1 *f * ' 1 P?T Spedizione in abbonamento postate Μ···················Η·········Β····ϋ······ΙΙΙΗ··········1 ANNO XIII - 1937 - XV Fascicolo I - Gennaio-Marzo R. DEPUTAZIONE DI STORIA PATRIA PER LA LIGURIA GIORNALE STORICO E LETTERARIO DELLA LIGURIA PUBBLICAZIONE TRIMESTRALE Direttore: ARTURO CODIGNOLA Direzione e Amministrazione GENOVA, Via Lomellmi, 11 (Casa Mazzini) SOMMARIO Romolo Quazza, Tommaso di Savoia- Carignano nella guerra contro Genova, pag. 1 — Renzo Baccino, La strada romana Aurelia, pag. 15 — Gaetano Pappaianni, Notizie sulla manifattura dei cappelli in Massa di Lunigiana (s?c. XVII-XIX), pag. 26 — Antonio Giusti, Appunti sul dialetto ligure, pag, 35 — VARIETÀ: Riccardo Maineri, Pellegrino Broccardo, pag. 42 — Renato Giardelli, Saggio di una bibliografia generale della Corsica, pag. 45 — Comunicazioni della R. Deputazione di storia patria per la Liguria, pag. 50 — RASSEGNA BIBLIOGRAFICA: L. Borello e M. Rosazza, Storia d'Oropa; Oropa storica, preistorica e proto-cristana — L. Borello e M. Rosazza, Oropa : Santuario, Celti, Streghe ed altre cose (Carlo Bornate) — Atti della Sezione di Savona della i£. Deputazione di storia patria per la Liguria (Renzo Baccino) — Ludovico Giordano, Vie Liguri e Romane tra, Vado e Ven-timiglia (Renzo Baccino) ™ Ludovico Giordano, Il Castelvecchio d'Oneglia (Renzo Baccino) — Italo Scovazzi* Il primo romanzo di A. G. Barrili — Italo Scovazzi, Due inedite poesie di A. G. Barrili — I. Scovazzi, A. G. Barrili — I. Scovazzi, Confidenze giovanili di Pietro Sbarbaro (Leona Ravenna) — Atti della Società economica di CMavari (Leona Ravenna) — Arturo Codignola, La monarchia di Savoia e VInghilterra nelVultimo periodo del predominio tiapoleonico (Leo?ca Ravmna) pagg. 56-74 — Renzo Baccino, Spigolature e notizie, pag. 75. CASSA DI RISPARMIO E MONTE DI PIETÀ' DI GENOVA RICEVITORE PROVINCIALE PER LA PROVINCIA DI GENOVA FILIALI “^————————— GENOVA - CENTRO (Agenzia A) (Agenzia B) GENOVA - SAMPIERDARENA GENOVA -SESTRI GENOVA-PEGLI GENOVA-VOLTRI GENOVA -RIVAROLO GENOVA - B0LZANET0 GENOVA - PONTEDECIMO GENOVA-NERVI GENOVA -VALB1SAGN0 ALASSIO PIETRA LIGURE ALBENGA PIEVE DI TECO AREN7.AN0 SAPAlLO B0R0K3HERÀ RECCO RUSALLA REZZOAGLIC CAMPOUGURE S. REMO CHIAVASI s. margherita ligure FINALE LIGURE SESTR! LEVANTE IMPERIA II taggia LOANO TORRIGLIA MONTCGGIO VARAZZL NOVI LIGURE VARESE LIGURE CREDITO ITALIANO LOCAZIONE CASSETTE DI SICUREZZA DEPOSITI DI TITOLI A CUSTODIA alie condizioni più modiche SERVIZI SPECIALI PER TITOLI DI STATO E OBBLIGAZIONI DIVERSE Appositi affici e sportelli per fornire a chianque tutte le possibili infcrmazioiii e notine. Pubblicazione di due interessanti periodici che vengono spediti gratuitamente a richiesta. tutte le mmm DI BIRU Anno XIII - 1937-XV Fascicolo I - Gennaio-Marzo GIORNALE STORICO E LETTERARIO DELLA LIGURIA Direttore: ARTURO CODIGNOLA Comitato di redazione : CARLO BORNATE - PIETRO NURRA - VITO A. VITALE TOMMASO DI SAVOLA-CARIGNANO NELLA GUERRA CONTRO GENOVA 1) Tommaso coadiutore dell7opera paterna. Nella· vasta attività, politica del governo cinquantennale di Car- lo Emanuele I. Topera del duca fu sempre integrata da quella dei principi suoi figliuoli, non appena questi furono giunti ad un’età conveniente; ed il loro carattere, la loro personalità ebbe modo di foggiarsi e di manifestarsi, con linee ben determinate, mentre il padre era ancora vivente e mentre ancora esercitava in diritto e in fatto la sua autorità suprema. Dei numerosi figli maschi (Filippo Emanuele, Vittorio Amedeo, Emanuele Filiberto, Maurizio, Tommaso) — morto giovinetto il primo, passato al servizio di Spagna il terzo, che morì poi nel 1624, avviato per la via ecclesiastica il penultimo — solo Tommaso rimase in realtà a fianco del principe ereditario a svolgere con lui opera di diplomazia e di guerra. L'animo ardito e la fermezza di Tommaso adolescente si erano manifestati già nella prima lotta per il Monferrato e contro la Spagna, e nella energia, con la quale in essa aveva adempito a missioni difficili e delicate. Più tardi aveva fatto ottima prova come governatore della Savoia ed aveva rivelato buone doti di prudenza e di accorgimento. Prima che la difficile situazione politica e l’aspra guerra del 1628-30 gli dessero occasione di manifestare ampiamente il suo acuto e sano criterio e la larghezza delle sue vedute, anche la guerra contro Genova gli permise di mettere in evidenza il valore personale e la serietà, con cui eseguiva gl’incarichi affidatigli. Come studio dello sviluppo di una interessante personalità e per gli elementi, che l’epistolario di Tommaso fornisce alla conoscenza delle particolari vicende di una guerra poco nota, correggendo notizie inesatte, l’opera svolta dal principe di Carignano in quel periodo di tempo è degna di essere rievocata, pur non essendo apparentemente di primaria importanza. ROMOLO QUA ZZA 2) P re μη razione diplomatica alla guerra. L'intervento militare austro-spagnuolo in Valtellina dopo il Sacro Macello (luglio 1620) e il trattato di Milano (gennaio 1622), modificando l’equilibrio generale, spinsero Venezia a ordinare al suo ambasciatore a Parigi di propugnare una vigorosa azione francese contro la Spagna e di mantenersi perciò in istretto contatto con l’inviato sabaudo (*). 1112 novembre 1622 Luigi XIII s’incontrò con Carlo Emanuele I ad Avignone. Conferenze attivissime si tennero tra il duca, l'ambasciatore veneto a Torino, Morosini, l’ambasciatore veneto in Francia, Pesaro, il guardasigilli Caumartin, il Puisieux, lo Schom-berg, il Bullion, l’ambasciatore francese a Torino, Claudio Marini. Ai colloqui di Avignone ne seguirono altri tenuti a Lione. Ma per l’astensione degli Svizzeri e per le esitazioni della diplomazia veneziana la lega antispagnuola ideata doveva subire in pratica molte limitazioni. Il movimento contrario a casa d’Asburgo, disegnatosi in Francia, in Italia, in Germania, era di entità ragguardevole; ma troppo disparati erano gli elementi, che a quell’azione avrebbero dovuto collaborare : il papa e i principi evangelici di Germania, il re di Francia e quello d'Inghilterra, il re di Danimarca e gli Svizzeri, le Province ITnite, i Grigioni e Venezia, il duca di Savoia e il duca di Mantova. I membri di una siffatta vasta alleanza avrebbero avuto interessi troppo discordi per raggiungere vera efficacia. Nondimeno, anche nelle sue proporzioni ridotte, la lega franco-veneto-savoiarda, firmata il 7 febbraio 1623 a Parigi, destò vive apprensioni a Vienna e a Madrid. L’Olivares, il 14 dello stesso mese, preoccupato dalle contemporanee trattative francesi coi Paesi Bassi e col Mansfeld, si decise a firmare una convenzione, per la quale le fortezze della Valtellina e la contea di Chiavenna dovevano essere consegnate al papa, che le avrebbe tenute fino alla conclusione di un accordo (2). Le cose erano a tal punto, quando morì Gregorio ΧΛ e fu eletto papa Urbano Vili (23 agosto 1623). Questo, nel novem- 0) Anhorn Barth, Gra-Biinter Krieg (1603-1629), Coira, 1X7^; A. Zeller. Eludes critiques sur le règne de Lowîs XIII. Le connétable de Limites. Montau-6an et la Valtelline, Parigi, 1879; Richelieu et Ics ministres de Louis de 1621 à 162.'f, Parigi, 1880; Luzzi, La S. Bartolomeo della Valtellina, Firenze, 1885; G. Fagniez, Le pere Joseph et Richelieu, Parigi, 1894; G. HanotaUX, La crise européenne de 1621, in Revue des deux Mondes. genn.-febb. 19(12. (2) L. Arezio, La politum della S. Sede rispetto alla Valtellina dal concordato di Avignone alla morte di Gregorio XV (12 tiov. 1622-8 luglio 1623), Cagliari. 