Conto Corrente con la Posta _____ ANNO XII - 1936-XIV Fascicolo I - Gennaio-Marzo R. DEPUTAZIONE DI STORIA PATRIA PER LA LIGURIA GIORNALE STORICO E LETTERARIO DELLA LIGURIA PUBBLICAZIONE TRIMESTRALE Direttore: ARTURO CODIGNOLA ? Direzione e Amministrazione GENOVA, Via Lomellini, 11 (Casa Mazzini) SOMMARIO Arturo Codignola, Un ignorato sopruso inglese ai danni nostri y pag. i Vito Vitale, Osservatori genovesi della rivoluzione di Francia, pag. 7 Mario Oliveri, Un rimatore genovese del Settecento: Gerolamo Gastaldi, pag. 16 — Mario Pedamonte, Paganiniana, pag. 28 — x. y., Postilla, pag. 31 — Renato Giardelli, Saggio di 'ima bibliografia generale della Corsica, pag. 34 — Comunicazioni della R. Deputazione di Storia Patria per la Liguria — RASSEGNA BIBLIOGRAFICA: Paolo Revelli, Figurazioni cartografiche di Genova {Mario Labò) — Pierre Ordioni, Pozzo di Borgo (Leona Ravenna). — La provincia di Imperia [Mario Celle) — Ersilio Michel, Esuli italiani in Algeria [Mario Celle) — Giuseppe Bisogni, Spigolature e notizie. CASSA DI RISPARMIO E MONTE DI PIETÀ' DI GENOVA RICEVITORE PROVINCIALE PER LA PROVINCIA Di GENOVA FILIALI GENOVA - CENTRO ALASSIO (Agenzia A) ALBENGA (Agenzia B) ARENZANO GENOVA - SAMPIERDARENA BORDIGHERA GENOVA-SESTRI BUSALLA GENOVA-PEGLI CAMPOLIGURE GENOVA-VOLTRI CHIAVARI GENOVA - RIVAROLO FINALE LIGURE GENOVA-BOLZANETO IMPERIA II GENOVA - PONTEDECIMO LOANO GENOVA - NERVI M0NT0GGI0 GENOVA-VALBISAGNO NOVI LIGURE PIETRA LIGURE PIEVE DI TELO RAPALLO RECCO REZZOAGLIO S. REMO S. MARGHERITA LIGURE SESTRI LEVANTE TAGGIA TORRIGLIA VARAZZE VARESE LIGURE CREDITO ITALIANO LOCAZIONE CASSETTE DI SICUREZZA DEPOSITI DI TITOLI A CUSTODIA alle condizioni più modiche SERVIZI SPECIALI PER TITOLI DI STATO E OBBLIGAZIONI DIVERSE Appositi uffici e sportelli per fornire a chiunque tutte le possibili informazioni e notizie. TOTTE LE OPERAZIONI Pubblicazione di due interessanti periodici n. η·ΐίΡ· che vengono spediti gratuitamente a richiesta. ili ΠΒΠΙη DEPUTAZIONE DI STORTA PATRIA PER LA LIGURIA GIORNALE STORICO E LETTERARIO DELLA LIGURIA PUBBLICAZIONE TRIMESTRALE ANNO XII - I 9 3 6 - X V DIRETTORE: ARTUKO CODIGNOLA DIREZIONE E AMMINISTRAZIONE GENOVA, VIA LOMELLINI, n (CASA MAZZINI) Anno XI - 1936 XIV Fascicolo I - Gennaio-Marco GIORNALE STORICO E LETTERARIO DELLA LIGURIA Direttore: ARTURO CODIGNOLA Comitato di redazione : CARLO BORNATE - PIETRO NURRA - VITO A. VITALE UN IGNORATO SOPRUSO INGLESE AI DANNI NOSTRI Al tramonto della potenza di Napoleone I l'Inghilterra compì un atto di sopruso che fu uno dei tanti di una lunga serie commessi in danno e dispregio del popolo italiano. Crediamo opportuno rievocarlo, illustrando un documento inedito, perchè la storiografìa tradizionale del Risorgimento non volle sino ad oggi dire tutta la verità, preferendo adagiarsi, anche in questo particolare caso, nella pigrizia mentale dei concetti acquisiti. Si allude all’asserzione della « tradizionale amicizia » del popolo britannico per noi, la quale non solo 11011 trova contradditori, ma anzi, proprio a questo popolo si dovrebbe, in gran parte, la nostra resurrezione a grande potenza. Nulla di più falso. La storia del fatto, che si prende in esame, non è ignota, in sé, né peregrina. Risaliamo al 10 aprile 1814, data delPabdicazione di Napoleone ed alla conseguente occupazione di Genova da parte degli Inglesi, avvenuta dopo otto giorni con la mota convenzione stipulata fra il generale Maurizio Fresia, comandante della 28a divisione militare dell’impero francese da una parte e lord William Ben-tinck, comandante dell’armata inglese dall’altra. AlPart. 9 di questa convenzione fu stabilito che « tutto ciò che apparteneva alla marina francese sarebbe stato rimesso alla marina inglese » il giorno dopo ; ma non si fece alcun cenno a tutte le artiglierie poste a difesa di Genova e della Liguria, dalla repubblica oligarchica e poi rinforzate. Non si deve, infatti, dimenticare che la repubblica di S. Giorgio, anteriormente alla sua aggregazione alTimpero francese, durata nove an/ai, non fu mai disarmata : anzi le era stato imposto, nei decenni precedenti, di provvedere seriamente alla sua difesa, contro le insidie anglo-piemontesi da una parte e quelle austriache dall’altra, Trascinata nel turbine napoleonico dopo il 1805, è ovvio dire che le sue difese e armamenti, naturalmente a spese dei genovesi, e ben poco dell’impero, vennero accresciuti. In quale proporzione? Dal 9 ARTURO CODIGNOLA raffronto di un inventario delle artiglierie esistenti a difesa della Superba e delle riviere risalenti al 1802, già edito ed illustrato da Giuseppe Pessagno (J) e di 1111 altro, che rendiamo noto, inedito, dal quale risulta di quanta artiglieria si impadronì l’Inghilterra nel 1815, si può approssimativamente ricostruire Pentità degli armamenti genovesi, prima dell’annessione all’impero. Nel 1802 la consistenza del materiale bellico era la seguente : 361 cannoni di bronzo, 221 di ferro, 35 mortai ; nel 1814, all’entrata degli Inglesi a Genova il numero dei cannoni di bronzo era di 168, quello dei cannoni di ferro 160, dei mortai 48 (2). La differenza, tra i due prospetti si spiega con il logorio del materiale, in anni tanto turbinosi, e col fatto che l’Inghilterra 11011 portò via tutta l’artiglieria. Ma da un attento raffronto dei prospetti scaturisce un’altra importante constatazione. Il fatto che il numero dei cannoni di bronzo è decrescente dal 1802 al 1814 coincide con quello che tale tipo di cannoni era di vecchia fabbricazione, quindi è probabile che tutti quelli non messi fuori uso, trovati dagli Inglesi nel 1814 appartenessero alla repubblica di Genova; mentre gli altri di ferro per i quali il numero è aumentato, essendo di fabbricazione più recente, si devono considerare come quelli dati 111 dotazione durante il periodo dell’impero. Altrettanto dicasi dei mortai aumentati da 35 a 48. Questa premessa sembra indispensabile per la narrazione dell’episodio che ci interessa a fine di ben chiarire l’importanza del sopruso fatto, con la consueta disinvoltura, dall’Inghilterra, non solo a danno della Liguria e del Piemonte ma dell’Italia intera. * * * Breve, ma ricca d'eventi, fu l'occupazione inglese di Genova dall’aprile 1814 al gennaio 1815; qui, come in Sicilia, largamente abusando di promesse d’indipendenza e di libertà, fu facile a lord Ben-tinck di impadronirsi di tutta la forza militare di quella repubblica, appunto dall'Inghilterra restaurata il 26 aprile 1814, annullandola con un solo atto, per essere più libero nell’imporre la sua volontà. Costretto poi ad abbandonare la Liguria nel gennaio del 1815 per l’imposizione del re Vittorio Emanuele I (3), dopo aver cercato di ostacolare ai danni della monarchia sabauda, la traduzione in atto dei deliberati del Congresso di Vienna (*) ; l’Inghilterra (che, come (J) Ved. C. Montù, S'torta dell’artiglieria italiana. Roma, 1935-XIII, volume II, parte I, pag. 1596 e segg. (2) Ved. il prospetto posto nella nota prima della pag. seguente. (3) Ved. A. Segre, Il primo anno del ministero Vailesa, in « Biblioteca di storia italiana recente », Torino, Bócca, vol. X, pag. 207. (4) Sulla fine del dicembre 1814 Vittorio Emanuele I scriveva al suo ministro conte Vallesa: «.... È necessario di scrivere in Londra una nota di UN IGNORATO SOPRUSO INGLESE AI DANNI NOSTRI 3 di consueto, post acta smentì il suo ministro) sicura ormai d’aver domato il gran Corso confinato all’Elba, interpretando con molta larghezza per sé l’articolo nove già ricordato della convenzione Fresia -Bentinck, quando ritirò il suo corpo d’occupazione portò via quasi tutte le armi e le munizioni, appartenenti, di fatto, agli Stati del re di Sardegna, indispensabili non solo a proteggere la metropoli e le coste delle riviere dalle aggressioni delle potenze europee, ma anche da quelle dei barbareschi che infestavano il Tirreno. L’Inghilterra ciò fece tenendo in non cale quello stesso trattato stipulato in Vienna, che era stato pure in gran parte opera sua, con una disinvoltura che io direi.... britannica, pretendendo di considerare come bottino di guerra tutte le armi e le munizioni, sulle quali aveva posto le mani lord Bentinck entrando in Genova. Ora, se il Congresso di Vienna solo dopo la partenza del contingente militare inglese dalla Superba avesse deliberato l’aggregazione del genovesato al regno di Sardegna, si sarebbe potuto obbiettare che il prelevamento delle armi era un autentico bottino di guerra, poiché Genova era ormai parte dell’impero francese; ma la partenza di lord Bentinck avvenne nel gennaio del 1815, quando sui deliberati del Congresso, per quel che riguardava le sorti di Genova, non era più possibile alcuna discussione. Il bottino, in realtà, era troppo considerevole (M, perchè l’In- lamento. Si potrebbe metter sotto gli occhi del governo che io sono il solo che mai abbia fatto pace con Napoleone, che feci guerra e mi esposi a perder tutto per la causa dell’Inghilterra, non avendo mai ricevuti sussidi dal mio avvenimento al Trono, e che sarebbe duro per me che l’Inghilterra sola od i suoi generali mi volessero toglier ciò che il Congresso mi ha accordato e che già in Vienna ricevei li complimenti di tutte le corti. Rappresentare che già alla mia partenza da Cagliari le istruzioni che mi furono comunicate in Londra come date a Lord Bentinck d'installarmi come sovrano in Genova al mio arrivo, qualora non avesse trovato un’opposizione formale nel popolo, non furono da lui osservate, poiché fui festeggiato all’eccesso dal popolo, che mi proclamò quasi per suo Re gridando: viva il Re, senza spiegare che intendevano di Genova. Che lord Bentinck compresse quegli slanci, ben lungi dal secondarli, non seguendo che gl’impulsi di pochi, e creò un governo detestato dalla nazione invece di stabilirvi il mio che era desiderato da tutto il popolo.... ». Il re ordinava perciò, in contrasto alle mene di Lord Bentinck, di procedere alle nomine dei magistrati e dei militari. « Questi atti — soggiungeva — sono atti che partono da me come Sovrano e non dal mio Commissario, sicché il generale inglese, che non ha potere sulla mia corona qui, non può impedire che io promuova in corte mia Genovesi.... » come non può impedire che si debba prendere possesso di tutte le piazze forti. (Ved. Segre, op. cit., pagg. 181-183). C) Da un documento trasmesso dal governo sardo a quello inglese, per ragioni cui accenneremo tra poco, redatto dal Comandante il Corpo d’Artiglieria piemontese, tenente colonnello Capei, il « prelevamento » fatto dal corpo d'occupazione nei forti di Genova e delle riviere fu considerevole. Eccolo nella sua integrità : «Tableau des principaux effets d’Artillerie qui existaient dans les places et côtes des États de Gênes au mois d’Avril 1814, époque de l’entrée des trou- 4 ARTURO CODIGNOLA ghilterra non fosse tratta ad impadronirsene, nonostante che quest’atto potesse tornare a lei di gran danno, se Napoleone, per fatalità di eventi o per altro, non avesse veduto tramontare la· sua tragica stella sul campo insanguinato di Waterloo. Sbarcato, infatti, Napoleone il 1° marzo 1815 nel golfo Juan, gli Inglesi non tardarono ad accorgersi del grave errore commesso, quando, troppo sicuri delle loro forze, avevano lasciato sguarnite di forze militari Genova e le riviere; e cercarono tosto di correre ai ripari. Ma in che modo? Qui appunto Albione si rivela in tutta la sua consueta perfìdia. pes de S. M. Britannique, et de ceux existans dans les dites places et côtes en Janvier 1815, époque de la réunion des États de Gênes à ceux de S-. M. le Roi de Sardaigne. « Récapitulation des bouches à feu avec leurs affûts montées, manquant et à remplacer : Canons en bronze de siège de 36 de 24 de 16 [ de 12 de bataille l de 6 I de 4 Obusiers [ de 6 pouces . en I bronze ( de 24 pouces . Mortiers [ de 12 pouces . en ( bronze ( de 8 pouces Caronades en bronze 25 ( 36 I 19 I { Totaux N. 168 17 36 35 l 24 15 26 j Totaux Totaux Total 39 48 4 259 Canons en fer f de 36 pouces i de 24 pouces I de 16 pouces i de 12 pouces de 8 pouoes de 6 pouces de 4 pouces Carona- i de 36 Pouces o de 12 pouces I de 5 pouces 160 Totaux 13 Total en fer 173 UN IGNORATO SOPRUSO INGLESE AI DANNI NOSTRI 5 Ee Vittorio Emanuele viene subito sollecitato dagli Inglesi e dagli Austriaci a provvedere alla difesa delle coste della Liguria dalle offese che possono giungergli da Napoleone al nord e dal Murat al sud. Durante i cento giorni la tradizionale politica sabauda non si smentisce : il re oppone un rifiuto alla richiesta del Bellegarde di sfornire di armi Alessandria per guarnirne la testa di ponte di Piacenza (aprile 1815) e provvede perchè buona parte delle armi si mandi a Genova « completamente sprovvista di cannoni » (*) ; airingbil- Récapitulation des proiectiles et affûts manquans, et à remplacer de 36 pouces . 12030 de 24 pouces . 30075 boulets de 16 pouces . 25745 pleins de 12 pouces . 5831 de 6 pouces . 19586 Proiectils de 4 pouces . 7056 boulets , de 12 pouces . 6039 ί vides de 8 pouces . 1810 1 grenades j de rempart. . . 1000 ( a main . . . . 12945 l Affûts de { rechange À canons de côtes de 36 ponces de 24 pouces de 16 pouces Γ de 16 pouces ) rl A 19. ΠΛ11 P AO !cie io pouces de 12 pouces de 8 pouces de bataille de 12 pouces de 6 pouces de 4 pouces η, , . de 6 pouces a obusiersi -, OA *____ l de 24 pouces À ( de 12 pouces mortiers \ de 8 pouces Totaux 100.324 Totaux 10796 Totaux 13945 Totale en projectis 129.142 18 ( 40 j Totaux 86 28 10 ί 10 l Totaux 7 24 { Totaux 14 l g I Totaux I Totaux Total affûts 58 50 17 27 238 Désignation d’autres objets d’Artillerie à remplacer et nécessaires pour compléter l’approvisionnement qui existait dans les places et côtes avant l’entrée des troupes Anglaises : 1) Mitraille de defférens calibre quiutaux 1.000 ; 2) Plomb en saumons quintaux 2.000; 3) Etain d’Angleterre quintaux 500; 4) Fer echantilloné ou en barre quintaux 2.000; 5) Fusils d’infanterie n. 10.000 ; 6) Acier d’Angleterre quintaux 500 ; 7) Pierres à feux pour fusils d’infanterie n. 100.000». (Ved. Archivio di Stato di Torino, Consolati nazionali, Cartella JnghUtwra, n. 105. Lettere ministri, mazzo 121, Correspond- nza 1809-1814. 0) Sono parole di Vittorio Emanuele I. Ved. Segre, op. cit., pagg. 120-273. 6 ARTURO CODIGNOLA terra, elie incalza, manifesta la condizione in cui si trova e, trasmettendo il quadro del bottino da lei compiuto in Genova, che abbiamo reso noto, chiede che da esso detragga almeno una trentina di cannoni e una flottiglia di quattro fregate, ciascuna di 28 cannoni da 18 pollici in batteria. L’Inghilterra, naturalmente, nicchia ; ma, facendosi assai pericoloso il giuoco con Napoleone che non ischerza, pensierosa ancora del Murat, finalmente si degna di concedere all’ex alleato un prestito di L. 20 mila sterline, pari a circa 500 mila lire nostre, perchè siano impiegate a mettere in efficienza le fortificazioni di Genova e delle riviere, premendole di avere assicurato, con l’indomito coraggio dei soldati nostri, ogni sbarco nel genovesato che possa compromettere la lotta mortale che sta combattendosi col grande imperatore. * * * Ancora una volta, e non sarà certo l’ultima (se teniamo d’occhio la storia che oggi si vive e non si scrive) l’Inghilterra, oltrr aver saccheggiato con tanta disinvoltura un alleato che, per la , ausa comune, ma soprattutto per lei, s’era ridotto a vedere quasi annullata la sua potenza, pretese ed ottenne che ancora si battesse r suo prò’, e, tragica ironia della sorte, anche per il misero prestito concesso per ottenere in realtà un servigio, la storia doveva registrare il debito di riconoscenza di tutto il popolo italiano ! I documenti parlano chiaro, anche in questo modesto episodio che abbiamo voluto illustrare, ed è perciò superflua ogni chiosa. Ci si permetta soltanto una constatazione : se oggi, poco più di un secolo dopo il fatto ricordato, la potenza dell’Italia ci permette di smascherare, senza timore, i soprusi presentatici con volto di amico, ciò si deve esclusivamente alla virtù del popolo nostro che, da solo contro tutti, oggi come nel passato remoto ed in quello prossimo, costruì la sua sudata indipendenza con inaudito spirito di sacrificio. Questa constatazione, fatta nel clima storico attuale, nel quale possiamo finalmente leggere nel gran libro della storia, con occhi nostri, ci deve riempire l’animo di legittimo orgoglio. A. Codignola OSSERVATORI GENOVESI DELLA RIVOLUZIONE DI FRANCIA CRISTOFORO VINCENZO SPINOLA I. Per quanto non ci appaia più l’immensa e universale palinge nesi umana che è stata per tanto tempo rappresentata nè il provvidenziale inizio della « novella istoria » di un’Italia inerte e sonnacchiosa; rimane indubbio che la rivoluzione di Francia è un complesso avvenimento ricco di straordinari elementi drammatici e denso di profonde trasformazioni sociali ed è sempre di grande interesse il vedere come sia stata seguita, osservata commentata da coloro che vi hanno assistito e. per debito del proprio ufficio, l’hanno quasi giorno per giorno narrata. Sono noti da tempo e molto sfruttati i dispacci degli ambascia-tori veneti a Parigi ; meno conosciuti, come alcuni altri di sedi minori, quelli degli inviati genovesi dal 1794 sino al Consolato, editi or sono più che trentanni da Giuseppe Colucci, e importanti specialmente per i rapporti tra la Francia e la Repubblica di Genova ; sconosciuti ancora i dispacci dell’ambasciatore Cristoforo Vincenzo Spinola e del segretario Francesco Massuccone che hanno narrato al loro Governo in settimanali relazioni le vicende francesi sino alla line del 1793 (x). Questi dispacci forniscono un vero diario della rivoluzione, un ampio giornale che permette di seguire il prepararsi e lo svolgersi degli avvenimenti ed è accompagnato da commenti e rilievi che rivelano l’animo, i giudizi, le preoccupazioni politiche degli osservatori. Appartenente a famiglia tra le più cospicue di quella aristocrazia che governava con patriarcale debolezza ma con intransigente esclusivismo lo Stato, lo Spinola non aveva ancora trent’anni quando fu mandato a Parigi nel 1772. Ormai le grandi questioni erano finite con la recente cessione della Corsica, non rimaneva che liquidare particolari pendenze di carattere economico, badai e ai non gravi affari correnti e seguire da quell’importante osservatorio politico le generali vicende europee per darne informazione alla Serenissima Repubblica. Missione per- i1) Sono di imminente pubblicazione col titolo Dispacci dei diplomatici genovesi a Parigi (1^97-1193) nel vol. LV della « Miscellanea di Storia Italiana » edita dalla R. Deputazione di Storia Patria di Torino. 8 VITO VITALE ciò non troppo difficile e delicata che si protrasse a lungo senza soverchie scosse e senza pericolose tensioni diplomatiche. Si comprende che dopo tanti anni lo Spinola dovesse sentirsi anche un poco francese, tanto più che mortagli al principio della missione la moglie Paoletta — figlia di quel doge Durazzo che aveva stipulato la cessione della Corsica — col consenso dei Serenissimi Collegi aveva sposato Gabriella figlia del marchese di Levis, allora Capitano delle Guardie del Corpo di Monsieur, il futuro Luigi XVIII, e più tardi Duca, Maresciallo e Governatore dell’Artois, morto in tempo per non vedere la strage dei suoi, uccisi e dispersi dalla rivoluzione ; sola superstite della famiglia la moglie del diplomatico ligure. Particolare situazione che permetteva allo Spinola senza essere un diplomatico di singolari capacità o di eccezionale acume di conservare una superiore serenità e di guardare gli avvenimenti da un punto di vista naturalmente nobiliare ma lontano da ciechi interessati risentimenti e da caparbia intransigenza.. Com’è ovvio, i suoi dispacci non presentano — nè sarebbe da attendere in materia così nota e studiata — meravigliose novità, ma le ampie lettere incalzanti mostrano l’importanza che rinviato annetteva a quei fatti e alla loro conoscenza da parte del proprio Governo, costituiscono una narrazione uniforme dovuta a un solo osservatore e contengono impliciti od espliciti apprezzamenti e giudizi meritevoli di rilievo, e tanto più aperti ed efficaci quanto più il movimento si acuisce e si accelera. Coerentemente al carattere e agli interessi del governo e del paese che rappresenta, la sua attenzione si ferma con particolare cura sulla-parte finanziaria, sui molteplici provvedimenti economici, sugl’infiniti prestiti ai quali i capitalisti e i potenti banchieri genovesi hanno uno speciale interesse e la sua minuta esposizione dà netta la sensazione dell’abisso finanziario nel quale il vecchio mondo francese giorno per giorno si sente sprofondare. Il movimento di pensiero ha in queste lettere scarsa, quasi nulla affermazione ; ma la crisi economica e sociale aggravata dalla pessima amministrazione, resa inguaribile dallo sforzo eccessivo richiesto dalla guerra d’America, risalta in pieno ; nè le buone intenzioni del Re valgono ad attenuarla. Il Ministro, che fin dal primo momento del regno di Luigi XVI ha notato « che la Regina prenderà molta parte negli affari, avendo essa un sommo credito presso del Marito » e attribuisce la nomina del De Brienne all’influenza dell’abate di Vermont presso Maria Antonietta « che può tutto sullo spirito di questo Monarca », e riferisce che, dimessosi il Le Brienne, la Regina stessa « ha scritto immediatamente a questo signor Necker per dirle di portarsi immediatamente a Corte », non cessa di rendere omaggio alle buone intenzioni del sovrano e spesso, seguendo forse le speranze e le OSSERVATORI GENOVESI DELLA RIVOLUZIONE DI FRANCIA 9 illusioni della Corte, si mostra ottimista e attende successivamente la salvezza, con una facilità che può talvolta apparire ingenua, dalle riforme del Turgot e del Necker e anche dalla buona volontà dei Notabili. Sebbene la narrazione degli avvenimenti voglia essere imparziale e oggettiva, è evidente la simpatia per il tentativo di riforme, la disapprovazione per l’abbandono del Turgot e del Necker, per la sventata e farraginosa amministrazione del Calonne, soprattutto per la lotta aspra e drammatica tra il Re e il Parlamento. Lo Spinola vede il pericolo derivato dal baratro delle finanze e la necessità dei rimedi e spera che l’opera riformatrice del Re sia sufficiente pur lasciando trapelare talvolta nell’apparente freddezza dell’informazione e nella correttezza assoluta della forma la meraviglia per certi atteggiamenti deboli e incoerenti del Sovrano. Anche nel famoso Processo della Collana le sue simpatie vanno evidenti al cardinale di Rohan. Dopo il conflitto coi Parlamenti e la dissoluzione recata all’amministrazione giudiziaria e provinciale dai provvedimenti del De Brienne, dopo l’ondata di malcontento e di opposizione che si manifesta anche nell’Assemblea del clero e nella universale richiesta degli Stati Generali, l’illusione fiduciosa· sembra rinascere quando può annunciare la prossima riunione della tanto attesa e reclamata Assemblea che ristabilirà la tranquillità del Regno « dovendo questa Nazione promettersi di vedere mediante detta adunanza ristabilito l’ordine in tutte le parti di questo Stato ». È lecito credere allora che « i prefati Stati Generali siano per apportare il necessario sollievo a queste Regie Finanze, che ristabilisca il credito e la fiducia di cui godevano prima tutti gli effetti regi ». Salda speranza che le questioni sul numero dei rappresentanti e sul modo di votare nella futura Assemblea e le opinioni manifestate in proposito dai Notabili e dal Parlamento e le agitazioni popolari non riescono a smuovere. Le cose infatti si accomoderanno « per la rigenerazione di questo stato unitamente sollecitata dal Sovrano dai sudditi e dall’imperiosa necessità degli avvenimenti passati » ; un principio si ha nella decisione regia che il Terzo Stato abbia tanti rappresentanti quanti gli altri due ordini sommati insieme. Nella questione sul modo di votazione le simpatie del diplomatico non vanno certo ai privilegiati, i quali devono trarre ben considerevoli vantaggi dall’antica costituzione « giacché fanno tante difficoltà contro un sistema che renderebbe comune la legislazione e l’imposta nelle mani del Re e dei tre Ordini dello Stato ». I dubbi determinati dalle agitazioni elettorali, dai tumulti popolari degenerati in violente sommosse, come quella di Parigi contro l’industriale Reveillon, sembrano ancora svanire all’apertura degli 10 VITO VITALE Stati Generali, minutamente narrata in una quantità di particolari, « che non mancò d’imprimere a tutti i spettatori una emozione di rispetto e di tenerezza verso del Sovrano » (18 maggio 1789). Breve illusoria parentesi; l’inconciliabilità dei pareri sul modo di votazione rinnova le preoccupazioni. Anche qui il narratore, che manda relazioni sempre più ampie e particolareggiate, è visibilmente favorevole alla tesi del Terzo Stato come quella che meglio gli sembra rappresentare l’interesse generale della Nazione e ha esplicite parole di approvazione per l’opera e le proposte del Sieyés, e anch’egli partecipa alla generale soddisfazione quando alla fine, grande battaglia vinta, avviene l’unione degli ordini nell’Assemblea Nazionale. Anche più caratteristiche le parole di meraviglia per il licenziamento del Necker 1Ί1 luglio e di compiacimento per il « lusinghevole e giusto invito » al ritorno dopo la nuova sommossa parigina. « Questa nuova prova di confidenza — commenta — l’aveva giustamente meritata, e questo Popolo non poteva meglio attestargli la sua stima ed attaccamento che mettendo tanto di vigore e di resistenza contro i suoi nemici di cui viene di trionfare ». Poi l’emigrazione dei nobili, lo scatenarsi delle violenze popolari, l’agitazione della campagna danno un tono preoccupato alle corrispondenze. Il diplomatico sente di vivere in un momento storico, vede la necessità di una profonda trasformazione e comprende il valore di alcuni avvenimenti; così gli sembra che la famosa seduta del 4 agosto sarà per sempre memorabile, ma esprime insieme il desiderio di veder compiuta la costituzione, indispensabile al ristabilimento dell’ordine turbato dagli eccessi dei malintenzionati, compromesso anche dagli scritti sediziosi. A misura che gli eventi precipitano e le concezioni astratte prendono il sopravvento e si sferrano ire, rancori e interessi particolari, e, sotto la veste di vaglie ideologie, si dissolve ogr.i autorità, è preso da uno sgomento, da un’ansia accorata perchè non vede ove quel dissolvimento e quel disordine possano condurre. « Le persone bene intenzionate — scrive il 21 settembre ’89 — vedono con somma pena la lentezza che questa Assemblea Nazionale va mettendo alla formazione della nuova costituzione di questo Regno, tanto più che si scorge che un tale ritardo proviene dalla poca buona intelligenza che regna fra i membri della medesima che non può mancare d’essere sommamente svantaggiosa al bene generale » e il 5 gennaio successivo annuncia con compiacimento i tentativi di conciliazione tra i partiti, a dirimere « le conseguenze funeste della divisione che regna in quell’assemblea ». Vane speranze, come vano il proposito del Re di farsi « Capo della Rivoluzione » recandosi a presiedere l’Assemblea, approvandone i decreti sulla costituzione ma assicurando insieme gli emigrati e invitandoli a tornare in patria. La lettera che contiene que- Osservatori genovesi della rivoluzione di francia 11 sta notizia parla anche del decreto di arresto « contro un certo signor Marat autore di un foglio periodico » pieno di calunnie e di violenze. O’è un profondo disprezzo nelle parole relative a « questo satirico follicolare » e si direbbe che da questo momento, davanti al prorompere della violenza e alle dannose conseguenze dell’astrattismo teorico che distrugge il paese nella ricerca di una formula ideale di governo, il narratore imparziale, che si è quasi guardato dal formulare giudizi, cominci ad esprimere chiaramente la propria impressione. Se il piano vagheggiato di pacificazione riesce « sarà pure necessario che il potere esecutivo riprenda la sua forza » ; e questa espressione frequentemente ripetuta coglie il nodo centrale e la causa prima della dissoluzione. Ma la patetica seduta del primo di febbraio, intesa a mostrare contro tutte le speranze e i timori l’impossibilità di una controrivoluzione, e il giuramento civico che ne deriva, non possono avere l’effetto di conciliare interessi e sentimenti antitetici ; il conflitto tra i partiti anziché appianarsi si acuisce aggravando reciproci sospetti e precipitando sempre più il paese nell’anarchia. Perciò i rilievi sulle discordie insanabili si fanno più frequenti, più espliciti sono i giudizi (« la maggior parte dei membri dell’Assemblea si sa avere per massima di accordare ogni facoltà al Popolo in pregiudizio dell’Autorità Regia », scrive il 10 maggio 1790), aperta la deplorazione dello sferrarsi delle gare individuali e delle astiose rivalità. Mentre il disordine cresce, l’anarchia si diffonde, e rivolte scoppiano da ogni parte e la situazione finanziaria diviene sempre più preoccupante, l’Assemblea accoglie il progetto di Confederazione Nazionale proposto da.1 Comune di Parigi per il 14 luglio e ogni pensiero sembra rivolgersi alla, celebrazione della grande festa. « Se il Regno si trovasse nella più florida situazione, se gli animi e gl’interessi di tutti gli individui francesi fossero perfettamente conciliati, se finalmente le finanze avessero ricevuto il totale loro ristabilimento e che gl’introiti dell’erario pubblico sorpassassero di gran lunga le spese, non si potrebbe con maggiore contentezza ed espansione di cuore vedere dall’universalità del Popolo approssimarsi una funzione che non mancherà di costare più centinaia di mila lire » (28 giugno). È osservazione da spirito pratico e positivo che non si lascia abbagliare dalle apparenze, e che, pensando agli interessi dei suoi concittadini, accetta però la giustificazione di chi considera « un ottimo mezzo quello di secondare il naturale della Nazione francese sempre gaia, sempre amante dei divertimenti per disporla così dolcemente a poco a poco a sopportare quelle imposizioni necessarie alla vita dello Stato». Meno male che tutto è andato a dovere e senza alcun disordine nella magnifica festa dopo la quale sembra lecito attendere un più 12 VITO VITALE sereno avvenire. Illusione anche questa subito smentita dalla realtà. La materia economica che più gli sta a cuore gli dà le maggiori preoccupazioni. « Sommamente leggeri e soggetti a mille inconvenienti », definisce i nuovi progetti finanziari, deplora il ritiro del Necker del quale ha sempre approvato la politica finanziaria, e, a proposito dell’esposto giustificativo da lui pubblicato, aggiunge : « La memoria dell’ex Ministro staccandosi dalle metafisiche sottigliezze degli odierni legislatori francesi, è appoggiata dalla base più soda delTesperienza e della pratica ». Preoccupato della tragica situazione economica aggravata dal progressivo dissolversi di ogni autorità, il Ministro genovese, superando il costante sforzo di compassata obbiettività, esce in parole quali non ha prima adoperato. « Dalla lentezza con cui procede questa Nazionale Assemblea nei regolamenti più necessari a sostenere le basi di una buona costituzione, dalle massime di libertà forse troppo estesa, che si sono adottate, e dalla gelosia politica di non accordare al Potere Esecutivo l’autorità e la forza bastante a mantenere il rigore e la disciplina, ha avuto origine lo spirito di sedizione e di rivolta che dopo aver serpeggiato in quasi tutte le provincie del Regno si è anche di recente manifestato tanto fra i diversi corpi di truppa regolata che fra gl’individui » (23 agosto». E l’osservazione diviene persino sarcastica a proposito della « persuasione in cui mostra di essere la Maggiorità di questa Assemblea Nazionale di poter ridurre gli uomini a una perfetta eguaglianza di diritto giacché quella di fatto viene smentita dalla stessa Natura e risulta manifestamente impossibile a stabilirsi agli occhi anche dei più entusiasti sostenitori di nuovi sistemi di politica », cosicché qualunque decisione l’Assemblea prenda in materia di diritto successorio « sarà ben difficile di limitare ai testatori la volontà di disporre dei propri beni in favore di chi e come meglio loro aggradar senz’essere in contraddizione con quei principi di libertà individuale che si sono richiamati come base fondamentale della odierna costituzione francese » (29 novembre). Il giudizio più compiuto e comprensivo , la critica si può dire a tutti gli errori della rivoluzione è contenuta nella lettera del 13 dicembre 1790 nella quale si osserva che i disordini militari sono destinati a rimanere impuniti « per quella specie di nullità ed anarchia da cui è inseparabile un totale sconvolgimento di governo, le basi del quale vorrebbonsi soltanto fondare sulla eguaglianza e sulla libertà individuale, prerogative tanto più stimabili e seducenti in teoria, altrettanto inefficaci in pratica a produrre quella felicità pubblica che deve essere l’oggetto d’ogni ben regolata civile società e pericolose per l’abuso che il popolo non abbastanza istruito sui propri doveri, suol farne passando dalla libertà alla licenza ». Tuttavia l’osservatore, che guarda' gli avvenimenti con occhio non OSSERVATORI GENOVESI DELLA RIVOLUZIONE DI FRANCIA 13 offuscato dalla passionalità e con animo sereno, espone acutamente le ragioni per le quali le speranze e le illusioni di una controrivoluzione sono destinate a fallire dinnanzi alla suggestione esercitata dalle nuove massime e alla stessa necessità delle cose. « Il partito chiamato aristocratico — scrive nel marzo 91 — ritrovandosi diviso d’interessi e privo di mezzi pecuniari, di un capo capace a dirigerlo e di un punto di riunione centrale, senza però rinunciare ai suoi chimerici progetti non fa che maggiormente irritare lo spirito della Nazione, provocarne l’odio ed esporsi al risentimento popolare ». Egualmente nella spinosa questione della costituzione civile del clero e dei rapporti con la Chiesa egli, che considera sempre le cose non da teorico fermo a principi immutabili ma con l’adattabilità accomodante del diplomatico restio a rompere i ponti e sempre disposto alle trattative e alle soluzioni di compromesso, mostra di non approvare l’atteggiamento del Papa, specialmente perchè, data l’accensione degli spiriti rivoluzionari, uno scisma porterebbe danni incalcolabili alla Chiesa e alla religione. Nel suo pensiero ogni eccessiva opposizione capace di spingere ulteriormente il moto rivoluzionario dovrebbe essere studiosamente evitata ; ma la violenza religiosa dei nuovi legislatori i quali hanno creato « una tirannia più fiera di quella che si rimprovera ai secoli barbari e al supposto antico dispotismo » ha nelle sue parole una esplicita condanna. Non curano infatti « gli attuali legislatori francesi se le loro deliberazioni si accordino colla subordinazione alla Chiesa e con quegli stessi principii di filosofica tolleranza che spacciano di voler stabilire in materia di religione » (19 aprile 1791), Da questo momento le espressioni sarcastiche di « moderni legislatori », di « pretesi diritti di Libertà », di « principi metafìsici e complicati » ricorrono con notevole frequenza anche se il consueto sforzo di equanime obbiettività si manifesta ancora nell’annuncio della morte e dei solenni onori funebri al Mirabeau, a proposito del quale accenna alle voci di morte per veleno, non ancora alle accuse di tradimento per i rapporti con la Corte, allora ignoti a tutti. Sebbene sostenitore della rivoluzione, il tribuno gli appare costante oppositore delle proposizioni più violente e faziose del Club dei Gia-cobini, che ormai esercitano una sorveglianza prepotente e sospettosa su tutta l’amministrazione dello Stato. La situazione dei Ministri, e in particolare del conte Montmorin agli Esteri, diventa insostenibile. « L’agrura e facilità con cui alcuni capi del Partito predominante attaccano sovente e senza un profondo motivo gli Agenti del Potere Esecutivo, devono necessariamente disgustare gli uomini onesti », ma è insieme necessario rilevare la responsabilità che sul corso degli avvenimenti hanno avuto i « così chiamati Aristocratici francesi, i quali appunto attesa la ostinata resistenza messa ad ogni modificazione di abuso, hanno dato luogo ad un totale rove- 14 VITO VITALE sciamento di cose, da cui non risulta certamente finora che anarchia, confusione e disordine ». Con rincalzare degli avvenimenti 1’impassibilità diplomatica si attenua e scompare, specialmente quando il re e la religione sono in pericolo e la Guardia Nazionale fa causa comune coi rivoltosi come nella dimostrazione a cagione dei preti refrattari. « Si direbbe — esclama a questo proposito il 26 aprile — che la Libertà e la tolleranza che sembrano essere gl’idoli della Nazione Francese dovessero aver luogo per tutti gl’individui e per tutte le Religioni fuori che per il Monarca e per il più puro Cattolicismo ». L’estendersi dell’anarchia tra le forze armate, il baratro delle finanze, le minacce degli emigrati e le voci di guerra da parte delle potenze confinanti rendono la situazione sempre più oscura. Ed ecco sopraggiungere la fuga del re ; « non è possibile calcolare le conseguenze di sì fatto avvenimento, ma è purtroppo probabile un disordine e uno sconcerto totale » tanto più che « la dignità regia è totalmente compromessa, la fermentazione dei spiriti cresce a dismisura, i faziosi trovano nuova materia alle loro istigazioni, e sempre più difficile si rende un generale accomodamento ». Le incertezze dell’Assemblea, i conflitti tra i partiti, le illusioni degli emigrati, il moltiplicarsi delle sommosse popolari sono efficacemente esposti e ormai con costante chiarezza di giudizi. Il Re è ristabilito nelle funzioni non per riguardo alla sua persona o al principio monarchico ma per il timore delle conseguenze derivanti dalla nomina di un consiglio di reggenza o addirittura dal mutamento della forma politica, mentre l’Assemblea ritarda la pubblicazione della Costituzione nella, speranza di qualche straordinario evento che la liberi dall’imbarazzo che le recano « la stravaganza dei principi, l’urto e la confusione dei corpi amministrativi ed il totale rovesciamento di ogni massima di sana politica e di un ben regolato Governo ». La repressione del 17 luglio al Campo di Marte gli fa credere che finalmente si sia trovata l’energia di reagire contro le violenze, quell’energia che, chiamata strage dai più accesi, scaverà l’abisso definitivo tra Foglianti e Giacobini. Grande sarebbe certamente l’ardore della Nazione se la Francia fosse attaccata, ma disorganizzata com’è un’invasione non sarebbe difficile e c’è chi non vedrebbe male un intervento straniero « per avere apparente buona ragione di ritornare indietro prendere delle modificazioni, senza mostrare al Popolo, sedotto da promesse d’immaginabile felicità, una specie di debolezza, di contraddizione e d’incoerenza » (2 agosto). Ma ad una guerra da parte delle potenze lo Spinola non crede, neanche quando ha luogo il convegno di Pilnitz ; e la equivoca dichiarazione che ne esce e non soddisfa gli emigrati, lo conferma nella persuasione. Intanto il Re ha approvato la costituzione che gli è stata sotto- OSSERVATORI GENOVESI DELLA RIVOLUZIONE DI FRANCIA 15 posta e ha riavuto la libertà, almeno apparente. Questa pura e semplice approvazione non finisce di piacere all’inviato che si attendeva osservazioni e rilievi. A proposito delle dimostrazioni e degli applausi allora rivolti ai Sovrani osserva: «È indicibile l’entusiasmo mostrato per le Maestà Loro da tutta la nazione francese in questo incontro, nè pareva quasi combinabile con l’accaduto a Varennes tre mesi prima. ». Nelle lettere del settembre 1791 narra minutamente, tra meravigliato e incredulo, le feste fatte in quei giorni ai Sovrani tornati in apparenza al pieno favore popolare. Mentre il popolo parigino acclama il Re salutando nella sua sottomissione la propria vittoria e mentre sembra che la famiglia reale abbia accolto « in tutto e per tutto le massime della rivoluzione », l’emigrazione aumenta ogni giorno e le minaccie di contro-rivoluzione dall’estero si fanno più frequenti, sebbene i nobili siano sempre più divisi da gelosie e da discordie ; e intanto la nuova assemblea legislativa perde il tempo in lunghe e inutili discussioni e nelle proposte più strane e assurde come quelle sul nuovo cerimoniale da usarsi col Re. È interamente fallita la speranza che « ammaestrati dalla lunga esperienza dei mali sofferti durante la Rivoluzione, e dal bisogno che di giorno in giorno si rende più urgente di rimediarvi, si sarebbero forse risoluti i moderni legislatori di far cessare una volta l’anarchia e i disordini con accordare al Potere Esecutivo dell’autorità sopra i troppo complicati corpi amministrativi per accelerare il pagamento delle imposizioni ed assicurare l’esecuzione delle leggi ». Invece l’Assembla continua a perdere il tempo in inezie e in proposte incendiarie e tiene costantemente un contegno così ingiurioso verso i Ministri da costringerli a dimettersi, e intanto la situazione esterna si aggrava per l’impazienza degli emigrati, spinti anche da difficoltà economiche e pentiti dell’imprudenza commessa abbandonando la Francia. La Legislativa non sa approfittare di queste condizioni nè delle discordie e delle incertezze delle Potenze per consolidare la rivoluzione e rimediare agli errori del passato ; « sembra anzi che i membri dell’attuale Assemblea si studino a bella posta di portare all’estremo le esagerate loro innovazioni e di rovesciare persino le basi della costituzione ogni volta che si tratta di animare il Popolo all’anarchia, all’insubordinazione e al disordine ». L’anno si chiude con la previsione della guerra, mentre tutto è disorganizzato, l’esercito indisciplinato, la Guardia Nazionale inesperta, gli assegnati perdono il 40 °/Q del valore e i cambi sono rovinosi. « Dio voglia che le negoziazioni che il Re seguita a fare abbiano un felice successo onde siano risparmiate allo Stato, e ai suoi creditori, ulteriori disgrazie » conchiude lo Spinola e pensa probabilmente agli interessi dei capitalisti genovesi. 16 VITO VITALE II. La corrispondenza ufficiale di Cristoforo Vincenzo Spinola trova conferma e complemento nel 1792 in alcune sue lettere private a Pietro Paolo Celesia ambasciatore genovese a Madrid. Appartenente a famiglia di ricchi banchieri di recente ascrizione nobiliare, rappresentante diplomatico della Repubblica a Londra tra il 1756 e il ’59, amico di Domenico Caracciolo e delPabate Galliani, col quale mantenne viva corrispondenza, il Celesia fu uomo di cultura varia e brillante tipicamente settecentesca, compì molti viaggi con lunghe soste a Parigi, sinché nel 1781 fu mandato alPambasciata di Madrid dalla quale lo richiamò soltanto il governo provvisorio della nuova repubblica democratica, nel 1797. Egli versò allora nelPArchivio pubblico tutta la corrispondenza della sua legazione'madrilena e tra i dispacci ricevuti dai diversi consoli della Spagna è andato a finire anche un fascio di lettere scrittegli tra· il 1792 e il ’95, da Parigi prima, dall’ambasciata di Londra poi, dallo Spinola che aveva continuato in forma epistolare le amichevoli conversazioni di Parigi (x). La prima delle lettere così conservate, del 24 gennaio 1792, porta nel pieno delle peripezie della nobiltà emigrata perchè narra il viaggio della marchesa di Gineston, figlia del Celesia, a Bruxelles dove aveva condotto in convento la piccola figliola Amelia. Mentre il marito seguiva i principi emigrati, la marchesa, addetta alla. Principessa di Lamballe, era ritornata a Parigi con lei, reduce dal suo viaggio di Londra, e ne seguì poi le vicende fino all’arresto. Insieme alle notizie della figlia lo Spinola dà all’amico informazioni politiche che coincidono con quelle delle lettere ufficiali ma naturalmente in tono meno sostenuto e con maggiore franchezza di linguaggio. La pietà umana ch’egli sente per gli emigrati (« cette débâcle des émigrés leur doit être très funeste dans la saison où sommes, et ils sont fort à plaindre »), non gli impedisce di riconoscere il male prodotto dal loro contegno spavaldo e caparbio, non corrispondente alle scarse forze delle quali dispongono. L’atteggiamento intransigente della Legislativa nella spinosa questione che ne deriva con gli Stati dell’impero confinanti con la Francia è la causa occasionale del conflitto armato tra la Francia e l’Europa. Il diplomatico genovese teme che la Francia voglia lanciarsi in un’avventura. « Una grande Nazione — scrive al suo governo i primi di gennaio — che ha rinunciato a qualunque conquista e fiera delle nuove massime di libertà di equità e di eguaglianza dovrebbe limitarsi a difendere le proprie frontiere e non mai andar ad attaccare le altre Potenze; e moltipli- (*) Queste lettere inedite, e quasi tutte in francese, sono nell’Archivio di Stato di Genova, Lettere Consoli Spagna, busta 3B-2672B. OSSERVATORI GENOVESI DELLA RIVOLUZIONE DI FRANCIA ] 7 care con ciò i nemici della propria Costituzione ». Su questa speranza di un’azione difensiva insiste più volte, soprattutto per le condizioni infelici dell’esercito e per l’impreparazione della Guardia Nazionale, pur riconoscendo che la difficoltà intrinseca della questione e la violenza inconsiderata di molti deputati, lasciano luogo ai più gravi timori. « Invece di prepararsi ad affrontare gli eventi, all’Assemblea si perde continuamente il tempo a denunziare li Ministri ed a spargere dei sospetti contro le intenzioni di tutti li Agenti del Potere Esecutivo, per rendere sempre più nullo il Governo, ed autorizzare l’anarchia e la licenza » ; e contemporaneamente all’amico : « L’As-semblée n’a encor rien décidé sur le projet du Comité diplomatique relativement à la déclaration de PEmpereur du 21 Xbre. Nos ora teurs se distinguent par leur eloquence mais jusqu’ici aucun résultat décisif sur cette matière ». Si attende di giorno in giorno una presa di posizione netta e decisiva da parte dell’Impero : « Que fait-on ici pour la détourner? On passe le tems à denoncer les ministres ou jeter des supçons sur les intentions du pouvoir executif ». Parole analoghe ritornano in molti dispacci ufficiali. Il 7 febbraio : « la scarsezza del numerario si accresce di giorno in giorno e la perdita de li assignati è ora del 54 circa per cento. L’Assemblea Nazionale invece di rivolgere i suoi pensieri al ristabilimento delle finanze, della percezione delle imposizioni e della organizzazione di un governo saggio e praticabile, continua a perdere il suo tempo in puerili discussioni ed a eccitare sempre più l’anarchia con accogliere le denunciazioni più assurde contro tutti gli agenti del Potere Esecutivo e con accreditare nel popolo li più odiosi sospetti sopra le intenzioni di Sua Maestà ». Si diffondono e si accreditano voci di complotto per rapire o far fuggire il Re e intanto col pretesto dell’alto prezzo del caffè e dello zucchero si sono ripresi i saccheggi dei negozi : « Cette manière de se faire justice est encor de mode comme vous voyez malgré la vigilance des pouvoirs constitués ». Le agitazioni a Parigi si riprendono con rinnovata violenza, gli animi sono in uno stato di sovreccitazione paurosa, e l’orizzonte politico si oscura « a misura che la frenesia del Partito dominante lo tiene alieno dall’addottare delle massime moderate ed un sistema praticabile di Governo ». Non c’è ormai lettera che non ripeta le medesime osservazioni e che non abbia qualche espressione sarcastica all’indirizzo della « nostra macchina politica » del « nostro Corpo Legislativo » dei « nostri legislatori » e dei « nostri oratori ». Il dispaccio del 21 febbraio sembra riassumere tutte le osservazioni e le accuse. « Sino a tanto che l’Assemblea lascerà influire nelle sue deliberazioni gli applausi e la disapprovazione delle tribune, per lo più ripiene di vagabondi e di gente della più infima plebe e non si 18 VITO VITALE occuperà seriamente di estendere e consolidare l’autorità dei tribu nali costituiti e soprattutto di far acquistare della considerazione e delle forze al Re e agli Agenti del Potere Esecutivo, non è possibile che l’attuale governo in ignitamente debole e complicato sia capace di imprimere un moto regolare alla nostra macchina politica e di con ciliare in pratica i pretesi diritti di libertà con l’osservanza delle leggi e con i doveri più sacri di ciascuno individuo. Se una perfetta tolleranza di tutti i culti religiosi, la libertà della stampa, la responsabilità dei Ministri, le proscrizioni dell'autorità arbitraria, Γeconomia nelle spese pubbliche, il consenso generale di tutti i membri del Corpo Sociale a votare le imposizioni e a regolarle attualmente secondo i bisogni dello Stato, e varie altre istituzioni della nuova Costituzione hanno qualche cosa di seducente tigli occhi della ragione e della filosofia, l'abuso enorme che vieil fatto impunemente di tutte le suddette prerogative dai faziosi, da scrittori incendiari e dai male intenzionati diviene una sorgente ben funesta dei disordini, dell’anarchia e delle altre calamità che affliggono in oggi la Francia ». In queste condizioni la guerra appare a molti inevitabile: la vogliono con opposti intendimenti rivoluzionari e aristocratici* e con diverse speranze la vedono come sbocco necessario della caotica situazione e della generale anarchia, ma « il faut être bien jacobin pour pouvoir être tranquille sur les événements du printemps prochain en attendant l'insurrection et l’indiscipline qui régnent par tout : la circulation des grains est interceptée etc. Voilà les ariues qu’on opposera aux forces combinées des deux souverains. Ici nous avons tout les jours des preuves nouvelles des batteries entre les jacobins et les feuillants et leurs champs de bataille sont les salles des spectacles de manière que les honnetes gens seront forcés de renoncer aux innocents amusements » (28 febbraio). In questa situazione Spinola è d’avviso che « malgré les déclamations des Bris-sot, des Fancliet et Compagnie on ne provoquera pas la guerre » ina aggiunge, «je vois peut être trop couleur de rose sur ce point. Ce qui m'effraye c’est l'anarchie totale dans laquelle nous vivons. Comme un état peut-il se soutenir sans un gouvernement en activité et sans ordre? On nous parle souvent des impôts niais jamais de la perception ». Si parla anche del progetto di abolire la moneta metallica, ma l'idea gli pare priva di buon senso, bisognerebbe che la Francia si isolasse e sospendesse ogni rapporto commerciale con l'estero perchè una simile idea fosse applicabile. Sopraggiunge a complicare la situazione la morte dell’impera-tore Leopoldo. « Les uns — scrive Spinola a Celesia il 13 marzo — voyent en lui nn Prince plein de sagesse et de modération, grand ennemi de la guerre, et on étoit persuadé qu’il ne la feroit pas à moins d’y être forcé par les fausses démarchés du club dominateur, les autres voyent dans cette catastrophe nn retard indispensable A OSSERVATORI GENOVESI DELLA RIVOLUZIONE DI FRANCIA 19 l'accomplissement de leur voeux ; une négotiation, une éléction et un couronnement, tout cela doit durer au moins quatre mois; la saison s’avance ce seroit donc au plutôt à l’automne que le succès de leur esperances serait remis ». È vero che finché vive il Kaunitz la politica di Vienna non subirà modificazioni troppo profonde, ma a rendere la situazione sempre più complessa ed instabile si hanno a Parigi i continui mutamenti dei ministeri. Narbonne è stato allontanato dal Re; Bertrand si è dimesso, poi è venuto la volta del « nostro Lessali: » arrestato su denuncia di Brissot. Si parla di un possibile ritorno del Narbonne « cepandant à l’heur qu’il est tout est possible. On m’assure qu’il y a un intrigue infernale qui couve et qui doit éclater dans peu.... L’anarchie, le desordre régnent dans toute la France, on nous menace même de la famine; toutes les lettrée des provinces ne parlent que des révoltés, que d’insurrections ». L’intrigo infernale si riferisce forse all’imminente mutamento radicale del ministero. È il momento del Dumouriez del quale 10 Spinola riassume, tanto nel dispaccio ufficiale che nella lettera amichevole, l'agitata vita : « C’est un homme qui a beaucoup d’esprit, qui a été employé souvent dans des négociations sécrétés. Vous devez vous rappeller qu’il a été une des personnes que le Comte de Broglie avait employé clans sa correspondent secrète avec le feu Roi ; il fut mis la Bastille sous le Ministre de M. Daiguillon conjontement h M. Lavas et Segur, celui qui vous avez en Espagne; depuis cette epoque il a commandé à Cherbourg ». Il trionfo dei Giacobini è così completo; la loro intolleranza è tale che molti ufficiali sono stati insultati per il crespo nero al braccio in segno di lutto per la morte del fratello di Maria Antonietta. « On pourrait reprocher aux ennemis du noir que les droits de l’homme ne sont pas trop respectés » commenta Spinola, e aggiunge: « Nous sommes inondés de bonnets rouges dans la ville, c'est, dit on, le simbolc de la liberté d’après les Jacobins qui comme vous voyez sont tous puissants à la Cour et à la Ville ». Infatti ormai nelle cariche ministeriali e negli uffici non ci sono clic membri del Club dei Giacobini, « in maniera che non solo il partito dominante non può dolersi che le scelte di Sua Maestà non siano perfettamente nel senso della rivoluzione, ma si può aspettarsi di più ad ulteriori cambiamenti nei posti diplomatici de’ Rappresentanti Francesi presso le Corti Estere ». Il Re. aggiunge il 27 marzo parlando dei nuovi ministri girondini, ha voluto dimostrare alla fazione dominante di nulla aver trascurato per far tornare la calma e la tranquillità nello Stato; « c’est à savoir — commenta nella lettera all’amico — si cela est le vrai moyen d’y réussir ». E siccome 11 Celesia esprime la speranza che, appartenendo tutti i Ministri al Club dominante, « les lois seroint mises en vigueur et que la nouvelle 20 VITO VITALE constitution marcherait, je le désire comme vous — insiste lo Spi nola — mai je n’ose point m’en flatter encore ». La questione della guerra eccita sempre più gli spiriti e Dumou-riez « parlando un linguaggio che per le poco misurate espressioni non è mai stato certamente in uso presso l’antica diplomazia », precipita le cose e la rende inevitabile : « on m’assure ques les Iacobins fort, embarassés de l’état des finances la désirent pour couvrir du manteau de ce fléau toutes les horreurs de la banqueroute, voilà ou nous sommes » commenta preoccupato, e, appena avvenuta la dichiarazione, « «et nous voilà en guerre — esclama — Dieu seul peut savoir les suites funestes de ce fléau » ma deve riconoscere che la cosa era tanto attesa che non ha fatto a Parigi soverchia impressione. Al solito, il lato economico lo preoccupa maggiormente. « Le persone interessate al ristabilimento di questo Regno sono giustamente penetrate delle funeste conseguenze che potrebbero derivarne non solo alli indivìdui ma alle pubbliche finanze.... i negozianti di Marsiglia e delle altre città marittime temono con ragione un’infinità di armatori di tutte le nazioni che provvedendosi di patenti austriache nei porti di Ostenda e di Trieste infesteranno il commercio francese ; tutto ciò non annuncia certamente una prospettiva troppo felice per una nazione che volendo essere libera si è precipitata nell’abisso della licenza assoggettandosi alla tirannia di una fazione ambiziosa che sotto l’apparenza di libertà la domina con un dispotismo orientale ». Ma non sono in giuoco soltanto legittimi e rispettabili interessi economici : si tratta del conflitto tra due opposte concezioni e due mondi antitetici che puntano entrambi sul pericoloso giuoco della guerra. Vito Vitale (continua) Un rimatore genovese del Settecento : GEROLAMO GASTALDI (Continuazione : V. numero precedente) Ma tra le canzoni encomiastiche ce n’è ima che merita un cenno a sè, per qualche nota diversa dalle altre. L’argomento è uno dei soliti motivi comuni : il poeta, dovendo celebrare « d’Anna e di Gaétan gli alti imenei » (non sappiamo chi fossero questi due, nè c’importa di saperlo), ci regala questa non troppo peregrina finzione : — Venere, avuta notizia delle nozze che si devono celebrare, va in cerca del figlio, perchè, con la sua presenza, renda più bella la festa ; e, dopo aver cercato affannosamente qua e là, trova il dio che dormiva a sulle pendici amene — della materna Gnido »; lo sveglia (in modo tutto settecentesco) e lo manda con una schiera di amorini alle nozze. — A noi tutto lo sviluppo dell’ode non interessa proprio nulla, perchè non troveremmo altro che le solite rime leziose e stucchevoli da vero arcade ; interessa invece sopra tutto un tratto, che ci dimostra a quale perfezione del verso fosse giunto il nostro poeta, e che ricorda (dico, ricorda.) qualche tocco foscoliano. Noi troviamo in questa come in molte altre poesie del tempo, certi elementi che passeranno poi ancora nel Foscolo autore delle odi, vero retaggio d’Arcadia: p. es. il candido seno o il cjentil impaccio, di cui appunto si compiace anche G. Ma non è questo che c’importa ; sibbene i versi che citiamo, che non sono gli unici, ma i più significativi. Cupido invita i suoi amorini a seguire la sposa dovunque : « Segititela poi al convito alla danza; e vorrei dire ai casti amplessi ancora ; ma temo, ohimè, che meco, con rossore improvviso non s’adiri il hel viso ». Questo tratto, anzitutto, è qualche cosa di più che puramente arcadico, appunto per questo misto sentimento di cortesia, di galanteria per la bellezza femminile, la bellezza vivificata dal pudore. Ma sopratutto il poeta ha saputo raggiungere ciò che sarà uno dei pregi delle odi foscoliane : la melodia del verso, la nobile compostezza del- 22 MARIO OLI VERI la linea, e nella chiusa a rima baciata, la squisitezza delle chiuse foscoliane (*). * * * Del mondo vario e complesso di Cornante naturalmente il G. imitò altri aspetti; ma in essi non giunse all’esagerazione a cui arrivò nelPimitazione del primo motivo : e questo certamente per ragioni di semplice buon senso (per ragioni più alte il nostro, forse, non era da tanto!). Fu p. es. il buon senso che lo tenne lontano dall’influenza della così detta « poesia scientifica » (Arcadia della scienza) (2), da cui fu pure infetto il grande modello e, tra gli imitatori, basti ricordare Eusebio Buprastio (G. B. Riccheri), amico del nostro, il quale gli dedicò un sonetto in occasione della stampa delle poesie di lui <3). Perchè davvero non possiamo accusarlo di aver oltrepassata la misura quando, per onorare S. Tommaso d’Aqui no, descrisse, in venti versi soltanto, una ascensione al cielo per prendervi la cetra (meno male che una volta tanto non è la lira Î), da donare agli « Illustri Padri » di S. Domenico, perchè ne ricevessero « la terra e l’aere dolce concerto » nel giorno della festa. L'argomento si prestava davvero — giacché aveva scelto quella abusata fantasia — a far sfoggio di cultura scientifica ; invece, come si vede, si accontentò di poco, al contrario della legione più o meno circea dei contemporanei, che a tali ascensioni si ispirava. Crediamo utile riportare quelche brano di questa poesia per due ragioni : oltre che per il soggetto — e quindi dare un’idea del poeta in questo genere <— anche per il metro, che è d’influenza rolliana, o forse, meglio, frugoniano-rolliana : anche se della maravigliosa melodia del Rolli troppo poco si avverta. Il poeta, dopo aver annunciato che un nuovo spirito lo « muove ed agita », sente innalzarsi al cielo, per una virtù che possedevano, a quanto pare, solo a quel tempo : « Già lieve innalzarmi per le serene vie dell’Olimpo : e il pexo ignobile ilal corso insolito non mi trattiene. P) Si paragoni, tanto per un esempio, la chiusa fll ijuesti flue versi « con rossore improvviso — non s’adiri il bel viso » a due del Foscolo scelti a caso : « su la petrosa riva — strascinando mal viva », e noi sentiamo la stessa melodiosa chiusa. (z) E forse fu anche questo, che lo tenne lontano dall’arcadismo lugubre, che pure ebbe i suoi cultori appassionati anche in Liguria. Occorre citare, uno per tutti, il Solitario delle Alpi (il Viale)? i:) Rime, Genova 1753. I! sonetto si legge anche nell’introduzione a queste rime. Si ricordi che il Riccheri aveva cantato p. es. il sistema di Copernico. il sole, la luna e tutti i pianeti. UN RIMATORE GENOVESE DEL SETTECENTO : GEROLAMO GASTALDI 23 Questa è la gelida stanza dei venti, qui delle nubi in sen si formano accesi fulmini, nei ubi frequenti. Trapasso i gelidi Trioni e il Corno del Tauro ardente; è questo Vaureo vello di Grecia terrore e scorno. E delle tenebre l’astro cli’è duce, l’astro óh’è duce dell’alba lattea ’ve la più amabile diva riluce, E le chiarissime due stelle fide, cui fato ingiusto e vicendevole amor perpetuo sempre divide, a tergo, lasdomi. Le fiammeggianti strade del Sole già corro intrepido, le vaste esamino orme fumanti. Già sento l’aureo fren che si scuote Piroo sul dorso, e giù già sembrami udir lo strepito dell’aurea rote. Seguo, e la lattea serena e tersa sotto ai miei piedi strada presentasi ch’è del Giunonio latte cospersa. Giunto finalmente nella via lattea, il poeta scorge un tempio bellissimo, entra e vede naturalmente cose maravigliose. Ma lo strano si è che il poeta, tra tante meraviglie, non sa citarci che « i nomi dell’alme nobili — e le chiarissime lor degne imprese », scolpite su pietre d’argento, e poi (nientemeno !) che le « limpide pietre » che Davide raccolse nel Giordano per abbattere Golìa, e finalmente la spada di Giuditta. Che cosa abbia a che fare tutto questo, compresa la descrizione della sua ascesa al cielo, per onorare S. Tommaso, è uno di quei misteri, di cui avevano la chiave d’oro soltanto i felici ingegni del Settecento. E pensiamo che questo è già uno dei casi in cui l’esagerazione non è condotta all’estremo. Finalmente il poeta vede qualche cosa che interessa il Santo: la sua penna, le carte e i libri scritti in aurei caratteri : e mentre è tutto stupefatto, compare una matrona, che gli consegna la cetra da portare ai Padri di S. Domenico. E questo carme per chi non se lo ricordasse è in onore di S. Tommaso ! Ma il G. del mondo frugoniano sentiva sopratutto, quasi direi esclusivamente, l’elemento briosamente ironico ; ed è appunto questo che avviva le sue canzonette, sicché le leggiamo con piacere ancora oggi. Il diplomatico della Repubblica di Genova era, l’ho già detto e lo ripeto, di animo troppo pratico per cantare il puro amore arcadico, semplice frutto dell’immaginazione, a cui s’ispirarono tanti poeti del secolo. Anch’egli canta la sua Nice, la sua Filli, la sua Lesbia, ma per lui veramente, per dirla col Kolli, 24 MARIO OLIVERI « Eugenia, Lesbia, Eurilla e Dori, — Nerina, Fillide, furono tutti — nomi poetici privi d’oggetto ». Perciò il poeta non Unse quello che non sentiva, 11011 volle cantare la galanteria, l’amore arcadico che non c’era nella vita ; ma tra quelle forme settecentesche, in mezzo a quella galanteria che può apparire più o meno appassionata, fece serpeggiare 1111 sorriso fine ed arguto, un’ironia piacevole e scherzosa, che traspare appena appena. Così sono le sue poesie: «La tavoletta. La mezza età (li, A Lesbia ». Anzi il Natali mette addirittura « La tavoletta » tra quelle poesie che seguirono la moda pariniana (2) ; e difatti qualche accenno concreto lo si può cogliere come ispirato dal Giorno : p. es. la « cipria polve » che rende Nerina « in quel sottile — bianco vortice nascosa » ricorda la « vorticosa nebbia » in cui il Giovili Signore animoso si avventa ; così pure, il riportare l’invenzione della cipria alla dea d’Amore, non è che uno spunto preso dall'in-venzione della Cipria; e finalmente « le straniere e ricche tele » e la « coppa pellegrina — che varcò l'ampio Océan » ci ricordano i gusti del Giovin Signore. Questa poesia — descrizione della toeletta che Nerina fa appena svegliata — è veramente una delle più graziose del tempo. La descrizione è tanto accurata quanto elegantemente ironica : « Ecco un bianco pannolino sottilissimo ella prende e lo avvolge e lo distende all'eburnea e bianca man; poi lo bagna in odorosa chiara linfa cristallina posta in coppa pellegrina che varcò Vampio Ocean; e ne terge il pigro umore che a impassir le fresche rose del suo volto si depose della notte al traspirar. (*) Questa poesia si legge attribuita pure al Frugoni, in Opere. X. 332. 