nè edizioni rare, nè libri ignoti agli studiosi. Mi accontenterò quindi di riportare i giudizi esposti intorno ad alcune di quelle, e i consigli che il Beni da all’immaginario discepolo a cui finge d’indirizzare la paiola. 1) [Dopo registrate le grammatiche del Bembo, del ^olce, del Pergamini, del Fortunio, del Gabriele, del Corso e del-l’AccarisioJ. · Osservisi che le grammatiche già dette son per coloro, 1 quali hanno qualche intelligenza dell’italiano, e non per chi n’ è digiuno. E tanto più riescono profittevoli, quanto che sono scritte con buono stile e regolato; si che insegnano con 1 uso et essempio non meno che co’ precetti e regole. Γ er chi poi non fusse Italiano, o fusse Novitio nell’italiana lingua, ma pero intendesse latino (che senza un simil fondamento, non è possibile impararla^ servirà il Lapinio. 2) [Su la grammatica del Lapinio]. Questa grammatica è ottima veramente per gli esterni 1 quali (com’io diceva) possiedono la latina. Se ben può anco riuscire utile agli Italiani, i quali siano della latina almen tinti. 3) [Su la grammatica del Buomattei]. Questo libretto abbraccia quelle minutie le quali son fondamento del parlare, trattando delle lettere, delle sillabe, e delle parole e dell’oratione, ma non è necessario questo ti aitato ; anzi reca superflua fatica e speculatione. Perchè siccome ottimamente caminiamo o guardiamo, senza che speculiamo prima l’artificio della Natura in formar gl’istromenti del ca-minar e del vedere, e come s’adoprino per vedere e caminare, contentandosi che l’istessa madre natura c’indrizi nel caminare e nel vedere, si che naturalmente e senza tante speculationi di Natura, caminiamo e vediamo ; così senza tanto specular come si formi questa, o quella lettera in bocca o quella sillaba, parliamo. E però cotali speculationi son’otiose all'acquisto delle lingue ne portano se non oscurità e dubbi; si che come l’edificatore si contenta delle pietre et altre cose, che la Natura li porge per edificare, ne va speculando prima di quali elementi si nutriscano o da quai fonti e come, ma attende a edificare, e far belli edificii, così 1’ huomo dee ricevere la sua natia prò- GIORNALE STORICO E LETTERARIO DELLA LIGURIA 331 nunzia senza tante speculationi e studiarsi di ben parlare, o comporre che per ogni modo dopo queste speculationi ne più ne meno dee seguitar la Natura in formar le parole; tuttavia a i curiosi può servir questo trattato ancora, se ben il 2° e il 3° libro promesso da questo autore, ma non ancor dato in luce può riuscir men’ otioso a chi si diletta di specular queste minutie oltrache sono comuni a tutte le lingue, e non proprie dell’italiana o Toscana se non forse in qualche cosetta. 4) [Su le Ricchezze della lingua volgare dell’Alunno], Come più antiche si propongono nel primo luogo, se ben più tosto potrebbon chiamarsi povertà che ricchezze, posciache essendo ritratte da un sol autore e da un sol libro, son pochissime a quello che in tal tempo si poteva e doveva ritrar da molt’ altri lodati Autori; e nulle quasi sono al numero delle voci le quali convien ragionando, esprimere e rappresentare: massime per esser poco, 0 nulla a proposito per rimatori o Versificatori. Per lasciar che non picciola parte di dette voci ch’or son disusate, e come rancide o affettate vengon fuggite. 5) (Su la Fabbrica del Mondo dello stesso]. dove per proveder in buona parte al bisogno, porta le voci di molti e molti Autori, etiandio moderni, come del Bembo et altri. Oltra che fà buon capitale de’ poeti e sopratutto del Petrarca che vai per mille. E’ vero che l’Alunno in quest’ opera dispone in guisa le voci, che l’ordine piutosto è filosofico parte, e parte Historico ch’ei sia raccommodato ad insegnar le lingue. Laonde tal fabrica, a chi si desse a leggerla seguitamente, più servirebbe per acquistar certe superficial cognition delle cose dell’Universo che delle Voci. 6) [Sul Memoriale della lingua del Pergamini]. il qual è opera di buono stile, et ha buona elettione di voci, con darne etiandio commodo giuditio e dichiararle. Tuttavia ha due gravissimi intoppi per non dir difetti: l'uno è che interrompe l’ordine dell’Alfabeto, perciochè mentre deriva le voci dall’originarie e primitive, le derivate non si trovan poi con l’uso dell’alfabeto. Oltra che molte voci si rimettono’ad altro luogo, convenendo talora andar girando qua e là un pezzo per ritrovarle. Con che non di rado avvien forse che la primitiva sia posta per derivativa, e la derivativa per primitiva, in modo tale che neanche il metodo dottrinale, al qual sembra che ei mirasse ad uso del Tesoro greco e latino, si scopre a bastanza. Il 2° è perchè reca voci solamente degli Antichi, le quali veramente al bisogno sono assai scarse, non bastando ne a poeti ne a Prosatori. Ben è vero che finalmente l’Autore avvedutosi, stimo io, dei detti intoppi, e difetti, ha rinovato il suo memoriale con la giunta di molti autori moderni, massime di Torquato Tasso unico in questi secoli ; et insieme vi ha fatto giunta del- 332 GIORNALE STORICO E LETTERARIO DELLA LIGURIA l’indice e delle voci per via d’Alfabeto, sì che possali ritrovarsi più facilmente. Se ben convenendo ricorrer all’ Indice prima, e poi al Memoriale, e spesso in varie parti, ricerca più tempo del bisogno, siccome avvien’anco in parte all’indice della Fabrica. 7) [Sul Vocabolario degli Accademici della Crusca]. Segue poscia il Vocabolario della Crusca, il quale procedendo sempre per via d’Alfabeto, porge commodità di trovar a prima giunta le voci. Non però fà alcuna stima de’ moderni, se non per avventura de’ suoi, e pur de’ moderni al presente habbiam non piccioi bisogno. Ne da gl’Antichi scieglie le Voci in modo che non ve ne sia gran parte rancida e disusata, o scopertamente affettata, o pur mal formata, e mal regolata, e di Autor rozzo e duro: si che per lo più « haurit de fece ». Aggiungi che nel registrarle assai sovente si diparte dall’Ortografia ordinaria, rendendole assai difficili a ritrovare. Oltra che in cento e mille luoghi le voci vengono mal dichiarate. Non resta perciò eh’in mille altri non si scorga tal’ industria eh’ accurato lettore e giu-ditioso non possa ritrarne frutto. E perche s’intende che di nuovo sia per ristamparsi migliorato, potrebbe alla ventura 1’ utile riuscir tuttavia maggiore. 8) |Su le Bellezze della lingua Italiana del Cisanij. delle quali dirò il mio parere, quando saranno compitamente venute in luce: e però al presente al mio studio non se n’offerisse se non alcuni pochi fogli: Dirò bene il concetto che n’ ho fatto si per la lettione di detti fogli, e di molti altri che n'hò veduto in penna; come anco per havermene più volte ragionato con l’Àutore. Et è che l’opera sarà ricca di Autori et esempi tanto moderni quanto antichi, e trà gl’Antichi ve ne saranno molti i quali potranno dar gusto e servir non poco, tutto che dalla Crusca siano stati (siasi a bello studio o per inavertenza) tralasciati. Dal che avverrà che quest’Opera di voci sia abbondantissima. Se poi tali Autori, massime i moderni, debban tutti.............per lodati et autorevoli sarà giuditio altrui. Ma perchè di questi Vocabolarii s’ è da me ragionato a lungo nel Paragone dell’Italiana lingua, si che, trattene le già dette Bellezze, di tutti si è divisato a lungo ; e forse uscendo le dette Bellezze di breve, porgeranno a me opportunità di scoprirne a tempo quel più che mi occorresse, non ti sia grave trascorrer detto Paragone. Ilor torniamo alla nostra tela. 9) [A proposito dell’ opuscolo del Bossi : Che la lingua nostra abbia havuto compimento dal Petrarca e Boccaccio\. E quanto al Petrarca non par che discorra male. Il resto è da considerare a bell’agio, basta che altre ragioni vi bisognano che queste del Bossi. Percioche par bene che la nostra lingua quanto al Verso habbia ricevuta sua perfettione (per quanto però n’ era capace) dal Petrarca, ma la prosa par GIORNALE STORICO e LETTERARIO DELLA LIGURIA 333 eh ogni di più sia andata a perfettione, quasi che il Boccaccio non se 1 havesse condotta come stimano questi tali, anzi chi leggerà Mon1' Della Casa, il Guidicione, il Caro et alcuni dei XIII huomini illustri con altri tali, vedrà che la lingua quanto alla Prosa s’ è andata ogni giorno affinando e per quello che comporta perfettionando ; tantoché l’Antica e in gran parte la Boccacciana stessa vien di molto in gravità e leggiadria superata; che però da Torquato Tasso, e qualch’altro vicn condotta a maggior perfettione, se ben vi resta ancor che desiderare, come si dirà altrove, per esser la nostra lingua non poco effeminata, et atta più alla piacevolezza e dolcezza, che alla gravità. Di che altrove si discorre. Basta che noi habbiamo collocati nella nostra Biblioteca volgare simili Autori, accioche si vegga quanto sia andata migliorando col tempo. io) [Su la edizione della Divina Commedia impressa in Vicenza nel 1613, e accompagnata dalla Vita e dal Commento del Boccaccio]. Dante in-16 in Vicenza 1613. E qui intendiamo Dante cioè la Comedia particolarmente, lasciando da parte le già dette Rime : anzi qui per Dante intendiamo la sua Comedia con la vita di esso Dante, scritta da Gio. Boccaccio, et un commento senza nome dell’Authore: il qual commento, se pur non è del-l’istesso Author della Vita, giostra di stile ad un segno. Ben che il Boccaccio nel fin della vita predetta, mostra d’impor fine allo scrivere, e non già di passare e commentare. Vero è che il Velutelli nella vita di Dante mostra di attribuire questo commento a Benvenuto da Imola, da cui aggiunge haver preso il Landino quasi ogni cosa, confermando che la precedente vita sia stata scritta dal Boccaccio, ma biasimandola grandemente. Et è facil cosa che il Commento detto sia d’un Imola Benvenuto, poi che nel fine in un Sonetto si dà conto di Dante e del Commentatore et Impressore con luogo e tempo dell’Impressione dicendosi che Imola Benvenuto (così in verso esprimendo forse Benvenuto da Imola) sia il Commentatore, e che in Pesaro si stampò l’Opera del 1477 ; ma come si sia, chiaro è che la predetta vita è piena d’errori di lingua, sembrando di stil molto moresco. E seben concederò che Io stampatore n’ habbia qualche colpa, massime dell’Ortografia, o più tosto cacografia, tuttavia non può nascondersi la barbarie e goffezza della tessitura, parendo che questa lingua sia di fresco spiccata da i Barbari, i quali mescolavano, 0 traheano dalla latina ad uso che di presente fanno i Tedeschi mentre son'ancor novitii nell’Italiana. In somma siccome da un monte si trahe talhor un gran sasso, ma rozzo a meraviglia, così sembra che dalla latina si trahessero i nostri antichi insieme co i Barbari l'Italiana, onde fù rozza e grossolana non che barbara di stile; e dell’istessa farina è lo stil del Commento, onde ha ragione' il Boccaccio in 334 GIORNALE STORICO E LETTERARIO DELLA LIGURIA fare scusa al suo stile, confessando che tal fusse il parlar Fiorentino. n) [A proposito della edizione delle Rime e prose di Torquato Tasso, impressa in Toscana nel 15S9]· E’ vero eh’ io non giurerei facilmente ne meno affermerei, che tra le Rime stampate sotto il suo nome, non vi fosse stato dall’avidità altrui interposto qualche componimento d’altro Authore. Ma lasciando per hora tal giuditio da parte, soggiungerò 1’ altre sue Opere pertinenti a questo luogo. 12) [Dopo aver registrato gran numero di idilliji e poemntti\. Ho voluto registrar con qualche diligenza gl’ Idillij presenti sì per esser i principali et assai belli come anco per avvertir quello che soggiungerò. Lo scriver lodevolmente in verso è senza dubbio più diffìcile che lo scrivere in prosa. E’ però se in arte alcuna e professione convien’ incaminarsi dalle cose più facili, ci è necessario nel verso. Di qui è che, sendo il verso sciolto molto men difficile del rimato, convien’ esercitarsi nel verso sciolto prima che si passi alla rima, la qual nel vero in questa nostra lingua eh’ è povera di rime, porta difficoltà; così avviene eh’ essendo gl’ Idillij quasi per ogni parte liberi dalle rime, non senza grand’ utile c’ essercitiam prima in questi, dove particolarmente cerchiamo di nobilitar il verso con nobili concetti, sapendosi che nel Verso sciolto non può scusarsi la bellezza del concetto per la necessità della rima, la qual talhor ci astringe etiandio a valerci di concetti bassi o non poco lontani dal proposito e dal perfetto. Quindi avviene che dopo essersi essercitati lodatamente nell' Idillio troviam minor difficoltà nella rima, avvertendo sopratutto di non lasciarsi da questo sforzare così incorrere in qualche bassezza o concetto poco a proposito. E per simil cagione apunto Aristotele hebbe l’Óde, l’Epigramma e simili componimenti in luogo di preesercitationi o preludij ; ne concesse loro il nome di poemi. Et i Poeti Antichi costumarono di essercitarsi p.a in tesser Epigrammi, Odi, Eploghe e simili Poemetti che chiamarono Idilli e quindi poscia darsi alle Tragedie et a gl’Heroici Poemi. Si che quest’uso di scriver Idilli è di gran giovamento a coloro i quali aspirano a darsi a componimenti più ampii. 13) [Prima di registrare i libri di eloquenza\. Ho ridotto in Catalogo i Libri over Authori i quali nella nostra Bibliotheca Italiana son più proprii della Poesia. Hor si faccia Catalogo di quelli che appartengono all’Eloquenza. Perchè seben l’Eloquenza fiorisce più ne Latini e ne’ Greci, e però convien’ avvanzarsi nell’ Italiano con leggere Isocrate, Platone, Demostene e Cicerone, massime che la Lingua Italiana è troppo dolce e manca di gravità, per non dir che sia effeminata e molle; tuttavia può ridursi a qualche vaghezza e GIORNALE STORICO e LETTERARIO DELLA LIGURIA 335 leggiadria, si che 1’Eloquenza n’habbia luogo. Anzi il Tasso, il Caro, monsignor della Casa e qualch’ altro 1’ ha in qualche parte espressa, si che meritati lode, se pur non giungono al sommo et alla palma. Noi certamente ci siamo sforzati di pervenirvi : tanto con la quantità quanto con la qualità delle scritture et Opere: eperciò habbiamo scritto i Discorsi et Argumenti Politici, un Volume di Lettere, il Commento sopra il Goffredo con altr Opere Italiane, e sopra tutto il Cavalcanti. — Ancorché per la nostra Lingua alquanto bassa e noi di molto mediocre ingegno non pretendiamo d’ esser giunti al sommo, ma di ciò si dirà nel fine. Hor vengasi a glAuthori dell’Eloquenza. 14) [Su la Circe del Gelli].- Ha del morale sì e del filosofico, scoprendo la debolezza e fragilità dell’huomo et all’incontro la buona natura di molti altri animali: ma però è molto licentiosa, e pon’in odio l’ingegno, il giuditio, la verità, l’industria, l’huomo istesso a petto delle bestie. 15) [In fine del catalogo]. Questi sono gli Authori 0 libri di nostra lingua che per hora si son collocati nella nostra Biblioteca non parendoci che maggior numero ct altri scrittori sian necessarii. Poiché da questo posson riconoscersi gl’Antichi e i Moderni et i Mezzani; et comprendersi quanto sian rozzi e mal culti gl’Antichi, et vaghi e gentili i moderni; poiché seben l'industria giunse a tale nel Petrarca in quell’antico secolo nel Verso, che conquistò la palma; e qualch’altro nella Prosa pur fu di qualche stima ; nondimeno generalmente parlando, gl’Antichi si scorgono rozzi e duri e senz’osservanza, dove che i Moderni son vaghi e leggiadri rispetto a quelli, massime che certo il Tasso tanto nella Prosa quanto e molto più nel verso s’ è scoperto leggiadro e gentile; si com’anco nel Verso l’Ariosto, il Marini, il Guarini et altri riescon leggiadri e belli. E Γ istesso avvien del Caro et altri assai nella Prosa. Vero è che gl’italiani Poeti al mio parere son giunti al sommo : si che può temersi più tosto di caduta che d’accrescimento alcuno, si come avvenne dopo Virgilio. Che certo peregrini poeti e nobili habbiam’ in questo secolo: ma nella Prosa, ch’io mi creda, non habbiamo scrittori i quali sian giunti al sommo: tanto per non agguagliare di belle Scritture Cicerone, Demostene e Platone, e per non pareggiar la moltitudine e varietà di quelli, (se però in ciò non si desse lode al Tasso scrittore eccellente, copios’ e vario di Prosa e maggior di Verso) quanto per mancamento di osservanza e leggiadria: che in vero apena in qualche picciol Volume si scorge 1’ eccellenza e industria d’ alcuni Prosatori moderni. E però me par che vi sia luogo di palma tuttavia. Certamente noi in ott’ intieri volumi ci siamo sforzati di trattar nobilmente 33<5 GIORNALE STORICO E LETTERARIO DELLA LIGURIA quasi ogni maniera di argomento particolarmente nel Cavalcante, ne’Dialoghi Politici, nel Commento sopra la Hierusalemme liberata ci siamo sforzati di conquistarla. Non però ci presumiamo d’haverla conseguita, o meritata: lasciando di ciò il giuditio a Letterati. Perche se ben nella moltitudine delle Scritture nella varietà degli Argomenti, non vi può cadei dubbio, vi può cader nella finezza, osservanza e leggiadria. Intanto lodiamo gl’Antichi ed attennianci a i migliori Moderni, come più dolci e leggiadri se non pieni di gravità — poi che la Lingua Italiana, come quella ch'ama le Vocali, massime nel fine, è piena de hiati e di mal suono, si che non si può di leggiero schivar simili incontri e generar all’orecchie perfetta armonia, anzi divien sovente sovverchiamente dolce o più tosto effeminata, dove che il Latino e Greco per haver gran varietà di terminationi che a guisa d' ottimo instrumento riempiono e cattivano 1'orecchio, meglio servono alla perfetione, per haver gravità non meno che dolcezza. E sebene noi ci siamo ingegnati di fuggir simili scogli di bassezza ct effeminato stile, tuttavia ciò fatt’habbiamo quanto comporti la nostra lingua : non avvanzando e forse non agguagliando in questa parte la Greca. E s’ altri avvezzo alla Lingua materna e italiana non sente la sua bassezza, gl’ Habitatori ancor del Nilo avvezzi al rumore di quelle gran cadute di acque e cattarate, non sentono 1’ Harmonia celeste, o almen se ne giacciono sordi. Ne lascierò di dire in questo luogo che io haveva disegnato di porre a questo Libro i numeri dal lato ancora, over Abachi Laterali sicome ho posto forse non senza molt’ utile a gli altri I orni : acciocché si potesser citare e trovar subito gl’Autori e le cose più memorabili ; ma mi sono accorto che la presente Biblioteca istessa serve per indice se non alfabetico almen metodico, disponendo per ordine gli scrittori in ciascuna Professione oltra che i Nomi de gl’Authori proprii bene spesso non sono i triti et usitati, ma si giacciono incogniti ovvero oscuri. E però non ho usato in questo Tomo o Biblioteca i numeri laterali; onde non ti sia di maraviglia se gl’ usiamo in molti altri, lasciandoli in questo. Seben la tavola ordinata delle Professioni con il Catalogo di ciascuna non si tralascia. Francesco Foffano ANEDDOTI L’ARCHIVIO DOBERTI DT LERICI Carlo Frediani di Massa, nel 1833 credette prudente l’abbandonare per qualche tempo la nativa città. Era ascritto alla Giovane Italia, e benché la cosa fosse ignota al Governo, ve- GIORNALE STORICO E LETTERARIO DELLA LIGURIA 337 niva tenuto d occhio (i). Riparò a Lerici, e la sua passione per le ricerche erudite lo spinse nell’Archivio del notaro Giuseppe Roberti, dove si mise a sfogliare i protocolli più antichi, a cominciare da quelli di Agostino Bibolini seniore, che dal 1499 arrivano al 1539, a venire a quelli di Gio. Maria Cartocci degli anni 15x4_ 1539» di Ottavio Bibolini seniore dal 1538 al 1585, di Bartolommeo Cartocci dal 1539 al 1590 e di Silvestro Bibolini dal 1540 al 1556. Attirò sopra ogni altro la sua attenzione il registro di Agostino Bibolini, che abbraccia gli anni 1502-1504, nel quale, « subito « dopo 1 Tndice, si leggono alcune risoluzioni prese dal Con-« siglio del Comune di Lerici ». Di vari di questi protocolli andò a mano a mano notando gli atti che offrivano maggiore interesse. Do un piccolo saggio de’ suoi spogli E’ un modesto contributo alla storia politica, artistica ed ecclesiastica di Lerici (2). Giovanni Sforza ■5°3> g'Ugno 19. Marco del fu Giorgio degli Egidi di Moneglia, come procuratore del figlio Angelo, protonotario apostolico e rettore della chiesa di S. Lucia e S. Niccolao di Pugliola (3), alluoga la chiesa stessa al sacerdote Andrea Monti, con tutte le sue ragioni, pertinenze ed elemosine ; escluso però quanto essa chiesa deve avere dalla chiesa di S. Lorenzo di Caprione (4). [Protocollo del notaro Agostino Bibolini degli anni 1502-1504.] 1512» novembre 3* Magister Jacobus pictor de Spedia è incaricato da’ massari della cappella del Corpo di Cristo del Campo Santo di dipingere il rimanente della stessa cappella, bene, perfettamente ed intieramente, senza niuna interruzione, dopo che abbia finito 1’ altare che dipinge ad istanza di Luciano della Serra. Lo pagheranno a seconda di ciò che verrà giudicato. Actum ad portam maris Illicis in littore jnaris [Protocollo del notaro suddetto.] 3 1525» agosto 27. L’esattore del Comune di Lerici domanda ai Consiglieri del Comune stesso che gli accordino un altro anno di tempo per esigere la gabella del peso e della misura e del macello, nulla avendo potuto (1) Neri, Un condannato del 1833 (Pasquale Berghini), Torino, Roux e Viarengo, 1900, p. 5. (2) I manoscritti di Carlo Frediani, morto il 4 tebbraio 1847 nella verde età di quaranta quattro anni, furon comprati dal marchese Giuseppe Campori di Modena, che poi, in parte, li donò al Comune di Massa. Lo Spoglio degli antichi protocolli conservati nell’ Archivio del notaro Giuseppe Doberti di Lerici è ora nella Segreteria Comunale di Massa. (3) Da un atto dello stesso notaro del 1 giugno 1504 risulta che era anche pievano della chiesa parrocchiale di S. Stefano di Vallecchia. [Nota di G. S.] (4) Gli avanzi di questa chiesa si vedono tuttora. Restava al di là della via che conduce a Sarzana verso la Serra, dimodoché quasi l imane dirimpetto a Cen i, valicato il Canale del Guercio. [Nota del Frediani.] G ioni. stor. e lett. d. Lig. II. 22 33S GIORNALE STORICO E LETTERARIO DELLA LIGURIA riscuotere l’anno precedente a cagione della peste. Actum in ecclesia sancti Martini et Sebastiani de Illice. [Protocollo del notaro stesso degli anni 152.5-1526.] ^ 1525, novembre 14. Essendo stati conferiti al chierico Matteo Mutino degli Egidi figlio del fu Giannone da Moneglia due benefizi annessi alla chiesa di S. Giorgio di Barbazzano, rimasti vacanti per la morte del prete G. B. Canatta, ne piglia possesso col mezzo del suo fratello Francesco, da lui nominato proprio procuratore ; il quale non senza pericolo della vita potè attestare 1’ accesso alla chiesa stessa, a cagione della molta gente ai-mata di ogni sorta di arme che con la violenza vietava che alcuno si accostasse. [Protocollo suddetto.] 1526, febbraio 20. Fr. Lorenzo da Genova dell’Ordine degli Eremitani del convento di S. Maria di Maralunga confessa di aver ricevuto da Consiglieri del Comune di Lerici una bombarda di bronzo, chiamata la Bronzina, per potere fondere una campana ad uso del convento stesso ; e promette che gli Eremitani nelle burrasche di mare la soneranno di notte ad hoc ut naute tute et secure possint et valeant ingredi portum. Actum tn burgo veteie Illicis. [Protocollo del notaro Gio. Maria Cartoccio.] 1529, marzo 8. Magister Dominichus quondam Desiderii Gare de Car-raria da una parte e Gio. Matteo del fu Marchetto Franchini stipulante come Priore della chiesa di S. Bernardino in Campo Santo dall altia, convengono : il primo, di fare per la suddetta chiesa un altare di marmo buono, puro, fine, chiaro e senza macchie, nel quadro del quale sia la figuia di S. Bernardino nel mezzo, a mano destra la figura di S. Francesco e a sinistra quella di S. Leonardo; nella mezzaluna (semiarculo) la figura della Vergine con due santi, uno a destra e uno a sinistra; e nella base (in banchetta) 1’ immagine della Pietà con S. Giovanni e 1’ immagine de Disciplinati. E farlo portare a Lerici a proprie spese dentro il prossimo ottobre. Il secondo si obbliga di pagargli quaranta scudi d’oro in varie rate. Actum in burgo vetere Illicis. [Protocollo del notaro suddetto.] 1530, dicembre 8. Essendo Podestà di Lerici Agostino Saivago si ha che quel Comune teneva a proprie spese delle galere in corso. [Protocollo del notaro stesso.] 1533, luglio 5. Essendo Podestà di Lerici Stefano Verina, i Consiglieri del Comune deputano Francesco dei Malfanti e Gio. Francesco Petrizzolli a presentarsi dinanzi 1’ uffizio delle Compre di S. Giorgio a Genova a impetrare il mantenimento delle loro franchigie e diritti. [Protocollo di Ser Agostino Bibolini.] 1550, maggio 8. I Consiglieri del Comune di Lerici eleggono deputati per soprintendere al lavoro delle porte e delle nuove fortificazioni che erano state decretate per premunirsi contro le escursioni de’ Turchi ; e danno ad essi piena podestà d’imporre tasse straordinarie a tal uopo (1). Actum m ecclesia sancti Martini. [Protocollo del notaro Bartolommeo Cartocci.] (1) Il 7 del 1575 decretarono nuovamente di fortificarsi, ma senza dirne la causa [Nota del Frediani] GIORNALE STORICO E LETTERARIO DELLA LIGURIA 339 BOLLETTINO BIBLIOGRAFICO. Ettore Regalia. Sulla fauna della « Baca del Bersagliere » e sull’ età dei depositi della vicina « Grotta dei colombi » (I*. Palmaria, Spezia) Nota di E. il., Firenze, Laudi, s. a. in-8, di pp. 58 (Estr. ΛάΙΙ'Archivio per VAntropologia e l'Etnologia, voi. xxx, Fase. 3,1900, pp. 277-332). In questa Nota il R. fa conoscere il resultato delle esplorazioni eseguite, alcun tempo fa, in una caverna, prima inesplorata, dell’ i-sola Palmaria, vicina alla ormai conosciutissima Grotta dei Colombi, stazione umana preistorica nei due periodi dell’epoca litica. Per la straordinaria difficoltà dell’accesso è poco probabile che quella caverna sia stata abitata o visitata dall’uomo, sebbene la presenza di alcuni frammenti d’ossa alquanto voluminose ivi rinvenuti potrebbero farlo supporre. Il R. studia le ossa trovate nell’ esplorazione della caverna (347 pezzi, che fanno parte delle collezioni del Museo Civico della Spezia) appartenenti a specie diverse di mammiferi, di uccelli e di pesci ; confronta questa fauna con quella della vicina Grotta dei Colombi, e da questo esame ricava che dodici specie di uccelli trovate nella Buca non si riscontrarono nei depositi della Grotta. Questo fatto, e l’altro di trovarsi la Buca ad un’altezza maggiore della Grotta rispetto al livello del mare, fanno ammettere l’anteriorità della fauna della prima delle due caverne, e supporre con assai fondamento che la Buca contenga resti di specie vissute durante la prima fase del quaternario. Questi resultati conducono l’a. a ribattere con nuovi argomenti alcune opinioni espresse da altri scienziati relativamente alla Grotta dei Colombi, e da lui anche prima d’ ora confutate. Contiene la Grotta una breccia ossifera di origine marina? contrariamente alla opinione affermativa del prof. A. Portis, il R. dimostra con fatti la inattendibilità dell’ asserto, essendo i più antichi fossili di quel deposito posteriori alla emersione della caverna dalle, onde marine. Fu abitata la Grotta soltanto nel periodo neolitico? Il prof. Capellini alcuni anni sono, estendendo alle terre che circondano il golfo della Spezia una tesi sostenuta dal geologo inglese Prestwich, concludeva che la grotta della Palmaria fu abitata soltanto nel secondo periodo dell’ epoca litica. Il R., dimostrata falsa con l’evidenza dei fatti l’ipotesi generale del . Prestwich, esamina l’applicazione di essa a certe formazioni esistenti presso il Golfo, e la conseguenza ricavatane quanto alla Grotta dei Colombi in particolare; e ne conclude essere inattendibile l’opinione che l’isola abbia subito alla fine dell’epoca quaternaria una sommersione seguita a breve distanza da una riemersione,' come si vorrebbe per ispiegare le formazioni in parola ; che in conseguenza non re- 340 GIORNALE STORICO E LETTERARIO DELLA LIGURIA pugna l’ammettere che le sue cavità possano contenere avanzi ammali e d’industria umana anteriori alla line del quaternario, e che u anzi le reliquie conservatesi nella Grotta dei Colombi piovano, finora con certezza, il contrario ». Marco Y atasso. Le due lime di Bovino ora Codici Vaticani Latini 10510-10511 e le loro note storiche, Roma, tipografia Vaticana, 1900; in-8 gr., pp. 75. L’opuscolo del d.r Vatasso fa parte di una collezione di « Studi e Testi », alla quale dà opera la biblioteca Vaticana, sotto la direzione del prefetto della medesima p. Francesco Eherle. Il Vatasso pubblicò nella stessa collezione anche una estesa e dotta notizia di un codice Vaticano contenente le poesie di Antonio Flaminio. Il dott. Pio Franco dei Cavalieri vi stampò il testo critico della Passio SS. Aiariani et Iacobi, accompagnata da commenti, e il dott. Giovanni Mercati, un eruditissimo libro miscellaneo che tratta di letteratura biblica e cristiana antica. Il Capitolo della Cattedrale di Bovino cedette, pochi anni or sono alla biblioteca Vaticana due manoscritti biblici del sec. XI, di forma arcaica, con qualche grande iniziale miniata. Il \ atasso descrive i due mss., e, fondandosi sopra dati intrinseci ed estrinseci, ne stabilisce l’origine italiana. Ambedue i codici contengono tanto 1 antico, quanto il nuovo testamento. L’interesse che i due Codici possono presentare per se medesimi viene non poco accresciuto da parecchie note storiche sci itte sui margini, dell’uno e dell’altro codice. Di queste note alcune liguai -dano Bovino e i dintorni, mentre altre si riferiscono alla storia generale d’Italia. La più antica data rammentata nelle annotazioni è del 1099 e si riferisce alla conquista di Gerusalemme. Pare scritta non più taidi della metà incirca del sec. XII. Pare abbastanza antica la notizia della morte di un conte di Bovino, 1182, ancorché vi sia errata la indizione. Una mano del 1320 incirca scrisse, come pare, parecchie annotazioni, del 1285, 1289, 1290, 1291, 1292, 1300, 1309. Ad altra mano del 1380 circa dobbiamo le annotazioni per gli anni 1197, 1266 (1), 1327. Una postilla, di mano certamente del sec. XIII, rammenta la morte di Federico II, ma l’ascrive al 1250, anziché al 1260. Altre postille sono della fine dal sec. XIV; e di esse, una contiene un cenno ad un fatto d’arme seguito intorno a Bovino nel 1358, c due invece ci danno due elenchi di contribuzioni. Del principio del sec. XV sembra la narrazione dell’origine della Chiesa di S. Maria (i) Questa nota parla della battaglia di Benevento; essendo scritta a 40 o 50 anni di distanza, non è meraviglia che contenga qualche svista cronologica. GIORNALE STORICO E LETTERARIO DELLA LIGURIA 341 di Vaiverde. Una postilla (che a primo aspetto sembra scritta nel sec. XIII) ha uria notizia del 1410. L’ultima annotazione, in carattere semi-umanistico, riguarda la morte di un canonico, del 1450 (1). In questa enumerazione, abbiamo anche avuta occasione di rammentare parecchi tra i fatti più importanti, di cui queste notazioni tengono ricordo. Aggiungo qui, che quelle degli anni 1290, 1291, 1300 riguardano rispettivamente la presa di Tripoli, la presa di Acri, la presa di Lucera de’ Pagani. Forse merita di essere considerata come la notazione storica ricca di maggiore importanza, quella che si riferisce alla eruzione vulcanica di Epomeo, nell’ isola d’Ischia. Di tale eruzione era incerta la data, che ora risulta essere il 1302.11 Vatasso che con diligente erudizione illustra ciascuna di queste annotazioni storiche, si sofferma con parcicolar cura sopra di quest’ultima, raccogliendo e vagliando quanto intorno ad essa può ricavarsi dalle altre fonti. Il volumetto reca buon contributo agli studi, e merita lode. C. Cipolla. Uomini di guerra de’ tempi nostri. IV. Skobeleff. Saggio storico di Severino Zanelli. Roma, Voghera, 1900 ; in-16 ; pp. tii-226, con cart. e rit. L’autore di questo libro nacque a Serra, villaggio sulla collina che s’erge alle spalle di Lerici nel golfo della Spezia, il 6 novembre 1839. Pece gli studi classici nel collegio dei Missionari di Sarzana, fiorente a quei dì per copia di allievi e per valenti maestri, i quali con larghezza d’intenti impartivano soda cultura, mentre educavano alla vita. Fin d’allora egli mostrò ingegno vivace, forte volere, fermo ed aperto carattere. Non ancora ventenne lo sopraggiunse il ’59. e poiché 1’ amore della patria non era in lui una lustra esteriore e temporanea, ma sentimento radicato profondamente nelFanimo, interrotti gli studi superiori s’ ascrisse volontario in quel corpo suppletivo dell’Accademia militare, donde provennero ufficiali meritamente stimati. 11 marzo del ’60 ne usci sottotenente, nel ’62 fu promosso luogotenente, nel ’71 capitano. In questo mezzo aveva già fatto le sue prove, cosi nella campagna contro il brigantaggio reazionario, come sul Mincio, là dove per il brillante attacco di casa Fontana guadagnava la medaglia al valore. Ma quetate le armi, gli studi lo attrassero di nuovo, e furono quelli che meglio si con% e-nivano alla professione militare, a cui ormai s’era interamente votato. Se certe tendenze della prima età valgono sovente a determinale (t) Per la compilazione di questo elenco, e per la classificazione cronologica delle annotazioni feci ricorso anche ai due niss. 342 GIORNALE STORICO E LETTERARIO DELLA LIGURIA gli indirizzi cui l’uomo s’appiglia nel processo della vita, non sarà inutile ricordare come il Zanelli giovinetto, pur sempre diligente discepolo e desideroso d’apprendere, palesasse la sua preferenza per 10 studio della storia, e chi scrive rammenta ancora come s’infiammasse nelle versioni di Cornelio, rilevando le virtù de’ grandi capitani, non tanto in iscuola, quanto in quella specie d’ accademia istituita nella camerata, là dove s’agguerriva alle future battaglie. Nè poteva essere altrimenti, quando da prima ci scaldava l’infiammata e spesso caustica parola del Ghersi (cuor generoso, carattere ardente di patriota e di ribelle), mentre alla severità dello studio era sprone il razionale insegnamento, il pacato e benevolo consiglio dell’ottimo Sanguinetti ; più tardi eravamo scorti attraverso alle bellezze di Vergilio dalla varia cultura, dal buon gusto, dall’ impeto lirico dell’eccentrico Gessi (garbato poeta, cui non fu parco di lodi il Tommaseo) intanto che l’animo candido dell’angelico Gaddo ritrovava la giovanile eloquenza, così commentando tratto tratto alcuni canti di Dante, come trasfondendo in noi le sue tenaci convinzioni giobertiane: nel tempo istesso la sicura dottrina del modesto Zancani c’insegnava 11 rigore del raziocinio matematico, richiamandoci all’ applicazione della mente pur nelle ore di ricreazione col giuoco degli scacchi, in cui egli era valentissimo, opportunamente intramezzato da qualche partita di tarocco, particolare passione del buon Veglia, che si faceva così perdonare la rettorica un po pedantesca (sebbene non in tutto disutile) cui soleva sottoporci in classe. E tutto ciò senza dimenticare d’invigorire le membra con la palla, col trucco, o scambiando quattro colpi di bastone alla brava, frutto delle lezioni del nostro ex-sergente. Qui nel Zanelli s’ erano cominciati a svolgere que’ germi che recarono da poi sapidi frutti. Poiché tornato come abbiamo detto ai prediletti studi, seppe tanto in essi addentrarsi da conquistare nel gennaio del ’75 1’ ambito ufficio di professore di storia alla scuola di Guerra; ufficio nel quale egli continuò, salvo un breve intervallo, fino all’ ’89 con rara competenza e con plauso universale. Entrato nell’insegnamento col grado di capitano, vi raggiunse quello di colonnello, e così preposto al comando del reggimento dopo sette anni venne promosso maggior generale assegnandogli il comando della brigata Sicilia. Del ’98 fu chiamato al Mistero a disimpegnare le funzioni di Direttore generale delle leve e truppe, ma incalzando la malattia, che già da qualche tempo insidiava la sua vita, indi a pochi mesi dovette lasciare l’alto incarico, nella speranza che il riposo fra i nativi uliveti in cospetto del mirabile golfo, avesse virtù di rinfrancargli la salute. Pur troppo così non fu; l’8 gennaio 1899 si spense. Nè egli fu soltanto valoroso soldato, ottimo ufficiale, uomo leale GIORNALE STORICO E LETTERARIO DELLA LIGURIA 343 ed Ìntegro; la sua fama è altresì raccomandata a pregevoli scritti di storia militare. Abbiamo infatti di lui: L’assedio di Genova del 1800 (Roma, 1882); Monteeuccoli capilano e scrittore (Ivi, 1882); La giovinezza di Napoleone L (Ivi, 1883) ; Custoza, 1848 (Ivi, 1886) ; Uomini di guerra de’ tempi nostri. Chanzy (Ivi, 1887) ; Il Principe Carlo Federico di Prussia (Ivi, 1888); Skobeleff (Ivi, 1889); Storia della Brigala Aosta dalle crigini ai nostri tempi (in collaborazione con Cecilio Fabris, Città di Castello, 1890) ; Moltke e la guerra del 1870-71 (Roma, 1891) ; Il reggimento Piemonte Scale cavalleria dalle origini ai nostri tempi (1692-1892) narrazione (Città di Castello, 1892). Riprese quindi fra mano la serie degli nomini di guerra e la pubblicò in volumi separati incominciando dal Moltke (1895), a cui tennero dietro Chanzy e il Principe Federico Carlo di Prussia (1898) ; ultimo lo Skobeleff, di cui non potè vedere la ristampa, e perciò mandato in luce con buon consiglio tal quale era comparso innanzi nella Rivista militare dal tenente colonnello Mariotti. I pregi che rifulgono in tutti questi scritti del Z. sono la compiuta e sicura preparazione, la singolare competenza, l’acutezza nel penetrare per entro alla ragione dei fatti, l’equanimità nel giudizio, lo studio psicologico degli uomini, il rilievo delle personalità e dei caratteri. Ma c’ è un’ altra importantissima dote, vogliamo dire, oltre al rigore logico, la perfetta rispondenza fra il pensiero e la forma, e quella omogenea fusione donde deriva la geniale opera d’arte. Il suo stile perciò è quale si conviene alla materia, vigoroso ed efficace, senza esser privo, ai luoghi opportuni, di quella sana sentimentalità che muove l’affetto dell’animo. La severa critica oggettiva, si palesa allietata con arte sapiente da pagine descrittive, e da narrazioni aneddotiche o da vivi quadretti,, di guisa che si fa leggere con piacere e con profitto anche dalle persone non in tutto addentro alle cose militari. Si vegga a mo’ d’ esempio il modo attraente con cui nel libro che porge occasione a queste note, egli entra in materia; i tratti scultori onde è rilevata la figura dello Skobeleff; la narrazione dei vari fatti d’armi, singolarmente della battaglia di Sceinovo; il giudizio riassuntivo del capitano e dell'uomo col quale si chiude il volume. Se gli fosse bastata la vita, era sua mente compiere la serie con i nomi del Lee e di Garibaldi; intorno a quest’ultimo sopra tutto si riprometteva far opera altamente patriottica, e l’argomento, che assaissimo gli piaceva, era da lui proseguito con amore d italiano e studiato con profondità di critico. Ha egli lasciato fra le sue caite questo lavoro compiuto? Se si, come sembra, ne affrettiamo col vivo desiderio la pubblicazione. A noi basti per ora rilevare il concetto che egli s’era formato del nostro leggendario condottiero da questa breve ma acuta comparizione: «Che dire delle somiglianze che al- 344 GIORNALE STORICO E LETTERARIO DELLA LIGURIA cuni vollero trovare tra Skobeleff o Garibaldi? Studiati come uomini di guerra, amendue rivelano, senza dubbio, sicurezza e rapidità di intuito grandissima, mente flessibile, acuta, feconda di spedienti, volontà indomabile e attitudine meravigliosa a muovere, trascinare, padroneggiare le moltitudini. Ma quante differenze e quanto protonde! Diverso il campo in cui operano, diverso l’ambiente, lo strumento, lo scopo ; diversi i risultati e l’importanza dell’opera loro di ironte alla storia. Garibaldi vive per un ideale di libertà e di giustizia sociale, che trascende i confini della narrazione e abbraccia l’umanità; ciò che scarseggia nella vita di Skobeleff, è la idealità, è il sentimento eroico n. A. N. Maria Ostermann. Il pensiero politico di G. B. Niccolini nelle tragedie e nelle opere minori. Milano, Segati e C., 1900. L’ argomento è stato opportunamente scelto, poiché il concetto politico era almeno sempre chiaro e luminoso nella mente del Niccolini, il che non si può dire de’ suoi intendimenti letterarii. L’altalenare di contrari giudizii rende quest’ultimi ben di spesso contusi ed incerti, ed il suo teatro, eccezion fatta dell’Arnaldo, se ne risente. In politica egli fu sempre italianissimo ed unitario, per conseguenza; l’idea di una confederazione di stati italiani non ebbe mai presa su di lui, neppure nel 1847, ossia nei giorni che l’Italia delirava per Pio IX. Noi possiamo quindi questo nobile e saldo pensiero patriottico ammirarlo senza riserve nei drammi del Niccolini e bene ha fatto 1’ Ostermann mettendolo nel debito rilievo. Trattandosi di uno scrittore che vive ormai in massima parte per esso solamente, è opera generosa il dimostrare quale e quanto esso fu, e pagare un debito di riconoscenza verso chi molto fece, se non come tragico, certo come poeta civile per scuotere l’inerzia italiana e preparare i nuovi destini della nazione. Il Niccolini è ormai scrittore passato e non è esagerazione affermarlo : di quei pregi che facevano raggiare e sussultare d’entusiasmo le platee d’allora assai poco è rimasto e si comprende, so gli applausi erano strappati non già da forti situazioni drammatiche, che restano sempre quelle, ma da pensieri ed allusioni alla nostra servitù, che con questa se ne sono andati. L 0. fa nel suo elegante volumetto un accurato esame del capo lavoio nicolliniano, VArnaldo, ed io per coscienza, non dico di critico, ma di recensore, l’ho riletto in parte, in ispecie la tanto ammirata scena dell’atto 2, tra Arnaldo ed Adriano. In verità, mi paiono due asti azioni che piglino voce e sfoderino, ore rotundo, e con molta solennità di frase, degli aforismi politici: la personalità sotto quei GIORNALE STORICO E LETTERARIO DELLA LIGURIA 345 vu si palpita poco o nulla, ad ogni modo molto meno in Arnaldo c it non nel pontefice Adriano, il quale nella sua fiera intransigenza e assai più umano. L’ 0. osserva a questo proposito : a il papa è forse troppo teioce, troppo superbo..... il frate è un poco troppo tracotante ». ja tiacotanza del frate non è che la naturale, logica risposta alle proposte pazze d’orgoglio di Adriano. Il giudizio di Francesco De anctis sul Niccolini che al critico sembra troppo severo, a me pare solamente giusto e spiega benissimo perchè lo scrittore fiorentino in si pochi anni sia tanto invecchiato. «Tutto quanto dice, scrive il De Sanctis, lo vede astrattamente, attraverso preconcetti e orma di quel sentire giusto e preciso la verità che gli è innanzi non si tiova in lui, nè nei versi, ne nei discorsi, aè nelle iscrizioni troppo classiche ». Lasciamo stare il resto, che qui non importa, ma quei veisi che sono per giunta così duri, così poco adatti al movimento diammatico del dialogo e quindi così poco veri, nella pretensione loio di esserlo molto? Per conto mio confesso che avrei desiderato tiovaie in questo lavoro dell’O. espressa più francamente l’opinione di chi scrive. Essa si dilunga a narrarci l’impressione prodotta sul pubblico dal tempo dei drammi nazionali del Niccolini, il giudizio che olitici antorevoli ne diedero, ma troppo rimessa e timida procede nell’esporci il suo. Ed anche mi pare che si alteri un poco il giudizio dell opera di lui, quando a proposito del Giovanni da Procida, misero dramma tenuto su dalle passioni politiche del momento e dalle tirate patriottiche che lo riempiono, essa scrive: « Non basta questo, perche la tragedia eserciti un’efficacia indiscutibile, non basta, che un opera come il Giovanni da Procida infiammi nel tempo a cui era destinata e possa preparare così le battaglie della causa italiana ? Anche gli inni del Manzoni, anche quelli del Berchet non i i ano scritti, unicamente per i tempi in cui furono recitati e letti ? » Mescolare la poesia socialmente cristiana del Manzoni col Berchet, col Niccolini mi pare fuori di posto; è verissimo che nessan scrittole può astrarsi dal tempo suo, ma gl’intendimenti se siano umani, nel ietto senso della parola, acquistano quell’universalità che non poteva avere il piccolo intrigo ed immorale inventato dal Niccolini per tarlo servire da sostegno — e a che poi? al moto più terribilmente grandioso che offra la storia del nostro paese, i Vespri, e sia pure che 1’ autore lo credesse non spontaneo, ma prodotto da una volontà personale. Ritorno volontieri all’Arnaldo sul quale 1’ Ostermann ha scritto un buon capitolo, studiandosi di sceverare ciò che è invenzione del poeta da ciò che è storico, e nella figura del monaco famoso ricercando se sia uno dei tanti monomani del sacro romano impero, o più veramente il precursore d’un’idea moderna. Mente di Arnaldo 346 GIORNALE STORICO E LETTERARIO DELLA LIGURIA era « di abbattere il dispotismo elei signorotti, di togliere al clero i beni immobili, particolarmente in latifondi, di strappare al papa il principato per trasferirlo nel comune popolare ». Abolizione dunque del potere civile dei papi e non tanto in omaggio alla maestà del popolo romano quanto per l’idea morale di ricondurre la Chiesa alla purezza del Vangelo, di sottrarla al pericolo dei beni temporali. Il concetto era medievale: il Niccolini ne tece, invece, una bella e splendida battaglia contro il neo-guelfismo del tempo suo e il dominio teocratico. Questo e il merito massimo del tragico fiorentino, quello che lo raccomanda ai giovani come nobile poeta civile e all età matura, che desidera sorprendere nei migliori i pensieri e i sentimenti di quel fortunoso periodo italiano, che va dal 1827, l’anno della ìap-presentazione del Foscarini, sino agli ultimi drammi di lui, Filippo Strozzi, Mario e i Cimbri. Egli ebbe chiara la visione di un’Italia raccolta e concorde tutta dall’Alpi al mare e governata da un Re: Io voglio un Re, che con un fren corregga Gli erranti suoi, che le divise voglie A concordie riduca, e cessar faccia Gli odi profani dei fratelli, e tolga L’ empio ferro a colui che l’ostie umane Nel tempio trafficava. Questo è che fa dimenticare le debolezze dell’ uomo e le debolezze anche maggiori del suo edifizio drammatico. Il volumetto si chiude con una raccolta di sonetti inediti, che forse erano da lasciare nell’oblio in cui rimangono tanti altri, e con undici brevi lettere del pari inedite, alcune delle quali potranno interessare gli studiosi. Carlo Braggio. ANNUNZI ANALITICI. Giambattista Marchesi. I romanzi dell'abate Chiari. Bergamo, Ist. Arti grafiche, 1900; in-8, pp. 99. In questo lavoro, che l’a. ha messo fuori come saggio di opera più ampia e complessa, si discorre degli scritti letterali onde il nome del Chiari andò più famoso nel secolo diciottesimo, quello cioè di scrittore di romanzi. Il M. li raggruppa genialmente per affinità d’argomento, e ne espone con lucida sobrietà il contenuto, fermandosi di piefe-renza sopra i migliori, o su quelli che rappresentano più o meno fedel mente tipi, caratteri, sentimenti, costumi, l’ambiente insomma in mezzo al quale trasse la sua vita l’autore bresciano. Ne accenna le fonti, ne divisa la fortuna, e rileva tutto quanto può giovare a rappresentare oggettivamente gli uomini e i tempi, le idee, 1’ animo, il proposito dello scrittore. Se il fommaseo con una paziente notomia degli scritti di lui aveva messo dinanzi ai nostri occhi quell’uomo singolare di cui personalmente si sa assai poco, ora il M. studiandone Γ opera, direm così, narrativa, ossia quella del romanziere, ci dà miglior modo di giudicare quel che fu, e qual valore gli si deve attribuire. GIORNALE STORICO E LETTERARIO DELLA LIGURIA 347 noi seni ra elle la trattazione sia buona, e l’a. mostri d’essere ben co-gni o 111 generale del suo soggetto e della materia. Del pari acute sono alcune osservazioni e rilievi, felici certi ravvicinamenti e confronti, anche appena toccati. Buona la parte biografica, monografia insomma che fa vivamente desiderare quell’opera maggiore a cui il M. intende. Appunto a questo line soggiungeremo qualche osservazioncella. A proposito delle ballerine c delle cantatrici riuscirebbe utile ricercare in qual guisa vennero atteggiate dai commediografi contemporanei, in ispecie dal Goldoni. Così si dica per tutto quanto riguarda i commedianti e in genere coloro che calcano le scene, non trascurando quel poemetto assai curioso del Chiari stesso uscito postumo, e intitolato: Il teatro moderno di Calicut (Venezia, Bassaglia 1787), dove è a vedere anche la breve premessa dell’editore. Per il lotto e la sua origine (p. 44) si potrà consultare una monografia del Rezasco sull’ argomento (in Ligustico, XI, 197). La traduzione de\V JScossaise del Voltaire fatta dal Casanova non restò inavvertita, (p. 53) perchè ricordata dal Belgrano {.Aneddoti e ritratti Casanoviani, in La Letteratura, 1889. n. 9). Può darsi che la traduzione letterale di questa medesima commedia ricordata nel Teatro moderno applaudito (p. 53) sia quella del Diodati, comparsa poi a Lucca nel 1762 nella Biblioteca teatrale italiana, (voi. 1) Non padre Mattia Doria, ma deve leggersi Paolo Mattia, ed è perciò da correggere anche il titolo della monografia del Gerini a cui si rimanda in nota. Conferenze fiorentine di ISIDORO Del Lungo. Milano, Cogliati 1901 ; in-8, pp. XII . 