1899; R. Quazza, Politica europea nella questione Vaiteliinica. (La lega franco-veneto-savoiarda e la pace di Monçon), in N. Ardi. Veti., N. S. XLII (1921) e La politica di Carlo Em. 1 durante la guerra dei trentanni, in mise. Carlo Emanuele / della Soc. st. sub., v. I, 1930. TOMMASO DI SAVOIA -CARIGNAKO NELLA GUERRA CONTRO GENOVA bre, riprese le trattative dirette per la questione valtellinica, ottenendo che al Pastrana, ambasciatore spagnuolo a Roma, venissero conferiti ampi poteri e inducendo il debole Sillery, ambasciatore francese, a concedere che fosse assicurato libero passaggio per il territorio valtellinese alle truppe che tornavano dalla Germania, con la sola· riserva che la libertà religiosa della valle fosse garantita da determinati patti. Ma, caduto il fiacco governo dei Brularts in Francia (febbraio 1624) ed entrato poco dopo nel consiglio reale il Richelieu, il giuoco diplomatico si fece serrato e intenso. Il 10 giugno 1624 Luigi XIII firmò il trattato franco-olandese e le istruzioni per il marchese di ('oeuvres, destinato in Valtellina: così in uno stesso giorno apparivano compendiati gli effetti di una vasta manovra politica. Però il Morosini, succeduto al Pesaro l’agosto 1624 nella carica di ambasciatore presso Luigi XIII, dichiarò che Venezia non intendeva turbar la pace d’Italia e che giudicava Carlo Emanuele intento più a conseguire i propri fini che ad ottenere la restituzione della, Valtellina. Nonostante la freddezza della Repubblica, il Richelieu ritenne opportuno assecondare almeno una parte delle depilazioni del duca sabaudo. Il o settembre 1624 a S. Germano, pre--sente, ma non assenziente, l’ambasciatore veneto, si stabilì dunque che a metà novembre sarebbero stati pronti i contingenti stabiliti dalla Lega; qualche giorno dopo, si precisò che era conveniente favorire una diversione del Mansfeld nel Palatinato e un’azione sabauda in Liguria. Venezia, che in quel momento era rappresentata a Torino da Girolamo Priuli, succeduto al defunto Lorenzo Parata, sconsigliava al duca l'impresa di Genova, facendogli osservare che, occupato in quella non facile campagna, egli avrebbe lasciato il Piemonte in mano ai l· rancesi. Ma Carlo Emanuele confidava di poter ricavare qualche cosa dall’impresa, anche se ardua. Gli accordi concernenti Fazione furono presi a Susa dal 20 al 22 ottobre 1624, e i patti furono tenuti segreti. Col pretesto di sostenere i suoi diritti sul feudo di Zuccarello, Carlo Emanuele avrebbe inviato verso la Liguria 25.000 fanti e 3000 cavalli; una poderosa flotta, della quale le Province Unite, l’Inghilterra e il duca di Guisa, governatore della Provenza, avrebbero fornite le unità, incrociando tra Albenga e Rapallo, avrebbe ostacolate le comunicazioni della Spagna coi porti liguri. Intanto, sollecitati dal marchese di Coeuvres, i Grigioni avevano preso le armi e con l’aiuto delle riserve francesi e svizzere avevano rioccupato Coirà, Meyensfeld, Steig ed altri paesi verso il l'irolo e continuavano ad avanzare. 11 Coeuvres nel novembre riconquistò Tirano, Sondrio, Bormio; ma ben presto ricominciarono le 4 ROMOLO QUA ZZA difficoltà (M. Abbandonata a sè, la spedizione francese non poteva che fallire ; perciò il 20 dicembre 1624 il Richelieu rimproverò lo Scaglia, ambasciatore sabaudo, in presenza del Morosini, pei· la mancata diversione alla frontiera occidentale della Lombardia. Car- lo Emanuele non aveva, invero, garanzie sufficienti per intraprendere una lotta, nella quale, per la freddezza di Venezia, avrebbe dovuto sopportare da solo il peso maggiore. 3) Conversazioni politiche di Tommaso a Parigi. Mentre si intensificavano i preparativi di guerra, a Parigi il 6 gennaio 1625 si celebravano con grande solennità le nozze tra Tommaso di Savoia-Carlgnano e Maria di Borbone-Soissons (2) : questo matrimonio, come già quello di Cristina con Vittorio Amedeo, doveva cementare l’unione franco-sabauda, e gli si attribuì lo scopo di arrecare al governo di Torino l’appoggio particolare di una delle più grandi e potenti famiglie di Francia, rientrata nelle grazie sovrane. Il principe sabaudo, durante il suo soggiorno nella capitale francese, approfittando delle circostanze favorevoli, non mancò di svolgere opera vigile in favore del programma paterno. Partecipando alle quotidiane riunioni prescritte dal cerimoniale della corte, specialmente al circolo tenuto tutte le sere dalla regina madre, egli aveva modo di venire a conoscenza di molti avvenimenti e di sentire come questi venivano valutati. Spesso gli accadde di strappare indirettamente dalla bocca stessa di Maria de’ Medici dichiarazioni di notevole interesse. Da poche ore, ad esempio, il 12 gennaio 1625 si era diffusa la notizia della rivolta del Soubise, fortificatosi nell’isola di Ré e impadronitosi di Tal mon, quando la regina madre, alla presenza del l'ambasciatore inglese conte di Carli le, dichiarò a Tommaso, recatosi la sera ad ossequiarla, che la pericolosa novità non avrebbe distolto il re dalle deliberazioni già prese riguardo all’armamento del Man-sfeld e all’invio del Lesdiguières in Piemonte. Ella assicurava che Luigi XIII sarebbe stato contemporaneamente in grado di punire i ribelli e di aiutare gli alleati d'Italia, contrariamente alla voce divulgatasi, secondo la quale gli sarebbe stato necessario trattenere le forze all’interno. Le stesse cose confermò anche il Richelieu, recatosi dal principe il 13 gennaio in visita di rallegramento per le avvenute nozze. Coll’astuto Cardinale la conversazione si trasformava in vivace schermaglia ed assumeva maggior valore politico. Biso- (!) Γ. Martinelli. Le guerre per la Valtellina nel see. XVII. Viirese, lil.Ti. (2) R. Quazza, Come ebbe origine la Casa di Carignano, in Conri riunì, n. 2, 1937. TOMMASO DI SAVOIA-CARIGNANO NELLA GUERRA CONTRO GENOVA 5 gii ava essere sempre presenti a se stessi ed accorti, poiché l’abile uomo di stato non mancava di tendere le sue reti ogni volta gli si offriva l’occasione. Ma nel principe sabaudo non venivano meno il controllo e la vigilanza.; la sincerità vigorosa delle sue asserzioni rendeva spesso vane le arti del furbo interlocutore. Sfuggì così alle insistenti premure del Cardinale, che, offrendogli con parvenza di molta generosità di anticipare una forte somma per il pagamento di milizie assoldate, voleva indurlo a firmare in nome del padre un’altra convenzione, nuovo pesante legame. Pur ricusando, Tommaso non omise di rilevare le grandi spese sostenute dal duca e si lagnò del ritardo del Conestabile a entrar re in azione, per cui si aggravava il dispendio. Ebbe anche l’accortezza di provocare significative, implicite rivelazioni sul programma, che il governo francese intendeva attuare. Invitando il ministro francese a riflettere che « nella grand’impresa conveniva pensare come potervi impegnare li signori Venetiani, li quali, non attaccandosi lo stato di Milano, staranno alla finestra a risguardare l’ope-ratione dell’altri », riuscì infatti a fargli ammettere che Luigi XIII non escludeva l’eventualità di un assalto al Milanese, ma che per il momento non « era nell’intiera necessità di farlo ». Da questi colloqui il principe si formò dunque la» convinzione che l’intendimento francese non era di far guerra aperta contro la Spagna, ma di agire, se mai, contro quest’ultima solo in forma indiretta. Nella complessa serie dei negoziati, che si svolgevano sotto i suoi occhi nella capitale francese, dove si aggiravano agenti olandesi e dove Urbano VIII con l’invio di Bernardino Nari cercava invano una soddisfacente soluzione dei problemi valtellinesi, Tommaso e l’abate Scaglia dovevano vegliare e manovrare, affinchè non si abbracciassero risoluzioni contrarie agl’interessi sabaudi (*). (*) Tommaso al padre Carlo Emanuele I, Parigi, 14 gennaio 1625, Arch. di st. Torino, Lett. Principi Savoia, mazzo 4!). Riportiamo la prima parte della lunghissima lettera : « Con l’occasione, ch'il Bellagione se ne passa dal Sig. Contestabile con la capitolatione da lui accordata con gli Olandesi, della quale con l’ultimo spaccio fatto a V. A. se n’è mandata copia, giudico mio dovere di darle conto di quanto m’è occorso doppo l'ultime lettere mie. Ha-vendo però continuato d’essere tutte le sere a compire con la Regina al gabinetto, trovandovisi anche talvolta il Re secondo l’uso di questa Corte, ha-vendo impiegato il remanente del giorno nel render le visite a questi Pren-cipi e Prencipesse, come pure tuttavia vado continuando di fare: hieri avanti alla sera essendo dalla Regina madre, et in compagnia sua il Conte di Carline Ambasciatore Inglese, si occorse trattare della nova ch’a il medesimo giorno gionse delle novità di Sobise, le quali consistono, ch'essendo imbarcato sopra vaselli, che s’erano radunati nel basso Poitù verso Sable d’Hollona s’era transportatto nell’isola di Retz et ch’ivi si fortificava havendo da otto a novecento huomini con quali haveva anche sorpreso Talamone; sopra la qual nova la Regina madre assicurò, che non occorreva che si dubitasse, ch’il Re cambiasse cos’alcuna sopra le resolutioni prese tanto dell'armamento de 6 ROMOLO QUAZZA In quel delicato momento acquistava notevole valore proprio Γο-Itera personale del principe di Carignano, poiché il Richelieu ci teneva a mostrare in lui particolare confidenza e lo metteva via via a parte dei colloqui del Nari e del nunzio pontificio (*). Lo informò Mansfeld, che per le