11 Bertana (st. cit., pag. 341, n. 2) che se ne accorse, credette questi versi del Frugoni : ma senza darne la ragione (che non poteva dare). Ora che questi versi siano frugoniani non è dubbio; ma che siano del Frugoni è un’altra cosa. Mi pare infatti molto più probabile che questi versi, così frugoniani. venissero attribuiti al Cornante, pur essendo del G., poeta quasi ignoto, anziché venire attribuiti al G., se fossero stati di Cornante. Inoltre gli amici, che raccolsero le poesie del G.. avrebbero messo fra le sue anche questa se non avessero saputo sicuramente esser stata composta da lui, anzi certamente da lui vivo fatta conoscer loro? Dico questo, anche perchè una poesia più <> una meno è per il G., purtroppo, quasi question di vita o morte: senza contare che questa è, come poesia frugoniana. un piccolo capolavoro. (2) Nel HeitecenU) della collezione Vallardiana, pag. 121. UN RIMATORE GENOVESE DEL SETTECENTO : GEROLAMO GASTALDI 25 Ecco ornai sulle serene (jote nasce un bel vermiglio ; ecco viva in quel bel ciglio la sua luce scintillar ». Quel suo sorriso mezzo nascosto sulla vanità femminile, a tratti traluce addirittura tra verso e verso : p. es. quando parla della fida stanzetta : « Penetrar sguardo non osi nell’asilo della pace; l’ora comoda e fugace sacra è al nume feritor. « Qui le liete novellette, qui le satire pungenti, le bell’ire, i dolci accenti, qui si sogliono portar. C’è insomma una musicalità piana e sempre eguale, senza che mai un nonnulla possa farla volgere verso la stonatura. E tutto ciò dimostra a qual grado di eleganza arcadica, fosse giunto il nostro poeta. Nella chiusa, come avviene in molte delle poesie del tempo, abbiamo la cosidetta morale dell’ode : il G. cioè è uno di coloro che servono della descrizione ironica per un fine, chiamiamolo pure, pratico ; con questa differenza però, che in lui questo motivo non era certo puramente retorico : « Ma ricorre all’arti invano una vaga giovinetta, : la beltà quant’è più schietta tanto più rapisce il cor. » (x) Abbiamo insomma l’uomo che presenta delle verità mezzo seriamente mezzo ridente: «sotto il velo dei miei versi — la ragion ti porgo e il ver » dirà nella « Mezza età » ; e nell’altra a Lesbia : « Lesbia mia, non è tutt’oro quel che splende agli occhi tuoi : certe dive e certi eroi han la loi' fragilità ». (Μ Cfr.. uno per tutti. Samoli, Il Mattino, vv. 27-28 sopratuto : «negletto e senza studio — più il viso tuo mi piace». Ma in lui, come in troppi altri, questo ora retorica. 26 MARIO OLIVERI La musicalità del verso rende ancor meglio il garbato concetto : i due ultimi sembrano addirittura cantati. Se fossero stati del Metastasi sarebbero diventati popolari. La piccola originalità dunque, che il G. seppe cogliere da quel mondo artificioso, che i poeti rispecchiavano nelle odi e nelle canzonette, fu appunto il sorriso dell’uomo sulle piccole miserie e vanità umane, specialmente femminili : originalità non nel concetto in sè, che era derivato da altri e dal Parini poi portato a perfezione e reso popolare, sibbene perchè esso trovava rispondenza nel suo modo di sentire e concepire la vita: per questo lo fece suo esprimendolo in versi melodiosi. * * Il G. però non s’ispirò soltanto, esclusivamente, al mondo di Cornante; ma egli, certo anche perchè era uomo di stato, immerso in tante e gravi preoccupazioni, sentì pure in sè quelle aspirazioni, che erano, sì, comuni ai poeti, ma che non erano solo un motivo retorico, sibbene avevano fondamento nella vita : quelle aspirazioni, voglio dire, quell’amore agli innocenti riposi delle selve e dei campi, e il conseguente odio a ciò che sopratutto impediva la realizzazione dell’ideale vagheggiato : la guerra. Fu questo un tema sfruttato a sazietà, sta bene (*), ed anche il G. volle dire la sua. Ma, come ho detto, ciò non era tutta retorica : quell’ideale, sia pure in parte, chi più e chi meno naturalmente, i poeti — e non soltanto essi — 10 sentivano allora in sè, in quell’età che fu per eccellenza l’età della guerra. Il G. compose una canzone « Contro la guerra » in occasione della famosa cacciata degli Austriaci da Genova (1746). 11 poeta condanna la guerra di conquista, mentre loda, si capisce, la guerra di difesa : e, data l’occasione in cui la poesia fu composta, egli, dopo aver pianto sulle miserie d’Italia in una strofa che ricorda qualche cosa di più famoso (2), dà fiato alla tromba per lodare degnamente l’eroismo dei Genovesi, tra cui si vede finalmen te « la patria libertà regnar sicura ». Ma, a parte questo, che interessa caso mai la storia della cultura, ma non troppo quella della 0) V. a questo proposito, p. es. : Natali, La guerra e la pace nei pestìfero italiano del sec. XVIII, in a Idee, uomini e costumi del Settecento ». Torino, Sten, 1916. (2) Misera Italia, ai danni tuoi feconda, dunque natura invan con doppio mare e con tant’alpi i fianchi tuoi circonda, ch’esser dei preda ognor di genti avare? Afflitta e serva, del tuo sangue immonda, dopo guerra crudel, dopo sì amare illusion, per mercede alfin riporti un straniero signor da tante morti. UN RIMATORE GENOVESE DEL SETTECENTO : GEROLAMO GASTALDI 27 poesia ; a parte qualche rombo frugoniano contro i « crudeli eroi, cui fervono nel petto — di menzognero onor faville ardenti » e che, coi loro insani desideri di conquista, fanno versare tanto sangue; — la canzone ha due belle strofe che meritano di essere riportate. Il poeta, dopo aver paragonato la guerra ad un vapor che scuote la terra, cioè a un terremoto, ed anche all’« Etna desolator », la paragona infine ad un fiume rovinoso con una figurazione che ha del grandioso : « Fiume, clic Vacque dei vicini monti tutte raccoglie ed altri fiumi alberga, se avvien talor, che rotti argini e ponti, porti le selva sulle gonfie terga, e campi intorno e ville alto sormonti e i paschi insieme ed i pastor sommerga : queste sono lJimmagini, o mortali, de la guerra, cagion di tanti mali » ; e in questa, il verso « porti le selva sulle gonfie terga » è una vera pittura. L’altra strofa è un inno alla dea Pace, discesa finalmente in terra, o almeno a Genova, dopo la cacciata dei nemici : a Cantium inni alla Dea, che riconduce Γallegrezza e il piacer dai seggi eterni-, e sia la terra, ovunque il sol ri-luce, una famiglia sol, che Amor governi. L’uomo è nato ad amar: Natura è duce. Non resistiamo ai vivi moti interni ». Nei quali versi ciò che è notevole è il sentimento di fratellanza umana, di cosmopolitismo vorrei chiamarlo, ispirato certo alle nuove idee. Ma l’ideale arcadico della pace riesce ad avere la sua espressione artistica nella canzone « Non si trova pace se non in villa », in cui esso viene spinto all’estremo grado, al grado classicamente idillico, dove cioè pastori, pastorelle e ninfe, dolci aurette, canti e suoni e mormoranti ruscelli e verdi colli formano un paradiso terrestre. La figurazione però, considerata in sè, è classicamente bella, a parte alcuni motivi abusati, che iniziano l’ode: il non trovar pace nei palazzi, nelle corti dei re e nelle città. Il poeta si doleva appunto di non averla trovata in quei luoghi, « quando caso o destin là mi condusse ’re gentil collinetta al ciel s’ergea, e in mezzo a lei pavera casa antica, del vecchio padre eredità mendica ». 28 MARIO OLI VERI La raffigurazione che ei dà della Pace, la buona dea che viene ad invitarlo al suo quieto albergo, se anche può essere ripresa di certi elementi troppo convenzionali, pure è abbastanza ricca di motivi fusi, elaborati a nuovo, sì da farne una creazione originale : « Da stupor, da piacer vinto e conquiso, fiso io mi stava a rimirarla intento; reggeale il lembo ossequioso il vento, e tal luce movea da quel bel viso, ch'io piangea per dolcezza : ed ella intanto dolce sorride e mi rasciuga il pianto ». E in questa, il verso : « reggeale il lembo ossequioso il vento » è addirittura bellissimo. Così pure, la rappresentazione del nido nativo della Pace non manca di colori e di suoni : il verso poi ha raggiunto una melodia sorprendente, che accarezza dolcemente Po-recchio : « Godrai tu pur, giacché fortuna amica qua ti condusse, i giorni tuoi contenti : vedrai Verbe spuntar, scherzar gli armenti, crescere il giglio e biondeggiar la spica, (*) ed alternare alti concenti e bassi l’augel tra rami e il ruscéllin tra’ sassi. Che bel vedere in sul mattili VAurora, che scarmigliata il crin, negletta il manto, sporge dal vago sen, disciolto ancora, del suo Tifone abbandonato il pianto, e delle grazie sue molli e furtive porta nel suo rossor Vorme lascive! Quando poi più cocente il sol diffonde dall'alto cielo e più infilato il raggio, sotto Vombra d'un lauro oppur d'un far^gio accorderai la cetra al suon de l’onde, e canterai dei seìnplici pastori gV in nocenti trastulli e i fidi amori. Toccato questo tasto dei pastori e delle pastorelle, il poeta, cioè la dea Pace, da brava settecentista, si diffonde per altre tre strofe a promettere di tali piaceri, un po’ sdolcinatamente arcadici; poi, altri ancora d’indole diversa, tra cui notevoli quelli di poter intendere la natura dell’erbe e delle piante, come la luna s’indora al sol ecc. : influenza senza dubbio, ma che qui non disdice, della poesia scientifica, che allora regnava sovrana: i1) Si noti la bellezza melodiosa e pittorica del verso. UN RIMATORE GENOVESE DEL SETTECENTO I GEROLAMO GASTALDI 29 « Ma questo è poco; intenderai ancora la natura dell9 erbe e delle piante ; come la vaga luna al sol s’indora, come splende ogni stella o fissa o errante, e dagli aspetti lor turbati o lieti di natura e del ciel gli alti segreti ». Notevole però il fatto che il poeta termini la sua bella fantasia, dicendola un sogno: queirideale arcadico il segretario della Repubblica di Genova, tormentato dalle cure di stato e da preoccupazioni private, non sperava certo che si realizzasse, nemmeno in parte : si contentava perciò di figurarselo almeno in versi nei momenti di ozio. * * * Abbiamo accennato più sopra all’influenza sul G. delle nuove idee di cosmopolitismo, di fratellanza umana a proposito della canzone : « Contro la guerra » ; idee che certo ricevevano incremento anche dalle conversazioni di casa Chauvelin. Altre idee, che rispecchiano appunto l’influenza del tempo, e che il G., nobile animo, accettava perchè rispondenti al suo modo di sentire, riguardano la parità di diritto nelPamore tra l’uomo e la donna, e la libertà di cui essa deve godere : nella quale libertà soltanto si scopre l’onestà o la non onestà di lei, la donna e la femmina. Nella canzone « La Gelosia » ci dice infatti : « Lasciate al basso volgo il vii pensiero che siano le donne a noi soggette; nomi odiosi, servitude, impero sacro nodo d!amor no, non ammette ». E più oltre : « solo il periglio fa Vonor, la sola libertà di peccar fa la virtude : di fervido amator chi regge al pianto quella, e non altra, ha di pudica il vanto ». E riguardo all’amore, ancora è da notare quel senso lucreziano di esso, anche questo in accordo coi gusti del tempo. Nel Settecento Lucrezio, com’è noto, fu conosciuto ed ammirato, special mente dopo la traduzione del Marchetti; e di lui basti dire che fu studioso, tra gli altri, il Parini. Il G., in un’ottava veramente bella, ci dà appunto il senso dell’amore vivificatore dell’universo: 30 MARIO OLIVERI (( Amore è legge di natura eterna, che vital’aura in ogni cosa imprime, e con ordin costante i moti alterna e dall’esser prodotti i nuovi esprime : spirto ristoratore che a tutto estende la sua forza vitale e tutto accende. E nella, strofa seguente ci dà il senso dell’amore origine della società e legame che la conserva tutta in meravigliosa armonia : « È a mot' di società prima sorgente, è dei viventi amore aurea catena : il muto abitator dell’onda algente, le belve ancor dell’affricana arena, le farfalle dell’aria abitatrici vivon, seguendo amor, giorni felici. * * -X- Anche ad altri motivi di poesia però, il G., che non era per niente un settecentista, non ha mancato di rivolgere la sua attenzione. Anch’egli bruciò il suo piccolo grano d’incenso al petrarchismo in un sonetto, che, a dir la verità, non possiamo dire sia poi troppo brutto, in occasione della morte di B. D. (non sappiamo chi fosse questa donna) : « Angioli eterni, o voi che la vedeste primi apparir sulle celesti soglie, e il dolce sguardo e le maniere oneste e quel vivo fulgor, che a noi si toglie. veggendo tutto in lei, tutto celeste i pensieri, i desir, gli atti, le voglie, pieni d’alto stupor, forse, diceste : Come vestì costei terrene spoglie? E noi carchi d’affanni e di desìo cerchiamo intorno all’urna sua ferale quel bel fulgor, che da quest’occhi uscio. Grida il dolor, ohe alla ragion prevale : Se divina ella fu, perchè mortof Perchè tanta beltà, s’era mortale? Anch’egli manifestò il suo tributo ai gusti del secolo con un componimento, che il poeta ha chiamato « Scherzo anacreontico » e UN RIMATORE GENOVESE DEL SETTECENTO : GEROLAMO GASTALDI 31 che sente deli-influenza rediana ; poesia spigliatamente burlesca^ piena di movimento : Qual piacer; Bacco, proviene dal tuo amabile Ucor! Sentol correr per le vene e brillarmi in seno il cor. Quando il sol nel mar si bagna o al levar o al tramontar, più godrìa. se di sciampagna si tuffasse dentro un mar. Perchè mai quell’onda amara non sortì tal qualità, mentre all’uom più dolce e cara ne provien l’utilità? Altri pesci, altre conchiglie produrrìa d’almo sapor; più superbe meraviglie chiuderla nel seno allor. Allor fatto anch’io piloto errerei per l’Ocean, e ogni popolo remoto cercherìa celarsi invan. Altri in faccia del periglio avrìa tema di morir; me sul naufrago naviglio niun vedrebbe impallidir. Che se tanto il cuor apprezza di buon vin colmo bicchier, qual sarìa morir dolcezza d’entro un mare di piacer! Gran piacer} ecc. ecc. Infine nemmeno il G. si è lasciato sfuggire l’occasione di unirsi alla schiera di coloro che, attaccandosi alla lirica del Seicento, sopratutto chiabreresca, soffrivano di cuore per il flore gentile della violetta. Il nostro poeta però, che aveva orecchio fine e musicale, alternando l’ode di endecasillabi-settenari con la canzonetta, ha sa- 32 M ART O OLI VERI puto evitare lo sdilinquimento con pose chiabreresclie dinanzi alla violetta, più o meno occhieggiante e palpitante « leggiadra e bella » tra le tenere erbette. Lasciando da parte qualche tratto prettamente arcadico, l’ode è in complesso graziosa, con quei motivi così propri del sentimentalismo della canzonetta, con quel senso di pietà dolce ed affettuosa per il fiore gentile, che sta per essere abbattuto « dal soffiar crudele di Borea traditor ». È su questo motivo difatti che si svolge l’ode : il poeta scongiura la violetta a non spuntare ancora, ma di lasciare ad altri fiori l’annunziare la purpurea primavera ; allora colla sua bellezza farà ingelosire anche la rosa e il giglio : « Allor vedrai la rosa foi'zare il suo vermiglio e il candido del giglio vedrai languire allor. Che Vuna disdegnosa e l’altro timidetto, mostrano in vario aspetto le gelosie del cuor. Ma la violetta spunta, quando soffia ancora Borea, che sta per abbatterla ; il poeta allora prega la dea di Cipro che la salvi : Bella dea, che Cipì'o reggi, deh, proteggi un tradito fior gentile, ch’è d’Aprile la primizia e lo splendor. Che se già fosti ammirata, celebrata pel color dato alla rosa, più fastósa or n’andrai di doppio onor. Graziosamente arcadiche sono le due canzonette, che variano il motivo musicale dell’ode. La prima ha il fascino leggero e tenue metastasiano, che esprime bene il tono delicato della piccola gelosia ; mentre l’altra è tutta chiabreresca, ma del Chiabrera migliore, graziosamente classico, quando cioè in lui la tessitura musicale risponde all’ispirazione; quando il suono non è puro suono, ma musica e sentimento si sono fusi in armonia. (contimia) Mario Oliveri PAGANINIANA Prima di pubblicare questo mio scritto (1) sulla Rivista diretta da Arturo Codignola, avrei desiderato leggere qualcuna tra le più diffuse recensioni, che saranno prossimamente pubblicate da importanti Uassegne musicali, italiane ed -estere. A dir la verità le affrettate relazioni, apparse finora sui quotidiani, mi hanno soddisfatto poco, ma alcune indiscrezioni intorno a quanto si verrà pubblicando nei Periodici artistici mi lasciano sospettare un insoddisfazione maggiore. Tutto questo mi consigliava di attendere, per poter rispondere a chi avesse considerato il libro secondo un preconcetto abbastanza diffuso a riguardo di epistolari in genere e particolarmente degli artisti. Senonchè l’attesa sarebbe divenuta troppo lunga, anche per la periodicità, non certo rapida, delle pubblicazioni in parola; perciò mi son deciso ad esporre subito la mia opinione, accennando di sfuggita a quanto potrebbero dire i recensori futuri. Se ne sarà il caso ritornerò sull’argomento, anche per tener viva la fiamma, accesa dal Codignola, la cui luce, già limpida e potente, deve ingrandirsi ancora e diffondersi molto lontano e richiamare e far convergere l’attenzione degli studiosi sulla figura affascinante del grande violinista genovese, di cui forse gli stessi violinisti attuali non hanno più quell'opinione altissima, che imponeva a quelli delle due generazioni precedenti una profonda e giustamente timorosa venerazione. Qualcuno tra i prossimi recensori pare voglia prendere lo spunto dalla lunga premessa colla quale Guido Pannain ha iniziato la sua monografia su Vincenzo Bellini. Tale premessa è in certo modo riassunta nel seguente periodo : « Da vita di un artista non possiamo vederla che come un irradiarsi della sua arte; in tanto ci interessiamo di lui in quanto l’uomo ci appare una proiezione delle sue opere. La sua stessa immagine fìsica ci sembra illuminata da quella luce. È l'opera dell’artista che determina la sua biografia, non è la sua vita che produce l’opera d’arte ». Preso così, l’avvio tende alla conclusione: Il libro del Codignola demolisce senza ricostrurre. La figura morale e fisica di Nicolò Paganini ci appariva da prima quasi idealizzata da una leggenda, anzi da un impetuoso accavallarsi di leggende, sorte, cresciute e fatte prepotenti tra le foiie contemporanee dell’esecutore, le cui menti s’erano accese di un fervore immaginoso portato a interpretare le insolite commozioni come la risultante di un intervento soprannaturale. Ora il libro del Codignola dipana l’intricato groviglio delle leggende, ne ricerca l’origine, ne segue il diffondersi: precisa fatti e circostanze, confronta opinioni discordi e contrastanti, sorprende ogni dettaglio nella vita •dell’uomo; ci presenta un povero corpo, martoriato da infiniti malanni; ci rivela una mente ben quadrata di piccolo borghese, preoccupato dei suoi interessi materiali ; ci scopre uno spirito vigile, pronto, deciso nel difendersi da tutti gli attacchi, un’anima, indubbiamente generosa e forte, ma agitata da varie passioni, che hanno il torto di non apparire immense e travolgenti. Insomnia il libro non strappa alcun segreto alla sfinge, non ci aiuta a conoscere meglio e più intimamente l’arte del sommo violinista, anzi quasi ci allontana da questo argomento, che dovrebbe essere il massimo, il principalissimo, l’unico. (1) Arturo Codignola, Paganini intimo. Edito a cura del Municipio di Genova, 1935. 3-4 PAGANI NI AN A Una simile interpretazione non è soltanto unilaterale, incompleta, insufficiente, è semplicemente sbagliata. Basteranno poche considerazioni per metterne in evidenza Terrore fondamentale. È vero, nessun libro, nessuna apologia, nessuna dialettica potrebbe elevare l’artista Paganini più in alto di quanto egli si è messo da se stesso colla sua arte fasciuatrice. Indubbiamente le varie leggende si son formate, si sono divulgate, hanno prevalso su tutte le smentite, su lo stesso buon senso, persino contro l’indiscutibile evidenza, perchè la realtà stupefacente della manifestazione artistica sorpassava ogni limite di pensiero umano. Le folle, che ebbero la ventura di sentire Paganini, hanno subito ascoltato, approvato, riconosciuto degno di fede chi, non sapendo come esprimere la sua ammirazione, cercava nel soprannaturale un aiuto per fissare un'idea, un’immagine, una spiegazione, soddisfacente e persuasiva, della realtà stupenda. Accolto questo primo germe il popolo lo ha fecondato, lo ha educato, lo ha svolto in tutti i modi, e ne son venute fuori anche delle autentiche malignità le quali potrebbero essere la testimonianza di un dispetto, sconfinato come l’ammirazione. La triste odissea della povera salma, narrata e documentata con minuziosa cura e con cuore intensamente commosso dal Codignola, dimostra un’unica verità : la leggenda, il mito, il soprannaturale aveva ormai siffattamente conquistati gli animi da impedire la visione della realtà, perchè appunto l’arte fascinatrice del prodigioso violinista era apparsa così diversa, così incomparabilmente superiore a quella di tutti gli altri, così fantasticamente irresistibile, da imporre una spiegazione soprannaturale anche alle persone più prudenti ed equilibrate. Forse dall’epoca mitica ai giorni nostri nessuno è riuscito a tanto. Wolfango Mozart, bambino, ha impressionato talmente i buoni frati del convento d’Ips, da indurli a ribenedire la Chiesa, dove egli li aveva stupiti colla sua disinvoltura nel sonare l’organo; ma fu questo un attimo di sbigottimento, che ha sorpreso una stretta cerchia di persone ingenue e timorose. Nicolò Paganini ha stupito siffattamente tutta l’Europa da persuadere quasi tutta l’Europa, e particolarmente gli stessi suoi concittadini, che egli non poteva esser sepolto in terra benedetta, perchè solamente l’assistenza del demonio gli aveva concesso di esercitare un così invincibile fascino. E perchè il demonio e non un angelo, al quale pure accenna l’episodio leggendario della visione materna? Forse un qualche contributo a tale convinzione" demoniaca è stato portato dalla leggenda di Faust, che, divenuta in quel tempo di moda per il capolavoro goethiano. si era diffusa tra il popolo attraverso riduzioni, rifacimenti, riproduzioni d’ogni genere, rapidamente moltiplicantisi. Più grande contributo lo ha certo dato l’invidia, sbocciata da varie radici e cresciuta gigante attorno al grande violinista; infine la figura fisica ha assecondato la tendenza, decisamente avviata alla spiegazione demoniaca. Ma ormai anche il fenomeno Paganini si può spiegare umanamente. Arturo Codignola col suo libro ci ha richiamati alla realtà, ci ha avvicinati a Paganini uomo ed artista, ci ha messi sulla buona strada per capire la grandezza dell’artista attraverso l’uomo; ha demolito tutta la superstrut-tura farraginosa ed ingombrante di notizie fantastiche e di giudizi arbitrari, e, se anche non ha ricostrutto completamente l’edificio, ne ha gettato le basi solide, ne ha tracciata la linea, ha selezionato una buona parte del materiale necessario per la ricostruzione completa, suggerendo anche il modo migliore per ottenerne il rendimento massimo. Il libro non ha una prefazione, chè noo si può considerare tale la biografia, premessa all’epistolario, la quale ha una caratteristica particolare e conclusiva. In essa l’autore, che ha raccolto e vagliato tutto quanto gli fu possibile trovare in fatto di letteratura paganiniana, e l’immenso materiale ha ordinato a commento delle singole lettere, espone la sua convin- PAGA NINI AN A 35 zione su vari elementi ed episodi biografici, quale si è venuta formando dal confronto delle notizie contradditorie esposte da precedenti biografi, da apologisti, da denigratori. Appunto in questa biografìa il Codignola dà una prova evidente dell’utilità della sua pubblicazione, la quale tende soprattutto a segnare con tratti sicuri la via maestra, su cui dovranno necessariamente incamminarsi gli autori delle biografie e degli studi critici, che verranno in luce in questi anni di preparazione all’imminente centenario. Nò il Codignola poteva fare di più. Dalle lettere, che egli ha pubblicate e dal complemento di notizie, poste in nota e ricavate con acutissimo e geniale discernimento dagli scritti antichi e recenti, ricercati con sollecita, assidua, illuminata diligenza e radunati prima di accingersi al paziente lavoro, risulta precisamente lineata la figura morale ed artistica del grande violinista, ma infiniti elementi non sono, per ora, che una intuizione, tanto minuscoli sono gli accenni relativi. Giustamente il Codignola scrive nella prima pagina del suo libro: «....bisogna soltanto non lasciarsi fuorviare dalle apparenze, che ad un osservatore superficiale rivelano ben pochi dissidi interiori : si cerchi di ficcar lo viso in fondo, e ci si accorgerà che quella tutta speciosa imperturbabilità cela una vita turbata da violentissimi contrasti, indice di uno spirito non soltanto esuberantemente ricco, ma eccezionalmente emotivo. « Umile ed orgoglioso, ingenuo e sarcastico, prodigo ed avaro, condiscendente e caparbio, spregiudicato e credente, rude e sensibile, meticolosamente ordinato ed impenitente disordinato; il prototipo insomma dell’uomo, dal Machiavelli definito sacco di contraddizioni. Vizi e virtù straordinarie, che in tanto singolare temperamento — e in piena fioritura di romanticismo — altro non sono che l’espressione di una potente vitalità contenuta in rude scorza, celata in un carattere chiuso — caratteristico della stirpe ligure — e che soltanto a sprazzi violenti si rivela, rendono la sua figura una delle più singolari della nostra storia recente ». Indubbiamente tutti gli aggettivi, che il Codignola ha qui contrapposti con fine sagacia per rendere viva ed evidente la complessa anima del Paga-nini, trovano realmente una precisa conferma nelle varie lettere pubblicate nel volume, e possono servire di guida a chi inizierà uno studio definitivo delle opere dell’artista, dalle quali, tenendo presente il predetto elenco, si potrà anche dedurre una spiegazione umana del grande fascino esercitato dall’esecutore. Così pure la lettura attenta di tutto quanto il Codignola per primo ci ha rivelato o soltanto richiamato alla memoria, ed anche questo era necessàrio perchè troppe cose si dimenticano facilmente, ci lascia intravvedere o almeno presentire le altre verità, affermate nel volume, se pure di molte manchi una documentazione esauriente. Ad esempio il Codignola esclude che il Paganini sia stato assente dai turbamenti politici e sociali del suo tempo. Anch’io penso la stessa cosa, ma nel volume la documentazione è minima e per di più dubbia ; i concerti dati a benefìcio di profughi e poveri sono troppo poca cosa e potrebbero esser stati decisi da ben altri sentimenti. Tuttavia da un incalzare di frasi, non precisamente significative, nò in qualche modo degne di 1111 riferimento particolare, nascono la sensazione per ora inspiegabile, che sia realmente come afferma il Codignola, e la speranza, se non la certezza, che qualche ricercatore più fortunato possa trovarne prove decisive. Insomma il libro del Codignola ha creato un’atmosfera nuova intorno alla figura morale ed artistica di Nicolò Paganini, che solamente ora comincia a rivivere in una giusta ed umana interpretazione. Naturalmente il Codignola non ha esaurito il vasto e complesso compito, forse non ha neppure completamente demolito quanto era indispensabile demolire, perchè un’aria sana e vivificatrice circolasse liberamente dappertutto, ma bisogna riconoscere che questa pubblicazione era necessaria. 36 PAGANINI AN A L'epistolario si inizia con una lettera datata 12 ottobre 1S14. Paganini aveva allora 32 anni, e appunto per questi primi anni anche le notizie rimesse in luce dal Codignola sono almeno insufficienti. Per gli anni successivi l’epistolario accompagna quasi passo passo l'artista nella sua carriera trionfale e nel suo tramonto triste. Purtroppo le lettere, destinate quasi tutte ad una sola persona, hanno il grave difetto di una accasciante monotonia di argomenti. Per fortuna qualche sprazzo di luce vividissima ed abbagliante, rapido, fulmineo quasi, irrompe tratto tratto e per ora ci stupisce e ci rende pensosi. Forse il Codignola non ha dato a tali rivelazioni il peso, che realmente hanno, ma non importa. La luce splendida e nitida, che da esse balza, improvvisa e insospettata, saprà farne scoprire la sorgente meravigliosa a chi. imitando il Codignola anche nella tenacia e nel fervore della ricerca, insisterà sulla direttiva segnata da tali bagliori. Ed anche per questo è doveroso tributare una lode ampia ed entusiastica ed un grazie fervidissimo a chi ha segnato la via per una precisa esaltazione di un grande genio italiano ed applaudire a piene mani il Municipio di Genova per la sollecita pubblicazione. Mario Pedemonte POSTILLA La speranza, se non la certezza di Mario Pedemonte che un qualche ricercatore più fortunato di Arturo Codignola^ ci dia una completa biografìa del Paganini, non è del tutto priva di fondamento, se consideriamo come una promessa l'opera testé uscita per cura di Federico Mompellio proprio sul grande violinista genovese. Si tratta della ristampa, aggiornata, della biografia di Gian Carlo Conestabile (^). Senza giudicare qui deir opportunità e dell’utilità di un tal lavoro, attraverso cui ini ravvediamo quale sarà per essere la « definitiva » biografia, così ardentemente vagheggiata dal suo autore, vorremmo suggerire al giovane studioso ch’egli prendesse nota sin d’ora di talune inesattezze cadutegli, per così dire, inavvertitamente dalla penna, nell’accensione, evidentemente, del sacro fuoco: gli può giovare per la futura monografia nella quale egli ha intenzione non solo di « ricostruire — sono sue parole — completamente la varia e interessante vita di Paganini, ma anche soprattutto, di inquadrare l’artista nel secolo nel quale è vissuto: il che fino ad oggi non è stato ancor fatto». Est operae pretium. Ecco quanto abbiamo potuto osservare alla prima affrettata lettura: 1) La nota apposta dall’a. a pag. VII della monografia non è davvero esatta. Essa si riferisce al volume, oggetto della critica di Mario Pedemonte. Evidentemente è mancato il tempo al Mompellio di leggere quanto è scritto a pag. 56 del Paganini intimo, se testualmente afferma : « Esso [il volume del Codignola'] contiene un’importante raecolta di lettere del Paganini, i cui originali sono posseduti dall’Ufficio di Belle Arti di Genova; vi sono comprese le lettere già edite dal Beigrano in un volume oggi rarissimo ». Sembrerebbe che quasi tutte le lettere ivi pubblicate non fossero che la ristampa di quelle edite dal benemerito studioso ligure aggiuntevi soltanto quelle possedute dal Municipio di Genova; ma non è così. Il nuovo biografo del Maestro, non ignora che il Belgrano spigolò poche frasi in una sessantina di lettere pa-ganvniane (e lo afferma lo stesso Mompellio nella noia bibliografica a pag. 62// dell’opera che prendiamo in esame) mentre le lettere raccolte dal Codignola sono duecento ottantotto, di cui novantotto non· dirette a L. G. Germi, oltre ad un regesto di altre quarantotto aneli'esse non dirette all’amico genovese. Non (1) Vita (li Niccolò Paganini di Gian Cablo Conestabile. Nuova ©dizione con aggiunte e note di Federico Mor.pellio. Soc. An. Ed. Dante Alighieri, Milano, Genova, Roma, Napoli, 1935-XIV, pagg. VII-646. PAGANINI AN A 37 tutte le lettere inviate al Germi, sono possedute dal Municipio: quelle inmute ai vari corrispondenti si trovano a Londra, Parigi, Bruxelles, Milano, Trieste, ecc. ecc. 2) N. Paganini tenne sicuramente il suo primo concerto in Lucca il l'/ sette mirre 1801. Le supposizioni del Mompellio non hanno quindi ragione d’essere. (Ved. Mompellio, op. cit., pagg. 82-86; Codignola, op. cit., pag. J/2). 3) La « donna d’alto lignaggio » coti la quale il Paganini visse in un discreto ritiro, poco dopo il suo arrivo a Lucca non può essere identificata, come fa il Mompellio, sulle orme del Bonaventura, con la « Di da » (Ved. Mompellio, op. cit., pag. 91). Per la probabile identificazione vedasi Codignola, (op. cit., pag. 202J. 4) DelVvncontro di Paganini col Mettermeli non è incerta la data (Ved. Mompellio, op. cit., pagg. 131-132). Esso avvenne il 22 aprile 1819 (Ved. Codignola, op. cit., pag. 171). 5) # superfluo ormai discutere se e quando ebbe luogo il concerto del-VOrfco genovese insieme al violinista polacco Carlo Lipinski (Ved. Mompellio, op. cit., pagg. 13//-1//3). Il manifesto edito dal Codignola (op. cit., pag. 20) stabilisce, senza possibilità di dubbi, che avvenne in Piacenza il 17 aprile 1818. 6) Il Mompellio mette in dubbio, a torto, Vaffermazione del Conestabile, sui concerti tenuti nell’estate del 1827 da Paganini, in Firenze (Ved. Mompellio, op. cit., pag. 161). Il Maestro li tenne precisamente in quella città il 26 giugno e 12 luglio di quell’anno (Ved. Codignola, op. cit., pag. 21/8). 7) La ignota baronessa tedesca, innamoratasi pazzamente di Paganini, dal Mompellio non identificata (op. cit., pag. 235), è Elena Feuerbach di Ansbach (Ved. Codignola, op. cit., pag. 313). 8) Non furono soltanto calunnie quelle lanciate contro il Paganini per la sua disavventura con Callotta Watson (Ved. Mompellio, op. cit., pag. 258 e segg.). Il Maestro voleva sposare la fanciulla. (Ved. Codignola, op. cit., pagg. //08-//09). 9) Non è vero che il Paganini si assentò da Genova quando la città natale lo onorò erigendogli un busto, per iniziativa del di Negro nella « Villetta » (Mompellio, op. cit., pag. 2Ί9). Vedasi a tale proposito Vop. cit. del Codignola a pag. J/31. Anche qui ha ragione il Conestabile. 10) Non due concerti tenne a Genova il Paganini nel dicembre del 183//, (Ved. Mompellio, cp. cit., pag. 279) ma tre (Ved. Codignola, op. cit., pag. //31). 11) L’Olivai'i, autore del busto raffigurante Paganini, eretto nella Villetta Di Negro, non meglio identificato dal Mompellio (op. cit., pag. 288), è lo scultore genovese Paolo Olivari (Ved. Codignola, op. cit., pag. //31). 12) Il Rolla, sulla cui identificazione invano s’affaticò il Mompellio (op. cit., pag. 302), è Carlo, figlio di Alessandro, maestro di Paganini (Ved. Codignola, op. cit., pag. 18//). 13) Anche il Va...., sul quale il Mompellio si trova inolio perplesso (op. cit., pagg. 356-357), è il notissimo Camillo Vaca ni (Ved. Codignola. op. cit., pagg. 27 , 35, //7, 259, 260, 276, 331). Π4) I rapporti fra Carlo Bignami ed, il Paganini, su cui il Mompellio non s’è potuto raccapezzare (Ved. op. cit., pagg. 29//-313), sono chiarissimi attraverso le lettere scambiatesi dai due artisti e le note ad esse apposte dal Codignola (Ved. op. cit., pagg. 400, 402. 404, 405, 40S, 409, 471, 473, 477, 47S, 4S0, 494, 500, 502, 5S7, 588, 589). 15) Il viaggio in America il Paganini lo voleva compiere per sposare Carlotta Watson (Ved. Codignola, op. cit., pag. ////0) e non esclusivamente per fini artistici, (Ved. Mompellio, op. cit., pag. 311;. 16) Il Paganini non venne « truffato » a Parigi da due suoi soci per il Casino musicale (Ved. Mompellio, pag. 31//). Ben diversamente, si svolsero i fatti (Ved. Codignola, op. cit., pagg. 623-628 e passim;. 38 PAG AN INI ANA 17) 11 Mompellio è molto stupito di non aver trovato nei giornali degli Stati Sardi necrologie di Paganini (Ved. op. cit., pag. 386). Fu il governo ad impedirne la pubblicazione, perchè al Maestro era stata negata la sepoltura ecclesiastica (Ved. Codignola, op. cit., pag. 91). 1S) È troppo lieve e soprattutto poco probatoria la testimonianza portata dal Mompellio (op. cit., pag. 351 e segg.) di un «.illustre naturalista nizzardo » sul processo d’eresia intentato dalla cuna di Nizza alla memoria del Paganini. Si veggano gli atti stessi del processo in Codignola, op. cit., pagine 80, 113. 19) Le disavventure della salma senza pace non sono quelle narrate dal Mompellio (op. ciU, pag. 350 e segg.). Il bibliotecario del R. Conservatorio musicale di Parma poteva consultare utilmente un altro scritto di A. Codignola, pubblicato in Atlas di Milano sino dal 1927, che non appare nella sua diligentissima b ibliog rafia. 20) Poiché il Mompellio ignora che lo scritto sull’arte di Paganini di Carlo Guhr edito nel 1831 è stato un’amplificazione di un articolo già pubblicato nel 1829 (Ved. Codignola, op. cit., pag. 31/), non sa rendersi conto, naturalmente, come il De Laphalèque, che scrisse nel 1829, potè avere conoscenza dello scritto edito soltanto nel 1831 (Ved. Mompellio, op. cit., pag. J/67). 21) Nell'appendice bibliografica del Mompellio, evidentemente per distrazione, non si fa parola delle ricche indicazioni bibliografiche che si trovano nel Kapp e nel volume di L. Day, ch’egli si è limitato a render più complete. E si potrebbe continuare. Esaurita, o quasi, Vanalisi della parte negativa di questa ristampa del Conestabile e, sempre restando nello stretto campo biografico — in quello artistico non si vuole entrare perchè qui il musicologo supera se stesso — vediamo ora quanto ha fatto il Mompellio per colmare, come auspica il Pedemonte, Va insufficienza » della monografia del Codignola per i primi anni della vita del Maestro. Ecco le sole lacune colmate. a) il Codignola trovò il primo riferimento delle accademie musicali del Paganini in Genova, nel giornale Avvisi del 25 luglio 1795. Il Mompellio ne ha rintracciati tre anteriori: uno del 31 maggio 179'/, un altro del 1 dicembre dello stesso anno ed un’altro ancora del 30 maggio 1795. b) il Codignola si limitò a dire che il Kreutzer udì Paganini «intorno al 1793 ». Il Mompellio precisa ohe lo udì nel 1796. e) al Codignola non fu permesso di aver copia dei Regolamenti per l’orchestra di Parma e per una Accademia da erigersi nella stessa città, nono-stanti le ricerche fatte fare in proposito (Ved. op. cit., pag. J/J/6) e fu perciò costretto a darne un cenno sommario. Il Mompellio che dirige la biblioteca del R. Conservatorio di Parma (dove si custodisce il documento), era naturalmente nelle condizioni ideali per riservare a sè tale pubblicazione. A questo punto non possiamo fare a meno di osservare: è possibile che nell’anno di grazia 1936-XIV, si ripubblichino ancora tutte'le bubbole am man/nite dallo Sliottky al Conestabile, come oro di zecca, senza un’avvertenza, anche succinta, dell’editore? Ciò è tanto più grave in quanto lo stesso editore, quasi a convalidare, con la sua autorità, Vautenticità di esse, mette una volta solo in dubbio la serietà di un documento: la lettera che la madre avrebbe scritto al figlio, pubblicata a pag. J/82 della nuova edizione. Inoltre al Mompellio, che definisce il lavoro del Codignola un centone di, docu/menti, cui è stata premessa « un’ampia introduzione storica », non è forse del tutto inopportuno render noto, per l’autorità indiscussa che ha, nel campo musicale intemazionale, il giudizio che dà, concludendo la breve recensione di tale monografia, la Revue musicale di Parigi (fascicolo di febbraio 1936, pag. 160) : « Notes et portraits encadrant le tout achèvent cet ouvrage en véritable monument musico graphique et littéraire ». x. y. SAGGIO DI UNA BIBLIOGRAFIA GENERALE DELLA CORSICA (Continuazione ved. numero precedente) TENCAJOLI. — Una chiesa nazionale dei Corsi a Roma: San Crisogono, in Idea Nazionale, del 20 marzo 1924; trad. Carabin in Revue de la Corse, 1924, (V), pagg. 125-128: [Chiesa di S. Crisogono a Roma, tomba dei Corsi]. V ALBERT. — La correspondance diplomatique du Comte Pozzo di Borgo e du Comte de Nesselrode, in Revue des Deux Mondes, 1 mai, 1890. VIGNY Alfred. — Journal d’un poète, in Revue des Deux Mondes, 15 dic. 1920. Reo. Ambrosi, in Revue de la Corse, 1921, (II), pag. 79-83. Intervista di Vigny coi Pozzo di Borgo, pagg. 691-695. VILLAT Louis. — [Louis Lertteron: Necrologia], in Revue Historique, juillet-août, 1918, pagine 415-416. VILLE MA IN. — Boswell and Boswelliana, in Edimburgh Review, 1857, apr. VOYAGE du Sieur Sanson Nappolon à Costantinople, Thunis et Argers pour le traité de la paix de Barin ria aveo le compte et l’estat de la recepte et despence sur ce faicte et rachapt des esclaves, in Archives Curieuses de l'histoire de France depuis Louis XI jusqu'à Louis Xlll, ou collection de pièces rares et intéressantes.... publiées.... par Cimber L. F. Danjou.... Paris, 1834-40, Ser. II, (Vol. IV). VOYAGE de Lord Byron en Corse et en Sardaigne pendant l’été et l’automne 1821. Paris, Mac Carthy, 1825, 12, pag. 140. TVHIBLEY. — Boswell’s journals, in Blackuood's Magazine, nov. 1922, pagg. 631-636, mars, 1923, pagg. 395-406. Italiani in Corsica in epoche varie. LENZI Furio. — Un diplomatico orbetelliano del tempo Napoleonico: il Card. Tommaso Arezzo. Roma, Tip. Ed. Romana, 1905, 8o, pagg. 28, con ritratto. LEGLAY A. — Une victime de Napoléon: Mons Arezzo, in Revue d'histoire diplomatique, 1908, XXII, 3. Notizie sulla vita politica di Mons. A. confinato in Corsica da Napoleone (1811), poi fuggito in Sardegna. AREZZO Tommaso. — Comment je m’évadai de la Corse, in Revue de Paris, 1916 (Ann. XXXIII), 7, 8, 9. [Versione di una memoria finora inedita in oui il card. Arezzo narra come fuggì in Sardegna]. BALBI Tommasina. — Un episodio della politioa ecclesiastica di Napoleone. Firenze, Succ. Seeber, 1914, 8o, pag. 129. [Notizie su un religioso, Francesco Betti, ρΐβνεηο di S. Pietro a Sieve nel Mugello, che non volle riconoscere l’Olmond come arciv. di Firenze o venne deportato a Bastia. Vita, esilio, ritorno]. Ree. Rodolico, Archiv. Stor., 1914, (72), pag. 460-461 40 RENATO GIARDELLI FERRETTO Arturo. — Per Antonio Bonombra, ligure, vescovo di Accia (1467-1480) in Giornale Ligustico, XXII, faso. I-II. pag. 168. PRÉCIS historique concernant Philippo Buonarrotti qui se présente à la Convention nationale pour demander un décret dsî naturalisation, (s. 1.), ma Paris, 8o, [s. d.], ma 1792. TRÉLAT ülisse. — Notice biographique sur Buonarrotti Philippe, 1761-1837. Epinal, Cabasse,. 1838, 8o. [Notizie sulla vita pubblica e privata del cospiratore tratte dai ms. della «Nationale» di Parigi]. ATTO Yannucci. — Dà notizie di Buonarrotti nei «Martiri della libertà Italiana dal 1794 al 1848». Firenze, 1860, 12, 3a ediz. Grande Enciclopedia, 1 vol. V. opuscolo oitato in Bull, des Sciences hixt. de la Corse, 1919, 20-21. WEIL M. H. — Philippe Buonarrotti, 1761-1837, in Revue historique, 1901, (76). DEL CERRO. — Un cospiratore impenitente (Filippo Buonarrotti), in Rivista Politico-Letteraria, 1902, 21', Roma. ROMANO Catania. — Filippo Buonarrotti. Palermo, Sandron, 2a ediz., 1902, pag. XYI. Ree. Rodolico, in Archiv. Stor. Ital., 1905, Ser. Y, (Tom. 35), pag. 476-485; Ree. in Rivista Storica, XY, 89; Ree. in Revue de l’Université de Bruxelles, 1903, (IX), fase. 1-2. WEIL George. — I.es papiers de Buonarrotti [Filippo] dal tempo della Repubblica e del-l’[Impero], in Revue istorique, Paris, 1905, luglio-agosto, pagg. 317-322. ROBIQUET P. - Buonarrotti (Filippo): une émeute cléricale a Bastia en juin 1791, in Révolution française, 190S, 14 giugno. ROBIQUET. — Philippe Buonarrotti, in Séances et Travaux de VAcadémie des Sciences morales et -politiques. Paris, N. S., 1909, 72. ROBIQUET P. — Buonarrotti et la Secte des Egaux. Paris, Hachette e C., 1910, 16ο,. pag. 334. AMBROSI A. — La Corse pendant la période révolutionnaire 1789-1799. Buonarrotti et ses vicissitudes en Corse de 1790 à 1793. Documents publiés par A. A., in Bull. Soc. hist. Corse, 1920, (Ami. 39), n. 401-404, pagg. 1-126. Msgr. CASANELLI d’Istria, in Annuaire historique et biographique, année 1844. ORTOLAN Th. — Diplomat et soldat: Mons. Casanelli d’Istria, évêque d’Ajaccio, 1794. DIARIO inedito della malattia, morte e sepoltura di Mr. Benedetto Andrea D’Oria, vescovo d’Ajaccio, in Giornale Stor. Letter. della Liguria, 1907, pagg. 97-99. Su Andrea D’Oria, principe di Menfi, in Almanaccu di A. Muvra, 1927, pagg. 139-144. DORIA Gian Carlo. — Nota genealogica su Giorgio D’Oria Governatore di Corsica 1557-59 \ 1567-69, in Archiv. Stor. di Corsica, 1927, (LII), pagg. 295-297. [Accsnna alla sua opera pacifista dopo la rivolta di Sampiero]. MONNIER. — Un aventurier du XYIII siècle. Le Comte Gorani, in Revue des Deux Mondes, 1874, (Y), pagg. 854-888. Corsica, pagg. 861-862, poi passim. CUSANI. — Il Conte Giuseppe Gorani, in Arch. Stor. Lombardo, 1878, (Y), pag. 615. Corsica, pagg. 624-629. SAGGIO DI UNA BIBLIOGRAFIA GENERALE DELLA CORSICA 41 ADEMOLLO. — 11 Conto Gokani e i suoi recenti biografi. Firenze, Tip. della Gazzetta d Italia, 1879, 8o. MARC-MONNIER. — Un aventurier italien du siècle dernier: Le Comte Joseph Gorani d’a près ses Mémoires inédites. Paris, Calmann Levy, 1884, 16°, pagg. \ 1-356. Ree. Sforz, Arch. Stor. Ital., 1898, pagg. 291-296. NATALI. — Un gentiluomo patriota e cosmopolita nel sec. XVI11 : nel primo centenario della morte di G. Gorani, in Rivista d'Italia, 1920, (Ann. 23o), pag. 77. [Ne fa solo il nome: dà una bibliografìa suH’argomento]. RAGGUAGLIO della solenne beatificazione del ven. Servo di Dio P. Leonardo da Portomau-rizio, Missionario Apostolico dei Minori Riformati del Sacro ritiro di S. Bona^ntura da Roma, celebrata con divota pompa nella sacrosanta Basilica \ aticana il dì 19 giugno 1796. (s n. t) 8o cc 4 n n. P. RAFFAELE Da Roma. — Vita del P. Leonardo da Portoniaurizio missionario apostolico dei minori riformati del ritiro di S. Bonaventura in Roma, scritta da P. R. da R. e ora corr. ed accr. dedicata a S. E. Gianfrancesco Brignole-Sale. Genova, Stamp. Geximami, 1754, 4o, pag. 292 ; Monza, Paolini, 1853, 8o. ORMEA (Salvatore di) .— Vie du B. Léonard dit de Port Maurice (Pietro Girolamo Casanuova) traduite par F. J. Labis. Tournai, Casterman, 1858, 12o. GUASTI Cesare. — Vita di S. Leonardo da Portomaurizio, minore riformato. Prato, Guasti, 1867, 1(3°, pag. VIII-196. GIUSEPPE Maria (P.) da Masserano. — Vita di S. Leonardo di Porto Maurizio, missionario apostolico. Roma, Tip. Tiberina, 1867, 4o, pag. VII, 271. EUGENIO (P.) d’Acqui. — Vita di S. Leonardo da Porto Maurizio, dei minori riformati. Bologna, Mareggiani, 1867, 8o, pag. 127. Su la vita di S. Leonardo da Porto Maurizio. Lucca, Landi, 1867, 24o, pag. 128. DARRAS. — Les Saintes et les Bienheureux du XVIII siècle. Tom. I, Saint Léonard de Port-Maurice, Paris, Gamme, 2 vol., 12o. C'A N TU’ Cosare. — Episodio corso: Lombardi in Corsica. Disboscamenti. Flottazione del legname. Caso romanzesco. Virtù corse e anche altre cose, in Mondo illustrato, 1847, (Ann. 1), pagg. 135-136. LUCC1ARDI F. P. — Les Prêtes romains déportés en Corse, in Ball. Soc. hist. Corse, 1912, (Ann. 32), fase. 346-348, pagg. 258-288. GALL1CIUS Johannes. — Alexandri Sauli viri Dei e Clericis Regularibus Sancti Pauli ad Aleriensem deinde Papiensem Episcopatum assumpti. Vita et gesta. Romae, Tip. J^cobi Fei Andreae, 1661, 1 vol., 8o. Libr. I, Cap. I, Cap. 10 e seg. Storia Patria. SAULI Alessandro. — Istruzione compendiosa e breve raccolta per il Reverendissimo Mons. A. Sauli vescovo di Aleria per quelli chiaveranno da esser ordinati ed ammessi ad udire le confessioni nella sua diooesi. — Nella 2a impressione aggiuntevi molte cose utilissime e necessarie al confessore come dimostra la seguente pagina. — Terza impressione in Genova et in Milano. Stampa di Giuseppe Pandolfo Malatesta, 1699, 8o, pag. 229. [Opera scritta per combattere l’ignoranza del clero in Corsica e la licenza, dopo le guerre]. 42 RENATO GIARDELLI MAGGIO Valeriano. — Vita del Beato Alessandro Sauli della Congregazione dei Chierici Regolari di S. Paolo detti Barnabiti, vescovo prima d’Aleria, poi di Pavia, Apostolo della Corsica. Milano, Tip. Malatesta, 1741, 80, T voi. GRAZIOLI. — Vita virtù e miracoli del B. Alessandro Sanili primo vescovo dei Chierici regolari ascritto ai Beati, chiamato l’Apostolo della Corsica. Bologna. Martelli, 1741, 4o. VASSOULT. — Abrégé de la vie du bienheureux Alexandre Sauli.... appellé communément l’Apòtre de Corse. Paris, François Mathey, 1742, 12. GABUTUIS. — Vita Beati Alexandri Sauli Aleriensis. tum Ticinensis Episcopi ex ordine Cler. Reg. Mediolani, Tip. Malatesta, 1745. 24o, 1 voi. Riprodotto in Acta Sanctorum, 11 ott. Tom. V, pagg. S07-833. GERDIL Giacinto G. — Vita del Beato Alessandro Sauli della Congregazione dei Chierici Regolari di S. Paolo. Opera postuma del Card. G. G. G. pubblicata da P. Giuseppe Perato, chierico regolare di S. Paolo. Milano, Tip. Pogliani, 1828, 16°, pag. XVII, 354. 2) Vie du Beate Alexandre Sauli de l’ordre des Barnabites. Paris, Gervais, 18o, (?). SAULI Alessandro. — De officio et moribus episcopi Commentariolum. Roma, Tip. Propaganda, 18-6, 80. COLOMBO Giuseppe. — Lottere scelte inedite scritte dal B. Alessandro Sauli a S. Carlo Borromeo, pubblicate da G. C. Torino, Tip. Artigianelli, 1878, 8o, pag. 44. [Parla della Corsica]. BIANCHI Francesco Saverio Maria. — Vita del Beato Alessandro Sauli della Congregazione dei Barnabiti. Bologna, Moneti, 1878, 16o, pagg. 160 ; Torino, Tip. Salesiana, 1884, 32, pagg. 123. VENTURINI Maurice. — Documents relatifs à l’épiscopat du B. Alexandre Sauli évêque d’Aleria extraits et publiés par les soins de M. le chanoine Μ. V. Curé-Archiprête de Corte, in Bull. Soc hist. Corse, Ann. VI, (1886), fase. 46, pagg. 1-120. DUBOIS A. — Le bienheureux Alexandre Sauli, barnabite, évêque d’Aleria, puis de Pavie. Bar le duc, Impr. Sait Paul, 1900, 80, pagg. 164. PREMOLI Orszio. — Vita illustrata di Sant’Alessandro Sauli, barnabita, vescovo d’Aleria, poi di Pavia. Milano, Bertarelli, 1904, 18o, pagg. 79. TRANQUILLINO. — Vita di S. Alessandro Sauli della Congregazione dei Barnabiti, vescovo di Aleria, poi di Pavia. Napoli, D’Auria, 1904, 80, pagg. 356. DUBOIS. — Saint Alexandre Sauli, sixième supérieur général des Barnabites, vingt-sixième évêque d’Aleria (Corse), ventième évêque de Pavie (Italie), apôtre de la Corse (1534-1592). Paris, Bar le-duc, et Impr. Saint Paul, 1904, pag. 302, 80. BOERI Antonio. — L’Aposidu» della Corsica e ia Basilica dei Sauli in Genova. Receo, Nico-losio. 1905, 16o, pagg. 34. CICERI. — S. Alessandro Sauli, in Rivista di Scienze Storiche, (1905). I-IL PREMOLI Ο. — S. Alessandro Sauli: Nota e dooumenti a cura di Ο. P. Milano, Cogliati, 1905, So, pagg. 141. MOLTEDO F T. B — Tita di S. Alessandro Sauli della Congregazione dei Barnabiti, vescovo di Aleria poi di Pavia. Napoli, D’Auria, 1904, 80, pagg. 536. R?c. Valle, in Rivista di Scienze Storiche, 1905, (fase. IV). SAGGIO DI UNA BIBLIOGRAFIA GENERALE DELLA CORSICA 43 MAIOCCH1 R. — Sunto di sei discorsi sull’Eucarestia di S. Alessandro Sauli, in Rivista di Scienze Storiche, 1905, 11, 4o. MAIOCCHI R. — Documenti inediti riguardanti Sant’Alessandro Sauli, in Rivista di Scienze Storiche, 1905, II, 4o. [Notizie sulla dimora a Pavia]. NOTE o Documenti: S. Alessandro Sauli. Milano, Cogliati, 1905, 8o, pag. 43. [Contiene: 1) Premoli: Introduzione; I primi anni di S. Alessandro; Genealogia Sauli; Manzini: S. Alessandro in Pavia, ecc., documenti dell’ultimo periodo. Di più Bibliogr. Sauliana di G. Boffito]. SVAMPA Domenico. — S. Alessandro Sauli : panegirico recitato a Bologna nella Chiesa di S. Antonio dei PP. Barnabiti. Bologna, Tip. Arcivescovile, J905, 8o, pagg. 20. LOCATELLI Carlo — Il 4 nov. 1605: Memorie e documenti. Milano, Tip Libr. Ed. Romolo Ghirlanda, 1905, 4o, pag. 76. [Contiene epistolario di S. Carlo e S. Alessandro Sauli Analogia fra S. Alessandro Sakili e S. Carlo Borromeo]. PREMOLI Orazio. — Da un carteggio inedito fra due santi prelati. [S. Alessandro Sauli, vescovo di Pavia e il vesc. P. Carlo Bescapè Generale dei Barnabiti], in Rivista di Scienze Storiche, (Pavia), vol. I, pag. 318. LEVATI (P.) Luigi M. — Lettere inedite di S. Alessandro Sauli, vescovo d’Aleria. in «Strenna-Ricordo del Circolo Educativo S. Alessandro Sauli», 1920, pagg. 22-45; 1921, pagg. 34-45. [Lettere scambiate tra il Sauli e i Magistrati genovesi riguardanti varie quistiom e la sua nomina, non effettuata, a coadiutore e arcivescovo di Genovaj. ALERIENSIS seu Ps.piensis Canonizationis Beati Alexandri Sault a Congregatione Clericorum Regularium S. Pauli Barnabitarum episcopi Aleriensis et Postea Papiensis Positio sap>r validitate processum. (S. Congr. dei Riti). ALERIENSIS» eco. — Positio super novis miraculis post indultam eidem beato venerationem (1902). Novissima positio super miraculis (1903). Positio super dubio an stante duorum miraculorum post indultam venerationem approbatione tuto procedi possit ad solemnem eiusdem Beati canonizationem (1904). Pubbl. della Congregazione dei Riti. DE BEATO Alexandro Saui.io episcopo Ticinensi in Ducato Mediolanensi commentarius praevius, in Acta SS., 11 oct., Tom. V, pagg. 806-834. DE BEATO Alexandro Saulio Episcopo in ducatu Mediolanensi, in Acta Sanctorum (Supplementum-Auctarium ad diem XI Oct.), pagg. 80-104. SFORZA G. — Un pontremolese in Corsica [Federico di Bartolommeo Uggeri], in Giornale Storico Letterario della Liguria, 1904, (fase. V), pag. 279. [È il notaio F. di B. U. Si pubblica un documento del 1502]. Esuli italiani in Corsica e Corsi in Italia durante il periodo del Risorgimento. CHIAPPE Ada. — La vita e gli scritti di Pietro Giannone. (Soggiorno in Corsica). Pistoia, llori, 1903, pagg. 39-40. GENERALI Luigi. — Ricordanze di L. G., in Archivio Emiliano del Risorgimento Nazionale. ann. Ili, 1909, fase. 5-6-9. [Emigrati del ’31 in Corsica]. RENATO GIARDELLI GIACCHI Pirro (Pseudo Stagi Michele). — Due anni di vita di un emigrato coi recenti avvenimenti del Veneto, Toscana e Roma, aggiunta la ritirata di Garibaldi fino al discioglimento del suo corpo d’armata, scritto da S. M. colle note di Angelo Bellotti. Genova, Tip. Ferrando, 1849, 16o, pagg. 117-120. [Corsica, emigrazione corsa, costumi corsij. GUERRAZZI F. D. — Lettere di F. D. G. a cura di Giosuè Carducoi. Serie 1, 1827-1853; Ser. II, 1820-1859. Livorno, Tip. Francesco Vigo, 1880 (Tom. I); 1882 (Tom. II). [Lettere da Bastia, Vol. I, pagg. 394-491]. LA CECILIA Giovanni. — Mémoires de A. Gallotti officier napolitain condamné trois fois à mort, escrits par lui même, traduits par S. Vecchierelli réfugié italien. Paris, Mon-tardier, Delaunay, 1831, So. [Fuga di Antonio Gallotti, Pasquale Rossi, Domenico Caterina e Francesco Giardella, dopo i moti del Cilento (1828) in Corsica. Cfr. Memorie autobiogra.fiche]. MAZZINI G. — Scritti editi ed inediti. Imola, Galeati, 1911. [Vol. XI, pagg. 449-450; 190-191, 210, 243-249; Fusione della Carboneria Corsa con la Giovane Europa]. MICHEL Ersilio. — Preti corsi in Toscana, 1833, in Arch. Stor. di Corsica, 1925, pagg. 446.450. MICHEL Ersilio. Spigolature corse in un carteggio inedito di F. D. Guerrazzi, in Arch. Stor. di Corsica, Ann. I, genn. 1925, pag. 111. MICHEL Ersilio. I manoscritti delle opere d’argomento corso di F. D. Guerrazzi, in Arch. Stor. di Corsica, gennaio 1925, pagg. 110-12. MICHEL Ersilio. — Due legionari corsi con Garibaldi alla difesa di Roma, 1849. [Luigi Cec-caldi e Andrea Lisco, in Arch. Stor. di Corsica, 1925 (I), pag. 222]. MICHEL Ersilio. — Due Bastiesi a Corfu, 1815-1825, in Arch. Stor. di Corsica, 1933, pagg. 117-118. MICHEL Ersilio. Corsi a Roma: Francesco Maria Valeri, in Archiv. Stor. di Corsica, 1926, pagg. 124-126. MICHEL Ersilio. — Spigolature .corse da uno zibaldone della polizia pontificia, 1834-1835, in Archiv. Stor. di Corsica, 1926, (II), pagg. 188-191. MICHEL Ersilio. — Corsi all’isola d’Elba dopo la caduta di Napoleone, in Arch. Stor. di Corsica, 1927, (III), pagg. 282-284. [Provvedimenti contro i corsi dell’Elba per opera del Governo Granducale, 1816]. MICHEL Ersilio. — Esuli e cospiratori italiani in Corsica dal 1815 al 1830. l)Arcliiv. Stor. di Corsica, gennaio-giugno, 1927, pagg. 1-199; 192-5, pagg. 39-109; 249-438. 2) Estr. Milano, Istituto Editoriale Scientifico, 1927, 8o. MICHEL Ersilio. — Esuli e cospiratori italiani in Corsica (1850-1861). N. 3-4 (luglio-die. 1928) Archiv. Stor. di Corsica. MICHELI Giuseppe. — Gli esuli Parmensi in Corsica; Attanasio Basetti, in Archiv. Stor. di Corsica, (II), 1926, pagg. 105-112. [Notizie di molti esuli]. MICHELI Giuseppe. — Ferdinando Castagnola, in Archiv. Stor. di Corsica, gennaio-giugno, 1927, p£g. 129, n. 134. [Esule parmense rifugiatosi nell’isola dal 1 aprile all’agosto 1831. La sua corrispondenza dà notizie di altri esuli]. MIRONE Salvatore. — Storia del 5o Battaglione Catanese soprannominato Corsi, con prefazione di Francesco Guardione e la vita dell'autore scritta da Francesco de Felice. 2a ediz. Catania, Giannotti, 1907, 16o, pagg. XXVII, 147. NERI A. — Un condannato del 1833, in Rivista Storica del Risorgimento Ital., Ann. III, (1900), pagg 895-946. [Giaanone in Corsie^]. SAGGIO DI UNA BIBLIOGRAFIA GENERALE DELLA CORSICA 45 PANELLA Antonio. — Cospiratori italiani in Corsica, in Marzocco, 21 giugno 1925. PASSAMONTI E. — Felice Baciocchi cospiratore in Italia, (1833), in Archiv. Stor. di Corsica, 1927, (III), pagg. 187-225. PETRACCONE G. - Lettere inedite di F. D. Guerrazzi a Raffaele Rubattino, in La Critica Politica, 1926, (TI), fase. VII, 25 luglio. [Da Bastia nel 1854 manifesta il desiderio di lasciar la Corsica per stabilirsi presso Genova]. PI ETRA ME LL ARA Ludovico. — Monitore Romano, giugno 1849, n. 135. [Rapporto sulle accoglienze ricevute dai bersaglieri in Corsica]. PROPOSTA (La) d’invisire a Milano nel 1848 un reggimento di Corsi, in Archiv. Stor. di Corsica, 1926, pagg. 457-458. RANDI Oscar. — Niccolò Tommaseo nella politica, in Archiv. Stor. di Corsica, 1925, (I). ROSI M. — Appunti di politica Guerrazziana, in Rivista d'Italia, VII. 1904, 8o. [Guerrazzi nell’esilio di Bastia si volge ai Savoia e prepara la stessa evoluzione in Antonio Mordini]. SA VELLI Pier Maria. — Souvenirs historiques de la légion corse dans le royaume de Naples ou Episode de l’histoire de Corse. Mp'rseille, Impr. de la Ville, 1851, 8o, pagg. XII, 232-[Al tempo di Murat]. SFORZA. — Giovanni La Cecilia e F. D. Guerrazzi, in Risorgimento Italiano, I, 1908, pagine 912-925. [Poco importante : rallegramenti del G. a L. C. per il suo matrimonio avvenuto mentre era in Corsica]. SUPPLICA dell’emigrazione italiana in Corsica al Re Vittorio Emanuele II. Bastia, Fabiani, 1860. TENCAJOL1 O. F. — Il soggiorno di F. D. Guerrazzi in Corsica, in La Lettura, 1913, II, 2. [Soggiorno a Bastia nel 1850-53 e lavori compiuti]. TENCAJOLI. — Il soggiorno di F. D. Guerrazzi in Corsica, in Italia, Letture mensili sotto gli auspici della Soc. Naz. Dante Alighieri, anno 1913, (II), fase. 13-18. TENCA JOLI. — Mazzini e la Corsica, in L'Idea Nazionale, 28 agosto 1924. TENCA JOLI — Niccolò Tommaseo e 1» Corsica, in Rassegna Italiana, Anno VII, vol. XIV, (Sett. 1924), pagg. 536-548. TENCA JOLI. — Un sonico di Vittorio Emanuele II (Lionello Cipriani), in Tribuna, 12 gennaio 1927. [Di Centuri, combattente nel ’48-’49, Governatore deH’Emilia, senatore del Regno]. TOMMASEO N. — Il primo esilio di N. Tommaseo (1834-1839). Lettere di lui a. C. Cantù, edite ed illustrate da Ettore Verga. Milano, Cogliati, 1914. [Cfr. Lisio, Rivista Bibl. della Lett. Ital., XII, 241; Giornale Stor. della Lett. Ital., 44, pseputazione, può, con Regio decreto, su proposta del Ministro per l’educazione nazionale, sentita la Giunta centrale per gli studi storici, essere trasferito in una categoria di emeriti, conservando tutti gli onori e le prerogative del grado. Il deputato che, per motivi diversi da quelli contemplati nel precedente COMUNICAZIONI DELLA R. DEPUTAZIONE DI STORIA PATRIA 53 comma, cessi dal partecipare attivamente ai lavori della Deputazione, può con R. decreto, su proposta del Ministro per l’educazione nazionale, sentita la Giunta centrale per gli studi storici, essere trasferito in una categoria di soprannumerari o, qualora le ragioni dell’inattività siano ingiustificate, essere dichiarato dimissionario. I seggi occupati dagli emeriti e dai soprannumerari si considerano vacanti. Art. 37. II giuramento previsto dagli articoli 3 e 4 del R. decreto-legge 21 settembre 1933, n. 1933, convertito in legge con la legge 12 gennaio 1934, n. 90, viene prestato, a pena di decadenza, entro tre mesi dalla comunicazione della nomina. I presidenti delle Deputazioni giurano nelle mani del presidente della Giunta centrale per gli studi storici, i presidenti delle Sezioni e i deputati nelle mani del presidente della Deputazione. Art. 38. Il Ministro per reducazione nazionale può promuovere la revoca della nomina del socio che venga meno ai doveri relativi al suo grado o che si renda indeguo di appartenere alla Deputazione o comunque nuoccia al suo incremento o al suo prestigio. Art. 39. Le modificazioni che si rendessero necessarie alla tabella annessa al presente decreto, saranno approvate con Regio decreto su proposta del Ministro per l’educazione nazionale, udita la Giunta centrale per gli studi storici. Art. 40. L’ordinamento delle Regie Deputazioni di cui ai numeri 16 e 17 dell'unita tabella A è retto da particolari norme. Art. 41. Entro il 1935 sarà provveduto, con Regio decreto, su proposta del Ministro per l’educazione nazionale, udita la Giunta centrale per gli studi storici, alla nomina del primo nucleo dei membri delle Deputazioni di cui ai numeri 4, 12, 13 e 14 deH’unita tabella A, nonché al completamento dei membri delle altre Deputazioni. Art. 42. Ogni disposizione contraria al presente regolamento è abrogata. Visto, d’ordine di Bua Maestà il Re Il Ministro per l’educazione nazionale De Vecchi Di Val Cismon TABELLA A 1. Regia Deputazione subalpina di storia patria. Sede: Torino. Circoscrizione : Stati Sabaudi con speciale riguardo alle provincie di Alessandria, Aosta, Asti, Cuneo, Novara, Torino e Vercelli. 54 COMUNICAZIONI DELLA R. DEPUTAZIONE DI STORIA PATRIA 2. Regia Deputazione di storia patria per la Liguria : Sede : Genova. Circoscrizione : le provincie di Genova, Imperia, La Spezia. Massa, Savona ed in genere gii antichi dominii della Repubblica di Genova. 3. Regia Deputazione di storia patria per la Lombardia. Sede: Milano. Circoscrizione : le provincie di Bergamo, Brescia, Como, Cremona, Mantova, Milano, Pavia, Sondrio, Varese ed in genere i domimi del Ducato di Milano. 4. Regia Deputazione di storia patria per la Sardegna. Sede: Cagliari. Circoscrizione: le provincie di Cagliari. Nuoro e Sassari. 5. Regia Deputazione di storia patria per le Tre Venezie. Sede: Venezia. Circoscrizione : le provincie di Bolzano, Trento, Belluno. Padova, Rovigo, Treviso, Udine, Venezia, Verona, Vicenza, Fiume, Gorizia, Pola, Trieste, Zara ed in genere i domimi della Repubblica Veneta. G. Regia Deputazione di storia patria per l’Emilia e la Romagna. Sede: Bologna. Circoscrizione: le provincie di Bologna; Ferrara, Forlì, Modena, Parma, Piacenza, Ravenna e Reggio Emilia. 7. Regia Deputazione di storia patria per la Toscana. Sede : Firenze. Circo-scrizione : le provincie di Arezzo, Firenze, Grosseto, Livorno, Lucca, Pisa, Pistoia e Siena. S. Regia Deputazione di storia patria per le Marche. Sede: Ancona. Circo-scrizione: le provincie di Ancona, Ascoli, Macerata e Pesaro. 9. Regia Deputazione di storia patria per l’Umbria. Sede: Perugia. Circoscrizioni· : le provincie di Perugia e Terni. 10. Regia Deputazione romana di storia patria. Sede : Roma. Circoscrizione : le provincie di Frosinone, Littoria, Rieti, Roma e Viterbo. 11. Regia Deputazione di storia patria per gli Abruzzi. Sede : Aquila. Circoscrizione : le provincie di Aquila, Chieti, Pescara e Teramo. j2. Regia Deputazione di storia patria per la Campania e il Molise. Sede : Napoli. Circoscrizione: le provincie di Avellino, Benevento, Campobasso, Napoli e Salerno. 13. Regia Deputazione di storia patria per le Puglie. Sede : Bari. Circoscrizione : le provincie di Bari, Brindisi, Foggia, Lecce e Taranto. 14. Regia Deputazione di storia patria per le Calabrie e la Lucania. Sede : Reggio Calabria. Circoscrizione : Je provincie di Catanzaro, Cosenza, Reggio Calabria, Matera e Potenza. 15. Regia Deputazione di storia patria per la Sicilia. Sede : Palermo. Circoscrizione : le provincie di Agrigento, Caltanissetta, Catania, Enna, Messina, Palermo, Ragusa, Siracusa e Trapani. 16. Regia Deputazione per la storia di Malta. Sede: Roma. Circoscrizione: i dominii del Sovrano Militare Ordine di Malta con speciale riguardo all’Arcipelago Maltese. 