298. In questo volume sono raccolti con felice pensiero quei discorsi che il D. L. lesse in più e diverse opportunità, e andarono qua e cola dispersi, per lo più nei periodici, o in pubblicazioni miscellanee. Essi hanno evidentemente in un tempo, e legame ideale, e relazioni intrinseche. Ragguardano la storia e la letteratura, le quali qui ritrovano quella appropriata fusione onde s’aiutano l’una con l’altra e a vicenda si illustrano. Si aprono col nome di Dante e spaziano in quella vita cittadina così viva e geniale pur nelle sue agitazioni, persin tragiche, che è spiccata caratteritisca di un’età piena di rigoglio, di passione, di affetti, dalla quale uscirono mercadanti della tempra e della virtù di quel Datini che trovò nell’assennato notaio da Carmignano un consigliere così savio ed avveduto, cui l’amorevoli cure d un illustre pratese riserbavano la postuma gloria di rappresentare tutto un periodo importante di storia economica famigliare e civile, mercè la corrispondenza sua, a ragione giudicata sì come insigne documento umano. Ma se le pagine con le tre prime conferenze : Firenze e Dante — L’ esilio di Dante — Un mercante del trecento, ci pongono dinanzi agli occhi tanta e sì cospicua pai te della nostra storia, non meno notevoli ed importanti si presentano quelle che seguono, nelle quali in una sintesi sapiente è lumeggiato quanto di più rilevante e prospicuo illustra il magnanimo assedio di Firenze, e acutamente si scruta la mente e l’animo del Galilei nel cui nome s’impersona la grandiosa evoluzione della scienza italiana. Egli visse quando già da mezzo secolo i Medici avevano cambiata la repubblica, a cui felicemente nell ultimo periodo fu dato 1 appellativo di medicea, in principato, e di questo ò pensata rappresentazione la conferenza che reca appunto in fronte: 1 Medici Granduchi. Così la storia fiorentina s'arresta ai primi dell’ottocento. Quella storia fiorentina cui spetta per più ragioni luogo tanto cospicuo nella storia d’Italia, e sulla morale influenza che essa ha in essa esercitata ha svolto il D. L·. concetti ed aigomentazioni che sono profonda e geniale conclusione di questa raccolta, dove anche le brevi allocuzioni d’opportunità scolastiche ricordano e rinsaldano senti menti e verità cui deve informarsi ogni insegnamento civile. 34S GIORNALE STORICO E LETTERARIO DELLA LIGURIA Paul Marmottan. Documents sur le Royaume d’Ètnirie (1801-1807). Paris, Paul, 1900; in-8, pp. Vili - 79. (Estratto da Le Carnet historique et litterarie, 1900). Il M. si era giovato di questi documenti nel suo notevole volume uscito nel 1896 e intitolato appunto Le Royaume d’ Etrune. Sono assai curiosi c degni d’attenzione, e devesi lodare il proposito d’averli dati per intero, perchè valgono meglio a farci conoscere i particolari degli avvenimenti narrati dal M. in quel suo libro, e meglio ci scorgono a renderci ragione del modo onde quel regno fiacco ed effimero venne instauiato e mantenuto, posto com’egli era sotto la tutela del governo consolare e imperiale, che è poi in fin dei fini tutt’ una cosa. In tutti questi documenti campeggia da un lato la tracotanza e prepotenza anche violenta, come là dove i membri del governo toscano si lagnano perchè insultati e percossi nelle stesse loro sale dal comandante Gautier e dall’ufficiale di stato maggiore Lavillette ; dall’altro la forzata remissività costretta a subire la legge di chi impera, considerando in ispecie ch’egli è l’arbitro e il datore d’un regno. Qualche atto dignitoso di resistenza non manca; ma gli effetti non rispondono, nè potevano, all’aspettazione. Curioso il rilevare in qual guisa si preparò l’opinione pubblica a ricevere i suoi sovrani; più importante ancora il lavorio a fin di apparecchiare e di muovere 1’ entusiasmo per il loro ingresso. Molto significativa la lettera io Marzo 1807 del Chaptal a proposito degli oggetti d’arte da prendere a Firenze, singolarmente se si mette a confronto con quelle del mese successivo, nelle quali, mentre con pudibonde espressioni si reclama, come proprietà della Toscana, il contenuto delle set-tantaquattro casse fatte viaggiare a Palermo sotto bandiera inglese dal I uc-cini direttore delle gallerie, si domanda la senseria di un tanto servizio pi e-tendendo alcuno di quei capolavori, e contentandosi in definitiva, bontà del signor di Talleyrand, della Venere de’ Medici. Meno male che il Mozzi (4 Febbraio 1802) ha saputo dare a questo riguardo una lezione di logica e di buon senso al governo di Parigi, il quale in codesta disgraziata faccenda delle spogliazioni artistiche non aveva voluto ascoltare la parola competente e il grave monito del Quatremère de Quincy, con molto scandalo anche degli amici; costretto poi a restituire il mal tolto, sebbene proprio tutto non sia tornato. Parecchie altre cose, chi voglia spigolare, ricaverà dai documenti di cui parliamo; onde della loro integra pubblicazione, che non è un duplicato nè un fuor d’opera, va data lode al M. perchè così il lettore può vedere da se manifestamente sopra quali fondamenti ha lavorato nella citata opera l’a., e in qual modo egli se ne è servito. Noteremo in fine per amore d’esattezza che i documenti sono disposti in ordine cronologico, ma la lettera del Siméon che porta la data, certo per errore, del 6 vende/maire an. XIL (2g septembre 1803) deve appartenere al 1804 come può rilevarsi dall’altra del 7 settembre di quell’anno (p. 47-48). Manuale della letteratura italiana compilato dai professori ALESSANDRO D’Ancona e Orazio BaCCI. Vol. IV. Nuova edizione interamente rifatta; Firenze, Barbera, 1900; in-8, pp. 670. L’accoglimento che ebbe, e non solo nelle scuole, questo manuale, mentre pose nella necessita l’editore sagace di metter mano ad una nuova edizione, consigliò i compilatori a introdurre, nel lavoro, il cui disegno generale resta immutato, notevoli migliorie ed aggiunte, modificandone altresì l’ordinamento. Infatti la divisione fra gli scrittori più cospicui (singolarmente rispetto alla scuola) ed i minori è scomparsa per dar lnogo all’ordine cronologico ; le biografie sono scaricate dei riferimenti alle fonti, opportunamente disposti a piè di pagina; cresciuta di molto la bibliografia e portata fino agli studi più recenti ; nulla trascurato, anche GIORNALE STORICO e LETTERARIO DELLA LIGURIA 349 se si tratta di breve scrittura, e perciò aumentato il testo delle notizie biografiche; queste tutte quante ritoccate nella esposizione. Vennero poi aggiunti Iacopo Angelo Nelli, Carlo Denina, Gian Rinaldo Carli, e un nuovo brano dalla Coltivazione del rìso dello Spolverini. 1 .e notizie storiche e le letterarie onde si apre il volume ebbero nuove cure, vantaggiandosi di ritocchi e di giunte; importantissime le letterarie che rendono quelle succose ed acute pagine più rilevanti e compiute. Furono pure riveduti i testi e provveduto alla correzione ; tuttavia qualche minuzia c’ è ancora, ad esempio notiamo a pag. 578, lin. 22 un il in luogo di in, e a pag. 611, lin. 5 un vincerà invece di vibrerà. Così a pag. 23, hu. 8 c’ e un 1686 che deve essere 1684, e quivi pure, cosa curiosa, è rimasta fuori la data della moite di Ct. Pastorini, che non manca nella vecchia edizione. A proposito poi del Pastorini, non era forse inutile aggiungere che fu assai studioso del Chiabrera, ed a lui si deve se ci vennero conservate le lettere del poeta savonese edite poi dal Porrata a Bologna ; che ebbe amicizia e corrispondenza con Scipione Maffei, e Io prova una sua lettera all’erudito veronese (Giorn. Lig., VIII-VIII, 70); siccome le quindici lettere (1699-1715) conservate nell’ archivio muratoriano (Camfori, Epistol. di L. A. Muratori. Elenco dei corrispondenti, Modena, soc. tip., 1898, pag. 18) attestano e Sue relazioni collo storico insigne. Con questo volume resta dunque iniziata la nuova edizione dell’ eccellente manuale ; speriamo veder presto il quinto al cui rifacimento attendono ora i compilatori. Francesco Flamini. Compendio di storia della letteratura italiana ad uso delle scuole secondarie. Seconda edizione rifatta ed arricchita di una notizia bibliografica. Livorno, Giusti, 1901 ; in-8, pp. VI - 384. Se allorquando comparve questo compendio ottenne il favore dei docenti e dei 1-scepoli, tanto da esaurire l’edizione dopo solo un anno da che aveva veduto a luce, a maggior ragione sarà accolta con plauso la presente ristampa, la quale non è una materiale riproduzione della prima. L’ a. è ritornato con molta cura sopra il suo lavoro ed ha creduto opportuno introdurre in esso tali giunte e mutamenti da potersi dire veramente rifatto. Il disegno gene rale rimane quel medesi'no, ma se da un lato egli ha voluto renderne meglio equilibrate le parti, dall’altro ha tenuto debito conto del movimento storico-letterario di questi ultimi tempi e s’ è conformato ai più recenti e sicuri risultati della critica. Tutto ciò con quella sobrietà dicevole all indole ce libro, ed al line cui esso è destinato. Esso poggia sopra una conoscenza assai larga e ben ferma della materia, e risponde nel suo sviluppo ad un concetto determinato e rigorosamente razionale. Qui lo scrittore come m 1-viduo quasi scomparisce, per dar luogo alla conoscenza delle opere sue, mercè le quali ha levato di se qualche grido, o segnata un’ orma indelebile sul cammino dello scibile umano. E codesta conoscenza è scala a rilevare e relazioni prossime e remote tra i fatti letterari, a indagare le ragioni e-1’ ambiente, le cause onde derivano le varie forme, i diversi atteggiamenti della produzione letteraria. Nè la sintesi che l’a. ha volutocostringere entro determinati confini pecca d’oscurità, perchè discendendo da un ben definito concetto, tutte le parti riescono disciplinate ed omogenee. A indirizzare e ad invogliare altresì a più ampie ricerche e a maggior profondità di studi, gioia la nota bibliografica, che è in un tempo chiaro docuirento di tutto quanto l’a. è venuto esponendo con dizione semplice e piana, secondo si conviene in ispecie a lavori destinati alle scuole. FRANCESCO CORRIDORE. Documenti per la difesa marittima della Sardegna nel secolo XVI Torino, Clausen (Cagliari, Dessi) 1901 ; in-8, di GIORNALE STORICO E LETTERARIO DELLA LIGURIA pp. 22. — La polìtica della Santa Sede rispetto alia questione Polacca e al blocco continentale con documenti inediti. Ivi, 1900; 111-8, c 1 pp. 13. Vittorio Emanuele le i suoi piani dì guerra f/SoçJ Ivi 1900 m-8, di pp. 36. — Per una missione segreta del re di Sicilia, < e i nus 10 z Spagna e di quello d’Inghilterra a Pio VII (1810). Ivi, 1900 ; m-8, di pp. 3S· — L’Italia in attesa dell’ ultimatum del congresso di Vienna f1814-1815) con documenti inediti. Ivi, 1900; in-8, ili PP- 44· °· «unenti clic riguardano la difesa delle coste sarde sono eoe ici, \a.nno a IC87 al 1603, e consistono in provvedimenti speciali per le guau le e gì approvvigionamenti delle torri. Non hanno illustrazioni. Ben pm nlevant, sono gli altri opuscoli che riguardano il fortunoso ed agitato periodo dell impero Napoleonico. Tratta il primo delle pratiche fatte dall imperatore pei mezzo di monsignor Tommaso Arezzo, Nunzio a Dresda, a fine di induire il papa all’alleanza col doppio intento di avere il suo aiuto nel mantenere il blocco, e usare dell’ influenza pontificia pei suoi disegni snlla 1 oloma, a danno della Russia. La fermezza negativa del papa acuì il dissidio presidente, e condusse alla ben nota violenza del 1808. Ridotto cosi Pio VII a Savona e tenuto ben sorvegliato, si ebbero tentativi di corrispondenza con lui da parte di Ferdinando di Napoli, d’accordo con i ministri di Spagna e d Inghiltena. Singolari documenti hanno dato modo al C. di narrare a questo proposito un episodio caratteristico avvenuto nel 1810, finito infelicemente con arresto di quel monsignor Ruopolo, che s’ era offerto a compiere .1 mandato, sotto l’imputazione d’impostore e di falsificatore di carte. A questo periodo si riferisce altresì la missione del conte Revel in Sicilia al generale Muard ed al re a fin di proporre da parte di Vittorio Emanuele I uno sbarco sulla riviera di Genova, per attaccare i francesi nel punto in che sarebbero scesi in campo contro di loro gli alleati, secondo si riteneva. Ma la pace di Vienna venne con grande sorpresa a rompere i disegni e a far svanire molte speranze. L’ultimo opuscolo ci pone dinanzi, riferite dal console sardo in Livorno, le condizioni d’incertezza in cui si trovava l’Italia, mentre la Santa Alleanza a Vienna s’occupava dei suoi destini futuri. Intanto i patnotti s illudevano ancora di trarre ai loro propositi Napoleone, ed egli si maneggiava destramente a mettere in atto il disegno di rioccupare il trono, meravighando 1’ Europa con audace ardimento. Tutti questi aneddoti opportunamente illustrati costituiscono un buon contributo documentario alla storia italiana dei primi anni del secolo passato. CARLO Cipolla. Nuove notizie intorno ai diplomi imperiali conservati nell’ archivio comunale di Savona. Rovereto, Sottochicsa, 19°° ! in-8, di pp. 19. (Estratto dagli Atti dell'I. li. Accademia degli Agiati, ser. Ili, vol. VI). E’ seguito e quasi compimento di altre due pubblicazioni intorno ai diplomi imperiali savonesi, date fuori nel 1890 e 1894 dal con cooperazione di Giovanni Filippi. Ora egli rende conto di due inventari dell’archivio di Savona del 4337, e ne trac diverse note che si riferiscono a diplomi imperiali i quali o sono da identificarsi con quelli già editi o indicati, o non hanno sicuro riscontro, o sono da ritenersi perduti del lutto o nei loro originali. Alcuni di questi documenti inediti rinvenuti nuovamente dal C. vengono qui messi in luce per intero. Il primo è un istrumento del 26 settembre 1223 che reca inserta una lettera di Federico II data a Palermo il 18 luglio dell’anno medesimo; il secondo appartiene a Enrico VII; ha la data di Genova 24 novembre 1311, e conferma i privilegi di Enrico II del 1014, e di Federico II, 26 marzo 1222, tutti e due registrati nel diploma; è il terzo del 5 ottobre 1323, e venne emanato dal vicario generale di Ludovico IV re dei romani. Chiudono la presente pubblicazione due note GIORNALE STORICO e LETTERARIO DELLA LIGURIA 351 particolari che spettano ai diplomi 12 e 15 dice.nbre 1327 di Ludovico il Bararo. Marco VattasSO. Antonio Flaminio e le principali poesie dell’ autografo vati, ano 2870. Roma, tip. Vaticana, 1900; in-8, di pp. 67. — Con questo contributo alla storia dell’umanesimo, apre felicemente il V. la serie ili Studi e Testi che la Biblioteca Vaticana si è proposta di pubblicare. Il l· laminio della famiglia Biaxander, greca trasferitasi a Mineo, dove egli nacque, trova nel V. un accurato biografo, il quale nulla trascura per darci una notizia piena e compiuta sull’uomo e sul letterato, correggendo le inesattezze di coloro che di lui parlarono assai imperfettamente. Fini sul cadere del secolo XV, e ne’ primordi del seguente, e gran parte della sua vita trascorsa a Roma, dove insegnò nella Università. Mori improvvisamente intorno al 1513. E’ una figura secondaria, ma non priva d’importanza, e le sue poesie, non rilevanti per venustà, rivestono carattere di attualità storica non trascurabile. Gli accenni ai fatti contemporanei ed agli uomini che salirono 111 fama e ad uffici cospicui a’ tempi suoi meritavano d’ essere noti ed illustrati. Ciò ha fatto con metodo ottimo e scria preparazione il V., che nella scelta delle poesie prodotte ha dimostrato buon discernimento e mano felice, anche se i componimenti biasimano altissimi personaggi. Fra questi notevole Giulio li, intorno al quale è qui nuova testimonianza di quella scostumatezza, assai comune in quel secolo, ond’era macchiato quel pontefice. Codici sconosciuti della biblioteca Novalìcense. Memoria di Carlo Cipolla. Torino, Clausen, 1900 ; in-4, di pp. 14; con 2 tav. (Estratto dalle Memorie della R. Accad. di Scienze di Torino, ser. II, tom. I,). Segue il C. a render conto dei codici, che dovevano appartenere alla biblioteca dell’insigne Abbazia, e che man mano si vengono discoprendo o in volumi, o in frammenti. In questo modo già venne raccolta una buona messe di notizie atte a farci conoscere l’importanza della raccolta. In questo nuovo studio vengono esaminati ed illustrati alcuni frammenti pergamenacei, che servirono a ricoprire dei -registri amministrativi della Novalese, e un codice atlantico in pergamena contenente la bibbia nella vulgata, sebbene incompiuta. Sono i primi due pezzi di pergamena che l’a. riconosce già appartenuti ad uno stesso manoscritto, e contengono alcune parti di sermoni di S. Leone Magno. Risalgono al secolo XI. E’ l’altro un doppio foglio pergamenaceo, reliquia di un volume in cui vennero raccolti alcuni estratti riguardanti la vita di S. Martino di Tours. I branetti che si leggono in questo lacerto vengono identificati coi testi originali dal C. per via di opportuni riscontri. Le caratteristiche paleografiche inducono l’a. ad assegnare il codice alla seconda metà del secolo X, sebbene contenga correzioni di più mani da ascriversi a tempi posteriori (sec. XI-XII). Argomento di più ampia trattazione porge il codice contenente la Bibbia Magna, che si conserva nella Biblioteca del R. Archivio di Torino, così per la qualità del carattere, come per i pregi, le capitali, e le figurazioni. L’esame accurato di tutti i particolari rilevano a conchiudere, clic il codice nella maggior parte venne scritto sulla metà del secolo X, ma le ultime carte non possono essere anteriori al cadere del XII o anche agli inizi del seguente. Chi conosce la perizia e la dottrina dell’a. sa ormai come possa ritenersi attendìbile quanto egli, in seguito a solida argomentazione, suole affermare. Facezie di LODOVICO CARH0NE ferrarese edite con prefazione da AjBD-El.-KADER sai./.a. Livorno, Giusti, 1900; in-16, di pp. XXXVI - 81. (Raccolta di rarità storiche e letterarie, vol. IVJ. — Eccellente la prefazione in cui l’editore raccoglie diligentemente tutto quanto si riferisce al Carbone, 352 GIORNALE STORICO E LETTERARIO DELLA LIGURIA del quale altri aveva discorso innanzi a lui. Ma qui la notizia biografica e bibliogranca è più ampia, ben ordinata, e resta meglio compiuta dall esame di alcune opere mal note del ferrarese, singolarissimo fra queste il Dialogo tra Bologna e Ferrara. Questo umanist « ciarlatano » clic possedeva, un « cervello bislacco » privo di originalità, è uno dei tanti letterati minori che si assiepano in ischiera nel secolo del risorgimento letterario, ed ebbero allora assai nome, poi caddero in oblio; ma il rinnovarne oggi la memona con occulata critica giova a conoscere più intimamente 1 ambiente in cui vissero, le condizioni onde svolsero le loro energie intellettuali. Le facezie del Carbone si danno qui tutte quante (poche si conoscevano già da tempo) secondo il codice perugino. Erano centotrenta; ora alcune mancano al atto o sono mutile, per essere stati strappati via dei fogli, dove forse si tro\a\.mo le più sboccate. Utile contributo alla novellistica italiana. Rileviamo a nostro uopo quelle che. si riferiscono a Nicolò V. e a Pietro di Noceto. Notiamo poi che il B. Alberto non nacque a Sarzana (p.23), ma a Sarteano. Giovanni Targioni Pozzetti. Sul « Ranaldo Ardito » di Lodovico Ariosto. Livorno, Meucci, 1901; in-8, di pp. 79, con facsimile (Estratto dagli Annuali dei Regi Istituti tecnico e nautico di Livorno, voi. 1, sei. 4). — Questa monografia già vide la luce nel 1887 in edizione di pochissime copie, ed ora ricomparisce con nuove cure, e parecchie aggiunte. L a. 'Stende provare che il framento del Ranaldo mandato fuori per le stampe fin dal 1846, e la cui incerta attribuzione ha dato luogo a dibattiti letterari, è veramente opera di Lodovico Ariosto. L’ esame del manoscritto, che dopo varie peregrinazioni, ora si conserva nella doviziosa biblioteca Cavalieri di Ferrara, tolto al pericolo di emigrare all’estero, aveva dato come risultato sicuro che era proprio di mano dell’ Ariosto, e quindi veniva posta fuor d’ogni dubbio l’autografia. Ma i dubbi invece sorgevano dalla critica del contenuto, e in seguito ai dubbi anche le denegazioni. Il T. dopo aver dato un sunto della narrazione framentaria come ci è pervenuta, si rifà ad un minuto esame di ragguaglio fra il Ranaldo ed il Furioso, ponendo a riscontro i passi dell’ uno e dell’ altro poema dove il concetto e sovente anche la forma presentano spiccate somiglianze. Nè basta, cliè il raffronto si allar8a ac‘ alcune curiose particolarità metriche, ortografiche, grammaticali e giafiche le quali ricorrono nell’uno e nell’altro in modo cosi uniforme da persuadere all’a. che una sola fu la penna, una sola la mente creatrice, uno solo l’abito e la maniera dello scrittore. Il lavoro è condotto con singolare amore e grandissima diligenza da soddisfare giustamente i dettami e il metodo della critica. Dello stesso argomento si sta occupando altresì il Salza, che in un opuscolo nuziale ha mandato fuori alcune indagini preliminari. Anch’egli ritiene il frammento opera dell’Ariosto. A. Fi AMMAZZO. Tra Bibliografi. Lettere inedite. Bergamo, Ist. Aiti Grafiche, 1901; in-16, di pp. 20. — Trentasettc lettere inedite del cav. dott. Lucio Doglioni. Feltre, Tip. Castaldi, 1801; in-8, di pp. 79· Nel primo oouscolo sono prodotte dodici lettere di Bartolomeo Gamba al conte Antonio Bartolini; due di Antonio Marsani, una di G. B. Stratico, e una di Pietro Niccolò Oliva del Turco. Si parla in tutte, o quasi, di libri pubblicati o da pubblicarsi, e di lavori bibliografici ; più notevoli per questo rapporto quelle del Gamba. Nell’altro opuscolo, la corrispondenza del Dogiioni con il conte Asquini, è più variata; poiché vi sono trattati argomenti privati, e pubblici, agricoli, industriali, letterari, e più spesso archeologici. Mentre attestano la soda erudizione dell’uno, e la varia cultura dell’altro, siccome le occnpazioni diverse a cui questi s’era dato, porgono uno specchio fedele del tempo e dell’ambiente sociale. Nè mancano aneddoti caratteristici, rilievi notevoli, GIORNALE STORICO e LETTERARIO DELLA LIGURIA 353 comneten«rVav°nÌ' L° Che Ü F’ vi ha aPPosto con la sua consueta petenza chiariscono opportunamente il testo e danno notizie dei perso-naggi ricordati. r Per l inaugurazione del monumento a Pietro Tacca. Carrara 18 novem re 1900 Discorso del dott. Achille Lombardini, Carrara, Sanguinetti, 1900, m- , di pp. 12. — Garbate parole, con succosi cenni biografici, ac-compagnie da buone considerazioni artistiche, dette dall’a. nel consegnare a nome ( e comitato, la statua eretta in onore dell’ insigne artefice carrarese. Ugo Ojetii. Elogio di Giuseppe Verdi. La Spezia, Zappa, 1901 ; in-18, .! P.P’, 22' Efficace rappresentazione della mente, dell’animo, dell’alta '! Ca 1 d ? BoUatino della Soc. Pavese di S/or. colo Malaspina di l ai di Jiebbi ( archivio di Reggio. L ultimo, Pal., a. I. 184). Sono tratti da di Corrado \\ Lungaspada, è il testamento cioè di ledenco < 4 ^ n ^ marzo I363, e sono rogato da Antonio Giraideng Lol„bardo, Galeotto, Giuliano Spinola testimoni Agostino, Bernabò Ato' ^ d; Busalla. di Luculo e Giovanni di R"° g®“erche Agenti, da Enrico Celani, che *** E’ stato nlevat0> 111 1 moUo tempo rimasto sconosciuto nella 1’erbario di recente resto!^ , raccolto da Gherardo Cybo genovese Biblioteca Angelica di botanico> che fu anche pittore e !”„£.ό,Γι» « cL· ic« »« “ ............. '”· portante ^ ark, archeologia della provincia d’Ales- *1 îà x, s!r! 2,a fase. 2) si ricorda il ricevimento ^ Genova^ del re rio Emanuele I rndria nel 181* del 1487-89, ei f« g'i altri qUeStv aTrslTennizareTl ritorno à fedeltà della città di Gè-feste religiose e civili pei solennizart n°va(V. i3o)m Ia SQttosezione di Massa della R. Deputazione di Storia patria per le Provincie Modenesi tenne un adunanza alla Spezia, nella salaci lettura eli^ Bibliote^ Co—. V i£= j so* S;tiTtlDopoeakune comunicarci del presidente Cav Giovanni Sforza, cica la pa té che prenderà la Sottosezione al Congresso Storico Intendo-Zìe che avrà luogo in Roma nella prossima primavera, . Socio Avv. Pietro Bologna di Firenze lesse una lunga ed importantissima Memoria che porta £ titolo: I vescovi appartenenti a famiglie di Pontrefnoh e del suo te.r-ITtorio - Correzioni e aggiunte alle Memorie Storiche d, l.umguna del-VAbate Emanuele Gerini. Il lavoro del Bologna veira presto pubblicalo negl, Atti e Memorie della Deputazione. sandria (a. X, ser. 2,a faSg‘ 2* L’arrivo di Viti. Enian. 1 in Vittorio Emanuele I ne 1814 ( g. ^ jm)Ure ^ nel Libro Jei Co„_ Akr°dTùsy 4' eomu-k J'Alesandria, si tro.mo ’JU documenti,. «»* APPUNTI DI BIBLIOGRAFI A. LIGURE. Arata Tacopo. Illustri medici sarzanesi. Comunicazione fatta al Congresso medico regionale ligure tenuto in Sarzana 7-9 luglio 1901. Genova, Ciminago, 1901 ; in-8, di pp. 10....... Bruno A. Storia di Savona dalle origini ai nostri giorni. Savona, Ber- tolotto, 1901 ; in-4, di pp. 253. , „ „. . Canto popolare a S. Benedetto Revello vescovo .li Albenga. Ricordo-delie solennità millenarie celebrate in tavole nel luglio 1901. Sarzana, tip. I.u- nense, 1901 ; in-24, di pp. 12. ...... Castellini C. P. Memorie patrie. Il riposo festivo 111 Liguria (in ( ;/- tadino, n. 216). . . Cian Vittorio. La più antica lirica inedita su < ristoforo Colombo (in Nuova Antologia, \° luglio 1901, pp. 89-93). — Un epinicio genovese del dugento (nel v„|. Per Γ infanzia pavera, Genova, Pagano, 1901, pp. 59-/4)· GIORNALE STORICO E LETTERARIO DELLA LIGURIA Collegio (II) Invrea. Cenno storico, statuto e regolamento. Genova, MCMI (Tonno, tip. Bona) in-8, di pp. 71. Comani F. E. Malaspina di Val di Trebbia. Documenti (in Bollettino della Società Pavese di Storia Patria, a. I, pp. 184-185). Dalla Santa Giuseppe. Un trattatista « de syllabis » dimenticato. Venezia, Monanni, 1901 ; in-8, di pp. 8. — [Si pubblica una lettera del monaco benedettino Georgius lunensis, 28 marzo 1513]. Della Giovanna Ildebrando. Agostino Mascardi e il cardinal Maurizio di Savoia (in Raccolta di stridìi critici dedicata ad Alessandro D’Ancona, J'irenze, Barbera, 1901 ; pp. 117-126). Dona VER F. Il Padre Assarotti (in Rassegna Nazionale, 1° luglio iqoi pp· 79-87). F ossati L. L’antico castello di Caffaro a Pontedecimo. Memorie storiche (in Caffaro, 11. 220). J-Amotte Carlo. Comizio Agrario del circondario di Spezia-Sarzana. Relazione del presidente sull’operato della direzione del Comizio nel primo semestre dopo la sua ricostituzione, e progetti per l’anno agrario 1901. Sar-zana, lip. Lunense, 1901 ; in-8, di pp. 14. Maniconi C. Gian Andrea Doria (in Rassegna Nazionale 1° luglio 1901 PP· 25-43)· Morelli Nicolò. Iconografia della preistoria ligustica. Parte prima. Età protostorica e neolitica. Genova, Sordo-Muti, 1901 ; in-4, di pp. 257, con lav. 101 (Atti della R. Università di Genova, vol. XVI). i alermo A. 11 Golfo di Spezia ed il nuovo regno italiano. Estratto dal Politecnico, fase. XLVII, maggio 1860. Spezia, Argiroffo, 1901 ; in-8 di pp. 16. Pandiani EmiLIO. Gli statuti di Portovenere (anno 1370). Genova, Sordo-Muti, 1901; in-8, di pp. 121. Pastore A. Una visita al Palazzo Bianco. Cimeli dell’arte ligure (in Caffaro, 11. 220, 221). Podestà l· rancesco. Il colle di S. Andrea in Genova e le regioni cir-costanti (in Atti d. òoc. Lig. di Stor. patria, vol. XXXIII, 1901). R. La posta a Genova: vicende secolari (in Supplemento al Caffaro n. 195, 1901). Regàlia E. Sulla fauna della « Buca del Bersagliere » e sull’ età dei depositi della vicina « Grotta dei colombi » (ls. Palmaria, Spezia). Nota di I'.. Κ., l'irenze, Laudi, s. a. in-8, di pp. 58. (Estr. à&W' Archivio per l’Antropologia e I’ Etnologia, vol. XXX, fase. 3, 1900). Repetti Luigi. Elogio funebre in lode di donna Sofia contessa Federici nata Galeaz/.i Bernabò. Sarzana, tip. Lunense, s. a. (1900) ; in-8, di pp. 20. Resasco I'Iìrdinando. Verdi a Genova; ricordi, aneddoti, episodi; con illustrazioni. Genova, Pagano, 1901 ; in-8, di pp. 112, con 2 tav. — La madre di Guglielmo in Liguria. Memorie (in Supplemento al Caffaro, 11. 218ì. Spinola Ettore. Lettera sulla battaglia di Lepanto. Genova, tip. della gioventù, 1901 ; in-8, di pp. 8. Sui nostri monti. Per N. S. della Guardia (in Cittadino, n. 210) — [Contiene una supplica del 1610 di Giovanni Pareto]. Vk-NOI.o A. Genealogia della famiglia Vignolo di Vignolo in Val di Sturla. (in Giornale araUiico-gcncalogico-diplomatico, N. S. vol. Vili, p. 245ì. Giovanni Dapozzo amministratore responsabile. PUBBLICAZIONI RICEVUTE. Alfredo COMANDINE L' Italia nei cento anni del secolo XIX giorno per giorno illustrata. Milano, Vallardi, 1901· Disp. ~T’ Gli statuti del Collegio dei Medici di Casale : ,66 con prefazione del dott. Giuseppe Giorcelli. Alessandria, Piccone, 1901. Amilcare Bossola. L’ arrivo di Vittorio Emanuele I in Alessandria nel 1S14. Alessandria, Piccone, 1901. Opera nucrva e da ridere 0 Grillo Medico. Poemetto popolare di autore ignoto ristampato per cura di GIACOMO Ulrich. Livorno, Giusti, .901. Da Quarto a Marsala nel maggio del 1860 appunti del generale STEFANO Turr. Genova, tip. Successo, ( 1901). Lettere di illustri scrittori francesi ad amici italiani. De StAEL — De SISMONDI - DE La MENNAIS - OZANAM - MICHELET - SAND -Renan. [Edito da Alessandro D’Ancona]. Pisa, Marioli,, 1901. Belloni Antonio. Intorno a una tragedia del Goldoni. Firenze, Barbera, I9OI . Angelo Solerti. La rappresentazione della Calandria a Lione nel 1548. Firenze, Barbera, 1901. Bibliografia degli scritti di Alessandro D'Ancona. Firenze, Barbera, 1901. Gaetano Cogo. Notizia storica intorno alla nuova edizione de « Le vite dei Dogi di Marin Sanudo ». Venezia, Visentini, 1901. ARTURO MAGNOCAVALLO. Marin Sanudo il vecchio e il suo progetto di Crociata. Bergamo, Istituto Arti Grafiche, 1901. FRANCESCO Novati. Sopra un'antica storia lombarda di Sant’Antonio di Vienna. Firenze, Barbera, 1901. Rosario Bonfanti. Uno scenario di Basilio Locatelli. Noto, Zannuit, 1901. Giuseppe Leanti. Intorno alla poesia di Catullo. Avola, Piazza, 1901. Iacopo Arata. Illustri medici sarzanesi. Genova, Ciminago, 1901. Vittorio Gian. Un Epinicio genovese del dugento. Genova, Pagano, 19O!. Vittorio Cian. La più antica lirica medita su Cristoforo Colombo. Roma, Forzani, 1901. Giuseppe Dalla Santa. Un trattatista « de syllabis » dimenticato. Venezia. Monauni, 1901. L. C. Bollea. Le prime relazioni fra la casa di Savoia e Ginevra. (Ç20~J 211 ). Torino, Clausen, 1901. * ■ ‘ _ 2 M AI SIGNORI ASSOCIATI Si fa calda preghiera a quei pochi associati che ancora non hanno pagato Γ abbonamento d’ inviarne il prezzo al-Γ Amministrazione' del Giornale, Spezia. L’ AMMINISTRATORE G. DA POZZO. N.B. - In Genova il recapito dell’ Amministrazione è presso il Negozio librario del Sig. Stefano Chiappori di Bartolomeo, Via XX Settembre N. 16. AVVERTENZE Il giornale si pubblica in fascicoli bimensili di 80 pagine. Il prezzo dell’ associazione annua è di L. 10 — Per l’estero fr. 11. — I soci della Società Ligure di Storia Patria di Genova, e quelli della Società d’ Incoraggiamento della Spezia godono di uno speciale abbonamento di favore a Lire SEI. La Direzione concede ai propri collaboratori 25 estratti gratuiti dei loro scritti. Coloro che desiderassero un numero maggiore di esemplari potranno trattare direttamente col tipografo. Per abbondanza di materia, e per una migliore distribuzione di essa, questo fascicolo si compone di 120 pagine invece che di 80. Così il prossimo fascicolo, ultimo dell’ annata, sarà per le stesse ragioni, trimestrale, e verrà pubblicato, possibilmente, in novembre. PREZZO DEL PRESENTE FASCICOLO: L. 3,00 Giornale storico E LETTERARIO DELLA diretto da ACHILLE NERI e DA UBALDO MAZZTNT- & ^ A FA SC. io-ii-12 Ottobre-Nov .-Die. SOMMARIO C. Manfroni, Relazioni di Genova con Venezia dal 1270 al 1290 con documenti inediti tratti dall'Archivio di Stato di Venezia, pag. 361. — A. Neri, Paolo Partenopeo, notizie biografiche e bibliografiche, pag. 402. — U. Mazzini, Caterina De’ Medici e Clemente VII alla Spezia nel 1533, pag. 423. — V ARIETA': G. Sforza: La strada di Luni ricordata dal cronista fra Salimbene, pag. 446. — G. Bigoni : Il perchè di una croce obliqua e di certi versi danteschi, pag. 451. — BOLLETTINO BIBLIOGRAFICO: Si parla di E. Pandiani (U. M.), M. H. Weil (U. Asscreto) pag. 457. — ANNUNZI ANALITICI : Si parla di G. Bigoni, G. Durando, V. Poggi, A. Bossola, P. Peragallo, à . Cian, A. Poggiolini, E. Gachot, M. Staglieno, L. Staffetti, pag. 463. — SPIGOLATURE E NOTIZIE, pag. 469. — APPUNTI DI BIBLIOGRAFIA LIGURE, pag. 473. — INDICE DELLE MATERIE, pag. 476, ANNO II. 1901 LIGU RIA LA SPEZIA DIREZIONE Società d’Incoraggiamento editrici AMMINIS1 RAZIONE Genova - Corso Mentana --l.a Speiia - Amministrazione 43.1a Tip· di Francrsco Ζαγρα del Giornale GIORNALE STORICO E LETTERARIO DELLA LIGURIA RELAZIONI DI GENOVA CON VENEZIA DAL 1270 AL 1290 CON DOCUMENTI INEDITI TRATTI DALL’ARCHIVIO DI STATO DI VENEZIA Mentre, grazie alla pubblicazione dei Commemoriali e del secondo volume del Diplomatarium Veneto-Levantinum, la storia delle relazioni di Venezia con Genova dopo la pace detta di Matteo Visconti sulla fine del XIII secolo ci appare ormai abbastanza chiara e solo qualche rara lacuna resta qua e là, per il periodo precedente le notizie sicure scarseggiano. Nel Liber jurium Reip. Gen. mancano alcuni documenti importanti di paci e di tregue; nè dai grossi volumi dei Pacta, il cui sommario, privo spesso di date e di esatte indicazioni, fu pubblicato dal Tafel e dal Thomas (1), alcuno s’è mai curato di trarre quei pochi documenti che avevano maggior importanza per la storia di Genova. Solo nel 1866 il prof. Wustenfeld comunicava al Desimoni e questi, per incarico avutone, alla Società Ligure di Storia Patria, un transunto di cinque documenti contenuti nel volume 40 dei Pacta (fogli 19 e segg. nuova numer., fogli 51-69 numerazione del Tafel); ma quel sunto apparve nel volume 40 degli Atti della Società con tali inesattezze (pag. CXLIX e segg., nota), non so se da attribuirsi al Wustenfeld o al copista che lo trascrisse, che veramente il concetto politico, da cui quei documenti erano ispirati, veniva mutato. E poiché durante le mie ricerche per la Storia della Marina ho avuto occasione di esaminare nell'Archivio di Stato di Venezia, fra le non molte carte che ancora avanzano del XIII secolo, i libri delle deliberazioni del Maggior Consiglio e di scorgere delle contraddizioni con quel poco che dalla Società ligure era stato comunicato intorno alla tregua del 1270, poi rinnovata fino alla nuova guerra, che suol chiamarsi di Curzola, mi è parso opportuno di ricorrere al citato volume dei Pacta, e, osservato che veramente le dif- (l) TAFEL und Thomas. Der Doge Andreas Dandolo und die von demselben angelegten Urkundensammlungen etc. (Abhandl. der Hist. Cl. d. K. Akademie der IVissench.-Miinchen, 1855). Oiorn. stor. e lett. d. Lig. II. 24 362 GIORNALE STORICO E LETTERARIO DELLA LIGURIA ferenze fra il testo e il sunto comunicato erano gravissime, ho creduto non inutile agli studi pubblicare il testo della tregua stessa (1), aggiungendo qualche notizia anche sui patti successivi. Ebbi poi la fortuna di imbattermi in altri documenti non privi di valore, e specialmente in una frammentaria istruzione data agli ambasciatori veneziani nell’anno stesso 1270, allorché si recavano a trattar la tregua; e poiché essa lumeggia assai bene le piccole gelosie, gli interessi meschini, onde le due parti eran mosse, ma nel tempo stesso anche le ragioni vere, per cui così diffìcile riuscì il venire ad un accordo, mi è parso non inutile pubblicarla premettendovi una breve illustrazione storica. V’aggiungo altri documenti, sempre attinenti al medesimo argomento, quali un atto di proroga della alleanza pisano-veneziana, affatto sconosciuto, e che contiene importanti notizie; alcuni estratti dai libri del Maggior Consiglio, che a mio avviso chiariscono una questione fin qui non risoluta (e potrei forse dire non tentata), cioè la causa vera della rinnovata guerra veneto-genovese nel 1294, intorno alla quale gli scrittori anche più recenti, dal Ro-manin al Caro, sorvolano od accumulano ipotesi poco fondate. I. Dopo lo scoppio improvviso delle ostilità in Sardegna nell’anno 1256 fra Genova e Pisa, a cui subito dopo aveva tenuto dietro lo scoppio delle ostilità in Siria fra Genova e Venezia per ragione della casa di San Saba, le armi non posarono per circa quattordici anni (2). Pisa e Venezia avevano stipulato contro il comune nemico un’alleanza offensiva e difensiva, per la quale il 14 luglio 1257 in Modena, 0 più esattamente a Ponte Saliceto, Giovanni Ferro e Pietro Barozzi, rappresentanti del doge Ranieri Zeno promettevano a Gualtierotto Zamperati (3) ed a Bonanno di Tempio, (1) Esso trovasi anche in Liber Blancus, (fogli 188-192 odierna numer.: 181-186 numeraz. antica). (2) Vedi per questi fatti la mia Storia della Λ farina Italiana dalle invasioni barbariche al trattato di Ninfeo (Livorno, Giusti, 1899 ■ Cap. XVI. (3) Il Bonaini aveva letto nel documento pisano Zampanti: nell’atto di proroga, ch’io pubblico in appendice (Doc. N. IV1 si legge Zamperai!. GIORNALE STORICO E LETTERARIO DELLA LIGURIA 363 rappresentanti del podestà pisano Riccardo de Villa di fare « societatem et compagnam contra Januenses et qui prò Jan-nuensibus se tenent et defendunt, duraturam hinc ad decem annos proxime venturos » alle condizioni seguenti: i° Che i due popoli, in mare e in terra, in patria e fuori, dovunque avessero incontrato Genovesi o alleati di Genova, li avrebbero combattuti, fossero essi provocatori o provocati, e si sarebbero adoperati efficacemente per accrescere i comuni vantaggi e avrebbero impedito con ogni mezzo i comuni danni. 2° Che i due Comuni scambievolmente avrebbero concesso libero accesso nelle loro terre di qua e di là del mare agli alleati e ne avrebbero escluso i Genovesi, intendendosi rotta ed annullata l’alleanza già contratta in Siria fra Pisa e Genova: 30 Che in testimonianza di questo accordo le navi mercantili e da guerra dei due comuni levassero le bandiere delle due città, insieme unite;· e che i banditori, i nuncii, gli apparitori dei Consoli e e dei Rettori dei paesi ultramarini portassero sui loro bastoni gli stemmi accoppiati dei due comuni (1). Sembra però che 1’ alleanza fosse soltanto limitata alle colonie siriache, perchè, mentre in Siria i Pisani prestarono aiuto ai Veneziani, contribuendo colle loro forze all’ espugnazione della fortezza genovese di S. Giovanni d’ Acri e alle vittorie navali di Acri e di Tiro, non ci risulta che altrettanto abbiano fatto i Veneziani in Sardegna, dove i Pisani si travagliavano intorno a Santa Igia. E mentre la guerra fra Genova e Venezia durò senza interruzione ben tredici anni con gravissimi casi, fra i quali basterà ricordare l'alleanza di Ninfeo con Michele Paleologo, per cui i Veneziani perdettero il condominio di Costantinopoli e tutti i privilegi di cui godevano nell'impero latino, non ci consta affatto che la guerra guerreggiata con Pisa durasse ; anzi gli Annales Januenses, che in questo periodo son fonte unica per la storia di Pisa e di Genova (2), non ricordano più i Pisani dal 1261 in poi, ond’è che saremmo indotti a credere che fra le due città fosse stata conclusa una (1)Dal Borgo, Raccolta dì scelti diplomi pisani. Pisa, 1765, pagg. 71-76. (2) Abbiamo, è vero, una fonte pisana, che è il Fragmentum Pisanae Historiae, edito dal Muratori in R. I. S., XXIV : ma, come tutti sanno, esso per il periodo che noi trattiamo si riduce ad un catalogo di podestà. 364 GIORNALE STORICO E LETTERARIO DELLA LIGURIA pace od una tregua, se un documento, da me trovato, e che pubblico in appendice (Doc. IV) non ci facesse testimonianza che la lega veneto-pisana contro i Genovesi durava in tutto il suo vigore e veniva regolarmente rinnovata prima della scadenza. Vediamo infatti che Nicolò Michiel e Nicolò Quirini nel marzo del 1265 rinnovavano, nella stessa forma e senza alcuna modificazione, la convenzione precedente, d’accordo coi rappresentanti del comune pisano Ugo Guitti e Ranieri di Raimondino Masca; e quando pensiamo che nel 1265 appunto la guerra ardeva più violenta fra Genova e Venezia, che era recentissimo il disastro toccato presso il Saseno alla carovana di Venezia, capitanata dal Dauro, appar chiaro che Pisa continuava a sostenere, in Oriente specialmente, forse più moralmente che materialmente, la causa Veneziana, e che il vantaggio dell’alleanza era ormai tutto per Venezia. E quando nel 1267, e poi negli anni successivi, il Pontefice Clemente IV prima, Carlo d’Angiò e finalmente il re di Francia si fecero mediatori di pace e tentarono di indurre, anche colle minaccie, Genova e Venezia a porre fine alle loro contese, la questione di Pisa fu, per quanto a me sembra, 1 ostacolo principale contro il quale ripetutamente si franse 1 opera dei potenti mediatori. Nulla, fino ad oggi, sapevamo delle cause per le quali la mediazione era fallita; gli annali genovesi si limitano infatti a dii ci, e più volte, che i legati dell’una e dell’altra parte non riuscirono a mettersi d’ accordo ; e Martin Da Canale, cronista veneziano contemporaneo, aggiunge che la prima ambasciata veneziana di Giovanni Dandolo, Marco Quirini, Federico Giustiniani fu respinta ignominosamente da Genova (1); ma delle cause, per le quali la pace non fu conclusa, nè le cronache, nè gli scarsi documenti, ci danno notizia alcuna. Più innanzi, allorché i Pisani rivolsero ai Genovesi caldo invito perchè prendessero parte alla spedizione del regno di Napoli in favore di Corradino, questi rifiutarono in forma sgarbatissima la proposta, e il fatto, che alcuni cronisti riferiscono, aver cioè i Genovesi aiutato re Carlo nella campagna condotta contro i Pisani e nella distruzione delle fortezze del loro (1) Martin Da Canale, Chron. (Arch. St. It., Vili, pag. 542)· GIORNALE STORICO E LETTERARIO DELLA LIGURIA 365 porto (i), quantunque possa ritenersi inesatto, mostra tuttavia che gli animi erano eccitatissimi e che fra Genova e Pisa non era possibile alcun accordo. Qui, se io non m’inganno, comincia a trasparire un breve filo di luce; si comincia a comprendere che l'inimicizia contro i Pisani non deveva esser stata estranea al costante rifiuto dei Genovesi di venire ad un accordo con Venezia, ripetuto nel 1268. Infatti, che i Genovesi fossero propensi al re Carlo ed ostili a Corradino, non è ammissibile, perchè anzi l’alleanza col re Carlo, come sappiamo dagli Annali, fu a lungo discussa in seno al Consiglio di Genova, vi trovò moltissimi oppositori e finì poi col non esser conclusa; mentre il fiore della nobiltà ghibellina che allora aveva il potere si recò ad ossequiare a Portofino l’ultimo rampollo degli Hohenstaufen (2). Non è dunque la partecipazione dei Pisani all’impresa di Corradino la causa prima, che trattiene i Genovesi dall’ aiutarlo ? E non sarà questa causa stessa che impedirà ai Genovesi di porre fine alla guerra con Venezia alleata di Pisa? Purtroppo delle lunghe trattative corse fra le due repubbliche non ci restano altre notizie, all’ infuori di quelle pochissime che ci forniscono gli Annales e il Dandolo, e di quelle altre un po' più estese, ma vaghe ed incerte di Martin Da Canale, che ci dà i nomi degli ambasciatori veneziani spediti nel 1268 al papa Clemente IV per trattare l'accordo; ma niuno ci illumina intorno alle cause per cui esso nuovamente fallì e gli ambasciatori se ne tornarono * sans pes et sans trive » (3). Nè le numerose lettere di Clemente IV (4) ci porgono alcun chiarimento. Nessuna di queste fonti accenna infatti ai Pisani, nessuna ci apprende che nelle trattative per la tregua essi ebbero parte, e non piccola. Preziosissimo, in questa scarsezza di fonti, riesce per noi il frammento di un' istruzione a certi ambasciatori veneziani che dovevano nel 1270 recarsi dal re di Francia con pieni poteri per trattare la pace 0 la tregua (5). (1) Cfr. Hampe, Geschichte Konradins, Innsbruck, 1884, pag. 212 e seg. (2) Annales Jan., pag. 226; ediz. Pertz. (3) Da Canale, pag. 578-582. (4) Les registres de Clément IV par E. Jordan (Ècole d’Ath. et Rome) 1893. (5) Queste istruzioni sono citate dal Caro a pag. 234, Vol. I, nota 1, 366 GIORNALE STORICO E LETTERARIO DELLA LIGURIA È un lungo foglio di pergamena, l’ultimo evidentemente, e l’unico che ci sia rimasto, della istruzione completa data dal Senato e dal Doge a quegli ambasciatori, che, come ci apprendono gli Annales, dovevano comparire innanzi a Luigi IX nell’ottava di Pasqua del 1270; recano infatti queste istruzioni la data del 10 aprile 1270. Ora, quantunque ci manchi la parte più importante della commissione, quella che doveva contenere la spiegazione chiara delle domande dei Veneziani e delle risposte da darsi alle probabili richieste dei Genovesi, fin dalle prime righe del frammento appar chiarissimo che la ragione principale per la quale le trattative erano fino a quel giorno fallite stava appunto nelle relazioni ostili di Genova con Pisa. Gli ambasciatori veneziani erano forniti di pieni poteri, non solo da Venezia ma da Pisa, e rappresentavano i due comuni ; avevano ordine severissimo di non concludere la pace se in essa non fossero inclusi i Pisani; e poiché le istruzioni mandate da Pisa parevano controverse e i poteri degli ambasciatori per questa parte potevano dar origine a contestazioni, essi, intanto che s’attendevano da Pisa le procure regolari, richieste d’urgenza, dovevano insistere perchè il re e i Genovesi le accettassero quali erano, offrendosi di dar sicurtà e cauzione per loro. Solo in caso estremo, e proprio quando vedessero che gli avversari per questa ragione fossero risoluti a rompere le trattative, dovevano gli ambascia-tori conchiudere una tregua fra Genova e Venezia, avendo però cura di far includere la clausola « salva societate, sive conventione quam cum Pysanis habemus ». Tutta questa meticolosa cura, questa insistenza, coronata poi da felice esito, come vedremo più innanzi, mentre da un lato dimostra tutto l’interesse che i Veneziani avevano per conservarsi l’amicizia dei Pisani, specialmente « in partibus transmarinis » cioè in Siria, lascia comprendere che appunto questa alleanza volevano distruggere i Genovesi, e che questa doveva esser la ragione prima, per la quale le trattative erano fallite. E infatti, ragionando sulla guerra veneto-genovese, vediamo della sua opera Genua und die Machie am Mittelmeer - Halle - Niemeyer, ma non appare che egli le abbia lette, nè se ne sia in alcun modo servito ; infatti neppur egli nomina mai i Pisani. GIORNALE STORICO E LETTERARIO DELLA LIGURIA 367 eh essa era scoppiata in Siria, che i Veneziani avevano riportato vittoria per opera specialmente dei Pisani; che tutte le altre questioni sorte più tardi, il trattato di Ninfeo, l’occupazione di Costantinopoli, erano ormai quasi risolute dacché la congiura di Balduino Guercio aveva fatto perdere ai Genovesi il posto privilegiato che essi godevano a Costantinopoli, e dacché Michele Paleologo aveva riallacciato le sue relazioni con Venezia e, dopo aver offerto nientemeno che un’alleanza contro Genova, s’era poi accontentato d'una tregua quinquennale nella quale implicitamente Venezia riconosceva il restaurato impero greco (i). Quali questioni restavano dunque? Lo scorgiamo dalle istruzioni sopraricordate; l'alleanza dei Pisani con Venezia, quella dei Genovesi col conte di Montfort, signore di Tiro, che per compiacere a Genova aveva scacciato i Veneziani da Tiro ; e finalmente alcune questioni secondarie, lo scambio dei prigionieri, la compensazione dei danni; ma queste dovevano esser dibattute e discusse solo nel caso in cui si stipulasse una pace, alla quale mi sembra di scorgere fra le righe dell’ istruzione che i Veneziani fossero poco propensi, pur dichiarandosi disposti a fare il beneplacito del Re. Una tregua, finché il re di Francia avesse condotto a fine la sua impresa crociata, per la quale, rotti i patti con Venezia, aveva stipulato dei contratti con Genova, non comprometteva nulla, e i Veneziani erano dispostissimi a concederla ; della liberazione dei prigionieri, essi si occupavano poco, nè v’ insistevano con qualche calore; volevano compensati i danni, perchè primi erano stati i Genovesi a danneggiare i Veneziani dopo che fra loro avevano già fatto un compromesso (2) e perciò non spettava a loro di chiedere restituzione delle cose e dei beni (1) L’abbozzo di trattato del 1265 e la tregua quinquennale del 1268, trovansi in Fontes Remm Austriac., vol. XIV, pag. 62 e 92. Il documento con cui il doge Zeno delega Iacopo Dolfin e Iacopo Contarmi a concludere la tregua (12 Marzo 1265) e che noi avevamo solo nel testo della tregua stessa si trova in Atti diplomatici restituiti dall’Austria, serie 2, n. 64. (Arch. di Stato di Venezia). (2) Si allude evidentemente al compromesso fatto in papa Clemente IV nel 1267, del quale ci aveva informati Martin Da Canale, pag. 582, senza però dirci che esso fosse stato concluso. 