cose d’Italia, dove il Contestabile andarebbe per l'ese-qutione di quello s’era concertato, aggiungendo, che ninna cosa mai saprà impedire le resolutioni già prese, et che saprà molto ben il Re castigare li soi Rebelli, et assistere alli soi confederati. Disse che questa novità era stata fomentata da Spagnoli, ma però con denaro che poteva anche essere venuto da finanzieri malcontenti di Francia. Il card. Richelieu fu hieri sera a visitarmi, et doppo haver compito con un ufficio pieno di cortesia et d'affetto per l'occasione di questo mio viaggio; m'ha largamente testificato la dispositione di Sua Maestà nel voler proseguire tutti gli concertati, dicendo che Spagnoli non havranno avanzato per le novità, che fanno far a Sobise con 400 mila franchi, che hanno fatto pagare al medesimo: che il Re haveva datto ordine per la levata d’alcuni terzi, et per la provisione de vaselli per andare a reprimere gli dissegni di Sobise, et che questo non impedirebbe che si sollecitasse sempre d'avantaggio la calata del contestabile con le troppe ordinate et che Sua Maestà non mancherebbe a cos’alcuna necessaria a quello concerne il dissegno della grand’e principal impresa. « M’ha grandemente pressato per il danaro di Mansfeld, dicendo che il Re l'havrebbe avanzato del suo, ogni volta che io mi fussi obbligato, che V. A. lo restituirebbe accennando di farne compensatione con quello che dovranno quà, et di più sollecitavano, perchè dovessero approntarsi al più presto gli Vaselli d'Ollanda. « Ho rapresentaco in risposta di tutto questo le spese molto grandi fatte da V. A., et il statto nel quale si trova, di non poter tardare ad operare, ha-vendo ogni cosa pronta: ho esagerato il pregiuditio, che porta la tardanza del Contestabile a non passare con le troppe, e promesso che la trovaranno molto più forte, che non è obbligata per la capitolatione fatta : che nella grand'impresa, conveniva pensare come potervi impegnare gli SS.ri Venetiani ; li quali non attaccandosi lo stato di Milano staranno alla finestra, a risguar-dare l'operationi dell'altri. Il detto Sig. Cardinale ha in risposta detto, che questi hanno promesso d’attacare la Valtolina ogni volta che il Contestabile sii in Piemonte, che conviene cominciare ad impegnarli in questo, et per il resto di più. che converrà che V. A. vaddi destreggiando ; ch’il Re non diceva già di non ha versi a condurre ad attacar il statto di Milano, ma che sin'hora, non era nell'intiera necessità di farlo.... ». i1) « M'ha il Cardinale anche detto l'arrivo di Bernardino Nari, il quale sarà dimani all’audienza di S. M. Assevera che per quello risguarda la Val-tollina, che non si sortirà da la continuatione dell’esequtione, essendosi in questa conformità ordinato a Coure d’ellegere uno del li doi partiti o di fare il forte incontro a quello di Fuentes, e poi andar aH’acquisto di Bormio, o vero d’attaccar Chiavenna e Riva e che per quello che risguarda il Papa, hanno le loro risposte pronte, con le quali credono di molto ben sodisfarlo et apagarlo, havendo in tutti li soi discorsi testificato una generosa resolutione in S. M. circa l’assistere in tutte le parti vigorosamente e senza lasciar luogo a trattatione alcuna. « L'Abbate Scaglia havendo già veduto questo Nuntio, e nel medemo tempo Bernardino Nari, che gionse l’altra sera; egli ha in conformità del comando di V. A. procurato di render gli uni e gli altri certi dell’interesse che V. A. prenderà sempre come proprio d’ogni sodisfatione del Pontefice, et havendo procurato d’aquistar ogni maggiore confidenza con essi, acciò gli possi servire per penetrare con quali concerti siano qua per negotiare. Nel TOMMASO DI SAVOIA-CARIGNANO NELLA GUERRA CONTRO GENOVA così di aver cercato di attirare anche il papa nella lega, insinuando che « potendo forse le cose andar più avanti di quello risguarda la Valtellina, poteva anche la Santità Sua pensare a far il suo profitto, poiché Spagnuoli tenevano molto di quello de la Chiesa et che non era gran tempo che era statto di essa, come l’Abruzzo ». Ma questo suo accenno non aveva destata nei rappresentanti papali nessuna eco; e l’asprezza· delle conversazioni cresceva, così che lo Scaglia intervenne presso di loro, esortandoli a « prender il negotio con dolcezza » P). Anche Luigi XIII, a corte o durante le partite di caccia, parlando col principe di Carignano entrava spesso in argomenti politici. Ripetutamente dichiarò che l’azione degli Ugonotti non lo preoccupava, poiché riteneva che, pur ricercando aiuti forestieri, avessero forze ridottissime. L’inattesa ribellione non avrebbe quindi avuto influenza sull’impresa d’Italia. Appunto durante una caccia intorno alla metà di gennaio, avendo il re ripreso l’argomento, Tommaso colse l’occasione per dire che il Lesdiguères non era ancora disceso in Piemonte. « Subito Sua Maestà, voltatasi verso di me — scrive il principe il 23 gennaio — mostrò con qualche alterazione meraviglia e disse che a punto se ne meravigliava et liaveva causa di dolersi d’esso, ch’anco retardasse, doppo haver havuto tutti li recapiti necessari, et essere statto tante volte comandato di partire, oltre che quando si trovava esso Contestabile qua, a la corte, non faceva che sollecitare la- sua partenza, per passarsene in Piemonte, et bora, che vi si trova sopra le porte, non era modo di incaminarlo ». Pochissimi giorni dopo, tanto il sovrano quanto il Cardinale si affrettarono ad informare il principe che era pervenuto l’annunzio dell’ingresso del Canestabile in territorio sabaudo (2). Non restavano ormai a Tommaso che pochi giorni di dimora in Francia, poiché l’intensificarsi della, preparazione militare in Piemonte e l’inizio della guerra l’avrebbero ben presto richiamato in patria. Ricevette la visita del padre Monod, che era allora al principio della sua carriera; ma, non essendone stato preavvisato da Torino, non gli accordò confidenza, ascoltando tuttavia i giudizi sul modo di spingere Luigi XIII ad aperta guerra contro lo stato longo discorso ch’ebbe con loro non ricavò altro, salvo che il Papa manda a fare larga esageratione sopra le attioni di Coure, e mostra desiderio della pace fra le due Corone, ma però senza ch’habbino propositioni particolari per quest’effetto, sì come anche per la sodisfattione ch'il Pontefice possi pretendere per se. Gli dissero che questa doveva sortire da qua ; egli continuarà a trattare con essi loro, tanto più essendo il Nari suo amico vecchio di Roma, e V. A. sarà avisata di quello si penetrarà di qua, e si starà avertiti perchè non eschi di quello che si deve al disegno di V. A. sopra quest’effetto.... ». Tommaso al padre, Parigi, 14 gennaio 1625, cit. (1) Tommaso al padre, Parigi, 16 gennaio 1625. Ivi. (2) Tommaso al padre, Parigi, 23 gennaio 1625. Ivi. 8 ROMOLO QUAZZA di Milano. Raccolse ancora, trasmettendole al padre, le notizie a mano a mano più gravi sullo sviluppo dell’impresa ugonotta e sugli ordini dati al duca di Guisa per cooperare con la flotta di Provenza alla spedizione contro Genova (*). Ricevuto il 25 gennaio l’ordine di richiamo, notificò al padre che sarebbe partito per Cliambéry, dove sperava di « trovar qualche suo comando ». In caso negativo, aggiungeva, « passerò di longo per trovarmi a tempo in così buona occasione » (2). 