17. Regia Deputazione di storia patria per Rodi. Sede : Rodi. Circoscrizione: i possedimenti delle Isole Italiane delPEgeo. Visto, (Γordine di Sua Maestà il Re Il Ministro per Veducazione nazionale De Vecchi Di Val Cismon RASSEGNA B] ELIOGRAFICA Paolo Revelli, Figurazioni cartografiche di Genova, con 24 tav. e 1 fotolitografìa a colori. Ed. il Comune di Genova, 1936-XIV. La segnalazione di questo volume entra di diritto nella rubrica artistica, non tanto perchè hi tratta di un libro piacevole da guardare, e in gran parte costituito da riproduzioni grafiche, quanto perché tra le vere e proprie riproduzioni cartografiche sono inserite molte rappresentazioni prospettiche e pittoriche, di ambizione anche artistica. Ed anzi, si deve osservare che il Revelli, storico dottissimo della cartografìa genovese antica, è stato anche troppo discreto inserendone in questo libro un saggio solo, dalla carta marina di Giambattista Beccaio (1435) della Bibl. Palatina di Parma. Ma egli hi è prefìsso uno scopo pratico, oltre che scientifico; ed ha abbondato nelle figurazioni che possono più facilmente permettere raffronti fra la topografia antica e Fattuale. Son numerose, si è già detto, le vedute, tutte illustrate con interessanti osservazioni, notizie sui cartografi genovesi, ecc. ; e specialmente quella edita da Oalaudio Duchet nel 1581 offre al Revelli occasione per dotte considerazioni su altre vedute di Genova della fine del Cinquecento. Tra le vedute, si avvicendano le piante fondamentali della topografìa genovese. Da quella del 1656, eseguita per ordine dei Padri del Comune da una commissione di otto architetti, i più autorevoli che lavorassero allora in Genova, il Garrè, Stefano Scaniglia, il Corradi, il Bianco, il Torriglia, il Gliiso, lo Storace, i Torriglia Gio. Batta e Antonio, a quella del 1766 di Giacomo Brusco, alla copia aggiornata della prima, eseguita pure dal Brusco nel 1785. A proposito di questa, di cui è dato alla tav. VI il quadro d’insieme, si esprime il desiderio di una riproduzione totale dei va rii fogli, almeno mediante un lucido, quale fu già procurato per il quadro d’insieme. Per gli studiosi della topografìa, ed anche dell’architettura, di Genova questa pianta è di uso continuo ; e poterla consultare a domicilio sarebbe una bella comodità. Questa è forse considerazione troppo personalmente egoistica ; ma è certo che la pubblicazione integrale delle fonti, anche 'cartografiche, è il più serio servizio che si possa rendere agli studii. Il Revelli, non soltanto nelle illustrazioni alle varie tavole, ma specialmente nella Nota che chiude il libro, dimostra di aver ispezionato quasi tutto il materiale disponibile; e di sapere come e 56 RASSEGNA BIBLIOGRAFICA dove sarebbe da rintracciare il rimaijente. Con gli elementi raccolti per questa pubblicazione avrebbe potuto comporre un volume di cinquecento pagine. Qui ha dovuto limitarsi e scegliere ; ma ha dato però largo posto alla Genova moderna, all’attuale estensione del Comune unificato, con interessanti raffronti delle mappe napoleoniche dei Comuni annessi, la Foce e S. Martino, con le relative carte del Catasto municipale ; inserendo nella pianta di Sampierdarena del 1757 gli ampliamenti del porto, il bacino Mussolini e il tracciato della Camionale. Segni di un temperamento che l’amore per la storia antica non esclude dalla sensazione dei fatti attuali. Mario Labò Pierre Ordioni, Pozzo di Borgo, Librairie Plon, Paris, frs 15, 1935. La lunga, avventurosa vita di Cari’Andrea Pozzo di Borgo (1764-1S42) è narrata, con ricchezza di particolari, (attinti, soprattutto, nelle carte delle famiglie Pozzo di Borgo e Chiappe, oltreché da altri Archivi e pubblici e privati) in questa biografia composta da un Corso. Informatissimo volume, di chiara scrittura e di notevole interesse. Nel quale, tuttavia, può stupire la singolarità di qualche giudizio, come questo, ad es. : « Bonaparte.... n’est pas un Latin » perchè, spiega ΙΌ. « ____il a reçu de la France une formation philosophique. C’est un homme du dix-huitiéme siècle, un cérébral dont l’éducation n’a été que militaire.... ». Pare, però, che l’asserzione citata non sia poi tanto categorica, se, nella stessa pagina, leggiamo : « Et le rêve du philosophe tare et tarera la pensée et l’action du Latin » (p. 16). Dunque Napoleone è, o no, Latino? Il dubbio non è di natura amletica. Deciso e reciso è, invece, quest’altro apprezzamento stampato, a maggior chiarezza ed edificazione, in carattere corsivo, su « la qualité de l’âme française » (p. 37) di Pasquale Paoli. Proprio : anima francese. Il Generale non è, del resto, in questo volume, visto sempre nella sua giusta luce. Infatti, quando PO. deve scrivere la più triste pagina della vita di Pozzo di Borgo, quella cioè del tradimento di questi verso il Paoli, egli che pure è preciso, diffuso narratore, accenna, sfiora, sorvola con quella levità e quel candore, di che i francesi sono certo migliori maestri dei corsi, e lascia intendere che la responsabilità di quel distacco (di tradimento non fa parola) fu del Paoli <( vielli, malade, un peu aigri.... » (p. 53). Ma proprio l’ingratitudine del beneficato Pozzo di Borgo è la premessa necessaria per comprendere il carattere e l’azione di colui che, per meglio combattere Napoleone, servirà la Russia cosacca* RASSEGNA BIBLIOGRAFICA 57 LO. in questo volume, sotto molti rispetti pregevole, considera il Pozzo di Borgo « diplomate de l’Europe française » come l’antagonista degno del Buona parte. Sicché l’epica vicenda napoleonica che sommuove e rinnova, tra clangore di battaglie e di vittorie, governi e popoli, si ridurrebbe ad una lotta che, cominciata tra due Corsi, appartenenti a due diversi clan dell’isola rissosa, s’allargherebbe smisuratamente all’intera Europa. Dice l’O. : « Pour les Corses, la cause de Napoléon n’est pas une question française: elle reste une affaire insulaire, une querelle entre paolistes et anti-pao-listes » (p. 59). Protagonisti del gigantesco duello : Buonaparte impersonante il principio rivoluzionario : il verbo di Rousseau ; e Pozzo di Borgo : il principio controrivoluzionario, il legittimismo dell’ammiratore di Mirabeau. Per fortuna, di questo presupposto, nelle pagine migliori, l’Au-tore pare non ricordarsi o se ne ricorda per dare al suo eroe quel rilievo che questo Corso, dotato di magnifiche qualità di mente e di formidabili energie, in parte, merita. Tipica figura il Pozzo di Borgo : freddo nel calcolo, appassionato e tenace nella lotta, fortissimo nell’odio, accorto nella diplomazia ch’egli considera tessuta d’abilissimo intrigo e pazientissima attesa. Finché si svolge la guerra che, con le arti diplomatiche, il Pozzo di Borgo fa a Napoleone, c’è in lui un ardore, un’intelligenza, una perspicacia, una costanza ammirevoli. E il biografo è più sciolto, fervido, immediato nel racconto. Caduto il Bonaparte, anche nel Pozzo di Borgo cade qualcosa : la ragione del suo odio; resta il politicante, l’ambizioso, il teorico di un principio e l’uomo che invecchia nell’amarezza della delusione che non mancò, anche dopo la sognata, voluta sconfìtta del grande avversario. E anche il racconto di quelle vicende in cui non passa più l’animoso impeto napoleonico, diventa greve d’informazioni diligenti, zeppo di trame ambiziose. L’Ordioni ha fatto rivivere nelle sue pagine la passione di un corso che fu partigiano e visse parteggiando. Come molti Corsi : i quali tutti, dice 1Ό., hanno come appannaggio della loro razza « la-resistenza morale » (p. 114). Una forza, dunque, che darà i suoi frutti specie tra « ces farouches montagnards qui ne donnent de prix qu’à l’indépendance. L’histoire de leur race n’est pas autre chose que le récit d’un incessant combat pour l’acquérir, la maintenir ou la recouvrer » (p. IV). Leona Ravenna 58 RASSEGNA BIBLIOGRAFICA La provincia di Imperia, Monografia edita a cura di Vincenzo Guido Donte. Giovanni Garibbo e Paolo Stacchini. Consiglio Provinciale dell'Economia Corporativa di Imperia, 1934-X1I1, pagg. 457, 15 pagine fuori testo. Scorrendo queste pagine di una elegante pubblicazione in folio che sta a sè nel confronto con quelle a puro scopo di propaganda turistica e con quelle a carattere esclusivamente erudito, chi conosce la incomparabile riviera ligure d’occidente prova un senso di nostalgia per una terra, che chiamerei una cornice di paesaggi pittorescamente vari e pure simili nel complessivo aspetto che tipicamente li distingue, attrattiva indefinita perchè è insieme ricordo di luogo e di tempo, del tempo che sembra gelosamente custodito perchè là si possa dolcemente e melanconica mente riviverlo. Chi si sofferma e medita (mi si passi la divagazione) tra i ruderi d’una città arcaica, può per la forza interiore dei dotti ricordi ricomporre in una compiuta visione i fantasmi del passato, ma vi sono luoghi in cui sembra che la natura si diletti a farci respirare nell'aria stessa Fanima d’un passato che sembrerebbe superato ed è insuperabile. Fanima romantica della riviera ligure d'occidente. Nostalgia perchè la sensazione che nel velo d’una nebulosa lontananza quella presente bellezza si provi compiuta e perfetta si insinua nel cuore di chi l'ammira e si ritrova nell’arte che ha inspirata, la quale he così non fosse, così dovrebbe essere. Tutte le località della riviera che meritamente godono in Italia e fuori di vasta rinomanza si trovano in questo libro particolarmente descritte con ricchezza di illustrazioni fotografiche. Sono illustrazioni che, tratte da un materiale vasto e inesauribile, in qualche punto si preferirebbero per la loro efficacia a quel monotono sfoggio di attributi esclamativi e superlativi appartenenti a quel l'inconfondibile frasario turistico che sembra ormai stilizzato. A parte il piccolo difetto, che si direbbe inevitabile in pubblicazioni del genere, si tratta qui più che di una monografia, come annuncia il titolo, di una raccolta organica di trattazioni a carattere generale o speciale, in complesso bene informate, riflettenti la storia, lo stato presente e le risorse della provincia. Vi si trovano le deduzioni o le induzioni archeologiche scientificamente accolte sulle origini dei vari centri urbani e la storia, partitamente accennata, dei luoghi più notevoli: così, scorrendo il volume, per Ventimiglia e la Val Roia, la Val Nervia e la λ alle Crosia, per Bordighera, Ospedaletti. San Remo, per Taggia e la Valle Argentina, per l'antico Principato di Villa Regia, per Imperia, Pieve di Teco e Valle Impero, Diano Marina e la sua conca. Segnalerò fra queste pagine descrittive e rievocatrici le memorie storiche sanremesi del compianto Antonio Canepa, concisa e chiara RASSEGNA BIBLIOGRAFICA 59 sintesi degli studi speciali dallo stesso A. dedicati alle vicende di quel comune ligure, i cenni storici su Oneglia d’Imperia di Ludovico Giordano, (riguardanti le origini, la protezione dei vescovi d’Al-benga e il Comune, la Signoria, dei Doria, Oneglia sotto i Sabaudi, le invasioni spagnole, la dominazione francese, la ricostituzione politica di Oneglia nel Risorgimento), e la notizia di don Angelo Re-scalli sulla pinacoteca e la biblioteca di Col di Rodi, pregevoli collezioni dovute al buon gusto di bibliofilo e di amatore d’arte del prete liberale don Stefano Rambaldi. Ln provincia d’Imperia è, inoltre, illustrata in ogni aspetto della sua vita attuale : l’indole e i costumi degli abitanti, il bosco, il pascolo e ragricoltura, le attività turistiche, le altre industrie e l’ar-tigianato, il traffico e i porti, le benemerenze del fascismo in rapporto col suo progresso e il suo avvenire. M. Celle Ersilio Michel, Esuli italiani in Algeria, Licinio Cappelli editore, Bologna, 1935-XIII. La diligenza con la quale il Michel ha tenuto dietro alle molte traccie segnategli dalle sue ricerche suH'argomento, attingendo alle fonti più ricche di notizie (tra le quali primeggiano 1’Archivio nazionale e 1’Archivio del Ministero della Guerra di Parigi) gli ha permesso di ordinare in una serie di capitoli densi di contenuto una materia quasi del tutto nuova. Il risultato principale da lui raggiunto è la rivelazione di un centro di attività italiana all’estero, durante il periodo del risorgimento, ricco di uomini e vivo e fervido d'idee. Senza la fatica del Michel non lo si sarebbe sospettato tale. Le fasi dell’immigrazione fanno assomigliare il fenomeno verificatosi in Algeria a quello che si riscontra in altre terre straniere duranti i tempi successivi della preparazione e dell’azione nella storia del nostro Risorgimento, fluttuazione che ne è il riflesso dal 1815 al 1861. Un fatto è, in particolare, da notarsi, che il numero dei compromessi politici italiani in Algeri e negli altri centri della Regione affricana, come quello degli esuli d’altre nazioni, veniva notevolmente accrescendosi oltrecchè per immigrazione diretta, per le note direttive d’ordine interno delle Autorità francesi. In quella colonia di esuli italiani la Liguria, e specialmente Genova, è rappresentata in modo assai notevole. Sempre a voler rilevare le caratteristiche d’assieme del nuovo contributo storico del Michel (che è invece piuttosto una miniera di notizie particolari intorno ad un gran numero di nomi noti ed ignoti), notiamo che gli italiani in Algeria rivelano indole guerriera e preferiscono, generalmente, a qualunque altro mestiere quello delle armi, militando soprattutto nelle file della Legione straniera e se- 60 RASSEGNA BIBLIOGRAFICA gnalandosi, in quel duro compito, per ardimento e resistenza alle fatiche, ed, anche, per intelligenza e tenacia nella valorizzazione delle terre conquistate. Risalta fra quei valorosi la figura dell’ufficiale superiore Raffaele Poerio che al Corpo militare, al quale fedelmente appartenne per diciassette anni, in imprese coloniali cruente e logoranti, rese segnalati servizi. Le ripercussioni nei vari centri di vita della colonia degli avvenimenti d’Europa· e particolarmente d’Italia, le speranze, i propositi, il contributo, sono venuti nettamente in luce attraverso le ricerche del Michel. Così come i legami che tenevano avvinti gli italiani d’Algeria ad altri esuli nostri, gruppi e individui, la concordia fra i patrioti dinanzi ad un fine comune pur nella discordia teorica dinanzi ai mezzi ed alle direttive, cosicché anche là i vari gruppi politici assumevano la loro fisionomia ; ma soprattutto la penetrante azione mazziniana, che si irradia in ogni direzione e in quel lembo d’Af-frica trova un degno esponente nel medico bolognese Rinaldo An-dreini, nobile figura di scienziato umanitario e di patriotta tenace e ardimentoso. Della dottrina mazziniana l’Andreini non si stancò di professare e diffondere i principi tra i connazionali, e diede opera a secondare con ogni mezzo l’attuazione dei più arditi disegni del Maestro. M. Celle SPIGOLATURE E NOTIZIE STORIA MEDIOEVALE Enzo Marini: Fantasmi del Castello di Savignone. Una tragica storia d’amore e di sangue in « Giornale eli Genova ». 15 febbraio 1936. Alberto Gua-dalaxara : Caterina mescili e i suoi tempi in « Il Corriere Mercantile », 31 gennaio 1930. X : Lorenzio Foglietta e un eroico militare del sec. XV in « Il Corriere Mercantile », 21 febbraio L930. MODERNA E CONTEMPORANEA Navigatori, esploratori, pionieri Raffaele di Tucci : Il genovese Antonio Malfante esploratore del Sahara nel 1U7 in « Il Nuovo Cittadino », 11 gennaio 1936. X : Precursori di Colombo? in «Il Nuovo Cittadino», 11 febbraio 1936. Riccardo Bacchelli: Umamta di Cristoforo Colombo. L'ammiraglio dell9 oceano in «Nuova Antologia », 16 febbraio 1930 e in «Giornale di Genova», 13 febbraio 1936. Piceno : Un pioniere: Giuseppe Sapeto. Come Assab divenne italiana in « Il Secolo XIX », 28 dicembre 1935. F. Sietta : Il marchese Giacomo D’Oria in « Il Corriere Mercantile », 21 gennaio 1936-23 gennaio 1936. A Rossi: Il faro Fr. Crispi a Capo Guarda fio. Il cap De Albertis e Nino Bixio in « 11 Corriere Mercantile», 26 dicembre 1935. Risorgimento Anonimo : Casa Savoia e la sua politica nel ’?'00 in « Il Corriere Mercantile », 7 febbraio 1936. Anonimo: BonajMirte, la repubblica. ligure e la cisalpina in «Il Secolo XIX», 12 gennaio 1936. Anonimo: Paganini intimo di A. Codignola in «La Tribuna», Roma, 25 dicembre 1935. G. Munaro : Nicolò Paga-nini nella vita e nell’arte in «Il Regime fascista», 7 gennaio 1936 in «Il Corriere Padano ». Forlì e in « Corriere Emiliano », Ferrara, 8 gennaio 1936. Anonimo : Lf epistolario del grande mago del violino in « La Sera », Milano, 9 gennaio 1936. Anonimo: Paganini intimo in «L’Illustrazione Italiana», Milano, 5 gennaio 1936. Giorgio M. Striglia: Paganini intimo in «Il Corriere Mercantile», 15 gennaio 1936. Anonimo: Paganini in «Il Piccolo», Genova, 13 gennaio 1936. Mario de Vecchi: Paganini intimo in «Il Seco- lo XIX», 14 gennaio 1936. Anonimo: Paganini intimo in «Il Popolo di Roma», 6 febbraio 1936. Anonimo: Paganini intimo di Arturo Codignola in «Nuova Italia» Parigi, 16 gennaio 1936. Anonimo: Paganini intimo in una definitiva biografia italiana in «La Vedetta», Fiume, 22 febbraio 1936. Biblio: Paganini intimo in «L’Italia letteraria», Roma, 23 febbraio 1936. Anonimo: Paganini intimo in « Lo Scandaglio», Roma, febbraio 1936. Anonimo: Paga-nini intimo in « Musica d’oggi », Milano, 1936« R. S. : Paganini intimo iu « La revue musicale », Parigi, febbraio 1936. Anonimo : Verità e leggende su 62 SPIGOLATURE E NOTIZIE Paganini, in « Il Piccolo della Sera », 5 marzo 1936. m. q. c. : Paganini intimo in «Camicia rossa», Roma, febbraio 1936. Arges: Paganini intimo in «L'ora della sera », Palermo, 25 marzo 1936. E. Badino. Maria Cristina di Savoia in « Il Nuovo Cittadino » 31 gennaio 1936. 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Lazzaro De Simoni : La Madonna della Fortuna in « Il Nuovo Cittadino», 26 gennaio 1936. A. Casaccia : Pio VII e la Madonna della Misericordia in « Il Nuovo Cittadino», 5 gennaio 1936. Anonimo: Il IV. centenario a Savona della Misericordia in « Il Giornale di Genova », 24 gennaio 1936. GENOVA E LIGURIA Anonimo : Valentino Coda in « Il Corriere Mercantile », 16 gennaio 1936. Mariù : Genova del povero sig. Bourget in « Il Lavoro » 12 gennaio 1936. Anonimo : I pescatori della Foce trasferiti in collina in « Il Secolo XIX », .3 gennaio 1936. Carcos : Porto franco, armadio del M éditer m neo in « Il Corriere Mercantile », 11 gennaio 1936. G. M. : Pellegrinaggio al sestiere di Pre in il « Corriere Mercantile », 18 febbraio 1936. Marbet : Mëgo Rapallo in « Il Lavoro », 3 febbraio 1936. Il pirata : Capitan Argento in « Il Lavoro », 24 gennaio 1936. Anonimo : La morte di Davide Costantini appassionato fautore del Museo Archeologico genovese in « Il Corriere Mercantile », 16 gennaio 1936. G. 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Mater Regum », ibidem, 8 marzo 1936. emme : Pierre Bonavdi rivendica alla Corsica la sua alta missione Mediterranea in «Il Corriere Mercantile», 11 gennaio 1936. LETTERATURA E GLOTTOLOGIA Amedeo Pescio : Le nozze di 'Nicoletta in « Il Secolo XIX »,29 gennaio 1936. Lazzaro De Simoni : La più bella commedia del Goldoni.... il suo matrimonio a Genova in « Il Nuovo Cittadino », 19 febbraio 1936. Carcos : l n librettista melo drammatico genovese Felice Romani in « Il Corriere Mercantile », 15 febbraio 1936. Lazzaro De Simoni : Il poema di Angelo Silvio Novaro in « Il Nuovo Cittadino », 28 dicembre 1935. Flavia Steno : La madre di Gesù di Angelo Silvio Novaro in «Il Secolo XIX», 7 febbraio 1936. Antonio Giusti: L’assimilazione consonantica nel dialetto ligure in « Philologisclie λλ ochen-schrift», n. 3-4, 56 Annata, Leipzig, 25 gennaio 1936. CARTOGRAFIA I, : Pio XI e la cartografìa genovese in « Il Nuovo Cittadino », 12 feb-braio 1936. Silvio Ardy : Cartografia genovese in « Il Secolo XIX », 19 febbraio 1936. CRITICA D’ARTE PITTURA Mario Bonzi : Bartolomeo Bisoaino pittore e incisore in « Il Nuovo Cittadino », 17 gennaio 1936. ARCHITETTURA, RESTAURI Lazzaro De Simoni : Carlo Barabino in « Il Nuovo Cittadino ». 29 dicembre 1935. Giuseppe Foches : La prima chiesa cristiana d’Italia. L’Abbazia di San Pietro di Varatella m « Giornale di Genova », 31 gennaio 1936. Lazzaro De Simoni : Il tempio dei fantasmi giganti. - San Francesco di Castelletto i;ii « Il Nuovo Cittadino », 1 febbraio 1936. - Il tempio che fu reggia e famedio. -La chiesa e il convento di San Domenico in « Il Nuovo Cittadino », Ό gennaio 1936. - La chiesa di San Bernardino in « Il Nuovo Cittadino » 3 gennaio 1936. - La chiesa dello Spirito Santo in « Il Nuovo Cittadino », 24 gennaio 1936. - La chiesa oratorio delle Anime in « Il Nuovo Cittadino », 18 gennaio 64 SPIGOLATUEE E NOTIZIE 1930. - La chiesa oratorio del Suffragio in « Il Nuovo Cittadino », 13 febbraio 1930. N. Il restauro dell’Abbazia dei D'Oria e di piazza· San Matteo in iazze commerciali, e ad ogni modo erano sempre obbligati a far capo a Genova, perno dei pagamenti internazionali e dei cambi in fiera. Appunto le grandi fiere internazionali dove dominano i Genovesi {Anversa e Besanzone prima., Piacenza e Novi più tardi) devono gran parte della loro importanza alle gigantesche operazioni di cambio che i capitalisti Genovesi effettuano per eseguire pagamenti a termine per conto del governo Spagnolo tra le varie provincie del vastissimo Impero. Questa attività assunse ogni giorno più un carattere febbrilmente speculativo e sproporzionato alle necessità del commercio , e finì col riuscire dannoso anche a coloro che vi avevano fatto maggiori guadagni : nel Settecento, Paristocrazia Genovese si dovrà pentire di aver abbandonato alla borghesia l’antica attività mercantile e marittima, dalla quale era scaturita la sua. fortuna. Ma almeno fino al primo ventennio del secolo XVII, la ricchezza privata Genovese ritrasse dalle fiere internazionali un incremento paragonabile e forse superiore a quello che un tempo ritraeva dal grande commercio di Levante. Naturalmente le operazioni di cambio (come anche i prestiti) non venivano effettuate soltanto per conto dello Stato Spagnolo, ma anche in favore dei privati, intrecciando così altri innumerevoli legami alla formidabile rete d’interessi Genovesi in Ispagna·. ROBERTO LOPEZ Anche il commercio vero e proprio fu esercitato con forme speculative dai Genovesi, costretti dalVembargo proclamato dai Re Cattolici sui metalli preziosi a riversare nel traffico interno quella parte dei loro guadagni che non poteva esser reinvestita in nuovi prestiti o esportata di contrabbando. In Spagna, come è noto, l'abbondanza dell’oro, la scarsità della popolazione e l’insufficienza del1 ’ attrezzamento industriale avevano fatto salire i prezzi a un livello assai più elevato che nel resto d’Europa. I commercianti stranieri, e più di tutti i Genovesi favoriti dai privilegi di Carlo V ai quali abbiamo già accennato, ne approfittarono per inondare il mercato di merci prodotte in paesi dove i salari erano più bassi : lo scarto nei prezzi era tale che rimanevano loro profitti oscillanti dal cento al centocinquanta per cento. La loro concorrenza, come quella giapponese oggi in molti paesi, rovinò l’industria locale : ma aveva, radici troppo profonde perchè le ripetute lagnanze delle Cortes riuscissero a eliminarla. Ancora nel 1711 l’ambasciatore sabaudo di Trivié scriveva che essendosi alcuni mercanti Casti glia-ni associati per impiantare una. fabbrica di carta, i Genovesi che ne avevano il monopolio corruppero gli operai e fecero fallire l’impresa. Il Governo Spagnolo, relativamente largo agli stranieri in ogni altro campo, aveva però riservato rigorosamente ai nazionali lo sfruttamento dell’America. Ma i Genovesi riuscirono a girare l’ostacolo in vari modi, sia ottenendo individualmente licenze di commercio,, sia valendosi della disposizione che concedeva la cittadinanza a- chi avesse abitato per dieci anni in una città Spagnola: cosicché Siviglia, già sede di una piccola colonia Genovese fin dai tempi di Ferdinando m e di Alfonso il Saggio, fu letteralmente inondata di Liguri trafficanti con le Indie. Questi s’accaparrarono poi un assoluto primato nella tratta dei negri, un genere di commercio molto lucroso e non riprovato dalla morale del tempo. Essi vi portavano una esperienza plurisecolare, perchè nel Medioevo le colonie Genovesi del Ma- Nero avevan dovuto molto della loro prosperità alla tratta di schiavi bianchi per l’Egitto. Perdute nel Quattrocento queste colonie, per tutto il Cinquecento i Genovesi si rifecero con la» tratta degli schiavi neri per l’America. Nel 1601 Filippo III concesse il monopolio di questo commercio a un Portoghese, e i connazionali di lui lo mantennero fino alla sollevazione del Portogallo; ma nel 1663 venne concluso un nuovo appalto coi Genovesi. L’agricoltura non era mestiere al quale i Genovesi fossero molto portali, data la povertà della loro regione; tuttavia il Trivié c'informa che nella spopolata Andalusia v'erano molti coloni Liguri. D’altra parte alcune famiglie di capitalisti impiegarono i loro guadagni nell’acquisto di latifondi e di tonnare in Puglia, Calabria e Sardegna. IL PREDOMINIO ECONOMICO DEI GENOVESI NELLA MONARCHIA SPAGNOLA 73 Questa rassegna, tutt’altro che completa, ci sembra però sufficiente a convincere che i Genovesi seppero prendere dalla Spagna assai più che non dessero. Nonostante le apparenze, la loro parte fu da dominatori e non da vittime, « Essi erano legati alla Spagna » scrive uno storico francese « da tanti interessi che non potevano non seguir le sue sorti sino alla fine. La sfruttarono a fondo, ma si rovinarono insieme con lei. Quando cadde la Spagna, la funzione internazionale di Genova finì ». Il periodo più grigio della storia di Genova, infatti — pur dopo il luminoso episodio di Balilla — è nella seconda, metà del Settecento, e culmina in politica con la cessione della Corsica, nell’economia col crollo del Banco di San Giorgio : due avvenimenti che segnano. l’uno la definitiva rinuncia alla politica coloniale, l’altra il tramonto completo della potenza bancaria. Ma era un tramonto vicinissimo alla nuova aurora. Nell’unità nazionale d’Italia, impostata su fondamenta ben più solide e profonde che non l’unità economica dell’artificiale Impero Spagnolo, Genova doveva riprendere il suo posto glorioso nel mondo. Roberto Lopez NOTA BIBLIOGRAFICA Come dicemmo, non esistono opere d’insieme sull’argomento, cosicché per ora bisogna contentarsi di spigolare le notizie sparse in numerose pubblicazioni d’indole affine. Indichiamo qui le più utili a un primo orientamento sulla questione : in esse si troveranno anche ulteriori informazioni bibliografiche. Tra le opere generali sono particolarmente importanti : Luzzatto, Storia economica (L’età moderna), Padova, 1934; Ehrenberg, Das Zeitalter der Fug-ger, Jena, 1890; Sieveking, Studio sulle finanze genovesi nel Medioevo e tri particolare sulla casa dì San Giorgio, trad. ital. negli « Atti della Società Ligure di Storia Patria », Genova, 1907 ; e la vecchia Storia di Genova del Canale: (Firenze, 1S54 e seguenti). — Sulla marina: Manfroni, Storia della Marina Italiana dalla caduta di Costantinopoli. Roma, 1807, e la copiosa bibl.ografia Do-riana e Colombiana. — Sul commercio e sui prestiti alla Corona spagnola: Girard, Les étrangers en Espagne au XYI et XVII siècle, negli « Annales d’Hi-stoire Economique et Sociale». 1933 (e anche Le commerce français à SevtTle et Cadix, dello stesso autore). — Per i Paesi Bassi Spagnoli : Goris, Les colonies méridionales à Anvers de 1488 à 1567, Louvain, 1025. — Sulla tratta degli schiavi : Scelle, Histoire politique de la traile négrière aux Indes de Castine, Paris, 1906. — Sul commercio con l’America nei primi tempi : Sayous, Le rôle des Génois loi's des premiers mouvements réguliers d9affaires entre VEspagne et le Nouveau Monde, nel « Boletìn de la Sociedad Geografica Na-cional » (Madrid 1932) e Almagià, Commercianti banchieri e armatori genovesi a Siviglia nei primi decenni del sec. XV/, nei « Rendiconti della R. Accademia dei Lincei, Scienze Morali », 1935. — In difesa della politica ufficiale di Genova nei confronti della Spagna : Dì Tuoci, Il cardinale Baiti voglio e la Spagna, Genova, 1935 e Vitale, Diploìnatici e consoli della Repubblica di Genova, negli « Atti della Società Ligure di Storia Patria », Genova, 1934 (pre- 74 ROBERTO LOPEZ fazione) ; si attende in proposito uno studio d’assieme al quale il Ciasca lavora da qualche tempo. Sui rapporti tra Stato e individuo a Genova : Lopez, Genova marinara nel Duecento, Benedetto Zaccaria, Milano, 1933 (prefazione). Ma tutta la storia dei Genovesi di Spagna dev’essere ancora ricostruita ex novo sui documenti dell’epoca. Tra questi i più agevoli da consultare sono le relazioni dei vari ambasciatori, solo parzialmente edite ; quelle inedite del-ΓArchivio di Stato di Genova sono catalogate in Vitale, op. cit. Importanti testimonianze sono anche gli Acta de lus Cortes de Castilla e gli scritti politicoeconomici del tempo (per quelli spagnoli cfr. la nota bibliografica del Girard, op. cit.; alcuni scrittori italiani sono utilizzati dal Volpe, Europa e Mediterraneo nel XVII e XVIII secolo, in Politica, 1923). Ma la messe di gran lunga più ricca sarebbe da mietere all’Archivio de Protocolos di Siviglia (per i primi decenni del sec. XVI i documenti di esso che riguardano l’America sono stati editi in regesto o per intero nel Catalogo de los fondos Americanos del Archivo de Protocolos de Sevilla, Sevilla, 1930 e 1932, in corso di pubblicazione), alle Sezioni notarili e San Giorgio dell’Archivio di Stato di Genova, all’Archivio di Simanca^ e a quelli delle varie provincie dell’antico Impero Spagnolo. La politica estera di Genova nei riguardi del Piemonte (1791-1793) LE CONTROVERSIE TRA GENOVA E LA CORTE DI TORINO. PORNASIO. Esaminare Patteggiamento di Genova verso la Corte di Torino, significa addentrarsi nel cuore della sua politica e trovare le chiavi per comprenderla. L’ orientamento verso la Francia, esplicatosi nell’ottobre del ’796 con una vera alleanza, fu causato in gran parte dall’avversione per il Piemonte. L’Austria, la Francia, la Spagna furono a volta a volta agli occhi del Serenissimo Governo punti d’appoggio per attuare quest’unico preciso fine : opporre un ostacolo insuperabile alle costanti aspirazioni della Corte di Torino verso il mare : l’Austria interessata a impedire un ingrandimento che avrebbe soffocato la Lombardia; la Francia contraria ad avere uno stato troppo forte ai confini occidentali; la Spagna sebbene senza possessi da salvaguardare, favorevole alla conservazione di un equilibrio di cui si era resa garante in Aquisgrana (trattato del 1748). Le missioni dei ministri Balbi a Vienna, Celesia a Madrid, Spinola e Massucone a Parigi, avevano in gran parte questo significato : indurre quei Governi a moderare l’orgoglio del Piemonte. Il problema che essi trattavano coi Ministri Esteri, era sempre, eternamente lo stesso, anche se per risolverlo adoperavano i mezzi più svariati : domanda di mediazione, di buoni uffici, d’intervento armato ; appello ai sentimenti di giustizia, di grandezza e d’onore dei Sovrani, alla santità dei Trattati. La Repubblica era instancabile e maestra nel mettere in rilievo il pregiudizio che l’ingrandimento territoriale del Piemonte avrebbe portato ai loro stessi interessi, a valorizzare la sua neutralità, a sfruttare le inimicizie tra Austria e Torino, ad approfittarsi dei disastri militari di quest’ultima per prenderla a tradimento. Miseria italiana ! Non appena lo Stato Sabaudo fiorì a nuova vita con Emanuele Filiberto, incominciarono a sorgere per Genova le preoccupazioni. La rivalità che si accentuò sempre più man mano che il Piemonte andò affermandosi, nel 700 divampò violenta, e sotto molti aspetti, per le armi che si adoperarono, indegna e meschina. 76 NINETTA SAVELLI Quanto più il Piemonte s’ingrandiva prendendo parte ai conflitti internazionali, (nel 1713 — Trattato di Utrecht — ottenne la Sicilia che Del 1720 — Trattato dell’Aia — gli fu mutata con la Sardegna; nel 1738 — Trattato di Vienna — ebbe il Tortonese, il Novarese, i feudi delle Langhe; nel 1748 «— Trattato d’Aquisgrana — l’alto Novarese, Vigevano, Voghera), tanto più cresceva per Genova il rischio di venire assorbita ; e quindi si acuivano l’odio e la gelosia. Il pericolo diventò maggiore quando il Re Sardo intensificò le sue mire di aprirsi uno sbocco al mare, accampando pretese sul distretto di Pornasio che divideva Oneglia dall’interno del Piemonte (x). Immaginarsi le ansie di Genova, che con un’intersecazione della sua riviera, correva il rischio di vedersi strappare quel monopolio commerciale che godeva da secoli ! È per questo che la contesa del piccolo stretto, per il gran disegno che velava, divenne punto sensibile del conflitto. Secondo il Serra, imprudente e poco accorto fu il contegno di Torino d’inquietare uno stato intermedio « tra lui e la Francia solo per acquistare un passo d’incerto vantaggio, per non proseguire come prima a valersi del libero transito che il Porto-Franco di Genova gli garantiva con ispesa minore della formazione di un porto in un lido aperto a tutte le procelle del mare » (2) ; ma il genovese Gerolamo Serra dimenticava o voleva dimenticare che il programma piemontese era un programma politico ! La contesa di Pornasio dette luogo a uno scambio interminabile di note e contronote, di memoriali e di lettere ; vi furono interessati giuristi e studiosi ; la stampa ne parlò ; per risolvere la controversia si risalì addietro nei secoli.... Genova possedeva Pornasio fin dal 1385. Ne aveva rinvestito sotto condizione di vassallaggio i Marchesi di Clavezana che gliel’avevano venduto. Una quarta parte del « Gius » utile feudale ed onorifico era appartenuto nel 1460 ai Conti di Tenda che lo avevano trapassato ai Duchi di Savoia ; semplice Gius utile e non vera sovranità. Pretendendo i Duchi di Savoia di estendere le acquistate pretensioni al supremo dominio ora di una sesta ed ora di una quarta parte del territorio, il Serenissimo Governo si era prestato nel 1596 a rimettere l’esame e definizione della controversia al Collegio dei Dottori di Bo- (*) Il Marchesato di Finale non aveva risolto la questione, perchè non ostante la vendita di Maria Teresa del 1743 era rimasto ai Genovesi a cui il Trattato d’Aquisgrana lo aveva riconosciuto. Oneglia, cittadina di 16 mila abitanti, apparteneva al Piemonte fin dal 1575, anno in cui Filiberto di Savoia l’aveva acquistata dalla famiglia Doria e l’aveva unita alla Contea di Nizza. (2) Girolamo Serra, Memorie per la Storia di Genova dagli ultimi anni del secolo XVIII alla fine delVanno 1814. « Soc. Lig. di Storia Patria », vol. XVII, Genova 1930, pag. 15. LA POLITICA ESTERA DI GENOVA 77 logna ; ma gli intrighi della Corte di Torino avevano impedito un giudizio definitivo, formulato invece nel 1673 da Luigi XIV, il quale aveva riconosciuto a Genova le ragioni allegate sopra le terre di Aurigo, Lavina, Montegrosso, e alla Casa di Savoia le sue pretensioni alla quarta parte della sovranità su Pornasio, dichiarando pero che la Repubblica rimaneva in possesso della sovranità intera della castellala. Nel 47 le truppe piemontesi se n’erano abusivamente impadronite ; ma Panno dopo, col trattato di pace, avevano do\uto restituirla (*). _ . Questo rifarsi al· ovo non giovò a nulla ; se anche teoricamente la ragione sembrò essere riconosciuta ai Genovesi, il Piemonte continuò ad accampare pretese, e Genova a protestare presso le Corti. Avremo occasione di scorrere spesso simili memorie in cui sono rievocati diligentemente Laudi, Convenzioni, Trattati e sono messi innanzi documenti antichissimi riesumati dagli archivi poh erosi do^ e dormivano da secoli.... Gli stessi documenti, interpretati in modo diverso, venivano allegati dai Commissari Piemontesi e da quelli Liguri a suffragio delle proprie affermazioni ; perciò è difficile in questo mare di cavilli e di contrasti crearci un’opinione e poter dire chi aveva torto ; 1 imbroglio dei fatti e la sottigliezza dei ragionamenti, formano un dedalo inestricabile. Del resto nelle controversie di confine il torto non è mai da una parte sola ; è umanamente impossibile una convivenza tranquilla tra paesani finitimi, che per questioncelle di fieno o di pascolo, passano con facilità dalle parole ai fatti e per motivi così da poco si avvelenano l’esistenza. Nel caso specifico del Piemonte e di Genova gli incidenti si ripetevano continui e gravi, e le promesse rinnovate da una parte e dall’altra d’intervenire e di porre un termine erano puramente formali, giochi di parole non credute nè da chi le diceva, nè da chi le stava a sentire. Si continuava ad andare avanti così, aspettando che qualche avvenimento politico favorevole assodasse le reciproche usurpazioni. Le invocazioni insistenti della Repubblica alle Corti giovavano fino a un certo punto ; ed è naturale che fosse così ; quale scarso interesse dovevano avere simili beghe di confine per le Nazioni, tutte ugualmente coinvolte nel conflitto scatenato dalla Rivoluzione ! Qualche volta i Ministri Esteri non si facevano scrupolo di dichiararlo apertamente agli Ambasciatori Genovesi ; non mancavano le risposte brusche e quelle ironiche; qualche volta invece, promettevano d’intervenire e si proponevano sul serio di trovare un mezzo (1) A. S. G., Lettere Ministri Spagna, mazzo 75, 2484; Dispaccio di Celesia, Aranjuez, 26 febbraio 1793. - R. B. U. G., Scritti politici Genovesi dal 1790 la 1814; Memoriale del 1790 in risposta a una nota del Cav. Nomis. 78 NINETTA SAVELLI termine innocuo, atto a conciliare quelle liti « astrusissime, astiose, inestricabili » (*) ; ma in ogni modo erano sempre promesse vaghe. E i voluminosi memoriali in cui erano riassunte le ragioni del dissidio tra l’attivo, inquieto aggressore e il circospetto e paziente difensore », rimanevano a lungo non tocchi sul tavolo dei ministri e dei diplomatici. Tanto più poi, che il chiedere la mediazione di tre Potenze nello stesso tempo era impolitico e rendeva impossibile un intervento energico di esse, anche se fossero state animate da buone intenzioni. L’Austria era gelosa della Spagna; questa di quella; quanto alla Francia si dolse apertamente attraverso il Barone di Choiseul, suo Ministro a Torino, che la Serenissima Repubblica non avesse avuto in lei confidenza e non fosse intervenuta al momento buono. Quando il Conte di Peronne era entrato nel Ministero « voglioso di fare il contrario del suo antecessore », e quando il Re nuovo al Trono non aveva ancora avuto il tempo di essere prevenuto dai ministri, allora Genova avrebbe dovuto comperare per pochi milioni il Principato di Monaco e cederlo al Re di Sardegna insieme col distretto di Yentimiglia. Come cambio Egli avrebbe certamente concesso Oneglia, Loano, Carosio e quelle altre terricciole che intersecavano il territorio Ligure (2). Ma vedere poi'quello che si sarebbe dovuto fare prima era perfettamente inutile. Diciamo piuttosto che il risolvere le controversie era impossibile perchè i due Governi procedevano con troppa malafede ; e sebbene nelle note agrodolci che si scambiavano dichiarassero di volerci porre un termine, in realtà l’intenzione segreta era quella di continuarle e di pregiudicarsi a vicenda. La Corte di Torino era persuasa che Genova si prevalesse dei tumulti di Francia e dello spirito d’insurrezione che gli agenti democratici si studiavano di eccitare, per assumere un contegno di litigio sopra questioni appena disputabili: Genova che la Corte di Torino anelasse a impadronirsi delle sue riviere, mentre essa attraverso la legale discussione non mirava che a preservare i suoi domini. Prevenute e suggestionate, approfondivano i solchi del dissidio anziché appianarli e unirsi in un’alleanza utile per entrambe. Ninetta Savelli (continua) (*) A. S. G., Lettere Ministri Spagna, mazzo 74, 2483; Dispaccio di Celesta, Madrid. 1 febbraio 1791. (2) A. S. G., Lettere Ministri Torino, mazzo 25, 2512; Dispaccio di Oderico9 Torino, 27 aprile 1791. Λ1 OSSERVATORI GENOVESI DELLA RIVOLUZIONE DI FRANCIA CRISTOFORO VINCENZO SPINOLA II. (Continuazione e fine - V. numero precedente) Il dispaccio ufficiale del 24 aprile espone con precisa chiarezza le contrastanti speranze delle parti in contesa : « Il Partito Aristocratico ha veduto qui con tutto il piacere scoppiare la guerra, sperando che non potendo il Partito Dominante in alcun modo resistere alle forze austro-prussiane e a quelle delle altre corti alleate, sarà al primo incontro completamente battuto ; e quindi sulla caduta del-Pattuale demagogico sistema, Pantico governo verrà senza ostacolo ristabilito in Francia ; li geniali democratici credono invece che l’Europa intiera non basti a resistere al coraggio ed alPentusiasino nazionale, inspirati dalla nuova Costituzione e molto più ancora che sul numero e valore delle lor truppe, contano sopra i mezzi di seduzione, che metteranno in opera, per invitare le altrui alla discrezione e per sollevare i popoli, con spargere massime di libertà di eguaglianza e di filantropia;, e con Pispirar loro un odio implacabile contro de’ rispettivi governi, dipingendoli come oppressivi e dispotici. ». Esagerazione e illusione da un lato e dall’altro; e le delusioni non si faranno attendere; meno male che l’Assemblea· ha preso saggi provvedimenti per impedire saccheggi e violenze e per ricordare che la guerra è stata dichiarata al re di Boemia e d’Ungheria, non ai cittadini francesi, qualunque sia il loro colore. Dispacci e lettere da· questo momento seguono minutamente le operazioni militari ed è naturale che non rivelino fatti nuovi. Piuttosto anche qui hanno maggiore importanza i giudizi e i commenti che accompagnano la narrazione, ispirati ormai a una sdegnosa avversione e a un fremito di orrore per il massacro del generale Dil-lon e per le minacce e le violenze di un esercito ancora disordinato ed informe, avviato per lo sfrenato contegno delle truppe a inevitabili rovesci. « Malgrado l’ostinata opinione di alcuni spiriti entusiastici o affascinati forse dalle seducenti massime filosofiche, sulle quali si è preteso di appoggiare la rivoluzione di Francia, quasi tutte le persone sensate si accordano in augurare poco felicemente delle sue operazioni militari, perchè precipitate indiscretamente da 80 VITO VITALE una fazione rabbiosa, piuttosto che risolute dalla volontà generale, dirette da un ministero esagerato ed ignorante affatto degli affari politici ed eseguite da generali non abbastanza sperimentati e sopra tutto da truppa indisciplinata mancante di buoni ufficiali, sciolta dalla dovuta subordinazione ed abbandonata ad ogni specie di corruzione e di sfrenatezza », scrive il 5 maggio e dopo i primi tentativi di ristabilire la disciplina, osserva : « non è facile il far entrare in ima subordinazione totalmente passiva le truppe dopo di aver con massime di eguaglianza troppo dilatata distrutta la forza delle opinioni verso gli ufficiali e disorganizzata affatto la testa dei soldati ». A misura che le vicende si fanno più drammatiche si anima anche la dimessa prosa dei dispacci divenuti ora regolarmente bisettimanali. I rovesci si succedono, cominciano le accuse contro il supposto famoso comitato austriaco delle TuiUeri.es (x), la Guardia Reale è sciolta, si ordina il campo trincerato sotto Parigi, destinato « à repausser les 60 mille brigands que renferme (dit-on) cette capitale », la sicurezza personale del Re e della sua famiglia sono in pericolo. Nelle lettere rapidamente incalzantisi si sente rumoreggiare la tempesta. Il Re indugia a firmare il decreto sul campo trincerato e sulla deportazione dei preti refrattari, tanto più che c’è in proposito una profonda scissione nella stessa Guardia Nazionale e nel Club degli Amici della Costituzione : in una settimana si sono avuti dne cambiamenti di Ministeri; la lettera del Lafavette all’Assem· blea contro il Club dei Giacobini ha ancora acuito le passioni ; Paria è corsa da presagi di imminenti e più gravi sventure : « Une fermentation sourde regne dans Paris ; les propriétaires et les gents hon-netes soupirent après cette tranquillité dont on les berce depuis longtemps inutilement ; a la Cour y remarque une tristesse sombre qui fait de la peine. Notre pauvre Roi sent vivement tous les malheurs de ce pays ci ». Parole del 19 giugno, che preannunciano l’uragano; perché il veto reale ai due decreti, il licenziamento dei ministri più accesi, la lieve ripresa degli elementi moderati all’assemblea, « avendo fatto apprendere ai faziosi del partito dominante di essere affatto perduti nell’opinione di tutte le oneste persone » li determina al tentativo insurrezionale e alla scandalosa violenza del 20 giugno « che avvilisce egualmente la monarchia e la nazione ». i1) « Secondo tutte le apparenze, le pretese macchinazioni e complotti altra sussistenza e realtà non avevano senonchè nella mente di chi vorrebbe eccitare delle insurrezioni per profittare del disordine » (29 maggio). Egualmente nelle lettere 22 e 29 maggio al Celesia accenna all’accusa mossa dal giornalista Carra agli ex Ministri Bertrand e Montmorin. « Vous aurez lu sans doute tout ce qui a été dit sur le pretendu comité autrichien; je ne crois pas qu’on ose faire reparoitre ce fantome, mais cela ne veut pas dire qu’on ne poursuivra pas Μ. M. de Montmorin et Bertrand ». OSSERVATÓRI GENOVESI DELLA RIVOLUZIONE DI FRANCIA 81 I dispacci del 23 e 26 giugno vibrano di commosso sdegno nella narrazione dei particolari del tumulto e della fermezza del Re, « che dimostrò una calma e un coraggio veramente ammirabili e superiori alle particolari circostanze ». Anche più espressiva la lettera del 26 : « Je n’ai pas le courage, Monsieur et cher ami, de vous peindre la journée de mercredi dernier, les papiers publics vous auront assez instruit : je frissonne encore à la seule idée du danger qu’ont couru le plus courageux des Rois et son auguste Compagne : qu’ils ont été grand ce jour-là î Leurs Majestés ont montré cette fermeté que seule peuvent inspirer une bonne conscience et l’assurance du bien qu’ils ont toujours voulu vis-à-vis d’un peuple égaré par des factieux. Madame Elisa-bette n’à pas quitté le Roi et le Dauphine son Auguste Mère. Que dira la France, l’Europe entière à la nouvelle d’un tel événement? On craignoit pour hier une nouvelle tentative mais on assure que toutes les mesures étoient prises pour répousser la force par la force, aussi n’a-t-on vu aucune insurrection. Une seule députation du faux bourg st. Antoine s’est présentée à l’Assemblée. Elle était composée de vingt personnes sans armes, elle a cherché dans son discours patriotique à s’excuser sur les événements du 20 de ce mois. Elle a reçu les honneurs de la séance. Madame de Ginestons n’a pas quitté sa Princesse qu’à passé la. journée de mercredi chez la Reine. Elle étoit hier à son poste: voilà le seul conseil que j’ai cru devoir lui donner, et son coeur étoit très disposé à le suivre malgré sa consternation et sa douleur.... Toutes les honnetes gents sont effectés de la sensation que doit produire la conduite des factieux et la presque totalité de la Garde Nationale qui croit son honneur compromis veut, dit-on, le reparer à prix de son sang ». Perciò, pur senza farsi soverchie illusioni, lo Spinola spera ancora che gli elementi moderati si stringano, nella spaventosa crisi, intorno al Re, per il quale sembrano accrescersi nel pericolo le sue simpatie. Ma la reazione che per un momento ha riunito in uno sforzo comune contro la violenza demagogica i ben intenzionati svanisce di fronte alla ripresa degli atteggiamenti più accesi. L’intervento di Lafayette rimane inefficace e la commozione destate nell’Assemblea dal patetico discorso del Vescovo di Lione, Lamourette, (il celebre ÌHtÀser Lamourette) ha risultati effimeri, come « non sembra sperabile che cessar debbano le differenze, le passioni e gli opposti interessi che dividono non solo i legislatori, ma tutta la nazione ». I giornali già parlano sarcasticamente della riconciliazione che aveva tutti commosso e un violento discorso di Brissot, nel quale sono rinnovate le consuete accuse a-1 Re e ai Ministri, ha dall’As-semblea l’onore della stampa. La breve tregua è già finita; se il focoso oratore si è proposto 82 VITO VITALE di render vano il tentativo di pacificazione e di privare il Re di consiglieri onesti e volenterosi, ha raggiunto l’intento. I nuovi ministri si dimettono, l’amministrazione rimane incagliata e disorganizzata, « nè si arriva a comprendere come il Corpo Legislativo non si avveda che con la persecuzione irreconciliabile che esercita contro tutti gli agenti del Potere Esecutivo, viene a distruggere col fatto quella stessa responsabilità di cui vorrebbe caricarli ». Per di più, contro il parere del Dipartimento di Parigi e del Re, Pétion è giustificato degli addebiti mossigli per i fatti del 20 giugno e reintegrato nell’ufficio di maire. « Non si può credere la piacevole sensazione che ha fatto nel Partito Giacobino e nella bassa plebe la riammissione del signor Pétion ; non è per altro da presumersi che un’eguale soddisfazione venga ricevuta dalla classe dei cittadini possidenti ed interessati a veder una volta rimpiazzata l’anarchia popolare dalla dominazione della legge e delle autorità costituite ». Le vicende della guerra eccitano anche più gli animi : la patria è dichiarata in pericolo, comincia e si fa sempre più intenso l’arruolamento dei volontari ; e il fenomeno del nuovo spirito patriottico attira l’attenzione e l’ammirazione dell’ambasciatore — « Le patriotisme françois — scrive il 31 luglio — fait enrôler beaucoup de particuliers de tout age, tout taille. Chacun se porte aux frontières avec désir de deffendre la Patrie qui est menacée par les ennemis du dehors et dechirée par les intrigues et les divisions du dedans ». Intanto si rinnovano all’Assemblea le accuse e le proposte di destituzione e di decadenza del Re ; « si vede che la fazione, quale ha provocato la guerra vorrebbe rigettarne tutte le fatali conseguenze sul Monarca ». Eppure non si è che al principio, l’azione combinata austro-prussiana avrà luogo dopo la metà d’agosto, quando sarà stato pubblicato un manifesto; e di quello che sarà il famoso proclama del Brunswick lo Spinola dà notizia e riassunto sin dal 24 luglio e ne riparla il 31. Anzi queste sue lettere dimostrano che il movimento antimonarchico è giunto al parossismo anche prima che il manifesto sia pubblicato, e che il partito repubblicano domina ormai interamente l’Assemblea e sembra che i faziosi giacobini « siano intenzionati di facilitare al possibile l’invasione delle truppe estere col fomento di nuove divisioni e disgustando tutti gli onesti cittadini, quali cominciano ad accorgersi che essendo annientato ogni sorte di governo repressivo dell’anarchia e della licenza, le loro proprietà e le loro vite restano esposte ai capricci e all’ingordigia della più infima plebe ». « Nous touchons — scrive ancora il 31 luglio al Celesia — un moment décisif pour le salut de la France. Un parti dominant gouverne toujours l’Assem-blée. La semaine a été fort orageuse, il y a été souvent question de la OSSERVATORI GENOVESI DELLA RIVOLUZIONE DI FRANCIA 83 suspension et de la déchéance du Monarque; un grand nombre de pétitions insistoient pour ces mesures inconstitutionnelles et im-politiques; on a cherché à susciter des mouvements dans le peuple. Les Fédérés Bretons arrivés jeudi unis à quelques habitans du faux bourg St. Antoine ont voulu se porter vendredi aux armes et tumultueusement à 1’Assemblée et au chateau ; le tocsin a sonné toute la journée ». Questo tumulto del 26, che minaccia di rinnovare le scene del 20 giugno e la successiva rissa violenta tra i Marsigliesi riuniti a banchetto dal San terre e la Guardia Nazionale preludono all’insurrezione giacobina del 10 agosto provocata, secondo lo Spinola, non tanto dalla pubblicazione del proclama che « ha fatto qui pochissima impressione » (x) quanto dalle insistenti richieste di deposizione del Re portate all’Assemblea anche dal maire Pétion a nome delle Sezioni della Comune di Parigi. « Les 48 Sections de Paris — scrive il 6 agosto — par Porgane de M. Pétion ont demandé à l’Assemblée la déchéance du Roi et de la dinastie actuellement régnante. L’Assemblée a rémis l’examen de cette grande question à jeudi prochain, quelques unes de ces sections individuellement ont désavoué cette démarche d’autres Pont appuyé par une nouvelle adresse particulière que l’Assemblée a du casser comme illegale et inconstitutionnelle ; mille pétitions ont été faites à ce sujet; il paroit que le parti dominant est décidé de la prononcer, mais l’importance d’une telle démarche me paroit si grande que j’ai de la peine à croire que l’Assemblée se décide à prononcer jeudi. J’immagine que la sagesse la portera à suspendre la décision et à peser toutes les conséquences d’une telle demarche qui pourroit avoir les suites les plus fâcheuses. En attendant ce grand jour les allertes sont frequentes au chateau, presque toutes les nuits on a des avis pour une attaque imprevue, tantôt c’est parce qu’on répand que le Roi est parti, tantôt c’est l’annonce d’une visite nocturne des fauxbourgs. Le fédérés Marseillois y jouent grand rôle; la Garde Nationale est infatigable et fort impressée a courir au chateau ce qui preuve son attachement pour le Monarque et pour la famille royale, qu’elle deffendra de tout son pouvoir ». Speranze anche queste destinate a rapido tramonto ; i dispacci delPll agosto e dei giorni successivi non contengono commenti — e non ne avrebbero bisogno — alla narrazione drammatica di quella che lo Spinola chiama giustamente nuova rivoluzione. È un peccato che sia scomparsa la lettera del 14 agosto al Celesia; rimane sol- (*) Egualmente al Celesia (6 agosto) : « Elle n’a pas fait la sensation qu’on auroit du croire dans le public. L’Assemblée a passé a l’ordre du jour lorsqu’elle y a été denoncée; bien de gens auroient désiré,, qu’elle eut contenu des termes conciliatoires et on regrette généralement qu’elle aye paru trop tôt, c’est h dire avant l’entrée des troupes austro-prussienes ». 84 VITO VITALE tanto un foglietto con l'annuncio che : « madame votre fille se port bien après les evenements de la journée de vendredi dernier . Elle m’a écrit à ma campagne pour me tranquilliser sur son compte ». Avvenuto l’arresto e il trasporto della Principessa di Lamballe alla Force, la Gineston desiderava ottenere un passaporto per mezzo dello Spinola ; ma, date le severe e complicate misure addottate dalla Municipalità, egli riteneva pericoloso l’insistere; meglio era non attirare in alcun modo l’attenzione. Per parte sua, egli aveva potuto condurre la propria famiglia in una villa a qualche lega da Parigi, dove la Gineston la raggiunse seguendola poi a Londra. Lo Spinola non aveva soverchia fiducia neanche nel passaporto ottenuto per entrare e uscire da Parigi : « Je suis entré à Paris bien facilment — dice il 21 agosto — je ne repondrai pas d’en sortir de même, sour-tout depuis ce qui est arrivé hier au soir à l’ambassadeur de Venise » al quale la folla ha proibito di lasciare Parigi. Dopo l’abbattimento della monarchia e le eccezionali misure prese dall’assemblea con le perquisizioni e gli arresti dei sospetti, l’ordine non è più stato turbato ma tutti sono persuasi che in caso di successi del nemico « il partito dominante e il popolo si porterebbero a delle stragi, a delle devastazioni, a dei massacri contro li beni e le persona di tutti quelli che o per vincolo di parentela o per amicizia avessero dei rapporti colli emigrati ». Durante le perquisizioni domiciliari anche le abitazioni di molti rappresentanti esteri sono visitate ; « nessuno però si è presentato alla mia casa, onde io posso vantarmi di essere stato trattato in detto incontro con ogni riguardo » (14 settembre). La presa di Longwy e, dopo incerte e contrastanti notizie, il precoce annuncio della caduta di Verdun provocano nuove agitazioni, e la voce che i malcontenti si preparino ad aprire le carceri e ad armare i prigionieri contro i patrioti determina i famigerati massacri di settembre. La narrazione dello Spinola che ormai vive in campagna ne è breve e quasi distratta. Le vittime, secondo lui, ascendono « a quattro o cinque mila o anche più, ma è difficile avere dei dettagli precisi e circostanziati in mezzo ad una agitazione generale ». La cifra infatti è certamente eccessiva, tanto più che è data il giorno 4, prima che le stragi siano cessate. Anche l’assemblea è divenuta impotente « trovandosi affatto disorganizzata la forza pubblica e la Guardia Nazionale, essa non potrebbe impedire sì fatti eccessi, malgrado che ne avesse la più decisa intenzione ». Ormai l’oscura lotta tra la Legislativa e il Comune di Parigi si delinea nettamente in favore del Comune e dell’elemento più acceso e violento. Col racconto di questi sanguinosi episodi, accompagnato tuttavia dal rilievo delPentusiasmo col quale i volontari vanno alla OSSERVATORI GENOVESI DELLA RIVOLUZIONE DI FRANCIA 85 guerra (*) e con le speranze