368 GIORNALE STORICO E LETTERARIO DELLA LIGURIA perduti in guerra; ma in sostanza Pisa e il conte di Montfort sono gli ostacoli gravi ; chè i Genovesi vorrebbero escludere dalla tregua i Pisani, i Veneziani il conte di Montfort. II. Che cosa si concludesse in Francia, alla presenza di Luigi IX, non ci è noto; certamente non fu stipulata nè pace nè tregua; e, se mi fosse lecita una congettura, io direi che probabilmente ciò accadde perchè i poteri dati dai Pisani agli ambasciatori veneziani (i) non furono trovati in regola, e la fretta che il re aveva di partire per la Crociata impedì che si aspettassero i documenti regolari. E tuttavia molto probabile che prima della sua partenza (i° luglio) il re facesse mettere in iscritto i preliminari della tregua, delegando poi alcuni suoi rappresentanti ad assistere alla stipulazione dell’atto definitivo che fu firmato a Cremona. Prezioso è sotto questo aspetto il documento nostro num. I, cioè l’aito della tregua, stipulata il 22 agosto 1270(2) nella chiesa di San Bartolomeo di Cremona (3) alla presenza di tre rappresentanti del re di Francia, che portavano il nome di ambasciatori e che erano Raimondo di Marco giurisperito di Montpellier, Pietro di Mulento, canonico catalano e il cavaliere Giovanni de Serenis. Da questo atto apprendiamo che, forse per ragioni di convenienza, i Pisani non erano più rappresentati dai legati di Venezia (e ciò appunto m'induce a supporre che in Francia fallissero le trattative per questa ragione), ma da due loro propri legati, Guido Pallario (o del Pallaio) di San Casciano e il giurisperito Pietro Engurdi ; mentre i Veneziani avevano per loro rappresentanti Nicolò Navigaioso, Marino Vallaresso e Marco Quirini, forse gli (1) Che essi fossero più di due, appare dalla frase più volte ripetuta, « quod vobis vel maiori parti vestrum videbitur ». (2) Indicherò brevemente in nota i punti in cui il sunto pubblicato negli Atti della Società Ligure si distacca dal testo del documento che veniamo esaminando. Cominciamo intanto dalla data che nel transunto ό stampata così : « Anno 1270, 12 agosto, indizione io », mentre nel testo è scritto: « Millesimo ducentesimo septuagesimo, indictione XII die vigesima secunda augusti ». È chiaro che nel sunto fu scambiato l’anno dell’indizione col giorno del mese. (3) già nel convento dei frati predicatori di Cremona, dove invece fu rinnovata per la seconda volta la tregua nel 1283, 31 dicembre. GIORNALE STORICO E LETTERARIO DELLA LIGURIA 369 stessi che erano andati in Francia; e che i Genovesi avevano mandato Simone Grillo, Guglielmo di Savignone e Giovanni Ugolini (i). Nel preambolo e poi ripetutamente, ad ogni occasione, si ricorda l’opera del re, come mediatore, e l’imminente passaggio transmarino (che ormai, nel momento in cui 1’ atto si firmava, era compiuto e già sul punto di chiudersi cosi infaustamente); ad onore del re e per utilità della crociata le tre parti contraenti promettono scambievolmente la tregua, limitata a cinque anni e che è indicata colle parole « de non offendendo sufferentia », le quali, nella lettera e ancor più nell’intenzione, esprimono la pura e semplice sospensione delle ostilità, senza pur 1 ombra di un accordo, di una promessa di futura pace, e manifestano anzi l’intenzione ben ferma di tornar a danneggiarsi subito. E poiché poteva avvenire che i corsari, gli armatori privati di una delle tre città, scientemente o no, recassero danno alle navi o alle merci di cittadini 0 sudditi dell’altra, era stabilito che su domanda del danneggiato 0 dell’erede di lui, il comune, al quale l'offensore apparteneva, dovesse nel termine di quaranta giorni fare un’ inchiesta sommaria e compensare il danno coi beni dell’offensore; e se questi non bastassero, dovesse l’offensore stesso esser consegnato nelle mani dell’offeso. Era convenuto che il comune di Venezia a sue spese avrebbe tradotto i Veneziani offensori dei Genovesi fino a Ferrara e di lì a Piacenza, per esser consegnati nelle mani dei Genovesi ; che Pisa li avrebbe fatti accompagnare fino al confine del suo distretto, cioè all’estremità del golfo di Porto Venere; e viceversa che i Genovesi avrebbero scortato rispettivamente gli offensori dei Pisani e dei Veneziani a Porto Venere ed a Ferrara. Se l’offensore (1) Dei Pisani non si fa mai parola nel transunto della società ligure; nè so persuadermi come il Wustcnfeld abbia trascurato un particolare di così grande importanza, che illumina di nuova luce la storia di quell’ importantissimo periodo per le nostre repubbliche. Un particolare non privo d’importanza per la diplomatica è questo, che gli atti di procura dei rappresentanti delle tre città non sono nè riportati per intiero, nè allegati, nè citati colla loro data, ma solo col nome del notaio e colla prima parola della seconda e della penultima riga dell’ istrumento. 3/0 GIORNALE STORICO E LETTERARIO DELLA LIGURIA fosse stato contumace, doveva esser bandito, nè poteva aver licenza di tornare, se prima non avesse compensato i danni (i). Si conveniva che i tre governi avrebbero fatto giurare ai patroni o ai comiti dei legni che andavano in corso di non offendere i sudditi del comune avversario. La convenzione doveva esser giurata e ratificata alla presenza del re di Francia, dovunque egli fosse, in Sardegna, in Sicilia, a Tunisi, o in altro paese di Barberia (2) e perciò si assegnava tempo alla ratifica fino alla festa di Sant’Andrea apostolo (10 Novembre). Molto probabilmente quel Franceschino de Camilla, che i Genovesi mandarono al campo del re e che giunse il 7 settembre, allorché il re era morto, doveva anche far ratificare la tregua (Annales, pag. 268). Si stabiliva inoltre una pena di 40,000 marche d’argento per quello dei comuni che avesse scientemente violato i patti (3), e si stabiliva che potessero i contravventori essere scomunicati, e i comuni sottoposti all’ interdetto, dandosi facoltà al comune offeso di rivolgersi al pontefice. Di più per garantire l’osser- (1) Un grave errore è incorso nel transunto: si dice infatti: « Inoltre all’offeso verrà conceduto un salvacondotto da Venezia a Ferrara .0 a Piacenza a sua scelta », e di questo non v’ ha parola nel nostro documento ; si è confusa l’estradizione del reo col salvacondotto all’offeso. (2) Anche qui, facendo confusione, fra i vari atti, il transunto afferma che la ratifica doveva aver luogo in presenza del Papa; mentre ciò si legge nelle proroghe successive, quando naturalmente, per la morte del re di Francia, avvenuta a Tunisi nell’ agosto dell’ anno stesso, 1’ antica clausola non avrebbe avuto più nessun valore. La frase del documento: « si tamen in Sardinea, Sicilia, Tu-nisio, seu in Garbo alibi fuerit », è per me importante anche sotto un altro aspetto, perchè mostra che, già prima che il re movesse, si sapeva che la spedizione aveva come obiettivo Tunisi, mentre, secondo gli Annales, i Genovesi e lo stesso seguito del re sarebbero stati all’oscuro dello scopo della spedizione e ne avrebbero avuto notizia solo in alto mare, dopo la partenza da Cagliari (Ann., 268). Ora è chiaro, che, se la notizia della scelta di Tunisi fosse giunta dopo la partenza del re da Cagliari, non si troverebbe nel documento la frase « in Sardinea », poiché il Consiglio di guerra si sarebbe tenuto dopo la partenza da Cagliari, e quindi doveva esser giunta anche la nuova che il re non era più in Sardegna ; perciò possiam concludere che i Genovesi sapevano almeno che la spedizione era diretta contro la Barberia, e probabilmente contro Tunisi. (3) Nel transunto si parla di 4000 marche, come multa per la mancata ratificazione ; ma forse si tratta d’ un errore di stampa. GIORNALE STORICO e LETTERARIO DELLA LIGURIA 37 I vanza fedele dei patti ciascun comune doveva dare dei mallevadori in Siria o in Francia (i) per 25 mila lire tornesi. Si dava tempo a sceglierli fino al primo d’ottobre; ma intanto i comuni vincolavano i loro possessi. Osservavano però i Veneziani (e in ciò ritroviamo le condizioni esposte nella istruzione) che non intendevano vincolarsi per i loro possessi di Creta, di Accon, di Tiro e di Corone; i Pisani facevano eccezione anch’essi per la Siria e per la Sardegna, e specialmente per Castro (Castello di Cagliari); e i Genovesi escludevano i domini siriaci, il loro possesso in Cipro (2), e il castello di Bonifacio. Ogni comune poi faceva le sue riserve per l’estensione e il valore della tregua. I Genovesi protestavano che non dovesse considerarsi rotta la tregua pel fatto che essi restavano alleati di Filippo di Montfort e del re Carlo di Napoli; poiché essi dovevano difendere contro ogni nemico le terre, i luoghi e i domini di questi due potentati (3). Per maggior garanzia facevano inserire il transunto degli articoli di quei trattati d’alleanza, che noi conosciamo ambedue, quello con Filippo di Montfort del 5 marzo 1264; quello col re Carlo del 12 agosto 1269 (4). I Veneziani dal canto loro dichiaravano che non si sentivano obbligati dalla tregua a rispettare il signore di Tiro, il suo porto e i suoi sudditi (5). Rispetto ai prigionieri il documento di tregua dice solo che (1) Nel transunto si parla di Firenze, di Lucca, di Siena, mentre ciò è contenuto invece nel documento di proroga dell’anno 1283; così pure si parla dei Templari, degli Ospedalieri e dei Teutonici, che pur compaiono solo nell’atto del 1283. (2) Evidentemente si allude qui, non solo a quei due territori che la regina Alice col consenso di Filippo di Ibelin aveva concesso ai Genovesi a Limassol (Limisso) ed a Famagosta nel 1218 (Liber Iurium, I, 625) ; ma ai possessi clic il re Enrico aveva loro dato in Nicosia, in Baffo, in Famagosta ed in Limassol nel 1232. (Lib. Jurium, I, 899). (3) Archives de l’Orient latin, vol. II, pag. 225 e seg. (4) Caro, Genua und die Machie etc., I, pag. 227 e seg. (5) Col Signore di Tiro, Giovanni di Montfort, i Veneziani conchiusero la pace soltanto nel 1277 (Fontes Rer. Austr., vol. Ili, p. 150) ; ma tornarono poi a rinnovarsi i dissapori, che solo nel 1283 furono appianati per mezzo del Bailo residente a Tiro (Parte del Magg. Cons. 18 agosto 1283 in Reg. Luna, foglio 22, Arch. di Stato di Venezia). 372 GIORNALE STORICO E LETTERARIO DELLA LIGURIA essi resteranno nelle loro prigioni senza che per questo s intenda rotta la tregua. Come si vede il documento che io pubblico ora è, non soltanto nella forma, ma anche nella sostanza, diverso da quello che ci aveva fatto credere il transunto della Società ligure, che contiene errori di scrittura, errori di interpretazione, confusione fra l’atto originale del 1270 e le successive proroghe, silenzio sopra patti fondamentali ed importantissimi. Ora veramente possiamo comprendere che quella tregua fu una pura e semplice sospensione di offese, senza pur una piccolissima tendenza a futuri accordi; una tregua che correva rischio di rompersi ad ogni istante, perchè i contraenti erano liberi di combattere in più d’un campo, nel quale avrebbero potuto trovarsi di fronte, come nemici, quegli stessi, coi quali avevano obbligo di stare in pace. E così pure la condizione stipulata, che i prigionieri non dovessero scambiarsi, neppur testa per testa, mentre sappiamo che tanti rispettabili cittadini giacevano nelle carceri di Genova e di Venezia, senatori, magistrati, consoli, letterati (1), ci fa comprendere, specialmente se esaminiamo le istruzioni dei legati veneziani, che le difficoltà vennero da Genova,.più che da Venezia; e che essa, quantunque più danneggiata nella guerra, aveva maggior interesse a prolungare lo stato di ostilità. III. Delle successive ratifiche della tregua sopra ricordata non tutte ci sono pervenute ; nei libri dei Pacta, subito dopo il documento del 1270, leggiamo la rinnovazione della tregua fatta il 31 dicembre 1283 (2), pure in Cremona in domo fratrum pre-dicatornm, e quivi si parla d’un atto precedente del 1280 sti- (1) Non sarà superfluo rammentare il veneziano Marino Zorzi, gentile poeta, fatto prigioniero sulla nave San Nicola, e che sfogò il suo dolore per la non avvenuta liberazione in violentissimi versi. — Vedi Pelaez, Bonifazio Calvo, in Giorn. Stor. lett. ital., XXVIII, pag. I -44 ; e LeVY, Der Troubadour Bertolome Zorzi. Halle, 1883; e ScHULTZ, Lebensver GhaUnisse der ital. Trobad. (Zeitsch. fur r. Phil., 1887). (2) Pacta, IV, foglio 21 rov. Vedi anche Liber Blancus, foglio 192 rov. (Arch. di Stato di Venezia). GIORNALE STORICO E LETTERARIO DELLA LIGURIA 373 pulato a Cremona il 25 giugno ; ma il documento non c' è, e neppur c'è l'altro, che dovremmo naturalmente aspettarci, del I275i poiché, come s’è detto, la tregua era solo quinquennale. Allorché fu fatta dal doge Dandolo la nota raccolta, forse quei documenti erano già perduti. Dall’esame però del patto del 1283, che ci è conservato, possiamo comprendere le principali modificazioni. Naturalmente, poiché il re di Francia era morto, cadeva la necessità della ratifica reale, e ad essa veniva sostituito l’obbligo di far presentare la ratifica al pontefice. D altra parte si determinava con maggior esattezza quali potessero essere le città garanti per il pagamento delle indennità, in caso di violazione di tregua. E si stabiliva che le parti contraenti si rivolgessero alle città di Firenze, di Lucca e di Siena, e in caso esse rifiutassero questa pieggeria, agli Ordini (Mansiones) degli Spedalieri, dei Templari, e dei Teutonici; in caso di nuovo rifiuto si dovesse ricorrere a delle società od a singole persone (Vedi Documento N. II). Ed è indubitato che questa nuova condizione doveva già esser compresa nell’atto di rinnovazione del 1275, perchè ho trovato sotto la data 3 maggio 1277 un atto originale pel quale il Comune di Lucca delega Giacomo Fora-sangue, suo banditore, a giurare la malleveria dei 25 mila tor-nesi in favore di Genova (1). Di più la tregua era limitata, non più a cinque, ma a tre anni; e finalmente Genova, che nel frattempo aveva rotto il trattato d’alleanza con Carlo d’Angiò, anzi era venuta, come è noto, ad aperta guerra con lui, specialmente sul mare, dal 1272 al 1276, aveva fatto togliere (e certo già nel 1275) le clausole che si riferivano agli obblighi che la legavano al re di Sicilia. Ma la modificazione più importante sta in ciò, che nell’atto del 1283 i Pisani più non compariscono, nè come parte contraente, nè come parte rappresentata. Nè di ciò possiamo meravigliarci, quando ricordiamo che già nel 1282 per la questione di Simoncello giudice di Cinarca in Corsica era scoppiata aperta guerra fra Genova e Pisa. E probabile che nella proroga del 1275 essi fossero ancora compresi nelle tregue, ma che queste fossero già disdette nella proroga del 1280, perchè in un atto del 1282, in cui si fa menzione della proroga del 1280, si parla solo di Genova e di (1) Archivio di Stato di Venezia. Patti sciolti, Busta IV - N. 65. 374 GIORNALE STORICO E LETTERARIO DELLA LIGURIA Venezia (i). Vediamo pertanto Venezia riservare la sua alleanza con Pisa in una forma stranissima, che par quasi assurda, se vogliamo stare alla lettera del trattato. Infatti, se Genova era in guerra con Pisa, come avrebbe potuto nel medesimo tempo Venezia serbare la tregua con Genova e rispettare 1 alleanza coi Pisani, stretta ai danni ed alla distruzione dei Genovesi ? Nè può credersi che questa alleanza fosse stata modificata in tutto o in parte; chè noi sappiamo dal documento N. IV, come quella alleanza offensiva e difensiva fosse ratificata successivamente, e senza alcuna modificazione, nè formale nè sostanziale, nel 1265, nel x270, nel 1276 e nel 1279, come poi fu ancora rinnovata dopo la Meloria, nel 1285 (2). Come intendessero i Veneziani quest'obbligo duplice, si vede dai fatti stessi: essi considerarono come un legame puramente formale quello che li stringeva a Pisa, e mantennero di fronte a Genova una rigorosa neutralità. Alla dichiarazione abbastanza esplicita degli Annali Genovesi, che affermano essersi condotti i Veneziani satis curialiter verso Genova durante la guerra con Pisa, possiamo aggiungere alcune deliberazioni del Maggior Consiglio. Vediamo infatti a pochi giorni di distanza una parte in cui si proibisce a qualsiasi veneziano 0 suddito di Venezia di prestar servizio con armi a potenze straniere senza espressa licenza del Doge, pena una multa di cento libbre e 1 esclusione da ogni ufficio pubblico, e un' altra in cui si vieta ai Veneziani di navigare su legni di bandiera straniera nelle acque comprese fra Nizza e Civitavecchia, e di trasportare su legni veneziani merci (1) Diploma di Giovanni Dandolo, doge con cui nomina Nicolò Quirini e Giacomo Tiepolo suoi procuratori (13 die. 1282) per rinnovare la tregua firmata nel 1280 da Ermolao Giusti e Nicolò Quirini, rappresentanti di Venezia e Marino de Marinis e Giovanni di Rovegno, rappresentanti di Genova (Patti sciolti, Busta V, N. 7°)· (2) Nei volumi dei Pacta (vol. I, foglio 228, nuova numerazione) si trova anche un trattato di Venezia con Pisa del 18 settembre 1273 ; ma esso non si riferisce all’ alleanza, se non indirettamente. È una convenzione declaratoria riguardo ai documenti ed alle fedi di credito presentate da Veneziani delle colonie ultramarine per crediti verso cittadini pisani e viceversa. I due comuni stabiliscono che abbiano valore soltanto quelle fedi che siano munite della firma del bailo o del console. GIORNALE STORICO e LETTERARIO DELLA LIGURIA appartenenti ai belligeranti (i). Questi ordini restarono in vigore lino alla fine della guerra e anche più in là, poiché soltanto nel 1290 (2,5 marzo) fu messa ai voti la proposta di abrogarli « cum remota sit causa per quam capta fuerint (se. consilia) » (2). E notisi che, pur tenendo questa, che era veramente una rigorosa neutralità, si continuavano dai Veneziani le esterne dimostrazioni d’alleanza con Pisa, poiché ancora le galee e le navi dei due paesi portavano accoppiate le bandiere delle due repubbliche, secondo gli antichi patti del 1257; tanto che, avendo alcuni capitani dimenticato di osservare questa prescrizione, essa fu poi richiamata alla memoria con una parte, in cui si comminava la pena di 10 libbre a chi non l'avesse rispettata (3). E se qualche capitano infranse l’ordine, che vietava la navigazione con merci pisane, fu pronta Venezia a punirlo, nella stessa guisa come, per mezzo di speciali ambasciatori, si mostrò sollecita a reclamare allorché i Genovesi arbitrariamente sequestrarono 0 molestarono legni veneziani col pretesto che essi portassero merci pisane (4). Neppure è esatto ciò che dice 1 annalista genovese, che i Pisani astutamente cercassero di trascinare dalla loro parte Venezia, nominando, dopo la sconfitta riportata nelle acque di Tavolara nel maggio 1284, come loro podestà il veneziano Alberto Morosini ; poiché la nomina del Morosini avvenne circa quattro mesi prima di quella battaglia e se ne trova ricordo in una parte del Maggior Consiglio del 16 gennaio 1284, (anno veneziano 1283), colla quale si provvedeva alla nomina del podestà di Chioggia, in sostituzione del Morosini, che aveva accettato la potesteria di Pisa (5). (1) Parti M. C., 15 e 22 aprile 1284 in registro Luna, (Arch. di Stato di A^enezia) foglio 34 dritto e verso. — Già fin dal 28 giugno 1282 s’era proibito alle navi d’ andare in Sicilia e intimato ai Veneziani colà dimoranti di tornare in patria (Reg. Fractus, fogl. 120). (2) Parte 25 marzo 1290 in registro Zaneta (Arch. di Stato di Ven.) foglio 72. (3) « Cum sint aliquae naves quae quando erigunt insignia Sancti Marci non erigunt insignia pisae capta fuit pars quod omnia ligna teneantur erigere insignia pisae quando erigunt insignia Sancti Marci sub pena librarum X » in Reg. Pilosus, foglio 28 rov. Parte 7 marzo 1293. (4) Parte del Maggior Consiglio 25 maggio 1284 in registro Luna, foglio 36 rov. (5) Parte M. C. 16 gennaio 1283 (comune 1284) in Luna, foglio 30. 376 GIORNALE STORICO E LETTERARIO DELLA LIGURIA Non è pertanto da credersi che l’elezione avesse lo scopo di indurre i Veneziani ad aiutar Pisa dopo la prima rotta di Tavolara; e, se il Morosini fu eletto in tempo indebito, cioè nel mese di Gennaio, mentre di solito 1’ elezione dei potestà si faceva in Settembre, ciò deve attribuirsi al fatto che i Pisani avevano eletto Gherardo Castelli di Treviso, e che questi non potè assumere l'ufficio, che aveva accettato, perchè si trovava assediato in una fortezza della Marca (i). Con questo io non intendo affatto di escludere che i Pisani si rivolgessero ai Veneziani per aiuto; anzi sarebbe stato strano se non l'avessero chiesto a coloro che in gravissimi pericoli essi avevano sostenuto ed aiutato; ma, scorrendo le deliberazioni del Maggior Consiglio per gli anni 1283-84 non m’ è riuscito di trovare il più lontano accenno a provvedimenti presi o da prendersi intorno a questo argomento, mentre frequentissime sono per gli stessi anni le notizie di ambasciate giunte dal re d’Ara-gona, dal re Carlo d’Angiò, da suo figlio il conte di Provenza, dal papa Martino per indurre Venezia ad una lega prò o contro la Casa d’Aragona e frequenti le risposte e le esplicite dichiarazioni di neutralità (2). Se ufficialmente 1’ aiuto fosse stato richiesto, anche ammesso che la deliberazione fosse stata affidata, per ragioni di segretezza, ai Pregadi, se ne troverebbe tuttavia cenno nel registro ; bisogna perciò riconoscere che la domanda non fu neppure fatta ufficialmente, forse perchè il trattato precedente, sempre rinnovato, formava già di per sè un vincolo strettissimo. IV. E certo, date le condizioni politiche del momento, data l’antica e ormai tradizionale rivalità di Genova e di Venezia, questa avrebbe ben provveduto ai casi suoi, sostenendo ed aiutando nel Tirreno i Pisani, impedendo che venissero oppressi e schiacciati e che di tanto crescesse la potenza di Genova, di quanto si abbassava quella di Pisa. Se l'aiuto fu chiesto e negato (forse cavillando sull'estensione della lega e restringendola alle sole (1) \ edi Fragm. Hist. Pisanae in R. I. S., Vol. XXIV, col. 647. (21 Registio Luna 2 dicembre 1283, 1 marzo, 4 marzo, 8 marzo 1284, fogli 28-33. GIORNALE STORICO E LETTERARIO DELLA LIGURIA 3 77 colonie d’Oltremare) grave errore commise Venezia; se non fu chiesto, commise errore non offrendolo spontaneamente ; poiché, chi considera senza pregiudizi l’indole vera della lotta, durata duecent’anni fra Genova e Venezia, deve riconoscere che, data l’indole dei tempi e l’andazzo della politica, tutto doveva spingere Venezia ad impedire che le forze di Genova crescessero, e che sparisse dal Mediterraneo quella potenza navale, che aveva fino a quel tempo servito di contrappeso fra le due, e impedito a Genova di servirsi di tutte le sue forze fuori del Tirreno. Ripensando alla condotta di Venezia in quel tempo, così diversa da quella che ci potremmo aspettare, così incurante d’un pericolo imminente, a me par di scorgerne le cagioni in un falso apprezzamento dei vantaggi commerciali immediati, che si potevano ritrarre in tutti i mercati, nel momento appunto in cui gli altri rivali contendevano colle armi e non potevano pensare al commercio. Più che un sentimento egoistico, l’interesse mercantile può aver spinto Venezia ad approfittare della lotta pisano-genovese, dell’ altra fierissima angioino-aragonese per sfruttar sola, dominare sola tutti i mercati, senza competitori, da un estremo all’altro del Mediterraneo, dimenticando che il vantaggio dell’oggi sarebbe stato pagato caramente domani e che ben presto Venezia avrebbe dovuto far i conti coi vincitori delle due lotte, che contemporaneamente si svolgevano. Forse anche la segreta speranza che ambedue i contendenti si indebolissero, senza venire ad una risoluzione definitiva, può avere indotto gli uomini di Stato, i consiglieri del Doge, i Senatori, tutti dati alla mercatura, armatori essi stessi di galee mercantili, o appaltatori di quelle dello Stato, a sfruttare le condizioni del momento per trarne guadagno. Nel silenzio di tutte le fonti, ogni congettura è audace ; ma, dopo aver scorso i registri delle deliberazioni del Maggior Consiglio ed aver veduto lo spesseggiare, proprio in quegli anni, delle parti che si riferiscono al commercio marittimo ed alle relazioni politiche cogli stati d’Oriente (i), essa mi appare sem- (i) Ne ricorderò alcune: — 3 agosto 1283, Invio d’ un’ ambasceria a Tunisi per il fondaco {Luna, foglio 19) — 18 agosto 1283, Accenno a ripresa di trattative col Signor di Montfort a Tiro, offrendogli il ristabilimento G ioni. stor. e lett. d. Lig. il. 25 GIORNALE STORICO E LETTERARIO DELLA LIGURIA pre meno improbabile. E sopratutto mi fa impressione la cura posta, proprio allora, a ristabilire le relazioni amichevoli coll’impero d’Oriente, contro il quale era stato stretto con Carlo d’Angiò il trattato di Orvieto. La morte di Michele Paleologo e più ancora la guerra del Vespro avevano impedito che la spedizione si compiesse, e certo doveva esser cura di Venezia, se da sola non poteva opporsi alle forze greche, di riacquistare almeno il pacifico godimento di quei privilegi, che essa aveva ottenuto colla tregua del 1277. Ma, poiché non s’ha cenno di ostilità compiute dai Greci in conseguenza della minacciata guerra del 1282, le continue inistenze fatte per rinnovare la tregua, l’invio di tanti ambasciatori, la cura posta per ottenere che nella tregua fossero compresi i dinasti dell'Arcipelago, specialmente il duca di Nasso, e i feudatari di Negroponte; le insistenze fatte per venire contemporaneamente ad accordo col signore di Tiro, tutto ciò m induce a supporre che alla deliberazione di neutralità verso Genova non fosse estranea la speranza di approfittare della lotta pisano-genovese, per dare un nuovo impulso ai commerci, danneggiati notevolmente dalla lunghissima guerra con Genova, durata dal 1257 al 1270, poi dalla guerra con Ferrara e con Ancona, dalle continue ostilità in Siria, in Cipro e nell’impero d’ Oriente. Questi provvedimenti raggiunsero in parte l’effetto loro, che, dello statu quo ante (Luna, foglio 22) — 4 settembre 1283, Ordini per regolare il carico delle galee e impedire che siano caricate oltre misura (Luna, foglio 23 rov) — 12, 16, 23, 27 settembre 1283, Deliberazioni sopra l’opportunità dell’invio di ambasciatori ad Andronico Paleologo (Luna, 24"25 rov·) 11 gennaio 1283 (com. 1284), Deliberazione per l’armamento d’ una squadra in difesa della carovana (Luna, foglio 29) — 16 marzo 1284, Amplissimo decreto per l’apertura della terra (Vedi Documento N. V) giugno 1284, Deliberazione per l’invio di nuovi ambasciatori ad Andronico con patti più larghi (Luna, foglio 38) — 6 agosto 1284, Deliberazione per invio di navi e di galee ad Acri (Luna, foglio 42) — 28 gennaio 1284 (com. 1285), Armamento di dicci galee per sicurezza della carovana (Luna, foglio 52) — 11 marzo 1285, Provvedimenti per la navigazione m Egitto e in Terra dei Saraceni (Luna, foglio 55) — 26 aprile 1285, Accenni a « quoddam negotium valde utile pro hac terra » che si rimette all’arbitrio del Doge e del suo Consiglio (Luna, foglio 61), GIORNALE STORICO E LETTERARIO DELLA LIGURIA 37g dopo molte insistenze, nel luglio 1285 finalmente venne stipulata coll’imperatore Andronico Paleologo una tregua decennale, nella quale venivano riconfermati i privilegi già concessi nel 1277 dall’imperatore Michele, e stabilito un indennizzo di ventiquattro mila iperperi ai Veneziani danneggiati dai corsari greci. Veramente i Veneziani ne avevano chiesti centomila, ridotti poi a settantacinque mila: ma poiché l’impero non aveva mai voluto riconoscere il principio del risarcimento dei danni, era questo già un gran guadagno (1), anche se l'imperatore per l’avvenire si dichiarava risoluto a non concedere più indennizzi di sorta alcuna. Così pure nell’isola di Cipro, dove i Veneziani avevano goduto larghi privilegi dal principio del secolo, e specialmente a Limassol (2), mi pare che gli interessi veneziani ricevessero notevoli vantaggi ; poiché, mentre prima, per ragioni a noi ignote, forse per qualche dissapore, il commercio con Cipro era interrotto, lo vediamo ripreso proprio nel 1284 (3). V. Gli anni che corsero fra il 1285 e la rinnovata guerra con Genova possono considerarsi come i migliori per la storia commerciale della repubblica, quantunque non mancassero le nubi e i pericoli. Un documento pubblicato in Liber jurium (vol. II, col. 248) potrebbe indurci a credere che nel 1290 si concludesse una pace definitiva fra Genova e Venezia, poiché sotto la data del 5 giugno 1290 vi troviamo un decreto con cui il doge di Venezia nomina i suoi procuratori per ricevere le malleverie dei comuni di Asti e di Tortona, secondo ciò che è stabilito nella pace conclusa il 25 viaggio del medesimo anno, indicato colle parole Millesimo ducentesimo nonagesimo, indictione duodecima. A bella prima questo documento mi fece una grande impressione, poiché non sapevo spiegarmi come mai, a pochi mesi di distanza da quella pace, i due comuni avessero potuto rinnovare la tregua (Brescia, 30 marzo 1291). Ma poi, esaminandolo meglio, mi convinsi che (1) Vedi il trattato in Fontes Rer. Austr., vol. XIV, p. 339. E confronta la parte M. C. del 17 giugno 1284 sopra citata. (2) Heyd, Histoire du commerce de Levant, vol. I, p. 364. (3) Parte 16 marzo 1284. Vedi Documento N. V. 38ο GIORNALE STORICO E LETTERARIO DELLA LIGURIA si trattava d’un errore di trascrizione e che invece del 1290 si deve leggere 1299 e che perciò il documento deve riferirsi alla pace, detta di Matteo Visconti, del 25 maggio 1299. Basta infatti considerare che l’indizione dell’anno 1290 è la 3a, mentre la I2a cade appunto nel 1299; e che i nomi dei capitani del popolo, citati in quel documento, sono quelli di Corrado Spinola e di Lamba D'Oria, che ebbero il potere dal 1296 al 1299, mentre nel 1290 avevano il potere Oberto Spinola e Corrado D’Oria, durati in carica dal 1286 al 1291. Nulla dunque fu cambiato; la tregua durò immutata; ma intanto che i Genovesi combattevano, dai Veneziani numerose carovane vennero annualmente spedite in tutti i porti del Mediterraneo; mentre per il passato s’era limitato il numero delle spedizioni, ora le vediamo accresciute (1), specialmente per la Siria e l’Armenia; ripetuti capitolari regolano la compera, l’appalto delle galee di mercato; le scorte alle caravane sono sospese, perchè il mare è sicuro; ma sono invece stabilite norme per assicurare le carovane dagli assalti dei corsari, ordinandosi che rigorosamente siano rispettate le parti che regolano il carico, il numero delle persone d’equipaggio, le armi che ogni marinaio deve avere (2). Ma tre pericoli di diversa gravità vennero a minacciare questa floridezza; la ribellione di Creta, la guerra d’Istria, e sopratutto la catastrofe delle colonie siriache. Dei due primi fatti assai noti non parlerò, se non per ricordare come essi resero necessari energici provvedimenti, che si rifletterono anche sul commercio, perchè obbligarono a ristabilire il servizio di scorta alle carovane (3) e distrassero i commercianti dall’ esercizio della navigazione; dell’ultimo osserverò che veramente trascurato e colpevole fu il contegno della repubblica, come del (1) Parte del 12 luglio 1290, revocante una parte del 1278, in Reg. Za-neta, foglio 58. (2) Parte del 13 agosto 1286 in Zaneta, foglio 14 rov; del 24 luglio 1288, ibid. f. 47. Veggansi anche le parti 1° luglio 1279 e 20 luglio 1280 N. 106 e N. 108 in Reg. Comune //, fogli 23 v. e 24. Così pure veg-gansi le parti 5 maggio 1293 e 28 gennaio 1293 (com. 1294) >n rcg· l'‘· losus, f. 31 v. (3) Parti 12 e 31 luglio 1287 in Zaneta, f. 29 e 30. GIORNALE STORICO e LETTERARIO DELLA LIGURIA 38 I resto di tutte le altre città marittime, di fronte alle premurose insistenze dei Cristiani di Siria. Se le parti del Maggior Consiglio sono lo specchio fedele delle questioni dibattute in quell’alto consesso, noi restiamo meravigliati della scarsezza delle deliberazioni sulla Siria, nel momento in cui il pericolo era maggiore. Nel 1286, quando appunto la colonia dava gli ultimi aneliti, il Maggior Consiglio decretava l’invio di cinque galee a S. Giovanni d’Acri, prescrivendo però che solamente tre galee restassero in quelle acque e che gli equipaggi tornassero indietro su altri legni, evidentemente perchè vigeva il principio che i coloni si difendessero da sè contro ogni pericolo (i). Come se i privilegi veneziani ad Acri non fossero stati conquistati col sangue di due generazioni, e non fosse interesse di tutti l’accorrere alla difesa loro e della terra! Nell’anno successivo, come è noto, dopo che una squadriglia genovese ebbe attaccato i possedimenti pisani in Acri, fu stabilita la pace fra Genova e Pisa, a condizioni umilianti per quest’ ultima, che fu costretta ad abbattere le sue fortificazioni, a restituire il quartiere; si temeva da un momento all’altro una complicazione anche con Venezia per ragione di confini; mentre dall’ altra parte la colonia era minacciata da Kelawun, sultano d’Egitto, e dai Tartari (2). Ebbene, che cosa si fa a Venezia ? Si concede la facoltà al bailo Morosini di prendere a prestito denaro per trattenere quelle galee di mercato, che credesse opportune; e gli si ordina se, « quod deus avertat, superveniret (guerra) cum Januensibus » di prendere in prestito quello che crederà opportuno, ma se si trattasse della guerra col sultano non più di 6000 bisanzi (3). Nel 1289, quando Tripoli fu assediata e cadde, non v’ ha memoria che una squadra veneziana si trovasse in quelle acque: le poche navi veneziane che accorsero alla difesa di quel penultimo baluardo erano dei coloni d'Acri e capitanate dal bailo (4); ad una squadra da (1) Parte 31 luglio 1287, sopra citata. (2) Rôhricht, Gesch. des KSnigsretchs Jerusalem, Innsbruck, 1898, pag. 991-993· (3) Parte 3 gennaio 1289 (coni. 1290) in Zaneta, foglio 68. (4) Parte 17 aprile 1288 e 12 febb. 1288 (coni .1289) in Zaneta, fogli 42 v e 56. 3§2 GIORNALE STORICO E LETTERARIO DELLA LIGURIA guerra si provvide, quando ormai era troppo tardi, nel gennaio del 1290 (1). E quando l’ultimo baluardo di quello che era stato il regno di Gerusalemme cadde (18 maggio 1291), non appare che se ne sia neppur dato cenno al Maggior Consiglio, come se la perdita di quelle colonie fosse un male lieve e rimediabile! Se alla difesa di Acri troviamo navi veneziane esse furono in gran parte noleggiate per conto del papa Nicolò IV (2). Venezia aveva ormai rivolta altrove la sua attenzione ; e per rifarsi dei danni che l’imminente rovina delle colonie di Siria poteva produrre al suo commercio aveva iniziato pratiche commerciali in altre regioni. VI. Le nostre cognizioni intorno alle origini delle colonie italiane nel Mar Nero sono ben limitate; sulle origini di Caffa e della colonia genovese colà stabilita si è discusso a lungo ; le ipotesi poste innanzi e con tanto calore sostenute da Michele Canale, che ammetteva aver i Genovesi posseduto Caffa fin dal XII secolo, furono vittoriosamente confutate da Guglielmo Heyd, e anche recentemente un dotto straniero, Nicola Iorga, le riconobbe false (3). Ed è ormai comune opinione che uno stabilimento genovese sorgesse colà solo dopo la caduta dell'impero latino di Costantinopoli. Quanto alle altre colonie ed agli altri stabilimenti, siamo ancor meno informati ; ma certo la navigazione e il commercio dei Genovesi ebbero un notevole impulso, allorché il trattato di Ninfeo diede loro il diritto di chiudere il Mar Nero ai loro rivali, i Veneziani; e questi se, come è probabile, ebbero stabilimenti nella penisola di Crimea e nel Mar d’Asow, come fanno credere i viaggi di M. Polo, nei primi anni del restaurato im- (1) Rôhricht, Op. cit., pag. 999-1000. (2) Cfr. Marin Sanudo Torcello, Secreta fidelium Crucis, in Bor-GARS, II, 240. (3) Michele Canale, Nuova Storia di Genova, Vol. II, p. 404 e Vol. III, p. 234 e seg. — G. Heyd, Histoire du Commerce de Levant, Vol. II, p. 158 e seg. — Iorga, Notes et extraits pour servir à I' histoire des Croisades etc. Paris, 1899, Vol. I, p. 4. Vedi anche Canale, Della Crimea, Vol. I, p. 151 e seg. GIORNALE STORICO E LETTERARIO DELLA LIGURIA 383 pero greco dovettero abbandonarli. Col ristabilimento delle relazioni fra Venezia e il Paleologo, il patto di Ninfeo fu virtualmente abolito e la navigazione del Mar Nero ripresa, e, quantunque in tutti i decreti di aperhira del mare degli anni 1282-1290 non appaia alcun nome di terre pontiche, nè si trovi menzione di quelle galeae maris Maioris e di quelle galeae Trapezuntis, che più tardi vengono così frequentemente rammentate (1), non so persuadermi che'ogni traffico con quelle regioni fosse interrotto, tanto più che in una lista di indennità presentata dai Veneziani all' impero greco trovo pur menzione di un legno veneziano danneggiato, mentre veniva da Soldaia (2) Rileggendo poi attentamente i miei spogli sui decreti del Maggior Consiglio che si riferiscono alla navigazione, ho trovato una conferma della mia opinione, poiché in una parte del 10 febbraio i2go(com. 1291) v’ha un cenno alle galee de mari majori, che non si trova affatto nelle parti degli anni precedenti e che potrebbe essere interpretato come il primo accenno ad una ripresa di regolare navigazione in quelle acque (3). E del resto una prova ancor più chiara mi par d' averla trovata nel fatto che, durante la guerra pisano-genovese s'ha menzione di un « consul Gazerie » che evidentemente non era di recentissima nomina, perchè nella deliberazione consigliare gli vengono ampliati i poteri (4). Se esisteva dunque un consolato, è chiaro che la Gazzeria, e perciò il mar Nero, dovevano essere ben frequentati da navi veneziane. Ma quando era sorto questo consolato? In qual parte della Gazzaria risiedeva? I documenti tacciono, poiché il primo documento di relazioni diplomatiche veneziane coi Tartari da me conosciuto è il patto de' ï 3 53 (5) ed altri, certo anteriori, veggo appena fugacemente (1) Giomo, Le rubriche dei Misti Senato, in Arch. Voi., XVII, XVIII e seg. (2) Fontes Rer. Aiistr., Vol. XIV, p. 245. (3) Reg. Pilosus, f. 17. (4) Parte del Mag. Cons., 8 aprile 1288, Reg. Zaneta, foglio 42: « Consul Gazarie possit franchare (?) quinquaginta millia asprorum, sic possit franchare centum millia si poterit et sic continetur quod habeat duos equos et unum puerum ». (5) Pactum cum Husbecho Tartarorum imperatore in Diplomai. Veneto-Levantinvm (edito dalla R. Deput. Veneta di Storia Patria), Vol. I, p. 243. 3S4 GIORNALE STORICO E LETTERARIO DELLA LIGURIA accennati nelle rubriche dei Misti Senati, senza indicazione di data e ad ogni modo posteriori di almeno cinque anni alla prima menzione del consolato (1). Io credo tuttavia che l’istituzione del consolato di Gazzeria debba essere posteriore alla tregua veneto-genovese del 1270, e forse anche posteriore al primo scoppio delle ostilità pisanogenovesi. Infatti dal 1261 al 1264 l’accesso del Mar Nero era stato chiuso ai Veneziani; più tardi, durante la guerra, non s’ha mai ricordo di fatti d’armi seguiti nelle acque del Mar Nero, mentre dovunque i legni genovesi s’incontravano coi legni veneziani, commerciali o da guerra, s’ha memoria di scontri^ di piraterie, di atti di violenza. E s’affaccia naturale l’ipotesi che i Veneziani non prima della guerra pisano-genovese riuscissero ad infiltrarsi nel territorio della Crimea, procurando di soppiantare il commercio di Caffa. Qualunque opinione possa aversi in proposito, è certo che nel 1291 si pensava all’istituzione di un consolato nuovo. Ho scoperto infatti il ricordo d’una solenne ambasciata spedita al Kan dei Tartari della Gazzeria, a quel celebre Nogai, figlio di Butu, fondatore dell’ impero dei Kan di Ivipciach. Si legge infatti in una parte del ^aprile 1291 (2) la seguente indicazione: « Capta fuit pars quod ambaxator iturus ad imperatorem noga debeat habere equos decem et iperperos IIII in die pro expensis et si avanzarent deveniant in Comune ». E pochi giorni più innanzi, 10 aprile, trovasi una indicazione ancor più precisa, che ci fa comprendere come 1’ ambasciatore andasse, non già per presentare una lagnanza o per fare un atto di omaggio, ma per ottenere una concessione non sappiam bene se territoriale o commerciale soltanto, tanto che, se fosse riuscito nell’impresa, egli doveva restar come console residente (3). (1) Giomo, Le rubriche etc. (Arch. Venet., Vol. XVIII, p. 328). L’indicazione è questa : « Ambaxiatores missi ad Tartarum et dona quae fuerunt libre V. (millia ?) » libro I. Ora poiché il primo libro dèi Misti abbraccia il decennio 1293-1303 (Giomo, op. cit., Vol. XVII, p. 129) non possiamo far risalire queste relazioni ad un periodo anteriore al marzo del 1293. (2) Reg. Pilosus, foglio 19 rov. (3) « Die X Aprilis capta fuit pars quod quidam nobilis destinetur nuncius ad imperatorem noga qui postquam descenderit in terram sit (ad) expensas comunis eundo et redeundo et si expleverit negocium pro quo ibit remaneat GIORNALE STORICO E LETTERARIO DELLA LIGURIA 385 Ora l'indicazione di questa ambasciata, pur troppo incompleta, se collegata coll’altra dataci dalla Rubriche Misti ci prova l’esistenza di relazioni abbastanza frequenti tra i Tartari di Crimea e Venezia sulla fine del secolo XIII; e chi riavvicini date e fatti può agevolmente scorgere un legame fra queste ambasciate e la rinnovata guerra genovese-veneziana. Infatti quale fu l’impresa militare più felice compiuta dai Veneziani durante la campagna? Il saccheggio di Caffa compiuto dal Soranzo nel 1295 ; nè l’ingresso d’una poderosa armata navale nelle acque del Mar Nero, mentre tanto grande era il bisogno d’aver forze navali disponibili alla difesa di Candia, di Negroponte, di Corone è per me senza un grandissimo significato. Assalendo prima Costantinopoli e poi Caffa i Veneziani non vendicavano soltanto la sconfitta di Laiazzo, ma cercavano di colpire la rivale appunto là dove i nuovi interessi richiedevano l’abbassamento della prosperità genovese. Non basta ancora; corse voce in Italia, e primo la raccolse il Villani, che nella pace del 1299, conclusa per mediazione di Matteo Visconti, fosse stabilito che i Veneziani si sarebbero astenuti per tredici anni dal navigare il Mar Nero (1). La voce era falsa, perchè la pubblicazione del documento originale ha mostrato che fra le due repubbliche fu conchiusa una pace pura e semplice, incondizionata, dichiarandosi compensata ogni ingiuria od offesa (2). Ma la notizia fornitaci dal Villani e ripetuta poi da tutti gli storici d’Italia, non potè aver origine, se non da un articolo addizionale, tenuto segreto, almeno da una pretesa dei Genovesi, non soddisfatta? Se per quest’epoca storica noi non mancassimo quasi intieramente di cronache attendibili e di documenti genovesi e veneziani, troveremmo forse la ragione per cui in consul in partibus illis per tres annos. Et habeat pro salario yperpera CCCC in anno et debeat tenere suis expensis famulos quatuor et equos tres, item unum sacerdotem qui sit notarius suis expensis de victualibus et provideatur ei de domo etc. ». Reg. Pilosus, foglio 19. (1) GlOV. Villani, libro 8° , cap. 27. Sulla fede del Villani essa fu ripetuta da tutti gli scrittori, compresi il Muratori [Ann. 1299) e il Serra; primo a sfatare questa leggenda fu il Canale (Nuova Istoria, Vol. Ili, pag. 90 nota). (2) Liber jurium R. G., Vol. II, col. 344-352. 3 86 GIORNALE STORICO E LETTERARIO DELLA LIGURIA tutta l’Italia si ripetè allora che i Veneziani avevano rinunziato alla navigazione del Mar Nero e ci spiegheremmo perchè tanto concisi siano gli scrittori veneziani nel parlare della pace (i). Per me anche questo è un indizio da non trascurarsi, perchè mostra come nell' opinione pubblica in Italia la lotta genoveseveneziana fosse strettamente congiunta alla navigazione del Mar Nero. Ora chi pensi come scoppiò la guerra stessa, chi ricordi le vaghe e confuse ragioni che di essa ci danno e il D’Oria, ultimo continuatore di Caffaro, e il Dandolo, e tutti gli altri scrittori (i), non può non meravigliarsi che, dopo una tregua serbata fedelmente quando Genova era implicata in altre guerre, ad un tratto i Veneziani si facessero provocatori, quando la vittoria sui Pisani aveva dato ai loro rivali una grande potenza. L’ esame di alcuni documenti genovesi di quel tempo ci indurrebbe a credere che ragioni precipue della guerra fossero le violenze commesse da alcune navi genovesi ai mercanti veneziani e il rifiuto di Venezia di rinnovare la proibizione ai suoi sudditi di navigare nelle acque della Sardegna e di Pisa, ora che la guerra pisana era ricominciata (2). Ma, anche ammettendo che questa sia stata l’occasione della guerra, difficilmente si potrebbe spiegare la politica di Venezia, così diversa a pochi anni di distanza, la rinnovata alleanza con Pisa, il reiterato ordine di innalzare sulle navi veneziane la bandiera di Pisa insieme con quella di San Marco, senza ammettere una plausibile ragione. Concludendo mi pare che, se non altro, debbasi aggiungere alle cause della nuova guerra anche la speranza nei Veneziani di escludere completamente i Genovesi dal traffico col Mar Nero, di distruggere (molto probabilmente d’accordo col can dei Tartari, Nogai) la colonia di Caffa; e nei Genovesi il timore che questa speranza potesse compiersi. (1) Dandolo, cont. (R. /. S., Vol. XII, col. 409). (2) L’una parte e l’altra si rinfacciano la colpa d’aver violato la tregua (Dandolo, 1. cit ; col. 404 e Iacopo D’Oria, (Annales), pag. 252-53); e narrano che nel convegno di Cremona, durato circa tre mesi, si discusse senza venire ad alcuna conclusione. (3) Veggansi i documenti del 23 febbraio 1293 e del gennaio 1294 (Arch. di Stato di Genova. Materie politiche, 272). — Cfr. Caro, Vol. II pag. 180-181. GIORNALE STORICO E LETTERARIO DELLA LIGURIA 387 Pur troppo le istruzioni dei legati veneziani e genovesi al congiesso di Cremona del 1293 non sono venute alla luce, e forse saranno state distrutte; ma ripensando a quell’ambasciata a Nogai, all’attacco del Soranzo contro Caffa, alle voci corse intorno ai patti della pace, le mie ipotesi m’ appaiono non im probabili. Camillo Manfroni DOCUMENTI. Tregua fra Genova, Venezia e Pisa, stipulata a Cremona il 22 agosto 12-0 (Arch. di Stalo di Venezia - Pacta - Vol. IV, foglio 19) (1). In nomine sanctae et individue trinitatis amen. Hoc habet proprium hostis antiqui versutia protoplausto primum ac exinde humano generi semper insidiane. ut quos deicere improborum actuum perpetratione non valet quibuscumque subdolis machinationibus simulando dilaceret, et sicubi sintillam dissensionis succendi conspiciat. dolositatis sue flatu flamigere incessanter ardere procuret, praesertim inter eos quos vivere adprime sub profutura tranquillitate auctumat. Hinc est quod ab olim inter Venetos Pisanos et Ianuenses in partibus transmarinis levietham intricationibus subiestivis ex levi causa dissensione suborta. ita eam pacis emelus (sic) pestifer hostis ille adaugiit et auctam sic sua virtulenta suasione vallavit quod tam in curia summi pontificis eiulante quam in Curia serenissimi regis francorum verbo pacis actenus ad sufferentiam seu ad tregam non potuerunt induci. Sane cunctipotens Rex pacificus non permittens dissensionis discrimen in terre sancte tantam pernitiem ulterius evagari, nocendi libidem antidoto suo medicinali retondens solita miseratione providit.' Quod discretis viris Raimondo Marci de Monte Pesulano iurisperito. Magistro Petro de Mulento catalanensi canonico clericis serenissimi domini dei gratia Regis francie et Iohanne de serenis eiusdem Regis milite a dicto domino Rege ad hoc specialiter destinatis, mediantibus inter viros honorabiles Nicholaum Navagiosum Marinum valaressum et Marcum quirinum cives veneciarum et procuratores magnifici Ducis et comunis Veneciarum ut de sindicatu seu procuratione eorundem constat per instrumentum rogatum et firmatum a Conrado notario Cancellario ipsius ducis et comunis Veneciarum bullatum bulla plumbea Ducis praedicti quod incipit in secunda linea Indictione (i) Ho attentamente coliazionato il testo dei Pacta coti quello del Liber Btancus, fogli 188-192, e ho potuto convincermi che all’ infuori di qualche variante ortografica (ptssuìano e Pesulano, honorabilles e Itonorabiles, conspitiat e conspiciat, Rex e rex, Pisae e pysae etc.) i due testi sono identici e derivano uno dall’ altro, o da una copia anteriore, e non dall' originale, perchè in ambedue sì riscontrano le stesse omissioni e gli stessi errori, che certo non erano nell’ originale. Ho segnato 111 nota le poche varianti degne di attenzione. Nei riprodurre i documenti ini son limitato a sciogliere le abbreviazioni e ho conservata intatta la punteggiatura e 1' ortografia. 