4) L'inizio della campagna contro Genova. Lasciata la sposa a Parigi, affinchè potesse più comodamente fare i preparativi per la partenza, il principe Tommaso i primi di febbraio raggiunse Cambéry, mentre l’esercito del Lesdiguières entrava in Piemonte per le due vie del Monginevro e del Moncenisio. Il primo giorno di febbraio 1625 il Conestabile e il Créqui erano a Torino, il 13 a Vigone; il 4 marzo sotto Asti si fece la rassegna generale dell’esercito: 23.000 uomini, de’ quali un terzo Francesi (3). Nacquero tosto dissensi fra i capi per la completa diversità di vedute intorno al piano d’attacco. Per irrompere nel Genovesato, si offrivano due vie : l’una attraverso il Monferrato, l’altra per lo stato di Milano. Il Lesdiguières, il Créqui ed altri proposero di assediare subito Savona ; ma il duca di Savoia insistette per penetrare nel territorio della Repubblica, seguendo la via di Acqui e Capriata. Il 0 marzo si iniziò la marcia attraverso il Monferrato. Il Colie-stabile chiese al duca di Mantova e Monferrato, Ferdinando Gonzaga, alloggio in San Damiano e Nizza; rifiutatesi di cedere, Niz- (*) a.... È gionto corriero mandato dal S. Dica di Guisa a S. M., con aviso che vedendo egli, che le otto galere de’ Genovesi, che si sono cacciate nelle isole di Yeres non si levano da quelle, mentre ponno pigliar porto nelli lochi vicini, Esso Duca di Guisa loro aveva mandato a dire che il starsene in dette Isole con le gelosie che davano non era termine di buon amico, et che perciò li convitava di prender porto, non havendo ragione di fugirlo, poiché sarebbero sfatte ben ricevute e trattate, come sempre s’era fatto verso di loro; che per risposta le havevano mandato, di non voler partire da quel posto, per prender porto, e che cossi havevano ordine di fare; per il che esso Duca di Guisa, vedendo che non compliva a la reputatione di S. M., il sopportare dette galere colà, haveva commandato alla Capitana delle galere di S. M. di mettersi al mare e necessitare con la forza la partenza di quelle.... ». Ibidem. Ma vedi sopratutto la lettera di Tommaso al padre del 22 gennaio. Ivi. (2) Tommaso al padre, Parigi, 25 gennaio 1625. Ivi. Altra al fratello Vittorio Amedeo, stessa data. (3) L'esercito del Lesdiguières si componeva dei reggimenti di Normandia, di Sault, Chappes, Trémon, Bonne, Blancon, Sancy, Tallard, Vaubecour, Beaufort, La Grange : tutti considerati sceltissimi. Dufayard, Le connétable de Lesdiguières, Parigi, 1892, pag. 539 e segg. TOMMASO DI SAVOIA-CARIGNANO NELLA GUERRA CONTRO GENOVA 9 za, Rocchetta Palafea e Mombaruzzo furono saccheggiate con estrema violenza. Anche Capriata fu messa a sacco; ma per le proteste del Gonzagna (*), Carlo Emanuele ordinò che, per quanto era possibile, si restituissero gli averi sottratti ai legittimi proprietari. Ad Acqui e a Strevi si iniziarono fortificazioni e si sottoposero gli abitanti a contribuzione; Novi fu occupata dal marchese d’Uxelles, Carlo Emanuele e Vittorio Amedeo avanzarono su Creinoli 110 e su Ovada, in direzione di Voltri. Geronimo Doria aveva rinunziato a difendere Ovada, ma aveva innalzato forti difese a Rossiglione e si era diretto su Voltaggio per sbarrare il passo al Lesdiguières, lasciando libero il col Masone ai Sabaudi. Occupata Ovada, Carlo Emanuele assalì Rossiglione, che fu occupata il 17 marzo grazie al valore del principe Vittorio Amedeo. Vennero rapidamente presi Campoligure e Masone; la minaccia, ormai, incombeva su Voltri. In Genova intanto, alle prime notizie dell’avanzata nemica., si era diffuso un vero panico. Gli animi però si risollevarono appena si fece strada la convinzione che il col Masone non sarebbe stato superato. Restava tuttavia il pericolo di un’avanzata pel colle della Bocchetta, minacciato dal Lesdiguières; inoltre il 0 aprile i Genovesi subirono una grave sconfitta a Voltaggio, dove pure il mastro di campo generale Tommaso Caracciolo e il colonnello Guasco si erano fortemente muniti (3). A tutta questa, prima fase della guerra il principe di Carignano non potè prender parte, poiché, giunto a Torino, era caduto seriamente ammalato. Solo il 27 marzo fu in grado di scrivere al padre e al fratello che le forze cominciavano a tornargli e che sperava di rimettersi presto « per poter far la parte » sua (3). Infatti, la. sera· del 5 aprile, lo troviamo ad Asti, secondo gli ordini paterni ; colà ricevette armi e munizioni ed avviò alla volta del campo le compagnie, che a mano a mano erano affluite in città (4). Due giorni dopo ebbe con 1’ambasciatore veneto, recatosi da lui, un lungo colloquio, durante il quale si sentì ripetere con insistenza J1) Quazza, Mantova e Monferrato nella politica europea alla vigilia delia guerra per la successione, Mantova, 1922, pag. 65 e sgg. (2) Dufayard, cit., pag. 542 e sgg. È da rilevare il modo pietoso, col quale il Dufayard storpia i nomi dei nostri paesi. Cfr. anche Ricotti, St. della monarchia piemontese. voli. 6, Firenze, 1864-69, IV, pag. 194. (3; Al padre scrisse : « Se prima d’hora le mani mi havessero servito, non liaverei tardato sin a questo ponto a fargli humilissima riverenza, hora piglio questa occasione di augurare a V. A. felicissime queste prossime sante feste et; colme di quelle vittorie che le posso desiderar maggiori et mentr'io procuro rimettermi per poter esser al più presto ai piedi di V. A. la suplico a favorirmi dell’honore della sua gratia». In sede cit., mazzo 50. Il Claretta. St. della reggenza di Cristina di Francia duchessa di Savoia, 3 voli. Torino, 1S6S-69, I, 76, confondendo le date, crede Tommaso in Asti fin dalla rassegna del 4 marzo. (4) Tommaso al padre, Asti. 5 aprile 1625. Sede cit., mazzo 50. 10 ROMOLO QUAZZA che, se il Conestabile e il Duca entravano nello stato (li Milano, i Veneziani col marchese di Coeuvres si sarebbero mossi immediatamente a compiere tutte quelle operazioni, che fossero giudicate opportune. All'impresa contro Genova invece la Repubblica di S. Marco si mostrava sempre ostile. La scelta di quella città come mèta dell'avanzata pareva determinata dalla prevalenza delle forze sabaude su quelle del Lesdiguières. Ma non bisogna dimenticare che la Francia, non volendo rompere aperta guerra alla Spagna, preferiva ad un’azione contro lo stato di Milano l'assalto alla Superba. Però il Coeuvres non tralasciava di adoperarsi in Valtellina per rendere sempre più difficile il passo agli Spaglinoli e faceva costruire pontoni, armati di cannoni, da mettere nel lago di Como all’imbocco dell’Adda. Il forte di Fuentes veniva ad essere seriamente bloccato così che gli Spagnuoli l’avrebbero volentieri ceduto a patti onorevoli. Ma invano pregavano il papa di promuovere un accordo. Mentre notizie inglesi davano come già deliberata un’azione concorde dei principi protestanti, entravano in Genova rinforzi spagnuoli; così si conservava, in complesso, l’equilibrio fra le parti avverse (1). 5) Carattere dell'ufficio assegnato da principio a Tommaso. Per parecchi giorni l’opera di Tommaso fu interamente rivolta alla preparazione logistica (2) ; appresa il 12 aprile la felice occupazione di Voltaggio, si rammaricò col padre di non aver avuto la fortuna di esser presente al glorioso fatto d’arme. Comunque egli avrebbe vigilato sulle mosse degli Spagnuoli, regolandosi in conformità, e anche se il nemico si avanzava fino a Nizza, contava di poter ugualmente far passare i viveri. Il 13 fece la rassegna della i1) Tommaso al padre. Asti, 7 aprile 1025. Ivi. (2) Distribuì nei vari paesi gli alloggi e i luoghi di raccolta dei vari reggimenti. Il 7 aprile il suo reggimento era a Revigliasco; quello del Fleehet a Serravalle; quello del Valencay a S. Damiano. L’indomani quello del Fleehet fu chiamato ad Asti; quello del marchese d’Urfé fu destinato ad Agliano. I Vallesani dovevano stanziarsi a Montanaro. A Castelnuovo dovevano essere alloggiate le Guardie del principe; ma il furiere, che era giunto i>er preparare gli alloggiamenti, fu minacciato da molte persone armate « che gli hanno detto che non vi venissero perchè gli dariano delle archibugiate et che non conoscevano altro che il governatore di Milano ». Fu attribuita la cosa a malvolere verso la gente di Agliano. Ad ogni modo Tommaso sospese la partenza della Compagnia delle Guardie per non esporla ad affronti.Altri intoppi sorsero a causa dei Vallesani, che non si volevano muovere da Crescentino se non pagati. Tommaso al fratello Vittorio Amedeo, Asti, 7 aprile 1625; al padre, Asti, 9 aprile; al fratello, Asti, 12 aprile; altra allo stesso, stessa data. Sede cit., mazzo 50. TOMMASO DI SAVOIA-CARIGNANO NELLA GUERRA CONTRO GENOVA 11 cavalleria di Savoia; tutte le altre truppe erano ormai dislocate in modo da poter esser raccolte entro una mezza giornata (*). Qualche giorno dopo, scriveva al fratello che aveva fatto spedire le vettovaglie richieste e che erano pronti i medicamenti ; informava il padre che stava eseguendo gli ordini per la ripartizione delle fanterie e dei cavalli e la costruzione di fortificazioni, ma gli sfuggivano parole, che mal celavano l’interno rammarico: «et poiché io non lio la fortuna di poter esser a servirla, pregarò il Signore conduca a buon line il principiato assedio et ogni altra cosa ch’ella sia per intraprendere » (2). Perdurava infatti l’assedio di Gavi, che il Lesdiguières non aveva voluto abbandonare, ricusando di marciare, subito dopo la caduta di Voltaggio, contro Genova, come avrebbe desiderato Carlo Emanuele. La notizia della presa di Gavi e dell’imminente conquista del castello — cadde quattro giorni dopo — venne al principe il 1S aprile (3). Lo svolgimento della campagna destava quindi le più grandi speranze; pareva che la via di Genova fosse