  • vente anche hanno luogo metatesi quando una data forma è associata, o per il suono o per il senso, con altre forme, e così ne risultano specie di contaminazioni. Pertanto le circostanze, che determinano una metatesi, possono essere multiple, e non v’è dominio, ove sia più diffìcile che in questo distinguere i cambiamenti fonetici da quelli analogici. La metatesi può colpire due fonemi vicini (metatesi di contatto) o due fonemi che sono separati da altri (metatesi a distanza)·, in quest’ultimo ca^ può darsi anche che due fonemi subiscano una trasposizione cambiando muralmente il loro posto (metatesi reciproca a distanza). Il ligure, a somiglianza del greco, del latino e dell’italiano conosce queste tre metatesi; qui mi limitelo a studiare il fenomeno per quanto concerne la liquida r, perchè è la metatesi più frequente. La divisione per formolo (x), fatta dal Parodi, non mi pare del tutto esatta, e perciò non la seguo. 1. Metatesi di contatto. Questa trasposizione avviene anticipando o posticipando, nella medesima sillaba, il r. Esempi del primo caso sono: brenusu «bernusse, brenazio» dall’arabo bornos «pannilano ; veste con capuccio». drafin «delfino» dal lat. delphinus, cfr. camp, drofinu. drumi «dormire» è plebeo, cfr. il nov. dròmi; il Meyer-Liibke dice del resto che una forma dromir si trova nei dialetti dell’Italia settentrionale, nel retoromanzo, nel fr., nel prov. e nel port. fréza «felce» da *féreza con dileguo della vocale postonica, da fìlex* -ice. i1) a) La forinola cons. + voc. + cons. + R passa nella forinola cons. -f R + voc. + cons. b) Riesce al medesimo risultato la forinola tonica cons. + voc. + R + cons., quando il r sia seguito da certe determinate continue, cioè da s e £, da z e v. Se la forinola è atona, la norma si estende a q ial< he altra consonante, ma in ispecie l’influenza letteraria ne ha ristretta l’azione, c) Alcuni casi del passaggio della formola atona cons. + R + voc. + cons. in cons. + voc. + R + cons. 100 ANTONIO GIUSTI friliû (e poi frillu) si chiama nel gioco quella carta che non ha alcun valoie, dall’ait. ferlino (cfr. afr. ferling e sp. ferlin dalTanglosassone/eo-derling «quarto di moneta») che era una moneta antica equivalente alla quarta parte del denaro o danajo. frum â ggu «formaggio» forma plebeo, cfr. il fr. fromage, il prov. fro-matge e anche il vaud. fromd. Da forma, * formativa. fr unii g a a «formica» (cfr. il toscano formicola), è forma plebea; da formicula;· grifi d un dal precedente gir indù n «comodino» con dileguo dell’i protonico, dal fr. guéridon. g rum ètte (anche g ur métte) «orecchioni; barbazzale», dal fr. gourmettes. i ù p r e m ü Â (= «permutare») «prendere a prestito», forma ora solo del contado. insprìtà (da *inspirta) «far spiritare uno (inveendo contro di lui)», kotre «nave a vela » dall-ingl. cutter «canotto», króvu o króu «corvo» da corvus, cfr. il pav. krof. Kruvéttu «Corvetto» (piazza C.)» plebeo per Knrvéttu. kr u am in e «corbame» termine marinaresco, da corbis. krusia «corsia» termine marinaresco, da cursus. Pr avez in da Paraveziù (Paravexinna si legge in antiche rime genovesi) con dileguo delFa protonico, preké «jerchè» è plebeo e bambinesco. p rii za «pnlce» da pùreza (da pulex, -ice) con dileguo dell-e postonico; cfr. il pai in. pluga e il piac. pliiga. pryamóusu costruito su depryamâ (da de-per-am a) nella frase avéysene depryamâ «aveisene a male». Nei dialetti occidentali (per es. a Cogoleto) si dice p y ani au su e depyamà. stranüâ (cfr. strantlu) «starnutare; starnuto» da sternutare; cfr. il rum. stranuta, il sic. stranutari, il lomb. straniidar. il friul. stranudd. Anche l’it. conosce le forme stranutare e stranuto per influsso forse del prefisso stra-, giac< hè Fazione esc rcitata dal di fuori sui fonemi di una parola non si limita sovente alla sola metatesi, stri li ή «stellino, marca»; il Casaccia dice «scontrino di rame, ottone, bitta od altro fatto a foggia di moneta, che si dà ai facchini per riscontrare il numero della sacca di grano, dei barili di vino od altre mercanzie agli stessi consegnate per trarportarsi da un luogo all’altro», stri lina «sterlina». stroSà «rompere, schiantare, dinoccolare, slegare» da extorquere, cfr. il 1θ2Γ. istrokire e l’asp. estrecer; in it. si ha storcere. La derivazione del Parodi da *torsiare non convince, s krupyùn «tarantola» da scorpius, è forma plebea, cfr. camp, skraboni «scorpione». strunéllu « stornello» da sturnius, cfr. strumel e striimel nel dialetto di Castel linaldo (Piemonte) e il log. istruneddu. APPUNTI SUL DIALETTO LIGURE 101 stüâu (nei dialetti occidentali, per es. a Cogoleto, anche tüSu) «torso, torsolo» da *tursus (cfr. il gr. Ότ3ρσος). Nell’afr. nel prov. e nel rat. si ha troSf donde lo sp. trozo e il port, troço; cfr. anche il ted. strunk. trakanóttn « tarcagnotto» derivato da tarchiato, che è di incerta etimologia. Secondo alcuni, da «tarchia», che è una sorta di vela grossolana che si porta al vento con un perticone diagonale; secondo altri, da *taricato dal gr. τάριχος, ταριχεύειν «affumicare, salare», onde in origine avrebbe indicato membra asciutte e dure come un pesce salato, tratüga (anche tartaruga) «tartaruga» dal gr. ταρταροϋχος. truméùtu «tormento» voce plebea; metaforicamente con essa si indica anche un ragazzo troppo vispo ed irrequieto, da tormentum e cfr. il log. trumentu. Esempi del secondo caso sono: ber tèi lo dal fr. bretelle, bertuéli «cavolini, rimessitticci del cavolo» dal got. bruts «bottone, gemma», cfr. l’aated. broz e il ligure bruti «germogliare» e bràttu « zermoglio, rampollo», fernéllu (di solito però frenéllu) «frenello» termine marinaresco, da frenum. garba (cfr. garbu) «bucare, buco» termine plebeo e dei dialetti occidentali (per es. quello di Cogoleto), cfr. il gen. sgarbelà «scalfire, scalfiggere». Risale probabilmente a graphium «stilo» dal gr. γράφω «incidere, incavare», cfr. il fr. graver e lo sp. grabar. kurcéttu «ganghero» dal fr. crochet (derivato da un antico nordico krokr «uncino»), cfr. lo sp. corchete e il pirt. colchete. kursó «CDgiolo» d'etimologia controversa. L’it. crogiolare, forma attenuata di crogiare, deriva forse dal lat. cruciare che ebbe il senso di tormentare, ma fu anche usato per indicare infuocare, fondere riferito a metalli (cfr. Plinio n. li. XXXIII 20). Derivato è kurséttu «specie di lasagna tonda, su cui da una parte è impresso un rabesco mediante una stampa di legno; essa staccasi dalla sfoglia (krusta) col tagliapaste di legno, che e un disco alquanto incavato con orlo acconcio a tagliar la pasta» (Casaccia). Wilielmus Cru-setus si legge nel cartolario del notaio Giovanni Scriba in Monum. hist. patriae VII, Chart. II pag, 329; Crusetiis, scrive il Parodi, sarà l’odierno genovese kurséttu. purceàuù «processione» forma plebea per la più comune pruceèuù. s y àrdua «trottola» da zirandura, cfr. zi r an dore «giri» in un’antica traduzione della Gerusalemme Liberata (x). (x) Ra Gerusalemme delivera dro Signor Torquato Tasso tradùta da diversi in lengua zeneise. In Zena in ra stamparla de Tarigo. MDCCLV. Canto XIII ottava 38. 102 ANTONIO GIUSTI Note. I. In bri gaso t-tu, per dissimilazione da b rii gasottu, (nell’espressione figu brigasottu «fico brogiotto») forse è da vedere, col Parodi, una metatesi, cfr. il fr. bourjassotte. Non concordo invece col Parodi nel considerare metatesi strepi (onde stréppu e streputi); come l’italiano strappare, esso è una derivazione del got. strappan (cfr. Meyer-Lübke, Boni. Wort. 8290 b.). E così pure pursémmu «prezzemolo» non è una metatesi, come crede lo stesso Parodi, poiché deriva da petroselinutn: la metatesi è piuttosto nell’it. prezzemolo. II. La metatesi di contatto è nota al greco, al latino e aH’italiano. Per il primo caso cfr. per il gr.: στρέφος da στέρφος «cuoio», τρομάν da τορμάν (= τολμάν) «osaie»; per il lat.: intrepella da interpella; per l’it.* oltre i casi già ricordati, rebiglia (onde poi mbiglia) da er-vilia, ramolaccio da armoraciu (qui forse c’entra piuttosto l'influsso di ramo). Per il secondo caso cfr. per il gr.: Άφορδίτη per Αφροδίτη «Afrodite», κορκόδειλος por κροκόδειλος «coccodrillo», πόρσωπον per πρόσωπον «volto» eco·; per il lat. tarpessita «cambiavalute, banchiere» accnnto a trapezita (dal gr. τραπεζίτης), corcodilus accanto a crocodilus (nel lat. medievale cocodril-lus), interpertor per 'interpretor, corcotarius per crocotarius, per l’it.: madornale da matronale, farnetico da phreneticu, formenio da frumentu ecc. 2. Metatesi a distanza. Que:-ta trasposizione si ha quando il r viene anticipato o posticipato in un’altra sillaba. Esempi di melatesi a movimento regressivo sono: abrétyu = ad arbitrium «a fifone, alla carlona, alla peggio» da *ar-bétryu, arbrétyn; arbétrio si legge ancora in antiche rime genovesi, ar vi «aprile» da aprilis. arvi «aprire» da aperire. dréntu «dentro» (in it. anche «drento») da deintro. drübéttn (meno frequente durbéttu) «coltre bianca» dal fr. doblete, da duplus. fràvegn «orefice» da *fabricu> cfr. lo sp. fra gu a r, il port, fragoar. Anche adesso, in bocca di plebei, si sentono frdbika e frabika per fàbrika e fabrika; cfr. anche campob. frdveka. frevfi «febbraio» da februarius, cfr, il log. freardeu. fréve «febbre» da febris9 cfr. il parm. freva» il cal. freve, il campob. freva, il log. frea «paura». Derivati: frevàssa, frev^tta. gravalun «calabrone» da calaòronus, cfr. il pav. gravalón; nel Registro della Curia Arcivescovile di Genova (edito dnl Belgrano in Atti della Società ligure di Storia Patria, vol. II, part. II, pag. 29) si legge Otto calabronus. Ha torto il Parodi a vedere in gravalun un fenomeno di epentesi di a. inkrastâ (cfr. inkràstu) «incastrare, incastro» da incastrare. APPUNTI SUL DIALETTO LIGURE 103 intrégu «intiero» da integer; la stessa metatesi si ha nel venez., nel lomb. e nel parai., cfr. indire il log. intreuf il rum. intreg, il vegl. in-trik, Fasp. intrego, l’afr. entre. La pronuncia piana della parola risale al lat. volgare, nel quale la penultima davanti a muta -f- r ο l, quantunque breve, porta l’accento; e così si ha intégru per integru, cfr. anche tenébrae invece di ténebrae i1). krastA (si dice anche akkrastâ e akkrastunfi) «castrare» da castrare, cfr. il log. Icrastare, il prov. eresiar, il port, crastar. Derivato è krastuù «castrato», krastunéttu, cfr. il sic. krastu. kràva «capra» da capra, cfr. il log. Icraba, il piem. krava, il nap. e campob. krapa, il camp, kraba (krabistu), il sass. krabba. Derivati: kravétta, kravétta, kravetd. kràvia «capra» è pure denominata una macchina a cavalletto. Del resto sappiamo che capreoli erano chiamati dai latini anche dei travicelli destinati a far da puntello (Vitruvio IV 2, 1 e Cesare b. c. II 10). kruvi «coprire» da cooperire. < ompost:: kroviléttu, kròvimiséya, krovioége, krovipé, ecc. lérfu (cfr. lgrfun «celione») «labbro», si dice spccialm nte degli animali. È d’origine tedesca : aat. leffur «labbro», mat. le/s, svizzero-tedesco leftze. Cfr. il toscano (livornese) hrfìe e il cors, lerfa. pria «pietra» (in it. prêta appartenne alla lingua letteraria fino al Sal-viati) da jietra, cfr. il log. predule. Derivato è prinnA «sassata». Nei composti si ha invece pietrifika-siiin, pie tri fi ki eoe. priìbiku e repiübika sono plebei; il secondo si incontra però anche in antiche rime. Cfr. campob. prùbbeka specie di moneta della Repubblica Partenopea, p u d r ti g a « podagra » dal gr. ποδάγρα « gotta ». skruvi ««coprire» da discooperire. Clr, kruvi. sur va o sur ve (cfr. suttesurva e suttesurvia; in antiche rime si trova sott'e sor via) «sopra» da super, supra. Numerosi sono i composti, trifola «tartufo» da tuber «bulbo» (cfr. l’osco ed etrusco tufer), cfr. il lomb. e piem. irifula, il vaud. triifla e trtfle, il tcd. triiffel. Derivato è tri fu Ica «taglieretto da tartufi», trige per tigre «tigre» è plebeo o bambinesco. trunii «toi aie» (o tuonare e anticamente anche tronare) da tonare, cfr. il log. tronarey il prov. cat. e sp. tronar, il port, troar. Derivato è tran, cfr. il log. tronu, il prov. cat. trot lo sp. irueno, il port, troni. (*) W. M. Linosa y osservò in American Journal of Philology XIV p. 319 che Nevio accentava intégrum, come le lingue neolatine. Cfr. anche F. Marx, Die Beziehungen d(s Altlateins zum Spàtìatein in Neue Jahrbiiclier 1909 p. 434 sgg. ANTONIO GIUSTI vréddu (anticam nte vréao, vrén) «vetro» è della plebe, da vitrum; cfr. il sass. vrecldu e vrera «invetriata» nel dialetto di Pi vero ne (Piemonte). Esempi di met itesi a movimento progressivo sono: calibrati! per carbatii da óar voce onom itopeica che significa «diro, chiacchierare, ecc. ». magràri «palombaro; (s)mergo» da mergus. Nel cartolario del notaio Scriba (v. sopra) è detto Rainaldus margon e Rainaldus margonus (pag. 303). sa v èrg il per sarvégu «selvatico» è del contado, da saloaticus. sufranin (cfr. l’antico sorfane) «zolfanello» da sulphur, cfr. il fr. soufre, il prov. solfre, il cat. sofre, lo sp. azufre^ il port, enxofre. Note. I. L’odierno sagou (o sdgau) dipende da un anteriore siigaru (sarago si legge nelle Carte latine), il quale per metatesi deriva <'a sargus; cfr. il sic. sdraku e sdgaru, il tarent, sarye, il fr. sarge, il cat. sarCy lo sp. e port, sargo. II. Anche qnesta metatesi non è ignota al gr. ni lat. e «ill’it. Metatesi a movimento regressivo sono: in gr. κάτροπτον da κάτοπτρον «specchio», τράφος da τάφρος «fossato» e in gr. moderno πρικός da πικρός «amaro, acerbo»; in lat. pristinum dΛ pistrinum (Pianto Persa 420), Prancatius di Pancratius (sovente nelle iscrizioni); in it. capreslo da capestro (cfr. port, cabresto), strupo (Pnlei 7, 11; 9, 77) da stupro. Metatesi a movimento progressivo sono: in gr. ένκότραφος da κρόταφος «tempia»; in lat. tadro da trado, cocodriltus da crocodilus (o corcodilus), interpetrationem (Corpus, Inscr. Lat. Ili 28S0) da interpretationem; in it. interpetreda interprete, cfr. il port, pesebre da praesèpe. 3. Metatesi reciproca a distanza. Tranne qnalche ciso, qnesta met itesi si esercita qaasi esclusivamente su parole d’origine non popolare. Si hanno gli esempi: del e ri tu per dere li in è plebeo. iùbrnmme, attraverso *i iibrùiigu, da i fi g ii ii b r n «ingombro» da en + *comboros (lat. merovingio) «bulicata, trinceramento». Ieri quia per reliquia di reliquia, è plebeo o bambinesco; cfr. il ro-magn. lerequia. leroyu per reloyu «orologio» da horologium, è plebeo e bambinesco. üifra per frinii «ninnolarsi» derivato forse da fr -j- ninna (cfr. lo sp. nino), dne voci onomatopeiche. rekanissu (attraverso * re ka lissa) «regolizia, Iegorizia» da liquiritia, cfr. Fafr. recolice e il nuovo fr. réglisse, il prov. e cat. regalisia, Io sp. regaliz, il port, regalice. Note. I. È possibile, come dice il Parodi, che laiìhracÀ derivi per metatesi da .barined, attraverso *larbuca, «agitare un liquido, sciaguattare»; anch’io, indipendentemente dal Parodi, avevo fatta questa APPUNTI SUL DIALETTO LIGURE 105 supposizione. Ma è anche possibile che la derivazione sia dall’afr. era-bronchier «abbassare, barcollare» (da * pronicare)', il gruppo iniziale lari-in questo caso sarebbe dovuto all’inflaenza dell’articolo, che, come altrove osserva giustamente il Parodi, si poneva anche davanti a vocale, onde le forme lombrissallo (antica), lamu (antica e viva tuttora), latini «ottone» e latuné (ottoniere) che sono ancora dell’uso comune. II. Esempi di questa metatesi sono: per il gr. αμιθρεΐν per άριθμεΐν «contare», δαβρί per ραβδί; per il lat. lerinquas per relinquas, leriquiae per reliquiae (cfr. Diomede I 452, 30 sgg.), lerigio per religio; per l’it. gro-lioso per glorioso, cfr. pure lo sp. milagro e il port, milagre dal lat. miraculum, onde l'it. miracolo e il fr. miracle. 4. Notizia storica. 1 fenomeni più caratteristici del dialetto ligure del 1300 si può dire che app iriscano già tutti nelle più antiche nostre carte latine. Dal 958, ann > cui risiile il più antico documento sul quale abbia fermata la sua attenzione il Parodi nei suoi pregevoli «Studi L'guri», fino al 1300, scarsissimo si presenta il fenomeno della metatesi del r: abbinino preda, prêta per pietra, scurlamaze per Crollamazza (cfr. scortando), catthredam. Dal 1300 fino al sec. XVI, e cioè nel dialetto ligure dei primi secoli, il fenomeno è già molto diffuso. Abbiamo: spia ver accanto a sparve, fre-vor, frevente, ©rovo, g r i 1 a n d a, t r o m e n t o, Sani Trope, destro-bar, «disturbare», troni!, tronai (ma altrove e sem ire tornava), crastori, era va, freve, frevar, intrege, prea, c ras ta, pria; ma sempre dvri, avri, havrise dal verbo «aprire» e avri «aprile». Tipo meno comune: bar tessi «brutture», spercioxi, spermessar, scorsi, por-domo, ecc. Nelle parole perfondo «profondo», perposo «proposto», per* curao «procuratore», invece di una metatesi, si ha piuttosto uno scambio di prefissi. Dal sec. XVI ai nostri giorni, molte metatesi si sono mantenute, poche sono scomparse, altre si sono aggiunte, del e quali la maggior parte hanno resistito sì da esser tuttora vive mentre qualcuna soltanto è scomparsa o sta scomparendo. Così a s'ascramanna «si scalmana», che si legge in Ra Cittara Zeneize (anno 1G6">) 114 e in Ra Gerusalemme deliverà ecc. canto XI ottava 50, sarà difficile udirla tuttora da bocca genovese. E così pure raro, per non diro scomparso, è bregóulu da *abergaróllu «ospitato all’Al-b rgo (A bergli) dei poveri». Antonio Giusti BIBLIOGRAFIA G. Bertoni, Italia dialettale, Milano Hoopli 1916. K. Bkug.mann, Abrégé de grammaire comparée des langues indo-européennes, Paris Klincksieck 1905. G. Casacci!, Dizionario genovese-italiano, Genova Tipografia di G. Schenone 1876. F. D’ovmio o W. Mkvkh-Lüiikb, Grammatica storica della lingua e dei dialetti italiani, Milano lloopli 1932. 106 ANTON ΤΟ GIUSTI P. E. Gdahxkbio, Fonologia romanza, Milano Iloepli 1918. A. C. Juret, La phonétique latine, Strasbourg 1929. E. Kirckers, Historische griecliische Grommatile, Berlin und Leipzig W. de Gruyter 1925. E. Kieckers, Historische lateinische Grommatile, Münclien Hiiber 1930. Meykr-Lübke, Grammatica storica dello lingua italiana e dei dialetti toscani ecc. Torino Chian-tore 1931. W. Mkykr-Lubkb, Romanisches etymologisches Worterbuch, Heidelberg Winter 1930. E. G. Parodi, Studi Liguri in Archivio Glottologico XIV 1-110, XV 1-82, XVI 105-161. A. G. ABBREVIAZIONI aated. antico alto tedesco got. gotico port·. portoghese afr. antico francese gr¬ greco prov. provenzale ait. antico italiano il. italiano romagn. romagnuolo asp. antico spagnuolo lat. latino rum. rumeno cal. calabrese log. logudorese sass. sassarese camp. c ampidanese lomb. lombardo sic. siciliano campob. campobassano mat. medio alto tedesco sp. spagnuolo cat. catalano nap. napoletano tarent. tarentino cors. corso nov. novese ted. tedesco fr. francese parm. parmigiano vaud. vaudese friul. friulano pav. pavese ▼e gl. veglioto gen. genovese piac. piacentino venez. veneziano piem. piemontese Il segno convenzionale * indica le forme e i significati restituiti per congettura. VARIETÀ UNA LETTERA DI CAVOUR Tra le carte di Angelo Scribanti sono stati trovati gli appunti che si pubblicano qui di seguito c la lettera del Cavour che ne è illustrata: alla gentile e intellettuale signora Bice Scribanti Ra vizza, vedova dell1 illustre scienziato, i più vivi ringraziamenti per aver voluto concedere al nostro Giornale la pubblicazione dei notevoli documenti. Angelo Scribanti (1868-1926) tecnico di altissimo valore, per lunghi anni professore di Architettura navale e Direttore della R. Scuola, di Ingegneria navale di Genova, alla quale diede fama che superò i confini della patria, fu uomo di grande versatilità d’ingegno che i riposi delle occupazioni scientifiche e delle cariche pubbliche e amministrative, coperte con scrupolosa diligenza, dedicò affli studi letterari e storici, specialmente nel culto delle gra/ndi memorie del passato. Le brevi note che seguono ne offrono un piccolo saggio. Dell’illustre medico al quale è diretta la lettera del Cavour può essere ricordato che in materia di epidemie aveva una lunga espei'ienza perchè era stato anche partecipe e relatore della Commissione che aveva riferito al Consiglio Generale di Genova sui provvedimenti adottati nella terribile epidemia colerica del 1835. (« Gazzetta di Genova », 26 dicembre 1935). Nello sfogliare delle carte a me provenute dal mio prozio materno Angelo Bo, ho avuto la fortuna di imbattermi in una lettera inedita di Camillo Cavour, oltre che in altre righe di scritto di sua mano e in alcune lettere di persona, che per ragioni di ufficio gli stava vicina e ne potè riferire alcuni pensieri. Quando si trstta di una mente come quella del Cavour, che con tanta multiforme attività e eoa tanta efficacia di impulso ha lavorato al risveglio di una nazione, anche i minori scritti e i pensieri occasionali acquistano interesse. Mi sia dunque consentito che alla già vasta messe del pensiero cavourriano io aggiunga il contributo di quanto è venuto in mio possesso. Angelo Bo era nato nel 1801 a Sestrilevante; fu medico insigne, professore di patologia nell’università di Genova, direttore della sanità marittima prima negli Stati Sardi e poi nel Regno d’Italia; dal 1853 fu ininterrottamente deputalo al Parlamento Subalpino per il collegio di Sestrilevante ; nel 1861 appartenne al primo Parlamento Italiano come deputato per Levanto ; morì in Genova, senatore del regno, nel 1874. Torino (data* illeggibile). Preg. Signore, Ho voluto prima di rispondere al foglio della S. V. del 8 and.te che accompagnava il gradito dono della seconda parte della sua opera gul Cholera Morbus, averne oompita la lettura. Ora che l’ho letto da capo a fondo mi affretto di rivolgerle in uno con i miei ringraziamenti, le vivissime mie congratulazioni pel modo evidente, luminoso ed incontrastsfeile col quale ella ha combattuta o per meglio dire distrutta l’assurda dottrina del contagio. Io non dubito che l’opera sua produrrà sull’animo di tutti i lettori imparziali, l’effetto da me provato, e che quindi il contagionismo non avrà per seguaci, se non quelli che di esso si sono fatta un’arma per combattere il governo ; oppure coloro che riousano di riconoscere una verità per patente ch’ella sia, quando hanno una volta fatta pubblica adesione al contrario errore. Le misure adottate d&l governo nella recente epidemia furono tutte informate dalla teoria anti-contagionista*. L’opinione della grande maggioranza le ha approvate, il parlamento le san-oirà certamente ; e così verrà stabilito in modo indelebile da< noi un sistema, che ci è forza il confessare, faceva onore all’Austria che lo pose in vigore prima di noi con grande vergogna nostra. * Penso ch’ella interverrà all’apertura del parlamento ; lo esorto al farlo, giacché esso avrà a prendere ad immediato esame misure di alto momento. Ho il bene di dichiararmi con distinta stima Dev. Servitore C. Cavotjb. SAGGIO DI UNA BIBLIOGRAFI A GENERALE DELLA CORSICA (Continuazione ; ved. numero precedente) Questione corsa - Regionalismo - Situazione economica ABBATUCOI — Esquisse d’un programme de Rénovation de la· Corse, in Revue hebdomadaire, 27 Dec. 1919, pag. 55. Ree. Arrighi, Revue de la Corse, (li), pagg. 55-56. A Corsica d’oghie, in Aìmanaccu di A. Muvra, 1927, pagg. 148-149, «paese induv’ell’è ridiculu d’esse corsu, di parlà corsu, di pensà in corsu...... ALBORE. — Autonomia, risposte a molte quistioni d’i nostri cumpatriotti, A Muvra del 20 Nov. 1927, n. 303, [spiega quali vantaggi economici e morali sperano i corsi da un regime autonomistico]. ANGELINI Benedetti. — Yers la plus grande corse, Angoulème, Tmpr. ouvrière, 1915, [Raccolta di articoli dell’2?c7io de la Corse]. ARNOLLET. — Notice concernant les moyens d’améliorer la situation des habitants de l’île de Corse. Montmartre, Pilloy Fr. 8. ARRIGHI. — Considérations sur les moyens d’améliorer l’état moral de la Corse et sur la véritable cause des homicides qui s’y commettent, in Compte Rendu de VAcadémie des Sciences morales et politiques Tcm. XIV, (1848), pagg. 379-389 ARRIGHI Paul. — Choses de Corse vues d’Italie, in Revue de la Corse, 1924, (n. 26), pagg. 33-40. ARRIGHI Paul. — Cyrneisme, in Annu Corsu, 1&27, [cosa sia il regionalismo]. ARRIGHI. — La Corse veut et doit demeurer française: Réponse à M. Tommaseo. Paris, 1847, 8o. AULARD M. — France et Corse, in Grande Revue, sept. Ï911, vol. Ree. Bull. Soc. hist. Corse, J912, (Ann. 31), fase. 334-336, pagg. 293-299. [Sul mancato aiuto della Francia alla Corsica nella prosperità economica]. BERGERAT E. — La chasse au mouflon ou petit voyage philosophique en Corse, avec 43 grav. d’après des photographies et 55 dessins de M.E.B. Paris, Delagrave, 1890, pag. 48 ; 2a ediz. 1893, 12°. [Commentario dell’Excursion en Corse di Rolando Bonsjparte], BERTRAND Jacques. — L’évolution de la Corse, in La Revue du Mois, 1908, 10 apr., pagg. 459-478. BLANQUI. — Rapport sur l’état économique et moral de la Corse en 1838, (snt) 1838. BLANQUI. — Institut Royal de France: Rapport sur l’état économique et moral de la Corse en 1838. 1) Paris, Impr., Didot, 1840, 4o. 2) La Corse Rapport... lu à Y Académie des Sciences morales et politiques, Paris, Coquebert, 1841, 8o. SAGGIO DI UNA BIBLIOGRAFIA GENERALE DELLA CORSICA 109 BRACCINI. — Pensée sur la Corse et sur les moyens de hâter la civilisation, Aix, G. Mouret. 1829, 80. BORGHETTI. — La Corse et ses détracteurs. Bastia, Ollagnier, 1870. BRADI (De) Lorenzi. — La Corse inconnue. Paris, Payot, 1928, 80. CHARPENTIER. — La Corse, son assaisissement et sa colonis?., pagg. 38. ROCCA (Jean de la). — La Corse et son avenir. Parii?, Pion, 1857, 8o. ROCCA (Jean de la). — Voyage de l’Empereur en Corse et ses conséquences. Bastia, Impr. Fabiani, 1861. 8o, pagg. IX, 61. ROCCA (Jean de la). — La Corse calomniée: réponse à M. Clavé redacteur de la «Revue des Deux Mondes». Au Bureau de l’Avenir de la Corse, 1865, 8o. ROCCA Matteo. — Il segreto di Petr’Antonio Lucchetti. Livorno, Giusti, 1927. [L’esule sostiene che la Corsica è collettività di schiavi, ne auspica la redenzione, cerca di creare una questione corsa]. ROSSI J. E. — Les Corses d’après l’histoire, la légende et la poésie. Poitiers, Marche et Levier, 1900, 16o, peigg. YII-319. 112 RENATO GtARDELLI ROSSI (De) Eugenio. — Ls» vita di un ufficiale italiano sino alla guerra. Milano, Mondadori, 1927. Ree. Panzini, in Corriere della Sera, 13 agosto 1927. [Il generale De R., grande invalido di guerra, dà notizia d’una sua missione in Corsica per constatare l’esistenza d’un campo trincerato dove non esistevano che bergeries], SANTONI. — Le Problème corse et la décentralisation, in hernie de la Corse, 1920, (I), pagg. 97-101. SANTONI. — Le probleme corse et la décentralisation, in Revue de la Corse, 1925, (VI), psgg. 6-13. [Rapporti fra la Francia e la Corsica, Università, eco.]. SUSINI (Charles de). — La Corse et les Corses. Opinions et documents. Paris, Garnier, 1906, •io, pagg. 536. TESSIER C. — Etat où était l’agricolture dans l’île del Corse en 1786, par C. T., in Annales d'Agriculture, Tom. XIV, (ann. XI). TOMEI J. B. — Un projet nouvea»u pour le bien-être matériel et moral de la Corse, par J. B. T. Bastia, Impr. Fabiani, 1853, 8o. TOMEI J. B. — A. S. A. I. le prince Napoléon, chargé du Ministère de l’Algérie et des colonies. Une pensée sur l’avenir de la Corse. Paris, Impr. L Martinet, 1858, 8o. TOMEI J. B. — A Napoléon III: la Corse positive ou le mal et le remède. Paris, Brière, 1859. TOMMASEO. — Italia-, Corsica e Francia, in Nuova Antologia, XIX, apr. 1872, pag. 780. VAISSON. — La Corse régénérée, principauté impéria-le. Bastia, Ollagnier, 1S35. VILLAT Louis. — La Corse et l’ésprit corse, in Revue Bleue, 1911', II, (5 Août), pagg. 17ο·179. Ree. Bull. Soc. hist. Corse, Ann. 31, (1912), pag. 307. VILLAT Louis. — La question corse, in Revue de Paris, 1913, XX, 17. [Esamina le condizioni della Corsica, di cui si deve facilitare il progresso]. TILLAT Louis. — Le journal de la Corse et les origines du régionalisme insulaire, in Bastia Journal, 19-20 giugno 1922. VOLPE Gioacchino. — Italiani vicini e lontani, in Gerarchia* giugno 1923. (continua) RENATO GIARDELLI COMUNICAZIONI DELLA R. DEPUTAZIONE DI STORIA PATRIA PER LA LIGURIA Oltre agli appartenenti alla cessata Sezione ligure della R. Deputazione di Storia Patria per le Antiche Provincie e la Lombardia, S. E. il Ministro dell’Educazione Nazionale ha chiamato a far parte della R. Deputazione per la Liguria i signori: Prof. Alfredo Schiaffini; Comm. Giovanni Monleone; Prof. Raffaele Di Tucci; Prof. Onorato Pastine; Prof. Italo Scovazzi (Savona) ; Comm. Luigi Costa (Albenga) ; Cav. Luigi Mussi (Massa) ; Conte Comm. Carlo del Medico con funzioni di Presidente della Sezione di Massa. Altre nomine di deputati e tutte quelle dei corrispondenti sono in corso. Con lettera 14 aprile 1936-XIV. S. E. il Ministro ha comunicato di avere istituito le Sezioni di Albenga (sezione Ingauna con giurisdizione su Albenga-Ventimiglia, che assorbe la Società Ingauno-Intemelia), di Savona (con la quale si fonde la Società Savonese di Storia Patria) e di Massa. Con lettera 26 maggio è stata costituita una Sezione con sede alla Spezia. Questa Sezione, avendo giurisdizione sulla provincia della Spezia e sull’alta Lunigiana, si intitolerà di Spezia e Pontremoli. Così la R. Deputazione risulta costituita del nucleo centrale e di quattro Sezioni. Recentemente la Deputazione ha acquistato un nuovo socio nella persona dell avv. Jean Natta al quale il Consiglio Direttivo rivolge un cordiale benvenuto, mentre un onorato saluto invia alla memoria dei soci scomparsi, i quattro vitalizi : Comm. Francesco Domenico Costa per lunghi anni vicepresidente della Società Ligure di Storia Patria, Nob. Dott. Agostino Poggi. Conte Gr. L ff. Carlo Andrea Fabbriccotti e March. Paris Saivago Raggi, e i tre annuali: Prof. Antonio Canepa, March. Dott. Enrico Gallo e Prof. Aw. Ranieri Porrini. La Deputazione ha tenuto adunanza interna il giorno 12 maggio, presenti, col Presidente Sen. Moresco, i deputati Spinola. Costa, Codignola. Mannucci, Monleone, Xoberasco, Pandiani, Pastine, Revelli, Schiaffini, Scovazzi, Valle. Vitale. è trattato specialmente del piano di lavoro per i prossimi anni e della possibilità che ora non appare più molto lontana, di una pubblicazione integrale dei registri notarili del secolo XII, preziosi per la storia sopratutto del diritto e del commercio. Il Presidente ha esposto lo stato della questione e delle trattative in corso e la Deputazione ha dato il suo caloroso assenso. Si sono anche approvati i piani di lavoro per il prossimo anno delle Sezioni di Savona e di Albenga-Ventimiglia, rimandando ogni deliberazione per le altre. in attesa che siano regolarmente costituite. Il giorno 6 giugno ha avuto luogo l’adunanza generale degli appartenenti alla Deputazione, la prima dopo il nuovo ordinamento. Il Presidente, recato il saluto più cordiale ai convenuti, ha illustrato la nuova sistemazione degli istituti storici e in particolare della nostra Deputazione. Il segretario Prof. Vitale ha esposto lo stato delle pubblicazioni, ricordando che è in corso di distribuzione il volume LXV degli Atti, Documenti sul castello di Bonifacio nel secolo XIII e sarà messo prossimamente gotto stampa uno studio del P. Guglielmo Salvi su Galeotto Del Carretto e la Repubblica di Genova. Ha anche an- 114 COMUNTCAZfONI DELLA R. DEPUTAZIONE DI STORIA PATRIA mmciato che la R. Deputazione Subalpina con cortese atto di fraternità mette a disposizione della nostra Deputazione un centinaio di copie del volume Dispacci degli ambasciatori genovesi· a· Parigi (1787-1793), che sarà offerto a coloro che si prenoteranno sino alla disponibilità. Intorno al piano di lavoro già approvato dalla seduta interna per quanto riguarda la progettata pubblicazione dei più antichi registri notarili del R. Archivio di Stato, parlano in vario senso i soci Morgavi, Natta, Maineri, Ca-nevello, Zonza e il Presidente riassume la discussione. È ufficio delle istituzioni come la nostra fare quel che non è possibile ai privati; le deputazoni e società storiche hanno appunto il compito di pubblicare le fonti della storia e di metterle a disposizione degli studiosi. Questo non vuol dire che non si possano pubblicare anche insieme o alternativamente studi narrativi e ricostruttivi. Per venire incontro al desiderio di quei lettori che preferiscono studi meno ampi si è appunto compiuta l’intesa col « Giornale Storico e Letterario della Liguria » che è inviato gratuitamente ai soci. Questo dev’essere ripetuto perchè da taluno il giornale è stato respinto. L’assemblea approva unanime le dichiarazioni del Presidente e quindi approva anche il bilancio consuntivo per il 1935 e la relazione dei revisori dei conti. Quindi approva per acclamazione l’invio dei seguenti telegrammi : « A S. E. il Primo Aiutante di S. M. — Alla Maestà del Re assunto all’impero ascende devoto omaggio Deputazione Ligure Storia Patria oggi riunita in adunanza solenne. Alti ossequi. Presidente Moresco ». « Al Duce, Roma. — Deputazione Storia Patria Liguria oggi solennemente riunita esprime fervida commossa gratitudine al Duce fondatore dell’impero. Alti ossequi. Presidente Moresco ». « A S. E. Conte De Vecchi di Val Cismon, Ministro Educazione Nazionale, Roma. — R. Deputazione Storia Patria per la Liguria riunita adunanza generale invia deferente devoto omaggio Vostra Eccellenza benemerito riordinatore istituti storici italiani. Presidente Moresco ». RASSEGNA BIBLIOGRAFICA Vito Vitale, Documenti sul Castello di Bonifacio nel secolo XIII, 193f>-XIV. Atti della « R. Deputazione di Storia Patria per la Liguria ». La « R. Deputazione di Storia Patria per la Liguria » ha iniziato degnamente la pubblicazione dei suoi Atti con un importante volume di Vito Vitale. Il volume — primo della serie — è poi il 65° della raccolta, in contimi azione degli Atti della gloriosa « Società Ligure di Storia Patria », testé trasformatasi in R. Deputazione per i saggi provvedimenti di S. E. De Vecchi di Val Cismon, tendenti ad un’organica disciplina di tutte le attività esplicantisi nel campo degli studi storici nazionali. Ed è una simpatica coincidenza che questa prima pubblicazione della nuova serie sia dedicata, alla Corsica, Pisola cara a tutti gli Italiani. IJ Vitale infatti ha raccolto con molta cura e intelligenza 1158 documenti sul « castrum Bonifacii », tutti riguardanti il sec. XIII, riproducendoli in massima parte in regesto e trascrivendone pure integralmente un buon numero fra i più interessanti. Sono atti ricavati da quella ricchissima miniera che è l’Archivio notarile esistente presso il R. Archivio di Stato in Genova, e appartenenti a quattro notai di periodi diversi fra il 1238 e il 1298. I più antichi e i più numerosi (645) sono quelli redatti da Tealdo de Sige-stro dal 23 ottobre 1238 al 25 luglio 1239 ; seguono 281 atti del notaio Bartolomeo Fornari (28 dicembre 1244, 25 febbraio 1245) ; 50 appartenenti al cancelliere dei castellani di Bonifacio, Azone de Clavica, (17 aprile 1257, 26 ottobre 1261); 25 rogati da Emanuele Nicola De Porta (15 aprile 1286, 16 dicembre 1291) e 52 dello stesso notaio (9 maggio 1297, 4 maggio 1298). Parecchi di questi atti ci forniscono notizie politiche importanti, anche se non di grande rilievo, relative ai rapporti del Comune con popolazioni e feudatari come i conti di Cinerea e i signori di Cor-tano ; al reggimento del luogo, dal governo dei tre castellani a quello del podestà ; ai vicari che condussero contro i ribelli, nell*ultimo duecento, spedizioni repressive, invero non molto fortunate : Luchetto Doria, Nicola Boccanegra., della cui prigionia si ha qui la prima noti- 116 RASSEGNA BIBLIOGRAFICA -zia, Jacopo Cicala, Marino Doria, podestà e vicario del 1297-98, fi--11 ora ignoto agli storici della Corsica. 1 documenti pubblicati hanno però in prevalenza carattere privato : sono carte ili accomendazione, mutui, vendite di immobili, locazioni d’opera, contratti di matrimonio col tipico « antefatto » secondo 1 u-sanza genovese, testamenti, inventari. Curioso fra l’altro il caso di certa donna che nel 1287 si colloca per sei anni presso un « Marco Bentrame veneto », in virtù di regolare contratto, « prò serviciali et amaxia » (pg. 290). Notizie importanti su particolari questioni vi si possono attingere. Un esempio. È stato detto che la documentazione riguardante la pesca del corallo in Sardegna risale soltanto al principio del X1Y secolo. Certamente non si voleva nè si poteva con ciò dubitare che tale forma di attività marinaresca fosse assai anteriore ; ma nel notulario di Tealdo de Sigestro eccone la prova in un atto del 25 ottobre 1238, in cui Simonetto di Rapallo (proveniente cioè da uno dei centri più antichi ed importanti dei corallatori liguri) riceve da Baialardo, pure di Rapallo, lire 11 gen. « in barcham unam provin-cialescam de remulis sex », denaro e barca che deve portare « usque Bossam causa corallandi ad coralium » (pg. 3, η. II). Non mancano inoltre fra i documenti sentenze ecclesiastiche, e numerose poi (pressoché tutti gli atti del notaio Azone) sono quelle dei Castellani locali fra il 1257 e il 12C2. È insomma uno squarcio della vita economica, giuridica, sociale di Bonifacio del sec. XIII, che si rivive attraverso questi atti notarili per chi li sa. leggere e adeguatamente valutare; ma, come è naturale, l’attività mercantile e marinara è quella che emerge su tutte le altre là, dove giungono mercanti e marinai dai diversi punti delia Liguria ed anche da altre terre della penisola, a testimoniare un notevole fervore di opere e di interessi. Ed è degna di attenzione e di studio questa visione concreta delle condizioni in cui viene a trovarsi, nel suo primo secolo di vita, quello che fu il primo centro della dominazione genovese nell’isola. Siamo nel triste periodo delle lunghe e spietate guerre fra. le nostre repubbliche marinare. Il « castrum » appena costruito dai Pisani veniva nel 1187 distrutto dai Genovesi, per essere poco dopo riedificato dai primi ; finché nel 1195 una flotta, armata in Genova da Ingo Longo, Enrico di Carinandino e Otto Polpo, lo occupava, impadronendosi con piena e definitiva vittoria di quella terra. Bonifacio rimaneva oggetto dei vani tentativi di Pisa tendenti al suo possesso e di lunghi contrasti fra le due città antagoniste. Ma anche Portotorres cadeva sotto Pinfluenza di Genova, che dominando lo stretto, intensificava gli scambi fra le due isole, sempre molestata dalle forze della rivale. Dopo la battaglia del Giglio (1211) e la disfida pisana del 1243 RASSEGNA BIBLIOGRAFICA 117 la lotta si acuisce nella consueta forma della guerra di corsa e Bonifacio ne è basi e principale. Pertanto fra gli atti di Bartolomeo Pomari del 1244-45 abbondano quelli appunto che riguardano i contratti per siffatti armamenti. Contratti singolari, ai quali — come rileva il Vitale nella breve ma succosa e perspicua introduzione premessa alla raccolta — molti partecipano, fra cui gli stessi castellani, per il largo reddito finanziario che se ne ricavava ; mentre poi i corsari non sono soltanto liguri, ma anche di altre terre italiane. Questo volume diligentemente curato da così valente studioso non è nè vuol essere fine a se stesso. Esso costituisce saldo materiale ad un’ulteriore ricostruzione; e già il Vitale ha ricavato dalla massa di questi documenti argomento per due saggi pubblicati nell’« Archivio storico di Corsica ». Nel primo (lUn Buonaparte in Corsica nel sec. Λ III, a. V, n. 1-4 gennaio, dicembre 1920, pg. 130 sgg.) illustra parecchi dei suddetti atti del 1238, 1239, 1245, che riguardano un Bonaparte di Portovenere figlio di Richelmo di Arcola di Sarzana, ragguardevole e attivo mercante, stabilitosi in Corsica ed ivi accasatosi, di cui s’incontra,no pure suoi probabili discendenti in atti del notaio De Porta (1290). E poiché è accertato che capostipite dei Bonaparte di Aiaccio fu Francesco di Sarzana, inviato verso la fine del XV secolo dall’Officio di S. Giorgio, signore di Sarzana e della Corsica, in servizio d’armi presso la guarnigione della città còrsa, si rileva qui il fatto singolare di questi Bonaparte di Bonifacio prominenti nel duecento dalla stessa Sarzana e for^e dal medesimo ceppo del ramo famoso; prudente osservazione che, come dice il Vitale, « non meritava di far inalberare i sostenitori dell’origine sanminia-tese della famiglia ». In un altro articolo (Un ignorato vescovo di Aiaccio nel sec. XIII, a. XI, n. 3, luglio-settembre 1935-XIV, pag. 436 e segg.) l’A. esamina un gruppo degli atti notarili in parola, che ci presentano la figura finora sconosciuta del vescovo di Aiaccio Aldebrando: informazione tanto più preziosa in quanto prima del XIV sec. non si possiede, sulla storia dell’episcopato còrso, che qualche raro e nudo nome. Il testimoniale per l’elezione di detto vescovo, tenutosi il 29 ottobre 1238 innanzi al vicario del legato pontificio, ha particolare interesse per le notizie che ci dà sulla forma dell’elezione episcopale e sulla situazione ecclesiastica e civile dell’isola. Curiosa l’affermazione dei testimoni che in quelle terre pievani e capellani « nesciunt ^ q n i cl si t scrutinium et quid si t forma electionis » secondo le decretali ; nonché la dichiarazione che « non sunt ibi notarii », ma che carte e istrumenti li redigono « omnes qui sciunt scribere »; il che non impediva però che ognuno potesse ugualmente «consequi ius Mnim et racionem ». Pure interessanti sono i documenti del 19 luglio 1239 (nn. 683, 684, pag. 188 e segg. della raccolta) in cui il 118 RASSEGNA BIBLIOGRAFICA vescovo Aldebrando interviene come mediatore di pace e concordia fra Enrico di Cinerea, Guido' Rosso, i loro fratelli, uomini e vassalli e i castellani ed uomini di Bonifacio, con cui erano in continue ostilità. . Questi due scritti 11011 sono che saggi di una elaborazione ricostruttiva sulla, base dei documenti ora editi, a cui il λ itale dichiara di attendere da tempo e che ci promette nella sua Introduzione. Noi avremo così un nuovo interessante capitolo di storia còrsogenovese, quale può darci uno studioso acuto e coscienzioso quale è il Vitale, che anche nel campo della storiografia ligure ha saputo portare pregevolissimi contributi, trattando con dottrina e vivacità argomenti di epoche disparate. Ma intanto già questo volume rimane per se stesso — come ben dice l’A. _■ « quasi principio alla necessaria ricostruzione documentaria della storia della Corsica genovese ». Ricostruzione positiva, fondata, veramente « necessaria », a cui già lavorano egregi cul toi 1 degli studi storici come il Borna te, il Russo ed altri e valorosi periodici : ricostruzione che partendo dal primo fulcro del dominio genovese nell’isola, procede sistematicamente e serenamente al-Pinfuoid di ogni diversione polemica o preconcetto — all’accertamento della pura verità, nella luce (li quella italianità antiregionalista, a. cui non mai abbastanza sarà fatto onesto appello così nella memoria del passato come in nome del luminoso presente e dell avvenire che è sacro. Concludendo, confesserò di aver cercato, nell’esammare questo volume, il pronto appagamento di certe mie curiosità in un indice toponomastico, che non trovai in fondo alla raccolta; e forse non era, nel caso, essenziale. . Ί Comunque, debbo subito aggiungere che la mancanza è ad usura compensata da un accuratissimo indice onomastico molto u 1 c pei la consultazione. Onorato Pastine Guido A. Quarti, La guerra contro il Turco in Cipro e a Lepanto, J'570-lMl. Storia documentata, Stabilimento Grafico G. Bellini, Venezia 1935-XIII, pagg. 775. Il grosso volume vuol essere uno studio compiuto degli avvenimenti politici, diplomatici e militari che hanno preceduto la battaglia di Lepanto, oltre a una minuta ricostruzione e descrizione della battaglia stessa in tutti i particolari. Indubbiamente, nell’ampia sua mole, è questo lo studio più vasto sull’argomento, del quale non occorre ricordare l’importanza nella storia dell’Europa e della cristianit» . Gli nuoce tuttavia, oltre l’infelice veste tipografica, con preziosità RASSEGNA BIBLIOGRAFICA 119 arcaiche pretensiose e inutili nell’introduzione e con poca nitidezza di tipi nel testo, il carattere stesso che l’autore ha voluto dargli « costruendo un’opera abbastanza ampia per contemperare le esigenze degli storici con lo scopo divulgativo ». Disgraziatamente sono due propositi difficili da conciliare e ognuno comprende che un’opera divulgativa di quasi ottocento pagine (e del costo di cento lire) non è destinata, a trovare un cospicuo numero di lettori. Rimane lo scopo scientifico che effettivamente, non ostante certe esuberanze formali dovute appunto a quella duplicità di intenti, finisce col prevalere anche per l’apparato critico delle note e dei riferimenti dai quali la preparazione risulta ampia e scrupolosa. Il grande avvenimento è ben noto nelle sue linee generali ed è qui minutamente narrato in tutte le vicende, nella preparazione e nello sviluppo, nel lavoro diplomatico e nell’azione militare. In linea generale non direi che dalla minuziosa ricostruzione dei particolari, benemerita per l’ordinata raccolta di tante notizie, risultino aspetti nuovi o nuovi elementi di giudizio. lino dei punti* che recano maggiore novità di giudizio e di risultati è l’esame del disputatissimo contegno di Gian Andrea Doria prima e durante la battaglia ; e questo, dato il carattere del nostro Giornale} merita d’esser messo in particolare rilievo. 10 notissimo : la lega organizzata dal grande pontefice Pio V riuscito, facendo leva sul rinnovato sentimento religioso della contro-ri torma, a raccogliere insieme e unificare in uno sforzo comune gli elementi avversi ai Turchi per motivi e interessi religiosi e politici, iu ritardata e indebolita dalle rivalità e discordie tra i capi militari, ma più ancora dalle gelosie politiche tra gli Stati, sopra tutto dal- 1 atteggiamento equivoco e sospettoso della Spagna verso Venezia: il Quarti chiarisce con prove indiscutibili questa situazione. Così la lega, in gran parte costituita di elementi italiani e nella quale per la prima volta le forze navali d’Italia si univano tutte in un intento comune, era minata da lentezze, dispareri, discordie, da tutti i malanni delle coalizioni, tanto più gravi quando uno dei coalizzati ha una indiscutibile superiorità politica sugli altri. Cipro, cui si rivolse prima la minaccia turca e che interessava particolarmente ai Veneziani, non fu potuta difendere anche per il tardo sopraggiungere di Gian Andrea, capo in quel momento delle forze spagnole al convegno di Oorfù. ove Pontifici e Veneziani lo attendevano per passare all’azione. Principio, questo ritardo, dei fieri contrasti tra il Doria e Marcantonio Colonna, comandante delle galee pontificie, origine a lor volta delle piò gravi e penose conseguenze. La fiotta si sciolse nel 1570 senza aver nulla conchiuso, ma nel ritardo, nella scarsa volontà di agire, nel sollecito desiderio di ritorno del Doria, oltre alla manifestazione del carattere aspro e presuntuoso che gli era derivato dal troppo indulgente affetto del 120 RASSEGNA BIBLIOGRAFICA grande zio, è da. vedere la conseguenza della malafede e degli ordini segreti del re di Spagna. La dimostrazione del Quarti a questo proposito mi sembra veramente persuasiva. L’azione, ripresa l’anno successivo sotto il comando supremo di don Giovanni d’Austria, culmina nella celebre battaglia che fu la maggiore vittoria cristiana sul mare. Che di questa vittoria Gian Andrea sia stato l’artefice principale come ha scritto Jacopo Doria nel suo libro sulla chiesa di San Matteo e sulla sua illustre famiglia è proprio una eccessiva amplificazione familiare e campanilistica alla quale corrisponde nel campo opposto l’accusa calunniosa che egli abbia avuto, anche per un momento, l’intenzione di evitare il combattimento con atto proditorio destinato a compromettere la vittoria. La questione è stata dibattuta tante volte anche in tempi non lontani, quando alle eccessive esaltazioni deirammiraglio Gavotti ha risposta l’eccessiva demolizione del Manfroni. Ora il Quarti, senza tener conto di quelle polemiche, le riesamina con larghezza di dati e sicurezza di informazione e di competenza tecnica navale. Duecentotredici navi cristiane con ottantamila uomini si posero di fronte a duecentottanta navi turche con ottantotto mila, uomini quel pomeriggio del 7 ottobre 1571 all’imboccatura del golfo di Lepanto. Al centro dello schieramento cristiano, in linea di fronte, la nave ammiraglia di don Giovanni d’Austria., con accanto la capitana pontificia del Colonna e la veneziana di Sebastiano Venier; l’ala sinistra presso la costa comandata da Agostino Barbarigo, la destra al largo con Gian Andrea Doria. Attaccato il furioso combattimento dopo aspra contesa a-1 centro e alla sinistra, dello schieramento cristiano si delineò una evidente superiorità; il Doria invece vide Pala-avversaria che gli stava di fronte comandata da Ulug-Alì, l’Uccialì dei cronisti, distendersi al largo per aggirarlo di fianco e si allargò anche lui per impedire quel movimento. Non tutti intesero il significato di quel suo distendersi e alcune delle galee (ogni ala era composta di elementi misti, provenienti da marine diverse) non lo seguirono : di qui uno degli elementi d’accusa, come se quelle navi avessero subito ritenuto quel movimento del capo una fuga traditrice ispirata al maligno intento di impedire o diminuire la. vittoria che già si profilava nel resto del fronte di battaglia. Quel suo allontanarsi lasciava uno spazio vuoto nello schieramento cristiano : Uccialì ne approfittò per tentare di cogliere sulla destra il centro avversario mentre una parte delle sue navi assaliva le galee dell’ala del Doria che, non avendolo seguito, erano rimaste isolate. Ma. Giannandrea ripiegando a sua volta (dunque non intendeva fuggire dal teatro delibazione; e senza preoccuparsi molto di quel gruppo isolato, corse sulle navi del pirata che si era insinuato nello spazio vuoto minacciando di prenderlo in mezzo. Fu uno dei momenti più terribili della battaglia ; molte navi cristiane e turche RASSEGNA BIBLIOGRAFICA 121 andarono perdute e Uccialì, visto fallito il suo piano, guadagnò il largo prima che lo spazio vuoto si richiudesse. La dimostrazione tecnica del Quarti è del tutto convincente: si è trattato di una complessa manovra che può aver avuto un suo errore tattico, ma che aveva plausibili motivi e rispondeva alla necessità di sventare un grave pericolo; e il Doria vi dimostrò coraggio e valore e piena volontà di azione. Donde allora le accuse? Dal malanimo e dalle insinuazioni di Marcantonio Colonna : e anche questo lato meno simpatico mi pare esaurientemente provato; di lì sono partite le prime voci, allargatesi poi, per l’insoddisifazione veneta e pontificia degli effettivi risultati della battaglia, a precise accuse contro l’ammiraglio dipendente dalla» Spagna, alla quale fu effettivamente dovuto se la vittoria non ebbe più efficaci risultati. In tempi più vicini a noi, uno storico insigne della marina, il P. Guglielmotti, volendo esaltare il Colonna e abbassare perciò-il Doria, col quale l’ammiraglio pontificio non aveva avuto buon sangue, ha fatto sue e avvalorate della propria autorità quelle accuse, a.lle quali gli eccessivi esaltatori del Doria hanno poco prudentemente contrapposto un Gian Andrea artefice principale della vittoria. Piace che la verità sia serenamente ristabilita con un esame tecnico e spassionato e piace sopra tutto — eloquente segno di compiuta unità spirituale italiana — che la dimostrazione efficace ed equanime sia dovuta a uno scrittore veneziano. (E certo barbogio sopravvivente campanilismo genovese può andarsi a nascondere). Vito Vitale Raffaele Di Tucci, Il genovese Antonio Malfante, La famiglia, La vitay L’esplorazione del Sahara nel 1447, Bologna, Licinio Cappelli Editore, 1935. Mentre il Governo Italiano preparava, alla luce del sole, il corpo di spedizione, che doveva assicurare ed estendere il possesso delle nostre Colonie, Raffaele Di Tucci, nella quiete degli studi, attendeva ad illustrare con molte ricerche un genovese, Antonio Malfante, che verso la metà del sec. XV faceva un’esplorazione nel deserto riarso del Sahara, fino a Tuat, e ne lasciava relazione. Veramente il tema era stato trattato già da Carlo De La Roncier© in Découverte d’une rélation de voyage datée de Tuat en 1447: le bassin du Niger, in Bull, de la Section de Géographie, pag. 32, e in La découverte de VAfrique au moyen âge, Cairo, 1925, Vol. II pag. 143: 122 RASSEGNA BIBLIOGRAFICA e segg., Θ poi con cinque documenti fornitigli dal march. Giuseppe Pessagno nella stessa Découverte, Vol. Ili, pagg. 15 e segg. Con questo non si vuol dire che il Di Tucci nulla abbia aggiunto a quanto il francese aveva scritto ; anzi egli completa con molti documenti, in parte già pubblicati nel Bollettino della R. Società Geografica Italiana, Serie VI, Vol. XI, marzo 1934, le prime scoperte e con la sua competenza li traduce ed illustra. È tutto suo Pargomento che tratta degli antenati del viaggiatore genovese, di cui compila un albero genealogico, deducendolo da atti desunti dai cartolari dei notai, di cui il primo delPll agosto 1158 e da altri fondi del nostro archivio. Così è originale la parte in cui si parla della vita del Mal-fante ; della morte del padre Tomaso, fra il 1421 e il 1436 ; della sua assenza da Genova fin dal tempo della puerizia ; dei suoi viaggi « per le diverse parti del mondo » appunto perchè il padre gli era « morto in grande miseria nel tempo dello stato delPillustrissimo Sig. Duca di Milano », della stima che godeva presso molti « per la sua probità e il suo valore », fra i quali Perei vale Marihoni che per lui faceva domanda di non essere aggravato di oneri pubblici alle autorità genovesi e ne otteneva una convenzione per quindici anni per facilitargli il ritorno in patria : ritorno che lo stesso Marihoni gli aveva consigliato. Si sapeva però delle due sorelle che aveva, di cui una suora, Battistina, nel monastero di S. Pietro della Costa, in quel di Coronata, e Paltra, Mariola, sposata ad un certo Battista Perrone. Il Malfante era stato conosciuto dal Marihoni nella. Spagna, ove aveva il « suo punto centrale di attività». Tornò a Genova e vi rimane nel 1445 e parte del ’4G, quando prepara il suo viaggio verso la meta che doveva immortalarlo. L’autore per via di induzione può scrivere che il Malf ante prendesse imbarco a Genova, dirigendosi verso PAfrica su una. nave di Girolamo di Savignone, sulla quale si trovava anche Percivale Marihoni. È certo che il viaggio cominciò da Iloneim, come si ha dalla relazione che il Di Tucci riporta dal La Ronciére, dopo il quale non tornò più a. Genova il Malf ante, ma a Majorca, ove finì i suoi giorni nell’estate del 1450, senza lasciar prole. L’eredità fu rivendicata da Mariola, sua sorella. E qui vengono a proposito i cinque documenti del Pessagno, pubblicati dal La Ron-cière e riportati dal di Tucci con asterisco. Da essi sappiamo che la detta Mariola il 10 ottobre 1450 fece suoi procuratori Pietro Gentile fu Valerano, Bartolomeo Imperiale e Jane Marihoni per raccogliere l’eredità del fratello ; che il 21 luglio 1451 tornato il marito di Mariola da un viaggio che lo aveva tenuto lontano da Genova, assunse personalmente la gestione degli interessi della moglie diventandone procuratore a condizione, impostagli da Benedetto de Frencio, nonno dell’interessata ed uno dei componenti, nell’atto precedente, il con- RASSEGNA BIBLIOGRAFICA 123 siglio (li famiglia, che dell’eredità (li Antonio si costituisse una dote inalienabile di 6000 lire genovesi per la detta Mariola, quasi 50.000 lire italiane. Questo avveniva quando Peredità in moneta corrente era già a Genova, e Battista Perrone ne aveva fatta quita.nza, il 22 giugno antecedente, innanzi al notaio che riceveva a nome di Nicola Centurione, residente a Majorca, e del fu Giovanni Centurione ivi morto da non molto. Se non che anche la monaca, e per lei la badessa, avanzò i suoi diritti su quella eredità e ricorrendo al tribunale ecclesiastico fece chiamare non solo Battista Perrone, ma anche Bartolomeo Imperiale, Jane Marihone e Paride de Mari, per sapere da essi ove si trovavano i beni del fratello. Questi dichiararono incompetente, perchè laici, il tribunale ecclesiastico, ma furono lo stesso scomunicati e dovettero ricorrere alla S. Sede, ottenendone il 4 aprile 1452 un breve per il Priore di S. Teodoro e il prevosto di S. Maria di Castello, ai quali veniva demandata la decisione. Qui finiscono i documenti e cominciano le dilucidazioni. L’autore combatte la ipotesi del De La Eoncière, che al viaggio assegna lo scopo di trovare in Africa per la Repubblica un compenso alla perdita, die si prevedeva, delle sue prospere colonie del Mar Nero : Trebisonda, Sebastopoli e Balaclava. E giustamente : perchè la storia ci dimostra che Genova solo in casi molto rari perseguì ufficialmente fini espansionisti, ma solo assicurò ai cittadini « stazioni o scagni commerciali, franchigie o privilegi doganali, esclusività di mercato ». Così non ammette che il Malfante penetrasse nel cuore del Sahara per incarico di trovare dell’oro, solo perchè una proposta di Benedetto Centurione, resa esecutoria dal governo con legge 21 giugno 1447, aveva suggerito di stabilizzare il valore della moneta « sulla base del fiorino, come campione oro, calcolandolo a quarantaquattro soldi », ma solo per esercitarvi il commercio. In realtà, se ne parla nella sua relazione, è segno che il Malfante col commercio si interessò anche di trovare oro non forse per la repubblica ma per conto suo o della società cbe rappresentava. Un’altra divergenza fra il La Eoncière e il Di Tucci l’abbiamo nel fatto che il primo fa agire il Malfante per conto di Bartolomeo Imperiale, il quale alla luce dei documenti sarebbe stato, come si dice oggi, uno spedizioniere, il secondo per conto dei Marihoni, famiglia estesa di importatori ed esportatori. E la relazione del viaggio indirizzata appunto a Jane Marihoni, « che sembra il capo della famiglia e dell'azienda », ci convìnce che dalla parte del Di Tucci stia la ragione. 124 RASSEGNA BIBLIOGRAFICA Non ci fermiamo ad illustrare la relazione del viaggio, che si legge volentieri nella bella traduzione come si leggono volentieri le traduzioni degli altri documenti. Solo osserviamo che il monastero di S.Pietro della Costa 11011 era dei benedettini (pag. 121), ma. delle benedettine, come è evidente anche dal documento riportato. D. G. Salvi Augusto Gallico., Tunisi e i consoli sardi (1816-1834). Bologna, Cappelli, 1935, L. 14. È il terzo volume della collezione « Italiani nel mondo » pubblicata dall’Editore Cappelli. L’iniziativa è eccellente: ricercare e giustamente valorizzare, il solco profondo che il lavoro, l’ingegno e la virtù italiana hanno tracciato nel mondo è opera, doverosa e degna della storiografia di questa nostra rinnovellata Italia, che può ben cogliere e intendere tutti i valori morali e storici di quella lunga, umile e, finora., in gran parte, ignorata fatica. Tanto s’approva l’idea che anima la collezione indicata, che nemmeno si sorride deiringenuità del disegno illustrante la copertina sui cui azzurro campeggiano quattro gialle orme di passi veramente spietati a significare l’impronta incancellabile d’una gente che portò nel mondo la più grande civiltà. E neppure — nell’attesa di opere veramente adeguate a quest’idea non mai abbastanza lodata — si vuole svalutare il volume ora in esame, anche se esso può lasciare insoddisfatti. Il Gallico, che si propone di pubblicare i rapporti dei Consoli sardi in Tunisia fino al 1860, in questo studio ci dà notizia dell’azione svolta da quei funzionari nel periodo 1816-1834. « Nel dare oggi alla luce — scrive il G. — in scelta ed anche qualche volta soltanto a brani, le lettere del Palma e del Filippi, le quali oltre che offrire un quadro colorito della Tunisia barbaresca dei primi decenni dell’ottocento, racchiudono maggior copia di notizie sulle relazioni sardo-africane, spero di fare cosa accetta a quanti si occupano di storia locale. La quale, come tutti sanno, è estremamente pittoresca e romantica : sono infatti in questa storia dei cupi melodrammi con qua e là le più buffe scene di commedia. In cambio gli avvenimenti che vi si succedono, come le dune del deserto, 0 come le onde del mare, presentano scarso interesse, e poco significato per la storia generale » (pag. 56i). Confessiamo che tali parole lasciano perplessi come già le precedenti pagine introduttive, in altri punti, ci avevano lasciato: appunto perciò che s’attendeva e ciò che si trova. Ma i rapporti che i consoli sardi mandavano a. Torino e pubblicati — non integralmente — dal Gallico, ci forniscono gli attesi eie- RASSEGNA BiELIOGRAFICA 125 menti per quella « storia della colonia italiana di Tunisi » di cui questo studio vuol essere « un modesto contributo » e ci offrono notizie abbondanti e interessanti non dal punto di vista del costume, o strettamente locale, ma da quello a cui la collezione s’ispira : seguire cioè per le vie del mondo gl’italiani che lavorano, soccombono, trionfano. * * * 11 consolato Sardo fu creato a Tunisi nel 1810: primo console generale il conte Gerolamo Palma di Borgof;ranco. Il quale vi trova, una movimentatissima colonia in gran parte venuta di Liguria. Gente d’ogni risma : farabutti autentici, e lavoratori mirabili, gli uni e gli altri e quelli che avevan di entrambe le categorie qualche cosa, avevan comune un’attività e uno spirito d’iniziativa veramente genovesi. I rapporti economici tra Genova e la Tunisia erano molto frequenti. Arrivano a La. Goletta, dal grande porto ligure, prodotti nostri : rosolio di Torino, formaggi, stoffe, vetri, cristalli; partono dalla Tunisia destinati all’Italia carichi d’olio, legumi, grani. La pesca del corallo sulle coste africane è fatta quasi interamente da italiani del regno di Sardegna (i liguri con l’isola di Tabarca che fu già dei Lomellini, avevan tutta una tradizione gloriosa in quel traffico e nella pesca in tutti quei mari) e del regno di Napoli. II Palma, giustamente compiaciuto, scriveva a Torino: « Il commercio sardo acquista realmente ogni giorno maggior consistenza.... talmente che può dirsi, senza esagerazione, che più dei tre quarti dei prodotti del paese siano esportati dai sudditi di S. Μ. o nello stato o all’estero». (Ra])]). al ministro Yallesa; 30 dicembre 1810). Il Palma e il Filippi si adoperano — e quest’ultimo anche più efficacemente — a migliorare contro la serrata concorrenza inglese e francese il commercio sardo — non solo — ma a tener alto il prestigio del loro Paese ; dando prova di fermezza e di tatto in circostanze delicate e difficili. L elemento italiano — ed è questo che interessa *— (anche più dell’opera pur lodevolmente svolta dai consoli) è penetrato in ogni strato sociale ed è — quasi sempre — un fattore di civiltà e di progresso. Tra i commercianti vi sono moltissimi liguri e napoletani, parecchi medici sono italiani, il Teatro Cartaginese è italiano. Scrive il Filippi : « Tunisi, la città ben guardata, soggiorno della felicità, ha creduto non poter giustamente aspirare al pomposo titolo di Parigi delia Barberia se non si provvedeva d’un teatro italiano: il lombardo Giuseppe Terzi, con numerosa comitiva proveniente da Genova, dietro alcune istanze che i sigg. Consoli unitamente ai principali 126 RASSEGNA BIBLIOGRAFICA negozianti gli avevano diretto, ha aperto un’annua serie di rappresentazioni in un piccolo teatrino all’effetto costruito e riuscito di tutta possibile soddisfazione » (Rapporto 21 giugno 1826). La nostra lingua era capita e parlata anche dagli arabi a Tunisi e alla Goletta, e usando la lingua franca era poi possibile farsi intendere ovunque. Tra i membri della colonia ligure-sarda di Tunisi meritano particolare ricordo: Giuseppe Baffo nato a Tunisi da padre chiava rese — il conte G. Battista —; fu stimatissimo dai Bey tunisini di cui era ascoltatissimo consigliere, rese servigi preziosi agli Europei in genere — che passavano a Tunisi — e agli Italiani in ispeeial modo. Paolo Antonio Gnecco riuscì ad accaparrarsi gran parte ilei commercio degli olii e dei grani. Si fece costruire un ricco, imponente palazzo e diede così il primo impulso al rinnovamento edilizio di Tunisi. Giacomo Fedriani è il più noto tra i primi esuli che poi numerosi troveranno asilo in quelle terre. E degli esuli là rifugiati il Fedriani fu il capo amato e apprezzato. Con il nome del cospiratore mazziniano che, con Garibaldi, nel 1834, aveva partecipato al tentativo insurrezionale genovese, è bene chiudere questi cenni sul libro, dal quale sono tolte tutte queste notizie e moltissime altre utili e interessanti si possono trarre. Lrona Ravenna Valentino Coda, Scrini c discorsi a cura di Dedy Baldi, Editoriale Moderna, 1935. « Avete mai visto, dopo una tempesta, fiorire in cielo l’arcobaleno? E contemplando quel prodigio di colori, quella perfetta armonia di forme e di luci, non vi siete sentiti stringere il cuore nel vederlo cancellarti e sparire a poco a poco dai vostri occhi? E quando è sparito chi potrebbe descriverlo, chi potrebbe rendere ai nostri occhi quella gioia, al nostro spirito quella sensazione «li bellezza? I capolavori dell’eloquenza sono come l’arcobaleno che si dilegua senza lasciar traccia, e chi tenta di ricomporre l’immagine di un glande oratore, lotta con l’impossibile ». Così si esprimeva Valentino Coda commemorando nel 1920 Ora-zio Baimondo e si rendeva interprete del rimpianto doloroso e vano che la notizia di quella* improvvisa morte recava con si* all’animo degli Italiani. Gli ultimi anni della esistenza di Orazio Baimondo erano stati infatti tutto un apostolato: egli aveva ormai consacrato alla patria per la difesa della sua dignità e delle sue fortune avvenire le doti singolari dell’ingegno. RASSEGNA BIBLIOGRAFICA I 127 Ma anche l’uomo, che già meritamente illustre commemorava· con accorata passione il Maestro e ne era considerato il più degno erede così nel campo dell’arte oratoria come in quello delle lotte sociali per la buona causa, era destinato a lasciarci poco dopo, mentre, nel fiore dell’età, continuava sulle piazze e in Parlamento la battaglia per l’ideale che l’aveva sorretto quando aveva chiesto la guerra, e quando l’aveva vissuta in trincea. Ricordo d’aver udito Valentino Coda più felice che mai in un comizio al Giardino d’Italia per il Blocco Nazionale, per quel fascio di forze politiche, che si opponeva al sovversivismo e nel quale il giovane oratore teneva, come suo costume, il posto d’avanguardia, e me ne è rimasto un ricordo incancellabile oltrecchè per la coraggiosa irruenza, per la logica acuta delle argomentazioni e la facile naturalezza delle conclusioni. Era un oratore completo, affascinante e suadente. Ebbene, la convinzione nei suoi principi radicati nella mente e nell’animo per lo studio, la meditazione e l’esperienza, pagando di persona, dava alla sua eloquenza una vitalità che non t utta doveva disperdersi con la viva parola e nei discorsi scritti si sente, resiste e dura. Questo posso dire, istituendo il confronto, sebbene diverso debba essere necessariamente dallo stato d’animo del- 1 ascoltante giovinetto di allora, mentre la lotta era tuttavia incerta e pochi avevano l’ardimento di parlare come Coda, quello di chi legge serenamente e giudica ora, mentre le più rosee mete di quei giorni sono luminosamente raggiunte e superate. Rileggiamo il discorso da lui tenuto ai combattenti in commemorazione della Vittoria il 4 novembre 11)20 per riportarci in quel- 1 atmosfera e sentirei ad un tempo il cuore stretto d’angoscia per 1 avversità del destino che negò a quell’uomo, tanto degno, di vedere il pieno avverarsi dell’auspicio, che pure non doveva molto tardare : « Lflìciali. sottufficiali e soldati. Permettete che io vi saluti col titolo del vostro antico grado, titolo più onorato e più invidiabile di quanti possano spettarvi. Specialmente in quest’ora grigia in cui gli egoismi e le viltà soffiano rabbiosamente sul rogo della nostra passione nella stolta illusione di spegnerlo — stolta illusione perchè il vento spegne le piccole fiamme, ma dilata le grandi — special-mente ora noi dobbiamo confessare altamente la nostra fede e rivendicare con orgoglio la nostra qualità di combattenti.... ». Si rileggono con commozione i suoi ricordi di guerra, in cui il tono dimesso è semplicemente quello d’un partecipe dell’immane fatica e dei diuturni pericoli che parla senza iattanza: «I monosillabi bestiali, le selvagge onomatopee con cui il signor Marinetti ha scritto la sua « Battaglia di Adrianopoli » mi avevano fatto ri- ' dere : oggi riconosco che la sensazione dominante di una battaglia moderna è il rumore. Una serie di rumori indescrivibili : il vocabolario è antiquato rispetto ai vertiginosi progressi dei mezzi di 128 RASSEGNA BIBL10GRAFJCA distruzione. Sibili, ronzi, boati, miagoli, strepiti d’ogni sorta, sconosciuti, incomprensibili a chi non vi abbia abituato l’orecchio salutano il nuovo venuto che si affaccia sulla linea del fuoco.... » e più oltre nel racconto in ricordo dei volontari del 90 : « Oggi ho visto il primo morto italiano. Di morti austriaci ne avevo visti parecchi : ma, calcinati dal sole, divorati dalle mosche (orribili mosche verdi dai riflessi d’acciaio) con la pelle delle mani raggrinzita e nera come la cartapecora, quei cadaveri sono osceni : il ribrezzo uccide la pietà. Eppoi la guerra rende crudeli : lo spettacolo del morto nemico suscita un calcolo egoista: « uno di meno », oppure un vago timore egoista di finire così, divorato dalle mosche verdi.... Ma questo era uno dei nostri, e il volto non ancora deturpato dalla maschera deforme ispirava la profonda calma che pare diffusa dall'angelo della morte sui letti funerari ». Ferito, decorato, miracolosamente salvo in più di un’azione, gli toccò finalmente la gioia e l’onore di celebrare la vittoria nel novembre 1918 al Teatro di Pergine (Trento) alla presenza del generale Armando Diaz : « Quasi cento anni fa dai piombi di Venezia muovevano, con la catena ai polsi, i primi martiri della causa italiana : Pellico, Maroncelli, Oroboni, Confalonieri ; quasi cento anni fa, per le vie di Genova, Mazzini fanciullo vedeva uomini pallidi, vestiti a lutto, tendere nascostamente la mano, mormorando : Per i proscritti d’Italia ! Cento anni, signori ! Cento anni di lotta, di dolori, di speranze, di sconforti; un secolo che tramonta, ed un nuovo secolo che sorge con la nostra vittoria! ». Negli scritti e discorsi diligentemente raccolti ed ordinati a cura di Dedv Baldi si può seguire lo scrittore e l’oratore nella parte saliente della sua» opera d’italianità dal 1914 al 1921, da quella Petizione di un cittadino italiano al suo Governo, che è ur notevole documento d’eloquenza politica, in cui la necessità dei-l’intervento contro l’impero asburgico è dimostrata attraverso Pesame del quesito, a tratti pacatamente equilibrato, a tratti fervido di entusiasmo, alla commossa e fiera rievocazione dei primi martiri fascisti, pronunziata alPAugusteo di Roma un mese prima della morte : «E cosa davvero che supera l’ambizione di qualunque oratore — esclamava in quella circostanza — e nel tempo stesso vi fa tremare le vene e i polsi, parlare qui, sotto questo cielo, dove non sono spenti gli echi delle più grandi parole che il mondo abbia mai udito, parlare a questa Roma dove pulsa il cuore millenario della Patria. Perchè, noi, o Cittadini, ed è questo il nostro massimo torto in faccia agli avversari, siamo credenti nell’immortalità delPItalia, siamo ostinati nel peccato dell’amore di Patria.... ». E fino dai primi scritti il futuro deputato fascista si presenta con la sua fede ed il suo ammonimento : « È bene, o signori, meditare le severe lezioni della storia. Noi abbiamo perduto ad Adua RASSEGNA BIBLIOGRAFICA 129 — così diceva commemorando quella battaglia durante la guerra Ί5-Ί8 — per la insipienza d’un generale, ma questo generale fu assillato dalla critica degli incompetenti, fatto segno all’ingiuria degli irresponsabili, private immaturamente della fiducia dei suoi capi, influenzato nelle sue decisioni dallo stupido clamore della-folla che minacciava di rovesciare l’idolo se l’idolo non le dava il miracolo della vittoria! Tutti, tutti quanti hanno fatto delle chiacchiere, dell’ironia, del pettegolezzo, del pessimismo intorno alla guerra. e cioè quasi tutti gli Italiani di ieri sono responsabili della sconfitta : che ciò si tenga a mente dagli Italiani di oggi! « Impariamo la virtù del silenzio. Impariamo la pazienza e la disciplina: son questi i doveri, è questa la consegna dei cittadini ». La introduzione biografica si desidererebbe, almeno così ci sembra, più rapida e concisa, soprattutto per la parte che trova immediato riferimento nell’edizione, e quindi più efficace. Vi si leggono, tuttavia., con interesse altri scritti del Coda, specialmente poetici, che valgono a meglio lumeggiarne la figura. Soltanto sarebbe stato bene che non figurassero nel libro titoli con brutti francesismi come questo: «Il debutto in Parlamento». Li avverto perchè stonerebbero anche all’orecchio del forbito oratore, spiccatamente carducciano nella coltura letteraria. Ma basta così, perchè non voglio apparire pedante proprio alla Baldi, giornalista simpaticamente nota e ormai provetta. Mario G. Celle SPIGOLATURE E NOTIZIE STORIA MEDIOEVALE Alberto Magnaghi: 1 fratelli Vivaldi, precursori di Colombo in «Corriere Mercantile », 2 maggio 1930. Giorgio Falco : Un f rammento statutario genovese del secolo XIII in « Bollettino storico bibliografico subalpino », Torino, gennaio-marzo 1930. Careos : Colonie genovesi in Siria in «Corriere Mercantile», 20 maggio 1936. Tre Stelle Nere: Domocuìta in «Corriere Mercantile», 31 marzo 1930. MODERNA E CONTEMPORANEA Navigatori, esploratori, pionieri. A. Rossi: Il genovese Malfaute primo esplorai. & sanariano i^* «Corriere Mercantile», 25 maggio 1936. Mario Maria Martini: Un ulisside di Liguria: Leon Pancaldo in « Giornale di Genova », 1 maggio 1936. Carlo Zaglii : Paolo Della Cella in «Corriere Mercantile», 7 maggio 1930. Amedeo Pescio : Il pilota del Riachuelo: Capitan Cafferata in « Il Secolo XIX », 3 aprile 1930. 