388 GIORNALE STORICO E LETTERARIO DELLA LIGURIA et in penultima bonorum. Et viros honorabiles [(foglio 19 col. 2) Guidonem pellarii de sancto cassiano et Petrum engurdi iurisperitum sindicos et procuratores Comunis Pisarum ut de sindicatu et procuratione eorumdem constat per instrumentum rogatum et firmatum a Benciveni filio provincialis de visignano notario et cancellario Pisarum comunis scriba publico sigillatum comunis pisani sigillo pendenti cereo quod incipit in secunda linea domini et in penultima ad hec ex una parte. Et viros honorabiles Symonem grillum, Guillelmum de savignono et Iohannem Ugolini jurisperitum cives Ianuenses sindicos et procuratores Potestatis et Comunis Ianue ut constat de sindicatu et procuratione eorumdem per instrumentum rogatum et conscriptum a Iohanne Vatacio de Predono notario sigillo cereo comunis Ianue sigillatum quod incipit in secunda linea pellavicinus et in penultima curia ex altera. Simpliciter pura et bona fide absque omni dolo et fraude nomine suorum comunium. Ad honorem Dei et magnam instantiam Regis praedicti et utilitatem instantis passagli transmarini, super omnibus guerris discordiis et de offendendo suspicionibus. Inita est treuga seu de non offendendo sufferentia in modum subscriptum. Promiserunt siquidem praedicti sindici seu procuratores Ducis et Comunis ve-neciarum. sindici et procuratores Comunis pisarum sindicatorio et procuratorio nomine ex una parte sindicis et procuratoribus potestatis et comunis Ianuae antedictis nomine sui Comunis recipientibus quod ab hodie usque ad quinquennium [(foglio 19 rov.) continuum et completum Dux praedictus, Venetiarum seu Pysarum Comunia vel eorum alterutrum per se vel per suos cives vel suos districtuales seu per quoslibet alios non offendent nec offendi facient Comune Ianuae cives seu quoslibet districtuales Comunis et civitatis Ianue in personis vel rebus intra mari vel alibi. Insuper promittentes quod si contigerit civem aliquem Venetiarum ducis seu comunis Venetiarum districtualem aliquem offendere Ianuensem civem seu Comunis Ianuae aliquem districtualem tempore treugue praedicto infra mari seu alibi quod exposita quaeri mon ia a Ianuensi offenso vel districtuali Ianue seu herede ipsius vel alio eius nomine ad hoc de iure idoneo. Dux seu comune Venetiarum si de eorum fuerit iurisdictione offendens, et comune Pisarum si de ipsius jurisdictione fuerit qui offendit infra quadraginta die sumaria facta examinatione de plano etiam non servata figura iudicii receptis testibus de iure comuni scripto recipiendis ex quo de offensa constiterit, non obstante in praedictis civitatibus Venetiarum seu Pisarum consuetudine aliqua vel statuto infra quindecim dies de bonis offendentis satisffieri faciat competenter offenso, si bona offendentis ad hoc sufficient, alioquin tradatur offenso cum libero et securo conductu et expensis Ducis praedicti vel Comunis Veneciarum si offendens fuerit venetus vel districtualis Venetiarum usque ferrariam vel abinde usque Placentiam et in placentia ubi elegerit offensus vel alius ad hoc idoneus, vel comunis Pisarum si de ipsius fuerit jurisdictione offendens donec versus Ianuam offensus exiverit Pisarum districtum. Et si satisffieri non possit offenso nec de bonis offendentis nec per ipsius traditionem \_(f. 19 rov. coi. 2) tum haberi non possit forestetur GIORNALE STORICO e LETTERARIO DELLA LIGURIA 389 seu baniatur nunquam reversurus donec offenso vel eius heredi per cum plene fuerit satisfactum. Et quod treuga firmius observetur promiserunt nomine quo supra sepedicti sindici et procuratores ducis et Comunis Veneciarum et Comunis Pisarum quod dux et propedicta (1) comunia facient et curabunt quod quan-documque navis seu lignum aliquod de quo Duci seu Comunibus praedictis vel eorum alterutri bona fide videbitur de Veneciis vel eius districtu, de Pisis vel eius districtu exiverit patronus navis seu ligni, seu is qui in navi vel ligno praeerit pro se et his qui erunt in nave seu ligno cavebit jdonee et jurabit de non offendendo Ianuenses vel Ianuensium districtuales toto suprascripto tempore 111 personis vel rebus terra mari vel alibi. Insuper sollepniter promittentes nomine quo supra quod Dux Venetiarum et Pisarum comunia praedicta omnia et singula per sindicos ad hoc sufficienter instructos denuo in praesentia domini Regis praedicti, si tamen in Sardinea Sicilia Tunisio seu in Garbo alibi fuerit firmari facient et iurari in animas Ducis et Comunium praedictorum, ita quod sindici applicent ubi rex fuerit ad longius in festo beati Andree apostoli domino concedente. Versa vice praedicti sindici et procuratores potestatis et comunis Ianuae nomine et vice comunis praedicti promiserunt praescriptis sindicis Ducis Veneciarum et Pisarum comunium nomine dicti Ducis comunium et eorum cuiuslibet recipientibus quod ab hodie usque ad quinquennium continuum et completum dictum Comune Ianuae per se vel per cives suos per quoslibet Comunis Ianuae districtualees seu per quoslibet alios non offendet nec offendi faciet Comunia Venetiarum et Pisarum (foglio 20 col. 1) vel eorum aliquod, civem aliquem Venetiarum vel Pisarum, Veneciarum seu Pisarum comunium aliquem districtualem tempore treugue praedicto infra mari seu alibi. Insuper promittentes quod si contigerit civem aliquem Ianuensem seu Comunis Ianuae aliquem districtualem offendere civem Venetiarum Ducis seu comunis Veneciarum aliquem districtualem, civem pisanum seu comunis Pisarum aliquem districtualem tempore treugue praedicto, infra mari seu alibi, quod exposita quaerimonia a veneto offenso vel districtuali comunis Vene-ciarum vel a pisano vel Comunis Pisarum districtuali seu eius herede vel alio eius nomine ad hoc de iure idoneo, quod potestas qui pro tempore fuerit et comune Ianuae infra quadraginta dies summaria facta examinatione de plano etiam non servata figura iudicii receptis testibus de iure comuni scripto recipiendis ex quo de offensa constiterit non obstante in praedicta civitate Ianuae 111 praemissis consuetudine aliqua vel statuto, infra quindecim dies de bonis offendentis satisiheri faciat competenter offenso, si bona offendentis ad hoc sufficiant, alioquin tradatur cum libero et securo conductu et expensis potestatis et Comunis Ianue si venetus vel venetiarum districtualis offensus fuerit usque placentiam et abinde usque ferrariam ct 111 ferraria ubi offensus elegerit vel alius ad hoc idoneus. Et si Pisanus offensus fuerit vel Pisarum districtualis donec (II ln Jllanats fogl. 189 coi. 1. « prope comunia praedicta » 390 GIORNALE STORICO E LETTERARIO DELLA LIGURIA versus (t) offensus exiverit comunis Ianuae districtum. Ht si satisffieri non possit offenso nec de bonis offendentis nec per ipsius traditionem cum liaberi non possit forestetur seu banniatur, nunquam reversurus donec offenso vel eius heredi per eum plene fuerit satisfactum. Et quod treugua firmius observetur (foglio 20 col, 2) promiserunt nomine quo supra sindici et procuratores Comunis Ianuae pro potestate qui pro tempore fuerit (2) Comune Ianuae facient et curabunt quod quandocunque navis seu aliud lignum de quo potestati seu comuni Ianue bona fide videbitur de Ianua vel eius districtu exiverit, patronus navis seu ligni vel is qui praeerit navi vel ligno pro se et his qui erunt in navi seu ligno cavebit idonee et jurabit de non offendendo Vene-ciarum cives seu Veneriarum districtuales, cives Pisarum seu comunis pisani districtuales. toto suprascripto tempore in personis vel rebus infra mari vel alibi. Insuper solempniter promittentes nomine quo supra pro potestate Ianue et Comune Ianue praedicta omnia et singula per sindicos ad hoc sufficienter instructos denuo in praesentia domini Regis praedicti, si tamen in Sardinea, Sicilia, Tunisio, seu in Garbo alibi (3) firmari facient in animas potestatis et comunis antedicti, ita quod sindici applicent ubi Rex fuerit ad longius in festo beati Andree apostoli domino concedente. Praedicta omnia et singula praedicti sindici Ducis Veneriarum et Pisarum comunium ex una parte et sindici et procuratores potestatis et Comunis Ianue nomine quo supra ex altera stipulatione vicaria et solempni sibi invicem nomine quo supra recipientes promiserunt attendere et servare, contra quam numquam venire toto supra scripto tempore, sub pena quadraginta milium marcharum argenti fini vicissim stipulata et promissa, a comuni non servante praedicta vel contra in aliquo faciente parti servanti seu in nullo contravenienti committenda atque solvenda, qua commissa et soluta nihilominus promiserunt quod praescripta omnia toto praedicto tempore illibatam habeant firmitatem (foglio 20 rarv. col. i) et ut supra debeant osservari inde obligantes ipsa comunia et bona eorum dictorum comunium praesentia et futura, et tactis sacrosanctis evangeliorum scripturis sepedicti sindici nomine quo supra in animas ducis et suorum comunium jura\ erunt. Et ad maiorem treugue praedicte seu praescriptorum comunium firmitatem pro praedictis omnibus et singulis firmius observandis sepedicti sin-dici Ducis et Comunis Venetiarum nomine Ducis et Comunis praedicti praesentibus et sibi expressim consentientibus sindicis Comunis Pisarum praedictis et sindici et procuratores potestatis et comunis Ianuae praedicti Veneriarum et Ianuae comunia cives et districtuales eorumdem comunium sumpmiserunt ecclesiae Romanae et per eam sanctissimo Pontifici quod possit et debeat futurus summus pontifex ferre in singulis personis comunis Veneriarum et Ianuae (D Qu. esentemente v'è nel testo un’omissione; doveva dire versus Pisa, offensor ex,ve, a etc. ovvero versus offensum. Ma anche in Blancus la dizione t uguale. ^2 Anche qui, come in B è evidente l’omissioni: della frase .. quod potestas ». (3) Omesso 111 P. ed in B. il fuerit. GIORNALE STORICO E LETTERARIO DELLA LIGURIA 39 l non servantes praedicta vel contra in aliquo facientes exomunicationis sententiam et in ipsa Comunia Veneciarum et Ianue non servantia vel contra in aliquo facientia sententiam interdicti quando praedictus summus pontifex per praedictum dominum Regem seu praedictorum Veneciarum et Ianuae comu-nium alterutrum fuerit requisitus. Nichilominus sibi invicem et vicissim sollem-pniter promittentes quod Dux et Comune Veneciarum potestas et Comune Ianuae dabunt pro praescriptis omnibus et singulis plenius observandis sufficientes et idoneos fideiussores, scilicet societates seu singulares personas in civitate Accon, vel in regno francie. qui se sollempniter et principaliter obligabunt pro dictis cotnunibus, scilicet utrumque comune dabit per se fideiussores idoneos in partibus Sirie vel in partibus francie usque in quantitatem suprascriptarum librarum vigintiquinque milium turonentium, de (foglio 20 rov. coi. 2) attendendis et observandis praedictis faciendo de ipsa obligatione et fideiussione fieri publicum instrumentum cum obligatione bonorum. Et in quo abrenuntiabunt nui de principibus se etiam taliter obligantes ipsi fideiussores et submittentes domino Regi franciae qui usque in dictam quantitatem ab eis et de bonis eorum exigere possit et occupare si ipsi domino Regi placuerit ad satisffa-ciendum offensis et usque in eam quantitatem de qua ipsis offensis satisffieri possit. Quae obligatio seu promissio fieri debeat sindicis dictorum comunium Veneciarum et Ianuae ad hoc specialiter constitutis usque kalendas madii proximi. Et de loco in quo debebunt dari dicti fideiussores et per eos fieri promissio se certificare debent Comunia usque ad kalendas octubri. Salvo tamen specialiter et excepto quod sindici Ducis et Comunis Veneciarum non intendunt nec intelligi volunt obligari in praedictis seu pro praedictis omnibus vel aliquo praedictorum aliquid de insula Cretae, seu de Accon vel de lyro vel de castro Corone eorumve pertinentiis. Et sindici pisani Comunis a suprascripta sua generali obligatione specialiter exceperunt ea quae habet Comune Pisarum in civitate Accon in Tyro et Syria et in insula Sardinee. et specialiter castellum Castri cum omnibus pertinentiis suis. Et sindici comunis Ianue non intendunt nec intelligi volunt obligari in praedictis seu pro praedictis vel aliquo praedictorum aliquid de his quae ad comune Ianue pertineat in Accon, in Tyro, in insula Cypri et in Syria vel in eorum pertinentiis, nec castrum Bonifatii cum pertinentiis ipsius. Imo sint haec a praedictis omnibus exceptata totaliter. Et salvis specialiter et exceptis comunis Ianuae conventibus quos habet dictum comune cum domino Thyri et eius liberis videlicet quod omnes Ianuenses qui sunt vel erunt apud Tyrum [(foglio 21 col. l) iurant et iurare debent quod ipsi in Tyro et in portu Tyri donec ibi erunt custodient salvabunt iuvahunt deffendent et manutenebunt toto eorum posse cum eorum omnibus personis cum tota gente sua et omnibus suis vasis contra omnem marinenem (1) gentis dominum Philippum de Monte forti dominum Tyri et heredes eius et gentem eorum et quemlibet eorum et castrum et (1) Anche in 1) la slessa stranissima parola (maritimam gentem fj. 392 GIORNALE STORICO E LETTERARIO DELLA LIGURIA civitatem Tyri et dictum portum sibi et heredibus suis et eorum tenutas ima rationes et res quas habent et habebunt quae omnia licite faceie possint non obstantibus supradictis. Salvis etiam specialiter et exceptis dicto comuni Ianue conventis infrascriptis quae habet Comune Ianuae eum excellentissimo domino Ivarolo rege Sicilie, videlicet quod Comune Ianuae tenetur cum decem galeis bene armatis ipsius comunis expensis in regno in mari regni in mari provincie et in provincia a monacho usque ad aquas mortuas iuvare et manutenere legem Karolum et eius heredes ad retencionem et recuperationem et deffensionem regni Siciliae duchatus apuliae principatus capue cum pertinentis suis et comitatus provinciae praedicti. Et eodem modo ut supra tenentur deffendeie et iuvare cum decem aliis galeis bene armatis sumptibus dicti domini Regis si eas habere voluerit. Tenentur etiam capere inimicos et publice bannitos ipsius domini Regis et eius heredum transeuntes stantes et redeuntes per terram Ianue et districtuales et eos captos in carcere detinere usque ad guerram dicti domini Regis finitam vel eos reddere dicto domino Regi vel eius heredibus. Item tenentur prohibere et deffendeie suo posse quod aliquis inimicus dicti domini Regis vel heredum suorum 11011 transibit manu armata vel sine armis in auxilium Pisanorum vel Guibelinorum vel [(foglio 21 col. 2) in offensionem seu invasionem domini Regis seu heredum suorum vel terre sue nec recipietur in Ianua vel districtu. Item non receptare per mare vel per terram in toto eorum districtu cum preda vel raubaria aliquem qui dampnum vel rau-bariam fecisset in terra vel mari dicti domini Regis vel heredum suorum tam in regno quam in provincia vel in homines seu res eorum. Imo toto posse bona fide ablata delata in Ianuam vel districtum Ianuae recuperare debet Comune Ianue et restituere spoliatis ita quod per istarum conventionum observantiam non intelligantur dicti Ianuenses vel eorum Comune in aliquo offendere dictam treugam, set ipsa omnia possint licite observare non obstantibus supradictis. Et nichilominus praedicta promissa in sua firmitate persistant. Nec Veneti intelligantur offendere dictam treuguam invadendo dominum Tyri vel gentem suam tam in tyro quam in portu, imo nichilominus dicta treuga inviolata subsistat. Acto etiam specialiter et convento infra sindicos suprascriptos quod non intelligatur fieri contra treuguam si detineantur hinc inde captivi qui nunc per comunia et eorum quodlibet detinentur. Et plura instrumenta per me loisium calvum de potestate notarium Ianue et Bonamiunctam de rivalto notarium de Pisis et Rustichinum benentendi notarium Veneciarum partes fieri rogaverunt. Actum in civitate Creinone in ecclesia sancti Bartholomei in presentia suprascriptorum ambaxatorum dicti domini Regis francie, praesentibus viris honorabilibus et religiosis fratre Iacobo ordinis praedicatorum priore provinciali in provincia lonbardie, fratre Philippo de Carixio eiusdem ordinis, fratre Iohanne eiusdem ordinis lectore in conventu vicentino, fratre Guirardino de Persico cremonensi eiusdem ordinis, magistro Iohanne luciano de montepesulano canonico magalonensi, domino Iohanne milite fratre dicti domini Iohannis ambaxiatoris, domino GIORNALE STORICO E LETTERARIO DELLA LIGURIA 393 Guillelmo poleno de Vernicila milite et Magistro Petro Roberti de Mon-lepessulano, presbitero Raimundo rectore dictae ecclesiae sancti Bartholomaei et aliis quampluribus ad haec specialir testibus vocatis et rogatis. Millesimo ducentesimo septuagesimo indictione duodecima die vigesima secunda augusti inter nonam et vesperas. Ego Loisius Calvus de Porta palatii sacri notarius rogatus scripsi. II. Estratto dalla tregua del jr dicembre 1283 fra Venezia c Genova (Pacta IV, f. 23) per (/nel che riguarda la malleveria degli ordini ecclesiastico-nulitarl di 7erra Santa. (Cfr. Libo Blancus, foglio 196). In nomine domini. Amen. Cum treuga olim celebrata esset in civitate Creinone inter dominum ducem et Comune Veneciarum seu eorum sindicos prò eis ex una parte et dominos potestatem capitaneum et Comune Ianue seu eorum sindicos ex altera, secundum formam de qua fit mentio in instrumentis scriptis unum per manum Leonini de sexto notarii. Millesimo ducentesimo octuagesimo indict. septima die XXV intrantis iunii inter vespeias et completorum, et altero per manum Leonardi deodato canonici sancti marci notario. Anno ab incarnatione domini· nostri ihesu christi millesimo ducentesimo octuagesimo mensis iunii die sexto exeunte indictione octava, et finis ipsius treugue appropinquaret................. ........Item promiserunt sibi adinvicem dicti sindici et procuratores. Comunis Veneciarum ex una parte et dicti sindici et procuratores potestatis et Comunis Ianuae ex alia distipulatione mutua hinc inde interveniente..... quod dominus Dux et Comune Veneciarum et dominus Potestas, Capitaneus et Comune Ianuae fideliter dabunt operam usque ad menses sex proximos quod civitates Tusciae, videlicet Florentia, Lucha et Sene vel aliqua seu alique ex eis securitatem facient vel faciet et plegie seu fideiussores seu plegia seu fideiussor erunt seu in solidum erit utrique parti pro alia Quod si praedictae civitates de Tuscia ut dictum est noluerint esse plegie seu fideiussores pro utroque Comuni dominus Dux et Comune Venetiarum et domini Potestas Capitaneus et Comune Ianuae dabunt pro suprascriptis omnibus et singulis plenius observandis sufficientes et ydoneos fideiussores in partibus Suriae. videlicet Mansionem Templi vel Mansionem hospitalis Sancti Iohannis vel Mansionem hospitalis alamannorum a kalendis Madii proxime venturis usque ad annum unum. Quod si ipsae vel aliquae ex eis mansionibus noluerint seu noluerit esse plegie seu fideiussores pro utroque comuni dicti dominus Dux et Comune Veneciarum et Potestas Capitaneus et Comune Ianue dabunt in partibus Italie sufficientes et ydoneos fideiussores scilicet societates seu singulares personas vel comune alicuius Civitatis qui solempniter et principaliter obligabunt pro praedictis comunibus, scilicet utramque comune dabit per se fideiussores in partibus Italie usque in quantitatem libraram vi- Ciorn. stor. e lett. d. Lig. II, 26 \ 394 GIORNALE STORICO E LETTERARIO DELLA LIGURIA gintiquinque milium luronensium de attendendis et observandis praedictis faciendo de ipsa obligatione et fideiussione fieri publicum instrumentum cum obligatione bonorum.................. III. Frammentaria istruzione agli ambasciatori veneziani spediti ai re di Francia per la tregua (Pergamena - Patti sciolti - Busta 4, N. 53). Modus autem qui per vos teneri debetur in facto Ianue de quo in commissione fit mentio hic est. Nam si Rex vobis dicet vel dici fecerit quod velit treguam inter nos et Ianuenses fieri audietis dictum ipsius et ad dictum eius respondebitis quod [vobis melius] (1) apparebit'volentes et committentes vobis quod inquirere debeatis si ambaxatores Ianuae erunt in Curia et si requisiti erunt de hoc et quid responderint in quantum scire poteritis [et si responderint] (2) quod vellint in hoc facere voluntatem domini regis et comis-sionem plenam habuerint super hoc volumus et vobis committimus quod vos nomine nostro et nomine comunis et hominum pysarum secundum formam commissionum vobis factarum super ipso facto tam per nos quam per potestatem et comune pysarum ad dictam treguam firmandam pro nobis et comuni pysarum ad terminum quinque annorum procedere debeatis ipsam ad dictum terminum pro nobis et ipsis pysanis confirmantes dantes operam quod talis per eos et per nos nomine nostro et nomine comunis et hominum pysarum securitas detur quod nos vel pysani ipsos Ianuenses nec ipsi nos vel pysanos modo aliquo infra terminum tregue offendere valeamus relinquentes in discretione vestra de ista securitate facienda et recipienda secundum quod vobis vel maiori parti melius apparebit. Attendentes quod nolumus quod per illam securitatem obligare possitis castrum de Corone seu aliquid de insula Cretae vel in accon aut in Tyro nec etiam quod per illam securitatem quam feceritis non simus obligati in aliquo pro pysanis sed ipsi pysani per virtutem comissionis predicte sint obligati secundum quod per virtutem commissionis poterunt obligari. Si autem Rex vel illi qui pro eo fuerint moverint questionem et dicent quod commissio pysanorum non sit facta ad plenum et quod non sit sufficiens poteritis dicere inter alia sicut et quando vobis videbitur quod ob voluntatem quam habemus adimplendi voluntatem et intentionem domini regis duos de maioribus ordinis fratrum praedicatorum fratrem Iohannem priorem fratrum de veneciis et fratrem danielem magistrum in theologia viros utique magne discretionis- pysas misimus propter hoc quibus commisimus omnia quae ad utilitatem facti cognovimus utilius committenda qui ultra quod vobiscum habetis optinere non posse.... credimus quod ad sufficientiam bene sit dummodo inter partes sit firma voluntas observandi treuguam dicentes in hoc et circa hoc quaecumque pro facto vobis utilia apparebunt. (1) Parole quasi illeggibili nella pergamena. (2) Come sopra. GIORNALE STORICO E LETTERARIO DELLA LIGURIA 3gf Si vero Rex vel Ianuenses firmi steterint et dixerint quod commissio py-sanorum non sit ad plenum et quod non potest plena securitas fieri prò pysanis dicetis quod parati estis facere pro pysanis talem securitatem qualis fieri poterit et talem recipere pro pysanis a Ianuensibus et pro nobis facere per virtutem commissionis quam habetis talem qualem opportunum erit et recipere dicendo semper salva conventione sive societate quam cum pysanis habemus [et salva pace quam cum Ianuensibus habent pysani in hiis quae * pysanos tangunt] (i). Si autem Rex vel illi qui pro eo erunt non essent inde contenti et per istam viam procedi non poterit et voluerint alia via temptare, volumus quod aliam viam primo notatam temptare debeatis videlicet quod inter nos et eos de lanua tregua firmetur ad illum terminum quem Rex ordinare voluerit dando operam ad habendum largiorem quem poteritis que firmetur et fiat salva societate sive conventione quam cum pysanis habemus quam modo praedicto nostro nomine si fieri poterit confirmetis Et si facerent questionem quod nollent ponere verbum illud poteritis dicere quod non debent inde facere quaestionem quia aliter non posset fieri et alia vice sicut cognoscunt factum fuit quando per nos et eos factum fuit compromissum. Si vero per modum tregue in facto procedi non posset et Rex vobis dixerit aut dici fecerit quod vellit (sic) nos cum Ianuensibus pacem habere et quod per vos et eos firmari debeat Inquiretis et sentietis si ambaxatores Ianue requisiti erunt de hoc facto et quid responderint et quomodo rex dicet quod vellit procedere ad factum pacis et si videbitis per ea quae dicentur in facto quod locum habeant aligare iura nostra et dicere excusaciones nostras portatis vobiscum unum scriptum et secundum illud scriptum et aliter secundum quod vestre discrecioni videbitur et per vos scietis dicere et aligare poteritis quae vobis utilia apparebunt. Et si forte in tractatu dicta erant verba pro parte Ianuensium vel tacta de dampnis datis quod satisfacio requiratur audietis quomodo illa verba dicentur volentes quod inter alia dicere debeatis quod vere mirandum est de tali requisitione cum non ipsi iuste satisfacionem aliquam petere possint cum iuste in eorum culpam dampna quae receperunt receperint secundum quod monstrari potest aperte et ut habetis in scriptis et quod nullo modo accidere posset quod satisfacionem aliquam haberent si nos iuste et rationabiliter restitutionem petere possumus et debemus cum post compromissum in dominum papam per nos et eos factum et stando in compromisso nos offenderint et in multis secundum quod habetis in scriptis quod aperte probari potest et dicendo super hoc quod vobis dicendum pro utilitate facti videbitur audietis quod per regem dicetur seu per illos qui pro eo fuerint. Et si Rex dixerit quod vellit ex toto pacem esse et perierit a vobis si commissionem habetis pro pace firmanda inquiretis et scietis si ambaxatores Ianuae habebunt commissionem ad hoc et si habebunt et ad pacem condescendere voluerint ostendetis commissionem quam a nobis habetis vel (i) Aggiunta della stessa mano, ma in carattere più minuto nell’interlinea, 396 GIORNALE STORICO E LETTERARIO DELLA LIGURIA antea quando vobis videbitur pacem ipsam nostro nomine confirmantes, lit ie-linquimus in discrecione vestra ad ponendum et factum pacis secundum quod per vos melius fieri poterit dummodo de satisfactione nihil dicatur attendentes si per ea quae dicta et tractata fuerint pax intervenerit talis per nos et eos melius apparebit. Nolentes tamen quod propter istam securitatem debeatis obii gare castrum de'Corone vel aliquid de insula Cretae seu de Accon vel de tyio habentes memorie ad dicendum quando vobis videbitur antequam sitis ligati ad factum quod hanc pacem facere volumus salva societate sive conventione quam cum pysanis habemus quam observare volumus ut tenemur nec aliter volumus quod ad ipsam formandam procedere debeatis, et si acciderit quod procedatur ad factum sive per viam pacis sive per viam tregue et rex quesieiit quod captivi ex utraque parte relaxentur volumus quod dicere debeatis eidem quod tantus est amor quem ad suam personam gerimus quod in proposito nostro firmavimus omnia velle quae sue Altitudini possint et debeant esse grata ct condescendatis ad ipsos captivos relaxandos promittentes si pax vel tregua firmata erit quod ipsos relaxari faciemus dummodo ipsi Ianuenses nostros simili modo dimittant. Praeterea si acciderit quod factum pei dominum Regem per treguam compleri voluerint et per Ianuenses dictum erit quod velint ponere nobilem virum Phylippum de monteforti in tregua ipsa volumus quod exponatis qualiter tenet quae nostra sunt et tenuit in tyio longis tem poribus iam elapsis (i) et postquam volunt quod sit in tregua dominus rex debet velle quod esse debeat cum hiis quae conveniantur et portare possimus. Non enim esset conveniens sicut sua excellentia recognoscit quod teneie debeat nos spoliatos de terris rationibus et jurisdictionibus nostris et ipsi treguam facere deberemus, sed si placet domino Regi et voluerit quod in tregua ponatur facere volumus postquam ei placet, cum condicione tamen quod notis restituat terras et possessiones nostras quas habemus et habere debemus in tyro secundum quod erant quando nobis abstulit et secundum quod nunc sunt cum fructibus inde perceptis ab illo tempore citra, dicentes in hoc et circa hoc quaecumque vobis utilia apparebunt. Et si forte de usufru-ctibus 11011 poteritis obtinere volumus quod sitis contenti quod nobis lestitual possessiones nostras praedictas cum iuribus rationibus jurisdictionibus et honori-ficientiis nostris quia aliter nolumus quod per vos ponatur in tiegua. Nani sicut dominus Rex bene cognoscit 11011 esset pro nobis conveniens quod esset in tregua nobiscum et teneret nos spoliatos. Si vero acciderit quod factum per modum pacis sive tregue compleri voluerint et Ianuenses voluerint dicere quod velint hoc facere ponendo hoc verbum salva societate sive pacto quam vel quod habent cum ipso phylippo committimus vobis quod requiratis quod ostendant qualem societatem habent cum eo et quod facere debeatis cum condicione quod nobis restituat terram et possessiones praedictas ut dictura est cum iuribus, rationibus, iurisdictionibus et honorificientiis nostris. Et m (i) Qui v’ ha nel testo una chiamata, che non ha risposta nel foglio, GIORNALE STORICO E LETTERARIO DELLA LIGURIA 397 forte sic opiinere non poteritis in fine ante quam factum remaneat sitis contenti quod fiat cum ilio verbo salva societate sive pacto quam vel quod liabent cum ipso Phylippo, relinquentes in discretione vestra de usufructibus requirendis vel dimittendis si obtinere 11011 poteritis sicut vobis vel maiori parti videbitur. Et si rex dixerit quod velit accipere factum super se ipsius Phylippi ad concordandum ipsum factum in vestra discretione relinquemus faciendi inde quod vobis vel maiori [parti] (1) videbitur melius pro utilitate facti. Ad lioc autem sciatis quod pisam misimus ad faciendum quod commissionem eorum magis plenam faciant vel declarent eorum intellectum, quam responsionem ad vos mittemus ut possitis inde esse instructi. Datum 111 nostro ducali palacio dic decimo intrantis mensis aprilis Indict. tertiadecima curr. anno domini millesimo ducentesimo septuagesimo. IV. Rettifica dell' alleanza di Venezia con Pisa del /7 Dicenibte 1265. (Aieh. Yènezia - 1 ei-ganiena - Busta V - Patti sciolti, N. 74). In eterni dei nomine amen. Ad honorem dei et gloriose virginis Marie et beati Marci evangeliste ac omnium sanctorum et sanctarum dei. Et ad promotionem et exaltationem Magnifici viri domini Iohaiinis dandulo dei gratia Venetiarum- Dalmaciac atque Croacie Ducis et domini quarte paitis et dimidie totius Imperii Romanie et Comunis et hominum \ enetiarum et Magnifici viri domini Ugolini Comitis de donnoratico domini sexte partis Regni Kallaritani Pisarum dei gratia potestatis et domini Capitanei et Antianorum pisani populi ac Comunis et hominum Pisarum et omnium qui pro Venetis et Pisanis se distringunt et defendunt. Cum per nobiles viros Iohannem ferro et Petrum Baroccium nuntios ambaxiatores sindicos et procuratores domini Ducis Venetiarum et Comunis Venetiarum sindicatus et procuratorio nomine pro ipsis domino Duce et Comuni Venetiarum ex una parte et Gualteroctum Samperatis et Bonnanum de Templo ambaxatores sindicos et procuratores et certos nuntios Potestatis et Comunis Pisarum sindicatus et procuratorio nomine pro comuni pisano ex altera parte pro ipsis comunibus societas et fe-deratio et anio facta fuerit inter ipsa Comunia contra Ianuenses et qui pro Ianuensibus se distringunt et defendunt et Ianuensi nomine consentiunt sub modis tenoribus conventionibus pactis et obligationibus comprehensis in lustramento vel Instrumentis societatis, unionis, confederationis praedictae inde rogato vel rogatis per Melliorinum de Arpo sacri palacii notario et Matheum Salvii notarium sub anno domini ab eius Incarnatione Millesimo Ducentesimo Quinquagesimo Septimo Indictione quintadecima die mercurii exeunte Iulio secundum cursum Venetorum et Millesimo Duccntesinio Quinquagesimo Octavo Indictione quintadecima dic mercurii quintodecimo kalendas Augusti secundum cursum Pisanorum. Quae quidem societas, unio et confederatio facta fuit inita (i) La parola « parli » è omessa nella pergamena. 398 GIORNALE STORICO E LETTERARIO DELLA LIGURIA et contracta in terniimo et spatio decem annorum proxime venturorum et plus tantum quantum utrique Comuni complacuerit. Et postmodum dicte societatis terminus fuerit prorogatus in termino quinque annorum a die finis termini praedicte societatis in antea proxime venturorum sub praedictis modis tenoribus conventionibus pactis conditionibus et obligationibus per nobiles viros Nicolaum Michaelem et Nicolaum quirinum sindicos et procuratores magnifici viri domini Rainerii geno tunc Ducis Venetiarum sindicatus et procuratorio nomine pro ipso domino Duce et Comuni Veneriarum ex una parte et Ugonem Guicti iudicem et Rainerium Ramondini masche, sindicos et procuratores domini Alberti de Turricella dei gratia tunc Pisanorum Potestatis et comune Pisarum sindicatus et procuratorio nomine pro comuni pisano ex alia per cartam inde rogatam a Matheo Salvii notario sub anno domini millesimo ducentesimo sexagesimo quinto indictione nona mense Martii die decimo ante kalendas. Et postea etiam eiusdem societatis terminus prorogatus fuerit in termino aliorum quinque annorum a die finis termini prorogationis factae ipsius societatis in antea tunc proxime venturorum sub eisdem modis tenoribus condictionibus pactis conventionibus et obligationibus per Laurentium notarium domini Laurentii teopulo (i) tunc Ducis venetiarum sindicum ipsius domini Ducis et Comunis Venetiarum sindicatus et procuratorio nomine pro Comuni Venetiarum ex una parte et dominos Guidonem Pellarii de Sancto Casciano et Petrum Ingurdi iurisperitum sindicos et procuratores Potestatis et Comunis Pisani sindicatus et procuratorio nomine pro Comuni Pisano ex altera per cartam vel cartas inde rogatam vel rogatas apud Venetias per Bonamiuntam de Ravalto notarium civem Pisanum et per Conradum notarium et Cancellarium tunc dicti domini Ducis sub anno domini ab eius Incarnatione Millesimo ducentesimo septuagesimo mense Iulii die tertio decimo exeunte secundum cursum venetorum. Et postea etiam eiusdem societatis terminus prorogatus fuerit in termino aliorum quinque annorum a die finis termini prorogationis factae ipsius societa.tis in antea tunc proxime venturorum sub eisdem modis tenoribus conventionibus pactis condictionibus et obligationibus per Paulum Be-rardi notarium sindicum et procuratorem illustris viri domini Iacopi contareni Ducis Venetiarum et Comunis Venetiarum sindicatus et procuratorio nomine pro Comuni pisano ex una parte et dominum Guidonem mascham Iudicem civem Pisanum sindicum et procuratorem Potestatis et Comunis Pisani sindicatus et procuratorio nomine prò Comuni pisano ex altera parte per cartam inde rogatam a Iacobo Ildebrandi urselli notario publico tunc cancellarie pisani comunis sub anno domini Millesimo ducentesimo septuagesimo septimo Indictione quinta quarto decimo kalendas Decembris secundum cursum Pisanorum. Et postea etiam eiusdem societatis terminus prorogatus fuerit in termino aliorum quinque annorum a die finis termini prorogationis factae ipsius societatis in antea tunc proxime vencturorum sub eisdem modis, te- (i) Nel testo è scritto letteralmente temptlo. GIORNALE STORICO E LETTERARIO DELLA LIGURIA 399 noribus condictionibus pactis convenctionibus et obligationibus per dominum Guidonem Tranci Iudicem pisanum civem sindicum et procuratorem domini Rainaldi de Riva de Mantua secunda vice tunc dei gratia Potestatis et Comunis pisani sindicatus et procuratorio nomine prò comuni Pisano ex una parte et Rustichinum Benentendi notarium Illustris viri domini Iacobi Contareni ducis venetiarum sindicum et procuratorem domini Nicholay Navagosi consiliarii eiusdem praedicti domini Ducis vicem gerentis suprascripti domini ducis propter infirmitatem absentis et Comunis Venetiarum ex altera per car-tam inde rogatam a Rainerio de Lucchese notario publico tunc Cancellarie pisani Comunis sub anno domini Millesimo ducentesimo Octuagesimo Indictione Octava decimo Kalendas Decembris secundum cursum Pisanorum. Nos Marzuccus Scorniscianus Iudex sindicus et procurator Pisani comunis ad infrascripta omnia constitutus a Magnifico viro domino Ugolino Comite de Donnoratico domino sexte partis Regni Kallaritani Pisanorum dei gratia Potestate et domino Rodulfo de Guazalotis de Prato Capitaneo et Antianis pisani populi praesentia consilio et consensu Consiliariorum Consilii specialis et generalis Pisani Comunis et ab ipsis Consiliariis et Consilio una cum su-pradictis domino Potestate Capitaneo et Antianis pisani populi per cartam inde rogatam a Benencasa Gemme notario Cancellario Pisani Comunis sub anno domini Millesimo ducentesimo Octuagesimo Sexto Indictione quartade-cima sextodecimo kalendas Ianuarii secundum cursum Pisanorum sindicatus et procuratorio nomine pro Comuni Pisano ex una parte. Et Rustichinus Benentendi notarius sindicus et procurator Illustris viri domini Iohannis dandulo dei gratia venetiarum Dalmaciae atque Croaciae Dncis et domini quartae partis et dimidie totius Imperii Romanie et Comunis Venetiarum ad infrascripta specialiter constitutas a dicto domino Duce de expresso consensu et voluntate minoris et generalis Consilii sui et Comunis Venetiarum per cartam inde rogatam a Tanto notario et Ducalis Aule Venetiarum Cancellario sub anno Incarnationis domini Millesimo ducentesimo Octuagesimo quinto die quintodecimo decembris quartedecime ludictionis secundum cursum Venetorum et Bulla plumbea comunis Venetiarum bullatam et a Rannucino Ildebrandi urselli notario qui hanc cartam rogavit visam et lectam sindicatus et procuratorio nomine pro dicto domino duce et Comuni Venetiarum ex altera parte terminum praedictae societatis et unionis et confederationis quae est inter dominum ducem et Comune Venetiarum ex una parte et Comune Pisanum ex altera contra Ianuenses et qui pro Ianuensibus se defendunt et distringunt et qui Ianuensium nomine consentiunt et ipsam societatem unionem et confederationem prorogamus et confirmamus in termino et per terminum quinque annorum a die finis termini facte prorogationis per supra-dictos Guidonem Trunci Iudicem et Rustichinum Benintendi notarium ut supradictum et supradicte in antea tunc proxime venturorum et tantum plus quantum utiique Comuni placuerit sub modis tamen tenoribus conventionibus pactis conditionibus et obligationibus factis et comprehensis in supradictis 400 GIORNALE STORICO E LETTERARIO DELLA LIGURIA Instrumento vel Instrumentis societatis unionis et confederationis praedicit. Quam quidem societatem unionem et confederationem ac ipsius societatis unionis et confederationis prorogationem et confirmationem ad praesens per nos factam ut supradictum est Ego Rustichinus suprascriptus super animas praedicti domini ducis Venetiarum et omnium de Consilio Venetiarum ac omnium hominum de Venetiis iuro ad sancta dei evangelia habita ab eodem domino Duce et Consilio venetiarum licentia sic iurandi praedictum dominum Ducem et homines et Comune Venetiarum per totum praedictum tempus quinque annoi um servaturos obligando inde me ad hoc pro ipso domine Duce et Comuni Venetiarum et ipsos dominum Ducem et Comune Venetiarum et bona ipsius Comunis Venetiarum Et ego Marzuccus scorniscianus suprascriptus pio Comum Pisano super animas praedictorum dominorum Potestatis Capitanei et Antia-norum pisani populi et omnium de Consilio Civitatis Pisanae et hominum Pisani Comunis Iuro ad sancta dei evangelia habita ab eisdem dominis Potestate Capitaneo et Antianis et omnibus de suprascripto Consilio licentia sic iurandi praedictos dominos Potestatem Capitaneum et Antianos Pisani Comunis ac populi qui pro tempore fuerint et homines et Comune Pisarum per totum praedictum tempus quinque annorum similiter integre servaturos obligando inde me ad hoc sindicatus ac procuratorio nomine pro cornum Pisano et ipsum Comune Pisanum et eius bona. Actum Pisis in solai io Palatii Pisani Comunis ubi fiunt Consilia Pisani Comunis praesentibus domino Locto Gacto Iudice et domino Ugone Riccii Iurispr. et domino Petro Ricucchi Iudice et Benencasa Gemme notario Cancellario pisani Comunis et Bonamventura de Buiti notario publico Antianorum pisani populi ct aliis pluribus testibus ad haec rogatis. Dominicae Incarnationis Anno Millesimo Ducentesimo Octuagesimo Sexto Indictione quartadecima sextodecimo Kalendas Ianuarii secundum Cursum pisanorum. Ego Ranuccinus filius quondam Ildebrandi Urselli Imperatoriae dignitatis Iudex ordinarius atque notarius et nunc Cancellarius Pisani comunis scriba publicus praedictis omnibus interfui et hanc inde cartam a me rogatam rogatus scripsi et in publicam formam redegi. V. Decreto di apertura delta terra dei 16 marzo 1284, in cui si parla del ripreso commercio iti Cipro, iti Egitto, in Armenia, iti Barberia etc. (Registro Luna foglio 33, Arch. di Stato di Venezia). (Vadis pars) quod terra aperiatur cum condicionibus infrascriptis, scilicet quod homines Venecie possint ire ad mercatum in Romaniam, excepto ad terras Paleologi et Cypri quandocumque eis placuerit a kalendis maii usque per totum ipsum mensem maji cum hac conditione quod non possint inde dividere prò ire ultramare et in Alexandriam et in Cyprum ct in Armeniam nisi a medio mensis septembris in antea et si iverint sint ad illam conditionem GIORNALE STORICO E LETTERARIO DELLA LIGURIA 4OÌ ad quam erunt illi qui ibunt cum caravana augusti et non possint inde dividere prò venire Venecias visi a medio mensis Septembris usque ad Kalendas Octubris, salvo quod illi de corone et clarentia possint movere quando eis placuerit pro venire venecias. Verumtamen dicti homines Veneciarum usque ad medium mensis septembris praedicti non possint vendere neque committere alicui neque mittere per se vel per alios mei stagnum rame non laboratum usque ad dictum medium mensis Septembris sub pena quanti imposita illis qui contra ordinem vadunt. Item quod illi veneti qui de corone et de clarentia voluerint venire in Apuliam (i) cum turonensibus vel alio in cambio et de Appulia voluerint redire Clarentiam et Coronem cum denariis grossis et alio in cambio possint ire et redire quando voluerint in dictas contratas. Item qui voluerint ire in calabriam, principatum et terram laboris vadant quando eis placuerit et revertantur quando eis videbitur cum mercationibus quae ibi nascuntur et possint inde dividere pro ire ad alias partes quando eis placuerit. Et a. medio mensis septembris possint eciam ire cum argento et aliis mercationibus et si iverint sint ad illam conditionem ad quam eunt illi qui ibunt cum caravana augusti, verumtamen non possint vendere neque committere alicui neque mittere per se vel per alios mei stagnum rame non laboratum usque ad dictum medium mensis septembris sub pena quanti imposita illis qui contra ordinem vadunt. Item illi qui voluerint ire tunixium et bugeam per totum garbum et in barbariam possint ire quando eis placuerit a Kalendis maji usque per totum ipsum mensem maji et possint movere inde pro venire venecias quando eis placuerit et si voluerint ire ultra mare seu in Alexandriani et Cyprum et in Armeniam non possint movere nisi a medio septembris in antea et si iverint sint ad illam condicionem ad quam erunt illi qui ibunt cum caravana augusti, verumtamen de meile, stagno et rame non laborato et pena quanti sint ad illam conditionem quae dicta est super. (1) È strano che i prudentissimi veneziani permettessero la libera navigazione nel-I’ Italia meridionale nel momento appunto in cui più grave era il pericolo della navigazione per la guerra angioino-aragonese, e il mare era corso dalle squadie di Sicilia. Forse la rigorosa neutralità, osservata da Venezia, la affidava che la sua bandiera fosse rispettata da ambedue le parti. 402 GIORNALE STORICO E LETTERARIO DELLA LIGURIA PAOLO PARTENOPEO NOTIZIE BIOGRAFICHE E BIBLIOGRAFICHE I. Innanzi agli annali genovesi che il Partenopeo lasciò manoscritti, si leggono i versi seguenti (i): Author Quid ? Res sunt Lygurum gestae. Quo tempore ? pulchrae Libertatis. Quis scriptor et author ? Age : Est, cui Parthenope dederat cognomina, Paulus : Mox Genuae est factus Francus, et ipse Lygur. Vuol dunque dire che ebbe il cognome dalla patria, e fu perciò napoletano; cognome col quale soleva farsi chiamare, ed è quello che gli rimase, quantunque non fosse della sua casata. Appartenne infatti alla famiglia Bruto o de' Bruti, come si rileva dalla iscrizione sepolcrale già esistente nella chiesa di S. Francesco in Bologna, e da un istrumento dell’anno 1526 in cui viene chiamato : Paulus de Brutis domini Marci nuncupatus Parthenopeiis (2); egli stesso poi una sol volta scrisse in fronte ad una orazione : Pauli Bruti Franci Parthenopaei (3). Nulla sappiamo della sua giovinezza, ma dalle brevi parole in cui accenna, assai sobriamente, ai casi suoi nel primo trentennio di sua vita, ci sembra dover dedurre che fosse alquanto avventurosa. (1) Spotorno, Storia letter. d. Liguria, Genova, 1826; IV, 24“, e cfr. anche III, 22 sgg. (2) R. Arch. di Stato. Sez. Not. Atti di Francesco Clavarino Pallavicino, fil. unica, n. 120. Debbo questa indicazione alla cortesia di Marcello Staglieno. (3) Annales ms. Cod. aut., in Bibl. Civica, Dl>«s 4. 3. 14, p. 483. Questo Franci da alcuno, equivocando, fu jjreso per Francesco. — L’autore nel ms. cit. che è autografo, ha voluto produrre il suo stemma, che è d' azzurro alla stella d’ oro, e così si vede delineato nel Fransoni, Nobiltà di Genova (Genova, 1636) alla famiglia De P'ranchi nel cui albergo venne ascritto il Partenopeo. Ora a Napoli non si trova, per quel che abbiamo potuto sapere, una famiglia Bruto fra le insignite di uno stemma, ben esso si vede nella forma indicata fra i quattro appartenenti alla famiglia Franco. L’ essere stato ascritto in albergo De Franchi ha forse indotto il nostro ad appropriarsi lo stemma dei Franco di Napoli ? GIORNALE STORICO E LETTERARIO DELLA LIGURIA 4O3 Nacque nel 149° e venne a Genova all’ età di trentun anno. Fino a questo punto avea trattato le armi, combattendo, secondo egli dice, sotto la guida di illustri capitani, e non immeritamente ; costretto perciò a peregrinare di frequente da un luogo all’ altro. Tuttavia non giunse in Genova privo affatto di averi, da che vediamo com’egli stesso asserisca: « quicquid fortunam alibi meo labore atque industria paraveram, in commune contuli » (1); ben ci è ignoto di qual sorta fossero questo lavoro e questa industria. Del pari ignoriamo se nulla abbia scritto innanzi che ponesse stabile dimora in questa città, dove alcuni anni dopo il suo arrivo contrasse matrimonio con una giovane di onesta famiglia, Francesca figliuola di Marco degli Abbati (2). La sua venuta coincide con gli anni fortunosi 1521 e 1522 in cui le fazioni interne dilaniavano la repubblica, e la capitale assalita dagli imperiali, vittoriosi nella prima guerra degli emuli possenti, venne afflitta da quel terribile saccheggio che registra la storia, e che porse argomento a poesie classiche e popolari. Il Partenopeo dovette assai probabilmente capitare a Genova con i soldati di Carlo V, e quivi, stanco di quella vita disagiata e randagia,, ricercare la tranquillità negli studi. In questa sua nuova dimora si procacciò la benevolenza e il favore di ogni ordine di cittadini, e, abbandonata la spada, si diede tutto intero a coltivare le lettere, di cui non aveva per fermo scarsa conoscenza, ed è a credere porgesse del suo valore chiare testimonianze, perchè dopo le riforme del 1528, delle quali e del D’Oria che le promosse si mostra partigiano ardentissimo, istituita nel 1531 la scuola quotidiana di rettorica, a lui venne affidata, aggiungendovi indi a poco l’incarico di scrivere gli annali della repubblica. « Die decimo octavo Julii », sono sue parole, « decreto sanxerunt ut conductus aere publico qui duas ex humanioribus literis lectiones publice quottidie interpretaretur Genuae doctor esset, nam quamvis multis ab hinc annis instituta fuisset lectio publica, non tamen nisi festis diebus, ne his quidem continuis, publice legebatur. Praeterea constituerunt ut annalibus scribendis maior cura adhiberetur, quod utrunque munus mihi Paulo Parthenopaeo cunctis suffragiis ab amplissimo senatu de- li) Queste notizie si rilevano dalla dedicatoria agli annali. (2) Atto cit. in cui rilascia quitanza per un residuo di dote. 404 GIORNALE STORICO E LETTERARIO DELLA LIGURIA latum fuit » (i). E di fatto il decreto reca appunto ne’ registri de’ cancellieri quella data (2). Se non che la deliberazione non ebbe subito effetto in riguardo al secondo incarico, perchè non essendo stato revocato il decreto col quale già da parecchi anni l’ufficio di annalista si era conferito a Benedetto Tagliacarne (il ben noto Teocreno istitutore dei figli di Francesco I), il Senato voleva evitare il pericolo di dover far ragione ai diritti che questi potesse mettere innanzi. Ma la difficoltà venne in breve appianata, e al duplice ufficio egli attese tosto con diligenza e solerzia. Passato però il primo anno e pur continuando per tacito consenso a compiere il debito, si vide all’ aprirsi del terzo sospeso Γ assegnatogli compenso, con il pretesto che non era intervenuta deliberazione per rinnovare l’incarico; ond’egli se ne richiamò al governo, affinchè fosse provveduto alla sua condizione secondo giustizia ed equità; < per Christi viscera, et per charissimae Patriae Charitatem rogat », si volge così ai senatori, « atque obtestatur, ut sibi de suis laboribus et vigiliis quibus se, uxorem, septemque parvulos liberos nutrit, et sustentat, quamprimum, ex singulari gratia provideri iubcatis ». E la conferma fu subito data e lo stipendio pagato (3). Non appena gli venne affidato l’insegnamento, che doveva incominciare nell’autunno del 1531, il senato gli commise di recitare in S. Lorenzo l’orazione per la ricorrenza della ricuperata libertà il dodici settembre, ed egli ne prese argomento a dissertare sulla utilità degli studi, onde quel discorso si potrebbe considerare come la prolusione al suo magistero. Da questo punto il Partenopeo diventa l’oratore ufficiale del governo, poiché in quasi tutte le opportunità pubbliche egli è chiamato a parlare; la morte di personaggi illustri, l’entrata in ufficio di nuovi governatori, l'annuale commemorazione della libertà, gli porgono modo di comporre le sue orazioni (4). Nè (1) Annales ms. cit., p. 148. (2) Arch. cit., Manuali del Senato, n. 753. (3) Arch. cit., Senato, fìl. 11. La domanda è autografa. (4) Allorquando nel 1533 il Senato, dopo la concessione del privilegio, seppe, per relazione di Lorenzo Lomellino Sorba, che « Antonium Bellonum lliaurinesem nuper ad civitatem accessisse et secum atulisse caracteres et figuras 1 iterarum ceteraque omnia instrumenta ad artem sdì magisterium ini- GIORNALE STORICO E LETTERARIO DELLA LIGURIA 4O5 doveva indi a breve mancare un segno manifesto e cospicuo del pubblico gradimento, per 1’ affetto e la sollecitudine che il Partenopeo dimostrava verso la seconda sua patria; infatti il 26 dicembre del 1534 il senato, riconoscendolo « de republica benemeritum », e degno « ob eius virtutem et doctrinam » d’esser fatto cittadino nobile, lo elegge ad unanimità a far parte di quest’ordine, e il 28 viene ascritto, secondo la legge, nell’albergo De Franchi (1). Al conseguimento della quale onorificenza non è fuor di luogo il credere abbia contribuito il favore di Andrea D’Oria, che lo aveva accolto fra i suoi fa-migliari (2), secondo afferma l’iscrizione sepolcrale, donde si rileva altresì che ottenne onorevoli distinzioni dal cardinale Girolamo Grimaldi, e fu insignito da Carlo V del titolo di cavaliere e di conte palatino. Intanto mentre dava opera all’insegnamento, attendeva assiduamente alla composizione degli annali, muovendo dall’anno 1528, e perciò la sua narrazione svolge il periodo contemporaneo, que’ fatti cioè ai quali egli fu presente e conobbe per via diretta da coloro che v’ebbero parte, o da attendibili documenti. Fra il 1536 e il 1537 presentò al governo il suo lavoro con il proposito di mandarlo alle stampe accompagnato dalle orazioni, una delle quali era già stata impressa nel 1534. « Has itaque orationes », dice nella dedicatoria in data i° agosto 1536, « cum his annalibus sub felicissimis auspicis vestris in publicum prodire volui ». La qual ferma intenzione di porre a stampa queste pressure necessaria », elegge « eruditum virum et de literis bene meritum Paulum Parthenopeum » affinchè, insieme a Pietro Oliva, esamini « caracteres ipsos et figuras, an sint juxta convento, cum esse debeant de impressione seu stampe Basilee aut ex meliori Italie » (Arch. cit. Senato, fil. 6). Ed egli riferisce unitamente al collega, e sono perciò emanate le concessioni e i privilegi dallo stampatore domandati, del quale avvenimento pur tien nota ne’ suoi annali (cfr. Giuliani, Notizie sulla tipografia ligure, in Atti Soc. Lig. d. Stor. Pat., IX, 64, 484 sgg.'. (i) Arch. cit. Manuali cit., n. 756. 121 Una prova eloquente della benevolenza di Andra D’Oria l’abbiamo dalla commendatizia con la quale lo presentò al duca di Mantova nel 1536, allorquando il Partenopeo si condusse in quella città per suoi particolari negozi (cfr. Neri, Andrea D’Oria e la Corte di Mantova, Genova, Sordo-Muti, 1898, p. 19). 406 GIORNALE STORICO e LETTERARIO DELLA LIGURIA ► sue opere meglio appare manifesta da una sua lettera del i° dicembre, con la quale dedica ai fratelli Francesco, Lazzaro e Simone Pallavicini l’orazione in lode di Agostino loro genitore, e da quelle del i° e 13 novembre dell’anno successivo con cui indirizza altre due orazioni rispettivamente a Federico Fregoso e a Niccolò Pinelli (1). Ma il disegno non ebbe effetto, nè sapremmo dirne la cagione, che forse è da ricercare nella revisione dei deputati a sopravvegliare quel lavoro, e nei suggerimenti dati da essi o nelle correzioni proposte. Comunque sia, egli proseguì a scrivere gli annali di mano in mano, conducendoli fino alla metà del 1541, quantunque verso la fine appariscano segni evidenti di fretta e di stanchezza, di guisa che le ultime pagine potrebbero dirsi piuttosto cenni od appunti anziché vera esposizione storica. L’età s’andava avanzando, e con essa gli acciacchi; il peso per l’accasamento e per l’educazione dei sette figliuoli (2) diventava ognor più grave, e il salario (1) Bibliot. Civica. Cod. del 1786, Dbis. 5. 