ormai aperta. Tommaso, che era impaziente di combattere, tornò ad esprimere il desiderio di poter « anco esser a parte di quello si farà da qui innanzi » (4). Egli era intimamente dolente sia perchè destinato ad un compito secondario, il che poteva in parte spiegarsi per la malattia recente e per la necessità di avere persona di piena fiducia addetta al momento delle truppe e dei rifornimenti, sia perchè non del tutto soddisfatto degli onori resi alla moglie e della residenza a questa assegnata (s). Ma il i maggio avendo essa ottenuto di recarsi (») Tommaso al padre, Asti, 12 aprile 1025. Ivi. (2) Tommaso al fratello, Asti, 15 aprile 1625. Altra al padre, stessa data. Ivi. Il giorno precedente era ritornato presso Tommaso Fambasciatore veneto, e mentre si era rallegrato dei felici successi dell’impresa, aveva insistito nel giustificare la condotta della Repubblica e aveva ricordato che a Capriata sia il Duca sia il Conestabile avevano condiviso il parere che Venezia dovesse, non assalendosi il ducato di Milano, limitarsi a fornire aiuti al Coeuvres. Tommaso al padre. Asti, 14 aprile 1625. Ivi. (3) In Dufayard, op. cit., pag. 547, le date riguardanti Gavi sono confuse. (4) Tommaso al padre. Asti, 18 aprile 1625. Questa lett. è pubblicata in parte dal Claretta, op. cit., p. i, pag. 7(5. (5) Fin dal 2?» marzo Maria di Borbone aveva fatto il suo ingresso negli stati sabaudi (Lett. di Tommaso al fratello, Torino, 24 marzo 1625, sede cit.. m. 50). In lettere posteriori di Tommaso (Asti, 8 e lo aprile, al padre) sono accenni di malcontento, temperati da proteste di ubbidienza, per la residenza nella quale la sì era fatta sostare. Xe appare un'eco in una lettera di Cristina a Vittorio Amedeo del ‘21 aprile 1625: la principessa dice al marito di aver comunicato a Tommaso gli ordini del duca riguardo alla precedenza : ì' et lui a été tout étonné de cela, toutefois il dit qu’il n'a point d’autre volonté que celle de Son Altesse, et que pour Millefleurs cela se fera comme il le comande, mais que de demeurer toujours à Turin comme cela sans autre résolution, qu'il aimera bien mieux que sa femme aille avec lui en Ast. ou 12 ròmolo quazzA ad Asti presso il consorte, parve rinascere in Tommaso maggiore serenità (r). 6) Fase di attesa. Le liete fortune iniziali della guerra si erano intanto già ari-estate. Dopo la presa di Gavi, Carlo Emanuele con la maggior foga aveva proposto l’attacco immediato di Genova, ma il Lesdiguières, adducendo che gli aiuti pattuiti a Susa e a Torino erano mancati e che il rischio dell’impresa era troppo grave date le forze di cui disponevano, non aveva voluto saperne. Il ritegno del Conestabile fu dal duca sabaudo imputato al fatto che il Lesdiguières, notoriamente avido, si fosse lasciato corrompere dall’oro, per mezzo dell’ambasciatore francese, Claudio Marini, genovese d’origine. Ma anche prescindendo da ciò, la situazione della Francia, indebolita dalle discordie delle fazioni e dai moti ugonotti, era * ufficiente a spiegare la ripugnanza del maresciallo a impegnare a fondo le armi del suo re. Il fatto che i vascelli promessi dal duca di Guisa non si fossero mossi dai porti e che quelli olandesi avessero dovuto combattere alla Rochelle era molto significativo e denotava che il Richelieu aveva dovuto sospendere la lotta contro casa d’Austria per sedare la rivolta interna (2). L'interruzione della travolgente avanzata rianimò i Genovesi, e contemporaneamente, essendo nella Valtellina il Coeuvres arrestato dalla resistenza di Riva, il duca di Feria potè raccogliere notevoli forze ad Alessandria. Perciò la situazione dell’esercito franco-sabaudo, chiuso nelle valli del Lemme e della Scrivia, si modificò assai sfavorevolmente. Se gli Spagnuoli si fossero avanzati verso Cre-scentino e Vercelli, Tommaso non avrebbe potuto disporre di forze adeguate (3i. Inoltre le soldatesche, specialmente francesi, pesavano enormemente sulle risorse dei paesi occupati, suscitando da parte delle popolazioni fortissime lagnanze. Le diserzioni si fece- vraiment qu'elle demeure ou h Raeonis ou à Cariguan, et * qu’il est bien fâché qu'on montre peu de cas de lui» (in Claretta, op. cit., III. pag. 7. doc. III). Cristina conveniva che il cognato aveva ragione e suggeriva che le si permettesse di recarsi ad Asti, conducendo con se la principessa di Carignano, dopo una dimora di qualche giorno a Mirafiori. Sollecitava Vittorio Amedeo a voler intromettersi a favore del fratello presso il padre, qualora nutrisse speranza di poter ottenere qualche cosa ; in caso diverso era meglio che non se ne mischiasse affatto. (A) Lettere di Tommaso al padre e al fratello, da Mirafiori e da Asti, dal 28 aprile al 7 maggio 1625. Sede cit., mazzo 50. (2) Dufayard. op. cit., pag. 548 e sgg. (3) « .... Compreso il Reggimento di M.r Marvel che si è mandato (con qualche cavalleria) per assicurar le strade et li Valesani Svizzzeri non ho più di 3 mila fanti ». Tommaso al padre, Asti, 7 maggio 1625. Sede cit., mazzo 50. TOMMASO DI SAVOIA-CARIGNANO NELLA GUERRA CONTRO GENOVA 13 1*0 assai numerose, nonostante pubblici esempi di severità dati appiccando agli alberi delle Larighe a centinaia i fuggiaschi dai reggimenti. Modificato il primo disegno di guerra, Vittorio Amedeo ebbe rincarico di ricuperare Oneglia, caduta nelle mani degli Ispano-ge-novesi, e di impadronirsi della Riviera di Ponente. Passando attraverso il col di Nava, il principe di Piemonte 1’8 maggio 1625 assalì il nemico nelle posizioni dominanti e il giorno seguente potè conquistare Pieve di Teco. Con avanzata rapida e fortunata occupò Al-benga, Alassio, Loano; ottenne la resa di Oneglia; e infine, continuata la marcia, riuscì il 21 maggio a occupare anche Ventimiglia. A Villafranca, in un colloquio col duca di Guisa, ebbe la promessa, ancora una volta fallace, delPaiuto della flotta francese. Si avvicinava finalmente il momento in cui Tommaso, che aveva già pregato il padre di non lasciarlo « più Otioso tra quattro muraglie » (*), sarebbe stato chiamato a partecipare direttamente alla lotta. Il movimento di truppe nel Monferrato si faceva sempre più intenso; circolavano anche soldati del duca di Mantova, che, vivamente preoccupato, voleva conservarsi neutrale (2) ; il duca di Feria tra il 10 e il 20 maggio raggiungeva Alessandria ; invocava dal Gonzaga, ma invano, la consegna delle piazze e impartiva ordini ai suoi, dislocati qua e là. La fanteria spaglinola era ferma a Valenza e a Bassignano ; la cavalleria era divisa nelle terre di là dal Po, tra Sar-tirana, Sale, Voghera ; la compagnia di guardia del Feria era a Ca-stelceriolo; di qua dal Po invece, cioè a Quargnento, Solerio, Qua-tordio, Felizzano e Refi-ancore non si vedeva gente armata (3). In seguito ad avvisi contraddittori la cavalleria sabauda fu più volte spostata ad Agliano e altrove (4), mentre le fughe, gli sbandamenti rendevano difficile in conservare le unità in efticenza (5). Il 27 maggio, Tommaso, scrivendo da Asti al fratello, espresse ancora una volta lagnanze per essere lasciato in disparte quasi inoperoso; ma tre giorni dopo comunicò al medesimo di aver ricevuto dal padre l’ordine di raggiungerlo con la cavalleria (6). La situazione, invero, andava facendosi molto seria. Avvisi del 20 maggio annunziavano l'arrivo ad Alessandria di barche piene di munizioni e di armi e l’entrata in città di 10 mila trentini circa « bella e buona gente ». Si riteneva che essi dovessero dirigersi a rinforzo dei Genovesi ; ad Alessandria, fra milizie napoletane, lucchesi e spagnuo- f1) Tommaso al padre. Asti, 15 maggio 1025. Ivi. (2) Quazza, Mantova e Monferrato, cit.. pag. S5 e sgg. Anche lett. di Tommaso al padre, Asti, 16, 21 e 24 maggio 1025. Sede cit., mazzo 50. (3) Avvisi del principe Tommaso al padre, 27 maggio 1625. Ivi. (<) Tommaso al padre, Asti, 28 e 24 maggio 1625. Ivi. (5) Tommaso al padre, Asti, 20 maggio 1G25. Ivi. (®) Tommaso al padre, Asti. 30 maggio 1025. Ivi. 14 · ROMOLO QUAZZA le. si calcolavano presenti circa 18.000 uomini; e si credeva die in breve sarebbero uscite in campagna, parte verso Gavi e parte verso Nizza (*), che si riteneva abbandonata dal Gonzaga in mani spaglinole. Informazioni segrete avvertivano il duca di guardarsi bene in Acqui, dove il nemico aveva segrete intelligenze (^. Tommaso aveva però ordine di non muoversi, fino a quando gli Spagnuoli non avessero incoiiiiciata un’azione. Boetto gli recò il '2 giugno nuove istruzioni : « Io sto con impatientia aspettando — scrisse il principe il giorno stesso — aviso che costoro si movino per poter al più presto esser ai piedi di V. A. et ricuperar in qualche buona occasione il tempo perso » (3). Venne stabilito che Vittorio Amedeo, richiamato dalla Riviera, si recasse ad Asti e di là si volgesse in compagnia di Tommaso contro gli Spagnuoli, appena questi si mettessero 111 marcia (4). L'avviso giunse il 4 giugno e quasi contemporaneamente arrivò ad Asti anche Vittorio Amedeo (5). ( con t i n m1 ) Romolo Quazza (’) Avvisi del 29 maggio 1625. Ivi. (2) Tommaso al padre, Asti, 30 maggio Ki25. Ivi. (3) Tommaso al padre, Asti. 2 giugno 1625. Ivi. (4) Tommaso al padre; altra al fratello. Asti, 3 giugno 1625. Ivi. (5) Tommaso al padre, Asti, 4 giugno 1625. Ivi. LA STRADA ROMANA AURELIA (DA PISA A VADO) Vicino al tempio di Saturno c'era allora un cippo risplendente d’oro donde Roma lanciò per tutto l'orbe* sue vie selciate di sonanti sassi.... ( G. Pascoli, Poem. crisi., V1-1). I. - IL MILIARIO AUREO Nel foro di Roma immortale, non lontano dall’« Umbilicus Urbis » centro simbolico della città, e propriamente in vicinanza del tempio di Saturno i1) sorse, per opera di Augusto (2- il celebre « Mil-liarum Aureum » (Dione Cassio, L. 1V-8) sul quale stavano incisi i nomi delle superbe scie della grandezza di Roma : le strade che gli industri legionari avevano aperto per il mondo, monumenti d’una gloria senza ti ne. . Non da esso però muovevano le vie che da Roma s’irradiavano pulsanti di vita, arterie di civiltà, ma dall’antica cinta delle mura· serviane (.Agger Kervianus) (3). Il Miliario Aureo, colonna marmorea rivestita di bronzo, dovette essere come il monumento, l’esaltazione, ed insieme l’indice di tutte le strade che da Roma muovevano, con l’indicazione delle distanze (!) Iordan, Sui, rostri del Foro Romano, in a Annali dell'Ist. di corrispondenza Archeol. », voi. 55, Roma, 1SS3. (2) Il «Miliarium Aureum» sorse nell’anno 724 di Roma, allorché Cesare Augusto fu eletto « curator viarum ». (Vedi : Canina L., La I parte della ria Appia antica, Stab. Tip. di G. A. Bertinelli, vol. I, app. II, Roma, 1853, pag. 232). Prima di tale data era il censore che si occupava delle strade (Cic., De Leg., Ili, 3). (3) Lungo le vie militari ed anche lungo quelle di minore importanza, come dimostreremo in seguito, si ponevano, alla distanza di un miglio l'una dall'altra, delle pietre che si elevavano dal suolo e recavano incisa la distanza da un luogo importante : in genere da un « oppidum ». La cifra era spessissimo seguita dalla sigla M P (milia passuum), con scolpito il nome degli imperatori, consoli, censori pretori o magistrati che avevano curata l’apertura della via o l’avevano riattata. Le pietre oltre il nome di « miliarium » prendevano anche quello generico di « lapis », tanto che si diceva più spesso, ad esempio. « ad sextum lapidem » o più semplicemente « ad sextum » che non « ad sextum miliarium » (Polibio, III, 39, S), (Plutarco-C. Gracco, XI). 10 RENZO BACCINO fra le varie Realità. Intorno al Miliario, e vicinissimo al Foro, per ordine di Agrippa, era stata· disegnata la mappa dell’impero : come un immenso atlante, superbo monumento di potenza (Tacito, Hist, I, 27) (Svetonio, Otho, 6) (Plinio, Ist. Nat, III, 6, 9). Qui i generali potevano meditare i loro piani di campagna calcolando in precedenza sulle segnate distanze, le marcie degli eserciti e l’ubicazione del nemico. II. - LE GRANDI ARTERIE DELL’ITALIA SETTENTRIONALE Dalle 37 porte di Roma come .... dardi di im gigantesco sagittario tendente in giro Varco suo fatato, si lanciarono fiere tante vie per conquistare il mondo.... Erano 246 le strade: 31 militari e 215 strade maggiori (*). Strategiche si possono chiamare le vie militari « consulares » o « pre-toriae » che in origine avevano finalità esclusivamente tattiche e belliche. Esse erano tanto spesso opera di quelle legioni di ferro che seppero lasciare impronte incancellabili per il mondo antico. Architetti, ingegneri, pontieri, costruttori, colonizzatori erano i legionari e si volgevano versatilmente a qualsiasi opera che potesse far grande il nome di Roma. Queste vie delle quali l’onere gravava sullo Stato, erano mantenute in piena efficienza da funzionari all'uopo nominati: il «curator viarum» che stava generalmente a Roma ed i « mancipi » che dirigevano le stazioni principali (2). Apprendiamo da Cicerone (Filipp. XIII) che tre vie conducevano alla Gallia Cisalpina da Roma : la Flamina, la Cassia e 1’Aurelia. La Flaminia, che usciva dalla Porta Ratumena o Fontinalis della cinta Serviana e conduceva all’alto Adriatico e alla Cisalpina, tolse il rango di « Regina Viarum » all’Appia, quando la potenza espansionistica di Roma si trovò insensibilmente spostata a Nord. Fu costruita nel 187 a. C. dal Censore Flaminio, morto poi nella battaglia del Trasimeno, e si spingeva sino a Rimini (Arimi- (>) Celesia E., Porti e vie strate dell’antica Liguria. Coi tipi della Tipografia sociale, Genova, 1883, pag. 28. (Pur monca ed erronea in molti punti, quest’opera del Celesia è quanto abbiamo di più compiuto sull’argomento). (2) Celesia E., Op. cit., pag. 52. Le altre vie invece via e communales, vicinales. transversae erano aperte e conservate dai cittadini dei pagi e dei vici interessati all’efficienza di esse. A queste strade di comune transito presiedevano i magistri pagorum di antichissima istituzione. LA STRADA ROMANA AURELIA 17 num). Qui giunta si bipartiva e ne conservava il nome il ramo che volgeva a Settentrione. L’altro tronco, costruito pure nel 187 a. C. dal console M. Emilio Lepido, col nome di Emilia, portava al grande emporio fluviale di Piacenza (Placentia) fulcro d’ogni azione bellica nelle Gallie (Livio, XXI, 57; XXXIX, 2) (*). Un altro ramo della Flaminia, la Cassia, si staccava dalla grande arteria a Ponte Milvio, e, toccando Veiq, Volsini novi, Chiusi, Cortona, Arezzo, Firenze, sboccava nell’Aurelia fra Pisa e Luni. Infine la terza od Aurelia (da Aurelio Cotta censore nel 241 a. C.) per il « Pons Aurelius » conduceva al Gianicolo e di qui, attraversando l’Etruria, portava a Pisa (Pisis) importantissimo centro militare pari a Piacenza (Livio XXXIX, 2). Difatti al tempo delle guerre liguri un console risiedeva nel « castrnm » di Piacenza e l’altro a Pisa. Quivi metteva anche un ramo della Cassia, la Clodia, che da Viterbo portava in Etruria (2). III. - COME NACQUE IL SEGMENTO LIGURE DELL’AURELI A Correva l'anno 109 a. C. Gravi nubi si addensavano sulla Cisalpina. La marea de’ Cimbri e dei Teutoni premeva minacciosamente sulla resistenza romana. Le orde barbariche avanzavano con inesorabile passo e la pingue pianura del Po sembrava da un momento all’altro in estremo pericolo. In tanta gravità di prossimi eventi, il Censore M. Emilio Scauro fu incaricato di aprire una strada « che per Pisa e Luni conducesse ai Sabazi e di qui a Dertona » (Strabone, V, 6) (3). Mai come in quel calamitoso momento si delineò nella mente de’ Romani la necessità di una via, che, al riparo delle intemperie alpine, mettesse in comunicazione diretta i due formidabili « Emporia » militari di Pisa e Piacenza, con la Gallia invasa. Occorre dir subito che la Pisa-Vado (o Emilia di Scauro) che noi chiameremo però secondo l’uso corrente Aurelia, conserva pochi, pochissimi caratteri di romanità, se togliamo l’ardito suo tracciato di concezione squisitamente romana, perchè non fu mai una via « stra- C1) Poche, ma esatte notizie sulPargomento si trovano in Bertarelli L. V., Italia Centrale, vol. IV. A cura del T. C. I., Milano 1925, pag. 240. (2) Celesia E., Op. cit., pag. 100. La Clodia (da C. Claudio Censore nel 225 a. C.) si staccava presso Veio dalla Cassia e, toccando Saturnia, Roselle,’ Vetulonia, sfociava nell’Aurelia a Salebro. (3) Vedi a proposito di questo luogo straboniano il Celesia, Op. cit., pag. 32 e Sanguinei! L., Epigrafia Ligure, in « Atti Soc. Lig. Storia Patria », vol. III. 1804. Si tratta dei termini di una disputa ormai superata. 18 RENZO BACCINO ta » (*) nel pieno significato della parola. Essa fu semplicemente una « terrena » o al più gTareata (2.