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Giuseppe Bisogni Direttore responsabile : ARTURO CODIGNOLA Sfcabilimenfco Tipografico L. CAPPELLI - Rocca S. Casciano, Luglio 1936-XIY jLO zucchero NEL LAVORO E NEGLI SPORTS Dato Fattuale ritmo della vita, lo zucchero dovrebbe essere l’alimento di elezione in ogni campo della vita pratica e intellettuale, dove si lavora e dove si pensa, nelle fabbriche e nelle2; scuole, nelle caserme e nello sport, là dove necessita attuazione pronta di energia e di velocità. Quando si lavora, il lavoro risulta fisiologicamente più economico se viene eseguito dopo un pasto ricco di zucchero, che dopo un pasto in cui abbondano grassi e carne, E ciò, non solo perchè lo zucchero scalda meno i congegni dej. nostro organismo, ma perchè è l’alimento proprio e più indicato nel lavoro dei muscoli. Lo zucchero è il vero carbone del motore animale, e carbone di prima qualità, anche perchè non dà scorie, nè origina, nel suo ricambio, alcuna sostanza tossica. Si comprende, quindi, come, ingerendo zucchero durante il lavoro, si possa dare un maggior rendimento e come esso possa giovare nel ristoro dopo la fatica. Sono classiche le ricerche eseguite dal Mosso e dalla sua scuola, e dal Harley, sul potere ristoratore dello zucchero nelle ascensioni alpine ed, in genere, negli sports violenti. Scrive Angelo Mosso nella “ Fisiologia dull’Uomo nelle Alpi „ : “ Lo zucchero ha il potere di aumentare la forza dei • muscoli. Dal muscolo affaticato può ottenersi ima più grande energia bevendo semplicemente una soluzione di zucchero nell’acqua. A che cosa è dovuta l’improvvisa caduta di forze, la défaillance che, a volte, coglie l’atleta nel fervore della gara o l’alpinista che ascende la montagna? Indagini moderne hanno dimostrato che dipende da una discesa di zucchero nel sangue, da una ipoglicemia. Basta allora mangiare un po’ di zucchero, bere uno sciroppo, per sentire rinascere, le forze e l’energia di proseguire. „ Lo zucchero, alimento fisiologico, deve essere consumato sopratutto dai lavoratori e dagli sportivi. Dalla pubblicazione del compianto Prof. Gaetano Viale, Direttore dell'istituto di Fisiologia della R. Università di Genova : Lo zvcchero nelValimentazioney nella terapia, negli sports, nel lavoro. (Genova, 1933, Barabino e Graeve). GIORNALE STORICO E LETTERARIO DELLA LIGURIA La puttlicazione esce sotto gli auspici del .Municipio e della R. Università di Genova, della R. Deputazione di Storia Patria per la Liguria e del Municipio della Spezia ABBONAMENTO ANNUO : per l’Italia Lire 30 - per 1 Estero .Lire 60 Un fascicolo separato Lire 7,50 - Doppio Lire 15 DIREZIONE E AMMINISTRAZIONE : Genova. Via Lcmellini, n {Casa Mazzini) “TERNI,, SOCIETÀ PER L'INDUSTRIA E L’ELETTRICITÀ Anonima con Sede in ROMA - Via Due Macelli, 66 (Palazzo Proprio) Cirezione Tecnica Commerciale ed Ammirisi, in GENOVA - Via 5· Giacomo di Carignano, 13 (Palazzo Proprio) CAPITALE L. 430.000 000 Stabilimenti in TERNI, PAPIGN0 C01LESTÀTTE, CERYARÀ, NARNI, GALLET0, PRECI, NERA, M0NT0R0, SPOLETO 6 Centrali Elettriche eoa 250.000 kw installati Indirizzo Telegrafico: ELETTROTERNl, per Rome. 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Spedizione in abbonamento postale ANNO XII - 1936-XIV Fascicolo III - Luglio-Settembre R. DEPUTAZIONE DI STORIA PATRIA PER LA LIGURIA GIORNALE STORICO E LETTERARIO DELLA LIGURIA PUBBLICAZIONE TRIMESTRALE Direttore: ARTURO CODIGNOLA Direzione e Amministrazione GENOVA, Via Lomellini, 11 (Casa Mazzini) SOMMARIO Ferruccio Sassi, Ricerche sulla organizzazione castrense nella Luni-giana vescovile, pag. 135 — Mario Battistini, Le relazioni d'Ausonio Franchi col belga Luigi de Potter, pag. 140 — Ninetta Savelli, La politica estera di Genova nei riguardi del Piemonte (iygi-1793), (continuazione) pag. 152 — Mario G. Celle, L'ediziont> nazionale degli scritti di Giuseppe Garibaldi, pag. 161 — Antonio Giusti, Appunti sul dialetto ligure, pag. 166 — Renato Giardelli, Saggio di una bibliografia generale della Corsica, pag. 175 — Comunicazioni della R. Deputazione di Storie patria per la Liguria, pag. 18c — RASSEGNA BIBLIOGRAFICA: Riniero Zeno, Documenti per la Storia del diritto marittimo nei secoli XIII e XIV (Vito Vitale) — Giulio Miscosi, I quartieri di Genova antica (u. s.) — W. N. Carlton, Paolina Bonaparte (gp.) — Attilio Regolo Scarsella, Gli Annali di S. Margherita Ligure dai suoi primer di sino al 1914 {A. Piolo), pag. 183 — Giuseppe Bisogni, Spigolature e NoHzie, pag. 195. CASSA DI RISPARMIO E MONTE DI PIETÀ' DI GENOVA RICEVITORE PROVINCIALE PER LA PROVÌNCIA DI GENOVA FILIALI ———= - GENOVA-CENTRO ALASSI0 PIETRA LIGURE (Agenzia A) ALBENGA PIEVE DI ÌElO (Agenzia B) ARENZANO RAPALLO GENOVA -SAMPIERDARENA BÛROJGHERÀ RECCO GENOVA-SESTRI BUSALLA REZZOAGLIO GENOVA -PEGLI CAMPOllGURE S. REMO GENOVA-VOLTRI CHIAVACI S. MARGHERITA LIGURE GENOVA-RIVAROLO FINALE LIGURE SESTRI LEVANTE GENOVA - B0L2ANET0 IMPERIA II TAGGIA GENOVA -MNTEDECIMO LOANO TORCIGLIA GENOVA - NERVI M0NT0GGI0 VARAZZE GENOVA-VALBISAGNO NOVI LIGURE VARESE LIGURE CREDITO ITALIANO LOCAZIONE CASSETTE DI SICUREZZA DEPOSITI DI TITOLI A CUSTODIA alle condizioni più modiche SERVIZI SPECIALI PER TITOLI DI STATO E OBBLIGAZIONI DIVERSE Appositi uffici e sportelli per fornire a chiunque tutte le possibili informazioni e notizie. TDTTE LE OPERAZIQm Pubblicatone di due interessanti periodici nj n-Mr. che vergono spediti orataitamente a richiesta. DI ΠΑΠΙΑ Anno XI - 1936-XIV laecicolo III - Luglio-Settembre GIORNALE STORICO E LETTERARIO DELLA LIGURIA Direttore: ARTURO CODIGNOLA Comitato di redazione : CARLO BORNATE - PIETRO NURRA - VITO A. VITALE RICERCHE SULLA ORGANIZZAZIONE CASTRENSE NELLA LUNIGIANA VESCOVILE 1 IL SISTEMA CURTENSE IN LUNIGIANA NEL SECOLO X, ED IL SUO SFALDAMENTO L <\i ^omento iioii è nuovo, 11011 solo per *‘| _i-«.-1.·i■ può avere attinenza con lo studio della storia generale, ma neppure con quello della storia locale. Alcuni tra i migliori e più acuti studi del Formentini (Ί) sono appunti dedicati alla disanima dell’origine e della struttura di queste organizzazioni curtensi eue, venuu* dai tempi più remoti del medioevo, mostrano in un dato periodo della nostra storia la più rigogliosa vitalità sino a quando poi soggiacciono travolte da nuove forme di vita, da nuovi bisogni, da nuove concezioni giù-ridiche. L’attenzione del Foipentini si era naturalmente rivolta a quelle corti che più di altre mostravano caratteristiche le particolarità dell organizzazione economico-giuridica, così che più agevole fosse — sia pur a prezzo di diligenti ed acute indagini — ricostruirne il processo di formazione e di sfaldamento. A prescindere dalle vicende della nota « terra arimannica » concessa da Carlo Magno al Monastèro di Bobbio e confinante con l’Alpe Adra, abbiamo in Riviera un notevole gruppo di corti regie estendentesi anche nel l'interno della (M Conciliaboli, pievi e corti nella Liguria di Levante, in «Meni. Accail. Lunigianese, (\ (Vippellini », 1925; La tenuta curtense degli antichi Marchesi della Tuscia in λ al di Magra e Val di Taro, in «Ardi. Stor. per le Province Parmensi», nuova serie, XXVIII. 136 FERRUCCIO SASSI Val di Vara: Ravecca, Framura, e le tre — cedute agli Obertenglii — di Ceula (poi Levanto, comprendente anche Mattarana e Car-rodano), di Moneglia e <( (le Salto ». Passando alla Val di Magra, troviamo — nel secolo X — anzitutto un complesso di terre organizzate con criteri prevalentemente agrari, costituenti l’oggetto della donazione fatta da Re Ugo alla Regina Berta nel 038 : Aulla con 100 mansi, l’abbazia « de Valeriana » pure con 100 inalisi, la corte di Verpiana con 40, la corte di Cornano con 60, la corte detta « Nuova » pure con 60. Possiamo ricordare poi la corte dei Bosi, e quella « de Monte de Monzone » dei signori di Casola, entrambe note agli studiosi di storia locale, e le corti obertenglie di Arcola e di Vezzano la cui esistenza è sopratutto chiaramente dimostrata dalle lunghe vertenze intercorse sin dal secolo X tra Vescovi e Ma laspina e domini di Vezzano. Passando alla Lunigiana, convenzionalmente detta vescovile, un notissimo diploma di Ottone I, del 10 maggio 036 (*), conferma alla Chiesa di Limi, oltre ad una corte in Piacenza : cortem de Lune cum mercatis et pertinentiis suis ; cortem de Carria ; cortem de Oliva cum sua pertinentia; cortem de Serviliano: cortem de Lavaclo; cortem de Massa; cortem Brunengi ; castrum de Amelia, Ilaulo, et castrum de Sarzano; cortem de Pedegniano ; cortem de Carraria ; cortem de Niblone ; cortem de Curvasano ; cortes districtus de Bardarono; cortes de Vethano cum castro et Oni-tiano; cortem de Ceparana cum mercato et castro; cortem de Cu scagnano; cortem de Baiano et Tivenia ; cortem de Bracerio; castrum Sancti Andree (di Montedivalli) ; castrum de Tribiano; cortem de Exlato; cortem de Porto cum Ecclesia Sancte Juliane. La carta, così come è redatta, ci disegna un complesso di beni non tutti oggi identificabili ; ma lascia adito alla fondata supposi zione che si tratti, se non (l’un assieme territorialmente compatto, (Γυη gruppo però notevolissimo di organismi contigui, anche se irregolarmente distribuiti nelle singole pievi della zona. 15 evidente che non possa trattarsi della più remota organizzazione curtense della bassa Lunigiana. Resterebbe fra l’altro incomprensibile — almeno ad un sommario esame, condotto sugli scarsi elementi in nostro possesso — un siffatto addensarsi degli organismi curtensi prò prio nella zona più prossima all’unica città, erede del vecchio municipio romano, esistente nel bacino della Magra ; addensamento tanto più notevole se paragonato con il numero relativamente scarso di corti documentato nel restante della Lunigiana. Se è vero che l'ordinamento curtense può essere assunto come il prototipo del ciclo ad economia chiusa, e se è pur vero che resistenza di esso non può (1 μ’od. ivl.ivicino, n. li). RICERCHE SULLA ORGANIZZAZIONE CASTRENSE 137” essere ovunque presunta, parrebbe assai più logico pensare che le corti dovessero addensarsi piuttosto nella regione più appartata dalla città, dove cioè più comodi e meno frequenti erano necessariamente gli scambi. Notiamo invece il fenomeno contrario. È chiaro quindi che non ci troviamo in presenza, nella carta del 903, dell’ordinamento originario delle corti in tutta la zona contemplata nella carta stessa, ma bensì d’un ordinamento derivato, prò dotto da cause relativamente recenti. Sarebbe probabilmente vano il tentativo di ricercare per ognuna di esse un substrato giuridico-territoriale di età remota, o addirittura affondante le proprie radici nel terreno della tarda romanità, e converrà piuttosto definire il carattere giuridico economico di queste corti sulla scorta della storia più recente e del diritto pubblico dell’età feudale. In una mia precedente memoria (x), avevo prospettato un’ipotesi — che ritengo nuova — che valesse a giustificare il reale fondamento giuridico del potere temporale dei Vescovi di Luni. Avevo accennato così, come — sulla base dell’immunità generica confermata nel 000 da Berengario alla Chiesa di S.ta Maria, — potesse* essersi sviluppata — nel primo quarantennio del secolo X — un’organizzazione territoriale facente capo al Vescovo di Luni e coir caratteristiche sempre più nettamente positive. Avvertivo in quella sede che non s’intendeva già affermare con ciò una diretta giuridica conseguenza del nuovo stato di cose dalla concessa e confermata immunità ; ma, piuttosto, che uno stato di fatto, una situazione tutta particolare — le necessità della difesa marittima — avesse agito, trasformandolo, sul fondamento giuridico offerto dalla carta di Berengario. Avevo anche tracciato le probabili linee generali d’un’organizzazione militare del territorio immunitario assegnato alla Chiesa di Luni, ed osservato come proprio questo fosse l’aspetto più caratteristico dell’immunità in questione. L’ipotesi allora formulata consente di prospettare come possibile — eliminando cioè il dubbio d’interpolazioni — l’effettiva esistenza di castelli compresi nell’orbita immunitaria. Osservandone la distri buzione topografica, rileveremo agevolmente che si tratta d’una vera corona di fortificazioni eretta attorno al nucleo centrale, alla parte migliore del distretto, e con saggi criteri : contrastare l’accesso dal mare alla bassa valle della Magra, e da questa all’interno, mediante lo sbarramento delle grandi vie di comunicazione che vi immettevano. Notiamo infatti il castrum de Amelia, de Tribiano, de Vetha no. Sancti Andree, de Ceparana, de Sarzano. Plausibile appare anche, in relazione, la concessione dei mercati di Luni e di Ceparana. Le numerose córti vescovili possono dunque definirsi ognuna ί1 ) T/influenzo del fattore ma ritti tuo nella costituzione e ncU'on/anizzaiione del potere temporale dei Y caco ri di Luni. in «Meni. Aocad. Lunìg. ili Sciènze^ G. Capellini », XV, 1. 138 FERRUCCIO SASSI come un complesso di beni, in parte già direttamente appartenenti al fisco, ed in parte venuti alla Chiesa vescovile per donazioni e cessioni a vario titolo avvenute per opera di privati, il tutto organizzato secondo le particolari necessità della Chiesa vescovile e nel modo migliore per far fronte alle necessità medesime i1). L’origine mista di questi organismi risulta abbastanza chiaramente espressa dal testo della carta, là dove — accanto alla concessione delle corti (domus cultilaeì « ad eam pertinentibus » — troviamo connessi, riconosciuti e confermati case, campi, prati ed insieme le regalie sui pascoli, sulle acque e sul loro decorso. La carta, pur presentandosi come uno dei tanti diplomi immunitari, ci rivela anche un suo aspet to — per così dire — rivoluzionario, imprimendo a tutti i beni della Chiesa un netto e fondamentale suggello di diritto pubblico, non tanto perchè tale carattere fosse obbligatoriamente legato ai beni stessi, ma unicamente in conseguenza delFaccennato scopo fonda-mentale delle concessioni stesse. Possiamo fors'anche rintracciare alcune vestigia deirordinamento primitivo, e cogliere in pieno in tal modo il processo di trasformazione che ha investito in un dato momento storico le antiche organizzazioni civili della bassa Lunigiana. Una carta, non studiata sinora di proposito e dimenticata fra le tante altre del Codice Pelavicino (-), ci dice che il 1-1 ottobre del DOS un tale Adeurando « de loco Ponciano » chiede in feudo al Vescovo di Limi la metà di certe terre poste nelle località di Genesti tulo, Ponciano, Sevi 110, Cetulo ed altre non specificate nel documento, ma indicate colla definizione generica di appartenenti alla « ipsa re de Genestitulo ». Il chiedente Adeurando si obbliga di coltivare, lavorare, migliorare le terre ed assume l'impegno di risiedervi in persona propria o degli eredi ovvero d'un « misso ad habitandum ». L'atto è senza dubbio importante dal punto di vista della storia economica : è la ricerca di terre da sfruttare, che si manifesta : è il riconoscimento del valore economico dei beni immobiliari, come produttivi di un reddito certo ed ognor più ricercato: è 1 affermazione delle categorie — sembrano nuove in quel tempo — dei « supersedentes » e dei « manentes » legati alla terra da un vincolo affettivo giuridicamente consacrato. Ma l atto è importante anche dal punto di vista storico giuridico. Che altro è quella « res de Ge-nestitulo » — costituita da una serie di parceìlamenti in località diverse — se non la memoria di quella che era stata senza dubbio la corte omonima, ormai scomparsa perchè assorbita e trasformata (l) La scomparsa. Del corso ilei secolo X. ili ojnii distinzione tra beni do* ridine pubblica e beni d'origine privata, era stara notata i>er le comunità rurali ilei piacentino dà E. Nasaixi-Rocca di Corxeijvno. iu Consoli e pubblici -ufficiali nelle comunità rurali, in « Boll. Stor. Piacentino». ΧΧΛ . *“» sg?. (a) Ood. Pel., n. 210. > RICERCHE SULLA ORGANIZZAZIONE CASTRENSE 139 nel nuovo organismo, la corte vescovile di Ceparana? Ce lo dichiara lo stesso Adeurando, il quale intende sì porre in risalto lo scopo economico della richiesta, ma precisa altresì che egli intende essere un feudatario del Vescovo e non un semplice colono: un livellario di schiatta, se egli può affondare le radici del proprio albero genealogico in un sottosuolo abbastanza profondo: « Adeurando qm Azonis qm Rodulii qm Bonizoni »... : si giunge certamente alla seconda metà del secolo IX. E l'altra metà « de ipsa re de (Jenestitulo » non completava allora, con la prima, il disegno della corte primitiva e forse il retaggio feudale della famiglia capitaneale da cui discendeva Aden rancio? Noi vediamo il « corpus oeconomicum » di Genestitulo estendersi certamente nell’ambito della pieve di S. Stefano di Cerreto fS. Stefano Magia ) : e non è da escludere che gli antenati di Adeurando fossero anche livellari della famosa abbazia di S. Venanzio di Ceparana (r). Ma lo sfaldamento della vecchia organizzazione curtense, che lascia il posto al nuovo ordinamento basato sulla più recente organizzazione demieo-terriera, prosegue ancora dopo il 963. Nel diploma di Ottone II, del 981, troviamo espressamente accennata la corte di di Ameglia, sorta presumibilmente nelTintervallo di tempo intercorrente tra i due documenti per smembramento della corte di Luni. Più avanti ancora, il 2 settembre ì‘>Tn. ana carta <*i documenta il vassallo vescovile Caro in atto di chiedere al Vescovo Guido « privato nomine usufrnctuandi » i beni tutti già sfruttati da Porcolo delPAmeglia nella corte di Bolano, nata evidentemente per smembramento della corte di Ceparana e nel cui ambito sorgerà più tardi Γomonimo castello. Due sono quindi in conclusione i fattori fondamentali di queste trasformazioni : il « castrum » in sè ç per sè considerato, e l'iniziativa organizzatrice dei Vescovi, che si manifesta sia nel l'attività in-castellatrice, sia nelle modificazioni alFoi dina mento territoriale palesi nella citata corte di Bolano e nelle vicende della corte di Ca-misiano illustrate da Michele Ferrari i->. {continua) Ferruccio Sassi (1 > Non è di capitale importanza, ai tini del presente studio. üi»i>rofondîre· la questione se la terminologia « res de.... - voglia piuttosto alludere ad una originaria unità delle eomunaglie di un vecchio « pagns » ( Cfr. B»χ;νέτπ. > itile-orifrini dei Comuni rurali del Mediterò. Pavia. Tip. Coop.. 1927). (2> Cod. Pela vicino, n. 19. Le relazioni d*Ausonio Frantili col belga Luigi de Potter Luigi de Potter, ne’ suoi Souvenirs infinies: (M, a proposito della pubblicazione della sua Histoire abrégée du Christianisme, il 2° ■volume della quale fu pubblicato nel 185G, parla a lungo d’Ausonio Franchi, l’ardente e battagliero prete ligure, fondatore e direttore de La Ragione. Le pagine die gli dedica servono a chiarire come i due scrittori entrassero in relazione e come le circostanze rendessero impossibile un’intesa fra i due scrittori, così diversi di pensiero e di temperamento. L’interesse che abbiamo messo a studiare questo Belga, che è un po’ anche nostro, perchè abitò a lungo l’Italia, 1 amò fortemente, ne conobbe la tragica e dolorosa situazione politica e morale, in quel periodo che va dal 1811 al 1823, anni che passò fra noi, partecipò alla vita politica del nostro paese, facendo parte della Carboneria e della Massoneria e rientrato in patria definitiva -mente nel 1823, fu amico di tanti esuli nostri in Belgio ed in Frantela, ci ha spinto a mettere in luce anche le sue relazioni col filosofo genovese (2). La vita di Scipione de3 Ricci, vescovo di Pistoia, Les rognures, La storia de’ Concili, Le memorie del vescovo Ricci ed altre opere, mostrano quanto al de Potter interessasse la storia nostra e con quanto intelletto ed ardore egli avesse studiato i nostri archivi pub- (1) Bruxelles, 1900, pagg. 370-373. (2) (’fr j miei scritti: Le relazioni di L. de Potter eoi 1 icusseux c coi collaboratori delVAntologia, in « Rivista stor. degli Archivi Toscani di Firenze », 1930, fase. 1°: La vita di Scipione Ricci, vescovo di Pistoia, di L. de Ροτίεκ. in «Bilychnis» di Roma. 1930, fase. 9-10; F. Bnomirroti nel Belgio c le sue relazioni con L. de Potter, in « Giornale di polit.ca e lett. » di Roma, 1ÌM1, fase. 4: Esuli italiani nella corrispondenza di L. de Potter, in «Annali dtlla •R. Scuola Normale Slip, di Pisa», 1932, serie II, vol. I; Lettere di V. c F. l’gotii a L. de Potter, in «L’Ateneo di Brescia », 1931, pagg. 393-420; / manoscritti della Biblio. reale di Bruxelles, relativi alla Corsica\ con lettere del Dr. Autonnnarchi al de Potter, in « Archivio Stor. di Corsica », 1931, η. 1, Le relazioni di L. de Potter con scienziati italiani, in « Rivista di storia (Jolie •scienze mediche di Firenze», 1932, n. 3-4; Esuli, ital. nel Belgio: Antonio Beili ardo Panigada, in «Ateneo di Brescia», supplemento ai Commentari del 1933, pagg. 95-117; Urbano Lampredi nel Belgio e L. de Potter. in «Giornale storico della lett. Ital.», 1933, fase. 1; Lettere di Yieusseux a L. de Potter, in «Rivista storica Archivi Toscani», 1933, fase. 1-2; Raffaele Pocrio in Inghilterra e le sue relazioni con L. de Potter, in « Giornale storico della Lett. Ital. ». 1935, fase. 1 : Un educatore : Pietro Gaggia ed il suo collegio-con ritto a Bruxelles, in ’AUSONIO FRANCHI E LUIGI DE POTTEK blici ed anclie privati, che tanti amici gli avevano aperto. Tutta la vita di quest’ardente belga è legata all’Italia ed anche nella sua più tarda vecchiezza, il destino volle ancor più stringerlo alla nostra terra, togliendogli il maggiore dei figli, Eleuterio, artista ricco di promesse, che la morte rapì a soli 24 anni a Pisa, il 25 marzo 1854. Il vecchio albero, ancor pieno di vitalità, sembrò colpito a morte, ma la forza d’animo ebbe ragione della sorte iniqua ed oltre cinque anni ancora, questo grande dimenticato, visse, cinque anni ancora di piena attività, che solo una rapida morte soppresse per sempre il 22 luglio 1850. Come il Franchi conoscesse le opere del de Potter non sappiamo con certezza, ma incliniamo a credere che ne parlasse al fondatore de La Ragione quel dotto piemontese Giuseppe Baruffi, che nel.is4s aveva conosciuto personalmente il de Potter a Bruxelles (l>. Il ricordo del Baruffi era rimasto così vivo nella mente del belga, che nell’agosto del 1855 gli presentava l’agitatore irlandese ()’ Brien. il quale si recava in Italia. E della presentazione e del ricordo che di lui aveva serbato, il Baruffi esprimeva al de Potter tutta la propria intima soddisfazione nella seguente lettera datata da Torino il 2G dicembre 1855 : « La sua bella lettera del 18 agosto scorso, colla quale volle onorarmi doppiamente e di sue preziose notizie e della conoscenza personale dell’illustre O’ Brien, mi ha fatto un vivissimo piacere. Abbiasi dunque i miei sentiti ringraziamenti pel prezioso duplicato favore e si assicuri che sarò sempre lietissimo, quando vorrà rammentarsi della mia povera persona in qualunque maniera. Lo stimatissimo signor O’ Brien non venne a Torino che nel presente dicembre e passò con noi una diecina di giorni. Tutte le persone che hanno avuto la bella sorte di conoscere davvicino una sì cara persona ne rimasero altamente soddisfatte. Sono stato felice di poter fare da guida all’illustre irlandese nel suo breve soggiorno in Tonno, di cui mi parve assai soddisfatto. Egli ci ha lasciato pochi giorni sono, per andarsene a Firenze, dove l’abbiamo accompagnato con le nostre deboli commendatizie e coi più sinceri voti di ottimo viaggio e di felicità d’ogni maniera, perchè si guadagnò tutta la nostra simpatia e specialmente la mia. Aspetto con cara impazienza notizie del suo viaggio, avendomene fatta graziosa promessa. « Mi duole che il « Giornale Officiale di Torino » abbia ricusato di pubblicare le due brevissime righe di encomio che io aveva scritto pel Signor O’ Brien, onde annunziarne l’arrivo in Torino in modo onorevole, e ciò (pare incredibile Î) per tema di spiacere all'Inghilterra nostra presente alleata! Ad ogni modo l’illustre esule venne accolto dappertutto con affettuoso riguardo, ed alcuni professori lo (l) M. Baiti.sii ni. Esuli e viaggiatori italiani amici di L. de Potter, in « Annali della R. Scuola Normale Superiore di Pisa ». serie II. vol. I. 1932. 142 MARIO B ATTISTINI encomiarono in pubblica scuola, (piando volle questi assistere alle loro lezioni nell’Università. « Gratissimo della preziosa memoria clic Ella conserva di me, e pel favore <1’avermi procurata la conoscenza d’uno dei più celebri cittadini del mondo presente, pieno la mente e il cuore della più alta con siderazione^ mi pregio, ecc. » (*). Fu forse il Baruffi che ne parlò al Franchi o gli fece conoscere alcune delle opere dello scrittore e polemista belga e specialmente la Storia del Cristianesimo, o fu piuttosto la visita di O’ Brien che dette al Franchi l’idea di tradurre quest’opera e d’entrare in rapporti diretti col de Potter? Non abbiamo elementi per poter rispondere, ma è certo che la prima lettera del Franchi al de Potter è di pochi mesi posteriore alla visita dell’O’ Brien e alla lettera del Baruffi; poiché fu scritta il 9 febbraio 185G. 11 (le Potter, nella sua citata opera, pubblicata dopo la morte di lui, dai figli, scrive a proposito del Franchi, testualmente: « Pubblicato il 1Q volume de VHistoire abrégée du Christianisme, ricevetti una lettera da Torino, di Ausonio Franchi, direttore della rivista settimanale La Ragione, con la quale m’annunziava la traduzione in italiano della mia Storia del Cristianesimo, in otto volumi, riassunta da lui stesso. Mi affrettai a rispondergli che io medesimo avevo fatto il riassunto, del quale egli si occupava c che se questo gli era gradito, avrei messo a sua disposizione i fogli man mano che sortissero dalla tipografia. Egli accettò senza esitare e per provarmi che ciò che m’aveva scritto era vero, mi mandò i fogli italiani, già stampati, della mia introduzione all’opera del 1838 e mi domandò l’elenco completo di tutti i miei scritti fino a quel giorno. Questo fu sufficiente per convincermi ch’egli non comprendeva una parola di ciò che stavo facendo in quel momento. Mi affrettai a dirgli che avevo scritte molto, forse anche troppo, che man mano ch’io pubblicavo le mie idee, vi facevo delle modificazioni, le quali apparivano in una successiva pubblicazione e che così dalla mia Storia del Cristianesimo del 1838 a quella pubblicata allora, benché i fatti fossero gli stessi, v’era necessariamente una differenza radicale nella maniera di valutarli. Aggiungevo che nei 1838, allorché la rigenera* zione sociale non era stata ostacolata se non dagli antichi abusi, io non potevo pensare che alla demolizione; ma che dopo il 1848 le utopie d’organizzazione essendosi mostrate più ostili alla realizzazione della società razionale, delle utopie conservatrici, bisognava occuparsi seriamente di colmare il vuoto fatto dal liberalismo, per mezzo della determinazione del solo principio del quale la ragione può dimostrare la realtà E dopo queste affermazioni, non sola- i1) Biblioteca reale di Bruxelles. Corrisp. di L. de Potter, codice II, 5488, vol. VIII, lett. n. 155. LE RELAZIONI D’AUSONIO FRANCHI E LUIGI DE POTTER 143 mente comunicai al Franchi l’elenco de’ miei scritti, ma gliene feci pervenire i principali. Infine, pei* evitargli le difficoltà e le spese perdute che prevedevo, in caso avesse dovuto rinunziare alla traduzione della mia introduzione storica, gli consigliai di fare di questa memoria, completamente separata dalla storia stessa, uir opera a parte. Sarebbe tato un opuscolo che in Italia, dove le idee non avevano ancora avuto bisogno di trasformarsi come altrove, avrebbe potuto avere qualche successo. Dopo di che niente avrebbe potuto ostacolare la riproduzione completa e senza modificazioni, del nuovo Riassunto dell’autore. Ma, o non fui compreso, o il mio ragionamento sembrò avere poco fondamento. In ogni modo i fogli successivi della traduzione, ch’io non tardai a ricevere, mi mostrarono, con mio grande dispiacere, l’introduzione storica della mia grande opera del 1838 che precedeva immediatamente la prefazione del mio Riassunto del 185G, la quale constatava il cambiamento della mia maniera di trattare la storia, e il riassunto medesimo, che era la prova materiale di questo cambiamento; tutto questo in un solo e unico libro, malgrado le ripetizioni senza numero e le contradizioni inevitabili e flagranti che questo singolare amalgama generava. Ebbi cura di fare osservare di nuovo la cosa al traduttore, e sostenni le mie osservazioni con numerose citazioni e confronti adatti a fargli sentire l’abbaglio che aveva preso, ma che in un avviso del traduttore avrebbe potuto facilmente riparare o almeno attenuare. Poi mi rassegnai ed attesi. Nel frattempo La Ragione aveva riprodotto un programma massonico, disgraziata concezione d’un tal Goffin di Yerviers. I miei giovani amici di Bruxelles e di Mons erano appena riusciti a far sopprimere dal regolamento della massoneria belga un articolo che proibiva ai fratelli di discutere nelle logge argomenti religiosi e politici, quando il Goffin riprese le povere idee del 1848, come se fossero state l’ultima scoperta dell’intelligenza e la linea definitiva a seguire per non allontanarsi dalla diritta via. Il giornale di Torino s’impadronì di questo programma e lo considerò come un titolo d’onore del Belgio progressista. Credetti allora dover dare alla rivista italiana una relazione particolareggiata dei fatti e un esame delle dottrine. Cominciai per esporre, forse un po’ vivacemente, le nostre controversie col vecchio liberalismo, dottrina ormai logora, benché nel passato sia stata di grande utilità. Infatti essa aveva servito ad abbattere tutto ciò che la libera discussione aveva dimostrato discutibile, cioè a dire tutto ciò che non riposava se non sopra un'ipotesi ed era sostenuto solamente dalla fede. Ma a loro volta i conservatori, per la fede nelle ipotesi, dimostravano che per colpa di non saper niente, la società si disorganizzerebbe completamente, a dispetto dell'ipotesi dei liberali che vogliono mantenervi l’ordine senza principio di certezza, ammesso come reale,. — 144: MARIO BATTISTINI poiché non è stato ancora provato che un tal principio esista realmente, e forse 11011 si potrà mai provare che ve 11'è uno. <( Ausonio Franchi 11011 comprese niente ancora. Il Piemonte non •è giunto ancora alla demolizione dei vecchi errori. Fa, a forza di grandi sacrifici dell’opposizione d’interessi contro gli usurpatoli dell’autorità, contro coloro che detengono i privilegi ; la nostra opposizione, tutta morale, contro le idee false e più ancora contro l’assenza d’ogni idea vera, deve necessariamente esservi considerata come una teoria senza applicazione. La Ragione, combattendo 111 nome del liberalismo che tende al potere, 11011 s'immagina, che questo liberalismo dominante può, deve anzi diventare, poiché ciò è nell’ordine delle cose, proscrittore d’ogni teoria tendente, sia a continuare l’annientamento delle teorie decadute, sia a riorganizzare, ma questa volta su una base razionalmente stabilita, poiché i principii creduti razionali fin allora hanno ceduto al lume dell e sanie, e ceduto per sempre. Pure, in appoggio di ciò ch’io dicevo, portai dei fatti, genere d’argomenti più adatti a convincere il mio contradittore, piuttosto che dei ragionamenti, ed anche 11011 confutabili. Gli mostrai il Goffin, perseguitato dai massoni liberali, condannato a cagione delle sue dottrine e minacciato nella sua qualità ili massone, per l’unica ragione che andava oltre i suoi maestri, che -abbatteva ancora, dopo che questi avevano dichiarato che 11011 \ era più niente da abbattere, per paura che la distruzione 11011 finisse per avviluppare anche loro. Ausonio Franchi avrebbe forte accettato questi fatti, almeno sotto il benefizio d’inventario, ma quello che aggiunsi, e cioè che il radicalismo di Goffin 11011 valeva di più del liberalismo de’ suoi nemici, rese le mie parole impotenti. Il direttore de La Ragione continuò a trattarmi bene, ma, lo vidi subito, il suo rispetto non era che per il mio passato e per me che lo rappresentavo. V'olendo conciliare questo rispetto con quel che crede\a dover dire per confutare le mie dottrine, incaricò uno dei suoi amici della polemica che fu diretta contro Agatone, lo avevo infatti piegato questi di dimostrare l'irrazionalità delle proposte del Goffin ed egli l'aveva fatto da maestro, facendo toccar con mano 1 inutilità, o piuttosto la vanità e per con > egli en za il pericolo dei provvedimenti proposti dal massone di Yerviers. Aveva rimproverato al liberalismo di tornare sempre all’assalto, ora sotto una forma, ora sotto un'altra, ripetendo gli argomenti cento volte polverizzati, perchè ritenuti inconcludenti e senza valore; e tutte le batterie dei dottrinari furon messe in opera contro di lui ». La lettera del 24 aprile 1856 è l’ultima che il Franchi diresse al de Potter, almeno per quanto ci prova la raccolta della corrispondenza· di questo i1) e per quanto ci ha confermato I erede di tanti Biblioteca reale <1i Bruxelles. Codice II, 5488, corrisp. rii L. de Potter in i) volumi. LE RELAZIONI Γ)’AUSONIO FRANCHI E LU Gl DB POTTER 145 documenti e ricordi del figlio del polemista- belga ; ma siamo inclini a credere che il direttore de La Ragione sia stato anche in rapporti epistolari con Agatone de Potter, scrittore e polemista di valore, d’idee ardite e generose anch’egli, come il padre suo. Questa breve nota, forzatamente incompleta, richiamerà, ne siam certi, l’attenzione di qualche studioso nostro, il quale, prendendo in esame La Ragione, metterà ir* luce, come noi avremmo voluto fare, i punti più interessanti del disaccordo fra i due eminenti scrittori, ambedue, anche oggi, degni di essere studiati. Benché la corrispondenza fra il Genovese ed il Belga cessasse, il nome d’Ausonio Franchi comparisce di frequente nelle riviste del Belgio. Le Journal historique et littéraire de Liège, rivista di carattere spiccatamente cattolica, dopo avere, nel 1853, riferito che l’opera del Franchi « La religione del secolo XIX. Appendice alla filosofia delle scuole italiane», era stata condannata e posta all’indice (\), volutamente ignorò in seguito l’attività del filosofo ligure; ma altre riviste, aperte alla collaborazione d’uomini di varia tendenza e di mente più larga, non solo non ignorarono il battagliero giornalista, ma ne misero in luce l'opera e l’azione. La Rerue Trimestrielle di Bruxelles, in quello stesso anno 1S5G, nel quale appunto terminarono le relazioni del Franchi col de Potter, richiamava l’attenzione su La Ragione « rivista settimanale diretta dal Franchi, la quale merita tutta la nostra attenzione e tutta la nostra simpatia per le sue tendenze audaci e nuove, per il punto di vista elevato sul quale tutti i suoi collaboratori si pongono e per la libertà di discussione che l’abile e dotto suo direttore vi sa mantenere » (2). Nel successivo fascicolo si parla più distesamente de La Magione, raccomandandola « caldamente a tutta l’attenzione dei propri lettoli ». Essa ha aperto — proseguiva — le porte della patria italiana alle idee audaci che lino ad oggi erano rimaste esclusivamente nel campo dei popoli del Nord. 11 Piemonte ed il Belgio seguono la stessa strada, ma le situazioni sono differenti. I nostri fratelli d’Italia hanno ancora molti abusi da abbattere, che non esistono più per noi: parliamo specialmente di quelli che riguardano In confusione dei due poteri : quello dello Stato e quello della Chieda. Essi non si trovano ancora, come noi, in presenza dei gravi pericoli che suscita la febbre dell’industrialismo, cioè l’accumulazione della ricchezza pubblica, che ha per conseguenza l’estensione e l’esagerazione sempre più grande della miseria privata. Ciò spiega il giudizio spesso opposto che noi portiamo, gli uni e gli altri, su molti punti che interessano la società. Ma che il Franchi non si scoraggi: (V) Tomo li), pag. 407 e Tomo 20, pag. 400. (2) Anno 1856, vol. XI. tomo III. pag. 365. 146 MARIO BATTI STI NI egli compie un dovere spesso doloroso, ma una ricompensa molto dolce gli .sarà data. Non dimenticheremo di testimoniare alla Ragione il piacere che ci ha fatto Pannunzio della sua traduzione de l'Histoire abrégée ■iva per temperamento, attacca a destra ed a sinistra, ora la Civiltà Cattolica ora La Buona Xovella, organo protestante. I suoi colpi colpiscono qualche volta un giornale moderato che pretende conciliare Dio ed il Diavolo, San Bernardo e Voltaire. Questa raccolta ha reso un vero servizio agli studi filosofici, ed ha iniziato gli studiosi alle dottrine che da un mezzo secolo nutriscono lo spirito tedesco. Non vogliamo decidere ciò che possa esservi di vero o no nella nuova metafisica di Hegel e di Kant, ma era tempo che 11 nord della penisola, che si era arrestato alla scolastica ringiovanita di Gioberti e de' suoi emuli, o all'eclettismo elegante di Ma miani, vedesse continuare a suo profitto l'opera abbozzata a Napoli dal Galuppi e penetrasse a fondo di que.-ti problemi, che i grandi pensatori della Germania hanno proposto allo spirito umano. II Franchi farà sì che i Tedeschi non potranno più dire: « Voi ci giudicate senza conoscerci e senza penetrare nel Pa rea no del nostro pen- (») Revue Trimestrielle. anno III. 1856, tomo IV, pagg. ‘»97-i)S. (21 Rivista cit., anno 1802, pag. .‘571, vol. XXXIII: De V indifférence au lem-pie, au forum, au foyer, essai de philosophie pratique, précéfl·’· fruite lettre à Mr. Ausonio Franchi, par Felix Henneguy. Milan, 18(50, (3) Rivista cit., vol. XXI (1S59), pagg. 2i)0-.‘ìl.'{; vol. XXIX (1801). pngg. 2o0-25!l e voi. 45 (1865), pagg. 261-30.3. LE RELAZIONI D’AUSONIO FRANCHI E LUIGI DE POTTER 147 siero». Egli porta la discussione religiosa fuori di quel terreno poco solido, dove l’aveva portato ii protestantesimo, ma l'Italia è tropj)o avanzata per divenire luterana. In ogni modo noi speriamo che la questione religiosa sarà abbandonata alla coscenza individuale e che l’uomo si persuaderà una volta alla fine che è egli stesso re e prete, come l’antico Meldisedech; ma se in questa questione come nelle altre, il nodo gordiano non potesse essere tagliato dalla spada, se si trattasse solamente di rinnovare la catena dei tempi, l’Italia, sbarazzata dal giogo papale, cercherebbe le sue tradizioni nelle ceneri d’Arnaldo da IJrescia e dei due Socini, che non hanno ancora una storia nella loro patria, ma clic contano numerosi discepoli in Germania, in Inghilterra e in America, malgrado la doppia persecuzione dei cattolici e dei protestanti, che scoprirono presto nel Socinianismo il germe dell’albero della scienza e della ragione. Il Franchi — terminava — non è solamente un giornalista, ma si è fatto conoscere pei molti lavori importanti di critica filosofica e religiosa, quale la Filosofia delle scuole italiane e la religione del XJX secolo. Questi scritti sono stati tradotti in francese ed i lettori di Francia vi vedranno che l’Italia non è più morta per le scienze speculative, come non lo è per la politica, le scienze e l’arte (x) » L’anno successivo nella rubrica « bibliographie universelle» la rivista stessa, recensiva, in una breve ma favorevole nota, ii libro del Franchi II razionalismo del popolo (2), ma un più ampio esame ne faceva due anni dopo circa, a proposito della traduzione uscita a Bruxelles e dovuta al Bancel, il quale vi aveva premesso un’interessante introduzione (\. Anche VUylenspiegel, giornale di tendenze democratiche, di Bruxelles esaminava, nello stesso anno .1N58, l’opera del Franchi, del quale ammirava la combattività e l'audace lotta che conduceva, ma il critico manifestava un forte scetticismo sui resultati che il polemista e filosofo genovese avrebbe avuto, perchè convinto « che invano *i combatteranno i pregiudizi ai quali tanti sono abituati ed a molti troppo utili » (4). Ma per questo appunto gli sembrava che la lotta contro di quelli « sia degna di ammirazione e d’incoraggiamento». Si può dire che ii nome del Franchi, del suo vero nome Cristo-foro Bonari 110, scompare completamente dalle riviste del Belgio, dopo la sua nomina a 1F Università «li Padova (5). Mario Battistixi ·(V) La Libre Recherche, 1855, vol. I. pagg. GS-7S. (2) La Libre Recherche, 1856, vol. Ili, pagg. 312-313. (3) La Libre Recherche, 185S, vol. XI. pagg. 41Γ>-422. Le rationalisme par Ausonio Franchi, directeur de « La Ragione ». avec une introduction par D. Bancel. ancien représentant du peuple, professeur honoraire Γ Universi té de Bruxelles. Bruxelles et Leipzig, A. Schnée, éditeur, 1856. (4) N. 13 del 2 maggio 185S: Le rationalisme de Mr. Franchi. (5) Sul Franchi cfr. G. Gentile. Le origini della filosofìa in Italia, vol. I, pagg. 4."»· 04 148 MARIO BATTISTI NI DOCUMENTI I. Torino, 2 febbraio ISôü. Illustre Signore, Non oso sperare che il mio povero nome sia giunto lino a voi, nè che ila miei libri conosciate ancora quanta venerazione e quanta riconoscenza io vi professi. Ma la prima parola, che !o sento il bisogno (li rivolgervi, sì è una parola di ringrazii»mento e di benedizione per il bene che han fatto a me. come a tanti altri, le vostre opere. Ed è per ispargere in Italia le dottrine da voi propagate massime nel Belgio ed in Francia, che io ho preso a fare una traduzione compendiosa della vostra mirabile Histoire du christianisme,
  • oter fare in un Proemio l’esposizione intiera delle vostre dottrine, e come a dire la storia del vostro pensiero. Per evitare li gravi spese di posta, i>otreste valervi ili qualche libraio di Bruxelles che abbia corrispon-oche e rare gioie, che abbiano consolato la mia vita solinga e mesta. Oli : grazie, Signore, del bene che avete fatto a chi da tanto tempo nutriva per voi sensi di stima e di venerazione più che da discepolo, più che da figlio. L’annunzio del vostro Resumé mi giunge tanto più gradito, poiché mi prova che voi stesso avete sentita la necessità e l’importanza di quel lavoro, a cui ho ]n»sto mano aneli io. Appena LE RELAZIONI D’AUSONIO FRANCHI E LUIGI DE POTTER 14:9' ricevuta iersera la vostra lettera, mi sono abboccato col mio editore, e l’ho facilmente persuaso, che in luogo di fare io un compendio della vostra storia, varrà sempre meglio tradurre quello che ne fate voi stesso. Abbiamo subito fatto sospendere la composizione de\V Introduzione, che io avea già consegnata alla stampa e di cui sono già tirati due fogli. Li riceverete con questa mia. Intanto vi prego a spedirmi subito i primi 6 o S fogli del 1° volume, a fine di poter cominciare senza ritardo la mia traduzione e la stampa. Uscito poi il volume lo spedirete in vostro comodo. Non so se avrete conservata in gran parte ia vostra magnifica Introduzione ; e se quindi potrò valermi dei due fogli che ho già fatto stampare, il che mi sarebbe molto caro non solo per ragioni d’economia, ma anche per il *pregio intrinseco di quel discorso* che mi starebbe tanto a cuore di render popolare nel mio paese. Ad ogni modo, se la cosa non sarà possibile, poco male : disfaremo quei due fogli e ricominceremo da capo. Ma, ve ne prego ancora, fatemi aver subito i primi fogli del Resumé;-giacche il mio editore, che avrà preso alcuni operai a posta i>er il mio lavoro,, non vorrebbe che questa interruzione durasse più di una settimana. E lo bramo anch’io, giacché, fra le altre ragioni, v’è questa che mi tocca di ricorrere alla stampa clandestina; e quindi bisogna che procuri di non isconten-tare l'unico tipografo, che mi serve di buona voglia. Riceverete fra qualche giorno la collezione intera della Ragione, come cambio con la Revue Trimestrielle. La spedisco a voi, perchè amerei che una copia della Ragione restasse in vostre mani. Se dunque potete procurarmi il cambio della Revue ritenendo pressò di voi la Ragione tanto meglio: proseguirò a spedirla sempre a voi. Se ciò non fosse possibile, ne manderò un’altra copia alla Revue. Intanto vi sarò molto grato se poteste farmi avere i volumi della Revue pubblicati dacché esce in luce la Ragione, cioè dall’ottobre del 1854 in poi. Forse le potrei anche giovare, facendola conoscere a’ miei amici e lettori: che qui. per quanto mi sappia, quasi nessuno la conosce. Gradite, come un tenue omaggio del mio culto al vostro ingegno e al vostro cuore, una copia del Razionalismo, libricciuolo pubblicato da me ultimamente. Se potrò avere una copia degli altri miei lavorucci, e se mi si offrirà qualche occasione propizia i>er ispedirvela, non mancherò di farlo, non già perchè sieno cose degne d’essere offerte a voi, ma sì perchè vediate quanta stima io facessi di voi fin dal mio primo libro, e quanto profitto abbia ricavato dalle vostre opere che mi eran note. Porgete i miei affettuosi saluti all’ottimo DairOngaro; e vogliate ricordarvi talvolta di chi pensa sempre a voi, e si tiene beato di potersi professare vostro devotissimo A. F. (Corr. cit. vol. S°, n. 168). III. Torino, 14 aprile 1856- Ulustre e venerato Signore. Per compiacere il vostro cortese invito, rispondo in fretta due linee, appena ricevuta la gratissima vostra del 10 corr. Sono anch’io dolentissimo, come ben potete immaginare, del contratempo che mi ritarda tanto il piacere di leggere e studiare i vostri libri. E poiché mi chiedete il mio avviso, permettetemi, o Signore, che vi parli col cuore in mano, come figlio a padre. Io sono persuaso che la via più spedita e sicura sarebbe quella indicata dal Socio della Casa Meline. cioè farne un pacco, e spedirlo direttamente a me. Ma ho inteso a dire sovente, che il trasporto dei libri, in pacchi di piccola mole, è costosissimo; ed io son i»overo: ehè il lavoro a cui attendo notte e giorno, senza tregua mai, mi frutta tanto appena da vivere frugalissimamente. D’altra parte non devo- 150 MARIO BATTISTINl nè posso permettere, che voi, oltre la generosità del dono di tanti libri, sopportiate ancora la spesa del trasporto : sarebbe un abuso imperdonabile della bontà, clic mi avete dimostrata. Quindi eccovi la mia conclusione. Informatevi della spesa, che importerebbe· quel pacco, e se non eccede le L. 10, o 12, fate pure che mi venga spedito immantinente. E in tal caso, su l’indirizzo aggiungete: « Presso la Tipografìa Steffatnonc, ria S. Filippo, n. 21». Qualora poi la spesa fosse più grave, pazienza : mi rassegnerò ad aspettare che vi si offra un’occasione migliore. Spero che a quest'ora avrete ricevuto altri 5 fogli della mia traduzione. INel 7° vedrete che incomincia il Compendio ; non vi può dunque rimanere più dubbio su la stima che io faccia del vostro lavoro. Avrei caro che deste un'occhiata al compendio che ho fatto della vostra Introduzione alla Storia in grande e che mi diceste francamente, se siete contento del modo con cui rendo il vostro pensiero. Forse per iscrupolo d’essere fedelissimo, io traduco troppo alla lettera ; ma tant’è, io non so capire come possa il traduttore discostarsi dalla lettera (mantenuta sempre, s’intende, la proprietà della sua lingua) senza travestire più o meno anche i concetti dell’autore. Comunque sia, *il primo che io desidero di soddisfare, siete voi ; e contento voi, avrò già conseguito in grandissima parte il mio intento. Ho ricevuto puntualmente e il resto dei fogli del voi. 1° e buona parte del 2°. Vedrete, che io mi prendo la libertà di trasportare nel voi. 2° il Précis chronologique, che voi metteste in capo al primo, ma l’ho fatto per mantenere le proporzioni dei 2 voi. giacché nella traduzione il 1° contiene 100 pag. di più che nelForiginale, in grazia deìV Introduzione. Quest'avvertenza mi fu fatta dall’editore; ed io l’approvai. Spero che anche voi non ce ne farete rimprovero. Nel prossimo numero della Ragione comincerò la mia risposta; ed è probabile che prenda parte alla discussione qualche altro scrittore. Qualunque sia per essere la conclusione, a cui arriveremo, io ne auguro bene non fosse altro che per le questioni gravi e importantissime su cui richiameremo l'attenzione de’ lettori ; e che qui possono dirsi quasi nuove ed intatte. Continuatemi la vostra benevolenza, che mi è tanto cara e preziosa; e lasciate che stringendovi con affettuosissima riverenza la mano, mi dica vostro devotiss’mo A. F. (Cori*, cit. vol. S°, n. 174). IV. Torino, 24 aprile 1S56. Illustre Signore, Comincio dal ringraziarvi senza fine dei libri, che avete la bontà di spedirmi. Ho già ricevuto, nello spazio di pochi giorni, La Réalité - i Souvenirs -Examen critique - Catechismo rationnel, ed il plico contenente 10 brochures. Ho già divorato i 2 vol. de’ Souvenirs e non saprei esprimervi a parole, quanto essi abbiano aumentato la stima e la venerazione mia verso di voi. In essi lio riconosciuto sempre meglio quelFuomo, che già m'era apparso così ammirabile nelle sue Storie. E duoimi all'anima, o Signore, di non poter dire altrettanto delle vostre opere dottrinali più recenti. La dichiarazione, che mi faceste di professare intieramente le teorie di Colins, e la lettura che ho già fatto d'una parte della Reali t-c mi hanno cagionato un profondo rincrescimento costringendomi a confessarvi che il de Potter filosofo non ê più il de Potter storico, e che quanto io godeva di proclamarmi discepolo di questo, tanto mi duole di dovermi dichiarare avversario di quello. 11 sistema di Colins mi parve sempre e filosoficamente e socialmente erroneo; e ne dirò brevemente le ra- LE RELAZIONI D’AUSONIO FRANCHI E LUIGI DE POTTER 151 gioni, appena finita la risposta di cui vi sono personalmente debitore. E vi prego a scusarmi se in luogo di esaminarlo come sistema vostro, lo criticherò invece come teoria di Colins; poiché con lui, verso del quale non ho relazione di sorte, mi sento più à mon aise; e li argomenti della critica non troveranno intoppo negli affetti del cuore. L’avvertenza vostra circa l’Introduzione é giustissima ed io l’avevo già fatta meco stesso. Parmi anzi d’avervi detto fin dalla mia prima lettera, che avevo divisato di premettere alla traduzione della vostra opera un mio proemio, in cui mi proponevo di parlare di voi e delle vostre dottrine in generale, e di far in breve, per quanto mi fosse possibile, la storia del vostro pensiero. Vedete che sarà quello propriamente il luogo opportuno a spiegare chiaramente ogni cosa. Malgrado il dissenso speculativo che corre fra le nostre idee, lasciatemi sperare e credere sempre, Egregio Signore, che non vorrete scemare la vostra benevolenza a chi non cesserà mai di professarsi con tutta l’effusione dell’anima vostro devotissimo A. F. (Corr. cit. vol. 8°, η. 177). La politica estera di Genova nei riguardi del Piemonte (1791-1793) CONDIZIONI POLITICI!E DELLO STATO SABAUDO. SEMON VILLE. (Co)itìn ua Mone - Vcd. ninnerò precedente) Quando Vittorio Amedeo III rispondeva al Serenissimo Governo che non era quello il momento di discutere le « pendenze », non accampava soltanto pretesti e scuse; la sua situazione era veramente difficile: da una parte la Francia, dalPaltra la Lombardia : un nemico insidioso e un amico malfido « che non gli aveva ancora aperto il suo cuore ». Gli studenti tumultuavano; risse e incidenti si ripetevano tra le truppe e il popolo ; circolavano scritti sediziosi che secondo il Ministero provenivano da Genova, divenuta fucina incendiaria per opera del ministro francese Semonville (1). Questo stato di cose impensieriva il Re, che fin da principio, sobillato dagli emigrati, vagheggiò la guerra contro la Francia ; secondo Genova unicamente perchè appoggiandosi a un’eventuale coalizione di Potenze, confidava d’ingrandirsi « e di migliorare le pretensioni poste fuori nelle attuali pendenze » (2). Quando poi nei primi mesi del ’92, il movimento delle Corti contro la Francia si delineò più netto, la Serenissima Repubblica non ebbe più un momento di pace. Oderico, ministro a Torino, ricevette l’ordine più severo di spiare attentamente le manovre di quel Gabinetto e su quali basi stipulasse il trattato di alleanza con l’imperatore. Si vedevano insidie dappertutto ; ogni determinazione del Ministero Sardo celava un inganno. Perchè, per esempio, si era proibita l’esportazione in Liguria del riso e dei bovi, con grave danno della stessa economia del paese, che si era privata >pontaneamente di un cespite cospicuo di guadagno? (3). In realtà il Serenissimo Governo esagerava. H A. S. G.. Lettere Ministri Torino, mazzo 25, 2512; Dispaccio di Odericor Torino, 11 maggio 1791, n. 343. (2) A. S. G., Lettere Ministri Torino, mazzo 25, 2512; Dispaccio di Oderico, Torino, 12 ottobre 1791, n. 397. (3) A. S. G., Confinium 172. Relazione della Giunta dei Confini, 12 marzo 1792. LA POLITICA ESTERA DI GENOVA 153 \ ittorio Amedeo doveva pensare a cose più serie che a danneggiare l'economia della vicina Repubblica con negarle l’importazione del riso. La sua posizione nel conflitto era pericolosa e non ben definita, non potendo far conto nè sull’Imperatore che lo teneva a bada con promesse vaghe, nè sui principi italiani che non avevano voluto sentir parlare di confederazione. Seppe nel marzo da Maria Antonietta che i Francesi avevano deliberato di avanzare verso la Savoia ; e che l’Austria e la Prussia avevano deciso di non operare in Italia. Però Maria Antonietta non disse che prima delle armi Du-mouriez voleva usare i negoziati ; dimodoché il Re, impensierito e preoccupato, comprese che invece di assalire doveva pensare a difendersi e non potendolo fare da solo tornò a rivolgersi per aiuto all’Austria ; perciò « la Corte di Torino, solita nelle passate guerre a porsi in condizione di essere ricercata fecesi sollecitatrice e trovossi a beneplacito altrui » ('). Mentre si aspettava la risposta da Vienna, avvenne un fatto grave il quale portò a quella rottura definitiva con la Francia che sarebbe stato interesse di Vittorio Amedeo o evitare o rimandare almeno finché non avesse chiarito la sua posizione con Vienna. Si tratta cioè del rifiuto a Torino del Semonville, che giungendo latore di proposte pacifistiche, veniva in fondo ad offrire un’insperata àncora di salvezza a cui fu errore non aggrapparsi. La Francia, dopo i disastri dell’aprile 1792, con lo scopo di isolare l’Austria per abbatterla più facilmente, pensò di attirare dalla sua il Piemonte. L’incarico d’intavolare i negoziati fu dato al Semonville cher intrigante e intelligente, sembrava adatto a condurre felicemente a termine la delicata missione. Ma il compito era difficile e pare che lo stesso Semonville prima di partire da Genova confidasse ad amici che non si aspettava di essere ricevuto a Torino. Il temperamento guerresco e generoso di Vittorio Amedeo III non era un mistero nemmeno per lui. Trattandosi di pratica che non era bene propagare ai quattro venti e anche perchè non si curava tanto dei procedimenti legali, l’Assemblea 11011 avvisò prima, come era consuetudine, dell’arrivo di questo nuovo inviato, 11011 considerando forse che con venir meno alle solite formule diplomatiche, offriva a. Sua Maestà, che del Semonville e delle sue proposte 11011 ne voleva sapere, un preteso per non accoglierlo. Infatti, arrivato egli ad Alessandria senza passaporto, fu arrestato da quel Governatore che nello stesso tempo inviò una (*) Carutti, Storia delia Casa di Savoia durante la Rivoluzione e VImpero francese. Torino, L. Roux e C., 1892, pag. 176. 154 NINETTA SAVELLI staffetta a Torino per ricevere ordini. Immediatamente giunse la risposta : impedire al sedicente ministro di proseguire il viaggio (l). La conseguenza del rifiuto sembrava dovesse essere la dichiarazione di guerra al Piemonte ; perchè sebbene i motivi giustificatori fossero fondati sopra le regole del sistema diplomatico, pure il Ministro degli Affari Esteri di Francia, non avvezzo a ritrattare le sue disposizioni, non faticò molto a convincere dell’insulto le teste calde dell’Assemblea : non si poteva rifiutare un’ambasciata, d’urgenza, .anche se non preceduta dalle ordinarie formalità (2). Il contegno del Re Sardo fu imprudente ; ma egli credette contrario alla sua dignità e al suo onore far causai comune con i sovvertitoci della Monarchia ; quanto all’altra soluzione che il Semonville -era incaricato di proporre, quella della neutralità, andava contro alle tradizioni e alla politica di uno stato che, essenzialmente militare, era riuscito ad ingrandirsi ed affermarsi col prender parte intelligentemente ai conflitti europei. « L’unica volta che il Piemonte volle conservarsi neutrale tra le vicine popolazioni belligeranti, lo cliè fu ai tempi del Duca Carlo il Buono morto nel 1541, ebbe a soffrire gravi danni » (3) ; così si esprimeva l’Oderico riferendo il punto di vista di quel Ministero decisamente contrario alla neutralità. In ogni modo il rifiuto fu impolitico e pericoloso anche per la forma rude e franca con cui fu accompagnato ; il Re dichiarò che non accettava il Ministro non solo perchè non si erano seguite le diplomatiche formule di rito, ma perchè non gli era gradita la persona di lui intrigante e sediziosa. Il Ministro Spagnolo degli Esteri Conte D’Aranda, commentando l’accaduto, disse al Celesia, ambasciatore genovese a Madrid, che se si fosse trovato nei panni di Vittorio Amedeo non avrebbe « articolato » nulla di personale contro il Semonville ; ma bensì abbreviata la motivazione del rifiuto, aggiungendo alla mancanza, del preventivo beneplacito, « che S. M. non poteva ammettere di essere officiata con la -quarta parte di un Ministro poiché detto Semonville comprendeva nella sua legazione Genova, Toscana, Parma » 0). ìsoi non crediamo che questa forma più vellutata avrebbe cambiato d’aspetto alle cose, pur ammettendo che qualche volta le forme eleganti servono a risolvere delle situazioni difficili ; ma è certo che il rifiuto del Ministro, proprio perchè la sua personalità morale non (1) A. S. G., Lettere Ministri Torino, mazzo 26, 2513; Dispaccio eli Oderico, Torino, 25 aprile 1792. . . (2) A. S. G., Confinium 108. Relazione della Giunta dei Confini, maggio 1792 (*) A. S. G., Lettere Ministri Torino, mazzo 26, 2513; Dispaccio di Oderico. 'Torino, 28 aprile 1792, n. 421. , . («) A. S. G., Lettere Ministri Spagna, mazzo 75, 2484; Dispaccio di Celesta. Aranjuez, 15 maggio 1792. LA POLITICA ESTERA DI GENOVA 15Ι> era accetta, era un oltraggio bello e buono per 1’Assemblea, che quando credette giunto il momento di attaccare il Piemonte, se ne servì come pretesto. ATTEGGIAMENTO DI GENOVA NELL’IMMINENZA DELLA. GUERRA FRANCO PIEMONTESE. PRIMI INSUCCESSI DI VITTORIO AMEDEO III. Il profilarsi della guerra sull’orizzonte, preoccupò seriamente* anche la Repubblica di Genova : accostandosi gli eserciti ai suoi-confini, la tentazione di entrarvi sarebbe stata forte. Ventimiglia correva pericolo; e del resto tutta la Riviera; perchè ii possesso di Oneglia che la intersecava, avrebbe fatto risuonare di armi e di battaglie anche le cittadine liguri vicine, quiete ed industriose. Ci voleva cautela e vigilanza. Per conto suo Vittorio Amedeo non si faceva illusioni e si aspettava imminente un attacco; perciò mentre rivolgeva a Vienna domande sempre più pressanti di aiuto, poiché le forze che aveva a sua. disposizione non erano sufficienti a custodire il lungo tratto di confine dal Varo fino alle porte di Ginevra, prendeva egli stesso qualche-misura di difesa, dichiarando all’Asseinblea che con tali preparativi non aveva intenzione di cominciare le ostilità, ma solo di calmare e rassicurare le popolazioni; e dinanzi ai Ministri Esteri uscì con questa espressione : « Io non provoco nessuno, ma nemmeno mi spavento » (*). Quanto più si approssimava la guerra, tanto più cresceva il malanimo verso la Serenissima Repubblica. Si temeva che, approfittando delle critiche circostanze, rinnovasse i suoi attacchi insidiosi e facesse nascere torbidi ai confini tra i paesani, per distrarre l’attenzione e impedire il concentramento delle' forze sui fronti attaccati dai francesi. Genova interpretava a suo modo questa diffidenza ; non stimandola legittima, dal momento che il suo contegno imparziale non la: giustificava, la credeva tutta una montatura e simulazione della· Corte di Torino, che « fingendo di essere certa che noi vogliamo profittare contro di essa delle attuali sue circostanze, ci rende odiose alle altre Potenze ed entra con esse in concerti a noi svantaggio-si » (2) ; come scriveva l’Oderico tutto preoccupato e per i continui maneggi di quella Corte. Il Ministero Piemontese era propenso a credere che Genova avesse (1) A. S. G., Lettere Ministri Torino, mazzo 26. 2513; Dispaccio di OdericoT Torino, 28 aprilo 1792, n. 421. (2) A. S. G., Lettere Ministri Torino, mazzo 26, 2513; Dispaccio di Oderico^ Torino, 2 maggio 1792, n. 422. 156 NINETTA SAVELL1 stretto un accordo con la Francia e che quindi si sarebbe lasciata invadere simulando una leggiera resistenza; per accertarsene e tastar terreno discorreva spesso con POderico sull'interesse che tutti gli stati d’Italia dovevano avere nel proibire Paccesso ai Francesi « che miravano ad esaltare la testa dei popoli ispirando loro le fatali massime di libertà e indipendenza » (*). . Era un continuo lamentarsi e accusare; un veder secondi Imi anche in azioni che non ne avevano ; il Piemonte sempre col dubbio che Genova avesse fatto o facesse causa comune con 1 Francesi e timoroso quindi di vedersi attaccare dal Sud; Genova^ che il Piemonte stipulasse trattati con PAustria dannosi alla sua incolumità. Per impedirlo POderico moltiplicava la vigilanza; e ogni volta che un corriere giungeva da Vienna o da Milano, ogni volta eie Pabboccamento del Ministro Austriaco con il Conte di Hauteville durava più a lungo del solito, si sentiva venir meno. Una parola detta con un'intonazione diversa bastava per insospettirlo ; i suoi dispacci alla Repubblica sono pieni di giudizi pessimisti e contracut-tori ; perchè il continuo sospetto, facendogli vedere nemici dappei-tutto, gli impediva una visione chiara della situazione. Del resto un’idea chiara e precisa sulle proporzioni che avrebbe preso la guerra, a Torino non si aveva ancora nell estate. Le opinioni erano fluitanti e contradittorie ; una deliberazione approvata, veniva subito dopo revocata e poi qualche volta emanata di nuovo. « Non si parlava d'altro che del campo da formarsi a Saluzzo ; eppure oggi si sa per certo revocato o almeno sospeso l'ordine d’accampare » (2). „ Ί 11 Re non aveva abbandonato del tutto l’illusione di tare la guerra offensiva : « Dicono alcuni che siasi risvegliato il genio guci riero di questo Sovrano ed il desiderio della vita militare fatta in gioventù per cui dimostra sempre nei suoi discorsi un gusto deciso. Vi è chi pretende avergli inteso dire che se le sue truppe dovranno -entrare in Francia, vuole esservi alla testa » (*), scriveva POderico riportando le voci che circolavano tra il popolo. Ma il numero di forze che il Sovrano aveva a sua disposizione 11011 •era nemmeno sufficiente alla difesa e garanzia di tutti i confini. Impressionante la diserzione delle truppe, specialmente nella Savoia; sguarniti i confini del Del finato ; quanto ai 10 mila uomini promessi dall’imperatore, che poi si ridussero a 8 mila, non erano mai pronti: « Noii vi è marcia veruna per il Piemonte ». (l) A. S. G., Lettere Ministri Torino, mazzo 26, 2513; Dispaccio di Oderico, Torino, 16 maggio 1792, n. 426. . * . H A. S. GLettere Ministri Torino, mazzo 26, 2513; Dispaccio di Oderico, Torino, 29 agosto 1792, n. 455. . . (5) A. S. G., Lettere Ministri Torino, mazzo 26, 2513; Dispaccio di Oderico, Torino, 27 giugno 1792, n. 438. LA POLITICA ESTERA DI GENOVA 157 Vittorio Amedeo si credeva aggravato nelle condizioni che ΓΙιιι-pera tore esigeva per le truppe a usili a rie concesse e comprendeva sempre meglio come poco potesse contare su una tale alleanza forzata. Sebbene Genova fosse a giorno di questa ostilità, che cercava anzi di approfondire per mezzo dei suoi ministri, quando vide i soldati imperiali entrare, finalmente, nello Stato Sabaudo, temette per un momento che l’interesse comune di respingere i Francesi avesse spento il rancore e che nel trattato di alleanza stipulato di fresco ci fosse qualche capitolo che la pregiudicasse; tanto più che in Torino, riferiva Federico, « pare che ci sia una certa premura di tenere celate anche le notizie più indifferenti di armamenti e disposizioni «contro li Francesi » (r). Ma dovette presto accorgersi che l’amicizia era esteriore, e che l’imperatore difendendo il Piemonte, non aveva altra mira che quella di salvaguardare la Lombardia. Questo apparve chiaro anche nel primissimo periodo della guerra. Le cose precipitarono : i disastri si susseguirono senza che i Piemontesi opponessero una seria resistenza. Cadde la Savoia per la sua posizione non in grado di reggere lungamente ad un attacco e cadde Nizza. Il popolo era costernato; secondo l’opinione comune il Re era «tato mal servito e derubato ;si attaccava il Ministero che si diceva aver perduto quell’influenza che nei tempi addietro aveva goduto nei Gabinetti d’Europa ; s’invocava l’ombra dei trapassati Ministri Bogino ed Ormea che quel prestigio avevano acquistato e mantenuto. La truppa era scoraggiata ; mancavano i generali atti al comando ; vivo il timore di maggiori disgrazie con l’ingresso dei Francesi in Piemonte. Unica speranza offriva la cattiva stagione; forse i nemici non si sarebbero inoltrati, nel dubbio di non avere poi la possibilità di ritirarsi per le asprezze del clima. Le nevi erano invocate come angeli tutelari !... Il Re, sebbene affranto, cercava di non dimostrarlo: forse malediceva la sua vecchiaia che gli aveva impedito di mettersi a capo dell’esercito; ma dichiarava di confidare nella devozione del suo popolo e di non preoccuparsi dei male intenzionati e dei rivoluzionari. Dio non lo avrebbe abbandonato ! (l) A. S. G., Lettere Ministri Torino, mazzo 26, 2513; Dispaccio di Oderico Torino, 26 settembre 1792, n. 460. 