27, p. 275. — Bibl. di S. M. in Torino, Cod. sec. XVIII, Stor. Pat. 303, pp. 458, 540. — Mentre stava preparando gli annali per la stampa, mandò la narrazione riguardante i fatti del 1536 al suo amico Stefano Fiesco con una lettera in data 12 dicembre i536, nella quale conchiude: « Hunc libellum rerum nostrarum mitto, rogans ne eum adhuc rudem in vulgus exire permittas, sed ubi primum legeris, effice, ut ad nos accuratiori studio limandus redeat » (Annales ms. Cod. sec. XVII, T. V. 22, p. 128; in R. Arch. di Stato, Torino). (2) Una figlia, Giulia, fu moglie di Lorenzo Conti (Arch. cit., Not. Stefano Tubino, fil. 17) scrittore genovese, del quale si sa ben poco. Lo Spotorno appena lo ricorda (Stor. lett. cit., Vol. IV, p. 262). Alcune maggiori notizie si possono rilevare dalle prefazioni che vanno innanzi ai libri da lui tradotti. Fu a Parigi nella sua giovinezza per ragione di studi ; ebbe poi la laurea in giurisprudenza, e venne ascritto al Collegio dei Dottori in Genova. Dovette professare 1’ avvocatura, e per questo forse afferma che il tradurre era « operatione dalla professione » sua « lontana assai ». Tuttavia già nel 1579 dava fuori la versione degli elogi di Oberto Foglietta, clie egli soleva spiegare ad un amico suo degli Spinola, il quale « attendendo al traffico della mercatantia, come il più fanno de’ gentilhuomini » genovesi, « non capeva a pieno l’intendimento dell’autore » ; cosi « a sue persuasioni » scrisse il volgarizzamento, « tutto che fusse cosa, la quale punto non si confaceva all’ humore, nè alla professione » sua. Nel 1584 andò, per incarico della Repubblica « a trattare alcune cose con Monsignore il Gran Priore di Francia, Viceré di Provenza » e cioè' la estradizione di due pericolosissimi banditi, se- GIORNALE STORICO E LETTERARIO DELLA LIGURIA 407 sottile in confronto de’ bisogni crescenti; le pratiche a fine di ottenere un aumento conveniente erano riuscite infruttuose. Da ciò i primi dissapori con il governo, e poi 1’ aperta rottura quando la necessità di provvedere agli studi per i figli lo co- condo ci manifestano le pubbliche carte (Arch. cit. Secretorum, Fil. 2 - 1557); da lui ebbe in dono l’opera del Bodino intorno alla repubblica,'e a suo consiglio la tradusse poi in italiano negli ozi di Varazze, dove s’ era ritratto nel 1587 per ragioni, sembra, di salute. Alcuni anni dopo, assistendo ad uno di quei convegni signorili, che soleva tenere nelle sue sale monsignor Angelo Giustiniani, vescovo di Ginevra, ne’ quali « i migliori cittadini di Genova sogliono, come in celebre e venerando luogo, sovente raunarsi, per sentire da quello singolarissimo et innocentissimo huomo ragionamenti di cose non solo giovevoli alla salute delle anime, ma fruttuose in gran maniera al civile e politico vivere della repubblica », gli furono fatte conoscere le memorie del Comines, e venne eccitato così dal Giustiniani come da Agostino Spinola a recarle nella nostra lingua. Questo lavoro gliene suggerì un altro. « Ho io incominciato », egli scrive, « alcuni discorsi sopra questo chiaro scrittore presi da esempi antichi e moderni, accoppiando gli uni con gli altri con quella maggiore convenienza che ho saputo, dalla cognitione de’ quali potrà ciascuno, e per se proprio, e per le pubbliche faccende prendere utilissimi consigli. Ma trovandomi in Pisa con la mente non bene tranquilla, non potei condurli a segno, che si possano ancora con loro dignità lasciar vedere ». Aggiunge che stava scrivendo gli elogi latini « de’ particolari cittadini » di Genova con l’intendimento di seguitare l’opera del Foglietta. L’uno e 1’ altro lavoro sono rimasti sconosciuti, ed è a credere siano andati dispersi. Accenneremo per fine che nel dicembre del 1596 venne processato e condannato al bando per due anni. Ed ecco perchè. Abitava quasi continuamente nella sua villa di Carignano ; di rado scendeva in città, trattenendosi di preferenza colassi! « per attendere a’ suoi studi », secondo riferiscono i testimoni, e soleva portare « appeso alla cintura de’ calzoni » un coltello (era lungo un palmo e un quarto circa con punta) « per comodità della villa », poiché quivi era consentito portare armi. Una mattina, distratto, dimenticò di lasciarlo a casa, e il bargello trovatolo con quell’ arnese « scoperto » presso al Palazzo pubblico, vicino alla porta dell’ arcivescovato, lo prese ; onde fattogli celermente il processo n'ebbe la condanna del bando, ma per la « mala stagione » e per « la grave età » ottenne un salvacondotto e una proroga ; intanto ricorse in grazia al Senato, e il ro gennaio del 1597 ebbe condonata la pena (Arch. cit., Senato, fil. 385). Per le sue traduzioni e alcuni versi latini a stampa è a vedere Giuliani, Notizie cit., in Atti cit., pp. 147, 169, 238, 537. 40S GIORNALE STORICO E LETTERARIO DELLA LIGURIA strinse a trasferire la famiglia a Bologna. La lettera seguente ce ne dà più particolari informazioni (i). Ill.mo et Mag.ό S.ri Non più presto d’ hieri ho receputo e letto le lettere de Marco degli Abbati mio socero mandatimi de costi a li xi de Decembre, per le qua i mi fa intendere come V. S.r>° molto se lamentano di me, con diie eli io mi habbi portato el libro de le croniche, et sia partito seuza a quelle diman dare buona licenza, de le quale parolle me n’ ò pigliato tanto ^cordoglio e dispiacere quanto che non penso con lettere poterli esponere, pui ho voluto in mia escusatione scriverli queste pocche parolle, preggandole che se degnano ascoltarmi. Prima, quanto al libro, V. S.rie se pono racordare come io al primo de ottobre comparendo avanti all’ 111.ma S.r'a con quella che più sepi reverenza gli feci intendere che per il gravissimo carico de la onorosa fami glia che mi trovo, et per le carestie grandi del vivere, non potea più stai e a le spese, atento la mia debole valetudine, per la quale resto impotente al tolerare molte fatiche, per unde humilmente supplicai a V. S.11L che pei suoa gratia, e gentilezza, et per la mia fidiele servitù de quatordici anni fatta all’ Ill.ma S.ria, se degnassino crescermi un poccho di salario, a ciò potesse sustentare la mia povra famiglia, et fare con buono et lieto animo 1’ ufficio mio, sì nel legere cotidianamente, come nel scrivere 1 historié, come già mi fu al principio statuito, perchè quelle sano quanto tempo e faticha importa al scrivere historié, et specialmente in quello stillo eh io ho sci ito, et a la giornata scrivo. Mi fumo dall’ 111."10 S.1 Duce queste parolle ti sposte, eh’el si era inteso la dimanda mia et che parca all 111.,,la S.r‘a non farmi altro salario, per tanto se io volea stare come davanti a quelle du cento cinquanta libre eh’ el se mi confirmava 1’ ufficio: se no ch’era in mio arbitrio fare quello che mi pareva; da poi suoa Ecc.za mi disse che ge poi-tasse el libro de le croniche, io gli risposi eh’ io non havea altra copia, salvo lo primo originale, perchè quello che haveva scrito in lieto, de comissione dell’ Ill.ma s.ria fue portato a palazzo et ivi si era perso, et per tanto eh’ el mi bisognava transcriverlo et repolirlo agi ungendoli certe cosete nel principio per relatione del M.co S.r M. Gioanbapt.a Lasagna. Alhora mi fu detto chel trascrivesse et facesse quanto era il bisogno. Da li a pocchi giorni accadendomi venire a Bologna per dai o tri mesi tanto eh’ io metesse casa a dui miei figlioli et a mio genero per fargli studiare più volte veni a palazzo per havere audienza dall’ Ul.ma S.r'a, et più volte havendo habbuto repulsa, mi trovava di mala voglia per non potermi partire con buono tempo, e finalmente feci tanto che una matina gli intrai et esposi all’111.11,3 S.1'·'* come io era per andare a Bologna per dui o tri mesi, ct pregavalo me desse licenza (i) Arch. cit., Lettere al Senato, fil. 13. GIORNALE STORICO e LETTERARIO DELLA LIGURIA 4O9 per quello poccho di tempo: mi fu risposto talmente eh’ io pensai la mia servitù fusse poccho grata, per la quale cosa io mi parti et mi ho portato lo libro per dui effetti, uno è per transcriverlo et rassestarlo, dipoi mandarlo, 0 vero io in persona portarlo a V. S.<*e con certa speranza che a quella non habbia a despiacere ; l’altra cagione fue el timore et gelosia eh’ el non se perdesse 0 vero mi fusse rubato, come accadete de 1’ altro, non sapendo perhò dove meglio esso libro potesse stare quanto che apresso di me suo fattore : lo quale havendomi proposto come atto e idoneo meggio a fare questa Eccelsa et invitta Repub.ca et me immortale, V. S.rie non se debbeno meravigliare se de quello ne son gieloso, a cui quanto tempo mi restarà de la vita tutto voglio con assiduo studio dare, aciochè possa con bona fronte usire a la luce del mondo, et essere con diletto visto e letto da huomini dotti, anchora eh’ io fusse certo de non haverne mai premio alcuno, benché so questa Repub.ca mai essere stata ingrata a chi 1’ a servita con fede e amore, come io ho fatto, et sin eh’ io vivo voglio servirla. Ma per non fastidire V. S.rie dico eh’ usaro ogni diligenza e prestezza in acopiare lo prefato libro, et copiato che 1’ haverò subito a quelle lo portarò. Et se pur non se contentassino che 1’ acopiasse, quelle se degnano farmi intendere quanto voleno che facia, et subito farò segondo la suoa comissione, humilmente preggandole che per suoa benignità e clemenza mi perdonano se ge havesse fatta cosa che gli fusse stato in dispiacere, ricordandogli che sempre do-veunque sarò, voglio essere buono et fideliss.o servitore dell’ Ill.ma S.ria, nè mai voglio per tempo alcuno che questa Repub.ca se doglia de havermi fatto suo citadino. Et a V. S.rie con tutto il cuore devotamente mi racomando, et offero. De Bologna a li xxyj de Genaro 1542. De V. S.ne S.lor Paolo de P'ranchi Parthenopeo Dopo questa lettera conviene considerare come definitivamente cessato il duplice ulficio del Partenopeo, il quale è a credere non tornasse più, neppur temporaneamente, a Genova. Infatti Γ 11 luglio 1544 il senato, vacando il posto di pubblico lettore e di annalista, e avendo saputo da parte dei procuratori Cristoforo Grimaldi Robio e Niccolò Negrone, che v’ era soggetto di molta dottrina, il quale, se richiesto, sarebbe venuto ad esercitare 1’ uno e 1’ altro ufficio a condizioni assai oneste, dà incarico a que’ due di trattare e di conchiudere (1). La persona che qui non si nomina era Iacopo Bonfadio, a cui certamente poco dopo venne conferito l’incarico di lettore e quello (1) Arch. cit., Manuali cit., 11. 765. Oiorn. stor. e lett. d. Lig. II. 27 4io GIORNALE STORICO E LETTERARIO DELLA LIGURIA di scrittore degli annali, poiché il 18 novembre si ordina al cancelliere di consegnare ai sopra menzionati procuratori, deputati alla revisione degli annali, il volume del Partenopeo coperto di cuoio rosso, affinchè, dopo opportuno esame, fosse passato al Bonfadio condotto a scrivere le istorie (i). Donde si trae che, sebbene non ci sia riuscito trovarne il decreto, la elezione di questi deve cadere fra il luglio ed il novembre del 1544 (2). Il cancelliere Ambrogio Gentile Senarega, secondo nota in margine al decreto, eseguì personalmente la commissione, e mentre consegnò il volume indicato nelle mani di Niccolò Negrone, un altro coperto di cuoio bianco ne rimise al Grimaldi Robio. Il 'che vorrebbe dire che 1’autore, finito di copiare il suo lavoro, mandò al governo genovese così il « primo originale », come la copia da lui trascritta, riveduta e ripulita. Il Partenopeo morì in Bologna nel settembre del 1544, e la sua salma venne tumulata nella chiesa di S. Francesco, dove, a cura del genero e dei figli, gli fu posta la seguente iscrizione, nella quale si ricordano le sue benemerenze e gli onori conseguiti (3): PAULO BRUTO Parthenopaeo, viro pacis, bellique artibus Claro, eloquentiae in primis omni· sque Graecae Et Latinae eruditionis laude praestanti Qui acceptis à Carolo V. Aug. equest. ord. Ornamentis in Palatin, et SS. Lateranum aulae Imperiai, consistorijque comitatum cooptatum A Genuen. Repub. quam unam, quae sibi patriae Esset delegerat, in Francorum familiam ascitus A Hieron. Grimoaldo S. R. E. Cardin, multis Honoribus affectus, et ornatissimis diplomai. donatus Ab Andrea Aurio Caes. praefecto, eujus etiam gesta Heroicis numeris celebravit in familiariss. numerum receptus, postremo quo filior. et generi stuDia incitaret, Bononiam profectus, honestiss. Posthabitis stipendijs, quae quod pub. mun. apud Genuat. Latine interpretaretur, resque eorum (1) Ivi. (2) Ciò è confermato da quanto si trova scritto nei Cartulari o Registri finanziari della repubblica, là dove la impostazione della partita per il salario dovuto al Bonfadio, come abbiamo già osservato altra volta (in Giornale Lig., I, 1874, p. 289) e fu ripetuto più recentemente dal Rosi (La morte di I. Bonfadio in Atti Soc. Lig. Stor. Pat., vol. XXVII, p. 210) muove dal 10 novembre 1544. (3) Toppi, Bibliot. Napoletana, p. 233, che la trascrive dallo SCHRADERUS, Monument, Italiae (fol. 58). Xon esiste più, e non se ne trova memoria altrove. GIORNALE STORICO E LETTERARIO DELLA LIGURIA 41 I gestas Perscriberet, multos jam annos ex asse consequeretur, Ingenti bonorum omnium dolore e vita excessit. Vincent. Thonius Robf. gener ac filij socero et patri Incomparabili PP. Vixit ann. LIII. Mens. VIII. Dies XXVI. obijt An. MDXLIIII. In Septembr. II. Gli annali del Partenopeo passati nalle mani del Bonfadio servirono a questi di guida per la compilazione de’ suoi. È però degno di nota il fatto che egli pure incomincia la sua narrazione dall’anno 1528, mentre ragionevolmente avrebbe dovuto seguitare dal punto in cui l’altro aveva interrotto il racconto ; ma forse riuscì a persuadere i governanti della necessità di ridurre in miglior forma l’opera del suo predecessore, così rispetto allo stile, come al metodo di narrazione. E di fatto dà principio al suo lavoro secondo il concetto ideale ch’ei s’era foggiato nella mente attinto dagli storici classici. La forma annalistica, nel senso ristretto, è per lo più lasciata da parte, e 1’ autore, trascurando affatto alcune notizie particolari, di cui il Partenopeo si compiace, tende ad una migliore coesione, ed a quella continuità nel concatenamento dei fatti che rende la esposizione più piena e rigorosa, mentre porge opportunità a rilievi e ad osservazioni filosofiche e morali. Se non che, procedendo in questa guisa, la cosa andava per le lunghe, e i deputati a sorvegliare la compilazione degli annali, si lagnavano di tanta lentezza, insistendo affinchè il Bonfadio si affrettasse. Anzi il monito assunse forma a dirittura d’ingiunzione. Sentiamo a questo proposito le parole del Bonfadio stesso che interrompe bruscamente il suo racconto (1). « Cum ad hunc locum pervenissem, et infirma mea valetudo paulum me a scribendo retardasset, alter ex Procuratoribus, qui huic officio meo praesunt in Negroni loco suffectus, hacque ipso in cura obeundi muneris sui diligen-tissimus, multis, gravibusque verbis de totius collegij consesu admovere mihi stimulos coepit, ut festinarem; homini alioquin intelligenti de modo, ac facultate scribendi res graviores, quid autores optimi senserint, demonstravi, dixique, seu naturae, sive artis opera inspiceret, in pulcherrima quaque re conficienda celeritatem minime probari; opus esse maxima diligentia ; diligen- ti) Annales, Papiae, Bartolum, p. 36 sg. 412 GIORNALE STORICO E LETTERARIO DELLA LIGURIA tiam vero tempus requirere. Ingenia etiam hominum haud omnibus horis esse parata, liberumque esse debere scriptorem, et nulla eiusmodi, qualem mihi afferebat, temporis lege circumscriptum; non cito scripsisse Sallustium, non Virgilium, non item coeteros, qui recte scripsere, quique luce posteritatis perpetuo fruentur. Ad haec ille mihi respondit, me non historiam aut poesim, sed Annales conficere, habere me praeterea in manibus scripta Franci Parthenopaei, qùae sequerer, et quae plurimum molestiae allevarent meae, porro delectum verborum, nitoremque eloquentiae non esse admodum in ijs rebus quaerendum, in quibus simplex veritas attenditur. Tum ego si quae Parthenopaeus dolavit ea mihi tantum perpolienda et stylo persequenda sunt, paucis commutatis, quae a duobus Senatoribus animdversa, ac notata sunt, bene habet, inquam, detractus erit mihi operosus labor singula conquirendi, sed profecto vereor, ne in rebus ipsis, parum, in celeritate vero absolvendi operis nimium accurati simus. Ego tamen soluto animo sum, nam si laus meum scriptum sequeretur, integra ea fere mea futura est, si reprehensio, haec mihi vobiscum erit communis. Haec ubi collocuti fuimus conclusit ita, ut diceret placere sibi et collegio ut festinarem, meque dimisit. Proinde ubi haec vestra in lucem veniret, si cui forte videbor gracile quoddam corpus confecisse, et quasi ex ossium tantum compositione compactum, neque adie-cisse sanguinem, aut colorem, non vestitum, ornatumque aliquem circumdedisse, is cum legerit intra quae consepta contrusus fuerim,, haud male de me existimans facile iudicabit, officio meo satis a me factum fuisse, cum id praestiterim, quod a me requirebatur, eisque satisfecerim, a quorum consilio, atque praescripto recedete nec poteram, nec debeam ». Da queste parole, con le quali il Bonfadio, non senza palese malumore, intende chiudere l’adito alle critiche, ben si apprende quali fossero i suoi propositi nell'imprendere a scrivere le istorie genovesi, ed in qual guisa giudicasse implicitamente l’opera del suo predecessore, alla quale pure era costretto a conformarsi. Che se il suo lavoro, seguendo il metodo impostogli, doveva riuscire siccome corpo gracile e magro, sol formato d’ossa, privo di sangue, di colorito, di veste conveniente e d’ogni ornamento, vuol dire che gli annali del Partenopeo avevano, secondo suo parere, questi difetti. Ciò richiama alla mente il giudizio che dava GIORNALE STORICO E LETTERARIO DELLA LIGURIA 413 Oberto Foglietta molti anni più tardi degli annali di Agostino Giustiniani, e delle istorie di Paolo Interiano. « Quello che scrive Justiniano », egli dice, « non è altro eh’ una moltitudine d’ ossa non compatte nè messe al suo luogo ; a questo difetto ha su-plito in parte l’Interiano, ma oltre che la sua scrittura sia affettata et snervata, li manca tutto quello che con infinita mia fatica, e stillamento di cervello è convenuto aggiungervi cioè il nervo, il sangue, il colore, et li ornamenti » (i). Questi retori s’incontrano e si assomigliano persino nelle parole! Il falso concetto esornativo della forma ha nociuto alla sostanza della nostra storiografia; perchè se il governo della repubblica non si fosse lasciato persuadere con speciose ragioni della necessità di rifare il già scritto (di che porge singolare esempio il richiamo dell'arcigno procuratore al Bonfadio, e le osservazioni di questi), noi avremmo oggi un corpo di storie ordinate per successione di tempo, e, quantunque diverse nello stile, notevoli certamente per lo svolgersi dei fatti, senza lacune intempestive, e perciò di incontestabile utilità; i più antichi cronisti ne avevano dato l’esempio, ma il metodo non venne seguito. Quindi se il Partenopeo con savio consiglio prese le mosse là dove s’ era arrestato il Giustiniani (2), non può lodarsi il Bonfadio d’ aver voluto battere di nuovo il camino dall’altro percorso, e molto meno il Foglietta che intese mettere in bello e classico.eloquio la materia già innanzi trattata in più semplice forma volgare dall’ erudito vescovo di Nebbio, la cui istoria egli, giudice tanto severo da poi, nella prima giovinezza aveva trascritto (e n’ ebbe coni- li) Cfr. Giornale Lig., a. Ili, 1876, p. 430. Afferma il Mazzucchelli (Vita del Bonfadio in Opere, Brescia, Pianta, 1758; vol. I, p. xxvinl clic al Bonfadio fu dato incarico di scrivere gli annali « continuando la storia di Oberto Foglietta » ; e più innanzi (p. Lvn) : « continuò la storia di Genova di Uberto Foglietta ». È un errore, ripetuto anche da altri modernamente, perchè il Foglietta ebbe incarico di scrivere le istorie nel 1576 (iGiornale Lig. cit., p. 428 sg). (2) Evidentemente il Giustiniani alludeva a lui quando, chiudendo gli annali, dichiarava che 1’ intenzione sua era stata « di scrivere insino al giorno della ricuperazione della libertà », e che da questo punto la « fatica e vicenda appartiene al scrittore degli annali, che la signoria ha condotto, il quale credo clic debba aver scritto, e fatto 1’ ufficio suo con diligenza » (Annali, Genova, 1854, II, p. 7°^)· 414 GIORNALE STORICO E LETTERARIO DELLA LIGURIA penso) per pubblico incarico (i). Nè minor biasimo merita il governo per non aver contenuto gli storiografi stipendiati nel limite del loro mandato, al quale s’informava lo spirito dell’ufficio da tanto tempo istituito. Così avvenne che nell’ordinata nairazione delle storie genovesi esiste dopo il 1550 una lacuna, a colmare la quale avrebbe dovuto attendere appunto il Foglietta, lui morto nel 1581, il Roccatagliata, suo successore in ufficio, incominciò, secondo il mandato, da quest’ anno medesimo a dettare i suoi annali, proponendosi tuttavia per suo conto lavoro più ampio e complesso, in servigio del quale raccolse negli archiyi moltissime memorie, pervenute in poderosi volumi no a noi, ad attestare la sua operosità e il suo buon volere (2). Ma, tornando al proposito, dal ragguaglio fra il testo del artenopeo e quello del Bonfadio, si scorge di leggieri come questi si attenne alle fatte prescrizioni, resecando alcune cose 1 ettaglio che forse non gli sembravano adatte alla maestà storia, ed aggiungendo, sebbene in misura assai scarsa cune notizie attinte certamente a fonti ufficiali, e cioè sugge-Potori deputati a sorvegliare la compilazione degli • iu libeio procede, quando gli manca la guida designata, • ecenni° dal 1540 al 1550, e il racconto è condotto sopra n agini personali, e si svolge intorno a fatti de’ quali l’autore fu oculare testimonio. pera del Bonfadio ebbe in sorte di vedere la luce dopo LZ l de,1,.autore le cure del medico veronese j · aschetti, il quale volle anche pubblicarne una tra- isi ’ ma qUella del Partenopeo rimase inedita. Soltanto nel di de^tC°mParVe Una VerSÌ°ne Ìtaliana- EPPure se Per e]eSanza tuttaT°Jr°y PU° dmentarSÌ Con !a st0- del suo successore, 1’ oblio a Γ· eSatteZ2a e la c°Pia dei Particolari non meritava oblio a cu, venne dal g0vern0 stesso condannata. ranti in «1 tordella me ‘d 1535 * '* pagamcnt0 di lire clua‘ scribendi annale * 01*ηθ Ca“ane° F°liete hal,enti cunini cit., Manuali cit TΓ ΓΤ ^ EPÌSC°PUm nCbÌenSem * ^ Cattaneo. ’ ’ famiglia Foglietta era ascritta all’albergo nova,TC^A,,8trt fsgg.^' *’ nm’° '581 a’ GIORNALE STORICO E LETTERARIO DELLA LIGURIA 415 Del nostro scrittore rimangono alle stampe quattro orazioni, dette nella ricorrenza del 12 settembre, per la commemorazione della ricuperata libertà, altre si leggono manoscritte ; nè sono tutte, perchè alcune, delle quali ha lasciato memoria negli annali, non ci pervennero. Curò altresì la stampa di un’ operetta di Girolamo Savonarola alla quale premise una lettera dedicatoria degna di nota per il giudizio che reca intorno al martire domenicano, ed alla sua fine infelice (1). Se si dovessero interpretare strettamente le parole della iscrizione sepolcrale riferite ad Andrea D’Oria, « cujus gesta heroicis numeris celebravit », nel senso di uno speciale lavoro, s’ avrebbe a credere componesse un poema in lode di lui; ma nè egli discorrendo più volte nella storia dei fatti dell’ illustre ammiraglio, accenna a componimento sì fatto, mentre si compiace di registrare qua e là ricordanze personali in ciò che riguarda in ispecie le orazioni ; nè se ne ha d’altronde testimonianza di sorta. Onde o il poema è andato perduto, o le citate parole si riferiscono agli annali, specialmente a quella parte là dove narra con singolare larghezza Γ impresa d’Affrica contro Barbarossa. Achille Neri BIBLIOGRAFIA STAMPE. 1. Oratio Pentii Par | thenopaei de Charitate Patriae ad Ulti | strissimum Senatum Genuensem. In-8, di cc. 6 nn. s. 11. tip. Sotto al titolo due « Tetrastichon » del giovinetto Emanuele Grimaldi. Questo frontispizio è inquadrato in un fregio. L’ orazione è dedicata a Battista Lomellino doge della Repubblica, con lettera in data : « Genuae Idibus septembris MDXXXIIII ». In fine dell’orazione: « Genuae die XII septembris MDXXXIIII ». 2. Oratio Pati \ li Fr. Parthenopaei de tranquillitate Reipu. et | eius conservatione ad illustrissimum Sena | /uni Genuensem habita Arino do \ mini. M.D.XXXVIII. pri \ die Idus septem | brefs. In-8, di cc. 8 nn. s. n. tip. Sotto al titolo due distici. E dedicata a Onorato Grimaldi principe di l 1) Vedi la Bibliografia. 416 GIORNALE STORICO E LETTERARIO DELLA LIGURIA Monaco con lettera in data: « Genuae Idibus Septembris MDXXXVILI ». In fine dell’orazione: « Genuae in Divi Laurentij aede. M.D.XXXVIII. Die. xij. Septembris ». A tergo dell’ultima carta lo stemma di S. Giorgio. 3. Oratio Failli | Fr. Parthenopaei de | obedientia ad Illustrissimum Sen. I Genuen. habita pridie | Idus Septembris. | M.D.XXXIX· In-8, di cc. 8 nn. s. n. tip. È dedicata a Antonio D’Oria con lettera in data: « Genuae Quarto Cal. Octob. 1539 ». A tergo dell’ultima carta, il cui dritto è bianco, lo stemma di S. Giorgio. 4. Oratio I Pauli Fr. Partheno | paei de Gratia ad Illustrissimum Se | natum Genuen habita pridie | Idus Septembris. | M.D.XL. In-8, di cc. 6 nn. s. n. tip. Titolo inquadrato in un fregio come il 11. 1. La dedica è a Cipriano Pallavicino, in data: « Genuae pridie Calen. Novembris. MDXXXX ». Le orazioni uscirono certamente dalla tipografia del Belloni, e tre (11. 2, 3, 4) vennero descritte anche dal Giuliani, Notizie cit. in Atti cit. p. 75 sgg., mentre la prima vi è soltanto citata sulla fede del Soprani (p. 272). Reverendi pa \ tris Fratris Hieronymi Savonarolae | Ferrariensis praedicatorum ordi \ nis Dialogus inter Spiritum et \ Animam nunc primum in lucem | prodiens, cuius titulus | (Solatium itineris mei). Silografia che rappresenta una figura sedente in cattedra con libro sulle ginocchia e altre figure sedute intorno; sopra la cattedra lo Spirito Santo; ai lati della silografia: « Spiritus Sanctus | Intus alit ». Sotto : Genuae /536. In-8, picc. di cc. nn. 60; segn. A. H. carat, tondo. Cc. i v. indice dei sette libri o giornate del trattato. Cc. 2 r. Dedicatoria : « Paulus Fran | chus Parthenopae | us Marco Cataneo | Antistiti Rodiensi proar | chiepiscopo Genuensi | Sacrae theologiae I magistri | S. D. ». Dopo la quale segue subito: Ad librum ejusdem Pauli Tetrasticton Major in pulcro nullo velamine tecto Corpore resplendet gratia Cjpris Amor, Sic nitidus nullo fuco conspersus in orbem Hic liber egreditur, nomine Marce tuo. Cc. 4 r - 60 r. sta il trattato, alla fine del quale le note tipografiche: « Ianuae, aureae suae libertatis Anno | septimo Antonius Bellonus Tau | ri-nensis ab Illu. D. Ianuen. privilegia | tus imprimebat Anno post partum | deiparae Virginis 1536. Die vero 22 Febmarii ». Intorno a questo libretto è da vedere l’atto notarile stipulato fra Marco Cattaneo e Antonio Belloni (GIULIANI, Tipografia Ligure, in Atti Sor. Lig· d. Stur. fiat., IX, 346 sgg.Sebbene si legga nel titolo : « nunc primum V * v GIORNALE STORICO E LETTERARIO DELLA LIGURIA 41 7 in lucem prodiens », pure è da osservare che l’anno innanzi ne era uscita un’altra edizione: « Venetiis, per Ioannem Patavinum et Venturinum de Ruffinellis, Alino MDXXXV », nella quale è pur detto : « nunc primum impressus ». Nella lettera del Partenopeo, che il Quietif, non senza ragione, dice elegante, è notevole questo brano : « Prodeat igitur in lucem aureus libellus hic, suis auspiciis quasi a Proserpinae regno revçcatus, nam cum post illud Hieronjmi Savonarolae acerbissimum fatum, in quo christianam Rem-publicam tantam iacturam fecisse perspicitur quantam vix animo quis assequi potest, diu errabundus, tristis, lacer latitasset, demum ad te Marce Catanee, Antistes Rhodiensis, pro-archiepiscope Genuensis, qui et moribus et doctrine et sanctitate opificem suum, idest Savonarolam refers, securo animo confugit, quem tu (quae tua est humanitas) afflictum recreasti errantem suscepisti lacerum fovisti et timidum ad spem huberiorem erexisti ». Il volumetto è rarissimo ; una copia ne esiste nella collezione Savonaro-liana Guicciardini (R. Biblioteca Nazionale di Firenze), dalla quale 1’ egregio bibliografo Pietro Bologna tolse queste note a mia petizione, di che me gli professo gratissimo. Di recente ne ho veduto indicata un’altra copia nel catalogo Olschki di Firenze per il prezzo di lire 40. Annali di Paolo Partenopeo voltali dalla Latina nell' Italiana favella da Stefano Bacigalupo. Genova, Tipografia Ferrando, 1847. In-8, di pp. xx - 214. E pubblicata questa traduzione da Michele Giuseppe Canale per incarico della famiglia del traduttore, « sventurato ingegno fatalmente rapito da morte nella maggior vigoria dell’età », secondo scrive l’editore nella dedica a Francesco Pallavicino. Il testo seguito dal Bacigalupo deriva evidentemente dall’ autografo che ci rimane. Se s’ avesse a prestare intera fede al traduttore si dovrebbe credere all’esistenza di un autografo, del quale egli si è servito, privo delle orazioni ; ma noi riteniamo senza tema d’ errare si tratti di una copia forse del sec. XVII. MANOSCRITTI. Tre dovevano essere i manoscritti degli annali ; uno cioè quello che il Partenopeo chiama « primo originale » ; 1’ altro la copia da lui presentata nel 1537 e che andò perduta; il terzo, l’ultima trascrizione eseguita dopo la sua partenza per Bologna. E poiché due se ne trovavano nell’ archivio della repubblica l’anno 1544, dobbiamo credere fossero l’originale e la seconda copia. Dovrebbero quindi essere questi i due codici che il cancelliere Senarega consegnava rispettivamente e al Negrone e al Grimaldi Robio, il primo de’ quali aveva poi a rimettere quello da lui ricevuto al Bonfadio. In questo modo uscirono dall’ archivio, e non vennero restituiti. Solamente il « primo originale » vi tornò sulla metà del seicento con i libri lasciati alla repubblica da Federico Federici, infatti nel inventario è così indicato : Istorie et opere del Partenopeo manoscritte di sua mano in un volume di fac- 41 8 GIORNALE STORICO E LETTERARIO DELLA LIGURIA cìate 513 (1). Ma una seconda volta questo volume ha esulato dall’archivio, e si deve riconoscere seuza dubbio nel cod. Dhis 4. 3. 14 della biblioteca Civica Berio di Genova. Conta nella numerazione finale pagine 513 * sebbene vi sia una ripetizione intermedia, e la sua autografia agevolmente si rileva dal confronto del carattere con la lettera innanzi riprodotta ; inoltre ha numerose correzioni ed aggiunte, e in calce alla facciata dove incominciano gli annali si vedono delineati due stemmi, a lato di quello di Genova, 1 uno appartenente alla famiglia De Franchi, nel cui albergo il Partenopeo venne ascritto, Γ altro alla sua casata. Quando e per qual modo venisse a far parte della biblioteca non sapremmo dire; ma poiché reca 1’ ex libris dell’ ab. Vespasiano Berio, proprietario e primo fondatore di essa, convien credere già vi si trovasse prima del 1794 quando il Berio mori. Lo conobbe e se ne giovò lo Spotorno, ma senza rilevare che fosse autografo (2). Dell’ altro manoscritto non abbiamo trovato nè memoria nè traccia ; ma riteniamo da esso derivata la copia del secolo XVIII esistente nella Biblioteca del Re in Torino. Essa ci rappresenta per certo un altro originale alquanto diverso e più completo dell’ autografo, così per la correzione e limatura del testo, come per la giunta di parecchie lettere dedicatorie e di un’ orazione. Che derivi dall’ autore ed abbia una stretta parentela con quello eh’ egli chiama « primo originale » lo rileviamo evidentemente dalla perfetta identità onde si vedono collocati in principio il titolo, l’indice sommario, la tavola alfabetica, i brevi componimenti poetici, e la uguale disposizione delle orazioni in seguito agli annali ; identità che si riscontra altresì nella dicitura di tutta questa parte liminare. Una particolarità aggiunge poi la manifesta prova di sì fatta derivazione. Nell’ indice sommario delle orazioni si legge, come nell’ autografo ; undecim orationes, mentre effettivamente ne sono indicate tredici, numero che corrisponde a quelle nel codice trascritte, e se ne ha così una più in confronto dell’ autografo. Siamo perciò indotti a credere che questa copia sia stata esemplata sopra l’ultima trascrizione fatta dal-1’ autore dopo la sua partenza da Genova, e rappresenti perciò il definitivo assetto eh’ ei voleva dato alle sue opere. Un altro manoscritto, del sec. XVII, si conserva nella biblioteca del-l’Archivio di Stato in Torino, privo però di tutta la parte liminare e delle orazioni, e per di più incompiuto, poiché s’arresta al 1538, là dove rimane troncato il racconto del fatto della Prevesa. Ha tuttavia due particolarità degne di nota. La prima che la dedicatoria reca la data : « Chalendis octo-bris 1537 », anziché: « Calendis augusti 1536 », come si legge nell’autografo e in tutte le altre copie; la seconda che innanzi alla narrazione ddl’anno 1536 si trova una lettera all’ amico Stefano Fieschi, con la quale l’autore gli manda (1) Arch. cit., Politicorum, Mazzo 9 (1642-1649). Un’esatta copia di quest'indice è nel cod. D.bis 3. 8. 14 della Biblioteca Civica Berio. (2) Stor. letter. cit., vol. Ili, p. 22 sgg : vol. IV, p. 243 sgg. GIORNALE STORICO E LETTERARIO DELLA LIGURIA •l secondo la promessa, questa parte della sua opera, ma prega che gliela restituisca, affinchè possa più accuratamente rivederla e limarla. Il testo però è in generale quasi in tutto simile a quello del codice di cui si è toccato qui innanzi, e non sarebbe fuor di proposito il credere che questa copia mutila sia derivata da una qualche prima bozza dell’ autore in cui già disegnava la definitiva lezione del suo lavoro. I. (Biblioteca Civica Berio di Genova)' Dbis. 4. 3. 14. Cod. cart. di mm. 210X63 leg· in perg. Cc. 18 nn. alle quali seguono 6 bianche salvo il terzo dell ultima; indi pp. 18 con la numerazione per punti da . a · · : ‘ : : > e P0· PP- 5r3 num., notando che la numerazione da p. 315 a 374 ^ ripetuta e dopo questa p. sono 5 cc. bianche. Questa ripetizione dipende dalla composizione materiale del volume fatta per opera dell’ autore, e dalle giunte che egli vi introdusse. Infatti da prima si arrestava alla p. 482, come si vede dall’indice sommario che reca: « Eiusdem authoris decem orationes », ed appunto la decima orazione finisce a quella pagina; poi fu aggiunta 1’ undecima, e si corresse il decem in undecim, registrandone il titolo nell’ indice sommario e nella tavola alfabetica, così il volume raggiunse la p. 505 : quindi venne accresciuto della dodicesima che va fino alla p. 513, ma questa volta non fu corretto 1 'undecim, e neppure registrato il titolo nell’ indice, sebbene fosse introdotto nella tavola. Più tardi vi furono inseriti due quadernetti dopo la p. 314 e continuata la numerazione senza poi correggere la prima, così che abbiamo pp. 1 a 374, poi 5 cc. bianche, e quindi 315 a 513. Le pp. 427-438 comprendono un opuscolo a stampa (quello indicato fra le stampe al n. 1). Mancano le pp. 449-452 sostituite da due cc. bianche di carta più recente e di marca diversa. In foglietti intercalati di carattere del secolo passato si leggono diligentemente copiate le giunte marginali di più difficile lettura, o que’ bra-netti che cadendo a tergo di forti cancellature andarono dispersi per corrosione. In calce alla p. 1 sono delineati rozzamente tre stemmi a colori; in mezzo quello di Genova, da un lato quello della famiglia De Franchi, dall’altro lo stemma del Partenopeo. Reca 1’ex-libris « Caroli Iosephi Vespasiani Berii ». Sebbene nel catalogo sia indicato come del sec. XVII, pure è indubbiamente autografo. Ce. I. Annales rerum gestarum Reipu. gennen. a. recuperala libertate au-thore Parilo Franco Parthenopaeo. Anno salutis humanae MDXXVIIJ. A libertatis felici tempore, parvus Continet hic Genuae singula facta liber. Segue un indice sommario di ciò che contiene il volume. Cc. 2 a 17. Tavola alfabetica. Cc. 24 a tergo: « Exastichon Costae »; poi un breve carme dell’autore; quindi due epigrammi : « Caelius ad lygures », e « Author ». Pp. i a 18 (num. con punti). Paulus Parthenopaeus Ill.mo Duci Chri- GIORNALE STORICO E LETTERARIO DELLA LIGURIA stophoro Grimaldi Robio et Mag.ci Rei. Pu. Genuensis Moderatoribus salutem et felicitatem — (In fine) Genuae Calendis Augusti MDXXX I I. ΤΕΛ OS. Il nome del doge è cancellato. P. i. Pauli Franci Parthenopaei historia rerum genuensium a recuperatione libertatis ab anno domini 1528 usque in annum (sic). Gli annali finiscono col 1541 alla p. 374· Nella Prima composizione del volume gli annali avevano termine alla p. 3 *4 C°1 mese di aprile ï 537-I due quadernetti aggiunti contengono il seguito. Pp. 315-335. Oratio in funere clarissimi viri Philippi Aurij. Le pp. 336-338 sono bianche. Pp, 339-362. Oratio habita in funere praeclarissimi viri Synibaldì Flisci. Pp. 363-386. Oratio de virtutis ct bonarum artium praestantia. Pp. 387-403. Oratio de vera Rei. Pu. disciplina. Pp. 404-410. Oratio pro Augustino Pallavicino. Pp. 411-425. Oratio habita in commemoratione restitutae Genuae libertatis de libertatis eccellentla. La p. 426 è bianca. Pp. 427-438. Oratio de Charitate patriae. Quest’opuscolo è a stampa, e lo abbiamo descritto fra le stampe al 11. 1. Pp. 439-460. Oratio de Constantia. Pp. 461-469. Oratio de vera libertate. Pp. 470-482. Oratio de moderatione et aequalitate. Pp. 483-505. Oratio de propria sua ipsius hominis cognitione. Pp. 506- 13. Oratio de officio eorum qui Rebusp. gerendis praesunt. II. (Biblioteca del R. Archivio di Stato in Torino). Cod. cart. sec. XVII, di pp. 169 numerate modernamente da Stefano Lagomarsino, il quale scrisse anche il titolo. Pp. I. Annales rerum genuensium a recuperata libertate authore Paulo Francisco (sic) Parthenopeo anno humanae salutis J 528 usque ad 1538. Pp. 3-9. Dedicatoria impersonale : « Illustrissimo Duci et Magnificis Gubernatoribus Reipublice Genuensis » con la data : « Chalendis Octobris 1537 ». Sebbene questa dedicatoria rechi una data diversa da quella dell’ autografo, pure il testo è perfettamente uguale. Pp. 10-12 bianche. Pp. 13-164 contengono gli annali che rimangono interrotti all’anno 1538 e precisamente alle parole : « mox gubernatorem iubet quadriremem ad naves illis auxilium allaturus contento cursu dirigere ». Pp. 165-169 bianche. Innanzi all’anno 1536 si legge una dedicatoria in data « Genuae pridie idus decembris 1536 », indirizzata « Stephano Flisco patritio Genuensi viro ornatissimo et amico meo hon.n>° ». L’autore scioglie la promessa, GIORNALE STORICO E LETTERARIO DELLA LIGURIA 42I non mantenuta per le cure molteplici, e gli manda a leggere questo libro dell’ istoria, perchè si narrano fatti ne’ quali il Fiesco ebbe gran parte avendo avuto in ispecie il carico di sopraintendere al rifacimento delle mura, dove mostrò gran solerzia ed alacrità. Conclude : « Hunc libellum rerum nostrarum mitto rogans ne eum adhuc rudem in vulgus exire permittas, sed ubi primum legeris, effice, ut ad nos accuratiori studio limandus redeat ». III. (Biblioteca Reale di Torino) Stor. pat. 303. Cod. cart. del sec. XVIII, di cc. 34 nn. e pp. 642. Ce. I. Annales rerum gestarum Reip.ee Genuen. a recuperata Libertate authore Paulo Franco Parthenopaeo. Anno salutis humanae MDXXVIII. Segue il distico come al η. I. Cc. 2 r. Indice· sommario. Cc. 2 v. · 25 r. Tavola alfabetica. Cc. 25 v. Brevi poesie latine. Cc. 26-34. Dedicatoria senza il nome del doge. Pp. 1-386. Annali che finiscono col 1541. Innanzi all’anno 1535 si legge: « Historia rerum genuensium anni MDXXXV et Commentarli de bello a Caesare in Africa in Barborufluin ad Adamum Centurionum virum ornatissimum ». Dedicatoria in data: « Pridie nonas defcmbris 1535 ». Pp. 387-642. Orazioni. Sebbene nell’ indice sommario si dica : « undecim orationes », sono tredici i cui titoli compariscono pure nell’ indice stesso. La disposizione è la medesima del cod. η. I, salvo che alla orazione : « De vera disciplina Reip. » è premessa una lettera dedicatoria in data « Pridie Idus Novembris 1537 » al « R.do Viro Nicolao Pinello Protonotario » ; all’altra « In laudem Augustini Pallavicini », una dedicatoria « Ad Fran-ciscuni Simonem et Lazarum fratres Pallavicinos », data « Calendis Decembris 1536 »; a quella: « De vera libertate » precede la dedica: « Ioanni Matheo Giberto veronensium Episcopo » in data : « Quinto Kal.sw decembris 1537 »; a quella: « De moderatione et aequalitate » la dedica: « Federico Fregosio Salernitanorum Antistiti », data « Ka-lendis Novembris MDXXXVII ». 1.'orazione tredicesima, che comparisce soltanto in questo manoscritto, ha per titolo : « De gloria et vera laude adipiscendo » ; è dedicata : « Petro Ioanni Clavigae amico » in data « Quinto calendas Octobris MDXXXVII », e reca infine: « Habita in aede Divi Laurei) li j pridie ldus septembris MDXXXVIJ ». IV. (Biblioteca Civica Berio di Genovn) D'1'* 5. 2. 7. Cod. cart. del sec. XVIII, 111-4, di pp. 56, oltre il frontisp. e pp. 316. Annales rerum gestarum Reipubltcae Genuensis a recuperata libertate 422 GIORNALE STORICO E LETTERARIO DELLA LIGURIA auctore Pardo Francisco (sic) Parthenopaeo Anno salutis humanae 152S ad annum 1543 (sic). (Sotto) 1786. Pp. i. Indice sommario. Ρρ· 3'44· « Index » ossia tavola alfabetica. Pp* 45'4^· Brevi poesie latine come nell’autografo quantunque in ordine diverso. Ρρ· 47'56· Dedicatoria, nella quale non si legge il nome di Cristoforo Grimaldi Robio, ma indirizzata impersonalmente al doge. Pp. 1-245. Historia rerum genuensium a recuperatione libertatis ab anno Domini 1,28 usque in annum 1541. Ρρ· I3I'I33· Historia rerum genuensium anni MDXXXV et Commentam de bello a Caesare in Africa in Barboruffum ad Adamum Centurionum virum ornatissimum. Dedicatoria in data : Pridie Nonas decembris 1535. Pp. 246-259. Oratio in funere clarissimi viri Philippi Au'rii. Pp. 260-274. Oratio in funere praeclarissimi viri Synibaldi Flisci. Pp· 275'276. Oratio in laude Augustini Pallavicini viri ornatissimi ad Franciscum Simonem et Lazarum fratres Pallavicinos. Dedicatoria in data: « Calendis Decembris 1536 ». Pp. 277-284. Oratio pro Augustino Pallavicino. Pp. 285-299. Oratio de Constantia. Pp. 300-316. Oratio de propria sua ipsius hominis cognitione. E copia evidentemente derivata dal manoscritto η.· Ili, salvo lievi differenze di disposizione. Le orazioni sono cinque soltanto e sembrano trascelte dal copiatore; però nella tavola alfabetica, identica a quella dei cod. I e III, si veggono delle voci senza riscontro di pagina, perchè appartenenti alla materia delle orazioni mancanti. Tuttavia il proposito di trascriverne cinque soltanto apparisce dal vederle in questo numero indicate nell’ indice sommario. V. (Biblioteca Durazzo in Genova) « Codice ms. cartaceo in fol. gr. lavorato esattamente nel 1781. Annales rerum gestarum Reipublicae Genuensis a recuperata libertate anno 1528 ad an. 1543 » (sic). (Cfr. Catalogo della Biblioteca di un amatore Bibliofilo Italia, s. n., p. 166 ). Crediamo sia una copia simile alla precedente. VI (Biblioteca Civica Berio) Dbis. 4. K I4. Cod. cart. del sec. XIX di pp. XI-224. Contiene gli annali preceduti dalla lettera dedicatoria. Ècopia dell’autografo del quale riproduce esattamente il testo. Mancano però le orazioni, e le brevi poesie poste in principio ; del pari è sprovveduto di indice e tavola alfabetica. VII (Biblioteca della R. Università di Genova) B. I. 3. Cod. cart. del sec. XIX di pp. XI-2.13. GIORNALE STORICO E LETTERARIO DELLA LIGURIA 423 Contiene gli annali. È simile all’ antecedente e dello stesso amanuense. Soltanto dopo il titolo reca: « Genuae, anno Domini MDCCCXXI ». ORAZIONI RICORDATE. 1. Orazione per il nuovo governatore Gio. Batta Vivaldi Sofia, 4 novembre 1532 (Annales, ad annum). 2. Elogio funebre della imperatrice regina Isabella detta ai funerali in S. Lorenzo nel 1539 (Annales, ad annum). I funerali vennero celebrati il 21 maggio (Manuali, cit., η. 76 η. 3- Orazione per i nuovi governatori Bartolomeo Grillo Ottaggio e Ambrogio Spinola, 1 gennaio 1540 (Annales, ad annum). 4. Orazione per i nuovi governatori Bartolomeo Imperiale Garbarino e Domenico Grimaldo, 1 luglio 1540 (Annales, ad annulli). CATERINA DE’ MEDICI E CLEMENTE VII ALLA SPEZIA NEL 1533 Nel settembre del 1533 Caterina de’ Medici abbandonava l’Italia per andare sposa al secondogenito del re di Francia. Narrano le storie del tempo che ella, dopo aver dato in Firenze un nobilissimo desinare a molte gentildonne fiorentine, passò a Poggio a Caiano e quindi a Pistoia, donde mossa in compagnia di Filippo Strozzi, che dal Papa aveva avuto Γ incombenza di accompagnarla, se n’andò a Portovenere, dove Giovanni Stuardo duca d’Albania 1' attendeva con le galee del re di Francia. Così ΓAmmirato (1), e il Giovio, con minori particolari (2); degli altri storici contemporanei, il Varchi (3) non accenna al porto nel quale Caterina prese imbarco; il Guicciardini pare che intenda a Porto Pisano (4), e forse da lui prese più tardi la notizia il Casoni (5); il Segni dice chiaramente che l’imbarco avvenne a (I) Storie fiorentine, XXXI. (2| Historiarum sui temporis lib. XXXI. (3) Storie fiorentine, XIV, II. (4) Storie, lib. XX, 2. (5) Annali della Rep, di Genova, lib. IV. 424 GIORNALE STORICO E LETTERARIO DELLA LIGURIA Livorno (i); il Roseo concorda col Giovio e con l’Ammirato (2), dai quali tutti coloro che in seguito scrissero intorno a quel periodo di storia tolsero la notizia. Nessuno — credo — degli autori contemporanei ha scritto che Caterina venisse invece alla Spezia, e che di qui prendesse imbarco sulla Reale di Francia comandata dal Duca suo zio, come in fatto avvenne. E Jack la Bolina, in una sua poetica Leggenda di mare, accomodando le date, i luoghi e i personaggi alle esigenze della fantasia, ha colto nel vero, immaginando che la figlia dell ex 1 )uca d’ Urbino salpasse da questa spiaggia (3). Non era Portovenere il porto più vicino e comodo per chi veniva dalla Toscana; sarebbe stato necessario passare per la Spezia e continuare per parecchie miglia una strada malagevole. Lerici era certo il punto più vicino, ed infatti fu per tanti secoli lo scalo naturale di quanti proseguivano per mare il viaggio verso Γ occidente. Ma Lerici, come del resto anche Portovenere, non era porto nè comodo nè sicuro, specialmente in quella stagione, in cui il vento spira sovente e forte da libeccio, per la flotta del Re di Francia, composta di venti galee (4), che dovevano attendere per molti giorni 1’ arrivo della giovane duchessa, la quale, per la difficoltà delle strade, per i mezzi poco celeri di trasporto, per non affaticare sè e il nobile corteggio di dame che 1’accompagnava, veniva innanzi a piccole tappe. Ho trovato i ricordi dell’ arrivo di Caterina alla Spezia e del suo imbarco nel libro delle entrate e delle spese della Comunità per l’anno 1533, che si conserva in questo archivio municipale: una serie di conti pagati dagli officiali del Comune nella circostanza dell’ arrivo e del soggiorno della squadra del Re Cristianissimo nelle acque del Golfo, della partenza della Duchessa, del passaggio del Pontefice che si recava a Marsiglia per assistere alle nozze della nipote, e dell’ arrivo degli ambasciatori, che la (1) Storie fiorentine, lib. VI. (2) Delle istorie del Mondo aggiunte da Mambrino Roseo da Fabriano alle Historié di M. Giovanni Tarcagnota, Venezia, Giunti, 1592, in-4, p. m, lib. ii, p. 155- (3) Dal mio bel Golfo, III, 1533, in Leggende di mare di Jack LA Bolina, 2a edizione, Bologna, Zanichelli, 1883, in-16, pp. 17-29· (4) Cfr. Giovio, op. loc. cit. GIORNALE STORICO E LETTERARIO DELLA LIGURIA 425 Repubblica di Genova aveva mandato per complimentare Sua Santità. Sono aride annotazioni di pagamenti, sparse qua e là alla rinfusa in mezzo a tante altre che riguardano le spese di ordinaria amministrazione e di pubblici lavori ; ma che ci permettono di chiarire con esattezza quell’episodio, e di lumeggiarlo in alcuni curiosi particolari. Il primo di settembre adunque Caterina mosse da Firenze per la Spezia. Qualche giorno prima lo Stuart, ammiraglio del re di Francia, e affine di Caterina per parte della moglie, aveva avuto ordine da Francesco I di partire da Marsiglia per venire nelle acque del Golfo a levarla. Quando vi giungesse non saprei; certamente ai primi del mese era già all’ancora, se il giorno tre la Comunità pagava ai panattieri il prezzo del pane donato alla flotta: Item die 3 septembris pro solutis de numerato diuersis pa-nacocolis prò pane donato classi X.'n> regis pro Simone Gattino pro isto de 39 to L. x Item die ea et fuit ante videlicet 3 septembris in solutis per eum de diuersis panacocolis occasione panis donati Classi X.mi Regis franchorum de ordine d. sindicorum et consiliariorum v.a in comunitate in isto in to L. x La Spezia, che allora era soltanto un grosso borgo fortificato, fu colta alla sprovveduta dall’ arrivo di quei legni : non v’ era grano che bastasse a fare il pane per tutta la flotta, e mancavano le cose necessarie alla mensa del comandante, che doveva essere trattato con ogni riguardo e deferenza, non solo quale officiale del Re Cristianissimo, ma come discendente della famiglia reale di Scozia. Ond’ è che subito fu mandata gente per il capitaneato della Spezia, e fuori del capitaneato, e in Genova stessa per fare acquisto di grano, e d’altre cibarie : Item die ea (18 dee.) in solutis bertellino de fornello prò cundo leuantum tempore Classis Francie s. 10 marioto de Puteo L. I. s. 16 in viagio Januam In causa Granorum et s. 14 solutis in tanta mortella in aduentu Sumi Pontificis in comunitate in 62 to L. iij Item die ea et fuit ante in solutis de numerato filio bertelini de fornello in eius viagio et eius patris leuantum in causa Classis X.me Maiestatis in comunitate in isto in to s. xij d. 6 Recepimus mdxxxiiij die xxiiij octobris in mercede Diuer- G\ioni. slot·, e lett. d. Lig. II. 426 GIORNALE STORICO E LETTERARIO DELLA LIGURIA sorum viagiorum factis (per Mariotum Lazoti de Puteo) in Janua et per vicariatimi temporis classis X.me Regie maiestatis comprehensis s. 11 de uetero v.a in comuni tate in isto in 51 to L. iij s. x Item die ea prò complemento viagij vnius Janue prò classe X.me regie Maiestatis 1. 