>. Mancò certamente ad Emilio Scauro il tempo necessario per « strare » ossia per apportare alla strada da lui aperta tutte quelle rifiniture proprie delle vie romane. Da notarsi ancora che ai tempi di Scauro i Romani non si erano ancora specializzati in quella mirabile tecnica stradale che vediamo rifulgere sotto ai Cesari. Quando ad « Aquae Sextiae » le orde barbariche furon dissolte dal valore di Mario e dei suoi fedelissimi Liguri, (Plutarco-Mariot 194) per Γaumentata importanza acquisita dalla via che da Piacenza conduceva a Vado, (Julia Augusta) non si pensò più a « strare » 1’Aurelia, che aveva perduta molta della sua immediata necessità;. Sicché la Pisa-Vado rimase arteria di utilità mediocre e tale da non giustificare gli imponenti lavori di rifinitura e di assestamento che troveremo nella « Julia Augusta ». Questa inferiorità ben palese è giustificata in parte dall'importanza sempre crescente dell'emporio militare di Piacenza a danno di quello di Pisa e dal fatto che da Roma, per andare alle Gallie, si preferiva seguire la Flaminia, indi la Emilia di Lepido e la Julia Augusta anziché seguire la litoranea del Tirreno che era alle prese con un terreno « iupeditissimum ad iter faciendum)) (Brut, a Cic. Ep., Fani. XIII). Si aggiunga che sotto i Cesari si preferì seguire da Roma alle Gallie la via marittima. Resta da osservarsi ancora che il nome di Aurelia sostituì in breve quello di Emilia, perchè la strada di Scauro non è che la continuazione della grande arteria di Aurelio Cotta, che da Roma conduceva a Pisa, ma anche per non creare evidenti equivoci di omonimia con l’altra Emilia, quella di Lepido. Così noi chiameremo Au- (M Questo appellativo merita qualche osservazione in proposito. La via Mirata (da: stemere viani) era la via pavimentata o reticulata. I.a sua costruzione importava lavori imponenti, tantoché si calcola a ino* il esemplo che nn in2 dell’Appia costasse il sestuplo d’una moderna autostrada attrezzata p«*r il traffico pesante. (Vedi: ÜM8CHAU, in « Wissenschaft und Tecnik. », Franco-forte. 1934, fase, maggio). Per costruirla si procedeva così: I>opo che gli operai, o i legionari, avevano aperto la via (viam munire) si passava alia lavorazione tipicamente romana del fondo stradale. Sul uremiam, o fondo primo, si j»osava lo stratumsn formato di nn ammasso di ghiaioni o ciottoli bene assettati. Sul primo strato posava il niflu* che era un lenzuolo «li sabbia e di pietrisco leggero legato con calce. Sul rudus posava iì nurleuh che era ili cemento e di creta ben battuta. Finalmente su quest»* solide basi si posavano grosse lastre (lapides) di pietra ad angoli smussati, non simmetriche, ma tagliate in modo che si connettessero bene le une con le altre. 11 tutto legato solidamente con calcestruzzo formava il pavimentum o summa erusta. Non tutte le vie però eran costruite con tanta rifinitura. Spesso j>er urgenti necessità rii guerra, o j»er mediocre e caduca utilità le vie restavano semplicemente terrenae o appena spianate, oppure eran {jlareatae do?4 a fondo ghiaioso ben diverso dn quello delle reticulatae o xtratne. (Vedi : Livio, XLI, 27). i2) Vii;voli C€, Quali erano le arterie delVimpero romano, in « Giornale della Domenica », Λ. III. η. rn. Roma 1932-NI, png. fi. LA STRADA ROMANA AURELIA 19 relia la via che da Pisa conduceva a Vado (Sabates) e Julia Augusta (M quella che da Piacenza per Vado si dirigeva ad Arles, benché ambedue siano state aperte da Emilio Scauro censore, e quindi, secondo il vetusto uso romano, debbano portare il nome di Emilia. L'ANDAMENTO DELL’AURELI A Da Pisa a Luni. Da Lerici a Turbia, la più deserta La più romita via.... (Dante, Pur p., ni). Da Pisae (2) VAurelia, seguendo il pittoresco e breve orlo pianeggiante delle coste tirreniche, toccava a 12 m. p. Fossis Papirianis (Peut) (s) o Papiriana (It. Ant.) (4) che va identificata, senza ombra (*) La lulia Augusta prese il suo nome dal grande Imperatore, quando questi, eletto «curator viarum » intraprese la grande riforma delle strade romane. (Dione Cassio, IV, 8). Il Miliario della Chiappa presso S. Bartolomeo del Cervo ci attesta che questi lavori «li rifinitura vennero condotti a termine nell'anno 13 a. C. (Vedi: Nissen IL, Italische Lan desk unric, Berlin, 1ÌM2, pag. 1-10. IjO stesso Nissen a pag. 145 nega l’esistenza d’una Aurelia ligure. Di questo errore basato su un’erronea interpretazione d’un luogo straboniano si fece in Italia banditore il Celesia (Porti e vie strate, ecc., op. cit., pag. 32>, ma le loro obbiezioni non hanno oggi più importanza. (2) Pisa fu forse colonia greca ed ebbe la sua omonima nella ΙΙϊσα pelop-ponesiaca (πίσος in greco vale per: luogo molto irrigato, prateria). (3) La notazione « Peut » si riferisce alle stazioni ricordate dalla tavola itineraria detta Peutlngeriana dal suo primo divulgatore: il Peutinger. Secondo il Mannert pare fosse una copia di quell’a Orbis pictus» che figurava come un immenso atlante sotto il portico di Agrippa. E certo che una descrizione dell’impero romano fu fatta in quei tempi (Plinio, n. /»., Ili, 7> e con tutta probabilità fu compilata una specie di mappa dove stavano segnate le vie, le loro stazioni, i centri abitati che toccavano, i «castra» che le munivano, i fiumi che attraversavano. La tavola di cui parliamo ci è pervenuta nella trascrizione di i.n monaco «li Colmar del XIII secolo. Dalla biblioteca Imperiale di Vienna, dove era stata depositata nel XV secolo da Corrado Celte, il pre zioso manoscritto, non si sa come, passò nelle mani di un antiquario, Corrado Peutinger. verso la metà del XVI secolo (Vedi: Rocca P., Giustificazione della tarala Peutingeriana. Tip. Monteverde, Genova, 1SS4, pag. 4 e segg.i. Xe fece una splendida edizione in Francia il Dejardin i>er incarico del Ministero del-l’Istruzione Pubblica fra il 1868 e il ISSO, ricca di citazioni c di bibliografia. In Germania nel 1887 se ne fece una nuova edizione con l’introduzione di Koiirnd Miller. documento capitale per lo studio delle arterie romane che solcarono la Liguria e credo che alla Tavola si possa prestare sicura fede, perchè, come vedremo, le località che essa ci ricorda, realmente esistettero e quasi tutte sono identificabili. C’è da porre qualche riserva però su le distanze segnate fra luogo e luogo : non che l’originale fosse inesatto, ma è ovvio supporre che dalle innumeri trascrizioni sia nato qualche errore che controlleremo passo passo. Il secondo segmento è quello che riguarda la Liguria. i’i La notazione « Tl. Ant.» si riferisc calla «Dimensio ITniversis orbis afc t RENZO BACCINO di dubbio con l’odierna Torre del Lago. Continuando il suo cammino incontrava « ad taberna frigida » (Peut.) (M che sorgeva presso il corso del Frigido presso l'odierna Massa Lunense. Senza curare le discordanze di tappi dei documenti itinerari (Peut. m. p. 22 - It. Ant. m. p., 24) da la Taberna Frigida giungiamo a Lune. Da questa città tanto ricordata dagli antichi, comincia VAurelia ligure e perciò ci sia lecito abbandonare la brevità del discorso per soffermarci un istante presso le sue candide mura (R. Numaziano. De r. 11-63). È tradizione antichissima che Luni sia stata fondata dai Liguri e poscia a loro tolta dagli Etruschi fra ΓΥΙΙΙ e il V secolo (Mar- Julio et Marco Antonio consulibus facta » che va comunemente sotto il nome di « Itinerario detto di Antonino Pio ». Enrico Estienne nel 1512. a Parigi, ne diede la prima stampa. Un'altra edizione ne fece da noi Aldo Manuzio in ^ e-nezia nel 1582. Da allora ne curò un'ottima edizione il Wesseling (Amsterdam. 1735). In tempi più recenti il Parthey e il Pinder (Berlin. 