158 NINETTA SAVELLI GENOVA DOPO I DISASTRI MILITARI DEL PIEMONTE. L’atteggiamento assunto -da Genova verso il Piemonte in questi tristi frangenti, ci dà un altro esempio di quel tenace e gretto spirito municipalista che informò per tanto tempo la vita dei due stati Imitimi. Abbiamo letto attentamente i documenti che commentano i disastri militari del settembre ; (]) nessun sentimento di pietà per il paese immerso nella desolazione ; queste vecchie carte esprimono soltanto la gioia più beffarda e il proponimento più accanito di dare addosso al nemico allora' che non aveva la possibilità di difendersi. Era quello il momento di stabilire la vquiete della Repubblica e di estorcere condizioni gravose al Re; l’erario era privo di denaro, l’arsenale di armi e munizioni, le provincie si ribellavano a pagare nuovi tributi, lo spirito di ammutinamento si era manifestato in più luoghi e specie nella capitale; e l’esperienza insegna che in tempo di necessità si fa di tutto ! Agire subito — raccomandavano gli anonimi dei Calici — prima che il paese si riavesse dallo sbigottimento; « o si continui la guena o si concluda la pace con i Francesi, estremo è il bisogno di denaro in S. M. Sarda. In queste circostanze non può non gradirsi l’offerta che facesse la Repubblica in una sua memoria di ufficio di acquistare le ragioni e pretensioni di S. M. sopra la Viozenna e la quarta parte di Pornasio ». Uno di questi signori consigliava di proporre al Re la vendita di Oneglia. Trovandosi con l’acqua alla gola, non avrebbe potuto dire di no. Così si sarebbe impedito almeno da quella parte il temuto sbocco al mare, e suggeriva anche il procedimento da seguirsi : « Se la Repubblica 11011 ha denaro, apra un Monte e li avrà a 2°/0 atteso il profitto nell’obbligarli. Per li frutti si assegnino li redditi di quel principato. E se S. Giorgio potesse anch’egli fare qualche imprestanza senza frutto, si potrebbe più facilmente estinguere un tal debito » (2). E così prodigando il loro oro, i Genovesi si proponevano di prendere a tradimento lo stato fratello che tante volte avevano rimproverato di procedere poco signorilmente! Questo spirito di rivalità, questo tradizionale sentimento di avversione erano ben conosciuti dalla Francia, come si vede dal seguente articolo della Gazzetta che ritrae con poche parole 1 atteggiamento politico di Genova, espressione dei suoi interessi commerciali : (( C’est une victoire pour les Génois l’humiliation du Roi de Piémont. L’entrée triomphale des Français dans les deux tiers (*) A. S. G., Confinium 168, Biglietti di Calice, 4, 13, li ottobre 1792. (2) A. S. G., Confinium 168; Biglietto di Calice, 13 ottobre 1792. LA POLITICA ESTERA DI GENOVA des iStats de ce Prince a rassasie pleinement la haine des Génois. Cette République d’ailleurs prenoit un assez vif intérêt au succès de la cause nationale de France : ce n’est pas que le motif en fut bien pur : c’était moins par amour de la liberté que par crainte de la banqueroute ; au reste on trouve aussi des philosophes à Gtènes mais ces hommes sont surtout rares dans le Sénat de cette République. Ce Corps que comme tous les Corps aristocratiques craint la propagande, vient d’ordonner à tous les Etrangers habitants à Gènes depuis 1792 d’en sortir » (x). Avversione al Piemonte, simpatia per la Francia determinata nel Governo non tanto dall’amore per la Rivoluzione quanto dal timore della bancarotta: queste le ragioni fondamentali che imposero la politica della neutralità. La Gazzetta parla chiaro : la Francia non sentiva nessuna riconoscenza verso di Genova che in fondo le era parziale e che garantendole il grano e le munizioni in grazia della legge del libero commercio, le forniva le possibilità materiali di sostenere la guerra- Sapeva che tale politica era ispirata dalla paura di perdere i capitali ; forse se 11011 ci fosse stata questa ragione finanziaria, la Serenissima Repubblica, si sarebbe ricordata che le basi della sua costituzione erano oligarchiche e cattoliche, e si sarebbe anch’essa ritratta con orrore dalla Nazione regicida.... Si capisce già fin d’ora, che quando la Francia vittoriosa nel 96 11011 avrà più bisogno del Porto-Franco di Genova, sarà inesorabile : non 11e rispetterà l’indipendenza, ma l’assorbirà brutalmente. Se i Genovesi si abbandonarono alle più rumorose manifestazioni di gioia per i disastri militari del Piemonte, non si può non riconoscere che — sebbene contro la loro stessa intenzione — resero ad esso, due mesi dopo, un grandissimo servigio. Il negare il passaggio alle truppe francesi che attraverso il territorio Ligure miravano ad attaccare di fianco Saorgio, salvò lo Stato Sabaudo dalla rovina definitiva. Nella condizione di scoramento e di esaurimento 111 cui si trovava, l’esercito non sarebbe stato in grado di parare 1111 nuovo attacco dal Sud. Naturalmente lungi dal credere che il contegno fermo ed energico del Serenissimo Governo fosse inspirato al fine di farsi paladino d’Italia e di garantire da un’invasione il Piemonte e la Lombardia. Forse se ci fosse stata, una soluzione intermedia, salvare se stessa e la sua libertà, lasciando aperta la via al Piemonte, Genova l’avrebbe abbracciata con entusiasmo ! Ma dovendo prescindere dalle intenzioni, e giudicare gli avve-timei?** eome furono, dobbiamo accentuare il benefico vantaggio (*) A. S. G., MariUmarun, 77, 1741. « Gazete Nationale », 2 novembre- 1792. 160 NINETTA SAVELLI che ritrasse lo Stato Sabaudo dalla rigidamente osservata neutralità della Repubblica. Lo stesso Vittorio Amedeo 111 lo riconobbe, e rivolse all’Oderico espressioni piene di benevolenza. « Quante obbligazioni abbiamo ai Genovesi Î Vi sono state delle differenze nel passato come vi sono in tutti gli stati limitrofi per l’avversione reciproca dei confinanti : non vi debbono essere più nell’avvenire » (\). {continua) Ninetta Savelli (l) A. S. G-., Lettere Ministri Torino, mazzo 26. 2513; Dispaccio di Oderico, Torino, 2 novembre 1792, n. 475. L’EDIZIONE NAZIONALE DEGLI SCEITTI DI GIUSEPPE GARIBALDI L’edizióne nazionale degli scritti di Garibaldi è ormai giunta al quinto volume e comprende uno dei primi testi e la redazione definitiva delle Memorie, il romanzo « I Mille » e gli scritti e discorsi politici e militari fino all’anno 18(37. Tutti gli scritti hanno un valore storico di prim’ordine. Nelle Memorie Garibaldi ci dà conto della, sua vita singolare e della sua avventurosa carriera. Trascorso il periodo delle generose prove d'America, che per il valore colà dimostrato dagli Italiani e la ripercussione morale in patria in quel periodo di ardua preparazione spirituale rientrano nella storia del nostro Risorgimento, le Memorie di Garibaldi sono la più viva narrazione delle principali vicende italiane del secolo XIX che sia stata scritta da 1111 contemporaneo, perchè sono un documento di vita individuale e nazionale dovuto alla penna di uno dei protagonisti, e, poiché Fazione è elemento predominante nella vita del Generale, gli scritti suoi sono quelli di chi più direttamente ha contribuito, neH’azione, ai fortunati successi della rapida e gloriosa conquista dell’indipendenza italiana. Una delle caratteristiche di questi scritti è a prima vista la intonazione polemica : lo sdegno di Garibaldi si volge contro tutte quelle istituzioni o quegli individui o quelle tendenze dottrinarie e politiche che, nella sua convinzione, a volte intuitiva ed improvvisa, <1 volte maturata con l’esperienza, spesso anche del tutto soggettiva, gli parevano ostacoli alla realizzazione del suo sogno di libertà e di risorta grandezza italiana, sdegno proprio della sua natura generosamente impetuosa e intollerante di indugi, 111 vista, del line che l’anima e l’incita ed al cui raggiungimento ha consacrato la vita. Ma. dove Garibaldi 11011 polemizza, si rivela appieno quello che fu, il puro eroe della leggenda, uscito dal popolo, e del popolo meravigliosa espressione, uomo di bontà e di coraggio. Qui, veramente, lo stile è l’uomo, secondo la vecchia definizione. L’opera scritta di Garibaldi non sarebbe certamente così interessante confè per sè «tessa, a parte il valore di documento storico, se 11011 fosse complemento dell’azione, ma, tuttavia, avrebbe sempre 1111 suo fascino come lo hanno quelle antiche cronache del medio evo italiano dettate da uomini che non facevano professione di letterato. Essa è destinata ad essere sempre più popolare come lo è la figura del Condottiero. Sarà cioè e deve essere meglio conosciuta. Dicendo così sono convinto di non sfondare una porta aperta : il popolo cui è 162 MARIO G. CELLE tanto caro il nome di Garibaldi, nome il cui appello lo lia in momenti decisivi richiamato alla coscienza della sua missione storica,, non conosce in generale, nel loro complesso, gli scritti di lui ed è bene dire che accostandosi ad essi il concetto del l’intemerato coraggio, dell’integrità del carattere, della disinteressata dedizione agli ideali di patria e umanità, che dell’eroe nazionale si serba intatto nella tradizione popolare, si viene vieppiù chiaramente confermando. Era necessario tendere a due scopi con tfcna adizione nazionale: dare agli studiosi un testo fedele e un pratico metóo di consultazione raccogliendo in un corpus tutti gli scritti garibaldini, dare al pubblico la possibilità di conoscere meglio e più intimamente uno dei suoi eroi prediletti, ascoltando da lui stesso la narrazione d’una. vita travagliata e arditamente operosa, e di correggere, risalendo alla fonte genuina del pensiero, le deformate interpretazioni della letteratura e del giornalismo. L'edizione infatti risponde al desiderio del Duce: « Date degli scritti di Garibaldi, non degli scritti su Garibaldi ». Rileggere queste pagine per considerare lo scrittore là dove l’interesse per la rievocazione o la commozione del ricordo gli guidano la penna, è cosa che ognuno può fare con risaltati inattesi. Le anomalie sintattiche ed ortografiche fanno veramente esclamare più d’una volta eoi Voltaire : « Tanto peggio per la grammatica » e, astraendo dalla condizione differente di preparazione a scrivere in una determinata lingua e dall’impegno posto dal nostro Autore a perfezionarsi nella lingua patria, in lui, come in altri esuli, corrotta dagli anni giovanili forzatamente trascorsi in terra straniera, che cosa sono gli anacoluti di Tucidide o di Machiavelli, per citare alcuni esempi insigni?1 Non sembrano una. prerogativa dello « scrittore tutto cose »? Che cosa sono, in senso lato, le « constructiones ad sensum » dei classici? Si sa che ogni tesi si potrebbe difendere fino alle estreme conseguenze. Ma qui, come ho sopra avvertito, non è pnnto il caso di istituire confronti. Si rammentino le pagine dedicate alla memoria di Anita. Per citare a caso, si consideri l’evidenza di descrizione in questo passo : « Questo fu il combattimento, ove l’eroina Brasiliana per la prima volta mostrò l’imperturbabile e coraggiosissima anima sua. Pregata da me a scendere, sulla costa, ove senza pericolo poteva rimanersi spettatrice del fatto, si rifiutò sdegnosa, anzi impugnata una sciabola e ritta sul cassero animava la gente » e l’episodio della, cattura : « Così stretta spiccò uno slancio, che uscì di mezzo, con una sola palla, che traversando il cappello (usato da essa in campagna) e la chioma, le sfiorò la testa. Forse si salvava, se il cavallo non rovesciava morto d’altra palla. Dovette arrendersi e fu presentata al Colonnello nemico. Se sublime di coraggio era nel pericolo, essa lo raddoppiava nell’avversità, ed al cospetto di quello Stato Maggiore, stupefatto bensì delle di lei virtù, ma non educato abbastanza per nascondere il sogghigno del vittorioso..... Chiese ed ottene il permesso di cercare tra i cadaveri il mio., L'EDIZIONE NAZIONALE DEGLI SCRITTI DI GIUSEPPE GARIBALDI 163 creduto estinto, per seppellirlo. Essa si avvolse lungamente nella scena d’eccidio, che presentavano quei campi, cercando chi tremava incontrare, ravvolgendo tra le tante vittime, tutte quelle in cui rinveniva alcuna somiglianza.... ma invano.... Io! ero destinato a bagnare delle mie lacrime la fredda guancia della donna del mio cuore Î Un fiore!... un pugno di terra mi fu vietato spargere sulla tomba della Madre de’ miei figli !... ». Si veda, quando il cuore detta, quanta ■eloquenza è nel rapido passaggio dall’uno all’altro ricordo, dal racconto della affannosa indagine di Anita all’accenno al proprio destino doloroso. E potrei citare altri passi di quella biografia se non mi vietasse una fredda analisi il rispetto ai ricordi più sacri del Generale. Si vedano le Memorie. Anche per queste ha scarso significato un giudizio critico di Garibaldi come scrittore formulato di proposito. Infatti ci si dovrebbe limitare ad ammettere che un’autobio-grafia di Giuseppe Garibaldi, poiché ci è restituita nel testo steso e curato da .lui, ha in sè tutto il pregio ed offre ad ogni italiano il più vivo interesse. Ma non poche pagine delle Memorie soddisfano anche per una dote che direi più intrinseca, perchè scritte in quel modo. La frugalità e la potenza : « In questa terra voi avete sufficienti esempi. Se essa portò e porta dei Sibariti, soffocati dalla lussuria, e quindi servi dello straniero, l’Italia portò i militi della vecchia Repubblica Romana, che con poco frumento in tasca passeggiarono pel mondo da padroni » (II, pag. 624>. Offre il suo braccio a Carlo Alberto e si noti l’efficacia narrativa: « 11 proposito nostro, dalla partenza d’America, era stato di servire l’Italia, e combattere i nemici di lei, comunque fossero i colori politici che guidassero i nostri alla guerra d’emancipazione. La maggioranza dei concittadini manifestava lo stesso voto; ed io dovevo riunire il piccolo nostro contingente a chi combatteva la guerra Santa. Era Carlo Alberto il condottiero di chi pugnava per l’Italia ; ed io mi dirigevo a Roverbella, quartier generale principale allora, ad offrire senza rancori il mio braccio » (II, 2401. Un esempio di prosa concisa da commentario di guerra : « Ostile l’esercito che circondava Catania e che aumentava di numero ogni giorno; ostile la squadra, che senza, dubbio sarebbe aumentata, pure : non v’era migliore espediente che di profittare dei due provvidenziali vapori e tentare il passaggio. « Se le fregate crociavano, non potendo esse tenersi vicine agli scogli, a noi gli scogli, e stringerli quanto più si poteva. <( Se le fregate ancoravano sulla bocca del porto, diritti su di esse, e passare tanto sotto le loro batterie da non poterci colpire con tutta Pinclinazione data ai cannoni» (II, pag. 603). La rapidità d’intuizione del comandante è resa nello stesso modo d’esprimersi, è nello stile, appunto perchè qui come altrove PAutore non si studia di dir meglio. È spesso eloquente anche quando dà sfogo all’intima amarezza 164 MARfO G. CELLE nelFironia. A proposito di mi indirizzo al Re di deputati napoletani, indirizzo che condannava « il movimento , (5 avaj « Chiavari », Kré vaj « Crevari » ecc.; b) quelli personali come Majin (opp. M a ί ή) da M a r i η ί ù attraverso * M a i η ί ή , K a-t ai η ί η (opp. K a t e i η ί ii) da K a t a r i η ί ù , 6 a i η ί η (opp. Ó e i η ί ή) da Ù a r i η ί ù , ecc. Per quest’ultimo non vedo il bisogno, come fa il Parodi, di pensare ad un Cejrinin. 2. Assimilazione parziale tra consonanti disgiunte. I. Regressiva. Nel fascicolo III (luglio-settembre 1935) di questo « Giornale » (cfr. anche A. Giusti, L'assimilazione consonantica nel dialetto ligure in « Philologische Wochenschrift » N. 3-4, 1936, 111) citai alcuni esempi di assimilazione parziale regressiva della labiale b nella nasale-labiale m per effetto della nasale-dentale n, che segue. Agli esempi addotti possiamo qui aggiungere : menda per benda (dal germ. binda) è bambinesco e plebeo; plebee pure le forme m e s 6 fi a per b e s 6 a « bisogna », mesònéjva per b e s ò ή e j v a « bisognerebbe », mesofi&va per besòndva « bisognava », che sono le più comunemente usate del verbo b e s ò ή il « bisognare ». Cfr. il toscano volgare migna per bi[so]gna. II. Progressiva. Un altro caso, non ancora — almeno a quanto mi consta — notato da alcuno, è Passimilazione parziale progressiva della dentale d nella nasale-dentale n per effetto della nasale-labiale m, che precede. Esempi : Manéna (anche Néna) da Madæ'na (opp. Madæ'n) « Maddalena », onde poi i comuni M a n e η ί ù e Manin; Manonna per Madonna « Madonna » è bambinesco e plebeo; menagga per medagga «medaglia» è bambinesco e plebeo. 3. Dissimilazione a distanza tra consonanti affini. Citerò un caso inverso a quello studiato di sopra (2. I.), la dissimilazione cioè di m-n in b—n. Invece del gen. m e n i s fi « sminuzzare » (cfr. anche meni ss u « minuzzolo ») da minutiare (v. Meyer-Lübke, Wórt. 5598, e Parodi), si ha in certe parlate della Riviera (per es. in quella di Cogoleto) b e-n i s fte benissu (cfr. anche il diminutivo b e n i s ί ή). Probabilmente questa dissimilazione è avvenuta per influsso di bernisà da *bismitiare (v. Parodi) « schiacciare, ridurre in poltiglia ». Il fenomeno è comune anche ad altri dialetti, cfr. il cat. berenar < merendare » (Meyer-Lübke 5521), il sic. bisinteriu « misenterio », il tarant, sbinti/carsi « smenticarsi », il ber g.binaga e il crem. bünaga da armeniaca «albicocca» (cfr. il mil. monaga e l’imol. munega; Meyer-Lübke 654). Cfr. P. E. Guarne· rio, Fonologia romanza, Milano 1918, p. 623. APPUNTI SUL DIALETTO LIGURE 1(59 4. Epentesi in iato. Notevole è il fenomeno dello sviluppo di nn g tra nna vocale ed u pitonico (già osservato dal Parodi) e postonico (non ancora credo notato) (>). Agli esempi citati dal Parodi (pigugtìsu «pidocchioso; gretto, avaro», gigwà «zufolare» da sibilare, arigwà «rotolare») aggiungo i seguenti, che sono proprn di S. Michele di Pagana, borgata di Rapallo: tragwe per trawe (e cioè træ lie) «tre ore»; 1 a g w a nell’espressione a lagwa «essa (parlando di una donna) lavora al tombolo»; agwa per awa «ora, adesso» da hac hora, cfr. lo sp. e port, aqora (Meyer-Liibke 4176). Nella parlata di Cogoleto (e forse anche in altre) troviamo m e g π 11 a per il gen. mówla da medulla (o merulla, cfr. Meyer-Liibke 5463 e A. Walde, Latevn. etyrn. Wort. s. v. medulla), cfr. m i g ó 1 a nel dialetto di Novi e di Serra valle-Scri via. A San Remo si ha si gu Ila per il gen. sjówla da anteriore s e ύ 11 a (2), da * cepulla «cipolla», cfr. il bergam. sigola, il valtelli-nese éigola e l’engad. ciguola. Questo fenomeno non è sconosciuto anche ad altre lingue, cfr. in it. ra-gunare e raunare; in sp. creguela per crehuela «tela da fodera», lampregvela accanto a lamprea da lampreda (Meyer-Lübke 4873), e in alcuni autori cadar guno (= alt cadauno, Meyer-Liibke 1755), feguza, agutarda accanto ad abutar-da da avistarda «orma, traccia» (Meyer-Liibke 832). Cfr. Guarnerio ov cit. p. 377. 5. Suffissi nominali Circa novanta esiti, come sembra, furono usati nel latino volgare (cfr· Grandgent, op. cit. p. 24). Prendiamo qui in considerazione i seguenti: I. alia, un neutro plurale, che fu usato, in senso collettivo, come un femminile singolare con significato accrescitivo e peggiorativo, in Italia e Gallia. Nel dialetto ligure il suffisso ha dato -agga. Esempi sono: kanagga «canaglia» da * canalia (da canis); spusagga e più comunemente al plur. spusagge «confetti nuziali» che gli sposi sogliono regalare agli amici, da spo(njsalia; batæsagga e più comunemente al plur. b a t æ s a g g e « confetti battesimali» che si sogliono regalare agli amici in occasione del battesimo di un bambino, da * baptisalia; H E probabile che il -g- si sia sviluppato dapprima nei casi di vicinanza a vocale oscura e da questi siasi sviluppato a tutti gli altri, che si incontrano nei varii dialetti d’Italia. Cfr. G. Bertoni, Italia dialettale, Milano 1916, p. 83. (2) Si legge infatti se olle in grlb. (cfr. il venez, séola), ç e volle in comm. 108 e se vu la in oï. (cfr. il friul. sevole). 170 ANTONIO GIUSTI da * filialia invece, diventato per dissimilazione * filiaria, con la caduta del r intervocalico, si ebbe figdja (opp. figéja; nel contado anche fi gai a), che significa proj«r. «cosa da bambini» e cioè «sciocchezza, scempiaggine; giocattolo». II. aticu, ha dato -ægu. Esempi: sarvæ'gu « selvatico », da salvaticus; k ο ή p a n æ' g u « companatico », composto di panis\ d ii z æ' g π « dogato» (cfr. diize) da * ducaticu; fantinægu « celibato » (cfr. f a ή t ί ù « celibe scapolo ») da * fantinaticu spusæ'gu «sposalizio» (voce del contado; cfr. spusów «sposo» da * spo(n)satu) da * spo(n)saticu. Parole dotte sono Vidtiku «Sacramento» (cfr. viatika «dare ai moii-bondi il Sacramento»), 1 ü η ά t i k u «lunatico» ecc. 6. Osservazioni e Aggiunte al « Romanisches Etymologisches Worterbuch » del Meyer-Lübke. È naturale che queste osservazioni e aggiunte riguardino esclusivamente il dialetto ligure; con esse cerco di portare un modesto contributo all opera del grande filologo. 38. abortire. Aggiungere il gen. aburtl «abortire». In parlate della Riviera si ha anche abardi, in cui il passaggio del t in d è un riflesso semi-popolare (v. Parodi), cfr. kuridù «corridoio», kadéùa «catena *ecc. 65. * accaptare. Aggiungere il gen. akatà «comperare». 71 b. * accìiordium. Citare anche il gen. akordiu «accordo». 90. acëdia. Aggiungere le forme gen.: a§idia «importunare, infastidile ecc.» e intr. «venir a nausea, a noia», a§ i din «fastidio», a§ i di ó w «importunato, infastidito ecc.». 92. 2. * acrus. Aggiungere il lig. a g r i o 11 u (opp. agreottu) «amaiena, visciola» (cfr. il fr. griotte), che è comune in certe parlate della Riviera (per es. a Cogoleto). Il Casaccia porta soltanto amarena, che è però letterario; su questo forse è costruito il popolare a m æ' ή a (*). 94. acerbus. Aggiungere il gen. serbu «piota; pezzo di terra erbosa cavato da prateria o luogo tale che per molto tempo non sia stato rotto; ado-prasi per incamiciare e rivestire i parapetti ed ogni riparo terrapienato acciocché la terra non ruini» (Casaccia). Cfr. il modo di dire asetàse iiì Su serbu «sedersi sull’erba, sul prato» e il proverbio la§ft a ή dà serbu «lasciar correre, non curare, non tener conto», che si applica figuratamente a discorso o simile, che non meriti attenzione. 98. acetum. Aggiungere il gen. azów (axaróu in grlb. XI 37 ecc.) da •azeu «aceto», azwiu quasi «acetito» e dicesi comunemente del vino «di-ventato acetoso», azwù «acetosella» quasi «acetata». (x) In antiche rime (fgl· 182) abbiamo amarenne. APPUNTI SUI. DIALETTO I.IGUKb 110. acinus. Citare il gen. azinella «acino». 135. acutus. Citare il gen. agiiu «chiodo». 134. acuiiare. Citare il gen. agii ssà «aguzzare» e agiissu «aguzzo». 939. baptizare. Aggiungere il gen. batæsagge (vedi sopra 5. I). 1297. * brigos (gallico) «forza, coraggio, vivacità». Aggiungere il gen. as· bri u «rincorsa, slancio», asbrifi «lanciare, scagliare con impeto», as· b r i â s e « si an ciarsi ». 1668. caput, -ite. Aggiungere il gen. kavu (opp. kàn) «capo, promontorio», donde il neogreco κάβος (= letterario ακρα). Cfr. P. Kretschmer, Ber heutige lesbische Dialekt in «Schriften der Balkankommission » 1, Heft VI, Vienna, p. 415, n. 3. 1820. * cepulla. Aggiungere il gen. sjówla «cipolla» (v. sopra 4). 2304. cratis. Il gen. grizella è anche termine marino ed ha due usi: grizelle de sàrtie «griselle» e cioè «cavetti orizzontali, legati di traverso alle sartie, che servono da scalini ai marinai per salire in alto» (Gu-glielmetti, Vocabolario marino e militare, Roma 1889) e grizelle du bu-kaportu «carabottini», che sono precisamente una specie di reticolato. La voce ë poi passata ali-italiano letteiario e al neogreco γριζέλαις (cfr. A. Somavera, Tesoro della lingua greca volgare e italiana, Paiigi 1709, e G. Meyer, Neugriecliische Studien. IV Die rom. Lehnw· im Neugr. in «Sitzungsb. d. phil.-histor. Klasse d. Akad. d. Wissenschaften», Vienna 1895). Per tutto questo cfr. E. Ramondo, Saggi italo-neogreci in «Arch. Glott. It.» XIX p. 16i> sg. 2810. dux, -uce. Aggiungere il gen. diize «doge» (cfr. il venez. doze)t die gli antichi dissero anche dogio (v. Casaccia) e duzægu «dogato» (v. sopra 5. II). 2949. * excambiare. Aggiungere il gen. skangfi, donde il neogreco σκαντζάρω (= lett. άλλάσσω) «scansare». Cfr. Ramondo p. 173. 3004. ëxemptâre. Al significato di «dileguarsi, allontanarsi», che il Casaccia attribuisce al gen. Sentii, si è sostituito nel contado quello di «gettare, lanciare con forza». 3303. filius. Aggiungere il lig. figaja (v. sopra 5. I). 3747. gerulus. Aggiungere il termine marino it. gerlo o gherlo «canapetto di forza, che tiene e porta» (Guglielmotti) e gen. serlu « trecce minute e lunghe.... le quali servono a molte allacciature, e per lo più a serrare le vele quadrate ai loro pennoni» (Casaccia); di qui il neogreco ςοΰρλον (=lett. στέλ-ματα). Cfr. Ramondo p. 174. 4176. hora. 1. Citare il lig. agwa (v. sopra Epentesi). 4393. infans, -aìùe. Aggiungere il lig. fante «bambino» (per es. in Val di Vara sopra La Spezia) e il gen. fantiù «celibe, scapolo» (cfr. fanti n æ' gu, v. sopra 5. II). 4809. labor, -óre. Aggiungere il gen. lów (opp. lau: nel contado anche 1 a u) « lavoro ». 4810. laborare. Citare il gen. 1 o w ü (opp. lau fi) « lavorare ». Per 1 a-g w a vedi sopra Epentesi. 172 ANTONIO GIUSTI 5233. mago (arormanico) «stomaco». La parola in agii n è anche gen. e significa « travaglio d’amore; accoramento, disgusto, afflizione ». 5398. masticare. II gen. maska è passato, come termine marino, all’ita-liano e al neogreco. A proposito di μάσκα (=■- lett. παρειά) dice ii Ramon do (p. 169): «La voce è genovese; come tale riconosciuta già da G. Meyer (Ngr. St III Die latein, Lehniv. in Neugr. s. v. μαξίλλας) e passata all'italiano come termine marino (Fincati, Dizionario di marine). Anche in greco ebbe, se tut-tora non conserva, il senso primitivo: « μάσκα mandibola, mascella, ganascia » (Somavera) e ancora: « una banda delli due lati d’una porta ». Il diminutivo masketta, oltre i sensi dati dal Casaccia. ha nella Liguria occidentale (per es. a Cogoleto — aggiungo io —) anche quello di parapetto del ponte ». 5587. minimus. Aggiungere il gen. marmelin nell’espressione diu mar me 1 ί ù (in Riviera anche mermeliò. marmelin e mermellu) «dito mi.nolo» Il verbo mar me là significa «giocar di mano; rapire, rubare », e nel gioco della mora si dice: « quando uno dei giocatori, non essendosi apposto al numero delle dita alzate dal compagno, cerca d'insrannnrlo o alzando qualche dito di più o stringendolo di quelle alzate da e>so », il che più facilmente si può fare col dito mignolo. 5845. natalis «Natale». .Aggiungere il gen. dënà (da dies natalis). Cfr.i proverbii: da «lenii a san Steva «da Natale a Santo Stefano» per indicare una cosa che dura poco; va tanti anelli a PasQWa qwanti bô a dënft «tanti agnelli vanno al macello a Pasqua che buoi a Natale» per significare che !a morte non risparmia nè giovani nè vecchi. 6198. panis. Aggiungere il gen. k α ή p a n æ' g n « companatico », vedi sopra 5- II. 6271. passus· Aggiungere il gen. p e s s n , che serve, come il fr. pas, a rinforzare la negazione: nu ge n’o pessn « non ce n*ho affatto ». 6561. placitum « processo, causa». Citare il gen. cætu «pettegolezzo» (cfr. asic. chiaitu e nsic. éaita) e cstesA «far pettegolezzi». 6847. punctum. Aggiungere il gen. a p u h t à « abbntt nare, allacciare, affibbiate ecc. », che nella forma aferetica passò al neogreco ποιτντάρί» (” lett. προσδένω) η·?1 significato di « legare, attaccare (specialmente la vela) ». Cfr. Ramon do p. 170. 69S7. radere- Citare il gen. a r e ii t e « vicino », cfr. d’arente « da vicino, da presso ». 7476 a. sabala (arabo) « rete ». Citare il gen. § â b e g a « sciàbica », sorta di rete da pescare (Casaccia). 7922. 2. salvaticus. Citare il gen. s a r v æ' g u « selva' ico » (v. sopra 5. II ). 8174. spo(n]salia. Aggiungere il gen. sposagge «confetti nuziali» (vi di sopra 5. I). 8175. spo(n)sare. Aggiungere il gen. spuss'gn «sposalizio* vedi sopra 5. IL). 8538. talea. La voce taglia (= strumento composto di carrucole per muovere grandi pesi) è stata introdotta nell'italiano dal sen. t a g a «carrucola» (cfr. C. Randaccio, Dell idioma e della letteratura genovese, Roma 1894, p. 223); APPUNTI SUL DIALETTO LIGURE 173 aguale derivazione La probabilmente 11 neogreco τάλια (= lett. τροχίλος). Cfr. Ramondo p. 172. 8873. trekken (nted.) « tirare » Citare il gen. atrakà, donde la forma aferetica del neogreco τρακάρω (= εμβάλλομαι). Cfr. Ramondo p. 176. 9102. ìiter a otre». Aggiungere il gen. lüddru «diluvione, ghiottone, lurcone, lupaccio, dicesi in basso modo di chi mangia oltre misura» (Casaccia). 9195. vënênum. Aggiungere il gen. venin (cfr. il rum. venin «veleno» e l’afr. veliti, venim donde l’asp. venin € ascesso, ulcera »). che è usato nel senso proprio di « veleno » e più comunemente in quello figurato di « stizza, rabbia, malignità ». Cfr. il proverbio in ta küa g e sta u venin * nella coda ci sta il veleno », traduzione dell’antico proverbio anonimo latino in cauda venenum, che si trova d’altra parte riprodotto in tutte le lingue. Esso proviene dal fatto che il veleno dello scorpione è rinchinso nella coda. Per la forma venin da venenum, ricordo che la lingua popolare talvolta sost tuì un suffisso ad un altro: così da venenum si ebbe *veninum, e così nell 'Appendix Probi (ed. Baehrens 1922) (*) si legge « Byzacenus non Byzaci-nus ·. Cf; . G. Cohn, Die Suffixwandlungeti in Vulgarlatein ustv., 3$91* p- 219-*226. 9412. vivèrra. Aggiungere il b'g. (per es. nella parlata di Cogoleto) vinvera «donnola», cfr. il monferr. vincerà. 94<4. toadi (gotico) «caparra, pegno». Citare il gen. desga^ów c* desgaginów «scozzonato, svelto, disinvolto», cfr. de sgagà « disim-pegnare » in senso proprio o figurato. 9479. toahten (franco) «guardia». .Aggiungere il gen. agweità «far capolino; affacciarsi destramente e anche naturalmente per vedere altrui, e tanto poco che difficilmente si possa esser veduto » (Casaccia). In certe parlate della Riviera (per es- a Cogoleto) si è formato anche il nome agwéitu nelFespressione stri a l’agwéitu = a g w e i t â . Antonio Giusti (continua) ABBREVIAZIONI fgl. = Rime diverse, in lingua genovese- molto dilettevoli per la novità e varietà de’ soggetti, con naova aggiunta di alcune bora date in luce, dedicate al signor Oratio Cena. Stampate in Torino, ad istanza di Bartolomeo Calzetta e Ascanio de Barberi 1612. Comprende questa Stampa le Rime di Paolo Foslietta* una traduzione del I canto àe\YOrlando Furioso fatta da Vincenzo Dartona, ed altri versi di varii; infine alcune Rime di Todaro Conchetta (psendonimo di Giuliano de Rossi), notevoli per l’evidente imitazione contadinesca. (l) È un elenco latino di grafie corrette e scorrette, composto probab'd-mente tra il 200 e il 300 dopo Cr. in Roma. Cfr. W. A. Baehrens, Sprachli· cher Kommentar zur cui g ari atei n ischei i Appendix Probi, Halle 1922. 174 ANTONIO GIUSTI gril). =r Ra Gerusalemme deliverâ dro signor Torquato Tasso tradûta in len-gua zeneise. In Zena in ra Stamparia de Tarigo. MDCCLV. connu. = Comedi© trasportæ da ro françeize in lengua zeneize da Micrilbo Termopilatid© P. A. dedichæ a’ ri veri e boin Zeneixi. Genova 1772. ol. = È il vocabolario genovese delPOlivieri stampato nel 1851. Per le altre abbreviazioni e per la bibliografia vedi «Giornale storico e letterario della Liguria» fase. Il, Aprile-Giugno 1936. A. G. SAGGIO DI UNA BIBLIOGRAFIA GENERALE DELLA CORSICA (Continuazione, vedi numero precedente) Letteratura Dialettale Testi ALESSANDRI di Chidazzu. — Parlate corsul versi, in Almunaccu di .1. Marra, 1927, pag. 96. ALFONSI. — U Cantu di i morti a Pontenovu, in Tyrrhenia, Boll, mensile della Soc. Ital. di Cultura e propaganda, 1925, (I), n. 4, Die. ANGELI Marco. — Malincunie: Puesie (con u ritratto di l’Autore) introita di Petru Rocca, Ajacciu, Tip. A. Muvr , 1924, 8, pagg. 48. Ree. L'Italia che scrive, marzo 1925. Ree. Archiv. Stor. di Corsica, 1925, (I), pag. 120. [Volpe le dice interessanti: l’autore fu trattenuto in Corsica essendogli stato negato il permesse di frequentare ΓUniversità di Pisa]. ANGELI — L’Abrugata, Ajacciu, 1925. ANNU (L’) Corsu. — Almanacca letterariu illustratu: Antologia regiunalista, Dir. P. Arrighi et A. Bonifacio, Ann. I, (1923). ARTIGIANO (L’). — Lunario oorso popolare, arricchito di poesie inedite proverbi e varie canzonette popolari. Bastia, J. B. Ollagnier, 1855, (Ann. I). AULLfi (D’) S. — Cuntrastu (versi) Almanacco di A. Muvra, 1927, pag. 41. Contrasti fra gli Alluaninchi e i Tallavesi. Ricorda le oontese avvenute. BERRETTA A. — Misgia, rivista popolare corsa, Ajaccio. BISCOTTINI. — Fiorita di poesie corse, Torino, 1923. Ree. Bellieni, in Critica Politica, 23 dicembre 1923. BONIFACIO. — U Scupato, in Biblioteca Corsa diretta da Paulo Arrighi, I. BONIFACIU A. — Puesie varie e Canzone con musica aveo préface de Alfredo Galletti, 8o, pagg. 190. BONIFACIO Antone. — Frutti d’Imbernu. Capocorso, presso l’Autore, (1925). (Volume II dolla Biblioteca Corsa di Arrighi). Ree. Carrera Ismaele, in Giornale di Poesia, febbraio 1925. BOURDE Paul. — Un voceri de l’île de Corse, in La Tradition, Ann. I, n. s., pagg. 280-281. Paris, 15 dio 1887 176 RENATO GlARDELLI CADIOU Paul. — Les chants de la Corse. Rennes, Caillière, 1897, 16o. Reo. Giustiniani, in Revue de la Corse, 1924, pagg. 26-27. CANTI popolari toscani, corsi, illirici, greci raccolti e illustrati da Niccolò Tommaseo con opuscolo originale del medesimo autore, vol. I-IY, Venezia, Stab. Tip. Enciclopedico Girolamo Tasso, 1841, vol. IV, pagg. 400. II (1841) pagg. 400. Ili (1842) pagg. 475, vol. IV, (1842) pagg. S20, 8o. [I canti corsi sono nel II con i proverbi]. CANTU’ CesaTe. — Della letteratura delle Nazioni. Saggi raccolti da Cesare Cantù in relazione alla Storia Universale. Torino, Un. Tip Ed., 1891, So. Part. II, pagg. 431-434 [esempi di varie poesie nel capitolo «Canti di vari paesi d’Italia»]. CARLOTTI (Martinu Appinzapalu). — Ba) [di breve durata]. CISPA (A). — 1914 (Ann. I), dir. Xavier Poli, J. T. Versini. Antologia annuale. COLLECTION de Contes et de chansons populaires, 1881-1909. 8o, Tom. X Corse. CORSICA (A). — Muzzicone ii jurnale di i Corsi a n fronte fundatore D. A. Versine: Sorte ogni quindicina e di bon’ora [dal lo die. 1915]. C'ROZE (Austin, de). — Chanson populaire de l’ile de Corse avec conclusion de Μ. P. Fontana. Parie, Champion. 1911, 16o, pag. 176. [Pecca per trad. interpretazione e ortografia. ma merita considérez. - Bibliografia 1. Ree. Bull. Soc. hiit. Corte, 1912, (fase. 334-336), Ann. 31, pagg. 307-308. FÉE. — Voceri Chacts populaires de !a Corse, précédés d un excursion faite dans cotto île en 1845 par A. L. A. Fée. Paria, Lccon, 1850, 8o. Ree. Courtillior con notieie sull autore. «Un strasbourgeois en Corse en 1845», in Revue de la Corne, 1924 (V), pagine 97-103. [Alcuni canti son riprodotti dal Viale]. * SAGGIO DI UNA BIBLIOGRAFIA GENERALE DELLA CORSICA 177 GIO\ ANELLI Giuseppe. — Pe’ a nascita e u Battezimu cTu mio prima figliulinu, versi in A Imanaccu di A. Muvia, 1927, pag·. 90. ORAZIANI et CLEMENTI. — La Lyre Corse: recueil gravé de 32 poesies, 1890. GRIMALDI. — Novelle storiche corse di G. V. Grimaldi. Vi çi aggiungono i canti popolari corsi ricordati e ristampati per cura dell’editore medesimo che li raccolse e pubblicò nel 1847. Bastia, 1855. GRIMALDI Gio. Vito. — Saggio di versi italiani . e di canti popolari corsi .Bastia, Tip. Fabiani, 1843, pagg. 174. GROTTA (G. di la). — U cantu di Cirneella, in Almanaccu di A. Muvra, 1927, pag. 127. GUGLIELMI D’Orezza. — Ottave giocose [fonte di Falcucci]. GUGLIELMI Guglielmo D’Orezza (l'344-1728). — Poesie scelte. Fabiani. 1852. LOCATELLI. — Divagations &ur la Corse, in Annuario del Liceo-Ginnasio di Galatina, 1927. [Illustra un» oanzone rusticana riportata da Benson, Skcthes of Corsica]. LUCC1ANA Pietro. — Versi italiani e corsi. Bastia, Ollagnier, 1877. LUCCIANA P. — Vattelapesca: 1) E curnacchie ; 2) U matrimoniu di Fiftina ; 3) I' triunfu de Buffalevalle. 4) E tabulazioni d’u scio Filippo; 5) A Signora Pizichiocchiula'. LUCIANI Giuseppe. — Vocerò per la morte di Eugenio Napoleone, in A. Berretta Misgia, Sett. 1925. LUCCIARDI J. 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I/O Scalo di Ponti Reale e il barchile del Genietto Macino, ibidem. 10 luglio 1930. lo sbarco nuziale di Carlo Emanuele 1 di Savoia. ibidem, 4 agosto 1930. la piena de/ torrente Ri sogno il 22 ottobre 1X22. ibidem, 6 agosto 1930. I9 Acquatola ai primi dcirwtO, ibidem 12 agosto 1936. Il mondo piccino i Piazza De Ferrari nel /!*/'. ibidem, 21 agosto 1930. la Coscia di San Pier d’Arena. ibidem. 2.’» agosto 1936. Rorgo Pila. Ibidem. 31 agosto 193& SPIGOLATURE E NOTIZIE 197 CORSICA I. Rinieri : / Vescovi della Corsica in «Archivio Storico di Corsica», Roma, aprile-giugno 1930. G. Caraci : />«. carta della Corsica attribuita ad Agostino Giustiniani iu «Archivio Stori0 dall: Mitra della Sfrega. ibidem, 10 luglio 1930. Lanterna di Genova 18}0, ibidem, 22 luglio 1930. P. M. Raffi*: Santa Marta e la sua Chiesa in «11 Nuovo Cittadino». 29 luglio 1930. San Lorenzo nel Varie Cristiana, ibidem, 9 agosto 1930. Lazzaro De Simoni : La Chiesa di San Pantaleo in «Il Nuovo Cittadino», 4 luglio 1930. 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Carcos : T or riglia, meta ideale dei Genovesi in «Corriere Mercantile», 21 luglio 1936. Carcos: Lungo le alture di Genova in « Corriere Mercantile », 25 agosto 1936. Gino Piastra : Curiosità della toponomastica genovese in « Il Lavoro », 12 luglio 1936. Paolo Marcello Raffo : Trasformazioni della regione Carmelitana in « Nuovo Cittadino », 15 luglio 1936. Giulio Miscosi : Il Piano di &. Andrea e la Porta Soprana in « Corriere Mercantile », 25 luglio 1936. I Carruggi d’Alharo ibidem, 29 luglio 1936. Piazza della Zecca ibidem, 4 agosto 1936. Aurelio Manzoni: Glorie dell a/rUguinato Ligure. Il velluto di Zoaglì in «Giornale di Genova», 25 agosto 1936. G. Pesce : Storia di una curiosa controversia in « Nuovo Cittadino », 15 febbraio 1936. Vecchie lettere ibidem, 25 marzo 1936. P. M. Raffio: Sant’An/na. T) adizioni e usanze Genovesi in «Nuovo Cittadino», 25 luglio 1936. Lazzaro De limoni : AlVombra del Monte Fìgogna in « Nuovo Cittadino », 29 agosto lJau. Giuseppe Bisogni Direttore responsabile : ARTURO CODIGNOLA Stabilimento Tipografico L. CAPPELLI - Rocca S. Casciano, 1936-XIV LO ZUCCHERO NEL LAVORO E NEGLI SPORTS Dato l’attuale ritmo della vita, lo zucchero dovrebbe essere l’alimento di elezione in ogni campo della vita pratica e intellettuale· dove si lavora e dove si pensa, nelle fabbriche e nelle scuole, nelle caserme è nello sport, là dove necessita attuazione pronta di energia e di velocità. Quando si lavora, il lavoro risulta fisiologicamente più economico se viene eseguito dopo un pasto ricco (li zucchero, che dopo un pasto in cui abbondano grassi e carne, E ciò, non solo perchè lo zucchero scalda meno i congegni del nostro organismo, ma perchè è l’alimento proprio e più indicato nel lavoro dei muscoli. Lo zucchero è il vero carbone del motore animale, e carbone di prima qualità, anche perchè non dà scorie, nè origina, nel suo ricambio, alcuna sostanza tossica. Si comprende, quindi, come, ingerendo zucchero (furante il lavoro, si possa dare un maggior rendimento e come esso possa giovare nel ristoro dopo la fatica. Sono classiche le ricerche eseguite dal Mosso e dalla sua scuola, e dal Harley, sul potere ristoratore dello zucchero nelle ascensioni alpine ed, in genere, negli sporte violenti. Scrive Angelo Mosso nella “ Fisiologia dell’Uomo nelle Alpi ,, : w Lo zucchero ha il potere di aumentare la forza dei muscoli. Dal muscolo affaticato può ottenersi una più grande energia bevendo semplicemente ima soluzione di zucchero nell'acqua. A che cosa è dovuta l’improvvisa caduta di forze, la défaillance che, a volte, coglie l’atleta nel fervore della gara o l’alpinista che ascende la montagna? Indagini moderne hanno dimostrato che dipende da una discesa di zucchero nel sangue, da una ipoglicernia. Basta allora mangiare un po’ di zucchero, bere uno sciroppo, per sentire rinascere le forze e l’energia di proseguire. „ Lo zucchero, alimento fisiologico, deve essere consumato sopratutto dai lavoratori e dagli sportivi. Dalla pubblicazione del compianto Prof. Gaetano Viale, Direttore de!-l’Ietituto di Fisiologia della R. Università di Genova : Lo zvcchero nelValimentazioney nella terapia, negli sports, nel lavoro, (Genova, 1933# Barabino e Graeve). GIORNALE STORICO E LETTERARIO DELLA LIGURIA La pubblicazione esce sotto gli auspici del j\tunicipio e della R. Università di Genova, della R. Deputazione di Storia Patria per la Liguria e del .Municipio della_Spezia ABBONAMENTO ANNUO : per i’Italia Lire 30 - per 1 Estero -Lire 60 Un fascicolo separato Lire 7,50 - Doppio Lire 15 DIREZIONE E AMMINISTRAZIONE : Genova. Vici Lomettini, il {Casa Mazzini) “TERNI «9 SOCIETÀ PER L'INDUSTRIA E L'ELETTRICITÀ Anonirro con Sede In ROMA - Via Due Macelli, 66 (Palazzo Proprio) Direzione Tecnica Commerciale ed Ammirisi. In GENOVA - Via S- Giacomo di Cartonano, 13 (Palazzo Propnoj CAPITALE L. 430.000 000 Stabilimenti in TERNI, PAPIGN0 COLLESTATTE, CERVARÀ, NARNI, GALLET0, PRECI, NERA, MONTORO, SPOLETO 6 Centrali Elettriche eoa 250.000 kw installati Indirizzo Telegrafico: ELETTROTERNI, per Roma. Genova. Terni e Spoleto Telefoni, per ROMA: 61660 - 65765 - per GENOVA: 54291 · 54295 - 52021 - 52035 PRODOTTI! 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Spedizione in abbonamento postale ANNO XII - 1936 - XV Fascicolo IV - Ottobre-Dicembre R. DEPUTAZIONE DI STORIA PATRIA PER LA LIGURIA GIORNALE STORICO E LETTERARIO DELLA LIGURIA PUBBLICAZIONE TRIMESTRALE Direttore: ARTURO CODIGNOLA Direzione e Amministrazione GENOVA, Via Lomellini, 11 (Casa Mazzini) SOMMARIO Ferruccio Sassi, Ricerche sulla organizzazione castrense nella Luni-giana vescovile (continuaz. e fine), pag. 199 — Ninetta Savelli, La politica estera di Genova nei riguardi del Piemonte, Ijgi-IJQ3 (continuaz. e fine), pag. 222 — Mario Labò, Invito a studiare i Ricca, pag. 238 — DISCUSSIONI E COMMENTI : Ancora dei «Quartieri di Genova antica, » (Giulio Miscosi), pag 247 — Renato Giar-delli, Saggio di una bibliografia generale della Corsica (contìriuaz.), pag. 243 — Comunicazioni della R. Deputazione di Storia Patria per la Liguria, pag. 246 — RASSEGNA BIBLIOGRAFICA: Aldobrandino Malvezzi, Cristina di Beigioioso (Leona Ravenna) — Arturo Codignola, Carlo Alberto in attesa del trono (Vito Vitule) — Mattia Moresco, Il trapasso della Corsica (Vito Vitale) — Benedetto Giacalone, Americana (M. Celle) — Filippo Noberasco, La Madonna di Savona, N. S. di Misericordia {u. s.), pag. — Giuseppe Bisogni, Spigolature e Notizie, pag. 263 — Appunti per una bibliografia mazziniana, pag. 267. CASSA DI RISPARMIO E MONTE DI PIETÀ' DI GENOVA RICEVITORE PROVINCIALE PER LA PROVINCIA DI GENOVA FILIALI GENOVA-CENTRO ALASSIO PIETRA LIGURE (Agenzia A) ALBENGA PIEVE DI TELO (Agenzia B) ARENZANO RAPALLO GENOVA -SWIERDAREKA BORDIGHERA RECCO GENOVA-SESTRI RUSALLA REZZOAGLIC GENOVA-PEGLI CAMPOLlGURE S. REMO GENOVA-VOLTRI CHIAVACI s. margherita ligure GENOVA - R1VAROLO FINALE LIGURE SESTRI LEVANTE GENOVA - BOLZANET'O IMPERIA li TAGGIA GENOVA - PÛNÏEDEC1M0 LOANO TORRIGLIA GENOVA-NERVI MONTCGGIO VARAZZE GENOVA-VALBISAGHO NOVI LIGURE VARESE LIGURE CREDITO ITALIANO LOCAZIONE CASSETTE DI SICUREZZA DEPOSITI DI TITOLI A CUSTODIA a 1 ί e condizioni più modiche SERVIZI SPECIALI PER TITOLI DI STATO E OBBLIGAZIONI DIVERSE Appositi uffici e sportelli per fornire a chiunque tutte le possibili informazioni e notizie. TDTTE LE OPERAZIONI Fubblicazione di due interessanti periodici aulirli che veDgonn spediti gratuitamente a richiesta. Ut ΟΑΠίΒ If Anno XII - 19.J6-XV Fascicolo IV - Ottobre-Dicembre GIORNALE STORICO E LETTERARIO DELLA LIGURIA Direttore: ARTURO CODIGNOLA Comitato di redazione : CARLO BORNATE - PIETRO NURRA - VITO A. VITALE RICERCHE SULLA ORGANIZZAZIONE CASTRENSE NELLA LUNIGIANA VESCOVILE II L’OPERA DEI VESCOVI PER L’ORGANIZZAZIONE CASTRENSE DELLA BASSA VAL DI MAGRA Parlando di castelli vescovili, possiamo legittimamente proporci alcune domande. Si trattava inizialmente di semplici arnesi di guerra? Come sorsero? Furono fortilizi occasionali o no? Sono tanti quesiti importanti nel campo strettamente giurìdico. Il Volpe — sia detto con tutto il dovuto riguardo all'illustre sto rico — lia tracciato con poche pennellate nervose ed efficaci un quadro della vita lunigianese del tempo, che presenta sì vivaci tinte, ma che non sembra però rispecchiare esattamente la situazione locale (1). Incastellare non è davvero « cosa di tutti i giorni » neppure pei maggiori proprietari ; l’accrescimento delle « grandi proprietà con tigne » non è davvero dimostrato, anzi tutt’altro : nè del resto sapremmo conciliare quest’affermazione con 1’altra — più rispondente alla realtà, invero — per cui ogni rampollo delle moltiplicatesi famiglie nobiliari organizzava per proprio conto un nuovo centro di vita. Adalberto di Isola — che aveva costruito il proprio castello nell’omonima località, e che pur discendeva da quel ceppo Olde'berte-sco, più tardi infesto al pastore Gualtiero — sente Pobbligo di regolarizzare la sua posizione chiedendo a livello la terra: a meno che non (!) Lunigiana Medioevale, Firenze. Vallecchi, 1923, pag. 20 e passim. 200 FERRUCCIO SASSI avesse avuto il preventivo assenso del Vescovo l1). Si trattava senza dubbio di terra del fisco passata alla Chiesa, gravitante nella circoscrizione ecclesiastica della pieve di Marinasco, compresa civilmente in una di quelle corti vezzanesi che abbiamo veduto elencate nel diploma di Ottone I. Castello dominicale? No; anche se successivamente il castello diviene una Aera organizzazione giuridica completa e perfetta, ed anche se assume l’aspetto esteriore d’un castello dominicale, l’origine non può trovarsi se non nella concessione di una regalia da parte del « missus dominicus », il Vescovo. Ma le traccie dell’opera dei Vescovi, nell’ora accennata lor qualità, le ritroviamo precisamente nella serie di castelli riconosciuti e confermati alla Chiesa di Luni nel citato diploma di Ottone I. Opera propria : uso diretto dei poteri derivanti dal missatico. Preseindia ino pure dal castello di Montedivalli, fortilizio occasionale, che non ebbe tempo nè modo di svilupparsi come istituto di diritto pubblico, sinché rimase in esclusivo possesso dei Λ escovi, in seguito al rapido spostarsi entro terra dei confini della zona vescovile. Del castel- lo di Ceparana non conosciamo direttamente le vicende, ma possiamo arguirne le origini e le vicissitudini ricordando quanto abbiamo esposto a proposito di Adeurando di Ponzano. Se questo « miles » chiede in feudo terre poste nell’ambito della corte, nè si preoccupa di avanzare diritti ereditari sul « castrum » o di chiederne in proprio nome, qual miglior prova vorremmo — tenuta presente l’origine della sua richiesta — per concludere che effettivamente ci troviamo di fronte ad una realizzazione dovuta per intero all iniziativa ^ esco-vile, e più precisamente ad una creazione diretta del Aescovo? Quest’ultimo soltanto è, in altre parole, il « dominus castri » , egli solo avrà provveduto dunque a fornire gli indispensabili castellani : Adeurando poteva ben essere o divenire uno di costoro. A non diversa conclusione giungiamo studiando le caiatteiistiche giuridiche e le vicende storiche degli altri castelli menzionati. lì diretto dominio vescovile si afferma per secoli in modo indiscutibile sul castello di Sarzana, mentre il castello e la corte dell’Ameglia si definiscono ben presto come intimamente legati alla sorte delle tei-re oltre Magra, sulle quali si accampa il consorzio carrarese-aventino. Ho già avuto più volte occasione di occuparmi di queste terre e rii questo consorzio (2), e — senza voler ripetere cose già esposte — mi limiterò a porne in risalto le caratteristiche più salienti. Si tratta d’un consorzio nel quale solo in epoca relativamente taida si afferma la prerogativa del « dominato » : e non nell’intero consorzio quale appare originariamente costituito, ma solo in alcuni rami C1) Cod. Pel., n. 441. (2Ì L'influenza del fattore marittimo, ecc., citato. Il Comitatulus di lavagna e Vorganizzazione territoriale fra il Tirreno e la valle padana, in « Mem. Accad. Capellini», XII, 2. « RICERCHE SULLA ORGANIZZAZIONE CASTRENSE distaccatisi dal ceppo unico ed in epoca, quindi, in cui la solidità del tronco comune appare scossa e compromessa da un complesso di fattori politici, giuridici, economici. Intendiamo a/ludere al ramo dei Λ icedomini della Chiesa di Luni, ed a quei militi carraresi ohe nel 11.SO (*) si accordavano col Vescovo per la fondazione de! boro·,, di Avenza. Sino alla metà del secolo XII, dunque, sarebbe forse com piere opera vana il voler ricercare traccie d’una giurisdizione dominicale su questa zona, che da Capocorvo si stende sino a Carrara, mentre pur troviamo memoria dell’esistenzrt di allodi e di possessi terrieri goduti a titolo livellario. Ricordiamo alcuni atti del Codice Pel a vicino. Il 19 marzo 1134 (2), i fratelli Benedetto e Giovanni chiedono in fitto al Vescovo il manso di Manzo de lïiolo, con atto redatto in Luni alla presenza del gastaldo vescovile Valdinoto (il primo che ci si presenti con tale qualifica, se non erro). Nel febbraio 1139 (3), Geraldino Bifolco chiede in fitto il manso di Fotigero in Balognano : un manso ben sviluppato, se comprendeva 72 solche di terra in Ameglia e due appezzamenti di 00 e di 9 solche rispettiva -niente in Pantaleo (Tumello). Nel marzo 1144 (*), Buso figlio ’i Tipo chiede a livello in Balognano il manso godute per l’innanzi dai fratelli Guidolino e Boninfante. ed in quel tempo dal richiedenti stesso e dal figlio di Guidolino. Infine il 1° giugno 1153 (5) Gotulo qm. Amato de Ascletudo chiede a livello due case nel castello di ^ Ameglia, una terza parte della villa di Carozola, vigne, castagneti. il manso di Sorolo, un appezzamento in Pontesella e due ingerì di terra a Capocorvo. L’importanza di quest’ultimo atto consiste però nel fatto che l’atto stesso ripete una condizione di cose — di diritto e di fatto — che risale alla fine del secolo precedente, al tempo del Vescovo Filippo . Gotolo richiede infatti quanto aveva ottenuto a f livello il proprio zio paterno Gerardo, mentre poi le rimanenti due parti di Carozola risultano allivellate al Vicedomino Aldeprando (il primo vicedomino storicamente accertato della Chiesa di Luni) ed agli uomini di Carrara. E Gotolo si obbliga, oltre che a versare una pensione annua di nove denari milanesi « prò prato secando ». ad abitare nel castello di Ameglia ed a prestare « gaitas nocturnas et custodias diei de porta ». Da ultimo, la più tarda e notissima «inquisitio» del Vescovo Enrico (6i ci chiarisce l’obbligo di prestazioni militari marittime da parte dei « filii Gerardeti » e dei « filii Odonis » in Ameglia ed all’Avenza. i1) Cod. Pel., n. 314. (2) lb.. n. 503. (3) Ih... n. 3S9. (*) lì)., n. 370. <5) Ih., n. 386. <6> Ih., u. 10 add. e 371 (0 adii.). « 202 FERRUCCIO SASSI L’assieme dei dati ora riferiti, e l’attento esame delle condizioni personali e della natura dei diritti reali, escludono nel modo più assoluto — nella zona in questione beninteso — il sorgere di diritti dominicali dal puro e semplice possesso di terre. Gli stessi atti di livello non risultano sufficienti a conferire tali diritti, bensì soltanto la qualità di castellani, o cariche civili presso la curia vescovile. Si afferma cioè, con fresca energia, l’elemento della « personalità » che esclude — nella determinazione della condizione di questi beneficiarii od affittuari — ogni influenza dell’elemento opposto, cioè •quello della « territorialità ». Una simile affermazione è dovuta, come ho tentato in altre sede di dimostrare, unicamente alla particolare organizzazione della città di Luni nel periodo post- caiolm-gio ed al riversarsi dei cittadini lunensi nelle zone contigue per effetto delle devastazioni subite dalla città stessa. Le medesime osservazioni valgono altresi pei castelli di Vezzano e di Trebiano, la cui situazione è peraltro resa più complessa dal trovarsi essi in intimo contatto con la corte obertenga di Arcola : ragione per la quale beu potevano essi alimentare quel seriore contrasto tra le due potestà, che sarebbe forse errore presumere come fatale ed ineluttabile in epoca più remota. L’influenza diretta del Vescovo nella sistemazione giuridica del castello di Trebiano è anche in questo caso assai chiara ed esplicita, nè esistono intermediari di sorta ; essa è però condizionata dalla volontà degli abitali ti (*) È logica la supposizione che il nuovo organismo rappresenti un’ulteriore fase di sviluppo d’una precedente organizzazione, d’un raggruppamento demico già protetto da mura, già dotato — per la stessa ubicazione del sito — d’un centro di scambi agnoo i c coni mereiaii. È caratteristica la frase del Vescovo Eriberto : « .... vobis ac omnibus hominibus, qui in castro de Trebiano castellani et ibi conveniunt.... »; a due categorie ben distinte di persone, rivolge egli la sua promessa. Il fodro deve servire unicamente ai bisogni del castello e non può esser distratto per altri scopi; politica, la concessione d’un vero diritto d’asilo: espedienti entrambi, per ritornire il castello di mezzi e di uomini. Ed il Vescovo accetta anche limitazioni nell’invio di funzionari. Oltre un secolo più tardi vedre- ( mo il Vicedomino della Chiesa investito del feudo di Trebiano, ma a quell’epoca la minaccia malaspiniana nella zona è praticamente scomparsa e 11011 sembra più troppo a temersi un vento di fronda dei castellani. La determinazione dei confini tra le cune dei due castelli. di Trebiano e dell’Ameglia, compie l’opera. Non ci sembra perciò molto attendibile l’affermazione di alcuni, esser cioè il vescovo « riuscito » ben presto a mutare 1 antico ga- ^ staldato feudale in un ufficio temporaneo retribuito con godimento (i) Ih., n. 488. 4 RICERCHE SU LI A ORGANIZZAZIONE CASTRENSE 203 di redditi o stipendi, conferito a persone del luogo o a estranei. Nella zona che abbiamo passato in rassegna ci sembra più che dubbia la preesistenza di gastaldati creati unicamente dal potere civile, e più che naturale l’istituzione d’una classe di funzionari vescovili. Anche a questo line un livello poteva prestarsi ottimamente. E non avrebbe potuto svilupparsi, l’istituto del gastaldato vesco vile temporaneo, dalla temporanea concessione d’un « feudum guar* diae » accordato dal « missus dominicus » a simiglianza di quanto-di rettamente poteva compiere l’autorità regia? (*). Resta poi il fatto che, se non vado errato, il primo gastaldo vescovile che ci si presenta è Valdinoto. teste al citato allivella mento del manso di Manzo de Riolo del 19 marzo 1134. Ili I DOMINI DI BURCIONE E L’ORGANIZZAZIONE DELLA BASSA VALLE DELL’AULELLA L’accenno al duplice elemento della personalità e della territo rialità del diritto ci porge l’occasione di riesaminare un interessantissimo capitolo della storia feudale lunigianese. Per primo, il For-mentini con una serie di argomentazioni d’indubbia solidità, almeno nel loro complesso, ha presentato sotto un aspetto assolutamente n u ovo il fenomeno della formazione del ceto feudale di Lunigiana, ed lia rilevato la funzione predominante della razza longobardica dimostrata con le affermazioni delle consorterie versiliesi e garfa-gnine sul litorale, in Val d’Aulella, oltre Appennino. I suoi studir alcuni dei quali particolarmente importanti (2), hanno posto in luce il dinamismo delle casate longobardiche lucchesi; senonchè. pur convenendo nelle linee generali con le conclusioni del chiaro storico nostro, ci permettiamo sollevare alcuni dubbi sia sull’assoluta gene ralità del fenomeno, sia sul perdurare delle sue manifestazioni e delle sue conseguenze oltre un determinato periodo storico. Un atto del 14 giugno 1070 (3), molto noto agli studiosi di storia locale, ci dice che Pellegrino de Burcione qm. Gotezone vendeva al Vescovo Guido per trenta lire pavesi d’argento tutti i beni, posses si, diritti che numerosi aveva nella corte di Soliera, e disseminati in una lunga serie di appezzamenti, fondi parcella ti, colonie, non che tutte le case coloniche ed i beni situati in una vastissima zona dalle C1) Besta. storia del diritto pubblico italiano, Padova, Cedam. (2) Alludo ai seguenti: Consorterie longobardiche fra Trucca e Luni. In « Giorn. Stor. e Lett. della Liguria», 1926, 3-4; Una podesteria consortile nei secoli XII e XIII; Sulle origini e sulla costituzione dyun grande gentilicio-feudale, in « Atti Soc. Ligure di Storia patria », LUI. (3) Cod. Pel., n. 225. 4 204 FERRUCCrO SASSf propaggini appenniniche al mare, eccettuato il solo castello della Brina. Per mezzo di alcune induzioni, tratte essenzialmente* dall'esame del consorzio signorile di Stadano, il Formentini propone resistenza d’un consortile agnatizio comprendente i domini di Burcione, i domini di Boiano ed altro meno importante ceppo (i così detti « figli di Uberto »), e ne identifica il comune autore in un ; personaggio vissuto non oltre la fine del X secolo o gli inizi dell’XI ; il noto Tedalasio, o Teudingo, o Teuperto, vassallo del Vescovo di Luni Adalberto alla metà del secodo X (Α). Domini di Burcione compaiono naturalmente anche nei secoli successivi nella storia della Lunigiana e — fatta eccezione per alcuni atti in cui figurano parte attiva — costantemente in veste di testi ad importanti atti politici come « fideles » o « pares » della curia vescovile. Del resto, non segnaliamo un sol caso, una sola circostanza in cui le direttive e Fazione politica del consorzio contrastino con l’indirizzo della curia: è una costante opera di fiancheggiamento, che quei domini compiono attraverso il mutare degli even- ι ti e delle fortune (2). Circa il 1200, due di essi — Filippo ed Obiz-zo — sono contemporaneamente canonici della Cattedrale di Sar-isana. Una tale immutabile fedeltà, una così attiva partecipazione alla vita politica e all’opera· di apostolato della Chiesa di Luni, non potrebbero trovare una spiegazione in qualche remota situazione rimasta ancora ignota e sfuggita all’indagine degli storici? La consanguineità dei Burcione e dei Boiano è asserita dal For 4 mentini in quanto egli ha identificato il capostipite d’un ramo dei condomini di Stadano in un Gerardo di Le vaca stello f. qm. Catie Kegis, nominato in atto del monastero del Tino del 1189, e cioè in uno dei figli di Catie Regis investiti dei feudi buggianesi di Val di Nievole con diploma federiciano del 1167. Ma l’atto del 1201 elencante i ceppi dominicali di Stadano (fra cui senza dubbio alcuni dei Burcione) parla semplicemente dei figli del « fu Levacastello », ed è di pochi anni anteriore un documento del Pelavicino (0 gennaio 1202: n. 471) nel quale si parla almeno di un altro Levacastello (<( Levacastello et G. de Ul. » forse TJlmeta?) che — per incarico dei « pares » di curia, è deputato ad insediare il Vescovo nella tenuta di Tivegna in odio alle pretese di Aldoberto de Prato e d’un altro personaggio non bene identificato, ma che sono incline a presumere fosse un marchese di Massa. I due Levacastello non mi sembrano la stessa persona, e d’altra parte è lecito il dubbio che non sempre — e tanto più trattandosi d’un consortile recente come quello di Stadano — la parola « filii » stia ad indicare discendenti remoti. Oì Consorterie long., cit., pag. 181-183. (2) Cfr. Cod. Pel., nn. 324, 223, 40. 40, 56, 101, 130, 428, 420, 529, 535, 440, 308, 504, ecc. » v RICERCHE SULLA ORGANIZZAZIONE CASTRENSE 205 Per quanto concerne gli « Uberti » non sarà fuor di luogo ricordare che tanto il nome di Enrico quanto quello di Giberto (presumibile variante di Uberto) ricorrono in quel tempo anche in personaggi appartenenti al consorzio dei Burcione per legame agnatizio, così che Enrico fu Uberto, condomino di Stadano, potrebbe anche essere direttamente ascritto a quella casata (x). Se dunque è legittimo il dubbio sulla consanguineità delle due casate di Boiano e di Burcione; se il consorzio da esse costituito per la Brina e per altre località può esser conseguenza legittima d’un legame cognatizio ; mi sembra che meriti di esser posta in netto rilievo l’asserzione del munifico Pellegrino qm. Gotezone: «professus sum ex natione mea lege vivere romana ». In tempi in cui la legge longobarda veniva raccogliendo larga messe di facili trionfi, come la più atta a contentare economicamente gli innumerevoli cadetti, e nel tempo stesso a conferire ai consorzi dominicali la base di resistenza e la sorgente di affermazioni politiche, ci recherebbe non poco stupore una simile recisa affermazione in bocca ad un, non davvero remoto, discendente da un capostipite di gentilizi longobardi. E se l’affermazione, come riteniamo, risponde a verità, non avremmo noi in questo atto del 1078 una chiara e coraggiosa dimostrazione della non spenta vitalità dello spirito romano circolante ancora in determinate zone della Lunigiana, effetto e testimone insieme del fascino emanante dalle venerate rovine di Luni romana, bizantina, cristiana? E non potremmo ritrovare in questo spirito le ragioni intime determinanti la linea di condotta del consorzio dominicale ; ragione fatta di convincimento e di tradizione; l’elemento insomma spirituale necessario per corroborare ed integrare quello materiale fornito dalle ■condizioni giuridiche e di fatto? Alcuno potrebbe obbiettare che queste considerazioni potranno servire a spiegare la storia, ma non a fare della storia. Scendiamo allora ad altri particolari. Una rivendicazione dei diritti vescovili sul castello e sul poggio di Castiglione sotto la Brina, compilata senza data, per cura del Vescovo Enrico, contro le pretese del Marchese Moroello Malaspina, insiste recisamente nell’affermazione che una terza parte del castello e delle sue pertinenze apparteneva al vescovado per donazione — seguita come di consueto da infeudazione — avuta da parte di Lombardello di Burcione del qm. Pellegrino (2). Ma quest’ultimo — il quale aveva compiuto la. sua donazione il 17 Ottobre 1188 (3), (·) Cfr. Ood. Pel., atti del 5 dicembre 1197 u. 49 (Busdro o Buldro qm. Enrico, ricordato anche nel cit. atto del 1202), del 7 febbraio USI, n. 50S (An-drione figlio di Giberto), del 2 aprile 1212, n. 101 (GIbertino). (2) lb.f n. 526. (3) lì)., n. 517. 