1 s, 14. prò resto viagiorum di-uersorum factorum de uetero in Janua s. 11 et quattuor viagiis factis per vicariatum Spedie s. 25 tempore dicte classis de anno presenti vt supra prò Marioto lazoti de puteo de isto de 55 to L. iij s. x • E mentre Bertelino col figlio e Mariotto da Pozzo andavano pel grano, veniva spedito Tommaso di Gian Filippo Danese del Ceppo nelle vicinanze a cercar polli e rinfreschi: Recepimus mdxxxiij die xxviiij Decembris in eius mercede eundo per Circumstantias ad querendum polamina et refresca-menta tempore Classis X.me Regie maiestatis in comunitate in 66 to s. X E altrove, per comunitatem, di giorno e di notte, Zanetto di Viano : Item die ea prò tribus viagiis diurnis et nocturnis factis per Zanetum Nicollini de viano tempore predicto va prò isto de 55 to L. i Recepimus mdxxxiij die xxiiij octobris in mercede sue barche (Zaneti Franctsci Regis de Viano) in diversis viagiis factis per comunitatem tempore Caualcate in aduentu classis X-me Regie Maiestatis in Comunitate in 66 to L. i Le povere comunità d’ allora, oltre gli innumerevoli gravami ond’ erano sopraccariche, avevano l’obbligo di provvedere di tutto le milizie o le cavalcate che passassero per il loro territorio, le flotte che ancorassero nelle loro acque. Era cosa naturalissima che i generali dell’ armata cesarea o i capitani del mare del Re Cristianissimo fossero mantenuti a spese del più misero dei comunelli ; anzi doveva essere gran degnazione delle Loro Maestà il concedere un così grande onore. Nè la materna Repubblica pensava a pagar di suo, o a sgravare in parte di questi pesi le comunità; le quali anzi avean pure l’obbligo di mantenere a proprie spese gli officiali eh’ essa mandava a governarle e a riscotere le avarie. Altri tempi, altri costumi! La mensa del duca ammiraglio doveva essere ben provveduta di cibi e di bevande. Oggi gli si donava un vitello: 4 GIORNALE STORICO E LETTERARIO DELLA LIGURIA 427 Item die ea prò Consto vnius vitule donate Illustrissimo D. Duci de Albania pro ipso S. Gasparino prò isto de 61 to L. vi s. x Item die ea prò costo vnius vitule donate 111. d. duci de Albania prò ipso Gaspare (Poliasca)________to L. vi s. x Domani eran pollami e frutti : Recepimus mdxxxiij die xxiiij octobris in mercede diuer-sorum polamium fructuum, paneriis Corbis magnis et parvis datis per «ipsum (Lianorum de Mediolano) d. Sindicis in donatis classi predicte va in comunitate in 51 to L. v Item die ea prò diuersis fructibus et polamibus paneriis et corbis datis per lianorum de mediolano pro donatis classi predicte v.a prò ipso de 55 to L. v E le primizie dell’uva: Item die ea in solutis Io. Marie filio Jamboni rubelli de numerato in tanta vua data Illustrissimo D. Duci de Albania in comunitate in 62 to s. xd.ii Per il vino occorrente alla flotta la Comunità ricorse al signor Francesco Lamporecchi, molto probabilmente un toscano: Item die ea et fuit 10 octobris in solutis de numerato spectabili D. Francisco lampolechio occaxione vini ab eo habiti et donati Classi X.me Regie maiestatis v» In comunitate to L. xxviii s. xvi Per la tavola speciale del duca occorreva vino più scelto, e s’incaricò di provvederne un barilotto certo Rosso Guiscardino: Item die ea in costo vnius vegetis solute Guiscardino presentata piena vino Illustrissimo D. Duci de albania in comunitate in isto in 62 t0 l iij s. x Item die ea pro solutis pro costo vnius vegetis solutis rubeo Guiscardini donata piena vino predicto Illmo D. Duci prò ipso S. Gasparino prò isto de 61 to L. iij s. x Ma la Spezia era allora celebrata per i suoi vini, com’era stata nell’ antichità famosa Luni che, a detta di Plinio, fra tutte le città dell’Etruria, portava la palma (i). Questa fama le era (1) Etruriae palmam Luna habet, Plinii His t. nat. lib. XIV, VI. _ Giacomo Bracelli nella sua epistola del 1448 a Flavio Biondo, Descriptio orae ligusticae, scriveva delle Cinque Terre: non in Italia tantum, sed 428 GIORNALE STORICO E LETTERARIO DELLA LIGURIA dovuta per l’ottimo vino che ora prende il nome dalle Cinque Terre e da Biassa, terra del comune della Spezia, che ha i propri vigneti volti a mezzogiorno e a ponente, in faccia al mare, sulla costa dei monti che chiudono il Golfo a sera. Questo vino era ed è tuttora chiamato amabile, e con tale nome lo celebra il Giovio stesso : Medio in sinu Spedia est, oppidum piscosum ac amabili vino maxime nobile (i). Gli ufficiali della Comunità ne presentarono in dono al Duca dodici pinte, che comprarono dalla cantina particolare di Baldassare Ambrosini della Spezia: Item die ea prò consto pinctarum Duodecim amabilis datarum per baldasarem de ambroxinis donatarum Illustrissimo · D. duci de albania ad s. 6 singula pineta va pro Simone Gatino prò isto de 64 to L. iij s. xij Item die ea in solutis de numerato baldassari de ambro-xino in tuia appodixia sibi facta pccaxione amabilis va in comunitate in isto in 65 *-0 ^· MJ s’ xl^ Si potrebbe credere che i francesi si degnassero almeno di mandarsi a prendere a terra tutta cotesta roba per mezzo de loro palischermi. La Comunità era invece costretta a noleggiare delle barche di pescatori per il servizio di approvviggionamento delle galere, come si vede dai seguenti pagamenti: Item die prò mercede francisci fornaxarij prò viagijs per eum factis cum eius barella ad classem X.me regie Maiestatis vtsupra prò ipso de 55 tn Recepimus mdxxxiij die xiiij octobris in mercede sue barche (Francisci Fornaxarij) in diuersis viagiis factis cum dieta barella ad Classem X.me regie Maiestatis velut in comu-nitate in 51 to Item die ea prò mercede mattei de varixio piscatoris cum sua barcha ad classem predictam in diuersis viagiis \ t supra factis v.a prò ipso de 55 t0 ^ Recepimus mdxxxiij die xxiiij octobris in mercede sue barche (Mathei de Varisio) in diuersis viagiis factis cum dieta barcha ad classem X.me Regie maiestatis in comunitate in 51 1" ’J apud Gallos Britannosque ob vini nobilitatem celebria.... Hinc expunu^ vindemiam qua mensas regias instruamus. (i) Op. cit. lib. I. GIORNALE STORICO E LETTERARIO DELLA LIGURIA 420 Quanto stesse la flotta dello Stuardo all’ ancora in attesa dell’arrivo della Duchessa non saprei dire. Dai nostri documenti non si ricavano le date degli avvenimenti, giacché sono registrati sotto la data del giorno in cui si faceva il pagamento; il che avveniva, d’ordinario, parecchio tempo dopo: gli ultimi conti pagati per le spese fatte in quelle circostanze sono della fine del dicembre. Nè gli storici precisano il giorno della partenza di Caterina dall’Italia. Il Varchi — e fa meraviglia, come contemporaneo — la fa partire di Firenze in un giorno indeterminato d’agosto; il Giovio dice inclinante aestate; gli altri non danno notizie più precise. Il Reumont la farebbe mettere in viaggio il giorno 4 da Pistoia per il Golfo, ma basta (1). t * * * La Spezia era allora governata, in nome della Repubblica, da un Capitano « la iurisdition del quale — scrisse il Giustiniani (2) — massimamente sul criminale è larga -et ampia, per che si stende su tutte le Podestarie circonstanti. Et è questo vfficio uno de i tre vicariati principali di Genoa ». Nell’anno 1533 copriva quella carica Andrea De Fornari; e la Comunità era retta da un consiglio presieduto da due sindaci, eh’erano in quell’anno Bernardo Massa e Pier Giovanni di Mattia Biassolli. Incontro alla Duchessa, che giungeva con nobile cavalcata in compagnia di Filippo Strozzi, del vescovo Leonardo Tor-nabuoni, di Palla Rucellai, di Caterina Cybo duchessa di Camerino, di madonna Maria de’ Medici Salviati e d’ altre nobili dame e cavalieri, andaron certamente, insieme col Duca ammiraglio, quelle prime autorità e le persone più cospicue del borgo. Tra le famiglie spezzine che godevano allora maggiore rinomanza per nobiltà, per censo, per soggetti d’alto grido, era senza dubbio la Biassa, che nella seconda metà del XV secolo, e nella prima del XVI era giunta al colmo del suo splendore, avendo dato ai più alti gradi della milizia di mare e di terra parecchi de’ suoi personaggi, che lasciarono il loro nome alla (1) La gioventù di Caterina de Medici di ALFREDO REUMONT, /rad. di S. ìiianciardi, Firenze, Le Monnier, 1858, 111-24, ΡΛ§· *31· (2) Castigatissimi an nati____ dell’ eccelsa et illustrissima Republica di Genomi.... Genova, 1537, 111-4, cte· XXI. 430 GIORNALE STORICO E LETTERARIO DELLA LIGURIA storia. Viveva ancora, nel 1533, il vecchio Baldassare (1), il più illusile tra gli ammiragli della famiglia Biassa, il quale ospitò in casa sua la futura regina di Francia. L incontro della cavalcata avvenne forse, com' era costume, al passo della Magra ; e il suo ingresso nel borgo per la Porta Romana fu accolto al suono delle campane del duomo, che allora si stava ricostruendo, e con lo sparo delle artiglierie francesi e dei passavolanti e delle bombarde del castello della Spezia e della sovrastante Bastia. La Duchessa non imbarcò subito sulla capitana di Francia, nè partì dalla Spezia lo stesso giorno del suo arrivo; ma, come s’ è detto, pernottò in casa del Biassa. I Biassa avevano le case nella via che anche oggidì porta il loro nome. È la strada del duomo; e fra il duomo e l'ospedale, ch’era presso la Porta omonima, tutte le case, tranne quella dei Conturla, eran dei Biassa (2). Il palazzo di Baldassare, dove Caterina fu ospite, fronteggiava allora il Canale di Piazza, ed una parte di esso occupava l’area che traversa ora il Corso Cavour. Nella recente apertura di questo corso l’ala a levante del palazzo venne conservata e rifatta, ed è ora proprietà del Municipio, che l’ha destinata per sede delle Preture. II ricordo del soggiorno di Caterina in casa di Baldassare si trova in una delle solite registrazioni di pagamento, fatto per un paio di lenzuoli di tela tra i quali la Duchessa dovette dormire. Che la cospicua casa dei Biassa non potesse disporre di un paio di lenzuoli di tela, degni di accogliere la fidanzata del figlio del re di Francia, parrebbe davvero poco credibile; che poi questo paio di lenzuoli dovesse provvederlo la Comunità a sue spese, sembra anche più strano. Comunque sia, ecco il documento, sul quale non può cadere ombra di dubbio : Item die 24 octobris pro pari vno linteaminum amissorum in domo S. s. d. baldasaris de blaxia tempore aduentus Illustrissime Ducisse acaptatorum per dominos sindicos et consiliarios va prò ipso tognino de 55 to L. v Recepimus mdxxxiij die xxiiij octobris in valuta paris (1) Vedi: Appendice I, Notìzie intorno ai Biassa. (2) Cfr. Falconi, Guida del Golfo di Spezia, P. I, Torino, 1877, Pag· 53. nota i· GIORNALE STORICO E LETTERARIO DELLA LIGURIA 43 I vnius linteamimun telle per ipsum (Togninum Magistri Pas-quim de Puteo) portatorum in domo S. D. baldasaris de blaxia de mandato in aduentu Illustrissime ducisse et Ibidem amissorum prout Juravit in comunitate in isto in 55 to L. v Quel prout iuravit non è lì, per caso, a farci dubitare di qualche contestazione o pettegolezzo nato appunto per 1’ affare dei lenzuoli? Certamente l’indomani Caterina dovette partire. La Reale di Francia era pronta per accoglierla: « Superbo naviglio costrutto a sommo studio di grande comparsa. La camera maggiore dall’ albero di maestra infino alla timoniera, coperta di ricchissimi damaschi cremisini, seminati di gigli d’oro, a lungo strascico, profusamente insino al mare. Intorno alla poppa scolture di rilievo messe a oro sul fondo nero; donde maggior risalto di ricchezza e di armonia, e insieme sicurtà di navigazione, e sfoggio di appariscenza. Sulla freccia dorata un forbito fanale di metallo, lucido a specchio, che nel giorno e più anche nella notte gittava sprazzi di vivissima luce. Il coronamento del dorso rilevato in arco, e sostenuto da statue gigantesche ai lati dello stemma papale e reale tra ricchi festoni d’alto rilievo e di finissimo intaglio : ed alle bande, sotto lo sporto dei listelli e dei fregi, gruppi in figura di tritoni e di sirene che, danzando intorno al naviglio, facevano come di sorreggerne il corpo e di seguirne l’andare. Le tende tutte di porpora a ricamo: le camere parate di teletta d’oro e di seta. Gli spallieri incatenati al banco con catene d'argento; e la ciurma di trecento robusti rematori tutti vestiti di raso damascato rosso e giallo, ai colori del Re » (i). Lo spettacolo della partenza dovette essere splendido: il popolo della Spezia dalla riva, dai bastioni e dalle colline sovrastanti al borgo, assistette alla sfilata delle galee della flotta che prendevano il largo procedendo così: dinanzi a tutte, alla vanguardia, alcune galee più veloci e bene armate per tracciare il cammino e scoprire gli agguati, sotto il governo di (I) Guglielmotti, La Guerra dei Pirati e la Marina pontificia dal 1500 al 1560, Firenze, S. Le Monnier, 1895, vo1· I. pag. 351-52. Ouesta nave è appunto la stessa sulla quale salì Caterina, descritta dal Guglielmotti nel narrare il viaggio di Clemente VII a Marsiglia per le nozze di lei il mese appresso. 432 GIORNALE STORICO E LETTERARIO DELLA LIGURIA ufficiali che prendevano il nome di Cercamare, e Re di Galea; appresso lo squadrone delle altre galee con al centro la Reale di Francia, comandata dal duca d’Albania, che portava la Duchessa col suo seguito. Spinta a gran forza di tante braccia, la bella flotta si sottrasse in brev’ ora agli sguardi della folla, scomparendo al di là del promontorio sul quale poi fu costrutto il forte di Santa Maria. Ma fra pochi giorni lo stesso spettacolo doveva rinnovarsi, e con maggiore sfarzo e maggior lusso di cerimoniale, quando la stessa flotta ritornando nell’ acque di Povenza trasferiva a Marsiglia il Sommo Pontefice col seguito di sedici cardinali e di tutta la curia papale. * * * Condotta felicemènte a Nizza la fidanzata di Enrico d’Orleans, il Duca d’Albania ebbe comando di tornar subito indietro per levare Clemente VII, che doveva assistere al matrimonio della nipote, e abboccarsi col Re di Francia. Questa volta la squadra francese non ancorò nel Golfo, ma proseguì fino a Porto Pisano, dove stette sull’ ancora. Così la maggior parte degli autori : il Giovio invece dice che la flotta andò ad attendere il Papa a Livorno. Clemente, partito da Roma il martedì 9 di settembre, per Montepulciano, la Valdelsa e il basso Valdarno era arrivato in Pisa, schivando di passare per Firenze « vergognandosi, come 10 stimo (scrisse il Segni) di passare per quella città, che egli aveva tenuta assediata per undici mesi, e ridotta in sì gran miseria ». E ciò è tanto chiaro, che su questo punto è unanime 11 giudizio degli storici. Il senato di Genova, cui premeva mantenersi benevolo il Pontefice, sapendo eh’Egli per recarsi in Francia doveva traversare le acque della Repubblica, pensò di mandargli incontro ambasciatori a fargli reverenza. Nel dare ragguaglio di questa ambasceria il Partenopeo racconta che i legati genovesi, imbarcati su legni leggeri, attesero il Papa al suo passaggio a due miglia da Genova, e che, saliti a bordo della capitana e « in nome della repubblica genovese con tutta venerazione inclinatolo, tornarono (1) ». Il Bonfadio dice che, avvicinandosi il (i) Annali di PAOLO PARTENOPEO voltati dalla Latina nell’ Italiana favella da Paolo Bacigahtpo, Genova, Ferrando, 1847, in-16, p. 123. GIORNALE STORICO E LETTERARIO DELLA LIGURIA 433 Papa a Porto Venere, i genovesi gli mandarono incontro ambasciatori (i). Più esatto è il Casoni (2) il quale, accennato che il Pontefice fu portato nel Golfo dalla flotta del re di Francia, soggiunge : « Quivi fù complimentato da 4 ambascia-tori della Republica ». Gli ambasciatori furono Ansaldo Giustiniano giurisperito, Vincenzo Pallavicino, Giacomo Grimaldi e Francesco d'Oria Invrea (3), e giunsero nel Golfo certamente prima dell’ arrivo di Clemente. Al solito, toccò alla povera comunità della Spezia fare le spese del loro mantenimento; non solo dovette provvederli del vitto, ma anche delle suppellettili per apparecchiare, e dell'illuminazione a bordo dei loro legni, dai quali pare non scendessero per prendere alloggio a terra. Spigolo dal solito libro di conti della Comunità : Item die ea et fuit de mense octobris in costo vnius vitule donate Magnificis d. Janue Ambassatoribus ad summum pontificem Item die ea in paribus quattuor Caponorum donatis Magnificis D. Ambassatoribus Janue per ipsum (Bernardum Massam) solutis in comunitate in 62 to Item die ea pro paribus quattuor Caponorum datis Magnificis D. ambassatoribus solutis per ipsum d. Bernardum pro ipso de 60 to Item die ea in ambolis Gottis fiaschis datis Magnificis D. Ambassatoribus missis ab 111. D. ad vissitandum summum pontificem in terra spedie comorantem tempore aduentus ipsius summi pontificis in comunitate in to Item die ea pro ambolis fiaschis et gottis datis Magnificis D. ambassatoribus in aduentu summi pontificis v» pro ipso Jacobo pro isto de 59 to Item die ea pro oleo Dato D. Ambassatoribus Janue pro Augustino de acarto pro isto de 67 et candellis to Recepimus mdxxxiii die 29 decembris et fuit ante in oleo dato magnificis d. ambassatoribus Janue in comunitate in 65 et candellis t° Recepimus mdxxxiii die xxviiii decembris in una Toallia L. iij s. x L. iij s. x L. iij s. xviij L. iij s. xviij s. iii d. 6 (1) Annali delie cose dei Genovesi dal 1528 al 1550, Libro II. (2) Op. loc. cit. (3) Partenopeo, Bonfadio, Casoni, locc. citt. Secondo il Partenopeo il quarto degli ambasciatori sarebbe stalo Agostino Invrea. 434 GIORNALE STORICO E LETTERARIO DELLA LIGURIA Telle ab eo (Iacopino Andriani de Contra) habita pro vsu Magnifico nuli ambassatorum Janue in comunitate in 65 to s. xii d. 6 Recepimus mdxxxiii die xxviiii decembris in una Toallia Telle ab eo (Francisco Domtnichini de Somovigo tintor) habita pro vsu Magnificorum d. ambassatorum Janue in comunitate in 65 to s. xii d. 6 Recepimus mdxxxiii die xxviiii decembris in una Toallia Ielle ab eo (Baptista Bertucelli) habita pro vsu D. ambas-satorum Janue in comunitate in 65 to s. xii d. 6 Item die ea prò consto Taciarum duarum amissarum tem-poie quando eiat (sic) In terra spedie D. Ambassatores datarum per Steffanum de Rimazorio va prò ipso de 57 to s. Itera die 29 decembris in Tacijs duabus Terre amissis quando d. ambassatores Janue pro vsu ipsorum habuerunt va in comunitate in isto in 68 to s x Recepimus mdxxxiii die 29 decembris in eius mercede (Michaelis Dominici de Cozano) sue barche qua portauit victualia D. ambassatoribus Janue in comunitate in 68 to s. xv Itera die ea pio mercede barche que portauit victualia D. Ambassatoribus Janue prò Michaele de Cozano prò isto de 67 to S. XV * * * Clemente VII partì da Roma il 9 di settembre; tra il lungo viaggio di terra fino a Pisa, e l’indugiarsi parecchi giorni in q esta città nell attesa del tempo buono (i), trascorse quasi un mese prima che s’imbarcasse per il suo viaggio. Il giorno 5 ottobre (2), una domenica, salpò da Livorno, secondo alcuni, o da Porto Pisano, come ho già ricordato, secondo altri ; e opo sei giorni, cioè il sabato successivo, arrivò a Marsiglia. 'er Paolo Gualtieri d’Arezzo, che seguiva il Pontefice nella qua ita di prefetto delle cerimonie, lasciò un giornale di quel viaggio (3); ma in quello ei non registrò che le date della partenza e dell’ arrivo, tacendo della fermata nel golfo della bpezia, senza la quale non si spiegherebbe il soverchio tempo occorso per quel tragitto, che avrebbe dovuto farsi in tre giorni. , on/ cit Gr°’ „°Λ Clt‘T:>. ^xPecta1ue idonea tempestate. Il Segni Franzese » λΓ-ι il juìi * °tt0 glorni tantoché arrivasse l’armata I2\ ΤΙ Γτ^ °UCa f.Albany era certamente già tornato da Nizza. (2) Il Guicciardini dice erroneamente il 4 (loc. cit.). F// nATUS GUALTERIUS’ Diaria caeremonialia sub Clemente voi ,1 Barbenmana, ,105, p. ,87. Cfr. Guglielmotti, op. cit., 'ol. i, pag. 349, nota. 1 ’ GIORNALE STORICO E LETTERARIO DELLA LIGURIA 435 La flotta fu schierata in questo modo: dopo le galee dei Cercamare, una trireme di gran rispetto chiamata la Duchessa, portante i cerimonieri e i chierici della cappella papale, intenti per turno a salmeggiare intorno al tabernacolo, ove, tra doppieri ardenti, era posto il SS. Sacramento; a fianco della Reale, condotta dal Duca d’Albania, e nella quale risiedeva Clemente VII, a destra e a manca altre galee con sedici cardinali, molti prelati e il resto della curia papale; poi quattro navi da trasporto colle lettighe, le mute dei cavalli, e tutti quegli arnesi e corredi e fornimenti di chiesa, di corte e di città che il Papa, i Cardinali e gli altri dovevano recare in Francia nelle funzioni e nei concistori. Insieme con l’armata francese erano la flotta di Roma con quattro galee della Religione di Malta al comando del-l’ammiraglio Salviati, e le galee di Provenza (i); in tutto una sessantina di legni. Alla Spezia furono preavvisati della fermata del Pontefice, giacche la Comunità spedì subito a Genova per il grano, ch’era tornato a mancare. Il messo impiegò quindici giorni nella faccenda: Recepimus mdxxxiii die xxviiij decembris in eius mercede el salario (d. Io: Mariae de Redoano) eundi Januam nomine comunitatis occaxione Granorum in aduentu summi pontificis v* in comunitate in isto in 68 to L. xv videlicet pro Jornatis quindecim a s. 20 singula. Item die ea prò viagio Janue ad 111. D. facto per d. Io. Mariam Redoanum. occaxione Granorum pro aduentu summi pontificis v» pro ipso D. Io Maria de 58 to L. xv videlicet pro Jornatis xv a s. 20 singula. E per la provvista del grano fu mandato un’ altra volta a Genova lo stesso Bertelino del Fornello, che per l’arrivo di Caterina abbiamo già veduto andare a Levanto : Item die ca in solutis bertelino de fornello et fuit 29 (no-vembris) in eius viagio in Janua in requirendo Granum in aduentu summi pontificis in comunitate in to L. iij s. xviii Poi, avvicinandosi il giorno dell’ arrivo, mandarono una barca in vedetta per avvistare la flotta e darne 1’ avviso : Recepimus mdxxxiii die xiiii octobris in mercede (Francisco n) Guglielmotti, op. loc. cit. 436 GIORNALE STORICO E LETTERARIO DELLA LIGURIA Zambardo) duorum viagiorum et Iornate vnius In expectatione Sanctissimi Domini nostri pape va in comunitate in isto in 5 i to L. 1 Item die ea pro viagiis factis per Franciscum Zambardij per vicariatum tempore predicto ; va prò ipso de 55 to L. i La flotta dovette giungere nel Golfo la mattina del 6, lunedì, essendo partita di Livorno la sera della domenica. Il Papa e il suo seguito scesero a terra dove furono accolti dalla popolazione festante, e dalle autorità del luogo, che avevano preparato un ricevimento. Le vie del borgo eran parate a festa, con bandiere, festoni e insegne mediceo-pontificie, di Francia e di Genova. Lo desumo dalle seguenti spese fatte appunto per la pittura di quelli stemmi, che furon dipinti dall’ eccellente pittore Antonio Carpenino della Spezia, il quale doveva essere allora al principio della sua carriera artistica in pfatria (1): Item die ea in expensis diuersis solutis vtsupra videlicet in nuntiis missis fosdenouo in zuchis Illmo duci de Albania et papero depicto de armis summi pontificis in comunitate in to L. ii s. ii d 2 Recepimus mdxxxiii die 29 decembris in eius mercede (Antonii de Carpina pictoris) pingendi diuersa arma seu Insignia in aduentu summi pontificis in comunitate in isto in 68 to L. iij Item die ea prò mercede magistri Antonii de carpina pictoris pro pingendo arma in aduentu summi pontificis va prò ipso magistro antonio de 67 to L. iij Non trovo memoria in questo registro di conti del luogo dove il Pontefice fu accolto, ricevette gli ambasciatori e passò la notte. Ma senza dubbio fu in casa di Baldassare Riassa, col quale era legato da « molta antica amicizia » (2). Si trova invece ricordo che alcuni del suo seguito alloggiarono presso Ser Gaspare Pogliasca e Francesco di Giovanni Antonio Op-pecini, ai quali dalla Comunità fu pagato un compenso per il disturbo avuto : Recepimus mdxxxiii die 29 decembris in eius mercede sui laboris (S. Gasparis Poliaschae) passi in dando hospitia ho-minibns summi pontificis ex parte alterius sue rationis in comunitate in isto in 68 t0 l. iiij Recepimus mdxxxiiii die 29 decembris in eius mercede sui laboris (Francisci Io. Antonii Oppecini) passi in dando ho- (1) Vedi: Appendice II, Il pittore Antonio Carpenino. (2) Vedi: Appendice I, Notizie intorno ai Biassa. GIORNALE STORICO E LETTERARIO DELLA LIGURIA 437 spitia hominibus summi pontificis in comunitate in 68 to L. iiij Item die ea prò mercede laboris passi in dando hospitia hominibus summi pontificis per S. Gasparem Poliascham et franciscum oppecini va pro eorum ratione de 67 to L. viij Gli ambasciatori del Senato di Genova furono ricevuti in fretta dal Pontefice, e fatta la loro commissione, prestamente presero congedo « perchè Sua Santità disse che con tutta diligenza voleva proseguire oltre, senza toccare alcuno de porti della Liguria, riserbandosi nel ritorno di godere gli onori, e le buone accoglienze della Repubblica » (i). Toccò invece la flotta il Finale e Villafranca, e la mattina dell’undici ottobre, nell’ ora terza, comparve in vista di Marsiglia. Quivi Caterina fu condotta da Nizza, e il 27 di quel mese seguirono le nozze della duchessina appena quattordicenne col duca d Orleans che contava solo un anno di più. Nonostante la giovanissima età degli sposi, il matrimonio fu consumato la stessa sera, e il Papa volle « intervenire presenzialmente a vedergli andare a letto » (2). Clemente VII voleva esser sicuro del fatto suo! (3). Le feste per le nozze e per l’arrivo del Pontefice furono addirittura meravigliose, e durarono trentaquattro giorni; finché ai 12 di novembre papa Clemente riprese il mare per tornare a Roma, dove arrivò, dopo un non felice viaggio, il 10 del dicembre. Ricorderò tra quelle feste memorabili l’incoronazione del poeta pontremolese Paolo Belmesseri, medico illustre di quei tempi, già lettore di logica, medicina e filosofia nell’Ateneo bolognese, e che il papa aveva condotto seco nel suo viaggio a Marsiglia. Il Belmesseri compose per le nozze regali di Enrico e di Caterina un epitalamio in versi latini, che gli valse 1’ onore dell’alloro, di cui solennemente gli cinsero il capo il re Francesco e il Pontefice insieme (4). Ubaldo Mazzini (1) Casoni, op. cit. loc. cit. (2) Segni, op. cit., il quale erra sull’età degli sposi, attribuendo 17 anni a Caterina e 16 ad Enrico. 13) « Mais dès le lendemain des nóces le Pape commença à ne plus tant deferer au Roi qu’ il eût fait, si le mariage n’ eût pas été consommé, dans la crainte qu’ il auroit eu que sa niece ne fût renvoyée, comme Margherite d’Autriche l’avoit été quarante-cinq ans auparavant dans une semblable rencontre ». Λγα-r ILLAS, Histoire de Francois I, 2 ed. La Haye, 1690, Vol. II, Pag· 23°- (4) Cfr. E. Costa, Paolo Belmesseri poeta pontremolese del sec, XI /, Torino, Locscher, 18878, 438 GIORNALE STORICO E LETTERARIO DELLA LIGURIA APPENDICE I. NOTIZIE INTORNO AI BIASSA. Baldassare Biassa fu ammiraglio dell’ armata pontificia. Di lui ci lascio scritto il Foglietta nei suoi Clarorum Ligurum Elogia: « Spedia.... nulla re magis gloriatur, quam alumno suo Baltassare Biassia, cuius memoriam eodem, quae Mutinum virtutis, idemque honoris titulus immortalitati commendat ». Il P. Guglielmotti nel libro II dell’opera La guerra dei pirati e la Marina pontificia dal 1500 al 1550 (Voi. 10 pp. 57-120) tratta delle gesta di Baldassare, che il cardinal Giuliano della Rovere, assunto al pontificato col nome di Giulio II, elesse supremo capitano dell’ armata : « Fin dal principio chiamò capitano dell’ armata navale, ed intimo consigliere nelle marittime bisogne, Baldassare da Biassa, prode uomo, di antica famiglia genovese, della quale ora non resta discendenza ; ma soltanto nella riviera occidentale della Spezia, tra Marola e Pegazzano, il castello di originaria pertinenza chiamato Biassa ; e nel blasone ligure presso a quel nome resta lo stemma segnato con un lione rampante in campo azzurro, sotto corona di marchese. Baldassare, veterano della naval milizia, affine dei Fregosi, discendente di valorosi marini, e benemerito del cardinal Giuliano della Rovere per averlo trafugato da Ostia a Savona, quando pericolosi frullavano i risentimenti borgiani, fu da lui medesimo (divenuto papa) largamente riconosciuto e nominato capitano del mare. Modesto titolo, che in quei tempi scusava i più sonanti dei moderni ammiragli, e portava pari grandezza e maggiore autorità ». La discendenza del Biassa non è spenta del tutto, come scrisse il Guglielmotti, ma sopravvive nel signor Giovambattista Biassa, che in retta linea discende da Giulio figlio dell’ ammiraglio Baldassare, come è provato con sentenza della Corte d’Appello di Genova del 27 luglio 1857 in merito ai- 1 assegnazione di certi benefizi vacanti. Ma 1’ archivio particolare della famiglia è andato per molte vicende disperso. Tuttavia ho potuto rintracciare alcune carte relative a quella e a precedenti quistioni per la causa medesima ; nelle quali carte sono sparse alcune notizie biografiche e genealogiche. Ricavo da esse che Baldassare, del quale non è noto Γ anno di nascita, ebbe in isposa trancesca Malaspina dei Marchesi di Mulazzo; del che fa fede, del resto, l’epitaffio che si legge sul sarcofago marmoreo che racchiude i resti di lei, morta nel 1501, nella cappella dell’Agostina della Chiesa abbaziale di S. Maria della Spezia: AMATÆ - CONIVGI - FRANCISCÆ marchionissae - malaspinæ MVLLACIENSI - BALDASAR ex 7l0bili - FAMILIA BLAXIA - ANTONII - FILIVS SIBI - QVE - COMMVNE SEPVLHRVM (SIC) - HOC ESTRVXIT - OBIIT - HEC __MCCCCCI (i) (I) Le Parole in corsivo e gli stemmi delle due case, che fiancheegiavano l’epterafe furono scalpellati al tempo della Repubblica Ligure democratica. GIORNALE STORICO E LETTERARIO DELLA LIGURIA 439 Questa B'rancesca si cercherebbe inutilmente nelle genealogie dei Marchesi di Mulazzo ; negli alberi uniti alle opere del Gerini, del Litta e del Branchi non è notata. Pure la iscrizione del monumento è lì a far fede non dubbia della sua esistenza, e ci serve a riempire in quegli alberi una lacuna. Passò in seguito a seconde noz^e con Caterina di Tommaso Martinenghi, (forse della nobile famiglia di Brescia) com’ egli stesso lasciò detto nel suo testamento fatto il 30 aprile 1531. Ebbe tre figli maschi, cioè Giovanni e Antonio che gli premorirono, e Gialio, figlio naturale, clic legittimò nel suo testamento. Fu legato da vincoli di parentela con Papa Innocenzo VIII (Giambattista Cybo), « come dalla visura di sei lettere — dice una Relazione manoscritta del Padre Nicolò da Montemarcello, presso di me (1) — in forma di Breve estratte in autentica forma dal Registro de’ Brevi di quel Pontefice conservato nell’ archivio segreto Vaticano, fra quali quella diretta Cardinali et Duci Januae sotto il di 24 febbraio i486, ove leggesi : Dilectus filius Baldasar de Blassia noster secundum carnem affinis, ac Triremium nostrarum Praefectus referet nonnulla circumspectioni tuae nostro nomine ; e continuò alla S. Sede il serviggio di mare, e di terra, anche sotto il pontificato di Giulio II, come da sette altre lettere in forma di Breve estratte pure come sopra in autentica fonila etc. ». Dell’opere di Baldassare dopo la morte di Giulio II non si hanno che vaghissime notizie. Il Guglielmotti (op. cit., pag. 119), terminando di narrare del capitanato di lui, dice che da quel tempo (21 febbr. 1513) non gli riuscì trovare altra notizia della sua vita: « Nel congedarmi da lui, secondo le convenienze, vorrei almeno di volo toccare i fatti successivi della sua vita privata e pubblica nella sua patria ; ma ogni ricerca essendomi tornata vana, mi bisogna senz’ altro star contento a ricordare la stima da lui goduta nella corte di Roma, finché visse il suo protettore e concittadino ». Poco invero vi è da aggiungere; pare che la stima verso Baldassare si continuasse alla corte pontificia anche dopo la morte di papa Giulio, e che 1’ antico ammiraglio avesse qualche dimestichezza con Clemente VII. In un foglio volante a stampa che è presso di me (il quale non saprei ben dire se abbia fatto parte o 110 di una memoria o allegazione) impresso in Genova per il Franchelli nel 1680, e intitolato Nobili, et antiche prerogative delli Antenati del M. Nicolo Biassa della Spezia con docu?nenti autentici, si legge, fra le altre, la seguente notizia: « 1525. Papa Clemente VII di Casa Medici scrisse un Brevetto a Baldassar Biassa in risposta di sue lettere con segni di molta antica amicitia ». Quando cessasse di vivere 11011 ho potuto accertare. Testò, come ho riferito, il 30 di aprile del 1531 ; e in una delle carte manoscritte cui ho sopra accennato, la quale porta la data del 1697, è detto che la sua morte seguì (1) K il Κ. P. Nicolò Carosini dei min. rif., commissario de’ luoghi di Terrasanta, onorevolmente ricordato dallo Spotorno tome « sollecito di trarre dalla dimenticanza le memorie delle lettere ed arti ligustiche » (St. l.ett. della Liguria, T. IV, 209). 440 GIORNALE STORICO E LETTERARIO DELLA LIGURIA ' anno 1531 a dì 20 di giugno. Ma noi lo troviamo vivo nel 1533, ospite di Caterina de’ Medici ; e dai documenti non appare affatto che si parli di persona defunta ; e d! altronde nel libro dei debiti e crediti del Comune dd 1531 se ne trova altra memoria ai 29 di novembre. Alla sua morte, che dovette per altro seguire non molto dopo . 1’avvenimento, giacche non si trovano posteriori notizie di lui, ch’era, del resto, già in età avanzata, il suo corpo venne sepolto insieme con quello della moglie Francesca e del figlio Giovanni sotto l’arca marmorea eh’ egli stesso s’ era fatto costrurre nella chiesa di S. Maria, nella cappella di cui la sua famiglia godeva allora il gius-patronato, concesso con bolla di Clemente VII del 6 giugno 1525. Così almeno egli aveva disposto nel suo testamento : « Corpus vero suum semper, et quando anima ab eo recesserit reponi et sepeliri voluit, et iussit in marmoreo sepulchro per ipsum testatorem condito in Capella S. Giorgij exi-stente in Parochiali Eclesie S. Marie intra Burgum Spedie, in quo sepulchro Nobilis quondam D. Francisca Malaspina de Mulatio eiusdem testatoris prime uxoris, et strenui viri quondam D. Ioannis eorundem jugalium communis filii ossa quiescunt ». Il Federici (Scrutinio della Nobiltà Ligustica, ms. della Bibl. Coni, della Spezia) ricorda i seguenti fatti della vita di Baldassare : « Baldassar de Biassa quondam Antonii con titolo di Nobile Capitano di due Galee 1475, prese l’armi contro Milanesi per la libertà 1477. Capitano della Galea della Guardia 1481. Assoldato con due galee dalla Repubblica 1484. Capitano di 300 fanti alla Guerra di Sarzana [487. Col Suo Bergamino portò da Roma a Savona il cardinale Giuliano dalla Rovere strauestito, che perciò fatto egli Papa, lo elesse generale delle Galee Pontificie, come nel suo Elogio del Foglietta. Genero del Marchese Malaspina ». — Nella guerra di Sarzana del 1487, ricordata dal Federici, Baldassare a capo di 300 fanti occupava il borgo di Sarzanello tolto ai Fiorentini, i quali tenevano ancora il castello, contro cui facevano grande sforzo i Genovesi. Le milizie fiorentine del campo tentarono di soccorrere la fortezza e attaccarono vivamente gli assedianti, che furono rotti, « et si diede qualche carrico a Baldassare de biasia capitano di trecento fanti, che abandonassi il borgo di Sarzanello vilmente ». (Giustiniani, Annali, ad annum). Antonio Biassa, padre di Baldassare, ammogliato con Astigiana De Franchi di Genova, ai 26 di settembre del 1452 dal Doge Pietro Campofregoso fu creato generale delle truppe liguri spedite in soccorso del Duca di Milano. Nel 1460, secondo quanto asserisce il Falconi (Guida d. Golfo di Spezia, P. ia p. 49) fu ammiraglio delle galee pontificie sotto il papa Pio II. Di lui ci lasciò scritto il Federici : « Antonio Biassa quondam Roderici Commissario con titolo nobile alla Spezza ed alle Cinqueterre, riformò con leggi que’ luoghi 1447. Parente di Ianus Fregoso Duce, come per sue lettere gli scrive. Detto anno mandato dal Duce al Papa 1451. Capitano di 500 Balestrieri in servigio del Duca di Milano 1452, ma Gio. Simone dice che furouo 1000. » GIORNALE STORICO E LETTERARIO DELLA LIGURIA 44 I Capitano della Piazza Ducale 1455 » Morì nel 1476. - Gaspare, fratello di Baldassare, ammogliato con Bartolomea De Mari, fu anch’egli generale delle Galee pontificie sotto il Pontificato del suo consanguinço Innocenzo VIII « come da molte lettere di quel Pontefice in forma di Breve estratte come sopra, e specialmente di quella del dì 29 novembre 1485 diretta Cardinali et Duci ac Officio Bailiac Civitatis Januae, ove leggesi : Caelerum, cum in praesenti m patriam remittamus dilectos filios Gasparem de Blaxia consanguineum nostrum,. ac Baldassarem eius germanum quatuor Triremium Praefectus, quarum duae nostrae sunt, duae vero istius Civitatis » (Relaz. cit. del P. Nicolò da Montemarcello) . Secondo quanto scrisse il Federici, Gaspare fu nel 1480 assoldato dalla Repubblica con due galee, con le quali nel 1481 prese due galee ai Catalani. Dal 1489 al 1493 lo troviamo poi in Perugia con le funzioni di tesoriere della Camera Apostolica (Cfr. Fumi, Inventario e spoglio di reg. d. Tes. Ap. di Perugia e Umbria dal R. Arch. di St. in Roma, p. 365). — Altro figlio di Antonio fu Olderico, del quale non si sa altro che tolse in moglie Chiaretta di Gasparo Doria, ed ebbe tre figli, Giambattista, Filippino e Giacometto. Figlie di Antonio furono pure Clementina, Ginevrina e Giacometta, ricordate nel testamento del padre. Dei figli di Baldassare, Giovanni e Antonio seguitarono la carriera e 1’ opera del padre. Il primo fu al servizio di Giulio II insieme con Baldassare, chiamatovi con l’incarico di sorvegliare con una squadra le spiaggie del Tirreno durante la guerra dei pirati nel 1511, quando, tuttoché giovane, godeva già bella fama di esperto e valoroso marino. Licenziato da Giulio II dopo la battaglia di Ravenna, lo ritroviamo l’anno 1514 al servizio di Leon X insieme con l’ammiraglio Paolo Vettori. (Cfr. Barthol. Senarega. De reb. genuen. in R. I. .SS., XXIV, 602, C. — Foglietta, in elogio Baltassaris — Guglielmotti, op. cit. pp. 58, 94 e segg. — Giustiniani, Ann. Gen. cte. 266, m.). Nel quale ufficio pare sia morto circa l’anno 1518, se è esatto il già citato P. Nicolò Carosini allorché scrive nella sua Relazione: « il quale Giovanni morì nello stesso nobile impiego sotto Leone X, come da sua lettera in forma di Breve datata sotto il 25 luglio 1518, estratta pure in autentica forma ». Il Federici ricorda come Giovanni fosse agli stipendi dell’ Imperatore nel 15°7, capitano di una galea del Papa nel 1510 e 1513, e al soldo della Repubblica nel 1514· — Del fratello Antonio, capitano anch’egli di galere pontificie, si trova pure notizia nelle storie. Il Guglielmotti lo dice della stessa famiglia, ma ne ignora il grado di parentela con Baldassare e con Giovanni. Nel 1516 comandava costui due galee di Leon X nella guerra piratica (Giustiniani, op. cit. cte. 272 Q. — Guglielmotti, Op. cit. I, 147, 148). Il Gerini {Meni. Stor. di Lunigiana, I, 272) scrive che il nostro Antonio si trovò nel 1525 alla giornata di Pavia al servizio di Cesare come capitano di molte insegne; ed aggiunge che nel 1514, essendo nel Golfo al comando di due galere, non osò uscire contro sette fuste di pirati saraceni che predavano alla bocca della Magra, forse disperando della vit- Giont. stor. e lett. d. Lig. II. 2q 442 GIORNALE STORICO E LETTERARIO DELLA LIGURIA toria per la disparirà delle forze sue in confronto di quelle del nemico. Dalla Malaspina ebbe Baldassare una figlia per nome Tommasina, che diede in moglie a Pellegrino q. Vincenzo Bernabò di Chiavari assegnandole in dote mille scudi d’oro (Prot. del Not. Paolo Ambrosini, 14 die. 1509, nell’Arch. Coni. d. Spezia). Altre cinque figlie, Franceschetta, Gentile, Elisabetta, Susanna e Caterina sono ricordate nel suo testamento. Giovanni Battista Biassa, figlio del capitano Giovanni, ospitò nel 1538 nella propria casa della Spezia papa Paolo III reduce da Nizza (Cfr. SCHIAFFINO, Annali Eccl. della Liguria, Ms. della Bibl. Univ. di Genova, B. VI. 1, Vol. IV, p. 102). Nel 1528 i Biassa furono albergati nei Gentile, e da quel tempo il nome dell’ albergo si trova nei documenti quasi sempre unito con quello della famiglia. Faccio seguire 1’ albero della discendenza da Oderico seniore fino ai figli dei capitani Giovanni e Antonio, come 1’ ho ricostrutto dalle notizie raccolte. Per queste notizie intorno ai Biassa non mi son valso affatto di due zibaldoni manoscritti della fine del Sec. XVII, intitolati, uno Elogio della famiglia Biassa, 1’ altro Noticie della Casa Biassa ; due pretese relazioni genealogiche, nelle quali con le più goffe corbellerie che si possano immaginare è tutto un insulso piaggiare da principio a fine. Basti dire che in esse è fatto ceppo della famiglia un tal Childerame, nato « di regai sangue de’ Principi Ostrogoti nella Gallia ! ». Oderico m. Benedetta____ f febbr. 1416 Raimondo I Fra Gregorio eletto nel 158? Cav. di Malta I Oderico m. Chiaretta Doria Antonio m. Astigiana De Franchi I Baldassare i. 111. Francesca Malaspina (f 1501) 2. m. Caterina Martinenghi Gaspare ni. Bartolomea de Mari I Antonio I Giovanni ni. Margherita, t 1518 I I I I Gio: Francesco Gio: Tomaso Gio: Batta Giulio I I Agostino Federigo GIORNALE STORICO E LETTERARIO DELLA LIGURIA 443 Ho trovato documenti inediti intorno alla violenta fine di Oderico Biassa il vecchio, la quale appare strettamente collegata con un fatto di capitale importanza nella storia lunigianese. Me ne occuperò in un prossimo articolo. II. IL PITTORE ANTONIO CARPENINO. Di questo pittore del buon secolo, ignoto al Soprani e al Ratti, e che non si trova nella matricola genovese, fanno onorevoli cenni lo Spotorno nella Storia letteraria della Liguria (IV, 209), il Gerini nelle Memorie storiche di illustri scrittori e di uomini insigni dell’ antica e moderna Lunigiana (I> 275) e l’Alizeri nelle Notizie dei professori di disegno in Liguria (Vol. Ili, Pittura, 429 esegg.). Non ci restano notizie della sua vita; quindi non ci è noto come e dove studiasse : non in Genova certamente, giacché sarebbe ricordato in quella matricola dei pittori, la quale pure registra Domenico da Tivegna, Francesco Spezzino, Domenico, Michele e Batino da Passano; e d’ altra parte la sua maniera troppo si discosta dalla scuola genovese. Pure 1 Alizeri, che ricorda di aver veduto in Genova un Presepio « vagabondo di piazza in piazza » con la soscrizione del Carpenino e « la data d’ anno assai presta e di maniera ancor rozza », pensa eh’ egli possa aver fatto colà i suoi primissimi studi. Ma è solo una vaga supposizione. Tanto lo Spotorno che il Gerini (questi del resto non fa che ripetere quanto scrisse il primo) affermano che il nostro pittore si attenne al gusto del Perugino. Ora, ciò non è esatto. Lo Spotorno non vide certamente le opere del Carpenino, e dette come suo il giudizio che gli espresse il padre Carosini di Monte Marcello, che gli mandò notizia di due quadri del nostro pittore, ο l’anonimo che gli aveva scritto d’un terzo quadro dello stesso pittore esistente in Recco. Nelle opere del Carpenino non è più il gusto e la maniera del Perugino; direi più tosto che vi si vede l’influenza dello studio sulle opere di Raffaello. L’ipotesi dello Spotorno, basata sulla presunta vecchia maniera del pittore, ch’egli cioè non sia uscito gran fatto dalla patria e non abbia avuto dinanzi i modelli dello stil nuovo, non è addirittura accettabile, neppure per chi voglia escludere in lui 1’ influenza della scuola del Santi : il Carpenino, per giungere alla eccellenza cui arrivò, non dovette rimaner chiuso negli stretti confini della patria, così povera, allora come adesso, di capolavori dell’ arte. Non senza fondamento scrisse il R. Ispettore per i Documenti e Scavi del Circondario del Levante nella sua Relazione intorno a un quadro del Carpenino : « Quest’ opera insigne c’ induce a credere che il Carpenino, pittore non conosciuto fuora del suo paese, fosse tra i discepoli ed aiutatori di Rafaello, o per lo meno che molto ne studiasse in Roma la maniera ». Non si può escludere a priori 1’ ipotesi elio il Carpenino abbia lavoraco sotto la direzione del grande urbinate, giacché non certamente di tutti i discepoli ci lasciò testimonianza la storia. Ma 444 GIORNALE STORICO E LETTERARIO DELLA LIGURIA non si può negare per altro eh’ egli risentisse dello studio dei capolavori del maestro, e che appartenesse a quella numerosa schiera di contemporanei del Santi, che « sans se trouver en contact avec lui, ont subi son influence et imité sa manière » (Mtjntz, Raphaël, p. 626). Consente nel nostro parere l’Alizeri, il cui giudizio mi sembra in tutto conforme al vero : « Ondeggia il suo stile (o m’ inganno) tra i modi recenti del Raffaellesco e quelli della finittima Toscana: di guisa per altro, che lungi dal condiscendere al licenzioso, par retrocedere in quella vece alla modestia del Perugino ». E addirittura ridicolo quanto scrive il Falconi (Guida del Golfo di Spezia, I, 71) parlando di un certo Peliegro da Tivegna, coetaneo del Carpenino, eh’ egli pretende fosse un pittore : « La vicinanza dello studio di Pellegro Tivegna — così il Falconi — con quello del Carpenino potrebbe indurre a credere che costui venisse aiutato dal nostro Pellegro ne’ lavori che vanno sotto il prelodato nome del Carpenino ». Bella ragione ! o perchè, caso mai, non essere indotti a credere tutto il contrario? Si noti che il Falconi spaccia come pittore questo Peliegro per il solo fatto di averlo trovato registrato al libro dell’ estimo col titolo di maestro, che è dato pure al Carpenino ! e dalla contiguità delle due case ne fa conseguire la vicinanza dei due studi. — Fiorì il Carpenino tra 1’ anno 1530, nel quale gli fu pagato dal Comune un conto in eius mercede pingendi banderas pro fustibus, e il 15 52 » *n cu' &1' s' trova intestata una casa, nei pressi della strada dei Biassa, al libro del catasto. Nel 1564 era già morto, giacché del 23 marzo di quell’anno è un atto, citato dall’Alizeri, nel quale Apelle, figlio del nostro Carpenino, è detto quondam Antonij pitoris de Spedia. Nel 1539 dipinse una grande pala d’altare in tavola per la chiesa degli Agostiniani della Spezia, rappresentante l’apoteosi di San Nicolò da Tolentino. Questa tavola, soppresso nel 1798 il convento di S. Agostino, passò nelle scuole comunali, dove rimase incurata fino al 1873 ; nel quale anno la rappresentanza municipale, fattala convenientemente restaurare in Firenze e ornare di ricca cornice, ne decorò una sala del palazzo. Questo dipinto è mirabile per concetto, per composizione, per disegno e colorito: nel mezzo, sopra una base marmorea troneggia il Santo, che regge un crocefisso con la destra e un tralcio di gigli con la manca. Sopra di lui due angiole gli tengono sospesa una corona sul capo; più in alto sulle nuvole, a destra del quadro, la Vergine assisa col Bambino e a sinistra Sant’Agostino in abito episcopale sorreggono altra corona ; sopra tutti Dio Padre fra una gloria di angioli con ambe le mani sostiene una terza corona sul capo del Santo. In basso, di qua e di là del Santo, due gruppi di popolo che attendono dal taumaturgo la guarigione di alcuni malati. Nell’ angolo inferiore a sinistra del quadro un cartellino porta questa iscrizione : Antonius Carpeninus Spediensis pinx. ann. MDXXXIX. Il R. Ispettore degli Scavi e Monumenti descrisse minutamente questa tavola, elogiandola, come ho di sopra ricordato. Occorre per altro che, nel rinnovar la sua Relazione, corregga alcune inesattezze secondo le varianti, che troverà in questi pochi cenni, per ciò che riguarda GIORNALE STORICO E LETTERARIO DELLA LIGURIA 445 il soggetto del quadro e la provenienza. L’Alizeri ricorda questa tavola dalla notizia del Gerini ; e ne rammenta un’ altra, descrittagli dal Luxoro, come esistente in Municipio e restaurata, rappresentante N. D. con santi ed angeli; ma certamente si tratta del medesimo quadro. Un dipinto del Carpenino esisteva all’ altare di S. Nicolò in S. Maria di Sarzana, rappresentante la Vergine con S. Nicolò, S. Lucia, S. Basilio, S. Antonio di Padova ed altre figure. Questo quadro fu commesso nel 1541 da Filippo Griffi « M. Antonio olim Io. Marie de Carpena habitatori Spedie depintore », come resulta da un atto del notaio F. Montano del 13 febbraio. La cappella di S. Nicolò venne rifatta nel secolo XVII e il quadro non esiste più (Cfr. Giorn. Ligustico, XVII, pag. 49) ■ Un’altra tavola, dipinta e firmata dal Carpenino nel 1542 (1° Spotorno e tutti quelli che copiarono da lui dicono erroneamente nel 154°) esiste al-1’aitar maggiore della chiesa dei P.P. Riformati in Recco. Questo grande quadro, rappresentante la Madonna della Misericordia con S. Giovanni Battista, S. Paolo Apostolo, S. Francesco d’Assisi e S. Bernardino di Siena, venne forse ritoccato e guasto, secondo mi scrive il gentilissimo P. Tomaso Olcese di Recco; ma all’occhio intelligente mostra ancora tutta la sua classica purezza di disegno e vigorìa di tavolozza. Nel 1547 dipinse un’altra tavola, rappresentante i SS. Apostoli Pietro e Paolo e S. Stefano, che si trovava presso il sig. Francesco Rossocci della Spezia, ricordato pure dallo Spotomo. Qupsta tavola andò smarrita, nè m’ è riuscito sapere se sia stata distrutta, o se abbia, cosa assai più probabile, preso la via d’oltr’Alpe. Il Sig. Marchese Giulio Castagnola ha presso di sè due altre tavole del Carpenino, di dimensioni più piccole delle già ricordate : un’Annunciazione e un Sant’Agostino ; ambedue assai belle cose, e in ottimo stato di conservazione. Di esse fece già menzione l’Alizeri ricordandole come esistenti presso la famiglia Rossocci. Secondo quanto afferma il Falconi (op. cit. p. 70), sarebbe stata pure del Carpenino una tavola con S. Bernardo dell’ antica chiesa parrocchiale di Marola, bruciata non sono molti anni per la ignoranza d’ uno di quei massari. Ma la fede del Falconi è assai dubbia, portandolo spesso la sua fantasia ad inventare ; e difficilmente, inventando, ei coglieva nel segno. Così egli erra certissimamente attribuendo al pennello del Carpenino la tavola eh’ è sull’ aitar maggiore della chiesa parrocchiale di Campiglia, rappresentante S. Caterina di Alessandria con altri Santi e l’Annunzia-zione, lavoro assai lontano dalla maniera del nostro pittore, e di nessun pregio artistico. 44Ô GIORNALE STORICO E LETTERARIO DELLA LIGURIA VARIETÀ LA STRADA DI LUNI RICORDATA DAL CRONISTA FRA SALIMBENE. Fra Salimbene discorre a lungo del famoso abate Gioacchino, mistico, teologo, profeta, che a Flora, tra 1’Albula e il Neto, ne recessi solitari della Sila, fondò un nuovo Ordine religioso, modellato su quello de’ Cisterciensi, ma più austero assai ; che fu poi approvato da papa Celestino III, con la bolla Cum in nostra, il 25 agosto del 1196. Il cronista parmigiano afferma che delle dottrine dell’abate Gioacchino (1) ne udì parlare per la prima volta a Pisa. Ecco quello che dice: « Hanc doctrinam audieram, cum habitarem Pisis, a quodam abbate de ordine Floris, qui erat vetulus et sanctus homo, et omnes libros suos a Joachim editos in conventu pisano sub custodia collocaverat, timens ne imperator Fridericus monasterium suum destrueret, qui erat inter Lucam et civitatem Pisanam per viam quae vadit ad civitatem Lunensem » (2). Due erano allora i monasteri della diocesi di Lucca appartenenti al nuovo Ordine florense: l’eremo di Moriglione, e l’Ab-bazia di S. Pietro di Camaiore. L eremo di Moriglione si trova ricordato per la prima volta nell’atto seguente : Hugo miseratione divina Ostensis et Velletrensis episcopus apostolice sedis legatus. Dilectis in Christo filiis priori et fratribus Morilionis fiorentini ordinis et successoribus vestris in perpetuum. Ad decorem domus Domini cura pastoralis regiminis et officii nostri debitum nos invitant ut in ea indu-camus aurea vasa et argentea non autem sola lignea et fictilia que procul dubio non sufficiunt ad ornatum. Verum cum in monasterio sancti Jacobi de Valle Benedicta in loco qui dicitur (3) puellarum vasa tantum lignea et fi- (1) È notevole ciò che dell’abate Gioacchino scrive l’annalista lucchese Tolomeo Fiadoni. « Anno Domini mclxxxiv » (son sue parole) « fuit abbas Joachim in Calabria in monasterio Floris, qui multa prophetice videbatur dicere et libros maxime prophetales exposuit, in quibus de futuris actionibus et eventibus hominum agitur. Sed quia quaedam dixit dubitabilia, et se opposuit Magistro sententiarum, primo quidem per Innocentium tertium ille libellus est reprobatus, ut continetur etiam in corpore juris, et aliae scripturae eius tanquam apocrypha judicantur ». Cfr. Annales Ptolemaei Incensis ab anno MLXl ad annum MCCCIII ; in Documenti di storia italiana pubblicati a cura della R. Deputazione di storia patria per le Provincie di Toscana, dell’Umbria e delle Marche; VI, 61. (2) Chronica fr. Salimbene, parmensis, ordinis minorum, ex codice Bi-bliotecae Vaticanae nunc primum edita, Parmae, ex officina Petri Fiacca-doni, 1857; p. 101. Cfr. Cronaca di fra SALIMBENE, parmigiano, dell’Ordine dei Minori, volgarizzata da CARLO CANTARELLI, corredata di note e di nn ampio indice per materie, Parma, Luigi Battei ed.. 1882; pp. 137-138. (3) Al copista restò nella penna la parola Tulli. GIORNALE STORICO E LETTERARIO DELLA LIGURIA 447 ctilia dedum fuisse noscantur, que prave ac dissolute vivendo splendorem totum ammiserant et con____prorsus erant insidiis temptoris zelus nos religionis et reptitudinis apprehendit ut provideremus ecclesie supradicte et personis commorantibus in eadem. Porro dictum monasterium in spiritualibus erat ita collapsum ut nulla spes quod amplius resurgeret haberetur presertim quia idem locus ex sua dispositione ad monasterium monialium nequaquam idoneus videbatur omnesque prefati monasterii moniales erant illitterate et tota fere per easdem ecclesiastica substantia dissipata ita quod nec ad divinum officium aliquos libros haberent et a se omnino excusserant iugum monastice discipline ut de multis aliis taceamus. Et ideo remotis inde illis quas ibidem invenimus et cum rebus earum ad alia loca transmissis idem monasterium cum cappella sancti Fridiani et cum omnibus pertinentiis utriusque ac quibusdam aliis religionis favore ipsi monasterio assignatis videlicet ab uno latere a colle Vina-riole usque in vallem de Broiti, a secundo a valle de Broiti usque ad paludem, a tertio a palude usque in tenimentum ipsius monasterii et dicte capelle sancti Fridiani, a quarto ubi est ipsum tenimentum monasterii vobis quod movimus magna religione pollere et venerabilis fratris nostris episcopi et capituli Lucani consilio et assensu auctoritate legationis qua fungimur plenarie duximus concedendum ut per vos perpetuo sint ibi monachi qui vivere ac degere debeant secundum Florentini ordinis instituta. Nulli ergo omnino hominum liceat hanc nostre concessionis paginam infrangere, etc. Datum anno Domini millesimo ducentesimo septimo decimo, mense iulii, indictione..., pontificatus domini Honorii pp. tertii anno secundo, sexto kalendas augusti (2). Ugo, vescovo d’Ostia e di Velletri, cinto che ebbe la tiara e assunto il nome di Gregorio IX, il 13 ottobre del 1239 pigliava sotto la sua protezione l’abate e il monastero di S. Pietro di Camaiore « Florentini ordinis » con tutti quanti i beni ; gli univa il già monastero di Tolii ossia la chiesa di S. Jacopo della Valle Benedetta, a condizione che dovesse continuamente dimorarvi il priore con tre o quattro monaci per celebrarvi gli uffìzi divini; gli univa pure la chiesa di S. Maria di Moriglione e la cappella di S. Frediano di Tolli con le loro pertinenze. Papa Innocenzo IV, nel 1244, trovandosi a Genova, ordinò all'arcivescovo di Pisa e ai vescovi di Lucca e di Luni di difendere l'abate e i frati del monastero di Camaiore deH’Ordine Florense, che erano molestati; il 26 febbraio del 1254 assolvette poi il monastero stesso dalla scomunica fulminatagli dal nunzio apostolico. Papa Alessandro IV, il 3 agosto del 1255, lo esentò dall’onere di ricevere e provvedere persone con benefizi e pensioni; e il 3 novembre del medesimo anno lo dichiarò immune dalla giurisdizione dell’Ordinario (3). L’eremo di Moriglione, situato nel territorio di Vorno presso una delle sommità del Monte Pisano, poteva ben dirsi « inter (2) Questo atto è inserto nella Bolla di papa Gregorio IX de’ 13 aprile 1239, di cui faccio parola più sotto, che si conserva nell’Archivio Arcivescovile di Lucca ed è segnata *N. 4. (3) BUONANOMA F. Indice di documenti mediti riguardanti la Badia di S. Pietro di Camaiore ed altre cinese e luoghi della I ersil/a, Lucca, tip. di G. Giusti, 1858 ; pp. 5"11· GIORNALE STORICO E LETTERARIO DELLA LIGURIA vadi t ^.c.’J'|aterr' Pisanam », ma non già « per viam quae vadit ad civitatem Lunensem ». Invece l’Abbazia di Camaiore nÌtl6? P°teVpa be"dirsi Presso la strada lunense, ma tra Lucca e Pisa. Nessuno de' due luoghi, per conseguenza corrisponde pienamente alle particolarità indicate da Sahmbene, praticissimo de’ luoghi, essendo vissuto nella f^fT°:in.?ZZa 3nni a Lucca [I239-I24o] e quattro a Pisa [ I243-I 24OJ. Quali erano allora le strade che da Luni menavano a Pisa e a Lucca? Per metterlo in sodo conviene risalire ai tempi di Roma, e precisamente all’antica Via Aurelia, che appunto da Roma conduceva ad Arles in Francia, traversando la Toscana e le Alpi Marittime. Ebbe per fondatore Aurelio Cotta, che fu nel 241 ' Così ntiene i! Sigonio, e con lui il Bergier. j. Ï!.X.’ .P_er^tro> la vuole più antica, e osserva che il passo 1 Tito Livio in cui descrive la fuga delle Vestali, quando Roma fu presa da’ Galli, ne mostra l’esistenza fin dal 390. Per conseguenza non ebbe che più tardi il nome di Aurelia. « Il est certain » (scrive Ernesto Desjardins, il dotto illustratore della Tavola Peutingeriana), « il est certain qu’avant l’an 109 la Via Aurelia n’ allait pas jusqu’ à Pise, puisq’ elle fut continuée par M. Aemilius Scaurus, qui fut censeur cette année là même avec M. Livius Drusus: Strabon, qui nous apprend le fait, ajoute meme que ce prolongement port le nom de Via Aemilia, route qu il ne faut pas confondre avec la Via Aemilia de l’autre versant de 1 Apennin..... Il est probable que, de bonne heure, le nom de Via Aurelia fut substitué à celui de Via Aemilia pour ce prolongement, non jusqu’ à Dertona, mais jusqu’ à . enua > (i). Ouesto tratto da Pisa a Luni percorreva lun^o il littorale; se ne trovano degli avanzi sotto il Lago di Porta, verso la spiaggia del mare; ne furon rinvenuti de’ residui a Montramito, tra l’ameno monticello su cui sorge il villaggio e il colle soprastante. Esiste, in parte, anche adesso, ma con nome diverso; infatti nel pietrasantino si chiama Via del Diavolo, nel territorio di Montignoso e di Massa Via della Silcia. Mutate durante il medio evo le condizioni della spiaggia in tutta quanta la Versilia e in gran parte della Lunigiana, tra i monti e il mare si formò un vasto e maligno pantano, intersecato qua e là da fosse e da stagni, e coperto in gran parte da macchie palustri (2). Fu allora che la Via Emilia scomparve in grandissima parte e venne sostituita da una nuova strada, fab- ( I) La Table de Peutvnger d’après I’ originai conserve a Vienne, précé-dee d une introduction historique et critique par ERNEST DeSIARDINS Paris, Hachette, 1869 et segg. ; p. 95. (2) Il compianto prof. Francesco Buonanoma in una Relazione che fece sul Lago di Porta l’anno 1853, nella sua qualità di perito de’ RR. Ospedali ed Ospizi di Lucca, che è inedita, scrive, tra le altre cose : « Nell’anno GIORNALE STORICO E LETTERARIO DELLA LIGURIA 449 bricata rasente i monti: la strada Romea o Francesca. Appunto la strada, detta Romea, perchè menava a Roma, e Francesca, percnè conduceva in Francia, è la strada, < quae vadit ad civitatem Lunensem », di fra Salimbene. Al tempo de’ Romani, da Lucca si andava a Luni, col mezzo della Via Cassia; la quale, giunta in Toscana, per Arezzo, Firenze e Pistoia sboccava a Lucca e da Lucca, attraversando la foce tra Massaciuccoli e Chiesa o Quiesa, andava a congiungersi con la Via Emilia. Così la descrive il dott Giovanni Tar-gioni-Tozzetti nel viaggio che fece da Seravezza a Lucca nel- 1 ottobre del 1743: « Passata l’Osteria di Massarosa entrai nella strada che avevo fatta l’anno passato, fino allOsteria di Chiesa; indi seguitai il cammino per la strada maestra di Lucca, comodissima e magnifica, tirata sulle vestigia dell’ antica Cassia, per una foce tra gli alti monti di Chiesa a destra e di Massaciuc- 1838, in cui dovetti visitare molta parte delle gronde del Lago, trovai che il suolo adiacente ne’ luoghi dove non scorrono influenti con acque torbide è composto di sostanze vegetabili, ossia della così detta torba o cuora. Sono perciò concorde col sig. Carlo Giorgini nell’opinare, rispetto al lago di Porta, che i banchi dei vegetabili corrotti che ivi esistono siansi avvallati sotto il livello del mare per causa del sensibilissimo costipamento che attesa la loro natura mobile e porosa collo scorrere del tempo hanno dovuto subire. (Vedasi il processo verbale dell’adunanza del giorno 23 settembre 1843 della sezione di geologia, mineralogia e geografia negli Atti della quinta unione degli scienziati italiani tenuta in Lucca). Il sig. Repetti (Dizionario geografico, fisico, storico della Toscana. Articolo Lago o Stagno di Porta) crede di poterp affermare che le dune e i rinterramenti lungo la vicina spiaggia abbiano potuto far nascere il lago dove esistevano campi e regie vie. È però facile a vedere che le dune e le protrazioni della spiaggia del mare cagionate dai depositi delle arene, che vi fanno le acque marine, hanno al più recato qualche difficolta allo scolo delle acque del lago, segnatamente dopo le alte maree, ovvero quando gli influenti sono in piena ; ma questa difficoltà dee stimarsi insensibile in tempo di calma e nelle stagioni asciutte, in grazia della povertà delle acque che allora scendono nel lago, della poca estensione del lago stesso, della grande capacità dell’emissario e della brevità del corso di questo. Non può dunque, nè deve attribuirsi l’origine del lago di Porta alle acque raccolte e arrestate in quel bacino per la mancanza o difficoltà dello scolo, ma sibbene dalla depressione del suo fondo sotto il livello del mare, l’armi poi fuor di dubbio che la formazione del lago anzidetto sia recente. Infatti sembra inverosimile che la Via Emilia si costruisse dagli antichi Romani in un luogo paduligno sottoposto bene spesso alle escrescenze delle acque che dovevano necessariamente interrompere il cammino ai passeggieri e alle milizie che la percorrevano per passare dall’ Etruria nella Liguria, mentre avrebbero potuto costruirla in luogo sicurissimo alle falde dei monti e al piè della nipe del Salto della Cervia, dove fu fatta in tempo posteriore la strada Romea o Francesca. Laonde è da ritenere con certo fondamento che quando si costruì nella pianura montignosina la Via Emilia, il suolo dove ora esiste il lago non si fosse peranco avvallato così da essere più depresso del pelo del mare ». 450 GIORNALE STORICO E LETTERARIO DELLA LIGURIA coli a sinistra, e scesi nella bellissima ed egregiamente coltivata pianura di Lucca » (i). Alla base meridionale del monte di Quiesa, dalla strada Francesca, che proseguiva per Lucca, se ne staccava un tratto, che lungo il lembo settentrionale del lago di Massaciuccoli si avviava al Ponte a Serchio e di là a Pisa. A Quiesa sorgeva un monastero dell’Ordine Benedettino, consacrato a S. Michele. Per testimonianza del Repetti, « di cotesto cenobio, fondato nel 1005 dalla contessa Willa, figlia del marchese Ugo e moglie del conte Arduino, s’incontrano memorie dall’ undecimo fino al principio del secolo XV » (2). Apparteneva alla diocesi di Pisa. Papa Martino IV, il 12 giugno del 1284, ordinò a Guelfo da Vezzano, canonico di Pisa, di esaminare e decidere una lite tra l’abate e i monaci di S. Michele di Quiesa e i fratelli Burlamacchi di Lucca, per cagione di censi non pagati. Fu soppresso da papa Gregorio XII con breve dato in Lucca il 3 luglio del 1408 A proposito dell’abbazia di S. Pietro di Camaiore fa un’osservazione il prof. Buonanoma che è di gran peso. « L’Ordine Florense » (così scrive) « dee indubitatamente considerarsi siccome uno degli Ordini religiosi che militavano sotto la Regola del santo patriarca Benedetto, ed i suoi monaci possono e debbono in conseguenza appellarsi col nome di Benedettini. Che se piacessemi convalidare le prove intorno a ciò allegate dagli scrittori, con qualche documento tratto dai nostri Archivi, io produrrei i due atti della Cancelleria del nostro Arcivescovato degli anni 1369 e 1383 ne' quali il monastero e i monaci della Badia di Camaiore, che appartenevano pur sempre all’Ordine di Flora, si dicono dell’Ordine Benedettino » (3). Alla Regola di S. Benedetto e nello stesso tempo allOrdine Florense è da ritenersi appartenesse il monastero di S. Michele di Quiesa, che era veramente « inter Lucam et civitatem Pisanam, per viam quae vadit ad civitatem Lunensem ». E senza dubbio ne fu abbate il « vetulus et sanctus homo » che nel convento di Pisa (la diocesi sua) metteva in salvo « omnes libros a Joachim editos », temendo perissero insieme col suo monastero, per vendetta dell' imperator Federico II, del quale il solitario della Sila aveva vaticinato la caduta é la morte, senza però precisarne l’anno, come fecero i poco accorti discepoli. Giovanni Sforza. ( I) Targioni-TOZZETTI G. Relazioni d' alcuni viaggi fatti in diverse parti della Toscana [seconda edizione] ; VII, 30. (2) Repetti E. Dizionario geografico, fisico, storico, della Toscana ; IV, 699. (3) BuoManoma F. Cenni storici sopra alcune chiese e luoghi della I ’ersilia ; negli Atti della R. Accademia Lucchese ; X VII, 425. GIORNALE STORICO e LETTERARIO DELLA LIGURIA IL PERCHÈ D’UNA CROCE OBLIQUA E DI CERTI VERSI DANTESCHI. Nell interessante articolo: « Un’escursione in Croazia » pubblicato il i° Settembre 1899 nella Nuova Antologia, il generale Luchino Dal Verme scriveva: « Su queste cassette della regia posta magiara, nel mezzo, in luogo dell’aquila bicipite, c’è, come nei francobolli, lo scudo d’Ungheria sormontato dalla corona di Santo Stefano, e ciò è naturale. Ma la croce che sta sulla corona è piegata da un lato. Malgrado sia stato più di una volta a Budapest, non avevo mai notato questo particolare; e, stavolta, quando me ne accorsi, credevo fosse difetto di costruzione. Il perchè di quest’ anomalia costante non mi sono arrischiato di chiederlo, temendo di offendere la suscettibilità dei Magiari tanto fieri delle antiche tradizioni da non voler raddrizzare neppure la croce piegata nella corona dei loro Re >. Questo perchè l’avea chiesto il prof. B. da Pavia ai lettori d un foglio domenicale (1) pochi mesi innanzi. La direzione ricevette in proposito risposte parecchie e pubblicò quella che era stata mandata dal Sig. E. Villa da Vienna premettendo le parole seguenti: * Fra le varie letterine scegliamo questa: la sola che, a dire il vero, contenga dati precisi, mentre le altre ripetono vaghe tradizioni non rafforzate in alcuna guisa dalla storia. Il Sig. E. Villa ci scrive dunque da Vienna: « Stefano il Santo ré d'Ungheria, fra il nono e il decimo secolo otteneva da papa Gregorio V (?) la corona colla sua brava croce diritta come sulle altre corone reali. In contraccambio di questo dono il papa desiderava che il sovrano ungherese convertisse tutti i popoli a lui soggetti, alla religione di Cristo. Non potendo piegare i suoi sudditi pensò allora di piegare colle proprie mani la croce che sormonta la corona reale, volendo con ciò significare che la croce di Cristo regnava sovrana soltanto sovra una parte e non su tutto il popolo ungherese ». Ma in così incerta materia erano appunto i dati precisi, che aveano soddisfatta la Domenica (2), quelli che m’inducevano a credere trattarsi d'una leggenda anche qu sta volta. Nulla infatti di più preciso, nella falsità sua, d’un falso racconto, e basti per tutti quello dello Tschudi a proposito di Guglielmo Teli, il quale ebbe una celebrità mondiale (3). D’altra parte un (1) La Domenica tiri Corriere, N. il dell’anno I. (2) Anche di recente la Domenica pubblicava come celtici 1 ! ) dei canti religiosi tedeschi «lei VII Comuni di Vicenza. (3) I>\\ G 1,0 IN f.T SkioWOHOS. Introduction aux études historiques (Haris, Hachette, 1899) pp. 136-37. « L’abondance et la précision des détails, 452 GIORNALE STORICO E LETTERARIO DELLA LIGURIA particolare, anche minuto, riguardante la santa corona, promessa da un angelo ai discendenti di Attila, dagli angeli porta a Mattia Uniade Corvino, da Kossuth nascosta per sottrarla ai Russi alleati degli Asburghesi, da questi finalmente ricuperata quattro anni dopo le forche di Arad, non è senza importanza trattandosi di questo che fu sempre considerato come il palladio della nazione e della monarchia, e col quale si connettono tutte le vicende avventurose di quel nobile popolo. Qual meraviglia che l’obliquità della sua croce venisse attribuita a volere di Stefano stesso, il primo re ch’ebbe da papa Gerberto il dono prezioso e il titolo di apostolico che porta tuttora Francesco Giuseppe I? Ma quanto poco stimavasi la fede d’un re santo che avrebbe, secondo il detto racconto, piegato con empie mani il segno sublime, quasi disperasse che i re- apostolici avrebbero mai potuto piegare i riottosi Cumani! No; la verità doveva essere altrove. Appunto perchè la corona era ritenuta santissima cosa e solo chi ne aveva tocca la fronte era dai Magiari tenuto per vero re, fu essa in casse chiuse da ferree sbarre guardata, custodita da scorte armate e da appositi magistrati a Buda o a Presburgo ; ma, dopo la estinzione degli Arpadiani, scatenatesi le guerre per la successione e durate, si può dire, sino alla fatale Mohacz, fu anche la corona più volte smarrita e ritrovata, rapita e ricuperata, perfino data in pegno come ai tempi di Elisabetta di Lussemburgo, e dalla porta di ferro alla porta ungarica e dal confine dei Bizantini e degli Ottomani sino alla imperiale Vienna, coll’onda del Danubio o a ritroso di essa, fu perpetuamente errabonda sin oltre la metà del secolo XIX. Francesco Giuseppe la fece con solennissima pompa, come un re ristaurato, ricondurre nel castello di Buda; ed ecco perchè io mi rivolsi a un dotto professore di quella città (i) dove le cose magiare si son sempre sapute e capite meglio che a e bien qu 'elles fassent une vive impression sur les lecteurs inexpérimentés, ne garantissent pas 1’ exactitude des faits ; elles ne renseignent que sur P imagination de l’auteur quand il est sincère ou sur son impudence quand il ne l’est pas. On est porté à dire d’un récit circonstancié: « Des choses dece genre ne s’inventent pas ». Elles ne s’inventent pas, mais elles se transportent très facilement d’un personnage, d’un pays ou d’un temps à un autre ». (i) Il D.R Giulio Lànczy professore ordinario di storia moderna nella R. Università di Budapest amantissimo della Italia, eh’ egli visita quasi annualmente, e dove conta assai amici ed ammiratori. Parecchi de’ suoi apprez-zatissimi saggi storici riguardano cose italiane medievali e specialmente la Toscana del trecento, il suo pensiero e la sua letteratura. I lettori dell'Arch. Stor. Ital. ricorderanno nel fascicolo III del 1891 la recensione che il prof. Giorgetti vi inserì dell’opera pubblicata nel 1890 dal D.R Lànczy, Torté-nelmi Kor-es Jeìlemraizok — (Descrizioni di tempi e caratteri storici) — (Budapest, Hornyansky, 1890), e particolarmente degli studi danteschi elle ne fanno parte. GIORNALE STORICO E LETTERARIO DELLA LIGURIA 453 Vienna. Chiedevo lumi sulla piccola, ma interessante questione. Ecco tradotta la risposta eh’ egli, colla solita sua cortesia, mi ha mandato:· « l’obliquità della croce è posteriore al secolo XIII, al tempo cioè in cui le due parti della santa corona, la romana e la bizantina furono unite (i). Essa obliquità è dovuta a un colpo violento, e risale al tempo di Ottone di Baviera quand’ ei la chiuse in una scatola di legno e, appesa questa alla sella del suo cavallo, la portò in Ungheria (1305). La scatola gli cadde nella marcia e andò smarrita ; però dopo un giorno di vane ricerche fu ritrovata verisimilmente nei paludi di Fischer-mend presso Vienna ». E mentre leggevo questo, mi tornava naturalmente al pensiero l’augurio del nostro poeta: Oli beata Ungheria se non si lascia Più malmenare ! (2) e pareami leggervi persino un’ allusione alla santa corona così malmenata! Infatti, nella cantica stessa, poco addietro, Carlo Martello nomina espressamente la « corona » la quale » ful-geagli già in fronte » Di quella terra che il Danubio riga, Poiché le ripe tedesche abbandona (3), e Dante, cui non era ignota la sozza e laida vita di . quegli ultimi Arpadiani (così la chiamò l’Ottimo) e non le fiere guerre che desolarono quel paese prima e dopo 1’ assunzione al trono di Carlo Martello d’Angiò, probabilmente pensava anche all'Ungheria, e non al reame solo di Napoli, quando deplorava la vita troppo breve del coronato amico suo : il mondo I' ebbe Giù poco tempo ; e se più fosse stato Molto di mal sarà che non sarebbe. (I) Era stalo Michele VII Ducas imperatore bizantino (1071-1078) che aveva donata la corona bizantina a Geiza II re d’Ungheria. Era dessa aperta e 11011 chiusa a calotta come l’altra donata da Silvestro II a S. Stefano. Che le due parti 11011 fossero ancora state unite nel duecento parmi possa esser provato anche dal codice viennese del Chron. Marci Hung. (1330) nelle miniature del quale i re ungheresi del duecento sono sempre rappresentali colla corona aperta. Sulle vicende della santa corona è da consultarsi l’opera: I.es insignes royaux de Hongrie décrits par le D.R BÈla Czobor rédigés par E. DE Rodisics (Budapest, 1896) opera offerta ai membri del Congresso di Storia dell’Arte tenutosi in quella città per le feste del millennio dal Ministro dei Culti e dell’ Istruzione. 12) Farad,, XIX, 142. (3) farad., Vili, 65. 454 GIORNALE STORICO E LETTERARIO DELLA LIGURIA Altro può osservarsi sulla condanna che implicitamente venne Dante a pronunziare degli ultimi Arpadiani compreso 1 emulo di Carlo Martello: dico Andrea III il veneziano, figlio di Tommasina Morosini. E’ vero che discendenti da santi e sommi re aveva chiamati quegli Ungheresi Carlo il vecchio d’Angiò (i) quando, con duplici nozze, preparava a’ suoi nepoti le vie per salire alla corona di Santo Stefano, e che Francesco da Buti dice che « quelli regi.... solevano essere buoni ». Ma non poteva a Dante siffatta bontà, condita largamente di violenze e discordie domestiche e troppe lussurie, garbare. Gran merito di quei sovrani (anche i papi l’aveano detto e non pochi ne aveano collocato sugli altari) 1' estensione della fede di Cristo specialmente fra i Cumani e le altre barbare popolazioni nella parte meridionale del regno. Ma non era merito questo da compensare le molte colpe quando sarà quel volume aperto, Nel qual si scrivon tutti i suoi dispregi ; i dispregi di Cristo, il nome del quale essi hanno sempre in bocca (come diffonditori della fede, direi io alludendo ai re Magiari) : molti gridari Cristo Cristo, Che saranno in giudicio assai men prope A lui, che tal che non conobbe Cristo. La qual profezia Dante pronuncia a mezzo dell’aquila che è simbolo del perfetto reggimento e della giustizia dell'Impero. In verità dinanzi a tal tribunale, come a quello di Dio, benché coronati colla santa corona quei re erano stati pesati e trovati calanti. Oh beata Ungheria se non si lascia Più malmenare ! Non solo per i vincoli di parentado cogli Angioini, ma per altre nozze fatte tra noi, le cronache d’Ungheria doveano esser note in Italia e specialmente sulle sponde deH’Adria ov’ebbe Dante l’ultimo rifugio. Andrea II il Gerosolimitano aveva in terze nozze disposata Beatrice, figlia di Aldobrandino marchese di Este (2) e zia di quel « biondo Obizzo » che è punito ncl-l’inferno (1) M. SCHIFA. Carlo Martello in Arch. Stor. .Vap. Anno XIV (18991 eccellente lavoro meritevole d’ esser più conosciuto. (2) V. le fonti ungheresi in ScHIPA, op. cit. e ARRIVAMENE, // scroto di Dante (Monza, Corbetta, 1838) nel quale, senza apparato, sono offerte molte- notizie esattissime. GIORNALE STORICO E LETTERARIO DELLA LIGURIA 455 fra i tiranni Che dier nel sangue e nell’aver di piglio (i). Stefano postumo, nato di queste nozze, sposò dapprima Iraversana di quella casa Traversara di Ravenna che il poeta esalta per bocca di Guido del Duca, e finalmente Tommasina Morosini da Venezia sopraddetta, che fu madre di Andrea III. Poi gran tramite di relazioni con quel paese era la Curia Romana, che vantava sulla patria di S. Stefano particolari diritti e nel primo anno del nuovo secolo (1301) avea colà mandato in legazione — pontificando Bonifazio Vili — il cardinale di Ostia, Nicolò Boccassini, che fu poi il successore stesso di Bonifazio nella cattedra di Pietro, col nome di'Benedetto XI. Era appena morto, colpito dalla papale scomunica Andrea III il veneziano, mentre il re suo rivale Carlo Martello l’avea preceduto ventiquattrenne nella tomba fin dal 1295, e avea trasmessi i propri diritti al figlio Canroberto. Il partito, che in Croazia e Dalmazia avea sostenuto gli Angiò riprese vigore, e Bonifazio Vili (2) si preparò a spianare al trilustre giovinetto la strada, scomunicando Venceslao figlio di quell’altro Ven-ceslao di Boemia « cui lussuria ed ozio pasce » (3); Venceslao (1) lnf., XII, 104. Lo Scartazzini rinvia per questo passo al capo 7 del libro IV della famosa Storia della Boemia del PALACKY. (2) Tosti. Storia di Bonifazio Vili (Roma 1886) vol. II, cap. V. Sull’argomento cfr. nella citata recensione del Giorgetti (p. 6 dell’estr. 1: « Questi studi danteschi hanno dato anche occasione al Sig. Lànczy di imprendere un lavoro molto più vasto sulle relazioni di Dante con papa Bonifazio Vili e col Papato in genere, e su quella interna crisi della Chiesa medievale che si stende dal Pontificato di Niccolò III fino alla metà del XIV secolo ». 11 capitolo di questo lavoro, che fu letto alla R. Accademia delle Lettere di Budapest nel Marzo del 1891 s’intitola: Celestino V e gli Spirituali. I principi del pontificato di Bonifazio Vili. In questo — secondo la relazione della Ungarische Revue (IV iasc. Aprile 1891) — « appoggiandosi ad un passo della Cronaca del Villani l’autore cerca di provare contro al Reumont che 1’ elezione di Bonifazio dovette necessariamente avvenire in seguito di un accordo con la casa d’Angiò, e degli sforzi di questa che aveva ricevuto promesse in favore delle pretensioni di Carlo li sopra Sicilia ed Ungheria ». A me spiace tanto più avere scritte queste poche pagine senza conoscere tale capitolo dell’amico lontano perchè, secondo la Revue « non solo vi si ricordano le relazioni di Carlo Martello con Dante e con Bonifazio; ma la figura, che ci appare solo nell’ ombra, di quel pretendente e re titolare, di cui la storiografia ungherese aveva finora appena notizia, riceve qualche maggior luce nei suoi rapporti con Celestino V ». Serva questa nota (e mi scusi il lettore se riuscì troppo lunga) per eccitare il valente storico amico dell’Italia a proseguire e render di pubblica ragione questi altri uoi studii. Abbiasi frattanto i miei ringraziamenti per la sua comunicazione e così, per altre notizie, li abbia il gentil Prof. Antonio Àldósy libero docente in quella stessa R. Università. (3) Purg., VII, 102. Dante lo fustiga quantunque sia stato chiamato, 456 GIORNALE STORICO E LETTERARIO DELLA LIGURIA discendente egli pure, e per via di donne, da Bela IV, che gli avversari degli Angioini aveano eletto e coronato colla santa corona. Sopravviene, dopo l’oltraggio di Anagni, la morte del papa, ma Venceslao deve, in ogni modo, lasciar l’agone per le minacce di Alberto d’Austria, « che il regno di Praga fu diserto ». Prevalgono a lora i Transilvani e chiamano e incoronano Ottone di Baviera figlio d’un’Arpadiana lui pure, d’una figlia cioè di Bela IV (1305). E fu allora che la croce della santa corona subì la jattura di cui narrano il Chronìcon Budense e il Chronìcon pictum Vindobonense, e dalla quale abbiamo prese le mosse. Essa ci parla anche oggi della valanga di guai che la varietà degli etnici elementi, da cui risultava la monarchia, e le conseguenti rivalità, trassero sul paese: Croati e Rumeni, Magiari e Tedeschi, Schiavoni, Dalmati e Szecleri parteggiavano tutti e si combattevano. La Curia Romana, l’azione della quale in Ungheria era stata quasi interrotta per il breve pontificato di Benedetto XI e poi per il trasferimento in Avignone, intervenne di nuovo sotto Clemente V e con risolutezza. Legato fu un minorità, quel cardinal Gentile da Montefiore che Dino Compagni avrebbe voluto a Firenze « per noi adirizare » mentre pendeano con Bonifazio le pratiche, che condussero alla venuta invece di quel savio e onesto paciaro che fu Messer Carlo di Valois. La legazione del Cardinale di Montefiore in Ungheria, della quale bellamente espose le vicende il Reumont in un articolo del 1885 inserito nell 'Archivio Storico Italiano (1), ha speciale importanza per la transazione alla quale fu costretto il legato dalla dieta sull’importantissimo punto dei diritti della Santa Sede; ma a noi basterà qui dire, che con questa transazione, la Curia ottenne che fosse dalla dieta riconosciuta legittima l’elezione di Canroberto. Non mise tempo frammezzo il cardinale, e siccome la corona era passata frattanto da Ottone di Baviera al suo antico fautore il vaivoda di Transilvania (2) memore perchè la storia fu scritta da cronisti ecclesiastici, il Pio e il Buono. Infatti udiva fino a venti messe al giorno; questo non toglie che fosse ben dedito a lussuria. Una siffatta santità, che ha riscontro in quella di parecchi degli ultimi Arpadiani, dice bene lo Scartazzini, non era tale da piacere a Dante. Il poeta rinnovò 1’ accusa nel Par. al luogo più volte citato : La lussuiia e il viver molle . . . . di quel di Buemme, Che mai valor non conobbe né volle. 11) L’ Ungheria e la Santa Sede. (Serie IV, Tomo XVI, p. 362 e segg)· Questo ed altri studi dello stesso sono fra i non molti pubblicali in Italia sulle cose d’ Ungheria, che hanno tante e così importanti attinenze con quelle della penisola. (2) Il re Ottone di Baviera era riparato presso il vaivoda nel 1308 dopo la presa di Strigonia fatta dai partigiani di Canroberto ; ma il vaivoda lo tenne prigione e gli sequestrò la santa corona. Tanto mi comunica il Prof. A. Àldósy, rinviando alla cit. pubblicazione del D.r Czobor. GIORNALE STORICO e LETTERARIO DELLA LIGURIA 457 del motto dei Magiari: Non est rex nisi coronatus, il giovane capo dell Angoino fè cingere con altro regai serto dall’ arcivescovo primate di Strigonia (27 Agosto 1310). Poi scomunicò Ladislao il voivoda che tuttor sequestrava il palladio della monarchia, e ricuperatolo alfine, solennemente fece rinnovare la incoronazione, colla santa corona questa volta, in Albareale ( uhlweissemburg). com>nc>ò il regno di Canroberto « signore di gran valore e prodezza » secondo il Villani, e padre i quel Ludovico d’Angiò che fu re d’Ungheria, sovrano di almazia, Croazia, Servia, Bulgaria, Moldavia, Transilvania, Boemia, e d una parte della Valacchia, potente certo più d’un im-peiatore e degno in tutto dell’epiteto di grande con cui nella storia è conosciuto. Sulle cose della penisola, come nemico dei eneziani e come cognato di Giovanna I di Napoli ebbe du-p ice e notabile influenza; ultimamente il Frakuói richiamava nuovamente l’attenzione dei dotti sui rapporti del re Luigi col etrarca, ma di ciò basti chè andremmo troppo lontani dal termine prefisso a questa nota. Guido Bigoni BOLLETTINO BIBLIOGRAFICO. Emilio Paxdlvxi, Gli Statuti di Portovenere (Anno 1370), Genova, Tip. Sordomuti, 1901, in-8, di pp. 121. Jj A., che è giovane assai, e muove ora il primo passo nel campo delle lettere, lia dato un buon saggio della sua attitudine agli studi storici pubblicando gli Statuti comunali di Portovenere, Iinoi a manoscritti in un noto codice del marchese Magni Griffi di Sarzana, e tacendoli precedere da una diffusa introduzione storica dalle origini del borgo fino all’epoca della compilazione di essi. Quella introduzione è fatta con molta cura ; condotta quasi sempre sulle fonti, che son per la massima parte gli Annali di Caffaro e dei continuatori, e sopra documenti finora inediti, che ΓΑ. ha tratto dal Libro dei Previlegi della Comunità di Portovenere, e dei quali pubblica alcuni fra i più interessanti. Ho notato però qua e là certe inesattezze, che l’A. si è lasciato sfuggile, forse perchè non ha usato tutta la necessaria diligenza nella ricerca del vero, o non ha avuto modo di farlo. Per esempio, in Tolomeo non troviamo le prove della esistenza di Portotenere al principio dell’era volgare: Pietro Bertio, nella sua piegiata edizione della Istruzione geografica, notò che Veneris portus, hi i/cie portus, hrt/cie sinus intima, in Graecis manuscriptis desiderantur. Il golfo della Spezia non fu chiamato mai nell’antichità Porto Venere, G ioni. stor. c letl. il. Lig. //. ,0 458 GIORNALE STORICO E LETTERARIO DELLA LIGURIA ma soltanto e sempre Portus o Sinus Lunensis o Lunae. — La chiesa di S. Pietro non fu e non potè essere consacrata da Gelasio II ; è ben vero che ciò si legge in non so quanti libri di divulgazione ; ma è un errore che gli uni han copiato dagli altri, senza curarsi di verificare per conto proprio l’asserzione. Non saprei dire con certezza dii primo divulgò quella notizia ; ma credo di non essere lontano dal vero attribuendone la paternità ad Antonio Rossi, che la pubblicò in quella sua lettera al Baron de Zach, che porta per titolo Memoria sul Golfo della Spezia (1). Egli, dopo aver asserito che la Chiesa di S. Pietro è opera romana, eretta da Lucio al culto di Venere Ericina, assicura poi, sulla fede di Caffaro di cui cita anche la pagina, che fu dedicata a S. Pietro da Gelasio II, e pieci-samente il 19 luglio del 1118! Comprendo come tanta sicurezza possa ingannare la buona fede del lettore; ma il latto è che il Caftaio alla citata pagina ‘254 parla della consacrazione di S. Lorenzo m Genova nel mese d’ottobre per papa Gelasio; ma di Portovenere nemmeno una parola! La chiesa di S. Pietro era l’antico tempio di Portovenere pregenovese, dedicato da quei pescatori al loro pationo, ma, dopo che i Genovesi vi stabilirono la colonia e comprarono dai Signori di Vezzano quel territorio per fabbricarvi il castello, la popolazione si accrebbe e si senti il bisogno di un’altra chiesa, che fu eretta sotto il titolo di S. Lorenzo, e consacrata nel 1130 da Innocenzo Π. In seguito fu ingrandita e rifatta anche la vecchia; ma ciò avvenne soltanto nella seconda metà del secolo XIII, come ne fa fede l’iscrizione in parte oggidì corrosa ed illeggibile della fascia marmorea presso la porta d’ingresso. Questa iscrizione, ìi-portata sconciamente dal Rossi, è riprodotta da altri con maggioie esattezza, fra i quali il Remondini, che ne dà un facsimile (2). Del resto, lo stile del monumento chiaramente ci mostra che la parte più moderna o archiacuta di esso non può essere antecedente al secolo NTTT inoltrato, mentre l’altra può vantare un’ antichità assai maggiore del tempo di Gelasio. Il Pandiani ricorda come nel 1161 il borgo di Portovenere era cinto di buone mura e a sulla porta principale di esso si leggeva e si legge tuttora sur una tavola di marmo questa semplice iscrizione : Portus Veneris Colonia ianuensis - MCXIII (3) v. Da queste sue parole bisogna inferire che egli creda quella iscrizione essere stata posta sopra la porta del borgo in quell’anno. Rettificherò anzi tutto il (1) In Zach (le baron de), Correspondance astronomique, géographique, hydrogra-phique et statistique, Gènes, Ponthenier, 1820, vol. IV, pag. 550. (2) Iscrizioni medioevali della Liguria, in Atti della Soc. Lig. di St. I ditta, vol. XII P. I, pag. 113, n. CLVII e tav. LII, fig. 1. (3) Pag. 12. GIORNALE STORICO E LETTERARIO DELLA LIGURIA 45g testo della iscrizione, la quale, scolpita in due lastrine di marmo sovrapposte, dice precisamente così : COLONIA IANVENSIS AN. 1113. Noterò poi che tre ragioni validissime e inoppugnabili ci vietano di riferire al sec. XII 1’ apposizione di quell’ epigrafe sopra la porta. E prima di tutto il posto che essa occupa fra i due ultimi archi coi quali fu ristretta la porta primitiva; secondariamente il carattere dell’ iscrizione, un bel romano classico, che non può essere precedente al secolo XVI; in terzo luogo le cifre arabiche della data, di cui non credo si abbiano esempi nell’epigrafia del secolo XII. Errò pure il .Remondini credendo al sincronismo del-l’iscrizione colla data; ma non ne dovette avere il facsimile, perche anch’egli la riprodusse errata (1). — L’episodio di Trepidicino è del 1165, non del 1162, e cosi la presa della rocchetta di Enrichetto di Càrpena. E, a proposito di Oàrpena, noto come, seguendo l’errore dei compilatori dell’indice del Liber Turium, l’autore scriva Carpegna (p. 25), che è nelle Marche, e non ha nulla a che fare con la nostra Càrpena. — La spiegazione del Disco, ripetutamente ricordato nell’episodio sopradetto, si trova a pag. 217 dell’ediz. di Caffaro con la traduzione a fronte (dello Zacchia) stampata a Genova nel 1S2S da L. Oarniglia, e rimasta interrotta. Ivi è detto: u Fuori del borgo di P. V. in poca distanza eravi in que’ tempi un largo e piano scoglio, in cui a que’ di vi si faceva osteria. Anche al giorno presente evvi un avanzo di quello scoglio, che dai Portoveneresi appellasi la Chiappa, e serve di scalo in terra ai bastimenti che per sicurezza vi approdano ». Il Belgrano dà la stessa spiegazione, evidentemente rilevandola dalla citata, nell’ ultima edizione degli Annali di Caffaro e continuatori (2). — L’iscrizione pisana del 1244 (stile pisano) dal 1810 non si trova più lung’Arno, ma fu posta in ( ainposanto. — 11 1° documento del libro delle immunità e previlegi di Portovenere non può essere del 1259 (3). Il governo dei capitani data solo dal 1270, e Oberto Spinola e Corrado Doria occuparono quella carica dal 1286 al 1291. Alla narrazione storica l’editore fa seguire un breve capitolo intorno agli Statuti ; il quale non e che uno sguardo riassuntivo della materia contenuta in essi. Questa parte mi pare avrebbe dovuto essere un po’ più largamente trattata. Non voglio intendere con questo che si desidererebbe nel lavoro del P. un completo stu- (i) Op. cit., pag. 5, n. VI. (a) Nota a paR. 175. (3) Pag- 4'· 4Ô0 GIORNALE STORICO E LETTERARIO DELLA LIGURIA dio degli istituti giuridici contenuti in quel codice di leggi, con raffronti e paralleli di altri statuti, perche non credo questo si debba fare nel mettere in luce statuti municipali. Questi sono documenti di storia del diritto, e la pubblicazione di essi è contributo al materiale di quella storia; l’editore che studia giuridicamente uno statuto isolato o con appena qualche raffronto fa opera del tutto vana, sia per la storia del diritto come per quella speciale del suo statuto e del comune ; perche le pubbliche istituzioni dei comuni italiani si comunicarono da un paese all’altro con grande rapidità, in modo che resta assai difficile, e talvolta impossibile, stabilire a quale di loro ne appartenga la priorità — « Quindi non è conveniente » scrisse lo Zdekauer « illustrare in un singolo caso tali istituzioni che vogliono essere considerate in complesso e nella connessione non solo fra loro, ma vieppiù con tutto lo svolgimento del diritto e della costituzione » (1). Ciò che mi sembra manchi nel lavoro del P. è la ricerca, nella vita del Comune che precede la compilazione degli statuti, la ricerca dell’ origine, o, quanto meno, della presenza e successivo svolgimento di questi istituti che poi furono in modo stabile codificati nel 1370, per distinguere possibilmente la parte più antica dalle giunte posteriori, per istabilire da che momento hanno principio le singole istituzioni, giacche è ovvio che la vita civile e politica di un popolo non comincia dal giorno in cui egli si dà un codice di leggi scritte ; e preparare in tal modo a chi dovrà giovarsi di quello statuto per uno studio comparato tutto il materiale pronto, senza obbligare a sempre difficili quando non impossibili ulteriori ricerche. Comprendo però benissimo come una tale indagine sia tutt’altro che facile per quanto si riferisce agli statuti di Portovenere. La parte più antica di quell’archivio comunale è senza dubbio andata dispersa, giacche ci ha detto il professore Manfroni che le carte esistenti non risalgono che al secolo XVI (2); e d’ altra parte non saprei quale frutto potrebbero dare speciali ricerche negli archivi genovesi. E quindi, se in questa parte il lavoro del P. appare deficiente, non si deve attribuire a difetto di diligenza. Ma quello ch’egli non doveva trascurare è la compilazione di un buon indice per materie a corredo degli statuti, come è ormai regola fondamentale universalmente accettata per le pubblicazioni di questo genere. Tutto sommato, questa del P. è un’ottima promessa; ed alla sua fatica verrà certamente fatto buon viso dagli studiosi della nostra (2) li Conslilulo dei Placiti del comune di Siena, in Sludi senesi nel Circolo Giuridico della R. Università, vol. VI, Siena, 1889, pag. 157. (1) L’Archivio comunale di Portovenere. (Note ed appunti!, ili questo Giorn. Stor., vol. I, 1900, i>|). 7 e segK- GIORNALE STORICO E LETTERARIO DELLA LIGURIA 461 regione, i quali saranno ben lieti di aggiungere al loro numero un giovane di non comune valore, che darà certamente utili frutti dagli ulteriori suoi studi. U. M. M. H. Weil. Le prince Eugène et Murat, 1813-14. Paris, 1902. Albert Fontemoing ed. Il titolo e l’autore dell’opera sono francesi e naturalmente i fatti son visti dal punto di vista francese, ma poi e storia d’Italia che forma l’oggetto di questa pubblicazione e di un periodo interessantissimo, e perciò anche storia ligure tanto più che è presso Genova, lungo il torrente Sturla, che si spararono le ultime cartuccie in quella campagna che decise delle sorti dell’ Italia per quasi mezzo secolo. L’autore della pubblicazione interessantissima che segnaliamo ai nostri lettori è noto da lungo tempo ai cultori della storia napoleonica, sia sotto il suo nome che sotto il pseudonimo di Commandant Z. Da un decennio fruga negli archivi delle cancellerie francesi, austriache, inglesi e degli antichi stati italiani per riunire il materiale del racconto che ora infine può presentar completo agli studiosi; da un decennio pure, antico e valoroso ufficiale dell’esercito francese, visita i luoghi che furon teatro di combattimenti in quell’ultima campagna del viceré d’Italia contro le forze austriache, inglesi e napolitane collegate. Il lavoro del quale è già uscito il primo tomo di ben oltre 500 pagine, e quanto prima usciranno gli altri tre anche più voluminosi, è uno studio tanto completo ed esauriente dell’ ultimo periodo del primo regno d’Italia qual non s’ ebbe sinora, e tale che si può prevedere che, pur discutendone gli apprezzamenti e le conclusioni, poco 0 nulla si potrà aggiungervi come materiale storico (1). Mi avvenimenti militari vi son seguiti passo a passo sempre col-1’ appoggio dei rapporti ufficiali, ed il lettore può tenervi dietro facilmente coll’aiuto delle carte che sono unite alla pubblicazione. I negoziati diplomatici sono esposti colla massima chiarezza, il racconto e corredato di documenti secreti che per molta parte eran sinora ignorati e alcune volte presentano le cose sotto un punto di vista assolutamente nuovo ed innaspettato. Di ciò facilmente si persuaderà chi vide una relazione del duca d’Orleans al gabinetto inglese su certa pratica ch’egli ebbe a Palermo col re Ferdinando, (i) Una storia del legno d’ Italia fu pubblicata eoi titolo: Il principe Eugenio, meni, del legno d Italia, Milano, Cotona e Caimi, iS7rf ma quel lavoro è essenzialmente un rimaneggiamento delle meni, dii prime Eugène del Do Cassk, sebbene con r.otevoli nKKiuntc del Canti’·. 