206 FERRUCCIO SASSI mentre il tìglio Oddo aveva già raggiunta in quell’anno età tale da impegnarsi legalmente (]) — dichiara esplicitamente di conferire al vescovo Pietro la terza parte « de podere toto » già appartenuto al defunto suo padre, Pellegrino, in tutta la curia del castello della Brina. Questo dunque era vissuto alPincirca nella prima metà del secolo XII, e morendo aveva diviso la propria tenuta in tre parti : una toccata a Lombardello, una seconda — da quanto si può capire dall’espressione, invero non del tutto chiara, del Codice — finita « ex successione » nelle mani di Guglielmo Tignoso della Brina e da esso venduta a Moruello Malaspina a simiglianza di quanto' era stato operato « ab illis qui descenderunt al) ipso Lombardello ». Nulla è espressamente detto della rimanente parte. Ora si noti che il primo atto attestante un condominio dei Burcione e dei Boiano sulla Brina risale appena al Gennaio 1160 ("), e che in detto atto i Burcione hanno costantemente la precedenza — nella citazione — sui Boiano. Infine il Vescovo Enrico ben poteva, nella seconda metà del secolo successivo, parlare della « pars Peregrinorum » riferendosi ai discendenti del padre di Lombardello senza che per questo necessiti ricorrere al Pellegrino qm Gotezone del 1078. In altre parole, mi sembra sin d’ora dimostrabile che l’innegabile esistenza d’un legame consortile tra i Burcione da un lato, i Boiano e gli Uberti dall’altro, possa essere fondatamente ricercato in un vincolo cognatizio anziché agnatizio. La separazione dei ceppi porta come logica conseguenza a non ammettere un assoluto predominio incontrastato di una stirpe, bensì la convivenza di persone viventi secondo leggi diverse. Non abbiamo del resto che a porre i dati così desunti in relazione con i rilievi già svolti dallo stesso Foi-mentini a proposito della nota « eredità d’Iconio » donata da Adalberto I marchese di Tuscia all’Abbazia di S. Caprasio dell’Aulla nel-PS81, e con la derivazione romano-bizantina del nome di Teudalasio,. il non meno noto Vicedomino della Chiesa di Luni (ο « \ icecomes civitatis » in Luni, secondo la mia supposizione) ed autore pei vincolo muliebre da essi contratto — delle fortune dei Porcari e dei Boiano in terra di Lunigiana (3). Più meditiamo su questo complesso di dati, e più ci sentiamo modestamente confermati nella persuasione di non aver errato argomentando la decisiva importanza che l’ordinamento post-carolingio aveva avuto nell’organizzazione della bassa valle della Magra (4). # Esaminiamo più paratamente, se pure a grandi linee, la distribuzione geografica dei beni ceduti da Pellegrino qm Gotezone, e ai (1) II)., n. 446. (2) 11·., n. 516. (3) La tenuta curtense degli antichi marchesi della Tuscia, etc*., cit. (4) L’influenza del fattore marittvìno, etc., cit. RICERCHE SULLA ORGANIZZAZIONE CASTRENSI* 207 natura dei diritti reali sui beni stessi. Questi possono essere nettamente distinti in due zone: una in Val d’Aulella, l’altra nella bassa Magra, e in genere nel versante verso mare, nella quale sono ancor oggi facilmente riconoscibili il Capri one e Sorbolo. In quest’ultima località anzi doveva estendersi una vasta ed importante tenuta se l’alienante precisa ivi l’esistenza d’un « donnicato » attorno a cui si stendevano le « colonie » o « partes massaricie » comprese nella generica denominazione di « case » e « res » in « Sor-bolo ». L’atto rivela però in tutta la sua struttura la natura eminentemente « padronale» dei diritti spettanti all’alienante: diritti di proprietà pura e semplice, con assoluta assenza di un benché minimo accenno all’esercizio di pubblici poteri. Diremo di più che lo stesso Lombardelle qm. Pellegrino, nel citato atto di cessione del 1188, scolpisce rigidamente il carattere allodiale e padronale dei beni posseduti nel distretto della Brina, e dei diritti spettantigli addirittura sul castello. Non è il caso di pensare ad interpolazioni, troppo concordanti essendo tra l’altro — dal punto di vista formale — le affermazioni risultanti da documenti appartenenti a ben tre diversi secoli e scaturiti da varie fonti. Ci troviamo senz’altro in presenza di quello che fu forse il maggiore ed il più importante predio fondiario di tutta la Lunigiana post-carolingia. Nè, per a veruna spiegazione del fatto, occorre far ricorso alla suaccennata, troppo generica affermazione del Volpe. Ci sembra che la spiegazione più logica e più naturale stia nel riconoscere in tutto questo vastissimo complesso di beni null’altro che un assieme di beni e di diritti spettanti un tempo al fisco : forse mi « ager publicus », divenuto in un determinato momento « ager provincialis » o anche considerato « bona civitas », e successivamente frazionato nell'intento di favorirne la messa in va-loro (*). Non è da escludersi che una parte dei beni facesse capo a « curtes regiae » regolarmente organizzate — l’ipotesi può aver fondamento soprattutto per le terre di Burzone e della Brina, il cui castello vecchio può essere stato benissimo la sede della curia e rappresentare il « palatium » — sinché il moto decentratore delie vecchie organizzazioni, favorito dallo sviluppo degli « Jura in re aliena » (e quindi anche sulle « res publicae ») conseguenti alle continue cessioni a privati d’una serie di diritti un tempo rigidamente fiscali (piscationes, venationes, molendina, alvea, etc.), non portò sul finire del secolo decimo a considerare come pertinenze di singole corti signorili persino diritti sul castello, sulle torri, sulle cappelle, sulle case coloniche per qualsiasi titolo, « districtus » (V) Sulla persistenza e sulla vitalità delle pratiche giuridiche collegiate ad antichi beni pubblici nella zona del Monte Gottero, v. M .Giuliani, Note-(ti topografia, etc., cit. 208 etc·.... Del resto la stessa natura degli « allodia » ben comportava originariamente resistenza di vincoli personali materializzati con oneri reali gravanti sul suolo, e solo in un secondo momento potè l’allodio essere equiparato praticamente alla proprietà « privato iure ». Pellegrino senior esclude dalla cessione il castello della Brina, che, un secolo dopo, Lombardello dichiarerà essere proprio allodio « siquidem proprietas ». Tutto ciò presuppone : da un lato negli ascendenti di Pellegrino il vecchio resistenza d’un rilevante censo mobiliare e, antecedente-mente, il ricorrere di circostanze personali (« officia » od occupazio ni) e di circostanze generali (l’esistenza effettiva d’una solida economia a base monetaria) che ne favorissero la nascita e lo sviluppo ; dall’altro, la persistenza di « bona publica » attraverso le tempestose vicende seguite alla caduta dell’impero. Circa il secondo punto, ci sembra di poter raccostare a un tale stato di diritto e di fatto una carta del codice Pela vicino (*), unica· nel suo genere, isolata, e che resterebbe senza plausibile spiegazione : l’atto col quale Villano di Sarzana qm. Guido vene!e per ben dodici lire imperiali al Vescovo Gualtiero addì 5 dicembre 1197 (dopo cioè la regolare costituzione della contea vescovile), alla presenza del Vicedomino Aldeprando, di Busdro qm. Enrico di Burcione, del castaido vescovile deir Ameglia e di altre persone, la « saltarla » di tutta la propria terra in Qua-rantola e in Acciliano (2). Sotto il primo aspetto poi, il gravitare la tenuta — in vai d’Aule! la — all’incrocio delle due strade risalenti dalla bassa Magra verso l’Appennino (3), doveva senza dubbio agevolare la formazione d’una forte corrente di traffici e costituire un ottimo centro d’attrazione. Traccie d’un’antica organizzazione giuridico-eco-nomica della contrada non mancano. Ancora nel 1187 (4) Tedi sio di Bigliolo menziona un appezzamento detto un tempo « Cuscugna-no » ( si ricordi la vecchia corte vescovile omonima) stendentesi verso la Magra, e confinante col poggio di Castiglione, sita « in locum Clausum de marcato Militano ». Forse non a caso una non lontana località, compresa per altro nell’ambito del fondo Inir- (!) Cod. Pel., n. 49. (2) Trattiamo la questione locale dal punto di vista della territorialità. Circa la persistenza dell’elemento roman'o neirepoca longobarda e post-longobarda, cfr. la nota recensione del Leicht [« Arch. Stor. Ital. », 1925] all’opera dello Schneider, Die Enstehung von Burg unsi Land gè include in Italien. Sul sistema di economia (naturale o monetaria) troppo hanno influito le circostanze politiche perchè si possa fissare una linea di condotta assoluta; cfr. in proposito la mia memoria Sull’economia lunigiancsc del secolo XIII, in << Giorn. Stor. e Letter. della Liguria », 1931, III. (3) Cfr. Formentini, Turris, in «Arch. Stor. Prov. Parmensi», N. S·., XXIX. (4) Cod. Pel., n. 535. KlORCHE SULLA ORGANIZZAZIONE CASTRENSE 209 cianese, porta ancor oggi il nome di Canova (canovare-canepare). Non è difficile ricollegare insomma il cuore, il tronco originario della tenuta dei Burcione allo « stratiotikós ktema » facente capo al kàstron bizantino di Bibola ricordato dall’Anonimo ravennate. Sul castello (nuovo) di Bibola, i marchesi Isnardo e Alberto Ma-laspina nel pieno vigore dell’attività restauratrice del casato, esplicata con lunga serie di acquisti — dichiarano espressamente di non poter vantare alcun diritto e di rinunciarne il possesso al Vescovo (1). Più tardi, il Marchese Moroello restituirà al vescovo Enrico una serie di terre e castelli, tra cui il castello di Burcione : è molto significativo il fatto che la restituzione si estende alPincirca a tutte le terre che, organizzate nelle vecchie corti, •erano state concesse o confermate nel famoso diploma ottomano del G93 (2). Imponente è, nella rinuncia moroelliana, il numero dei castelli ; ma — se escludiamo i rimasti tra quelli già esistenti al tempo degli Ottoni — quasi tutti gli altri sono sorti precisamente dal dissolvimento della preesistente organizzazione delle tenute di Val d’Aulella. La tarda rivendicazione malaspiniana muove senza dubbio i suoi passi sulle traccie di quello che era stato il predio dei bavaresi Adalbertenglii, già marchesi della Tuscia ; giustamente il Formentini pone in rilievo il carattere di privata proprietà che il marchese Adalberto I « scolpisce energicamente » nella carta di donazione alla chiesa e convento di S.ta Maria e S. Caprasio, del- 1 884. La donazione contempla fra l’altro diverse masserie in quel di Rometta, cioè nella zona die compare ridotta a unità nella corte regia di Vallepiana o Verpiana donata da re Ugo alla moglie Berta nel 938 (3). Ora, Verpiana è compresa nell’ambito della pieve di Venelia, confinante con là. pieve di Soliera, e nei territori delle quali si stende la proprietà fondiaria dei Burcione in Val Aulella, oggetto della vendita del 107S, mentre le cappelle di Burcione e di Bibola seguono la pieve di S.to Stefano nella bolla del Pontefice Anastasio IV del 1154 (4). Questo dunque doveva essere alPincirca il territorio assegnato collettivamente alle milizie bizantine (forse un « drungos » od un « bandon ») del kàstron di Bibola. Ed è questo forse il punto di partenza che ci può chiarire la nota rinunzia ad ogni diritto sulle pievi di ITrceola, Vico, Venelia e Soliera, rilasciata dal Marchese Oberto al Vescovo Gottifredo (5Ì. 0) Ib.% ii. 232; lo febbraio 1269. (2) Ih., ii. 524; 8 maggio 1281. (3) La tenuta curtense, etc·., oit. (4) Cocl. Pel., n. 2. («r») II)., ii. 224. Cfr. peraltro ripotesi non infondata di M. Giuliani {Xote 210 FERRUCCIO SASSI Sarebbe molto interessante scernere i rapporti territoriali che ricollegano le due prime al kàstron Soreon (Sorianum, Filattiera)· acutamente studiato dal Formentini (*). Se ne potrebbero probabilmente trarre persuasive deduzioni sulle direttive dell’azione politica vescovile, nè dovrebbe esser impossibile procedere — dall’assieme dei dati e delle osservazioni — ad una più approfondita conoscenza della Lunigiana bizantina. IV I CASTELLI E LE CONSORTERIE DELL’ALTA E MEDIA VAL D’AULELLA In posizione giuridicamente analoga a quella rivestita dal castel- lo di Bibola, nei rapporti tra Vescovi e Malaspina, ritroviamo un’altra vasta tenuta con centro dominicale nel castello di Regnano, confinante con quella dei Burcione sulla destra dell’Aulella. La rinunzia dei Marchesi lsnardo e Moroello, per mancanza di diritti plausibili, contempla « castrum et castra Regimili et homines ipsius castri et castrorum » : ma il plurale può benissimo giustificarsi presumendo la rinunzia a castelli che, come quelli di Montefìore e di Mugliano, se non anche gli altri di « Sogresio » e di « Congia », erano sorti per opera dei Vescovi dalla disintegrazione della primitiva circoscrizione di Regnano (2). Predio vasto anche questo, che <ìui-terno qm. Guido donava nel 1066 al l'episcopio lunense i*1), considerando die « melius est enim hominem metu mortis vivere quam spe vivendi morte subitanea mori ». Il contesto dell’atto e tale da escludere, nel modo più assoluto, che si tratti d una restituzione di maltolto. Nè si tratta d’un castello costruito dal donatore con l’intenzione di farne una semplice rocca di guerra, sia pure fortissima (« desupra per fossas et de ambobus lateribus per rivos iuxta currentes »), ma piuttosto un eventuale luogo d asilo per la popolazione dei finitimi « vici ». La configurazione giuridica del castello, quale nuovo ent? di diritto pubblico, è perfetta; I elencazione dogli accessori e pertinenze è completa, e \i figurano — oltre la torre, le mura, i fossati — case ed edilizi di vario genere ed uso, prestazioni Mi laboribus ») dei castellani, il monte ed il poggio. La donazione comprende più case, beni dominicati e ma ssan zi tl· topografia etc., c*St. » suiroriidne sipmorile «lei dirli ti «pettiniti al Marchese, particolarmente sulla pieve di ITreeoln, <*01111· sorta da oratorio privalo. (»1 Sravi r rirrrche *ul linif’s bizantino iicll'Appcmiino luncnxc-pa) mrfiscm iti « Arch. Stor. Prov. Parmensi ». N. S., XXX. <2i Cod. IVI., ii. 21 e .T30; diploma «li Federico I del 20 luglio 1185. (a) Ih., n. 30, RICERCHE SULLA ORGANIZZAZIONE CASTRENSE 211 -che « aliquo modo, sive aliquo iure » si stendono in una serie di luoghi e fondi, tra i quali sono oggi riconoscibili a colpo d’occhio: Regnano, Reusa, Oftiano, Turlago, Montefiore; terre perciò ecclesiasticamente gravitanti nei pivieri di Offiano e di Pieve S. Lorenzo. Meritano particolare cenno, sia pur breve, il fondo di Valerio ed i beni siti nell'« alpe (pie pertinet de Valerio » : accenni interessantissimi, ci sembra di poter affermare, in quanto confermano la persistenza di « bona vicanalia insortita », goduti dai « vicini » <ìi Valerio « prò indiviso », e risalenti almeno alla dominazione romana (*). Accanto a questi beni collettivi, e forse su parti di essi, troviamo gli jura del «dominus». L’origine? La carta nulla dice; ma poniamo mente al carattere assolutistico del dominio riaffermato — sulla base della donazione di Guiterilo — dai Vescovi di Luni; consideriamo il riconoscimento esplicito dei diritti vescovili da parte degli Obertenghi; e teniamo infine presente, da un lato la dichiarazione del Vescovo Enrico di aver « ricuperato » il castello « quod e rat amissum » acquistando al prezzo di 350 lire imperiali la terza parte del castello stesso da Ugolino di G ragna na, il quale — sebbene a torto dopo la donazione — dicebat se a nullo tenere dictum cast rum (2), dall’altro i legami di discendenza, agnatizia unenti la casa di G ragnana a quella di Regnano, dimostrati dalla tarda apparizione del casato di Gragnana (non si va oltre la fine del secolo XII con Botrigello e Noradino) (*), e non inficiati da una carta del 1280 (*) alla stipulazione della quale assiste tra gli altri il sacerdoti» Guglielmo de Regnano figlio del qm. Rolandino di Gragnana. Non sarà difficile riconoscere, poic hé anche la dichiarazione di mes-ser Ugolino ha un effettivo valore come riflettente un remoto stato di diritto, che l'origine dei diritti dei Regnano sull’alpe di Valerio può essere tranquillamente e fondatamente ricercata in un precedente dominio o condominio del fisco come su « res pubblica », o quanto meno nel diritto del fisco medesimo di percepire 1’« alpaticum ». Di ritti successiva mente trapassati ai domini « ratione officii », non certo tutta la posteriore storia lo dimostra — usurpati: la stessa precisazione del valore giuridico «lei « castrum », che abbiamo accennato, dimostra dopo tutto nel costruttore la convinzione e l’intendimento di agire nell’orbita del diritto. A titolo di congettura, formuliamo a questo punto un raccosta· mento storico. La citata donazione di Re Ugo menziona un'abbazia (*) ('fr. in proposito la dimostrazione dottrinale del Hoc,netti. Contro, lo Scn nei deh secondo la teoria del quale l’estendersi «Iella cittadinanza romana avrebbe dovuto pareggiare tutto il territorio nella soggezione alla « i i-vitas n. (2» Cod. IVI., n. 4 add. (Autobiografia del Vescovo). /&., n. 140 e «2. («1 Ih.. η. 55β. 212 de Valeriana, nella quale il Formentini lui proposto di riconoscere l’abbazia di Linari. Per quanto topograficamente il criterio si dimostri giusto, lo stesso A. ammette l’assoluta inesistenza di prove colleganti la. detta abbazia col toponimo ((Valeriana». Non si potrebbe raccostare questo toponimo al fondo ed alpe di Valerio, ricordati da Guiterno di Regnano? E non sarebbe allora il caso di ricercare questa abbazia nei pressi delle due strade conducenti da Val d’Aulella e da Val di Secchia in Garfagnana, cioè nei pressi dei Colli d’Argegna — se non proprio in quel di Giuncugnano — o nei pressi del Passo di Pradarena? (J). In entrambi i versanti di questo passo notiamo località distinte col nome di Ospedaletto e di Ospitaletto. Mi si avverte che « Valerio » potrebbe esser frutto d’un errore del copista, per « Valesio », nel qual caso si tratterebbe della zona di Vagli : anche questa ipotesi non solo non contraddice, ma anzi corrobora le vedute generali che andiamo svolgendo. Ï5 importante osservare che, nella donazione di Guiterno, nessun diritto, nessuna pretesa è fatta salva neppure a titolo di eventualità, a favore dei grandi casati allora esistenti, neppure — ad esempio— a favore degli Attoni, che, se non erano ancor giunti alle eccelse vette dei fasti matildini, erano però nel pieno vigore delle lor forze e presenti in Lunigiana nella di poco anteriore, e notissima, carta di Rodolfo di Casola (2). L’origine dei Regnano e dei loro diritti non può essere dunque che anteriore al periodo attoniano, ed anzi del tutto estranea alle fortune del casato e libera da ogni legame territoriale col comitato lucchese. Sembrerebbe invero trattarsi d’una circoscrizione autonoma, o relitto di circoscrizione au tonoma, schiacciato contro le propaggini di Monte Tondo e il displuvio tra le valli dell’Aulella e del Sercliio (quindi con moderno criterio geografico), appartato tra il valico del Cerreto ed il già sin d’allora non più frequentato passo di Pradarena o di Cavursella. Se dunque vogliamo ammettere in tutto il periodo longobardo la nota suddivisione dei « fines su rian enses, garfanienses, lunen-ses », non resta che pensare ad una posteriore creazione carolingia o post carolingia. Il diploma di Guiterno (di nazione per vero longobarda) annovera tra gli oggetti della donazione le terre arabili, prati, pascoli, selve, « buscareis cum areis earum ». Se non si tratta d’errore del copista, « buscareis » potrebbe esser nuLl’altro che i1) Cfr. Sac. Angelo Mercati, Castrum Bismautum. in « Studi in onore di Naborre Campanini », Reggio E., Coop. Lavoranti Tipografi, 1921. La strada — secondo l’insigne A. — partiva dalla confluenza Ozoia-Secchia e risaliva la costa di M. Palaroso, tra Cinquecenti e il M. Cavalbianco, spartiacque e confine tra la nota corte di Nasseta e Vaglie di Ligoncliio. Il Mercati rileva che in posteriori documenti del 1055, 1104, 1109 (Mur, Ant. Est., 1) non si ricorda più la strada da Μ. Palaroso al crinale appenninico. (2) Cod. Pel., n. 31. RICERCHE SULLA ORGANIZZAZIONE CASTRENSE 213 nna corruzione di « baruscareis » voce riferibile anche essa (come il « baruscaio » della citata donazione adalbertina alla chiesa e convento d’Aulla (l) al termine e Simoni a proposito deirorganizzazione giuridico-territoriale delle zone di Lavagna, Torresana e Bobbio, ho ritenuto per 11011 convincente, almeno in linea generale ed assoluta (M. Teoria ripresa — con altri ed originali sviluppi — dal Formentoni, il quale intravvede negli agri con finali il campo preferito d’azione (governata da leggi economiche e giuridico-famigliari ancora ignote) delle grandi famiglie principesche ed il miraggio che ne sospinge i singoli membri a cercarsi fortune e signorie individuali, dando vita ad imprese a carattere capitalistico, quali sarebbero ad esempio offerte ai nostri occhi dal pullulare «lei feudi « oblati » o « remuneratori » (2). Almeno nelle carte interessanti la Lunigiana e il limitrofo Appennino piacentino — parmense — reggiano, il numero delle infeu-dazioni « remuneratone » appare però di gran lunga inferiore a quello delle infeudaizioni a oblate ». Ed in queste ultime, 11011 ben chiaro risulta il vantaggio economico che dovrebbe dare all’atto il prevalente carattere di operazione economico-finanziaria : bene spes so conviene osservare se il corrispettivo 11011 sia da ricercarsi nel l’esercizio di qualche « officium » o di qualche particolare « digni tas », o nell’ascrizione alla categoria dei « pares » e dei « fideles », come sovente suole accadere nella contea vescovile di Luni. Nè ben sicuro e che, da noi almeno, a base di tutto si debba porre Sa causale economica costituita dalla diffusione delle grandi unità latifondistiche e dal loro successivo parcella mento « ad fictum » : tntt'al più ciò potrebbe valere per i beni del monastero di Bobbio, non per la zona che stiamo esaminando, ove non pare si possa a (ferma ré in linea generale l'esistenza di larghi possessi territo rialmente compatti e ove manca generalmente la prova del loro parcellamento per allivellazione. La questione assume cioè realmente un preponderante aspetto politico. E, dopo tutto, la poderosa opera unificatrice compiuta da Carlo Magno non poteva aver lasciato sussistere, proprio lungo la spina dorsale del Regno d'Italia, così forti elementi dissolvitori e perturbatori quali si manifestano in pratica le zone designati-come « agri confinali » 1 a meno che non si voglia ammettere clic l’efficacia dell’azione carolingia si sia limitata ad organizzare le città e una limitata regione circostante, ciò che urta troppo contro i dati dei documenti (abbiamo veduto alcuni elementi offerti ad esempio dalla carta di (luiterno: ricordiamo il significativo « t en tenaro » dell’alta Val di Xure). Soltanto nei perenni rivolgimenti successivi alla morte di Carlo Magno potrebbero inquadrarsi dunque la ricomparsa di questi agri e il valore del loro giuoco politico. (») <’fr. la mia citata memoria // comitatulu* Ί· Ijiraf/na, etc., passim. (3) Sulle ori (/ini r la costituzìonr (ì'uti f/ratitic fjciitilìcio fruttali. clt. nrCERCHE SULLA <)RGANΓΖΖΑΖΙ» E CASTRENSE 215 E dico ricomparsa, perchè questi agri — almeno nell’alta Lunigiana — potrebbero originariamente identificarsi nelle zone <> la-scie di confine lungamente contese, fors’anche sino alla calata dei Franchi, tra Bizantini e Longobardi. Ma occorre allora spostare i termini della, questione e sgombrare da possibili equivoci il terreno. Le azioni, i fatti, gli atti giuridici die hanno per oggetto queste zone nel periodo post-carolingio si presentano in realtà come contrastanti rivendicazioni fondate su preesistenti titoli, giustificati appunto dalle mutazioni introdotte necessariamente negli ordinamenti territoriali come causa diretta dei mutamenti di regimi. Questa quasi autonomia che, ad un certo momento e per le cause esposte, riscontriamo nell’organismo territoriale di Regnano, non potrebbe allora rappresentare il residuato segno manifesto d’una violenta reazione del potere politico centrale alla funzione socialmente predominale esercitata sin allora dal longobardo gastaldato garfagnino? * * * Reazione comunque di indubbio carattere ufficiale, e di data n<»n recente. Procuriamo di coglierne qualche manifestazione attraverso lo svolgersi di più tarde vicende, non senza aver premesso che non può esser sempre possibile avvertire l’esatto movimento nel tempo e nello spazio di questi organismi per eccellenza « comitati-ni » nel senso etimologico della parola. Il Formentini, diligentemente esplorando anche queste zone della Lunigiana, aveva già posto rocchio su un importante ceppo signorile di originaria legge romana, sceso in Lunigiana dalla Val d'Enza — secondo le sue ben fondate supposizioni — circa a mezzo il secolo XI : il casato dei signori di Moregnano, investiti della corte Xasseta, e saldamente affermatisi in vai di Ta verone (M. Lo stesso A. aveva poi illustrato per primo il famoso atto di Rodolfo di Caeola, fissandone l’approssimativa datazione all’anno 1055, e servendosene come base per ulteriori indagini sui gentilizi della Val d’Aulella (2). I/atto si presta anche ad altre ricerche ed osservazioni ; e — per esempio — dal contesto traspare trattarsi d’una convenzione voluta al fine di por termine ad una precedente <*i ììdìr più antiche signorie feudali nella ralle del Tcverone, in e Giorn. S(<»r. della Lunigiana». XII, 2. Tua cortese comunicazione del Reggente il U. Archivio di Stato in Reggio E. m'informa che un’indagine eseguita nel-ΓArchivio del Monastero di S. Prospero non ha dato esito ixisitivo i>er quanto trincerile esistenza di diritti dei a Moregnano » sulla corte di N a sseta : nulla risulta dui l’opera del Taooli circa personaggi appartenenti alle famiglie dei domini <11 Regnano e di Moregnano. <2| c«m1. Pel., n. 31. ulna· podesteria consortile, etc.»; a Sulle origini c .sulla ((istituzione, etc. ». cit. T 2.16 FERRUCCIO SASSI contestazione tra le parti 11011 trascesa a vie di fatto, ma rimasta nel campo del dibattito giudiziario. Contesa ohe tocca insieme il campo civile e l’ecclesiastico. Infatti Rodolfo di Casola riconosce spettare alla Chiesa di Santa Maria metà delle terre costituenti l’am'hito territoriale della pieve di Soliera, ed inoltre « altare qùam mortuorum munera ». Una siffatta ammissione 11011 è 111 fondo se non la documentaria dimostrazione che le terre della pieve di Soliera dovevano gravitare civilmente in due diversi organismi territoriali, uno dei quali soggetto alla superiore autorità dei Vescovi di Luni (veggasi in proposito quanto esponemmo a proposito dei domini di Burcione), l’altro una « curs » estranea e al vescovato e al circuito già territorialmente legato al municipio di Luni : prò babilmente la stessa corte di Monte dei Bianchi, che il medesimo Rodolfo offre in pegno al Vescovo a garanzia dei patti stabiliti. Potremo allora riconoscere nel monastero di S. Michele del Monte — che sappiamo esser posto sotto il patronato dei Casolani — l’ente ecclesiastico che poteva contendere in qualche modo alla Chiesa di Luni il diritto all’officiatura della chiesa pievana di Soliera. Abbiamo dunque un contrasto, sia pur cortese, di enti ecclesia stici e di organismi politici, e fors’anche di pratiche giuridiche — e quindi di leggi e di sistemi —, rivelato quest’ultimo dalia remis sione di Rodolfo: « talem carta-m (pignoris) qualem mus index lau daverit ». È noto che pel diritto longobardo, il diritto del creditore ) poteva talora apparire anche come un « dominium » vero e propria sulla cosa : si può vedere nell'atto un’affermazione delle norme longobarde, come vi si potrebbe scorgere una reminiscenza della « lex commissoria ». Certo la frase indica un periodo di transizione nella pratica del diritto. Rodolfo di Casola riserva per sè la fonte giuridica dei suoi diritti sulla corte — il castello — e cede tutto ciò su cui i diritti stessi gravano, con una larghezza pari alla sicurezza con la quale s'impegna ad aiutare il Vescovo per conservare e ricuperare la metà della pieve di Soliera spettante alla Chiesa di Luni e la metà del castello « si inceptum fuerit ». Si noti per converso du* Γeccezione alla promessa di fedeltà, fatta da Rodolfo a favore della contessa Beatrice e del figlio, è più intimamente legata nel testo alla condi zione giuridica delle decime, delle prestazioni masserizie, delle* terre « de placito de besoinnio ». Se dunque 11011 interpreto male la dizione, il casola 110 interviene· nella carta con una duplice figura : come unico « dominus » originario di terre legate ad una vecchia organizzazione curtense privatizzata col processo noto e già richiamato a proposito rii Guiterno f ii enti maggiori (*). Secondo il documento fondamentale citato dal Bianchi a sostegno della sua tesi, il Rodolfo (li Casola è annoverato nel 1063 tra i « fideles » del Vescovo di Reggio, as sieme al conte parmense Uberto; secondo poi una seria ipotesi del Formentini (2), un Boso qm. Gerardo de Casule («Casive» per « Casule »> presenzia nel 1070 in Luni ad un atto del vescovo: ciò < i consentirebbe, per la concordanza delle date, (Rodolfo essendo deceduto fra il 1063 ed il 1071) di identificare in Gerardo un fratello di Rodolfo e quindi assegnare ai Rosi della Verrucola una discendenza collaterale a quella degli Erberia. Secondo infine l’ipotesi dell’Òvermann, si potrebbe ritenere 1Ί dent ita del ceppo dei Bosi con quello dei signori di Carpineti, cioè della località e del castello che — in tempi storici — succede effet ti va niente per alquanto tempo alla vecchia e poco discosta Bisman-tova nel ruolo di centro aniministrativo-giudiziario della circoscrizione designata colla qualifica di « fines Bismanti ». Si spiega così come, per i successivi vincoli contratti dai Bosi con gli Estensi, i Ma laspina intendessero entrare in possesso anche dei beni che avevano appartenuto a Gerardo di Carpineti, in contrasto — come gin stamente nota il Formentini — con le ragioni degli aventi diritto alla successione matildica. E si giustifica pienamente anche la presenza dei Bosi fra i patroni del monastero di S. Michele di Monte dei Bianchi. E se si pone niente al placito di Arrigo IV aggiudicante al capi-lido di Panna la corte di Marzaglia usurpata dai figli di Gerardo d Erberia (n), e se si ricorda altresì che sino al tempo degli Ottoni i « fiiies Bismanti » facevano parte del comitato parmense, non seni brerà errata la supposizione del Bianchi, che riallaccia i Casolauì e quindi gli Erberia, i Dallo ed i Bosi, ad un ramo cadetto della stirpe Supponide. Si accentua il contrasto fra le « leggi » praticate in Lunigiana : romana, salica, longobarda e, con gli Attoni, bavarica. La formazione del dominio dei Casolani può benissimo esser derivata dall investitura feudale delPex-gastaldato bismantino, ac.-ie ('ι Λ questo processo si ricollega evidentemente resistenza di diritti giurisdizionali degli Attoni nel Tal ta Val di Magra, secondo infilatesi affaldata da M. (Jin.iAM (A ole f* i t. I e rieliiaiiiantesi — ton nuovi dati in appoggio — ni risultati degli studi dì Pietro Ferrari sulla Valle Azzolina. Ricordiamo di nuovo lo osservazioni di S. IO. Mercati sull'abbaiulono, nella prima metà del soc. XI. della strada di diretta comunicazione tra le alte valli del Strehio e «Iella Secchia, e che non mi pare agevole spiegare quando si ammetta in Lium <· nel contado lucchesi· il centro propulsore, ancora in questo periodo, ("fr. anche. per il secolo X. Formentini, Documenti riguardanti la storia (ί<Ί1α lnnì-giatìa aranti il 1000, in « <»iorn. Stor. Lett. Liguria », V.121K (2) Ih., pag. 515. ι· (*) ih., pag. 515. “220 FERRUCCIO SASSI scinto ed esteso con la concessione del godimento di corti regie nelle zone che potevano in quel tempo veramente apparire come « con li -nali » per la mancata precisa assegnazione all'uno od all’altro dei comitati finitimi. E l’occupazione delle zone di valico può ben presentarsi allora cóme un’opera di assestamento degli organismi maggiori. Quando più tardi Arrigo IV ebbe infatti l’infelice idea di entrare in lizza, sfidando l'apparentemente modesta, marca attoniana, ben provò per amara esperienza l’importanza capitale del dominio dei valichi appenninici : forse la maggiore, fra le cause militari obbiettive, dei suoi ripetuti insuccessi e delle sue disfatte. Quando precisamente possa essersi formato il dominio «lei Oa-■ solani, non sappiamo. Ma in ogni caso la nota « constitutio corra-diana de feudis » e le sue arbitrarie applicazioni potevano aver finito col sanare almeno apparentemente in diritto una situazione di fatto che avrebbe potuto mutarsi con la sostituzione — nel frat temno intervenuta — della marca attoniana al comitato supponide di Parma. L’unità sostanziale della vasta regione che pei due titoli — Ondale e allodiale — vediamo riunita nelle mani dei progenitori dei Oasolani, esclude si possa classificarla tra gli agri confinali nella sua interezza, e porta piuttosto a confermare la solidità di quelle vedute che affermano in questo periodo una chiara prevalenza del contado sulla città. Non è certo facile classificare questo grande -organismo territoriale nell’ordinaria scala gerarchica feudale, dopo che la rettifica ottomana dei confini comitali aveva portato i « fines bismanti » entro l’ambito del comitato reggiano. Ben presto compaiono in Reggio i Vescovi conti, ma il loro raggio d’azione non si espande nel campo civile tanto oltre; ne, sulla scorta delle carte, si può assegnare ai primi Oasolani la qualifica di gastaldi o quella (li visconti, mentre d’altro canto la primitiva unita ben presto si sfalda col graduale processo di privatizzazione dei feudi minori, analogo al precedente processo di privatizzazione delle corti regie. Figure quindi malamente inseribili negli schemi così cari a noi po steri, delle quali si può dire con quasi certezza una sola cosa: che il titolare o i titolari godettero, cioè, delle esteriori prerogative del « comes », e fors’anche dell’effettivo e sostanziale potere comitale in quelle zone nelle quali, o non venne stabilito, o non si mantenne sufficientemente a lungo un forte potere marchionale. Un’indagine su nuove basi può presumibilmente condurre a risultati più convincenti. Non mi pare j>ossibile una diversa origine del titillo di conti che di punto in bianco si aggiudicano i membri d'un consorzio signorile formatosi in un estremo lembo di quello che era stato il predio allodiale dei Oasolani in Lunigiana, sfuggito come tale — per quanto ci risulta — al diretto, supcriore dominio e controllo degli Attoniani : i i. RICERCHE SULLA ORGANIZZAZIONE CASTRENSE 221 <1 omini di Marciano, probabili discendenti d’un ramo degli Erberia, signori di Marciaso e di « quedam alia feuda qne nescieibant per singula nominare sive determinare » 0). Trattasi, non v’ha dubbio, di feudi oblati, ove più tardi persino il Vescovo Guglielmo, raccogliendo le testimonianze dei diritti vescovili, accenna alla « causa » che « habere seu haberi sperat.... cum dominis, comite, nobi li bus, etc. de Marciaso (2). Non diversa è giuridicamente e di fatto l’origine dei diritti che nel 1184 Montanino di Fosdinovo qm. Gaforo e Gaforo di Montanino •cedono al Vescovo Pietro (3) : diritti sul castello omonimo, ente pervenuto ad uno stato di sviluppo giuridicamente perfetto, come rivela il testo dell’atto; diritti successori su una vasta zona in parte riconoscibile in porzione di quello che era stato l’allodio lunigianese dei Casolani. Ragioni tutte che nell’atto stesso vengono ad ogni modo ripetutamente definite come « jus proprietarium ». 1 rapporti infine degli Erberia col Vescovo di Luni pei castelli di Moncigoli, Ceserà 110, Collecchia e Rometta, tutti nella curia di Soliera riflettono la reciproca, originaria posizione del Vescovo e di Rodolfo di Casola, e ne costituiscono una diretta conseguenza (4). Non può attribuirsi grande importanza a quelle varianti che constatiamo esser avvenute in quel giro di tempo, come ad esempio la scomparsa del castello di Ceparana (tra il i)(i3 e il 1185), e il sorgere, nello stesso intervallo di tempo, dei castelli di Capri gliola e di Boiano; opera di assestamento interno della contea vescovile in rapporto al mutare delle condizioni politiche locali. Così come nel corso di quei secoli il mercato ed il castello avevano do vunqiie compiuto l’opera di trasformazione della vecchia organizzazione avente a base la « curs ». Rimane da studiare la ragione intima dei inesistenti rapporti che richiamano l’attenzione dei Vescovi verso la zona dei castelli o borghi di Tivegna, Castiglione, Braccelli e Padivarma : ma ogni ricerca in tal senso, oltre a sconfinare dai limiti ferrei dello spazio, si riallaccia ad una serie <1 i altri problemi cui si è stati soliti dare sinora — nc lo scrivente si esclude — una soluzione piuttosto con venzionale. Ferruccio Sassi <»l (Vxl. Pel., 11. 511, 14 luglio 1197. (2) Ih., lì. 515. (*> Ood. Pel., il. 500. (4i V. anche, iK*r questi castelli, Sfokza, Ìm vendita di Portovcnvve ai Genovesi e i primi signori di Vezzano. ir. o Gioro. St<»r. lieti. «Iella Liguria », lìHfj. La politica estera di Genova nei riguardi del Piemonte (1791-1793) (Oontinucusione e fine. Vedi numero precedente) VIOZENNA. Sembrava che in una nuova atmosfera ili pace, gli astii e la guerriglia subdola dovessero aver termine; era giunto forse il momento — Genova lo sperò vivamente — di definire le secolari controversie e specialmente quella della Viozenna che stava più a cuore di tutte, dal momento che l’Oderico era stato inviato a Torino proprio con Tinca rico di trattarne la restituzione. Ma tutte le volte che aveva cercato d’intavolare le trattative, non c’era mai riuscito. 11 Ministero Piemontese aveva preferito ri mandare le cose alle calende greche, col pretesto che le gravi circo stanze e il problema della difesa militare impedivano per il momento di occuparsi di questioni secondarie, tenendo così a baila ed in ozio l'illustre ambasciatore della Repubblica. Il Conte di Ilauteville era abilissimo: non riconosceva apertamente che la Repubblica aveva torto, ma che la truppa che il Re teneva con grave dispendio in Viozenna non aveva altro incarico che quello di prevenire le risse e garantire i sudditi. Sua Maestà non voleva un palmo di terreno che non fosse suo e considerava le vertenze con Genova di così piccola entità da volerle risolvere amichevolmente, senza aspettare nessuna grande occasione, al primo momento disponibile (M. Ma non ostante queste belle affermazioni, l’occupazione ingiusta continuava, e i voluminosi memoriali di Oderico avevano sempre ricevuto in risposta delle note ugualmente voluminose che pur rifacendosi al mille e anche più addietro per stabilire il diritto di possesso. e pur essendo rigonfie di lodi non avevano avuto il potere di far procedere di un passo la questione. V diamola un po’ a fondo anche noi : il che ci dispenserà di farlo a proposito degli altri numerosi terreni controversi. La Viozenna era un distretto alpestre quasi del tutto spopolato: ricco di selve cedue e di seminati, con un territorio atto al pascolo. {') A. S. G., Lettere Minietri Torino. mazzo 25. 2512; Dispaccio di Oderico Torino, 27 aprile 1792, n. 420. LA POLITICA ESTERA DI GENOVA 223 Apparteva alla Comunità Genovese della Pieve, oppure a quella Piemontese eli Ormea? Secondo la Serenissima Repubblica il suo dominio in quel distretto risaliva a prima del mille, sebbene gli Ormea schi vi avessero sempre goduto il diritto di pascolo nei mesi invernali e il Parroco di Ormea quello di percepirvi alcune decime. I Piemontesi a loro volta, che nel 1785 l’avevano occupato milita munte scacciandovi quelli della Pieve, e che continuavano a mantenervi un corpo di truppa per difendere l’occupazione, portavano innanzi certi loro diritti dimostrati da documenti scoperti nell archivio di Ceva. Nei 1250 Carlo d’Angiò Conte di Provenza, diretto a Napoli ili aiuto del Papa e dei Guelfi, di passaggio per il Piemonte, aveva invertito dell’alpe di Viozenna un Marchese di Ceva— C’è un iiiaiioM-rtto nella Regia Biblioteca Universitaria di Genova che contiene una nota dettagliata di Oderico sulla questione, lunga più di 300 pagine! (*). Citando oltre 50 documenti vorrebbe Oderico distruggere la pretesa affermazione di S. M. Sarda che il suo diritto sulla Λ iozenna, come « leni mento » dipendente da Ormea, fosse fondato su documenti « che ne costituiscono un chiaro titolo e ne provano un continuo possesso ». Appoggiarsi sull’investitura fatta da Carlo D’Angiò, non era una base giuridica. Carlo non aveva avuta nessuna autorità per conc edere terre. Con grande facilità in quei tempi si davano, prendevano e mutavano investiture a seconda del variare degli interessi e del prevalere dei partiti. I>a storia del Piemonte forniva più di un esempio di simili rapidi cambiamenti, della poca solidità di tali concessioni. « Enrico VII Imperatore donò e ridonò ad Amedeo il Grande la città di Asti. Amedeo ottenne dal Papa la conferma
  • blica era sovrana nei suoi stati e non poteva essere violentata a nessuna dichiarazione: le galee erano destinate a proteggere il commercio nazionale nelle acque e limiti del territorio ligure e non a favorire quello dei Francesi ; a togliere e a impedire gli abusi, le irregolarità e le piraterie e non ad opporsi a un regolare corso di bastimenti armati in guerra dalle Potenze belligeranti. Qualche volta riusciva anche a dimostrare la falsità di tali voci, e allora scriveva più sollevato alla sua Repubblica che il Gabinetto Piemontese era pieno di malumore per non essere fino allora riuscirò nel suo intento di far riguardare « la Repubblica come poco bene intenzionata per le Potenze coalizzate e propensa per la Francia. Fortunatamente è nota a tutta Europa la di lui mala f^d^. < ono^e (*) A. 8. G., Lettere Ministri Torino, mazzo 26. 2513; Dispaccio di Asse· ret?, Torino, 21 aprile 1793, n. 20. (2) Vedi lettera citata, pag. precedente. LA POLITICA ESTERA DI GENOVA 23»? Xmente,,^108' "* ml« * ‘",es,° l’irrita nmg. MMS :r£~ ,01L4mpeS“dpr?a I'111!"'10 PInghiItena era enti-ata nella Lega, «ravosi al r! S ° SU? .so'lto’ avrebl'« voluto estorcere patti paesi nella Io, nwH C,11?dend°gli 1:1 restituzione di alcuni stato dalla parte della Francia·'Γ^β5?° a<1 1ngrandir? 11 »uo delSnS iPn IteÏaringMIterra "* ““^eTnì^^eÌte • · lenna, « la Corte Piemontese rischia molto di perdere i?Ìm mf]ueuza “egli affari politici accoppiando la malafede a tutti nota colla privatone dei mezzi reali da farsi valere >> P contri.^Γ vano non poco a calmare le sue ansie. contribuì incolumità dellTpotenze0^’ * *“ μ » “r Æ 1 pérchè^oloroÏlif ^eville.’ che. non e,a Passibile nessun trattato una facoltà T° imPadromtl del Governo oltre non avere una acolta solida sono
  • 1’ Τ°*Μ' 26’ 2513; di -Use reto^oèko% %£Zrnlï?g 26’ 2513ì di *»'- r b mazz° 2β·25135 Dbpaetio di Asge- :234 NINETTA SAVELLI vivere sospettosa perché conscia della sua debolezza e nello stesso tempo di quella sua forza economica e strategica, miraggio troppo-brillante per i belligeranti perchè non cercassero con ognj sfoi/o· di ra usi ungerlo» . ττ· Λ , Ma le stesse ansie e gli stessi dubbi si vivevano a Λ ìenna e a T01La°Corte di Vienna, se in un primo momento aveva temuto che i Piemontesi prestassero ascolto alle « lusinghevoli proposizioni .. di Francia, in un secondo era gelosa della preferenza accordata all 1 ohilterra ; quanto a Vittorio Amedeo 111 si era rinfrancato soltanto dopo il trattato con Londra dell’aprile ; perchè il pensiero che m-peratore non più in grado di continuare la guerra per lo scoraggiamento delle truppe e l’esaurimento delle finanze, tacesse pace la Francia a qualsiasi condizione, aveva fatto passare dei brutti momenti a lui determinato a continuare la guerra anche prima c l’intervento di Londra venisse a rinfrancarlo materialmente e mo Talmente. Nobile figura di Sovrano! Malgrado gli innegabili eiion politici e la mancanza di avvedutezza che si rivelò _ sia nella scelta dei mediocrissimi ministri, sia in quella dei capi ce ( sju 1 specialmente del comandante supremo, Generale Devins, eji β pone lo stesso per il sacro ardore guerresco e per sacrificio che trova espressione anche in queste parole dell Asseict . << Ìl Re disse domenica sera alli ministri forestieri che saranno sorpresi di veder sostituiti nel palazzo reale mobili di Ρ°“ Ρ1β^ο agli specchi con cornici d’argento : ma soggiunse : ino a toto che vi sarà qualche prezioso mobile, lo sacrificherò al bene pubblico » ( , Le condizioni 'militari del Piemonte erano λ eianie 0 < l’esercito offriva un quadro « lagrimevole“f. soldati, imperizia negli ufficiali; mancanza di viveri e di min zioni, si erano diffuse brutte malattie, figlie della miseria e deUa fai ‘ Cosicché se anche nell’aprile del »93 alcuni attacchi furono^ fortunati e si riuscì a ributtare indietro i nemici sconcertati e nell possibilità materiale «li difendere tanti fronti le Fiandre i Pirenei, il Reno, le Alpi, dopo pochi mesi > ‘ ramWate?' si riaccesero le ostilità con gii Anstriad : ptù profondo rinacque il disordine e lo scoraggiamento nei soldati ( l i Gei « piemontesi (marciavano eoo .liffidenaa il eapo supremo Devinss» perchè forestiero, sia perdi allesso e mterprete * Vienna. « Con Devins un cattivo gemo aleggiò pei quatti anni . Piemonte » (3). p, A. s. G.. Lettere MimetH Torme, n,»™ 26, 2513; Hi,,,««io di Am· nt^oTSere'mMToriru,, 26. 2513, Di.paeeie di Am· reto, Torino, 1° giugno, 1793. (3) Carutti, Op. cit., pag. 266. LA POLITICA ESTERA DI GENOVA 235 Anche in mezzo ai nuovi insuccessi, non riposarono un momento le ostilità contro Genova; le solite invenzioni e deformazioni di piccoli fatti, offrivano materia di continue aspre discussioni all’Assereto. L’accusa più corrente era quella che il Serenissimo Governo accordasse il passo ai Francesi per facilitarne gli assalti al Piemonte-un’altra, che si fossero celebrate in Genova grandiose feste civiche per festeggiare il 14 luglio; i Francesi sulla loro fregata avevano celebrato una Messa sacrilega, officiata da un prete vestito all’ultima, moda ; si era riso sulla santità dei Sacramenti e le bandiere delle Potenze, cioè le Potenze stesse erano state offese e insultate. L’Assereto ancor prima di riceyere a tal proposito notizie dai suo Governo, (la Messa era stata celebrata su di un decente altare; l’equipaggio vi aveva assistito riverente in ginocchio) fece tacere gli accusatori, affermando « che ciò che si fa sopra li bastimenti in guerra da una Nazione, si suppone fatto sul territorio della Nazione medesima » (x). Ci tenne soprattutto a giustificare il contegno della Repubblica presso il Ministro di Vienna: era troppo prezioso conservare dei rapporti cordiali con quella Corte ; gli riuscì facilmente, precisando anche che la fonte da cui procedevano simili fandonie era quell’intrigante dell’Abate Bonelli. MIRE DI VITTORIO AMEDEO 111 SULLA CORSICA. Sorvoliamo su un’infinità di altre piccole controversie tutte ugualmente ispirate da quel gretto particolarismo che tenne così profondamente divisi per tanti secoli gli stati italiani. Accenniamo soltanto, prima di concludere, ad una ancora delle pretese espansionistiche del Re Sardo che dette seriamente da pensare alla Serenissima Repubblica: quella sulla Corsica. Vittorio Amedeo III, in un primo momento accordandosi con Pasquale Paoli, in un secondo sfruttando l’appoggio dei nemici di lui nutrì la speranza di impadronirsi dell’isola. Genova seguiva con ansia questi maneggi, perchè i due nemici riuniti, Corsi e Piemontesi, l'avrebbero certamente soffocata, e specialmente i Corsi, pirati temuti e primitivi. Già una volta, poco prima della incorporazione alla Francia,, essi avevano progettato d’invadere la Repubblica e il Re di Sardegna si era segretamente impegnato di aiutare sottomano la spedizione con viveri e munizioni. Ora si rinnovava il pericolo e l’attacco offriva maggiore possibilità di riuscita. (l) A. S. G., Lettere Ministri Torino, mazzo 27, 2514; Dispaccio di Aisserete, Torino, 27 luglio 1793. NINETTA SAVELLI Infatti le condizioni interne della Francia apparivano ancora nel ’91 alla vecchia Europa quanto mai instabili e precarie; imminente una guerra civile che avrebbe annientato la Rivoluzione; di -conseguenza la Corsica, per mancanza di denaro, sarebbe stata abbandonata a se stessa e gli isolani « che fin d’ora si ritrovano in pessimo stato abbracceranno il partito che meglio gli converrà e forse il primo che gli si presenterà » t1). L’Inghilterra si sarebbe fatta avanti per prima : e sebbene i Corsi nutrissero un po’ di avversione verso di essa « per ragione di religione », tuttavia avevano pur sempre un’idea migliore della libertà inglese che in quella francese che mascherava d’idealità le azioni più illegali e inumane. Era da pensare che sarebbero passati sopra anche alla religione, dal momento che la protezione dell’Inghilterra avrebbe loro permesso (li scorazzare liberi e sicuri sul mare e di riprendere le pirateria a danno dei Genovesi. Accanto a questa soluzione si prospettava l’altra non per niente più rosea, e cioè che il Re di Piemonte riuscisse ad eseguire il suo progetto. Probabilità ce n’erano molte, poiché egli, ben lungi dal-l’agire all’impazzata, aveva calcolato e ponderato tutto: sbarco di truppe a Bonifacio, diminuzione di contribuzioni alla popolazione, e « si era risoluto all’impresa soltanto dopo che il Duca d’Aosta suo figlio ne aveva concertato a Milano con l’imperatore»; l’aiuto degli isolani non gii sarebbe mancato. Genova non si faceva illusioni; trattandosi di pregiudicare la sua libertà, e i suoi commerci, il Piemonte e la Corsica si sarebbero trovati naturali alleati. Questo impressionarsi dei progetti sardi, il vigilare continuo per mandarli a vuoto, il seguire ansioso le manovre delle Potenze, sono sintomi significativi dell’importanza che l’isola conservava tuttora agli occhi del Serenissimo Governo, che non aveva abbandonato — in un futuro indeterminato — l’idea di riacquistarne il dominio. Ben lungi dal riconoscere legittima l’incorporazione della Corsica. alla Francia, considerava l’isola possesso suo. Quindi anziché valutare come questioni estranee Je mire di To-tìiio e dell’Inghilterra su di essa, le considerava come problemi suoi: quei progetti la toccavano sul vivo, proprio come quelli che minacciavano l’incolumità delle sue riviere. k Se nel ’91 il Piemonte confidò d’impadronirsi della Corsica, con l’aiuto dell’imperatore, nel ’93 ritornò a sperarlo con l’aiuto dell’Inghilterra, alleata meno malfida anche perchè più interessata. (·) A. S. G., Maritimarum, 76, 1740; Discorso di (i. Fraticelli alla Deputa jzione di Marina, novembre 1791. LA POLITICA ESTERA DI GENOVA 237 Infatti la Gran Bretagna avrebbe riparato volentieri alla perdita di Minorca con un altro stabilimento nel Mediterraneo. Questa situazione faceva scrivere al Celesia : « Mi si è attaccato all’idea che possa giovare all’interesse di Genova che le mire Anglo-Sarde si appoggino principalmente sopra la Corsica divenendo con ciò meno difficile il frastornare quelle di un emporio comunicante col Piemonte in Oneglia» t1). Ma che il Serenissimo Governo non la pensasse come il suo ministro, lo dice questo brano di relazione della Giunta dei Confini : « sebbene la Corsica passando al R.e di Sardegna gli sarebbe d’impegno e di spesa per lo spirito e naturale dei Corsi, pure il commercio e territorio di Genova ne risentirebbero gran pregiudizio » (2). 11 fatto che Genova cercasse di sventare le mire delle Nazioni lottando per rivendicare i suoi diritti, se anche politicamente si può condannare come pretesa eccessiva, — non aveva nemmeno le forze per difendere il suo piccolo territorio I — è pur sempre indice che gli uomini di governo qualche volta oltreché occuparsi di « ferraioli », (3) sentivano anche interessi più vasti: riviveva nelle loro vene un po' dell’antico sangue; tenaci e immutati erano rimasti il sentimento dell’in dipendenza e l’amore della libertà. (1) A. S. G., Lettere Ministri Spagna, mazzo 75, 2484; Dispaccio ài Celesia, Aranjuez, 16 aprile 1793. (2) A. S. G., Confinium, 172; Relazione della Giunta dei Confini, aprile 1793. F (3) Ruini, Luigi Corvetto Genovese ministro e restauratore delle finanze d Francia - Bari, Laterza 1929, - pag. 11. Ninetta Savelli INVITO A STUDIARE I RICCA Alla famiglia Ricca, originaria della valle di Oneglia, appai·-tengono gli architetti più interessanti fra quanti lavorarono in Genova ed in Liguria nella prima metà del Settecento, nel peiiodo* del così detto « barocchetto ». E sono certamente continuatori di una tradizione già ben radicata ; poiché dei Ricca artieri murarli, maestri denteiamo, si trovano esistere in Liguria fin dalla metà del Cinquecento (*). La loro fama è ristretta. I classici della storia dell’architettura li ignorano. Anche nella bibliografìa genovese, non si incontrano che lodi a denti stretti, o subordinate a così ingenui travisamenti dell’arte loro, da perdere qualunque valore critico. Basti dire che uno dei pochi che ne raccolsero memorie, ed amorosamente, il Sei toi io ( ), elogia, sulla scorta del puritano Aligeri, il loro sforzo di tenersi lontani d-a quelle forme di. decadenza alle quali si avviala) l’arte del sec. XVIII. Invece, il loro merito è appunto quello di avere aderito in pieno alla così detta decadenza, e di avere anzi contribuito-ai suo sviluppo. Solo qualche attento straniero, di quelli che 1 architettura barocca da tempo tengono per degna materia, di studio, li ha segnalati al pubblico internazionale. Primo di tutti il Suida (■ ), poi il Briggs (4), e il Brinckmann (5) ; quest’ultimo considerando però,, più che gli edifìzii genovesi, il palazzo dell’Università di Torino, dovuto ad uno di loro. Nella storia dell’arte, i Ricca vengono introdotti dal Ratti ( ),. che ne nomina uno solo, Antonio, di volo accennando a suo padre,. Giacomo, parimente architetto. Di un altro, Anton Maria, aveva già parlato nel 1727 un contemporaneo (')· Altre notizie vennero in se- i1) Nel 1550, dai poveri giovani fratelli Mannello e Giacobu Ricca (gin comparisce il nome Giacomo, che poi ritorna) maestri d'antclami furono derubati; e la refurtiva, portata a Savona, fu ricuperata dal loro amico Nicoloso Me-risano (altro cognome noto nell’edilizia genovese). Mancava pero una cappa, e perciò la Signoria di Genova sersise al Podestà di Savona raccomandandogli di farla ricercare (Arch. Gov., Litterarum, Franc. Nign Pasqua. looO, Arch.. (li Stato). λ j „ -10 (2) Sertorio, Una famiglia di architetti, in « Gazzetta di * renova », l.)l« , n. < b. (3) Suida, Genua, Lipsia. 1000, p. 115. (4) briggs, Barock-Architektiir, Berlino, 1914, p. 63. ^ (5) BR1CKMANN, Ba ulcnnst des 17. des 18. J ali rii. in den Romamschery Lan a. dern, Berlino, 1928, p. 134; Theatrum Novum Pedemontii, Düsseldorf, 19.->lr p. 12, 282. (·) Vite, II, Genova, 1769, p. 372 e segg. . (7) P. Giacinto da S. Maria, Vita del Venerabile P. Carlo Giacinto, Ge- Lova, 1727, p. 78, 101 e seg. / M ARTO LABÒ 239 guito ('). Tuttavia anche dopo la pubblicazione del volume del Kiinstlerlexikon (-), che contiene le loro biografie, in parte dovute allo scrivente, è il caso di tornare sull’argomento. Perchè i Ricca foinii<111110 certo altra materia agli studiosi; e lei loro storia è ancora tanto confusa da essere opportuno raccogliere dati di fatto, per avviare, e possibilmente non fuorviare, le ricerche future. I più importanti di questi architetti sono strettamente imparentati. Come si è detto, il Ratti parla di Giacomo e Antonio, padre e figlio. E avrebbe dovuto dire, per il secondo, Gio. Antonio’, com’è indicato dagli altri scrittori e nei documenti. Fratello di Gio. Antonio è Antonio Maria, che fu frate Agostiniano. Infine, sarebbe esistito 1111 secondo Gio. Antonio, nipote del precedente, che diremo seniore, per distinguerlo da questo juniore. Del capostipite, il Giacomo, si sa soltanto quanto 11e dice il Ratti, che è poco. Fu architetto.... Alcune cose rifece per quà, con buona disposizione e condotta. Parrebbero incombenze più da capo-mastro che da architetto. Di suo figlio Gio. Antonio, il Ratti asserisce che nacque nel Maro; bort/o del principato di Oneglia; che sarebbe oggi Borgoma-ro, piccolo comune a 15 Km. da Oneglia, sulla strada di Pieve di Teco. Ma Gio. Antonio Ricca nacque più su, in un sito ancora più umile, a Lavina, vicino a Pieve. Lo dice egli stesso, in un codicillo al suo testamento prematuro, che è un frammento autobiografico. Gio. Antonio Ricca q. Giacomo, della Latina. Dominio \lella '.Savoia, habitante in Genova da fanciullo.·., dichiara che undeci anni sono compiti dal mese di. Aprile prossimo passato prese in moglie Benedetta, figlia del q. Gio. Battista Trari (3). !>i «pii .si rileva che questo Ricca fu condotto a Genova, probabilmente da .suo padre, fin da ragazzo; e si allevi) quindi nell’ambiente genovese. La data di' nascita è indicata dal Sertorio nel 1651 ; e l’Alizeri incontra il suo nome nei documenti dal 1711 iu poi. Siamo in grado (li fornire, oltre quella già data, altre sue notizie anteriori, per quanto di modesto rilievo. Conosciamo di lui, già del 1678, un disegno per riforme della strada di accesso a S. Nicola (4) ; del 16S2 un altro relativo ad una vertenza per un’osteria nella valle «li .Marassi (5). Nel lüîHi lo troviamo a lavorare da im- <1 > Alizeri, Sot. ilei Prof, del disegno in Lii/uria dalla fond, dell'Accade-mia, I, Genova, 1864, p. 06 e seg. ; Sertorio, op. cit . (2) KrxsTLERLExiKON, vol. 2$, Lipsia, 1934. (°) Atti del not. Giuseppe Celesia, Testamenti, filza 83, 6 sett. 1684 (Arch-eli Stato). (■’) Arch. dei Padri del Comune, Atti, 1678, n. 106. (3) Atti del not. Giuseppe Celesia, filza 56, agosto 1682 (Arch. di stato). 240 INVITO A STUDIARE r RICCA presario per l’Ospedale (V). Nel 1701 era a servizio di Francesco Maria Baldi con incarichi di fiducia (2). Riprendendo il filo dalle notizie già note, lo vediamo farsi una vasta clientela. Dal 1T0S in poi è occupato in lavori al Molo Vecchio (3) ; nel 1711 fa perizie per privati iuteressati dai progetti per l'allargamento di Via Giulia e fa sparecchiare (cioè probabilmente sgomberare da detriti) siti fra. S. Agostino e S. Donato (*)· Dal 1ì17 in poi, intrapresi i lavori, si cura anche della loro attuazione. Il !·> !n»lio 1722 è nominato Architetto di Camera, e resta in carica poco meno di due anni. Il Sertorio elenca molti lavori stradali, ritocchi alla viabilità così frequenti in quel periodo: in Via Giustiniani, da S. Agostino e in Via Giulia (come abbiamo già visto), in Λ ia Fassolo, nella nuova strada da Sarzano e Ravecca a S. Andrea, ecc. Tutte queste informazioni convergono a presentarci un costruttore attivo, anche un ingegnere stimato se vogliamo ; ma quasi 11011 lasciano il tempo per un’attività importante di architetto. Eppure, il Ratti attribuisce a questo Gio. Antonio figlio di Giacomo opere notevoli, quali la chiesa di S. Ignazio e di S. Torpete, l’Oratorio di S. Maria Maddalena dei Pazzi, e la parrocchiale di Bogliasco. Ed inoltre, a Gio. Antonio Ricca appartiene notoriamente il progetto dell’Università di Torino. Senonchè, l’Alizeri fu il primo a chiarire come due dovrebbero essere stati i Ricca di nome Gio. Antonio ; uno. che diremmo prevalentemente ingegnere, e sarebbe quello cui si riferirebbero le notizie date di sopra: ed un altro più tardo, più veramente architetto, e sarebbe quello illustrato dal Ratti. E sarebbe anche, dice l’Alizeri, il costruttore della chiesa della Madonnetta. Il Sertorio, che deve aver studiato bene la questione, conferma l’esistenza dei due Gio. Antonio, e ne precisa i rapporti : nonno, o zio, e nipote. La distinzione dell’Alizeri è in se stessa plausibile : però, così com’è esposta, va corretta. Infatti: a) Il Ratti chiarisce bene di voler parlare di Gio. Antonio tìglio di Giacomo; e il Gio. Antonio q. Giacomo sposatosi nel 1675 non potrebbe essere che il seniore. δ) Il costruttore della chiesa della Madonnetta non è Gio. Antonio ma Antonio Maria, come più tardi lo stesso Alizeri riconobbe (5). Per far vedere poi fino a qual punto sia imbrogliata questa storia dei Ricca, aggiungerò un piccolo colpo di scena. È infatti vano in (1) Archivio degli Ospedali Civili. Derretorum, voi. 252. N giugno 1<>9U. (2) Arch. dei Padri del Comune, Atti, 1701, 12 aprile. (·"; Podestà, Il porto di Genova, Genova, 1913, pag. 216. (i) Arch. dei. Padri del Comune, Atti, 1711, n. 28. (·>) Alizeri, Guida illustrat ira, Genova, 1S75, p. 523. MARIO LABÒ --- -—* dagare a quale dei due Gio. Antonio voglia attribuire il Ratti, nelle . ’ .· 1 Sdazio, S. Maria dei Pazzi, e S. Torpete, dal momento che poi, nell’lustrazione, egli attribuisce le due prime ad un Ricca Giambattista ; e quanto a S. Torpete non si compromette, attribuendola ad un generico Ricca, non meglio indicato. E, si badi bene, non si tratta di sviste; poiché lo stesso testo trapassa immutato dall’edizione del 17G6, anteriore di tre anni al secondo volume delle Vite, a quella del 1780, di undici anni posteriore (r). Aggiungiamo ancora, che il Sertorio fissa- al 1725 la morte del Gio. Antonio seniore; mentre l’Alizeri riferisce a lui notizie che arrivano fino al 1737. "Verrebbe quasi voglia di abbandonare una questione così involuta e tenebrosa ; ma il problema è appassionante, e vai la pena di tentare di venirne a capo. Noi incominciamo col proporlo; e noi stessi od altri avrà poi la fortuna di risolverlo. Che è appunto il problema dei due Gio. Antonio. Il Sertorio deve essere in possesso di elementi positivi; poiché precisa che il seniore nacque in Lavina nel 1651, e morì a Genova nel 1725; e fu sepolto nella chiesa della Madonnetta. Il juniore sarebbe invece nato in Genova nel 1699. A questo, il Sertorio attribuisce le chiese di S. Ignazio (1724), di S. Torpete (1730) e di S. Pancrazio in Genova : le parrocchiali di Bogliasco (1731) (2) e di Lavina (1738); e, come ipotesi, le chiese di Zoagli Sori e Nosarego. Insomnia, il Gio. Antonio seniore del Ratti viene quasi completamente spogliato, a profitto del nipote. Come segue da quanto dicemmo, noi 110:1 avremmo difficoltà ad accettare questo spostamento (3). Anzi, se l’attività del seniore restasse limitata a compiti più tecnici che artistici, troveremmo la sua olografia più persuasiva. Domandiamo soltanto di avere basi documentali per districarci in questa fastidiosa omonimia, che la cronologia non chiarisce. Perchè, ad esempio, la chiesa di S. Ignazio del li24, potrebbe appartenere tanto al seniore, morto nel 1725 quanto al piniore, nato nel 1099. È vero che questi aveva soltanto venticinque anni; ma circondato com’era di architetti in famiglia può bene aver fatto anche da giovane un progetto che non denota ancora almeno 111 quel poco che rimane di S. Ignazio, una personalità molto definita. 1 ^)~}}λΎη’-Ìxtn>:,0>lv (,i Ί11,1,11 u PU-ò valersi di più bello in Genova eco ed. 1766, p. 59, 14-4, 94; ed. 1780, p. 82. 1(57, 107. ’ eCC" (2) Remondini, Parrocchie, ecc., Reg. II (1886), pag 133 (*)_I redattori del Kiinstlerlexikon non si arresero alla mia proposta di sdoppiamento ; e basandosi su fonti svizzere ricomposero i due Gio. Antonio iu uno solo che sarebbe addirittura un terzo, nato nel 1(588. morto nel 174S- date sconosciute alla nostra cronologia. E che è molto probabilmente un Antonio Riva, che fu ingegnere della flotta spaglinola. Del loro Gio. Antonio, essi poi dicono che costruì il palazzo dell’Università di Torino su piani del Garoue· ciò «he e un ingiustizia manifesta, un errore grossolano 242 INVITO A STUDiARE I RICCA Da lasciare al seniore resterebbe il palazzo dell Università di Torino, il cui disegno fu presentato dal Ricca il < luglio 1< ( ). Ma questo gli si potrebbe lasciare senza difficoltà, per molte ragioni. Anzitutto, perchè si trova naturale che il re Vittorio Amedeo, poco contento del progetto preparato da Michel Angelo Garoue, nel molarsi ad altri desse la preferenza ad un ingegnere ben noto anche per incarichi ufficiali. E in secondo luogo, perchè il palazzo dell 0-niversità di Torino è, in fondo, un’architettura seicentesca di cui a Genova un buon ingegnere poteva aver imparato il segreto, il manto decorativo (i bastoni alle colonne del cortile, ecc.) può anche essere stato elaborato a Torino durante 1 sei anni (1(13-19) m cui durò la costruzione, che fu diretta dal Ricca. Quindi tutto sommato, il Gio. Antonio jumore sarebbe il bore della famiglia. A lui dovremmo, con S. Torpete e S. Pancrazio, due costruzioni squisite : e una ricerca di grazia minuta che dopo i capolavori squadrati e geometrici del Seicento genovese sorprende come una novità. Verso di lui, andrebbero forse orientate le ricerche sul-l’architettura genovese del Settecento finora così poco studiata, Isa-sta pensare, che non si conosce ancora l’architetto di Palazzo Bianco; intendo, naturalmente, il Palazzo Bianco attuale, il rifacimento dell’antico cinquecentesco. Ma intanto, di questo Gio. Antonio andrebbe accertata la data della morte, per sapere fino a qual epoca si può contare sulla sua attività. Architetto altrettanto interessante è Antonio Maria Ricca, costruttore della chiesa della Madonnetta, e della parrocchiale di Arenzano (1703-17) (2). _ .... . , - Di questi, possiamo fortunatamente pubblicare i più importanti dati cronologici, desumendoli dal Libro delle Professioni del Convento della Madonnetta (:')· Da esso risulta : 1) che Antonio Maria Ricca era tìglio di Giacomo, e nacque a Lavina. Si conferma perciò che era fratello di Gio. Antonio seniore. 