4Ô2 GIORNALE STORICO E LETTERARIO DELLA LIGURIA nella quale la meschina figura di quel monarca era lumeggiata in modo scultorio, e ancora recentemente un rapporto dell ambasciatore austriaco presso la corte murattiana, ove emergeva la parte che la regina Carolina ebbe nel decidere quell’ eroico generale di cavalleria ma debole politico che fu il re Gioacchino, ad allearsi ai coalizzati contro il fratello di lei. Dell’ interesse che questa pubblicazione presenta come studio militare non è compito nostro parlare; d’altronde emerge evidente per chiunque consideri che la campagna del viceré del 1813-14 si svolse dalla Drava e Sava al Mincio, fra il Tirolo e la regione emiliana, precisamente su quello che sarebbe il teatro di guerra del-1’ esercito italiano se dovesse fronteggiar un nemico avanzante dall’ est. Come interesse politico il lavoro del Weil è una lettura indispensabile a quanti vogliono conoscere l’oscuro lavorio che condusse la parte inferiore d’Italia ad avanzarsi contro la superiore, a coloro che vogliono spiegarsi come potè avvenire che, pur nel nome dell’ indipendenza italiana a cui dalle due parti s’inneggiava, ancora una volta la penisola si dividesse in due campi avversi, pur essendo politicamente se non riunita in un corpo, pur tutta, meno la Sardegna e la Sicilia, sotto il dominio del nuovo imperator d’Occidente, sia direttamente come dipartimenti francesi, sia come regno d’Italia o regno di Napoli da lui affidato al cognato suo ; coll’ appendice di quella specie d’antemurale ad oriente che Napoleone avea formato ai suoi possessi italiani, coll’eterogenea costituzione delle provincie Illiriche, vecchia denominazione da lui risuscitata per designare un conglomerato di popolazioni italiane e slave, già dipendenti o dalla repubblica veneta o dall’Austria, che pur avean diversa razza, tradizioni e interessi ; che l’Austria poi trovò tornaconto a mantenere. Naturalmente la Liguria non occupa che un posto limitato nel racconto del Weil, tuttavia, oltre all’ interesse supremo che tutto ciò che riguarda la storia generale d’Italia ha naturalmente per noi, anche coloro che limitano i loro studi ai fatti che o si svolsero od ebbero per oggetto il territorio che formava l’antica serenissima repubblica di Genova, troveranno nel lavoro del Weil pagine interessantissime. Come già dissi presso a Genova ebbero luogo alcuni degli ultimi combattimenti, sebben di poca importanza, fra le forze franco-italiane e gli austriaci; a Genova come a Livorno sbarcaron gli inglesi ; a tutti, almeno vagamente, son note le blandizie con cui l’astuto lord Bentinck lusingava fra noi tanto i rammarichi di chi agognava alla ricostituzione del passato, quanto le generose aspirazioni di coloro che già tendevan lo sguardo verso un GIORNALE STORICO E LETTERARIO DELLA LIGURIA 463 avvenire ohe, seppur vagamente, cominciava ad attrarre i più eletti. S’aggiunga che come si trattò dell’avvenire d’Italia in quei combattimenti e in quei negoziati politici, così in gran parte furono italiani i soldati che combatterono quella campagna. Da una parte alleato all’esercito austriaco era l’esercito napoletano; cogli inglesi sbarcarono, e precisamente anche a Genova, quei battaglioni siciliani che il Borbone avea formato vendendone le compagnie e permettendo ai titolari di reclutarle negli ergastoli in mancanza d’ altri volontari! L’esercito del viceré non solo comprendeva l’esercito del regno d’Italia ma delle stesse divisioni francesi in gran parte eran poi italiani i gregari, perché, a tacer della Corsica, formate di territori italiani erano la 27a, 28a, 29a e 30a divisioni militari dell’impero francese e i coscritti liguri, piemontesi, toscani, romani combatterono con nome di francesi, sotto capi e bandiere francesi, in quella campagna similmente che sino allora, come lagnavasi il re Gioacchino pei suoi napoletani, interi reggimenti e brigate sia del nord che del sud d’Italia aveano combattuto e combattevano incorporati in divisioni francesi sui campi di battaglia della Spagna, della Russia, della Germania (1). Per tutte queste ragioni che qui dobbiamo accennare molto succintamente, riteniamo che l’opera del "Weil debba trovar posto nelle nostre biblioteche e meriti tutta 1’ attenzione dei nostri studiosi. Allorché questo cenno era già in corso di stampa abbiamo ricevuto il 2° volume del lavoro del Weil; son più di 600 pagine con una carta ed il racconto arriva sino all’8 novembre del 1813. Questo secondo volume mantiene le promesse del primo: essenzialmente studio militare è pure interessantissimo per la parte politica: circa alla condotta della corte murattiana contiene particolari del tutto nuovi. Ugo Assereto (1) Il 25 gennaio 1814 Eugenio scriveva a Napoleone: « ....io non conto mille due-« cento (!) francesi della vecchia Francia. Tutti i soldati avuti per cominciar la cam-« pagna eran toscani, genovesi, piemontesi.... ». ANNUNZI ANALITICI. Guido Bigoni. Una fonte per la storia del regno di Sicilia. Il Carmen di Pietro da Eboli. Genova, Pagano, 1901; in-8, di pp. 71. — In un breve proemio 1Ά. determina i confini del suo lavoro, che intende sia una preparazione alla storia di Tancredi, re di Sicilia, della quale siamo ancora mancanti, sebbene buon materiale si possa ritrovare in opere già da tempo pubblicate, ed in singolari monografie. Si ferma quindi a discorrere della pubblicazione del Carmen fatta da diversi editori e tocca del metodo, de’ pregi e dei difetti, e poi parla del codice di Berna originale ed autografo in 464 GIORNALE STORICO E LETTERARIO DELLA LIGURIA gran parte, donde derivano le varie stampe, e che sarà guida alla desiderata edizione definitiva per le cure dell’ Istituto Storico Italiano. Il B. divide la materia che è argomento principale della sua trattazione in tre capitoli. Nel primo raccoglie diligentemente tutte le notizie intorno a Pietro da Eboli ed alle opere da lui lasciate ; nel secondo dà una larga esposizione del contenuto del Carmen ; il terzo destinato alla parte critica è quello che tiene il maggior luogo in questo studio, e che richiama Γ attenzione del lettore. Infatti il B. qui pone in rilievo i punti storici di quel poema, ed esamina quali possono essere attendibili, e quindi da accogliersi come buona fonte per la conoscenza dei fatti e dei personaggi; quali si riscontrino esagerati ad arte e per passione politica; quali infine da relegarsi fra le fole e le leggende. Donde la conclusione che il Carmen costituisce un documento storico importante, quando sia studiato con le necessarie cautele e con critica serena, non solamente per gli avvenimenti di quella età, ma ancora per conoscere « le nuove tendenze del pensiero italiano dai tempi del Barbarossa a quelli di Arrigo di Lussemburgo ». Corredano lo studio, condotto con acume, buon metodo ed esatta conoscenza della letteratura riguardante il soggetto, due appendici. E’ la prima la descrizione delle figure del codice di Berna secondo il Winkelmann, tradotta, e corredata di note e di osservazioni ; P altra contiene i due qaadri genealogici della casa d’Altavilla, e dei conti di Lecce Signori dOstimi. Episodi diplomatici del risorgimento italiano dal 185(3 al 1863 estratti dalle carte del generale Giacomo Durando compilati da Cesare Durando già suo segretario particolare. Torino, Roux e Viarengo, 1901 ; in-8, di pp. IV-370, con rit. — Questo libro è specialmente destinato a mettere in rilievo 1’. opera del generale Durando come diplomatico. Del cospiratore e dell’ esule si discorre brevemente nella introduzione, dove hanno luogo i cenni biografici ; e poiché non era questo 1’ intento principale dell’ autore, 1’ esposizione è sommaria, in ispecie per ciò che tocca la parte da lui avuta ai moti liberali del Piemonte, ed alle vicende di lui quando fu costretto ad esercitare le sue energie in terra straniera. Esiste d’ altra parte un’ autobiografia di cui si è giovato il Brofferio per dettare, mentre il Durando era in vita, il profilo del patriotta, dell’ amico, ed a quella si riferisce l’A. del libro presente. Con maggior larghezza si ferma invece, non senza ragione intorno ai principi politici svolti dal Durando stesso nel noto suo libro Della nazionalità italiana; poiché quelli fermamente egli ha seguito e ad essi furono informati tutti gli atti della sua vita pubblica. Nella quale entrò, lasciando stare il primo ufficio alla Camera legislativa, come ministro della guerra, quando il La Marmora dovette abbandonare la direzione degli affari, per condursi in Crimea, e ne uscì ai ritorno di questi, dopo una crisi ministeriale, in cui venne incaricato, senza pratico effetto, di comporre il ministero. Gli fu allora affidata 1’ ambasciata di Costantinopoli, ufficio di grande importanza a que’ tempi. Da questo punto ha principio lo svolgimento della materia che il compilatore ha preso a trattare. In due parti ei 1’ ha divisa. La prima ci mette dinanzi 1’ azione spiegata del Durando nella sua missione diplomatica in Turchia, e comprende il periodo dal 1856 al 1861 ; l’altra quello in cui il Durando fu ministro degli affari esteri con Rattazzi nel 1862. E se 1’una non manca d’importanza, oltreché per la politica generale, e per il notevole episodio delle armi importate sul Danubio, e per il riconoscimento da parte della Sublime Porta del Regno d’Italia; l’altra assume maggiore interesse per la nostra storia, perchè porge un’ ampia narrazione documentaria dei fatti più salienti che si svolsero in quell’ anno che il Curando tenne la direzione della politica estera. Era il tempo in cui si presentava ardente, la- GIORNALE STORICO E LETTERARIO DELLA LIGURIA 465 boriosa, intricata, quasi minacciosa la qulstione romana, a risolvere la quale avevano posto l’animo e l’opera il Cavour da prima, il Ricasoli da poi, mentre i tentativi di Garibaldi, secondando le impazienze de^li italiani, per muovere alla conquista della proclamata capitale fallivano clamorosamenU· nella dolorosa repressione di Aspromonte. Periodo momentoso e rilevante, nel quale si palesa da un lato la prudenza e l’accortezza politica del Durando, dall altro il vivo e tenace sentimento patriottico onde i suoi atti erano guidati. La narrazione procede rigorosa e serrata sulla scorta dei documenti οίκο sono riassunti, o, più numerosi, riprodotti per intero ; ed è questo ottimo metodo in sì fatto genere di lavori, poiché allorquando il lettore lia dinanzi a se il testo intero del documento, può trarne egli stesso que’ giudizi che la pacata ragione oggettivamente gli detta, mentre non teme d’ essere traviato da brandelli di scritture o da sunti che non porgono 1’ esatto e complessivo pensiero di chi le detta. Ma ciò qui non può avvenire, perchè il compilatore ha saputo con buon criterio trascegliere e riprodurre anche parzialmente. Questo libro costituisce un notevole contributo alla storia d’ Italia ne’ primordi del suo definitivo assetto politico. VICTORIUS Poggi. Senes rectorum Reipublicae Genuensis videlicet potestatum, consolum, vicanorum et capitaneoruvi populi inde a primi potestatis electione anno MCXCJ usqjte ad ducalis regiminis institutionem anno MCCCXXXIX accedit series Abbatum populi a primo eorum origine anno MCCLXXad annum MCCCXXXIX. Augustae Taurinorum, Paraviae, 1900; in-8, di pp. 307. —· Questo lavoro frutto della paziente erudizione dell’A. precede nella grande collezione dei Monumenta historiae patriae di 1 orino le leggi genovesi, la cui stampa è ormai ridotta al suo termine, mercè appunto le cure, e le illuminate e laboriose fatiche del P. E di esso con ottimo.divisamente vennero tirati degli estratti in -più piccolo formato a servigio degH studiosi. Ai quali non è a dire quanto giovino sì fatti elenchi cronologici pei la conoscenza dell ordine e della modalità dei magistrati, per determinare date ed avvenimenti, e finalmente per le notizie biografiche che sene possono rilevare. Ma l’A. non si è fermato ai podestà, ai consoli, ai vicari, agli abbati ed ai capitani del popolo ; egli ha tenuto conto altresì dei giudici, dei legati, degli scribi, dei sindicatori, dei castellani, degli scrittori degli annali ufficialmente deputati, ed altri pubblici ufficiali. Se questa serie, muovendo dal 1191, trova suo termine, secondo il disegno, all’anno 1339; l’altra de’nobili genovesi che esercitarono 1’ufficio di podestà, capitano,'» vicario fuor della patria incomincia dal 1120 e si chiude con la fine del secolo XV. La menzione di tutti questi personaggi con le cariche che sostennero, ha saldo fondamento nelle fonti molteplici a cui il P. si è rifatto, siano esse di testi già venuti alla pubblica luce, siano di carte e documenti conservati negli archivi. Qua e colà, dove era necessario, sono in succosi e brevi periodi richiamati avvenimenti che valgono a dar ragione di alcune nomine, e di certe differenze nell’organamento dei magistrati. Notiamo che quel Luchino Malocello che figura al 1327 (p. 285) come vicario di re Roberto nel Principato Ulteriore, fu due volte capitano d’Aquila, nel 1326 e nel 1334 (Cfr. Giornale, li, 356); e che nel 1326 era capitano di Barletta un Gri-siotto Lastaiio (foise Larcario o Lascario) pur genovese (Cfr. Giornale, II, 78). Ciò sia detto per aggiunta, e aggiunte si potranno fare certamente ancoia con 1 esame di carte e documenti molteplici. Avremmo desiderato per comodità di consultazione un indice alfabetico. Vittorio Poggt. Catalogo descrittivo della pinacoteca civica di Savona. Savona, Ricci, 1901 ; 111-8, di pp. 82. — Tutta la suppellettile orclieologica, 466 GIORNALE STORICO E LETTERARIO DELLA LIGURIA storica ed artistica onde si compone la raccolta savonese ha trovato nel P. un amoroso descrittore, e un competente illustratore. Poiché qui oltre allo indicare 1’ oggetto esposto, affinchè il riguardante ne acquisti subito una esatta conoscenza, se ne dice anche la storia, e successivamente si aggiungono tutte quelle notizie, che al monumento o alla rappresentazione da esso porta si riferiscono. La nota erudizione dell’A., la rara perizia, e 1’ affinato buon gusto danno autorità alle attribuzioni, ed ai giudizi sempre cauti e riservati ; porgono una guida sicura al visitatore, e costituiscono questa operetta come utile e prezioso contributo alla storia dell’ arte in Liguria. Gli statuti del Collegio dei medici di Casale 1566 con prefazione del dott. Giuseppe Giorcelli. Alessandria, Piccone, 1901 ; in-8, di pp. 44. — Costituisce questa pubblicazione il dodicesimo aneddoto della collezione di Documenti storici del Monferrato, che il solerte ed erudito editore ha preso a dar fuori fin dal 1893, fra i quali, per non toccar d’altri, va distinto l’importante studio sui marchesi del Carretto e in ispecie sul poeta Galeotto, premesso alla Cronaca del Monferrato in ottava rima di Galeotto stesso. Il G. illustra convenientemente questo statuto, mandandovi innanzi parecchie notizie interessanti intorno ai medici che vissero in Casale, singolarmente in quel periodo del secolo XVI al quale si riferisce il Guazzo, là dove accennando alla patria afferma che vi sono « più medici che malati— per lo più eccellenti ». Dice quindi alcunché sulla istituzione del Collegio medico fino alla sua abolizione, ed esamina qualche disposizione notevole degli statuti stessi. Amilcare Bussola. L’ arrivo di Vittorio Emanuele I in Alessandria nel 1814. Alessandria, Piccone, 1901 ; in-8, di pp. 38. — Dall’Archivio di Alessandria, e da pubblicazioni contemporanee 1Ά. ha tratto documenti e notizie, che valgono ad illustrare 1’ episodio che è argomento di questo opuscolo. E’ importante il vedere come fossero accolte in Italia, e specialmente in Piemonte le notizie degli avvenimenti che produssero nel 1814 la caduta di Napoleone, e quali immediate conseguenze portarono alle condizioni e all’assetto politico della regione. Codesto trapasso da un regime straniero al governo nazionale impersonato in Vittorio Emanuele I, che si apprestava a far ritorno nei suoi sfati, è posto innanzi ai nostri occhi con curiosi particolari nella presente monografia. Il modo come venne accolto il Re è qui minutamente descritto, con il corredo di poesie ed epigrafi pubblicate per la fausta occasione. Nè, a corollario, sono trascurate le spese, certo non esigue, che costarono alla comunità si fatti festeggiamenti. La Bibbia dos Jeronymos e la Bibbia di Clemente Sernigi. Studi com-paratevi di Prospero Peragallo. Genova, Papini, 1901 ; in-8, di pp. 32. — Il contratto per la trascrizione e per la miniatura di una Bibbia in sette volumi, e del Maestro delle Sentenze, stipulato in Firenze fra Clemente Sernigi e Vante Attavanti il 23 aprile 1494, e pubblicato dal Milanesi nel 1887, fece sorgere nell’ animo dell’A. il sospetto che si trattasse qui di quell’ insigne cimelio artistico attualmente conservato in Lisbona nell’ archivio della Torre do Tombo sotto la denominazione di Bibbia dos Jeronymos, perchè già appartenuta, per legato del re D. Emmanuele, al monastero di S. Maria di Belém. Egli quindi, giovandosi della diretta conoscenza di quella Bibbia, prova con ineccepibili riscontri e con assai felici induzioni, essere proprio quella stessa che fu argomento della convenzione fra il Sernigi e l’Attavante. Manca, è vero, un ultima decisiva disamina per vedere se nei manoscritti miniati, le figure e 1’ ornamentazione rispondono a tutto quanto venne stabilito nel contratto, e il P. invita qualche erudito portoghese a sì fatto confronto, sicuro che i risultati riusciranno favorevoli alla sua tesi ; ma GIORNALE STORICO e LETTERARIO DELLA LIGURIA anche senza di ciò noi abbiamo nella sua acuta dimostrazione argomenti valevoli a renderci persuasi della verità di quella che egli chiama con modesto riserbo una sua ipotesi. Fra le induzioni poi messe innanzi a noi sembra attendibilissima quella che il manoscritto cosi splendidamente adorno sia pervenuto alla corte per dono dei mercadanti fiorentini stanziati in Lisbona, de’ quali era il ricchissimo Girolamo Sernigi fratello di quel Clemente che ebbe probabilmente mandato di far eseguire un’ opera artistica di tanto pregio. Di qui il P. toglie argomento a corredare il suo lavoro di una importante appendice sui commerci dei fiorentini in oltremare sotto D. Emma-nuele di Portogallo, dove apparisce la nota competenza dell’A., e meglio vieil chiarita la ipotesi esposta nel testo della monografia. Vittorio Gian. Notizia letteraria. La più antica lirica, inedita, su Cristoforo Colombo. Roma, Forzani, 1901; in-8, di pp. 7· — Un epinicio genovese nel dugento. Genova, Pagano, 1901 ; in-8, di pp. 18. —- Per opera, e mercè la diligenza acurata del C. veniamo a conoscere che la prima lirica italiana in lode del gran navigatore, è un sonetto di Lodovico Beccadelli, bolognese, scritto nella prima metà del sec. XVI, e tratto dai suoi manoscritti. Povera cosa certamente rispetto all’ arte, ma notevole storicamente come primo omaggio, fino a qui conosciuto, della italiana poesia al nostro genovese. — Di maggior momento sono le giuste osservazioni suggerite all’A. dal carme di Ursone, notaro, nel quale si ritrova uno specchio assai vivo e fedele delle passioni che agitavano gli animi in mezzo alle feroci lotte fra pisani e genovesi. Questo poemetto è un inno di vittoria, certamente esagerato, delle presunte sconfitte date dai gènovesi agli imperiali ed ai pisani, dopo che questi ebbero rovinato Portovenere ; ma se come documento storico non ha valore capitale, secondo rileva il Manfroni (Stor. della Marina ital. ecc., Livorno, 1899, p. 406) è senza dubbio importante dal lato psicologico e letterario, e il C. con ottimo consiglio ne ha rinfrescata la memoria, sembrandogli a ragione ingiusta la dimenticanza degli scrittori della nostra letteratura medioevale, i quali non ne hanno fatto menzione, sebbene il carme fosse due volte pubblicato nel 1853 e nel 1857. Innanzi non si conosceva se non per le indicazioni del Soprani e dell’Oldoini ; nè lo conobbe lo Spotorno che pur ha recato sull’autore alcune buone notizie (Stor. lett. Lig., I, 277). L’intento che il C. si è proposto in questo suo scritto genialmente erudito, ci sembra in tutto raggiunto, poiché d’ ora innanzi e l’opera del nostro notaio e il.nome suo saranno meglio conosciuti ed apprezzati. Contemporaneamente il Pandiani, del cui lavoro si parla nel Bollettino bibliografico (p. 457), si è giovato del carme appunto per 1’ assalto di Portovenere, e aneli’ egli ha rilevato 1’ importanza letteraria del componimento. ALFREDO POGGIOLINI. Ammiratori e giudici della rivoluzione francese. Firenze, Seeber, (tip. Galileiana), 1901 ; in-8, di pp. 213. ·— Gli scrittori dei quali il P. mette innanzi al lettore i giudizi sono i maggiori, e i più notevoli per larghezza di trattazione e per autorità universalmente riconosciuta. Al Tliiers, al Michelet, al Blanc partigiani aperti, e apologisti della rivoluzione, ei fa seguire le critiche acerbe, persino spietate del Sybel e del Taine, rilevante quest’ ultimo per le conclusioni negative in perfetta opposizione con quanto pareva ormai acquisito dalla storia. E fra questo dissidio di così reputati autori, i quali per diversa ragione 11011 seppero o non vollero mantenersi equanimi ed imparziali, e caddero in esagerazione, si presenta più giudiziosa e serena la parola calma e 1’ acuto discernimento del Tocqueville e del Sorel, ne’ quali il lettore spassionato ritrova una guida illuminata per addivenire ad un giudizio più sicuro e meglio rispondente alla verità. L’A. 4ÔS GIORNALE STORICO E LETTERARIO DELLA LIGURIA nel dettare i sette capitoli onde si riassume, e in parte si analizza la materia egli scrittori esaminati, ha dato prova d’ una piena e profonda conoscenza i eli argomento, d’ una singolare dirittura di criterio storico, e d’ una rigorosa imparzialità. Il concetto informativo degli storici diversi è chiaramente intaso in ri ìev o , non incertezze, non omissioni ; con opportuna economia sono posti in piena luce il sistema, il metodo, l’intento, il fine di ciascuno scrittore donde chi legge acquista la conoscenza necessaria delle loro opere e può di per se riconoscere i punti di contatto, le affinità, le discrepanze, le con tradizioni, ed essere quindi condotto ad im giudizio complessivo senza preoccupazioni, e senza passione. Il quale giudizio il P. ha riserbato alle succose e belle pagine con le quali si chiude il suo lavoro, poiché egli se da una parte riconosce le conseguenze men buone della grande e violenta riscossa contro la vecchia società, e la tabe onde era inquinato il principio rivoluzionano specialmente nelle applicazioni e nella pretesa giustizia sociale, non nega i benefici effetti da essa apportati al consorzio civile ed in generale all umanità L’assioma di Giuseppe Mazzini, che è suggello di questo libro, riassume con la lucida densità propria del profondo pensatore il valore etico e morale della rivoluzione francese, mentre ammonisce direttamente qual sia la strada che deve condurre al fine supremo del progresso e della libertà. Il P. ha voluto circoscrivere Γ opera sua in determinati confini, ed ha tenuto fede allo schema che egli si era proposto ; perciò se ci parve lodevole nella parte scientifica, non meno favorevolmente dobbiamo giudicare la parte tecnica nella attuazione del disegno ben immaginato e ridotto a buon temiine con felice e geniale perizia. L’ erudito si piace di ritrovare in queste pagine un opportuno rinfranco della memoria, e un più immanente e serrato raccostamelo di opinioni e di giudizi ; mentre il colto lettore ne trae sufficiente la conoscenza a suo uopo di uomini, di fatti, di sentimenti, di ambiente, ed è spronato a ricercare quelle fonti, ad approfondire le sue cognizioni. Eduard Gachot. Le siège de Cosseria. Documents inédits (in Revue Nouvelle, Paris, 1901, Octob., p. 356). — Il G., noto per altri pregiati 1 a\ ori storico-militari, pubblica una traduzione della relazione di quel fatto d armi di un testimonio oculare, Carlo Birago, poi divenuto generale. Veramente lo scritto del conte Carlo Birago di Vische non è inedito come credette il traduttore. Fu pubblicato a Torino nel 1847 nella Antologia Italiana del Predari (II, pp. 636-46) e pure ivi, per estratto, in un fascicolo di pp. 15. ^Cfr. Ant. Manno, Bibliogr. degli Stati della Mon. di Sar., \, p. 51. È’ pertanto probabile che la copia MS che n’ebbe in mano il Gachot non sia che una trascrizione fatta da taluno per proprio uso della pubblicazione torinese, ormai difficile a trovarsi. Della difesa di Cos-seria aveva parlato in Italia sin dal 1797 Storia dell* anno che usciva annualmente a Venezia, pubblicandone per esteso la capitolazione. Sulla relazione del Birago, pur non nominandolo secondo la sua abitudine, deve aver basato il suo racconto particolareggiato il Pinelli nella sua St. mil. del Piemonte, ed anzi secondo ogni apparenza è a quello scritto che accenna ove parla d’una relazione patria (V, I, p. 329) in una nota. Il Bouvier che, pur attingendo ad altre copiose fonti, molto si valse del Pinelli per la narrazione di questo episodio nel suo bel lavoro Bonaparte en Italie, trovasi concorde in massima col racconto del Birago, sicché il Gachot si limita a fargli appunto per 1’ aneddoto del granatiere, che d’ altronde il Bouvier avea tratto da un doc. ufficiale de\VArc/ι. de Guei-re francese, l’hist. de la 18me demi-brigade, che cita. Più tardi si giovò largamente della relazione del Birago, citandolo, il nostro Barrili nella elegante ed esatta narrazione GIORNALE STORICO e LETTERARIO DELLA LIGURIA 469 (Genova, Stab. Armanino 1884, di pp. r6) che di quell'episodio stese per la circostanza in cui la brigata Ferrara il 2 agosto 1884 poneva sulle rovine del castello di Cosseria una pietra votiva della quale pure lo stesso Barrili avea dettato 1’ epigrafe, equa dispensatrice di lodi fra i valorosi avversari di quelle due giornate. II Gachot correda di note la sua traduzione. Non discuteremo quanto sia plausibile l’identificar che fa della moderna Cosseria colla Lrixia dell’ epoca romana ; certo è più sicuro ravvisar in essa la Crux ferrea dell epoca medioevale. Ma come italiani dobbiamo esser grati all’ autorevole scrittore per aver divulgato in quell’ accreditata rivista la narrazione di un fatto tanto glorioso pel vecchio Piemonte, che ancora pochi anni or sono inspirava splendide strofe al Carducci. (U. A.). Marcello Staglieno. Due documenti di Tedisio vescovo di Torino dal 1300 al 131g. Torino, Paravia, 1900; in-8, di pp. 11 (Estr. dalla Miscellanea di storia italiana, VII). — Coloro che scrissero intorno ai vescovi di quella diocesi o non seppero dire il casato di questo presule, o lo attribuirono alla famiglia Revelli ; soltanto il Bosio sospettò il vero, quando, pur non sicuro, credette potesse essere dei Camilla. Ora lo S. con due documenti, e cioè il testamento di lui, e una sua donazione al fratello Edoardo, tutti e due in data 2 maggio 1319, prova che Tedisio appartenne veramente alla famiglia genovese dei Camilla, e ne prende argomento per dare parecchie interessanti notizie intorno ad essa ed a vari soggetti, di cui si hanno sicure memorie. Fra costoro è a notarsi quell’Antonio vescovo di Luni, già tortamente detto di Canulla, che conchiuse la pace con il Malaspina rappresentato dalPAlighieri (Cfr. Giornale, I, 388 sg., n.). Luigi Staffetti. Due case di campagna, nel sec. XIV. Modena, Vincenzi, 1900 ; in-8, di pp. 22 (Estr. Atti e Memorie della R. Dcp. di Stor. Pat. per le Prov. Modenesi, ser. V, vol. I). — Si pubblicano dallo S. due brevi inventari di oggetti appartenenti a famiglie di contado. Sono, il primo del 2 giugno 1388, 1’ altro del 16 marzo 1398, rogati rispettivamente in Fivizzano e alla Verrucola. L’ A. nella sua larga illustrazione raggnippa i diversi oggetti sotto le tre categorie : « Mobili e suppellettili domestiche — Armi — Arnesi da lavoro », e sotto queste tre categorie registra ogni singolo arnese, dandone la spiegazione e ricercandone 1’ uso, guidato da numerosi raffronti, attinti da monografie consimili, le quali si riferiscono alla storia del costume. Egli mostra di conoscere assai addentro la materia, onde il suo lavoro torna utile non solo per interesse locale, ma perchè aggiunge elementi pregevoli in genere a quella parte importante della storia. SPIGOLATURE E NOTIZIE. .·. Il p. Giuseppe Boffito ha comunicato, per mezzo di Felice Tocco al- 1 Accademia dei Lincei alcuni interessanti documenti che riguardano i dissidii francescani, da lui tratti dall’Archivio Vaticano. Si riferiscono agli anni 1332 e 1333» e sono le informazioni raccolte dal domenicano fra Ranieri da Vercelli, e gli interrogatori di alcuni testimoni assunti da fra Guglielmo vescovo di Tauris o Tabriz in Persia a fine di provare le proposizioni ereticali predicate e professate in quella città da alcuni frati minori. Il Tocco ha convenientemente illustrato con la sua consueta sicura dottrina, questi documenti, i quali oltre alla storia dell’ eresia giovano a quella del commercio in Oriente de’ genovesi, poiché fra i mercadanti chiamati a deporre ciò che avevano inteso si leggono i nomi di Miliano e Leoneto Malone, Andreolo Bruno, An- 470 GIORNALE STORICO E LETTERARIO DELLA LIGURIA tonii> Campanario, tutti di Genova (Cfr. Nuovi documenti sui dissidii francescani trascritti dal p. G. Bokfito, nota di Felice Tocco, Estr. dai Rendic. Accad. Lincei, vol. X). .·. Era noto che 1’ umanista Pontico Virunio aveva scrìtto un trattato o dizionario De corruptis nominibus et locis obscuris anctorum, ina il testo non si era mai trovato, donde i dubbi sulla esistenza di quest’ opera. Ora il manoscritto autografo è stato rinvenuto nella Vaticana. Reca in fronte la dedica : Pontici l irunn inclito Baptistino Fulgoso Petri Genuensis Ducis Jìlio S. Da quanto quivi dice l’autore si rilev.i ch’egli s’incontrò col Fre-goso a I" errara, e che da lui ebbe il primo materiale per il suo lavoro, poiché lo scrittore genovese aveva pur egli raccolto alcun che intorno al medesimo argomento (PEROCCO, Di un’ opera inedita e di un’ altra rarissima di P. Virunio, in Antologia Veneta, a. If, n. 4). .·. In fine alle riforme ordinate nella città di Rieti dal cardinale Legato Giovanni Vitelleschi, il 25 febbraio 1440, è firmato « Petrus Lunensis se-cretarius scripsit » Bollettino della R. Deputazione di storia patria per 1’ Umbria, VII, 445). Potrebbe essere quello stesso Pietro da Sarzana amico dell’ umanista Giovanni Toscanella, che questi ricorda in due sue lettere a Tomaso Fregoso e a Gasparo Sauli, chiamandolo ottimo e dotto per molte lettere (Cfr. Giorn. Lig., XVII, 131, 132). .·. Nel cod. Vaticano 5994, c. 65 t. si trova un frammento dell’ « Oratio facta et prolata per Magnificum doctorem et Militem ac clarissimum poetam laureatum dominum Tomasinam de Reate ac ducalem Mediolani Consiliarium respondendo orationibus factis per Magnificos d. Ambaxiatores Ianuae coram 111.n>° principe Francischo Sportiae Mediolani domino a doctissimis perlaudata » (Fumi, Cose Reatine nell' arch. segreto e nella biblioteca del Vaticano, in Bollettino della R. Deputaz. d. Stor. Pat. per I' Umbria, VII, 540). .·. Nei Mas apuntes y divagaciones bibliograficas sobre viajes y viajeros por Espana y Portugal di ARTURO FARINELLI (in Revista de Archives, bibliotecas y museos, a. V, n. 8-9), troviamo citato un Viagio de Espagna e Portogallo de Segismondo Cavalli eletto ambasciato)· al Ser."w Re Don Filippo in Spagna di L. Otthobon, manoscritto nella biblioteca ed archivio dell’ambasciata spagnuola a Roma, dove si danno notizie del passaggio fatto da quell’ambasciatore a Genova, l’anno 1567. Nella stessa biblioteca è una relazione manoscritta del Viaggio di Monsig. Patriarca de Massimi da Roma a Madrid, 1654-58, che tocca della sosta fatta a Genova e a Savona, e così la Relazione del viaggio da Roma a Madrid di Mons. Marescotti, 1670, in cui pure si accenna alla fermata di Genova. Un codice della biblioteca di Corte in Vienna contiene l’Iter maritimum a Venetiis Hispaniam et inde in Africam anno 1590 di Giovanni Battista Barbetta, genovese, già citato dal Lambecio, dal Monttfaucon e dalTAmat. Cita poi il Farinelli il seguente opuscolo : Breve trattato di quanto successe alla Maestà della regina D. Margarita d’Austria N. S. dalla città di Trento fine d’Alemagna e principio d’ Italia fino alla città di Genova. Raccolto per il dottor Gio. Battista Grillo Napolitano, 1604. Il libretto è certo rarissimo, ma se la data appostavi è esatta, questa deve ritenersi una seconda edizione, poiché la prima è di Napoli, Vitale, 1594 (Cfr. Giorn. stor. lett. ital., XI, 405). Finalmente il Farinelli scrive d’ignorare quando avvenisse il viaggio in Spagna e nel Portogallo di Carlo Antonio Paggi, il noto traduttore dei Lusiadi ; noi possiamo aggiungere che si recò in Portogallo fra l’agosto e il settembre del 1656 con ufficio di Console, al quale venne eletto il 16 febbraio, e 1’ 8 marzo gli fu rilasciata la patente. La corrispondenza ufficiale di lui che va dall’ i( settembre 1656 al 23 giugno 1666, con evidenti lacune, esiste nell’Archivio di Stato in Genova. GIORNALE STORICO E LETTERARIO DELLA LIGURIA 47« .·. Nel Catalogo de los retratos de personajes, espanoles que se conservati en la Sección de Estampas v de Bellas Artes de la Biblioteca Nacional, Madrid, igoi, p. 222 e sgg. sono indicate parecchie stampe di ritratti di Colombo. .·. A Carrara, nel palazzo dell’Accademia delle Belle Arti tornarono in luce alcuni affreschi notevoli, mentre si facevano dei restauri. Sembra che tutte le sale abbiano ornamento di sì fatte pitture. .·. Notiamo fra i Podestà milanesi Araonus de Aurea (1389-1390); Spi -netta Spinola (1394-1396); Carlo de Flisco conte di Lavagna (1396); Corrado de Carrecto dei marchesi di Savona (1411 -1412); Francesco Doria (1420-142 1 ); Isnardo de Goarco (1430-1435); marchese GiselloMalaspina de Mullacio (1436) (Verga, Le sentenze criminali dei podestà milanesi 1385-1429, in Arch. Stor. Lomb., Ser. 3, XVI, 135 sgg). .·. Può interessare la storia dell’arte in Liguria una notizia di A. Bùssola intorno a Giovanni Mazzone pittore alessandrino del sec. XVI. (Rivista di storia, arte, archeologia, della provincia d’Alessandria, a. X, p. 123). .·. Giuseppe Zippel rileva per incidenza, nel suo studio: Le monache d’Annalena e il Savonarola (in Rivista d'Italia, a. IV, fase. IO, p. 239), 1’ importanza di una singolarissima lettera del canonico Matteo Bossi, diretta a Sisto IV, nella quale espone un quadro vivace della corruzione delle monache in Genova sul cadere del secolo XV. La lettera non avvertita da tutti coloro che toccarono sì fatto argomento, si trova nelle Recuperationes Faesulanae dello stesso Bossi edite a Bologna nel 14931 edizione divenuta rara. Invano però essa si ricercherebbe nelle stampe posteriori delle Epistolae del canonico veronese. Quando fra Silvestro da Prierio predicando sui primi del cinquecento in Genova fulminava i conventi sì come : monasteria diabuli, quae sunt turpissima lupanaria, digna milies igne, non si lasciava trascinare dalla foga oratoria, ma diceva la verità. .·. Nel Boletin de la Reai Academia de la historia (Madrid, XXXIX, qu. I - III e IV) è incominciata la pubblicazione delle Lettres et documents che si riferiscono alla vita di Filiberto di Chalon principe d’Orange (1502-1530). Ne è editore Ulysse Robert, che ha fatto questa importante raccolta in servigio della sua storia di quel capitano, da lui mandata in luce in occasione del quarto centenario dalla nascita. In parecchi di essi documenti si tocca di fatti e di personaggi genovesi, in ispecie di Andrea D’Oria nel periodo più momentoso e rilevante della sua vita, il passaggio cioè dal servizio'di Francesco I, a quello di Carlo V. Quivi a questo proposito, oltre la nota lettera dell'Orange già pubblicata dal Lanz, sono da vedere quelle del 10 e del 15 luglio 1528, l’altre di Carlo V al principe, 19 luglio e 27 agosto. E’ pur quivi ricordato Giuliano della Spezia di cui havvi altresì una lettera. .·. Nella Nuova Antologia (n. 717) in un articolo di Valletta intomo a Bellini si parla in alcune pagine geniali di Felice Romani (p. 128 sgg). .·. Un Iacobino de Georgis da Pavia « Magister a scollis » era andato nel 1378 « a civitate Ianue Viglevanum ad peticionem comunis Viglevanj prò tenendo scollas » (Bollettino della Soc. Pavese di Stor. Pat., I, fase. Ili, pp. 301, 324). .·. Col titolo di Contributo alla storia delle relazioni tra Genova e i Visconti nel sec. XIV pubblica Arturo Ferretto una serie di importanti documenti che si riferiscono al matrimonio tra Stefano Visconti e Valentina Doria. Ad essi fa seguire l’atto col quale Stefano Visconti nomina Branca D’Oria suo procuratore in Bonifacio con un incarico politico. L’ a. lia convenientemente illustrati questi documenti che sono piccola parte di quelli numerosi con molta diligenza da lui raccolti intorno al noto personaggio 472 GIORNALE STORICO E LETTERARIO DELLA LIGURIA dantesco, condannato vivo, fra i parricidi dal divino poeta, documenti che ci auguriamo veder presto alla pubblica luce. (Bollettino della Soc. Pavese ili Stor. Patria, I, fase. Ili, p. 353). .·. L’opera importante di Gino Arias, di cui abbiamo alle stampe il primo volume, intitolato : I trattati commerciali della Repubblica Fiorentina (Firenze, Le Monnier, 1901) contiene qua e là alcuni accenni alle relazioni genovesi. Notiamo in ispecie le pp. 52 e sgg.; 108; 114 sgg.; 160; 294; 349 sgg· ; e fra i documenti i η. Vili e XLV. .·. I Mes souvenirs del conte De Reiset (Paris, Plon, 1901) che riguardano « les débuts de 1’ indépendance italienne », non privi d' interesse, e di piacevole lettura, sebbene vi siano giudizi non accettabili, toccano delle cose di Genova nel 1848 e 1849 (182 sgg,, e 339 sgg.) pur mal riproducendo alcuni nomi. Vi è anche un cenno (p. 27) intorno ad Alessandro Bixio che fu incaricato d’ affari per la Francia a Torino, ed ebbe altri uffici cospicui. .·. La signoria d/ Giovanni Visconti a Bologna e le sue relazioni con la Toscana è un nuovo ed ampio lavoro di Albano Sorbelli. Può interessare la nostra regione il capitolo terzo, dove si fa la storia delle trattative che riuscirono alla pace di Sarzana del 31 marzo 1353 ; e si ricorda la sottomissione di Genova al Visconti dopo la sconfitta di Loiera. Congresso internazionale di scienze storiche. Nell’aprile del prossimo anno, si terrà in Roma un Congresso intemazionale di scienze storiche, al quale hanno già fatto adesione molti cultori delle medesime, così d’ Italia come d altre nazioni. Una delle sezioni del Congresso, 1’ ottava, ha per oggetto la Storia medioevale e moderna, generale e diplomatica, e la scienza diplomatica, archivistica e bibliografica. Il Comitato provvisorio della sezione si è proposto il seguente programma : « Pochi temi, scelti fra quelli che non possano dare luogo a lunghe e inconcludenti discussioni, ma elle mirino, invece, ad effetti pratici, concreti ; comunicazioni che anticipino i risultati di studi da tempo in preparazione; resoconti che, senza distinzioni di paesi, diano notizia dello stato presente degli studi in alcune parti della storia medioevale e moderna e delle scienze ausiliarie comprese nella sezione, e permettano più intimi accordi di metodi e di sistemi ; iniziative complementari, che, preparate ed effettuate per il Congresso, lascino, anco per l’avvenire, buona testimonianza de’ pratici e durevoli risultati da quello promossi o, per virtù di esso, raggiunti ». Con la guida di tale programma, il Comitato provvisorio ha già compiuto, in via quasi privata e amichevole, un notevole lavoro, che gli fa sperare bene della sezione. E, volendone dare qualche saggio, esso fa sapere quanto appresso: Circa i temi, la Società storica lombarda ha già presentato il seguente : Studi e proposte per la eompilazione di un Corpus inscriptionum italicarum medii aevi, dal secolo VII a tutto il XIII (relatore prof. Francesco Novati). Su altri temi riferiranno il prof. Giovanni Monticolo, il prof. Giacomo Gorrini, e altri. Di comunicazioni e resoconti ne furono già annunziati da parte de’ signori : S. C. Baddeley, F. Bouvier, H. Bresslau, E. Casanova, U. Dallari, A. Favaro, V. Fiorini, L. Fumi, C. A. Gerbaix de Sonnaz, A. Gherardi, A. Giorgetti, Giacomo Gorrini, Giuseppe Greppi, P. Kehr, G. Livi, C. Malagola, D. Maizi, G. Monticolo, Fr. Nitti, C. Paoli, E. Farri, R. Peyre, G. Rondoni, P. Santini, C. Salvarezza, L. Schia-parelli, M. Schipa, V. Tonni-Bazza, M. Vesnitcli, G. Zippel, ed altri. Quanto a initiative complementari, a cura del Comitato si è ottenuto : i° che il Ministero dell’ interno compili e pubblichi la seconda relazione sugli Archivi di Stato d’Italia (1882-1900); — 2° che il Congresso fotografico, il quale si riunirà in Roma nel marzo-aprile 1902, inauguri una speciale se- GIORNALE STORICO E LETTERARIO DELLA LIGURIA 473 zione di fotografie di codici, manoscritti e cimelii delle biblioteche e degli archivii d' Italia, e che essa rimanga aperta a disposizione degli aderenti al nostro Congresso storico ; — 30 che la sezione (qualora i mezzi finanziarii non facciano difetto) inauguri una mostra libraria storica italiana, possibilmente completa rispetto al lavoro collettivo (delle Deputazioni storiche, Società, Circoli, Università, Accademie, Scuole, ecc.), e più ampia che sia possibile quanto al lavoro individuale e al contributo degli editori e autori. — 40 che le Deputazioni e Società di storia patria del Regno compilino una Memoria-resoconto dell’ opera loro a tutto il 1900. — 50 che le Riviste storiche del Regno e i Bollettini, Archivii, ecc., delle varie Deputazioni e Società compilino 1’ Indice delle loro pubblicazioni, possibilmente sul tipo tripartito (cronologico, geografico e per nomi d’ autore) di quello deli’Ar-chivio storico italiano di Firenze. A tali concetti, della compilazione sincrona d’ indici e di memorie-resoconti fino a tutto il 19OO, hanno fatto già adesione oltre a parecchie riviste storiche, anco qualche Accademia, qualche periodico di cultura generale e qualche Scuola universitaria. E’ da augurare che 1’ esempio di sì elevato spirito di fraterna solidarietà scientifica sia senza indugio seguito in guisa che, per 1’ inaugurazione del Congresso, con 1’ ampia raccolta di siffatti indici e resoconti, si possa supplire alla mancanza, tanto lamentata, di una bibliografia storica italiana, presentando, quale primo avviamento, quella delle numerosissime pubblicazioni italiane e straniere che hanno illustrato la storia del nostro paese, e che sono venute alla luce nel tempo durante il quale si è svolta la vita di ciascuna delle predette Deputazioni, Società, Accademie, Atenei, e Riviste e periodici storici. Sorgerebbe, da sè, in tale caso, come materia di discussione nel Congresso, la ricerca de’ mezzi più efficaci e insieme più economici per continuare, d’ anno in anno, la compilazione e la stampa di tali indici, possibilmente con 1’ opera collettiva di tutte le Deputazioni, Società e periodici storici. APPUNTI DI BIBLIOGRAFIA LIGURE. Ami (Un) du peuple ou Vie de S. Iean-Baptiste de Rossi, chanoine de la basilique collegiale de Sainte-Marie in Cosmedin à Rome. Rome, lmp. du Vatican, 1901 ; in-8, di pp. 331, con fig. Antonelli G. Un martire di Cina. Il B. Giovanni da Triora frate minore. Roma, tip. Sallustiana, 1900 ; in-8, di pp. XV-272, con fig. Bixio Enrica — La donna genovese nella Storia. Genova, Sordo-Muti, 1901 ; in-16, di pp. 30. Bustico Guido. Il primo centenario di Vincenzo Bellini — Romani e Bellini (in 11 Palcoscenico, Milano, 1901, a. V, n. 30). Cagnacci Carlo. Vita del beato Giovanni da Triora, frate minore. Livorno, Giusti, 1901 ; in-8, di pp. 68. Castellini C. P. Memorie Chiavaresi. La festa del SS. Crocifisso in Chiavari [Il Cittadino, n. 234). Cenni descrittivi su Montobbio (La Madonna della Guardia, 1901, u. 5). Cervetto L. A. Belvedere, la festa dell’incoronazione (Il Cittadino, 1901, n. 240, 255). — A San Rocco. La collina, la chiesa, i denti di un cane (ivi, 263) — La Compagnia dei Caravana. Cose vecchie e cose nuovissime (ivi, 269) — Corporazioni genovesi. I Calafati, loro statuti antichi, loro 474 GIORNALE STORICO E LETTERARIO DELLA LIGURIA storia (ivi, 270) — Nozze Pallavicino. Cattaneo Della Volta (ivi, 273) — Gite autunnali. Rigoroso, Arquata, Libarna (ivi, 280) — La Casaccia di S. Giacomo delle Fucine (ivi, 283). — Compagnia dei Caravana. Le feste inaugurali del gonfalone e del quadro, ricordo dei figli di Caravana che si segnalarono per dignità ed ingegno. Relazione. Genova, tip. della Gioventù, 1901 ; in-8, di pp. 50, fig. Dujardin Giovanni. Nell’ undicesimo anniversario della morte del-Γ avv. Pietro Ferrari, commemorazione letta in seno della Società di mutuo soccorso fra gli operai di Castelnuovo Magra il giorno l° settembre 1901. Sarzana, tip. Lunense ; in-8, di pp. 8. — Commemorazione del XXV anniversario dell’ istituzione dell’Associaz. dei Comitati di Sestiere per la Beneficenza in Genova. Genova, Pagano 1901 ; in-8, di pp. 19. E. di S. Il monastero della Cervara, (in La Domenica del Corriere, 10 die. 1901, con due ili.). Falcone Giacomo. Scoprendosi nel palazzo del comune (in Genova) una lapide in memoria del barone Andrea Podestà ; discorso pronunziato il 16 giugno 1901. Genova, Pagano, 1901 ; in-4, di pp. 10. Errera Carlo. L’ epoca delle grandi scoperte geografiche. Milano, Hoepli, (tip. Allegretti), 1902; in-16, di pp. XV-432, con tav. Ferretto Arturo. Documenti inediti intorno la Chiesa di N. S. di Belvedere (La Madonna della Guardia, 1901, agosto, n. 4). — Il Codice diplomatico del Santuario di N. S. della Guardia (ivi) — Il Santuario di N. S. delle Tre Fontane. Memorie storiche (ivi, n. 5) — Pel codice diplomatico di N. S. della Guardia. Un parroco polceverasco (ivi) — Contributo alla storia di N. S. del Boschetto in Camogli III Cittadino, n. 242) — Dalle nostre valli. A Cicagna (ivi, 256). — Contributo alla storia delle relazioni tra Genova e i Visconti nel sec. XIV (in Bollettino Soc. Pavese di Stor. Pat., I, fase. III, pag. 353). — Il tesoro storico della Cervara (in Supplemento al Caffaro, 1901, n. 320). Gavotti Giuseppe. Gian Andrea Dona. Lettera (Rivista Marittima, fase. VIII-IX, 325-28). Gavotti Lu. La battaglia di Remenon, fra Stella ed Albisola, 1481 (poemetto). Seconda edizione accresciuta ed illustrata. Genova, tip. A. Ca-purro, 1901 ; in-8, di pp. 49, fig. Guerra (La) tra il Piemonte e Genova (1672) (in Rivista di Fanteria, 1901, agosto). ISSEL Arturo. In Vacanza. Roma, Soc. Ed. Dante Alighieri (tip. Voghera) (1901) ; in-8, di pp. 216. — Da pp. 26 a 591 La Liguria e i suoi abitatori nei tempi primordiali. Memoria ^Alla cara) del Comm. G. B. Paita, cittadino per eccelse virtù distinto, ecc. Spezia, tip. Commerciale, 1901 ; in-4, di pp. 24, con ritr. Marengo Emilio. Genova e Tunisi, 1388-1515 ; relazione storica seguita da due appendici sulle monete e consoli e da alcuni tra i più importanti documenti, con indice generale ed alfabetico. (Atti della Società Ligure GIORNALE STORICO E LETTERARIO DELLA LIGURIA 475 di Storia Patria, vo!. XXXII. Roma, tip. Artigianelli di S. Giuseppe, 1901; in-4, di pp. 312), Momigliano Felice. La mente di Giuseppe Mazzini e di Carlo Cattaneo (in Rivista Ligure di scienze, lettere ed arti, a. XXIII, 145). Monaci Silvio. Storia del R. Istituto Nazionale pei Sordomuti in Genova. Seconda edizione accresciuta con note, illustrazioni e documenti. Pubblicata in occasione del primo centenario dalla fondazione della Scuola. Maggio, MCMI. Genova, Sordo-Muti, 1901 ; in-8, gr., di pp. 331-CCXLII, con fìg. Parodi Lorenzo. Un capitolo di storia genovese. 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Il « Liber privilegiorum Comunitatis Portus Veneris ». C. Manfroni. » 41 Nota sul Cintraco. Uhaldo Mazzini. » 43 Il cartolario dell’Abbazia di San Ponzio presso Nizza. Girolamo Rossi. » 45 Mastro Antonio Iacobi detto il Genovese. Ercole Scatassa. » 46 VUn singolare rifiuto. A. N. » 141 Ancora del nome Cintraco. G. Flechia. » 144 Uno scrittore di Monte Marcello. G. Sforza. » 228 L’ archivio Doberti di Lerici. G. Sforza. » 33^ BOLLETTINO BIBLIOGRAFICO. •ve' F. Foffano, Due docum. goldoniani. Mi TOVINI, Studio su Carlo Goldoni e il suo teatro. R. Bonfanti, La donna di garbo di C. Goldoni (E. Maddalena). Pag. 47 Les Milanais en Corse. Une investiture de fief Cortinco par François Sforza. La terre des Communes, par M. A. De Morati. (U. Assereto). » 52 L. Migliorini, Cronistoria della Garfagnana dal 1618 al 1800. I Galli-Ispani ■ Rivoluz. francese del 1796. (G. Sforza). » 55 G. JACHINO, Leon Pancaldo. Saggio storico critico (P. Peragallo). » 58 F. RUFFINI, La libertà religiosa (G. Bigoni). » 146 P. BENSA, Le grotte dell’Apennino e delle Alpi Marittime. » 153 T. ZANARDELLI, Appunti lessicali e toponomastici pubblicati a liberi intervalli da T. Z. (E. G. Parodi). » 230 E. Regàlia, Sulla fauna della Buca del Bersagliere e sull’ età della vicina Grotta dei Colombi. » 339 Μ. VataSSO, Le due bibbie di Bovino, ora Cod. Vat. Lat. e le loro note storiche (C. Cipolla). » 340 S. ZANELLI, Uomini di'guerra de’ tempi nostri, IV, Skobelef (A. N.) » 341 Μ. OSTERMANN, Il pensiero politico di G. B. Niccolini nelle tragedie e nelle opere minori (C. Braggio). » 344 E. Pandiani, Gli Statuti di Portovenere (anno 1370) (U. M.). » 457 M. H. Weil, La prince Eugène et Murat, 1813, 14 (Ugo Assereto') » 461 ANNUNZI ANALITICI. J. Addington Symonds, Ilrinascimento in Italia. L’era dei tiranni. Pag. 63 V. Murari BrÀ, Dati statistici, storici, politici e militari sitile colonie degli Stati Europei e degli S. U. d’America con carta dimostrativa dì P. U. 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CIPOLLA, Nuove notizie intorno ai diplomi imperiali conser¬ vati nell’ arch. coni, di Savona. » 350 M. VATTASSO, A. Flaminio e le principali poesie dell’autografo vaticano 2870. » 351 c. CIPOLLA, Codici sconosciuti della Bibl. novalicense. » ivi L. Carbone, Facezie edite da A. Salza. » ivi G. Targioni Pozzetti, Sul Ranaldo Ardito di L. Ariosto » 352 A. FlAMMAZZO, Tra Bibliografi --- Trentasette lett. ined. di L. Dogi ioni. » ivi A. LOMBARDINI, Per V inauguraz. del mon. a P. Tacca. » 353 U. Ojetti, Elogio di G. Verdi. » ivi G. Finzi, Nel varo della Regina Margherita. » ivi E. PODESTÀ, Carmen. » ivi G. CoGO, Notizia storica intorno alla nuova ediz. delle Vite dei Dogi di M. Sanudo. » ivi F. GABOTTO, Un millennio di storia eporediese (356-1357). » ivi E. Dalla Santa, Il vero testo dell’appellazione di Venezia dalla scomunica di Giulio II. » 354 G. BlGONI, Una fonte per la storia del regno di Sicilia. Il Carmen di P. da Eboli » 463 Epis, diplom. del risorg. ital. dal 1856 al 1863 estr. d. carte di G. Durando, compii, da C. Durando » 464 V. POGGI, Series rectorum Reip. Gen. vid. potestatum, consulum, vicariorum et capitaneorum populi etc. » 465 --- Catalogo descrittivo della Pinacoteca civ. di Savona. » ivi Gli statuti del Coll, dei medici di Casale 1,66 con pref. di G. Giorcelli. » 466 A. Bùssola, L'arrivo di Vitt. Eman. I in Alessandria nel 1814. » ivi La Bibbia dos feronymos e la Bibbia di C. Sernigi. Studi di P. Peragallo. » ivi V. ■Cian, La più antica lirica, inedita, su C. Colombo. » 467 A. PoGGIOLINI, Ammiratori e giudici della Rivoluzione francese. » ivi E. Gachot, Le siège de Cosseria. » 468 4$0 GIORNALE STORICO li LETTERARIO DELI.A LIGURIA M. StagLIENO, Due docum. il Tedisio vescovo di Tonno dal , Pag. 460 1300 al 13I9- L. STAFFETTI, Dite case di campagna nel sec. A/l . » ivi SPIGOLATURE E NOTIZIE. Pap. 73. !57. 237, 354, 469- APPUNTI DI BIBLIOGRAFIA LIGURE. Pag- 79, 159, 239· 358- 473· Giovanni Dapozzo amministratore responsabile. PUBBLICAZIONI RICEVUTE Compagnia dei Caravana. Le feste inaugurati del gonfalone e del quadro ricordo dei figli di caravana che si segnalarono per dignità ed ingegno. Relazione di LUIGI Augusto Cervetto. Genova, Gioventù, 1901. Alfredo POGGIOLINI. Ammiratori e giudici della rivoluzione francese. Thiers — Michelet — Blanc — Sybel — Taine — Tocqueville — Sorel. Firenze, Seeber, 1901. Silvio Monaci. Storia del R. Istituto nazionale per sordomuti in Genova. Seconda edizione accresciuta con note, illustrazioni e documenti pubblicata m occasione del primo Centenario dalla fondazione della Scuola, Maggio MCMI. Genova, Sor-domuti, igoi. A. Fiammazzo. Lettere di dantisti con prefazione di Raffaello Cavemi. Città di Castello, Lapi, 1901, voi. 3. Amedeo Pellegrini. Relazioni inedite di Ambasciatori lucchesi alle corti di Firenze, Genova, Milano, Modena, Parma, Torino (sec. XVI-XVII). 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Cintra, Carme latino tradotto in versi italiani. Genova, Papini, 1901. Giovanni Lanzalone. Brevissimo trattato di letteratura. Salerno, Iovane, s. a. V. A. Arullani. Dante e Giusto de’ Conti. Frascati, 1901. AI SIGNORI ASSOCIATI Si fa calda preghiera a quei pochi associati che ancora non hanno pagato Γ abbonamento d' inviarne il prezzo al-Γ Amministrazione del Giornale, Spezia. . L’ AMMINISTRATORE G. DA POZZO. N.B. - In Genova il recapito dell’ Amministrazione è presso il Negozio librario del Sig. Stefano Chiappori di Bartolomeo, Via XX Settembre N. 16. AVVERTENZE v _ Il giornale si pubblica in fascicoli bimensili di 80 pagine. Il prezzo dell’ associazione annua è di L. 10 — Per Γ estero fr. 11. — I soci della Società Ligure di Storia Patria di Genova, e quelli della Società d’ Incoraggiamento della Spezia godono di uno speciale abbonamento di favore a Lire SEI. La Direzione concede ai propri collaboratori 25 estratti gratuiti' dei loro scritti. Coloro che desiderassero un numero maggiore di esemplari potranno trattare direttamente col tipografo. PREZZO DEL PRESENTE FASCICOLO : L. 3,00