2) che fece professione, nelle mani del P. Carlo Giacinto di ►_. Maria, il 18 agosto 1697. . , 3) che aveva allora circa trentacmque anni e mezzo ; «o che permette di fissare la sua nascita al 1662. 4) che morì, nel Convento di S. Nicola, il -0 febbraio 7-). Il Sertorio nomina ancora altri due Ricca: un Giambattista e un Gio. Giacomo suo figlio, che morì ad Albenga uel 174G. Ricordando che il Ratti nomina anch’egli un Giambattista, rileviamo la presenza di altri punti interrogativi; ai quali, per questa · ì ; Makio Laro- volta, ci fermiamo. (ì) Valla uri, St. delle Università degli Studi del Piemonte, Torino, 1875, p. 321 ^ seg. (2) Hemondlxi, Parrocchie, Reg. XIV (1892), pag. 208. (3) Arch. del Convenio. SAGGIO DI UNA BIBLIOGRAFIA GENERALE DELLA CORSICA (Continuas io ne. Vedi numero precedente) MERLO C. — Concordanze corse-italiane centro-meridionali, in Italia dialettale·, I, pagine 238-251. MURATORI. — De Origine Linguae italicae, in Antiquitates Italicae Medii Aevi. (Mediolani, Typ. Palatina, 1739). Diss. 32. Corsica, Diplomi di Montecristo, pagg. 1062-1078- NOTA (Una) di dialettologia comparatu, in Arch. stor. di Corsica, 1925 (Ann. 1), pag. 115. PAGANELLI. — L’Ecole régionaliste en Corse, in Revue de la Corse, 1921 (II), pagg. 53-54. QUILICHINI J. B. — Pour la langue corse, in Petit Marseillais, 1921, 12 oct. 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(Continua) Renato Giardelli COMUNICAZIONI DELLA R. DEPUTAZIONE DI STORIA PATRIA PER LA LIGURIA e Ripresa l’attività dopo la sosta estiva, l’attenzione della Presidenza si rivolta particolarmente alla preparazione del piano di lavoro da sottopone al e decisioni della Deputazione e quindi a 1l'apui-.'VC‘w!n·-, ^^^o'' X1V’’ dellOpera Mentre si è cominciata la stampa già deliberata nella imo \1\ del opei a del P Guglielmo Salvi su ha Rcpumieo. di Genova e Galeotto Del Cai l i tio della quale sarà pubblicato, per il momento, il primo volume son,, in . j, a a- tSne altri importanti lavori cosi per gli Ma le cure maggiori della Presidenza J^nze getto esposto u progetto cioè della pubblicazione integrale dei Ξ “SS SJSU m K. Archivio « S.I., m .1-11 « inutile rilevare ancora una volta reccezionale valore non solo per la stona 1 io-ure m-i per la storia del commercio del diritto in tutto il bacino del Me-mèirineo Gravissime erano le difficoltà da superare cosi nel campo tecnico e scientìfico come e più. in quello finanziario, ma le pratiche sono bene avviate e non è vam la speranza che if Presidente nelle prossime adunanze, da tenersi usabilmente in gennaio, possa fare importanti e conclusive comunicazioni I ; Deputazione si accinge cosi a un poderoso lavoro, desiderato da lunglus sinw tonno e invocat'> da studiosi di tutto il mondo; un lavoro che le darà un i>osto di primissimo ordine tra le consorelle italiane e tornerà di grande oncic ÏÏTÆ&TS studi storici italiani. Ma per poterlo serenamente com n-ciare e felicemente compire lia bisogno del cordiale costante volenteroso ap-leggio di lutti i suoi appartenenti. Si h-ι ragione di ritenere imminente, con la nomina dei Corrispondenti e con la designazione dei Presidenti delle Sezioni, il definitivo ordinamento della Deputazione. DISCUSSIONI E COMMENTI ANCORA DEI « QUARTIERI DI GENOVA ANTICA » Riceviamo e pubblichiamo : Egregio Direttore, Se il Padre Salvi vuol sapere quale sin la mia opinione circa il vocabolo Morcento, potrà trovarla scorrendo più attentamente le pagine dei miei libri e cioè : che ritengo ivi sia stato un recinto con muro a secco (Necropoli pagana) sacro alli Dei Mani sul tipo di quello di San Nazaro. Questi muri erano, secondo le leggi pagane, protetti da Diana Cinzia, perciò Murcinzio, od anche: muro cintato sacro alli Dei Mani. Tuttociò, non mi stanco di ripeterlo, è una mia. opinione che τιon posso in alcun modo provare, ma che è frutto delle mie inda gini e riflessioni e che mi credo in diritto di poter esporre: 1) perchè i Liguri avevano il culto degli Dei Mani (Vedi lapide di S. Nazaro, sarcofago di Santa Margherita). 2) perchè il vocabolo, malgrado i secoli, non ritengo sia stato oltremodo alterato. 3) perchè ivi fu trovata la Necropoli di Genova Arcaica. Passiamo ad altro argomento. Alla osservazione sulla famiglia Molo (voi. 1935, pag. 87, Sestiere del molo) risponderò che il Padre Salvi probabilmente ignora le •discipline numismatiche, altrimenti la mia ipotesi, ripeto ipotesi, circa una famiglia Consolare romana cognominata Molo residente in Genova, non gli sarebbe sembrata tanto strana. Sappia perciò il Padre Salvi che esiste la moneta romana d’argento Molo ascritta alla famiglia consolare Pomponia. Sappia che il mare agitato rigetta sovente sulla spiaggia della Foce molte svariatissime monete provenienti dalla vicina gettata di detriti e fra queste non solo ve ne sono delle romane e greche, ma anche di quelle della, contestatissima Molo. Sappia ch’io posseggo una moneta di consacrazioni delPimperatore Traiano, trovata nel 1010 nell’eseguire la Caserma di Finanza alle Mura, della Mala-paga con verbale di testimonianza. Sappia che il cognome Molo non è fantasia, ma esiste tuttavia. 248 GIULIO MUSCOSI Perciò la mia. ipotesi non è priva di qualche fondamento. E a proposito di fondamenti, aggiungerò sempre sulla questione del Molo Vecchio, ch’esso è romano e niente affatto medioevale e giungeva, fin dove pochi anni or sono si è dovuto eliminare ia sua punta, per lasciare maggiore spazio acqueo al passaggip dei transatlantici. L· pur vero che in una antichissima veduta panoramica· di Geno\a del 1200 noi non scorgiamo nessuna, ombra di Molo, ma per contro si vedono numerosamente allineate, rimpetto Sottoripa, molte navi all'àncora, quasi che il fantasioso disegnatore di quella veduta avesse voluto esagerare nel suo compito. Invece la. cosa è naturalissima , dette navi possono stare tranquillamente all ancora perchè sono protette dal molo subacqueo romano, privo ormai di soprastrutture che la furia del mare, nel corso di oltre ottocento anni, aveva corrose e demolite. Vada il Padre Salvi nel Golfo della Spezia e ne avrà una prova lampante, nella diga, di sbarramento. Verrà dopo il frate Oliviero che con travisate notizie, tenute 111 gran conto dai moderni studiosi, farà sapere ai posteri d’essere stato proprio lui il primo costruttore del molo, come quell Ansaldo Spinola, dirà di aver costruito in soli cinquantacinque gioì ni le mura cosiddette di Barba rossa, le quali furono invece opera di Lucrezio Spurio. Così dicasi per la vecchia Darsena del Λ ino, cosi dicasi per il Mandraccio, come giustamente osservò nell’800 il Ber-tolotti, così per il Castello di Monte Albano etc. Vada a studiare il padre Salvi il sistema delle costruzioni genovesi tutte a pietra squadrata, ricavata dai nostri monti, piuttosto che i travisati documenti medioevali e troverà vii’essa era già presso a poco squadrata, (vedi cava di Via Minniti) : bastava un semplice palanchino, senza uso di mine, per ottenere in quell’epoca lo scopo.. A che valeva confezionare mattoni? quale mattone era migliore della pietra squadrata? E così pure bisogna sfatare la leggenda secondo la quale Genova era costruita di baracche di legno; ma perche. non aveva pietre in esuberanza? Circa la Piazza Fontane Marose se in un primo tempo ho scritto: « Ci sia permesso di dare la nostra opinione sull’etimologia del vocabolo Marose » non per questo convinto di aver dato il toccasana della verità, ed infatti fu copiato dal vocabolario geografico dell’flortelius (1590) il vocabolo « Maros » poiché era il più somigliante; in un secondo tempo però ho accettato quello di Ma-uni sj perchè più verosimile, ma con tuttociò non mi sono mai dimenticato di avvertire prontamente i lettori, che si trattava di una mia personale ed esclusiva, opinione. E poiché io sono facile a cambiale di opinione nello studio della protostoria, sempre allo scopo di correggermi, non so che cosa possa pretendere da me il Padre Salvi. Vuole forse che la vada a raccogliere nell’Archivio di Stato? e Quanto alla Foce è risaputo che la. foce del Bisagno, ancora DISCUSSIONI E COMMENTI 24&' pochi secoli or sono, si trovava molto più a nord è cioè verso il ponte romano di Sant’Agata. Chi ha dunque dato il nome all'attuale regione della Foce? I Fogliensi oppure secondo Girolamo Serra i Focesi? lo ritengo· siano i Focesi, ma escludo in modo assoluto che sia sfiato l’umilé nonché moderno sbocco del Bisogno. Il Padre Salvi legga a tal: proposito, anche la Storia di Fuoeechio dell’avv. Lotti uscita a Fu-eecchio il XXVIII ottobre u. s. A voi. II, pag. 13 il Padre Salvi se la prende con la preistoria. ' Questo Genuino (e 11011 Gemino come è scritto erroneamente nella recensione) sbarcato a Genova nel 1550 A. C. è notato anche nelle' prime pagine della Storia di Genova dell’Accinelli ; io ho' fatto esclusiva opera di riordinamento di queste notizie preistoriche attingendo 1111 po dappertutto, su incunaboli, libri miniati del du-gento, su libri del ’500, dell’800, (rigettando quelli del ’GOO) e forù mando così il periodo incriminato, 11011 senza far, come di solito, notale la seguente mia riserva: dal quale si mole sia venuta Pori-· gine di Genova. A vol. II pag. Il il Padre Salvi non può digerire che Vico Paglia sia una travisazione di Peli a; può darsi per quello di Genova, ma per quello di Sestri Ponente, cli’era tutto un tratto dell’antica Strada romana, diretta a Pegli, io insisto che si chiamasse Via Pelia ed a. tal uopo cito Francesco Sansovino (Libro sulle Origini Venezia 1583 Ed. Altobello Salicato), dove a pagina 39 bis scrive : « I Pelii (Pelasgi) derivano da Pelio re di Tessaglia, fratello di Esone che fu padre di Giasone (abitarono l'Italia secondo Mirsillo). Questi, venuti in Italia, si posero nella regione di Viterbo (creando Colonie Vetuloniche-Veturie ossia Columnate sui carri) colà dove è il fiume Pelio detto oggi Paglia ». La stessa travisazione di Pelia in Paglia l’ebbimo anche nell’Umbria ed altrove. Pegli è un vocabolo pelasgico, e Coronata era una Colonia pelaegica degli abitatori sui carri (Veturii). È falso quello che scrive il recensore circa il vocabolo Portello e cioè ch'io rigetto il significato di Pust&rla datogli dal Giustiniani. Io mi limito ad avanzare, pur sottomettendomi alla congettura del Giustiniani, una mia opinione, ed infatti conchiudo: non vogliamo comunque addentrarci oltre in questo oscurissimo campo e lasciamo libero il lettore di pensarla come meglio gli aggrada. L'affermazione che il nome Agrippa sia di origine ebraica, si legge nella Cronologia di Filone Hebreo — De’ Tempi — dove cita dopo Ilerode Tetrarca un Agrippa Prisco, poi un Agrippa il giovine, ed infine un Agrippino, il quale aggiunge che visse fino a quest’ultimo anno della sua età decrepita. Ma se il Padre Salvi 11011 riuscirà a trovare il libro di Filon{e può cercare qualche cosa· nel «Nuovo Dizionario Biblico» del parroco Nicola Montemanni *250 GIULIO MISCOSI edito nel 855 da Roberto BJrtocci (Genova e Novi) a pagina 62 e seguenti alla voce Agrippa, che fugge da cavallo, e si convincerà •che il nome di Agrippa è comune nella schiattai degli Ebrei, lut-tavia io non ho affermato che Marco Λ ipsanio Agrippa, genero di Augusto, fosse un ebreo, ma mi sono limitato a segnalare la coin- o / tcidenza di detti nomi. Il ricordo dei Cluniacensi di Santo Stefano a pagina 53 (e non già a, pag. 45) lo rilevai da un articolo della Settimana Religiosa del 187]. Non sono profondo in materia d’ordini religiosi, e se hanno sbagliato i religiosi della Settimana, io avrò copiato uno sbaglio, senza averne la volontà. Chiudo questi rilievi, con F osservazione di Padre Salvi al Vol. II pag. 17 e rispondo: che a Genova esistesse nella zona delle Vigne (di Giano) il Sacro Pomerio lo afferma, non solo lo storico Schiaffino, ma il Sansovino (vedi libro sopracitato) che a pag. il parla di Santa Maria in Vigna a Genova, e del Sacro Pomerio a pag. 51 : vi è poi il riscontro in Vico Pomino, Vico Mele, Piazza Amor Perfetto (indice coniugale di Vertunno e Pomona) nella statua di Giano ivi trovata nel '500 ; quindi la lapide incriminata è ben poca cosa davanti al cumulo di memorie di questa zona pomerica delle Vigne. Probabilmente il Padre Salvi non sa chi· cosa voglia dire Sacro Pomerio; la spiegazione non la troverà certamente all’Arcliivio di Stato. Giumo Mi scusi RASSEGNA BIBLIOGRAFICA Aldobrandino Malvezzi, Cristina di Beigioioso, Treves, Milano 1936. « Le prime armi » è il sottotitolo di questo volume, che ne annuncia altri due, intorno alla Beigioioso: donna e patriota discussa, ammirata e calunniata quant’altra mai. In questo trittico, del quale solo il primo grande pannello è ora noto, la principessa, liberata dalle sottili incrostazioni, dalle muffe e macchie insidiose di cui la incomprensione, la partigianeria, le deluse speranze dei molti Parevano rivestita-, deformandola, riapparirà nel limpido splendore della sua bellezza, ma più e meglio ancora, nella sua integrità morale, nella complessità del suo spirito capace d’ogni elevazione, nel robusto ingegno e nella duttile,, scintillante vivacità di un temperamento che, della femminilità più completa, conservava i caratteri, in una sconcertante fusione con pensieri e azioni virili. Questa biografia — che — è proprio il caso di ripetere l'abusa tissima, rituale espressione — colma una lacuna — si vorrebbe però scritta senza quella vena polemica che qua e là affiora e disturba. Pare che la signorile fierezza della Beigioioso debba trovarla, inopportuna, perché, dove la forza della verità è così evidente, a che indugiarsi a discutere con chi, forse, non vorrà mai aprire gli occhi per vederla? Si ha l’impressione che il volume sia stato scritto di getto e che la prima stesura non abbia subito un lavoro di lima. Questo si nota per ciò che si riferisce allo stile, al cui rilievor nitore e levità, avrebbe invece tanto giovato. Severo metodo critico, larghissima, conoscenza dell’età e dell'ambiente in cui la Beigioioso visse, documentazione copiosissima e tale da chiarire — per sempre — dubbi e oscurità ; da distruggere leggende radicate ormai da anni, da ridarci, cioè, una Beigioioso viva,, vera, storica. Questi i pregi del libro, questo il fascino che da quella verità, rivelata completa, emana e fa dell’opera erudita una lettura attraente e interessante più d’ogni fantasia romanzesca. Per distruggere il romantico, ambiguo fantoccio che la superficiale bozzettistica opera di Raffaele Barbiera aveva presuntuosa niente chiamato Pristina Beigioioso, il Malvezzi non avrebbe avu 252 rassegna bibliografica to davvero bisogno ili schiarire la serrata falange dei documenti da lui pubblicati : bastavano le poche pagine dell’« Introduzione » che al primo biografo, chiamiamolo eufemisticamente così, egli dedica. Ma per sostituire al calunnioso fantoccio di stoppa, la creatura viva, la ricerca che il Malvezzi fece in Archivi" nostri e stranieri, pubblici e privati, era invece necessaria. E fu proficua. Il nuovo — vero biografo — dopo aver spazzato via la sterpala che aduggiava il terreno d’intricati spinosi viluppi, inizia il suo lavoro ricostruttivo. Non è il caso di ripetere nè di riassumere ciò che nel volume è ampiamente narrato con ricchezza di documenti ben vagliati e interpretati. Non so però tralasciare un lieve cenno sul soggiorno della Bei-gioioso a Genova a proposito del quale il Malvezzi, in pagine informatissime e vivaci, descrive l’ambiente frequentato dall’Esule principessa. E da quelle pagine apprendiamo che, quando, nel 1829. la Bel-«ioioso venne nella nostra città, non era ancora Carbonara e non (Conobbe il Mazzini. Nè lo conobbe quando ritornò nel novembre del ’30 poiché giunse a Genova nel momento in cui la Polizia arrestava un buon numero di Carbonari tra i quali il futuro agitatore. Anzi, durante il primo soggiorno della Beigioioso nella Superba, è da escludere ogni sua attività politica, ogni sua partecipazione a maneggi e cospiratzioni. Fu quello un periodo di riposo, necessario alla sua salute malandata e scossa dalPavvenuta separazione dal marito, dal distacco dalla mamma e dalle sorelle e dall’abbandono d’ogni cosa più cara. Trovò un’accoglienza quanto mai cordiale nelle famiglie patrizie genovesi, non prevenute contro di lei, e subito affascinate dalla giovane, bella e non felice signora. La quale trovò nella marchesa Teresa Doria. uno spirito aitine al suo per l’ardore patriottico e la nobiltà del carattere. Rapporti molto (Jiversi da quelli che la tradizione aveva fatto ritenere ebbe con la Bianca' Milesi Moyon, amica della Bisi, tanto cara alla Beigioioso, e « giardiniera » attivissima. Nessuna influenza la Milesi ebbe sulla giovanissima Principessa, nessun legame di vera amicizia si stabilì tra esse. Nè sarebbe stato possibile per la differenza d’età, per la differente condizione sociale e soprattutto per il troppo diverso modo di sentire. Nè si può dimenticare quel buon notaio Barnaba Boi-lasca, che con somma diligenza e scrupolosità, tenne l’amministrazione della Beigioioso in Genova. RASSEGNA BIBLIOGRAFICA 253 Discreto e fedele, la servì con esemplare attaccamento dando piova non solo di competenza professionale, ma di devota amicizia. Chiusa questa parentesi genovese, non si accennerà più a vicende esteriori ìe quali, d’altronde, non sono quelle che più contano, in una narrazione come quella di cui si fa parola. Piuttosto sono le qualità inorali della Beigioioso quelle che qui appaiono per la prima volta, non viziate da false interpretazioni, •che, spesso, le travisano e capovolgono. Volontà fermissima è la prima nota che, nella giovinetta, come, più tardi, nella- donna, s’ha da rilevare. Volontà : per cui la Beigioioso assume la piena responsabilità degli atti che compie e di cui poi, con altrettanta decisione, sopporta le conseguenze comunque sieno. Generosità : per cui la Beigioioso è instancabile nel donare largamente per la sola- gioia di far del bene. Γ soccorsi da lei, fin dagli anni primi, largiti, sono innumerabili. Alle sorelle fa donazione — senza secondi fini — di una cospicua parte del mìo patrimonio. Al marito — e qui la sua generosità è davvero ben grande — sana debiti e dà danaro nell’atto stesso della separazione ch’égli aveva provocato con la. sua condotta. Riservateziza nel parlare di sè e delle cose sue : « non usava mai fare confidenze ad alcuno che se 11011 avessimo di lei altro che le sue lettere, sia pure ai suoi intimi, 11011 sarebbe possibile scriverne la biografia» dice il Malvezzi: caratteristica, questa, che contrasta vivamente con il « tipo » che di lei l’errata tradizione creò. La Beigioioso 11011 fu mai « posatrice », che, anzi, appare nella sua schietta realtà, tutta naturalezza e semplicità. Impulsiva e ardente, non avrebbe potuto, che con grande sforzo, fissarsi nei limiti di 1111 tipo prestabilito e mantenervisi non le sarebbe stato possibile per l’esuberanza di 1111 temperamento ricco e sincero com’era il suo. Era troppo intelligente e troppo signora, per 11011 sentire quanta povertà di niente e quanta miseria di carattere una qualsiasi posa sempre riveli. È che non è facile capirla per la somma di elementi che in lei s’armonizzano, ma che sono generalmente — in altre nature meno dotate — dissociati e antitetici. Non si comprende quello che fa ombra. Ed essa, la Beigioioso fece ombra a parecchi. La vanità: ecco l'eterno ritornello d’accusa. Non era vanità la gentilezza d’ogni suo atto, 11011 vanità la distinzione e l'eleganza nativa che toglievano asprezza alle sue azioni più virili, 11011 vanità ma prontezza d’intelligenza e intuizione femminile quelle doti che aggiungevano grazia al suo fascino naturale. Molto giustamente, il Malvezzi nota « la singolare forma d'ingegno » della Beigioioso quale una delle ragioni dell’incomprensione generale di essa. 254 RASSEGNA BIBLIOGRAFICA Quando il Mazzini, che ebbe sempre un rispetto sincero per la donna ed ebbe, come pochi, animo per capirla, dà, della principessa, un giudizio sfavorevole, è vittima, anch’egli, del fenomeno comune a molti tra coloro che la Beigioioso avvicinavano. a Povera donna! buonissima di fondo, ma guasta dalla vanità, e guasta, in gioventù, dagli uomini adulatori che l’hanno circondata. In Iioma, m’era un tormento pel continuo litigare che faceva con chirurghi, medici e infermieri. Meriterebbe, per quel feuilleton, dalle donne italiane il castigo che si dà ai ragazzi ; e se un giorno torna in Roma, non son certo che le Trasteverine, le quali non fanno tante differenze d’età, non la trattino — se sono state informate — in quel modo », così il Mazzini scriveva alla Madre l’8 ottobre 1850. Ho riportato per intero questo giudizio che una volta di più dimostra come facilmente anche gli spiriti più eletti accettassero — quando si trattava della Beigioioso — la versione peggiore delle sue azioni, come sinistramente sempre s’interpretasse ogni suo pensiero. Lasciamo andare quel tono compassionevole e l’ammissione di quella gran bontà calata nel « fondo ». Ma quei « litigi » : certo, nel proseguimento del lavoro, il Malvezzi potrà agevolmente dimostrare non essere determinati che dal desiderio di veder fare, quanto si doveva., bene, senza transazioni che si risolvevano a danno dei sofferenti. 11 senso del dovere la portava ad essere esigente con quanti l’adempimento di un compito s’erano proposto. Voleva che operassero fatti, non parole. Antiretorica essa era — ed è questa grave colpa quando si ha a che fare con gente che, con la retorica, copre deficienze e negligenze. Quanto poi al castigo che le Trasteverine avrebbero dovuto darle, occorre subito dire che tale castigo, con popolana indignazione, a-vrebbero dovuto darlo ai falsificatori del pensiero della Beigioioso, a coloro che ad essa attribuirono precisamente il contrario di quanto essa aveva scritto a. proposito delle donne italiane, calunniando così la presunta calunniatrice. E le Trasteverine avrebbero potuto, con la loro scanzonata schiettezza, dire al Manzini che quando si conosce una. donna capace di dare 35.000 lire per la spedizione di Savoia, quando se ne misura l’intelletto sugli scritti, se ne prova, lo spirito di sacrificio nel duro ufficio dell’infermiera, si può almeno dubitare dell’autenticità delle infamie stampate da giornali stranieri, anche se portano la firma di chi non le può aver scritte. Oserei dire che, anche nello stesso Malvezzi a cui si deve la « rivelazione » della verace Cristina Beigioioso, s’insinui a volte — quasi ne fosse stato contagiato — un sottile filo di diffidenza verso la sua eroina. Così a pag. 95 scrive: « .... la B. faceva eccezione per i versi RASSEGNA BIBLIOGRAFICA 255 di G. Leopardi per i quali aveva, grande ammirazione forse perchè ne comprendeva la profondità del pensiero » Quel forse la B. non lo merita. « Non cape in quelle — Anguste fronti ugual concetto » ha un’eccezione per la donna che seppe e potè bene intendere l’alto pensiero leopardiano. E altrove a caso: a p. 240: «con magnifico ardire e stupenda coscienza»; a p. 256 «con magnifica spensieratezza»; a p. 258 « con nobile proposito ma somma incoscienza »: così il Malvezzi giudica atti della Beigioioso. D’accordo: il biografo non ha da essere un apologista, non deve passar tutto per buono, deve rispettare la verità storica, i diritti della critica etc. etc. Tutte belle cose. Ma se proprio quella che è chiamata « incoscienza », « spensieratezza » fosse invece il coraggio di quella creatura giovane e inesperta sì, ma. capace di intuizioni e ardimenti singolarissimi? Per altra via, viene il Malv ezzi a ribadire la taccia di leggerezza da cui — documenti alla mano — vuole difenderla invece validamente. Errori, certo, la principessa giovinetta ne commise e sarebbe antiumano se non ne avesse commesso. Ma non cadde nell’avventatezza sia pure « magnifica » o « stupenda. ». La ricca umanità della Beigioioso avvince anche e soprattutto quando sorprende. Chi può leggere senza stupore le lettere che la principessa ventenne scrive ad un giovane da poco ordinato sacerdote? C’è in esse un austero senso del dovere, un giansenistico vigore e un’esperienza precocissima dei pericoli che il mondo presenta a una coscienza delicata e diritta. E quella stessa, eccola., in altre lettere, semplice, affettuosa, vivace, quale si rivela alla sua buona Bisi ; eccola, altrove, profonda e sensibile, esprimere con efficacia concetti e sentimenti suoi Come non ricordare quella, felicissima frase: « A Roma non si è colti a metà, e la storia patria è qui la storia universale »? E sempre, in tutte le sue espressioni, a chiunque sieno rivolte, c'è una immediatezza e una personalità originalissime. A proposito di lettere, 11011 si possono dimenticare quelle che, alia Principessa, scrisse il Lafayette: sono gioielli di devozione e dedizione assolute, piccoli capolavori di delicatissimo e profondissimo sentimento; pagine <*he onorano chi le scrisse e chi le ispirò, omaggio di un'età che si chiudeva alla nuova che s’apriva ansiosa Basterebbe questo gruppetto di lettere, pubblicate per la prima volta dal Malvezzi, perchè d'averle rese note gli si dovesse gratitudine. Ma più gli se ne dovrà quando, a lavoro ultimato, si vedrà come e quanto l’opera svolta dalla Beigioioso abbia giovato alla causa, italiana. La gentildonna lombarda, che seppe sfidare il Mettermeli 256 RASSEGNA BIBT.IOGK A FICA e tenergli testa, la gentildonna· la cui energia 11011 venne mai meno, nonostante la fragile salute, ohe fu sempre pronta- alla lotta, anteponendo il suo ideale al personale tornaconto, è riappai sa. Attendiamo che essa riviva nel grande affresco tripaiitito, di cui adesso abbiamo ammirato una parte: suggestivo inizio di un’ope-. a che non deluderà. Leona Ravenna \sturo C0DIGN0LA, Carlo Alberto in attesa del trono. Quaderni di critica, VI, «La Nuova Italia» Editrice. Firenze, 103« XIV, (pp. 129). Una serie di verità, che possono anche apparire lapalissiane, si ricava in primo luogo da questa lettura: e cioè che la liceica e la scoperta dei documenti inediti, 11011 indagati e ricopiati per sè stessi come greve materia inerte ma elemento a chiarire e illustrare fatti e personaggi, hanno nella storia recente la stessa importanza che si attribuisce loro per le età nelle (piali minori sono le fonti d informazione ; che a questo scopo sono preziosi gli archivi domestici, racchiudenti talvolta veri tesori e troppo spesso chiusi con cieca o-elosa grettezza a ogni tentativo (li penetrazione. Il Codignola infatti ha potuto valersi di un cospicuo gruppo (li lettere di Carlo Alberto messe signorilmente a sua disposizione dagli eredi del conte Lorenzo I>e Ravmondi, il colonnello finalese al quale erano dirette. Appartengono al decennio tra il 1822 e il '31, il momento più doloroso della, vita del Principe, nel quale, tra i moti del 21 e l'ascesa al trono, con la compiuta formazione del carattere egli riuscì a raggiungere la sua verità, alla quale rimase poi fedele per tutta la vita. A intendere quello spirito tutt’altro che facile e semplice non bisogna però partire da un presupposto che è piuttosto un equivoco, quello di una sua adesione, almeno nel '22, ai concetti e alle aspi- razioni (lei liberalismo. Carlo Alberto non è stato liberale nel 1*21 coinè 11011 lo fu nel 18; sua. profonda e costante ispirazione è stata lindipendenza italiana e il proposito di crearne nel Piemonte lo strumento, ^el IMS accettò con piena onestà d’intenti le forme costituzionali, lontane dal suo spirito, perchè sembravano una condizione necessaria al coni pimento della funzione assegnata al suo Stato, allo stesso modo come nel ’21, con un po’ più d’inesperienza giovanile, vide nelle cospirazioni dei suoi amici e nelle trattative coi patriotti lombardi il mezzo di avverare il sogno che gli illuminava l’accesa fantasia. E gliene sono derivati i guai e i dolori che tutti sanno. Contemporanei e posteri, viventi nel clima ilei liberalismo, sono stati portati naturalmente a, giudicare dell’opera e del carattere «li Carlo Alberto partendo, per le denigrazioni come pei le esaltazioni e le giustificazioni. RASSEGNA BIBLIOGRAFICA 257 dalla premessa di una inesistente anche se momentanea sua adesione alle teoriche e alle istituzioni liberali. Il punto di vista cambia, e con esso il giudizio, se ci mettiamo fuori di quella premessa, come oggi ci è possibile, e consideriamo che egli fu assertore^ martire dell’indipendenza, organizzatore ardito e sapiente e riformatore dello Stato, ma sulla base di concezioni in lui ben radicate, religiose e politiche, ascetiche e legittimiste. A una più profonda valutatone dell’opera e dello spirito del Re che attese per tutta la vita e aprì le guerre dell’indipendenza hanno contribuito negli ultimi anni insigni studiosi dal Luzio al Colombo, dal Salata al Rodolico. Elementi di notevole importanza storica e psicologica aggiunge ora il Codignola con un acuto esame della corrispondenza scambiata da Carlo Alberto col colonnello finalese. Rigidamente conservatore, già al servizio dell’Austria, stretto in rapporti di profonda devozione alla famiglia reale e in ottima relazione con molti principi italiani, il De Raymondi al principio dei suoi rapporti epistolari con Carlo Alberto partecipa della scarsa simpatia degli ambienti più recisamente conservatori verso il supposto traditore del ’21 ; poi, dopo le discolpe di lui e a. misura che la conoscenza diventa più intima e profonda, si converte in difensore e amico. Tutte le penose vicende di quegli anni tristissimi sono note per molte fonti, a cominciare dai numerosi scritti dello stesso Principe, ma ricevono nuova luce da queste lettere, a volta a volta sostenute o confidenziali, scambiate tra i due uomini, diversi di età e di condizione ma sempre più uniti, a misura che si conoscono più intimamente, dalla comunanza delle convinzioni. La successione al trono contesa dall’avversione di Carlo Felice e dalle mene di Francesco IV di Modena : la partecipazione alla spedizione di Spagna, vivamente desiderata dal Principe prima ancora che gli fosse imposta come espiazione dal Re; il viaggio di Carlo Alberto in Sardegna, la sua sorvegliata dimora a Raeconigi, e in genere tutti i difficili rapporti con Carlo l'elice trovano nella corrispondenza 1111 notevole commentario. Seguendola e collegandola, il Codignola illustra le difficili condizioni psicologiche e politiche di Carlo Alberto in quegli anni per lui terribili. 11 vecchio amico, a lungo incerto tra la fiducia ispirata dalle recise -affermazioni del Principe e i 11011 sopiti sospetti di debolezza, o di lalsita del suo carattere, 11011 risparmia i saggi consigli, finché, persuaso e fidente, si trova con lui pienamente concorde. In quegli anni ili crisi il pensiero religioso assume la parte prevalente nello spirito del giovane, nel quale acquista una precisa chiarezza la certezza del diritto divino della monarchia. Dalla concezione religiosa il dovere politico, perciò la formula: « Dio e il dovere » esprime la con- 258 RASSEGNA BIBLIOGRAFICA vinzione e il programma (lei Re, quando, definitivamente riconosciuto da Carlo Felice, gli succede sul trono. La lettera, di Mazzini e la rivoluzione francese del 1830 con le sue ripercussioni non sono state cagione, come fu detto, di una crisi del suo pensiero in senso reazionario ; ‘hanno» soltanto determinato un rafforzamento della sua ben radicata convinzione della, santità e necessità del potere assoluto per delegazione divina e della più rigida legittimità. Ma il senso religioso del dovere si estrinseca nella persuasione delle necessarie riforme, anche radicali, dello Stato, perchè possa compiere la funzione che la sovranità gli assegna. Non perciò reazionario cieco, negatore, immobile, ma, in nome dello stesso principio ispiratore, animo aperto a ogni innovazione che appaia utile a sollevare e animare il paese, anche per preservarlo -da incomposti movimenti. « Tutto migliorare e tutto conservare » sarà il suo programma, per conseguire stabilità nell’ordine politico, progresso nell* ordine civile. Questa concezione vediamo formarsi e maturarsi attraverso la corrispondenza col Raymondi in quei penosi anni delPattesa del trono. Quando la corrispondenza si arresta, Carlo Alberto, divenuto Re, ha. già una sua radicata convinzione e concezione alla quale, pur nelle mutevoli contingenze della politica quotidiana., rimarrà tenacemente fedele. Vito Vitale Mattia Moresco, Il trapasso della Corsica. « Nuova Antologia » 16 novembre 1936-XV, pagg. 177-194. Poche volte un editore di documenti ha avuto più propizia la fortuna. Di solito, il materiale che egli con paziente fatica ha raccolto e preparato attende anni o decenni prima di trovare, se pure lo trovi, chi se ne valga per opera costruttva; e il raccoglitore si conforta nel pensiero di aver lavorato, appunto, per la storia e per i posteri. Con esempio nuovo, alcuni dei documenti compresi nel recente volume I dispacci dei diplomatici genovesi a Parigi durante la ri-rolazione, hanno trovato un’immediata e magnifica illustrazione di un momento particolarmente grave e delicato nella storia di Genova e di tutta Italia, il trapasso della Corsica da Genova alla Francia. Sul canovaccio delle lettere diplomatiche di Cristoforo Vincenzo Spinola, ambasciatore genovese a Parigi, il Senatore Mattia Moresco, Presidente della nostra Deputazione, ha ricostruito, con ampia documentazione anche da altre fonti e con sicura conoscenza delle opere precedenti in materia, la storia della cessione, e, più, dei rapporti che anche dopo il trattato di Versailles del 17(>8 inter corsero tra Francia e Genova a proposito della Corsica. RASSEGNA BIBLIOGRAFICA 259 Intanto, chi ha scritto or non è molto, con imperdonabile presuntuosa leggerezza, che nelle scuole italiane si ‘insegna che Genova ha venduto la Corsica per far denari, qui è servito. Perchè dalla più alta cattedra, della scuola italiana si dimostra, ancora una volta, e con definitiva efficacia, per mezzo di quali subdole arti — a cominciare dalle celebri istruzioni dello Chauvelin del 26 aprile 1735, costituenti un insigne esempio di malafede diplomatica — Genova sia stata costretta alla cessione; ma· si dimostra ancora come questa non sia stata affatto una vendita., ma un pegno. Capzioso trattato quello del 15 maggio 1768, che l’insigne giurista sottopone ad attenta disamina ; trattato che, avendo per titolo « Conservation de l’isle de Corse à la Republique de Gênes», contiene nei suoi articoli un formidabile tranello. 11 re di Francia avrà sulla Corsica sovranità piena ed intera in cambio delle somme che egli versa alla Repubblica, alla quale deve mantenere il possesso dell’isola senza cederla ad altri, neppure ai Corsi. Ma. questa sovranità è temporanea, finché Genova non voglia e non possa riscattare il pegno restituendo le somme avute e le altre che frattanto la Francia avrà speso per l’isola. Pur troppo una tale delega di sovranità, condizionata da una eventualità troppo difficile ad avverarsi, era un’illusione; come l’altra di affidare altrui la difesa e la tutela dei proprii diritti. Tanto una illusione, che qualcuno ha veduto nella, clausola di riscatto soltanto un ripiego, concordato tra le parti, per neutralizzare le eventuali proteste dell’impero e dell'Inghilterra. Ma l’interesse che Genova e il suo rappresentante a Parigi continuarono ad avere per la Corsica dimostra che essi non ritenevano irrevocabile il trapasso. E quando all’Assemblea Nazionale, su proposta di Cristoforo Saliceti, la Corsica fu dichiarata parte integrante della Francia, lo Spinola corse ai ripari ed ebbe dal Mont-morin, Ministro degli Esteri, l’esplicita affermazione che il decreto era contrario al trattato, poiché la Corsica era soltanto un deposito nelle mani del Re, e la Repubblica poteva riscattarlo quando volesse. Ma Genova non era certo in grado di farlo ; e d’altra parte il parere dei Ministri non aveva gran peso presso l’Assemblea. Tuttavia le insistenze e le proteste dell’ambasciatore genovese ebbero l’effetto di portare la questione alla Costituente e lo Spinola ne riferì in uno dei suoi dispacci più interessanti, riassunto dal Moresco con suggestiva efficacia. Aperto dal Mirabeau, sprezzantemente avverso alla piccola Repubblica oligarchica, il dibattito, al quale presero parte tredici oratori dei diversi partiti, tra gii altri il Duca di Chatelet, Barn a ve φ Robespierre, si chiuse con una ingiuriosa e prepotente replica di Mirabeau. Il quale, premesso che, se pure Genova aveva qualche diritto, egli non credeva « qu’on doive parler longtemps l’idiome diplomatique dans cette Assemblée » con- 1 260 RASSEGNA BIBLIOGRAFICA chiuse col formidabile argomento giuridico: «Je ne regarde pas comme très dangereuse la Republique de Gênes ». Dopo questa straordinaria argomentazione, l’Assemblea accolse la proposta di Barnave di non dar corso alle proteste genovesi e di invitare il Re a far subito pubblicare ed eseguire nelPisola tutti i decreti del-l'Assemblea Nazionale. Così, per la sbrigativa prepotenza di un’Assemblea rivoluzionaria, Genova perdeva definitivamente la Corsica, ma risola perdeva a sua volta la tanto agognata indipendenza. (E lasciamo agli storici corso-francesi o franco-corsi l'asserire che non desiderasse di meglio). Inutili, naturalmente, gli ultimi tentativi dello Spinola a nome del proprio governo: la partita era perduta. Ma dalle lettere del Ministro genovese si ricava questo interessante rilievo, che acutamente conchiude il succoso studio avvincente: « I Francesi amano ripetere che Napoleone nacque allorché la Corsica apparteneva ad essi da. 1111 anno, il che costituirebbe per lui almeno un vincolo giuridico verso la nuova patria. Se non che noi possiamo dire oggi che egli era invece di già maggiorenne, allorché il governo responsabile di Francia riconosceva ancora espressamente la sovranità di Genova sulla Corsica. Perciò, anche giuridicamente, Napoleone nacque italiano ». Vito Vitale* ! Benedetto Giacalone, Americuna, Li lineria M. Bozzi Succ. Lattes, Genova, pp. 200 con 11 illustrazioni e una cartina geografica fuori testo. Sono quattro conferenze che non si può dire costituiscano un nuovo ed atteso contributo alla ricca bibliografia sull’America; del resto questo non era nell’intento dell’autore, come potrebbero invece far pensare il titolo e i sottotitoli in copertina. Ma se l’autore le ha raccolte in volume, esse non dovrebbero mancare di un valore obiettivamente divulgativo. Ora, ciò é discutibile per alcuni di questi scritti, data, l’intonazione polemica da cui vengono limitati alla contingenza che ne ha offerto il motivo. Ma è proprio necessario fare ancora- della polemica a proposito di Colombo? Non siamo ancora, d’accordo sulla sua italianità o meglio sulla sua « genovesità »? Non è stata questa inoppugnabilmente dimo-trata? Se si tratta di rispondere a quegli stranieri che ce lo contendono, non abbiamo che a. rimandarli ai documenti che provano, ma non vi è peggior male, per imporre una verità, che innalzare ad ogni occasione le vecchie e ben note impalcature di cartapesta per farle a. pezzi, non con armi nuove, ma con quelle stesse che hanno _ y RASSEGNA BIBLIOGRAFICA 261 fatto la ruggine e si rimettono in uso per la circostanza ; e poi, aggiungo, far tutt’uno del nazionalismo attuale e delle rivendicazioni storiche è più dannoso che utile alla causa, perchè mette in guardia gli avversari di fronte ad un sospettabile, quanto inesistente, punto di vista unilaterale. E così è per altre affermazioni (come quella, che si debba esclusivamente al sistema sociale e politico dell’impero incaico il dileguarsi come nebbia al sole della sua potenza e della sua stessa autonomia di fronte al pugno d’uomini di Pizaito), affermazioni che a. nostro avviso, obiettivamente, potrebbero tutt’al più avere ragione d’essere nel campo delle ipotesi storicamente interessanti, e. sono invece messe innanzi come verità assiomatiche. Tuttavia queste pagine del Giaealone, per il loro stile vivace e scorrevole, possono riuscire di piacevole lettura, quando ci introducono in quel mondo così curioso dei conquistatori spagnoli e ci parlano degli imprevedibili successi delle loro imprese da palcoscenico, ei delle romanzesche vicende attraverso le quali il vecchio mondo è venuto scoprendo l’altro ed imponendogli il suo predominio, (piando rievocano le condizioni di vita e il carattere di civiltà dei popoli indigeni precolombiani. M. Celle Filippo Noberasco, La Madon \a di Savona, N. S. di Misericordia, Tip. Brizio, Savona (1930). I 11 quarto centenario dell’apparizione di Nostra Signora di Misericordia ci ha regalato una interessante storia del grandioso avvenimento, uscita dalla penna fiorita del Prof. Filippo Noberasco. L’autore ha avuto agio di mostrare nel nuovo lavoro col sentimento della fede avita la sua attitudine alla indagine scientifica. Il fatto del l'apparizione è raccontato nei suoi particolari, sullo sfondo storico che domina e plasma : nei suoi benefici influssi religiosi e civili. La fabbrica del bel tempio è seguita nei mille dettagli e i suoi monumenti artistici, tra cui interessantissimi « la presentazione di Maria bambina al tempio » e « la visita della Madonna a S. Elisabetta », sono illustrati con vera competenza. Anche dell'opera caritativa, sorta presso di esso a. raccogliere i pellegrini, tramutatasi poi in ricovero della vecchiaia bisognosa ed in ospizio degli orfani, l’autore ci traccia la storia alla luce dei documenti e ci mostra fiorente la sua vita finanziaria con i (( capitoli » che reggono la pia istituzione. lTna gloriosa pagina di vita savonese è costituita dalle sue relazioni col santuario; relazioni che abbracciano e popolo e governanti. Lo sviluppo della divozione alla Madonna di Misericordia a 262 RASSEGNA BIBLIOGRAFICA Genova e nelle Riviere ; l'amore dimostrato ad essa da Casa Savoia e dai Papi, che contribuirono a spanderne il culto in Italia e, fuori, nel mondo, completano il quadro artisticamente condotto, cui aggiunge nuova vaghezza la descrizione del tesoro, ricco di sacra supellettile, fra cui la corona, d’oro posta sulla fronte al sacro simulacro dal mite Pio VII, il vittorioso del fiero Corso. Al testo tengon dietro 11011 pochi documenti, di cui alcuni inediti, tutti interessanti. Parlando all’autore, quando era intento al suo lavoro, io gli accennai di 1111 documento finalese, che parlava dei pellegrini affluenti a qual santuario, e promisi di farglielo avere. Altre occupazioni mi distolsero dal mantenere la promessa. Ora mi sembra il caso di farlo conoscere. È una supplica dell'abate e monaci di Finalpia al Duca di Savoia, che era entrato in possesso del marchesato (174G-47) dopo di aver sostenuto una accanita lotta con i Genovesi che 11011 volevano cederglielo, e dice : -411 czza pere ti issi in a, « L'abate e monaci di nostra Signora di Pia, marchesato del Finale, espongono all'eroica pietà di Vostra Altezza che è già inveterata costumanza che tutti i luoghi e ville di questo marchesato vengano, dopo pa.squa, processionai niente a visitare questa Vergine miracolosissima, come speciale avvocata e protettrice di questo marchesato ; il quale uso è esattamente osservato dal Borgo e dalla Marina, luoghi più cospicui del Finale, « Qualche villa, da poco tempo in qua, ha dismessa questa lodevole costumanza per portarsi, fuori del marchesato, nello stato di Genova, non ostante che dai Genovesi sia stato interdetto ai suoi sudditi di portarsi processionalmente a questa chiesa, come solevano. « Implorano pertanto con tutta som messione dal gran zelo e gustizia di Vostra Altezza che si ordini a tutti i consoli di ciascheduna di queste comunità e luoghi che in avvenire si portino secondo l’antica consuetudine a visitare dopo pasqua processionalmente questa chiesa sotto quelle pene, che piacerà a λ ostra Altezza di prescrivere. « Il che essendo di maggior gloria di Dio ed accrescimento a questa Vergine santissima lo sperano dalla magnanima pietà di Vostra Altezza ». . Questo breve documento vuole avere la fragranza di un piccolo fiore, che depongo ai piedi del taumaturgo simulacro, unendolo al serto variopinto onde il Xoberasco tanto bellamente 1 ha redimito, nel folgorio di luce che il tempo 11011 ha la forza di attenuare. li. s. SPIGOLATURE B NOTIZIE PREISTORIA . T. Ossian de Negri : ResU di una necropoli ligure trovali in Val Brevenna ni « Il Secolo XIX », là ottobre 1936. STORIA ANTICA Angelo Daglia : Libarmi in « Alexandria », agosto 1930. G. G. : Una pagina di storia romana nata sulle coste della Liguria in « Corriere Mercantile », 10 settembre 1936. G. M. : Publio Elvio Pertinace Imperatore Romano in « Corriere Mercantile », 25 settembre 193G. Giulio Miscosi : La casa di Marco Vipsanio Agrippa a piazza Ca vour in « Corriere Mercantile », 20 settembre 193G. MEDIOEVALE Ambrogio Pesce: Sulla interpretazione della parola « Ornatus » w proposito di •documenti genovesi in «Atti della Soc. di Scienze e Lettere di Genova», vol. I, fase. 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Renzo Inaurano: La Madre eli Ges! in« IIβ£ naie di Genova». U1' CRITICA D’ARTE ARCHEOLOGIA Rni, ATu,S T?’*?®11*1 CarU> Fea e 10 8tudiu dei resti di «« edificio-suturano di Al- l‘ITTI'Ii A E SCULTURA Giorgio Bei-zero: Opere d'arte a S. Lorenzo delia Costa in «Il Nuovo Cit-LuLno» (, ottobre 1936. Arturo Dellepiane: Le opere d'arte del Palazzo Reale PnLIfV<7?°S’ Sto"]blx li)3(i· «emina Ruggero Monti: La vite nell’arte a Palazzo Rosso e a Palazzo Bianco in «Il Secolo XIX», 7 novembre 1*3« forgio Berbero: In ritrattista chiavai: Francesco uut0ri0 dei sa. Giacomo e Leonardo in «il Nuovo Cittadino », 11 settembre 1936; La chiesa degli ammirai/li in «Il Nuovo Cittadino», _() settembre 1936; La chiesa oratorio del Mandiletto in «Il Nuu-« t’’ 27 settembre 1936; La chiesa di N. S. della Neve in «Il Nuova Cittadino», 8 ottobre 1930; La chiesa oratorio delia Misericordia in «Il Nuovo tttadino»,, S! novembre 1936; La chiesa di S. Marco in «Il Nuovo Cittadino» -- ottobre 19o(,; La chiesa di S. Bartolomeo di Promontorio in «Il Nuovo Cit ad.no », 30 ottobre 1936; La chiesa delle galere in «11 Nuovo CittadinoV 15 noveinbie 1936. Nugia: .A. S. delle Grazie in Sori in «Il Nuovo Cittadino’» 1 2(ÏG SPIGOLATURE E NOTIZIE ; settembre 1930. Sacerdote Luigi Biggio : La ex chiesa di 8. Pietro in Banchi e il Corriere Mercantile in «Il Nuovo Cittadino», 1 settembre 1930. Giulio Mi-.scosi: La chiesa di 8. Tommaso a Caipo d’Arena in «Corriere Mercantile», 5 settembre 1930. Gioy Olivari : La Cervara se ne va in « Giornale di Genova », 24 settembre 1930. alfa: L’ospizio c la chiesa di Porto Maurizio in «Il Lavoro», 30 settembre 1930. Panozzo : La Badia della Cervara in «Giornale di Genova », 13 novembre 1930. Anonimo: I resUmri dì Palazzo Ducale in « Il Lavoro!», 22 ottobre 1930. Emanuele Canesi : il restaurato chiostro di 8. Matteo in « lì Secolo XIX », 25 ottobre 1930. VILLE E MUSEI Ύ. Pastorino : Villa Rag pio in « Giornale di Genova », 30 settembre 1930. Anonimo : Il Museo di Archeologia Ligure e quello di Archeologia ed Etnografìa MmericaneL· in « Corriere Mercantile », 20 ottobre 1930. T. O. De Negri : Il ninfeo Archeologico ligure a Villa Durazzo Palla vicini in « Il Secolo XIX », 10 novembre 1930. TOPOGRAFIA TOPONOMASTICA ARALDICA INDUSTRIA COSTUMI Giulio Miscosi : La strada Giulia sul finire del secolo scorso in « Corriere Mercantile», 29 settembre 1930. G. M. : Il quartiere del Carmine m «Coniere Mercantile», 10 ottobre 1930; La mobilità genovese e Vultimo decreto rfeWa Repubblica aristocratica in «Corriere Mercantile», 1(* novembre 19ob. Lrre. t'trade in « Corriere Mercantile », 12 novembre 1030. Mario Maria Martim : Diorama : I Centurione, I Lomellini.... in « Giornale di Genova », 1 ottobre 1930. Giuseppe Bisogni APPUNTI PER UNA BIBLIOGRAFIA MAZZINIANA *Studi e scritti su G. Alazgini pubblicati all’estero Alexandru Mabcu, 81 mio ii Barnutin, Al Papiu-Ilarian si Josif Hodos la studii in Italia (cu documente inedite). Bucarest!, Academia Romana, 1935. In questa monografia si trovano vari accenni alla diffusione In Transilvania tra la gioventù studiosa·, delle idee di Mazzini. Ο. H. Niculesct, Tre studenti tìvnsilvani a Padova e Paria (1852-1854) in « Studi italieae », fase. II, Bucarest!, 1935. Ampia recensione della monografia di A. Marcu; segnalata, , Mazzini, die Tragedie eines Ideali sten, in « Ost Kurier », Budapest febbraio 193G. Recensione dello studio di Adolfo Saager, già segnalato. La stessa òpera è stata recensita («al (rPrager presse» di Praga del 23 marzo, dal «Neue Berner Zeitung.·* di Berna del 4 maggio, e dal «Berner Taglebatt» pure di Berna del 12 agosto 1930. Rosalie M. Castellana, Mazzini as an Intemationalist, in « Atlantica » New York, febbraio 1930. Rievocazione, assai accurata, della dottrina politica mazziniana, 72,°e"0va commemora Giuseppe Mazzini, in « Unione », Tunisi, li marzo Si dà notizie della degna commemorazione del Mazzini tenuta a Genova nel 64o anniversario della sua morte. Kaliks1 Morawski, Italia e Polonia, nel 1SJ,8. in « Polonia-Italia », Varsavia, 20 marzo 1930. Nell’esame che 1Ά. compie sulle relazioni politiche e culturali fra. il popolo italiano e , Il travaglio dell’anima di Giuseppe Mazzini, in «Corriere istriano »„ Pola, 21 febbraio 1930. Articolo di carattere divulgativo. Gian Luigi Mercuri, Mazzini, in «Italia giovane», Bologna, febbraio 1930.. Succinta recensione della monografia di G. O. Griffith. P. C., Ospitalità inglese e Mazzini, in « L’educazione fisiopsichica », Milano,, febbraio 1934. Si rievocano notissimi episodi della permanenza di G. Mazzini in Inghilterra. Miles, Antisettarismo di Mazzini, in «L’Opinione», La Spezia, 7 marzo 1930.. L’A. rievoca le varie affermazioni mazziniane nelle quali egli seppe posporre al partitola patria. X. Κ., i' marzo 1872, in «Grido d’Italia», Genova, S marzo 1930. Nota commemorativa nel 64o. anniversario della morte di G. Mazzini. Hanno ricordato con adeguati rievocazioni l’anniveisario «Il Popolo di Lecco» del 7 marzo; «La Piccola Italiana» di Milano dell’8 marzo; «Il Piccolo» «li Genova del 9 marzo; «Il Lavoro» e «Il Secolo XIX» ii Genova; «Il Popolo di Roma»; «Il Piccolo» di Roma, «Il Telegrafo» di Livorno e «La Voce, di Bergamo » del 10 marzo 1936. Nino Pastore, La casa e la camera dove è nato Mazzini, in « Il Lavoro del Lunedì », Genova, 9 marzo 193G. In modo succinto ma completo il compianto educatore illustra 1 importanza dell Istituto mazziniano. ____ Mazzini commemorato nelVanniversario della morte, in « Giornale di Genova », 11 marzo 1930. 1 ^ , ΛΓ Si dà notizia della conferenza tenuta nel salone dell’istituto mazziniano da E. A. Mare-scotti, che ha commemorato G. Mazzini trattando del centenario della Filosofia della musica. Ampi resoconti dell’importante manifestazione sono stati dati, fra gli altri giornali, da «11 Lavoro» di Genova; dal «Popolo d'Italia» di Milano; dalla «Stampa della Sera» di Tonno dell’11 marzo; dal «Giornale d’Italia» e dal «Giornale di Sicilia» del 12 marzo; dalla «'Vedetta dltalia» di Fiume; dal «Periodico» di Ferrara; (la «Pattuglia nera» di Roma (lei 15 marzo e da «Scuola» di Milano del 20 aprile 1936. Giuseppe Leanti, Giuseppe Mazzini e l’eccidio dei fratelli Bandiera·, in « Il Popolo di Sicilia », Catania, 17 marzo 1930. Si rievoca il modo poco corretto con cui si comportò il governo inglese nel b una enorme differenza, tra Mazsini italiano, e Hitler tedesco. Mazzini era tutto fronte e sguardo.... Hitler ha i baffetti. Ma quando si deciderà a troncarla con la polemica mazziniana, e a non piantar iiù grane,, il camerata.... della Vigili.·, Ettore Marroni? ». Iti Giovane Italia e Giuseppe Mazzini, in « Giornale di Genova », 2 aprile 1936. Si dà notizia della conferenza tenuta dal nostro Vito Λ itale, con la consueta· sagacia e profondità di pensiero, alTIstituto fascista di cultura di Genova, la sera del 2 aprile 193-v Siete cI’Kordo?, \ a rietà, in « La Gazzetta del Lunedì », Messina, 27 aprile 1936. A proposito della monografia .li R. Scodro, già segnalata, 1Ά. scrive: «E stato pubblicato nel ’ì!3 un libro intitolato a Mazzini visto con cuore fascista» ove ci si presenta un Mazzini camuffato da fascista, quale non l'avevamo mai conosciuto. Ci dispiace-non aver letto prima il libro ; tuttavia non ci par tardi spezzare una lancia contro la mania di far passare per fascisti tutti gli uomini del passato che abbiano in un rigo di una pagina di un libro qualsiasi della loro opera detto una parola che si assomigli anche alla lontana con quel complesso di parole e di cose serie che oggi è il Fascismo dai nostri fratelli maggiori voluto, e da noi continuato. Mazzini e bello come è; Mazzini in camicia nera diviene un pupazzo, convenzionale, accademico, rarefatto. Pericolosamente e terribilmente anacronistico. Sentimento di fascista, sì; ma anche buon senso di fascista!». Franco Sabelli, Giuseppe Mazzini. Lettere e documenti inediti, in « Grido d’Italia », Genova, 5 aprile 1936. L’A. rievoca ricordi personali di Francesco Joele sul Mazzini. 272 APPUNTI F. S.. Γη giudizio di Mazzini sulla Germania, in «Popolo di Lecco», 11 aprile 1936. „ A . - , . , , M L’A. ripubblica, commentandolo, un benevolo giudizio sulla nazione tedesca dato dal Mazzini nel 1871. F. Ogara, Del «cattivo gusto», ossia: Benedetto Croce, la «Storia■ d'italm » di D. Bosco. Va Indice », in «Civiltà Cattolica», Roma, 18 aprile 1986. Aspra nota polemica contro il Crooe, il quale in una recensione aliai Stona d'Italia di San Bosco ornata da don Ca\iglia, apparsa nel fascicolo del 20 marzo sulla «Critica», affermò, con ev idente leggerezza, che nelle prime edizioni di detta Storia «si parlava di Giuseppe Mazzini, eliti scoleva'tra le fiamme dell’inferno le mani cariche di catena o qualcosa di simile». LO., a sua volta, si dimostra storicamente ben poco informato, se può sorivere che «l'unità e l’indipendenza italiana.... poteva ottenersi in altri modi clic con lt ribellioni, congiure, assassini! e simili imprese, delle quali fu deliziata la «Repubblica romana» del Mazzini e compagni.... ». Giuseppe Brune, L’impresa d’Africa nel pensiero mazziniano, in «Popolo biel-lese ». 18 maggio 1936. χ . . 11 B. illustra le pagine mazziniane nelle quali si esortava 1 Italia a non stiantarsi dalla gara delle più potenti nazioni europee a portare, con la colonizzazione, la civiltà in Africa. P. A. Conti, Lunigianesi in Mazzini apostolo, in « L’Opinione », La Spezia, 23 maggio 1936. Il C. illustra tre eminenti figure ai seguaci del Mazzini, spesso ricordati nel suo epistolario: Pasquale Bergbini, Ambrogio Ciaoopello e Francesco Franchini. __, Filosofìa della Musica di G. Mazzini nella parola di E. A. Ma rescotti, in « Gazzetta di Casale Monferrato », 23 maggio 1936. Resoconto della conferenza tenuta il 10 marzo dal Marescotti a Genova all Istituto mazziniano, da lui ripetuta a Savona, a Rapallo, a La Spezia, a Roma ed a Bari. Giuseppe Marchi, Mazzini era Hvoluzionxi)'io anche in· musica, in «Gazzetta», E^u(S1 della°«Füofofia della musica» mazziniana. L’articolo è stato ripubblicato dal «Messaggero di Rodi» del lf» giugno. Dario Rossi, Una romantica : Giorgio Sand. La storia (l’un anello rii Giuseppe Mazzini, in « Tutto », Roma, 7 giugno 1936. . . . ( Si rievocano i rapporti del Mazzini colla Sand. Fanello, cui «i fa cenno nel titolo, dimenticato dal Genovese in casa dell’amica, alla quale, pur essendo un caro ricordo di madre, lo donò. __. Chiarimento di Alfredo Bottai, in « LOpinione », La Spezia, 13 gni- Srive il Bottai al direttori del giornale: «i tuoi commenti a una mia fiase scherzosa ai portata nell’articolo di cronaca «Orari» e il mio nome accennato in ^na paren ^ C..! ‘ s colo sull’Etiopia, assieme a quelli illustri di Labriola e di Rigola, potrebbero daie 1 impressione che io abbia cambiato idee o sia in procinto di farlo. λ-ιι,, Per debito di sincerità, lasciami dire che poco o nulla è mutato in me, idealmente, dalla -mia giovinezza. Sono e resto seguace del pensiero politico e sociale di Giuseppe Maemi». A questa lettera il giornale fa seguire il seguente commento : «Alfredo Bottai è e vuol rimanere un mazziniano. Nessuno può contestaig i qu s o tanto più che conosciamo, di Alfredo Bottai, la buona fede spinta all t. tt ino.... Del resto, il modo di pensare di Alfredo Bottai collima con tant, portai Λ., η— munente, ha attuato e rta attuando la Rivoluzione fascista. Ciò sa Alfredo Bottai 1 appunti 273 è un critico becero e facilone dell'era fascista., e che riconosce nell'avvento fascista un fatto storico di grande importanza. E *i potrebbe in proposito tessera nn lungo elenco delle conquiste rivoluzionarie, avvenute nel tempo mussoliniano ; ma preferiamo sottintendere, e lasciar sottintendere tutto que* s o ad Alfredo Bottai, elio è uomo di intelligenza aperta e non un acchiappa nuvole, come ■direbbe con romanesca vivacità suo nipote il Governatore di Roma. Abbiamo pubblicato integralmente la lettera dell'irriducibile mazziniano: al quale non possiamo pero non dire che il mazzinianesimo. tutto ben considerato, è patriottismo integrale ossia Fascismo. L’identità fra mazzinianesimo e mussoliuismo è stata intuita, capita da tutti i mazziniani •sincen: fin dal 14, quando Benito Mussolini aprì col suo genio audace e fortissimo la via ili popolo dell’Italia nuova. Se il paragone non urtasse, diremmo che il vecchio amico Bottai, interventista e patriota ■cerca la camicia e l’ha addosso. Può forse dire il contrario?». Leone Veronese, Due proclami dedicati alla memoria di Giuseppe Mazzini e di Guyliehno Oberdan, in «Piccolo della Sera», Trieste, 25 giugno 1930. Y. illustra un episodio della lotta che combattevano gli irredenti triestini, rendendo noto il testo del proclama fatto diffondere in tutta la Venezia Giulia il 10 marzo 1892, ricorrendo il ventesimo anniversario della morte di Mazzini. Il 20 dicembre dello stesso anno ricorrendo il decimo anniversario del supplizio di Oberdan, iu diffuso un altro proclama redatto da Aurelio Salii. Dl "no^l930*D1* Pr0feZÌa Rituale di Mazzini, in « La Sera », Milano, 27 giu- L>. B. pubblica la parte sostanziale della commemorazione mazziniana tenuta a Milano il 10 marzo, già segnalata. Hegdo Scodro. In grande cuore per una grande causa·: Mazzini e la Dalmazia, in « Il mare nostro », Milano, giugno 1930. j^A. rievoca le lotte combattute dal Mazzini per restituire all’Italia la Dalmazia. di storia, in «La battuta critica», Roma, maggio-giugno 193G. ota critica al Manuale del Solda-ti edito testé dal Desclée: «La figura del Mazzini è ridicolmente trattata»/. ’ in « Rassegna storica del Risorgimento », Roma, giu- gno 1930. & Succinto profilo del grande Genovese. , Herzen e i suoi rapporti con Mazzini, in «Rassegna storica del Risorsi-menj-o », Roma, giugno 1930. Segnalazione dell’importante monDgrafia di W. Giusti, già ricordata, l>i\o Bonard r, Attualità di Mazzini, in «L’opinione», La Spezia, -1 luglio 1930. Articolo di carattere divulgativo. :to alla fine della regolarissima pubblicazione 276 appunti dell’Enciclopedia Italiana in 36 volumi iniziata da pochi anni, e si tratta di un’opera di mole gigantesca) non dovrebbe essere troppo ohiedere 33 Roberto Lopez, Il predominio economico dei genovesi nella Monarchia spagnola Pag.' 65 Ninetta Sa velli, La politica estera di Genova nei riguardi del Piemonte (1701-1703).............Pagg. 75, 152, 222 Antonio Giusti, Appunti sul dialetto ligure......Pagg. 00, 166 Ferruccio Sassi, Ricerche sulla organizzazione castrense nella Lunigiana vescovile . . . *............Pagg. 135, 100 Mario Battistini, Le relazioni d’Ausonio Franchi col belga Luigi de Potter Pag. 140 Mario G. Celle, L’edizione nazionale degli scritti di Giuseppe Garibaldi Pag. 161 Mario Labò, Invito a studiare i Ricca.........Pag. 238 Renato Giardelli, Saggio di una bibliografìa generale sulla Corsica Pagg. 30, 10S, 175/ 243 VARIETA’ Una lettera di Cavour...............Pag. 107 DISCUSSIONI E COMMENTI Concludendo una polemica (Guglielmo Salvi). — Ancora dei « Quartieri di Genova antica » (Giulio Miscosi) .......Pagg. 96, 247 COMUNICAZIONI Comunicazioni della Regia Deputazione di Storia patria per la Liguria Pagg. 46, 113, 1S2, 24(> RASSEGNA BIBLIOGRAFICA Paolo Revelli, Figurazioni cartografiche di Genova (Mario Labò) . . Pag. 55 Pierre Ordioni, Pozzo di Borgo (Leona Ravenna)......» 56 La provincia di Imperia (Mario G. Celle).........» 58 Λ ito Vitale, Documenti sul castello di Bonifacio nel secolo XIII (Onorato Pastine).................Pag. 115 Guido A. Quarti, La guerra contro il Turco in Cipro e a Lepanto, 1570-1571 (Fì*o Vitale)...............pag. ng Raffaele Di Tucci, il genovese Antonio Malfante. La famiglia, La vita, L’esplorazione del Sahara nel 1447 (G. Salvi) . . . . . . . . Pag. 121 278 INDICE Augusto Gallico, Tunisi e i consoli sardi (181G-1834) (Leena Ita renna) Pag. 1-4 Valentino Coda, Scritti e discorsi a cura di Dady Baldi (Mario G. Celle). » 12(» Riniero Zeno, Documenti per la storia del diritto marittimo nei secoli XXIII e XIV (T ito Vitale)...........' ' Pag' 1S’Ì Giulio Miscosi, 1 quartieri di Genova antica. Raccolte 1935 e 1930 (ir·, s.) » IH* W. N. Carlton, Paolina Bonaparte (<7. ® · · · ·. · · . * !’ lsjs Attilio Regolo Scarsella, Gli Annali d4 S. Margherita Ligure dai suoi primordi sino al 1914 (A. Piola..............Psig. l·^1 Aldobrandino Malvezzi, Cristina di Beigioioso (Leona Ravenna) . . » Arturo Codignola, Carlo Alberto in attesa del trono (Vito Vitale) . . » Mattia Moresco, Il trapasso della Corsica (Vito Vitale) .... » -58 Benedetto Giacalone, Americana (Mario G. Celle) . . · -’J Filippo Noberasco, La Madonna di Savona, N. S. di Misericordia (n°· Direttore responsabile : ARTURO CODIGNOLA Stabili:, ento Tipografico~L. CAPPELLI - Rocca S. Casciano, 1935-XV LO ZUCCHERO NEL LAVORO E NEGLI SPORTS Dato Fattuale ritmo della vita, lo zucchero dovrebbe essere l’alimento di elezione in ogni campo della vita pratica e intellettuale, dove si lavora e dove si pensa, nelle fabbriche e nelle scuole, nelle caserme e nello sport, là dove necessita attuazione pronta di energia e di velocità. Quando si lavora, il lavoro risulta fisiologicamente più economico se viene eseguito dopo un pasto ricco di zucchero, che dopo un pasto in cui abbondano grassi e came, E ciò, non solo perchè lo zucchero scalda raeno i congegni del nostro organismo, ma perchè è l’alimento praprio e più indicato nel lavojro dei muscoli. Lo zucchero è il vero carbone del motore animale, e carbone di prima qualità, anche perchè non dà scorie, nè origina, nel suo ricambio, alcuna sostanza tossica. Si comprende, quindi, come, ingerendo zucchero durante il lavoro, si possa dare un maggior rendimento e come esso possa giovare nel ristoro dopo la fatica. Sono classiche le ricerche eseguite dal Mosso e dalla sua scuola, e dal Harley, sul potere ristoratore dello zucchero nelle ascensioni alpine ed, in genere, negli sports violenti. Scrive Angelo Mosso nella “ Fisiologia ddU’Uomo nelle Alpi „ : “ Lo zucchero ha il potere di aumentare la forza dei muscoli. Dal muscolo affaticato può ottenersi una più grande energia bevendo semplicemente una soluzione di zucchero nell'acqua. A che cosa è dovuta l’improvvisa caduta di forze, la defaillance che, a volte, coglie l’atleta nel fervore della gara o l’alpinista che ascende la montagna? Indagini moderne hanno dimostrato che dipende da una discasa di zucchero nel sangue, da una ipoglic ernia. Basta allora mangiare un po’ di zucchero, bere uno sciroppo, per eentire rinascere le forze e l’energia di proseguire. „ Lo zucchero, alimento fisiologico, deve essere consumato sopratutto dai lavoratori e dagli sportivi. Dalla pubblicazione del compianto Prof. Gaetano Viale, Direttore dell'istituto di Fisiologia della R. Università di Genova : Lo zvcchero nelValimentazione9 nella terapia, itegli sports, nel lavoro. (Genova, 1933# Barabino e Graeve). GIORNALE STORICO E LETTERARIO DELLA LIGURIA La puttlicazione esce sotto gli auspici del Municipio e della R. Università di Genova, della R. Deputazione di Storia Patria per la Liguria e del Municipio della (Spezia ABBONAMENTO ANNUO : per l’Italia Lire 30 - per l’Estero Lire 60 Un fascicolo separato Lire 7,50 - Doppio Lire 15 DIREZIONE e AMMINISTRAZIONE: Genova. Via Lomtüini, n {Casa Mazzini) “TERNI » SOCIETÀ PER L'INDUSTRIA E L'ELETTRICITÀ Anonimn rnn sprie in ROMA · Via Due Macelli, 66 (Mazzo nroprio) « ,«*. »«-* · » *· «“*· « “"■■■■·· · CAPITALE L. 430.000 000 Stabilimenti in T-RNI, PAPIGN0 COLLESTATTE, CERVARA, ^L GALLETO PREa tlERA, MONTORO. SPOLETO 6 Centrali Elettriche eoa 250.000 kw installati I J· · Ti u. FLETTROTERNI. per Rome, Genova, ierni e Spoleto S” J ROMA, «« · 65765 · „ GENOVA, 5429, - 5.295 - 5292, . 52035 PRODOTTI) Libiti i» .«i.» »»«»'* in acciaio comune^ al nichel, al (j 'r