1S4S) ne curarono un’altra ristampa. L'« Itinerario » che generalmente è attribuito ad Antonino Pio. non è una tavola, come quella del Peutinger. Si potrebbe chiamare piuttosto un pratico prontuario delle stazioni stradali con le relative distanze. Di comune con la tavola ha solo probabilmente lo scopo, evidentemente strategico e militare. Risso G. B.. Note di viaggio. Tip. della Gioventù. Genova, 1912, pag. 78. LA STRADA ROMANA AURELIA 23 Mattarana e il passo (lei Bracco (Bodetia o in Alpe pennino, ravvisandola per la solidità degli archi e per la sua costante larghezza di circa due metri, ossia otto piedi (1). Da quota 600 circa dove ancor oggi se ne possono ammirare i ruderi, con una rapida salita essa si portava sul valico « in alpe pennino » (2), Dal Passo del Bracco a Zoagli. Quivi sorgeva la « mutatio » difesa certamente da un piccolo nucleo di soldati posti a presidio e a sicurezza della strada. Poco prima del passo è la Baracca che il Ferretto vuole far corrispondere ad una « mansio » del « vicus » romano, non so con quale fondamento (3). Da 11’« in Alpe pennino » lungo visibili tracce si scende alla cantoniera, si sale la costiera Persico, si passa sopra il Baracchino, casa Marcone, sino al villaggio del Bracco. Sulla Tavola Peutinge-riana, a 2 m. p. dal valico si incontra la stazione di « ad Manilia ». Era questa una « mutatio » sui monti dipendente dal paese posto a mare col quale era unita da una « transversa » che, coi suoi cippi migliari diede il nome alle borgate di Comeglio e di Lemeglio? In questo caso l’Aurelia avrebbe seguito all’incirca il tracciato dell’odier-na nazionale. Il Bollo (4) dice invece che essa discendeva all’attuale Moneglia sulla riva del mare. Poscia, rimontando a metà il monte Venino, si portava al centro della Valle Grande, là dove il monte Scanno forma una specie di falsopiano. Di qui discendeva ancora al mare e, voltasi a ponente correva difilata a raggiungere l’ultima punta del monte della Valle Grande presso punta della Madonnetta o delle Baffe. Superando un ardito strapiombo con un intaglio netto, si portava finalmente a Sestri. Il Bollo rilevò ai suoi tempi resti sicuri di questo passaggio. Oggi invece sono molto incerti, nè questo tracciato mi persuade appieno. Ad ogni modo occorre dire che fra il (Λ) Il piede romano era formato di quattro palmi (cm. 0,074) e cioè misurava cm. 0,290. (2) Il nome « in Alpe pennino » parrebbe di derivazione celtica. La voce «pen» in celto significa «testa», «vetta». (Vedi: Diez F.. Etymologisehes Worterbuch der Romanischcn Sprachen, Bon, 1801, pag. 312). Si sa pòi d uu Giove Pennino (Livio, XXI, 38) e di un Pennino ricordato in alcune lapidi romane (Holder A., Alt. Celtop. cit., vol. II. pag. 1022. Voce: Poeninus). Il nome attuale dì Bracco, secondo il Serra (Cit. in Risso G. B. : Xote di viaggio, op. cit., pag. 77) deriva dal vocabolo ligure arcaico « brak » che starebbe a significare « luogo aspro e deserto ». Fantasie. (3) Ferretto A., lì distretto di Chiavari preromano, romano e mediocrale. Tip. Art. L. Colombo. Ohiavari, 1928, parte I, pref. pag. XI. È questo un libro, vera miniera per lo studioso, in cui non sempre la verità è ricercata con freddo senso critico. (M Bollo P., In «Giornale degli studiosi», Genova. 1871, 2° seni., pap. 24 RENZO BACCINO Bracco e Sestri L. l’identificazione non può basarsi clie su pochi e fallaci indizi (*). Dopo 1’« ad Monilia » (2) che l’itinerario Antoniano non ricorda, Γ Aureli a toccava Fattuale Trigoso che erroneamente il Celesia (3) ed il Mazzini (4) vollero identificare con la « Tigullia » di Plinio, valicava il Petronio, torrentello che prende forse il nome da un antico « fondo Petronio » e si incontrava con un’altra strada forse « communalis » detta « romana » in atti del 774 d. C. (5) e che scendeva da Castiglione e forse dal Cento Croci (ant. Lamba). Di essa si ha ricordo nella frazione Migliano a Castiglione. Dal Petronio la strada, lasciando a sinistra Sestri Levante colla quale devesi identificare la « Segesta Tigulliorvm » dei Liguri (6), si inerpicava sopra gli strapiombi di S. Anna e tenendosi sempre discosta dal mare, per S. Giulia Centaurea, superava i Cavi e Lavagna, si portava nella valle terminale dell'Entella, allora ampio golfo (7), presso l'antichissimo ponte della Maddalena, di cui traspaiono ancora alcuni archi, che però sono di fattura medioevale. Dopo Γ« ad Monilia » la Tavola Peutingeriana segna la stazione di « ad Soiaria » a 13 m. p. e l’itinerario segna invece « Tegu-lata » a 12 m. p. Le due stazioni probabilmente si identificano e corrispondono, come modernamente si crede, all’odierna Zoagli. Il Poggi invece ne affastellò una fantasiosa ricostruzione presso Podierna Chiavari, ivi facendo sorgere un ipotetico « castrum » (8). (1) Anche il Poggi (Poggi G., Le due Riviere, ossia la Liguria Marittima, Stab. Tip. Frat. Pagano, Genova, 1001, pag. 39) ritiene esatto il percorso lit-toraneo dato dal Bollo, senza aggiungervi nulla di suo. (2) Della romanità di Moneglia ci parlano le tombe romane scoperte nel marzo 1928 che risalgono, come quelle della vicina Vigo (vieus?) al I e II secolo dell’era volgare. (Vedi: Ferretto A., TI distretto di Chiavali, ecc., op. cit., pag. 803 e segg.). (3) Celesia E., Porti e vie stiate, ecc., op. cit., pag. 21. Mazzini Γ., Da Riva T. a Viareggio, op. cit., pag. 0. (4) Ferretto A., Il distretto di Chiavari, ecc., cit.. pag. 22. (5) Ferretto A., Il distretto di Chiavari, ecc., cit., pag. 45. (6) Issel A., L’evoluzione delle rive marine, in « Boll, della Soc. Geogr. Ital. Roma», 1911, fase. XII. I/A. afferma che la penisola di Sestri L. ancora nel Medio Evo era un'isola ricordata in atti col nome di « insula Segesti ». (7) Non è il caso qui di insistere su questo argomento. Basti dire che la configurazione littoranea della Liguria è nettamente diversa oggi, da quanto non fosse nell’epoca romana. Le spiagge deposite infatti a quei tempi non esistevano ed erano occupate, come nel caso di quella dell’Entella, da un ampio golfo. In seguito, sul finire del Medio Evo, vuoi per il continuo disboscamento, vuoi per altre cause non ancora chiarite, s’iniziò la formazione di ampi coni di deiezione fluviale che diedero origine, coi loro apporti alla formazione delle spiaggie costiere. Vedi su questo argomento: Giovanni Sangtineti. La spiaggia
  • d u a (v. sopra). 392. 2 albeus. Aggiungere il gen. argu e larga (v. sopra). 505 b. Antonius. Aggiungere il gen. t ϋ fi u e tò fi eli a, che si dice d’uomo sempliciotto e inesperto. 596. araneus 1. Aggiungere il lig. àfiu, fi Γι n û , fi fi fi ow (v. sopra). 980. 2. wastasos (ngr.).Aeg. il gen. kanastr un « giovinotto tarchiato; poltrone, disutile ecc. » ; da bastracone per metatesi reciproca a distanza (v. i miei Appunti sul « Giornale * dell’Aprile-Giugno 1936, p. 104) *ca-bastrone e poi per assimilazione del b col n kanastrun, cfr. anche il cors, brastagonu « perdigiorno »; cfr. anche mastracone (Guarnerio p. 616). Errata è quindi la derivazione del Parodi da canestrone. 1021. belare. Agg. il gen. b æ « agnello », voce onomatopeica, allo stesso modo che il gr. ΰ ς « maiale » da qualcuno è stato interpretato come «l’animale che fa ü, ü » (cfr. Boisacq, Dict. étym. de la Langue Grecque, s. v.). 1046 a. Bernhart. Agg. anche il gen. benardu (il Casaccia porta anche bénard u fi) « baggiano, imbecille, ecc.», che si dice d'uomo goffo e scimunito. 1429. 3. buturum. Agg. il gen. biitiru (anche bitiru) «burro». APPUNTI SUL DIALETTO LIGURE 39 1516. caligo, -ine. 1. Agg. il gen. ka ise (oppure, come in qualche pallata della Riviera, kéise) « fuliggine» dall’anteriore karisse (Parodi); cfr. carizu « caligine» di'Monesiglio presso Ceva (v. Bertoni, Italia (lia* lettale, p. 89). 1770. cattus (gali.) « gatto ». Aggiungere l’espressione genovese f i gatiii « recere, vomitare », che corrisponde alla piemontese fa i kanò e al verbo della Val Sesia hanolé (cfr. Meyer-Lübke, Rew. 1584 a). 2897. 2* ertcius. 11 gen. riso « riccio » animale e « ciottolo» (cfr. risua « sassata, colpo di ciottolo ») deriva da *riceolo e non da *roccéolo come credeva il Parodi, il quale però soggiunge «più volentieri (lo) crederemmo attratto da qualche altro vocabolo, perchè l’i occorre assai presto, cfr. anzorare e ar ri sola re « acciottolare » Rossi, Glossario mediev. lig. 19 riciolius, rizorius 84». Da aggiungere ancora: rissa «riccio» ossia la scorza spinosa delle castagne ; risettu « ricciolina o lattuga crespa », « stoppino bianco » e cioè « quel sottilissimo stoppino di cera bianca onde i ceraiuoli sogliono fregiare le candele che si benedicono il dì della Candelora» (Casaccia), «ricciolino » piccola ciocca di capelli arricciata artificiosamente ; rissu « ricciolo », che nell’espressione rissi da b a ù k àe significa « brucioli, truccioli ». In certe parlato della Riviera si dice anche r i â i e risetti. Il verbo su rissi « accapponarsi la pelle» è proprio di qualche parlata della Riviera, per es. di Cogoleto. 3234. fel. Agg. il gen. arfé e così pure il piem. afél (v. sopra). 3293. filare. Dal fr. filou « mariuolo, truffatore » è certamente derivato il gen. filli ù « volpone», che si dice di persona maliziosa, astuta e scaltrita. Cfr. anche filundja « furberia, astuzia ». 3306. filum. L agen. fi ragno, che del resto si incontra ancora in certe parlate della Riviera occidentale, come in quella di S. Remo (firafiu), e il moderno fianu, che manca nel Meyer-Lübke, non significa già, come vuole detto autore, « Riss » o « Sprung », ma à « l’anguillare » e cioè « diritto e lungo filare di viti legate insieme con pali e pertiche » (Casaccia). 3961. habitaculum. Agg. anche il gen. bitàkola (v. sopra). 4101 a. helmbart (mat.) «alabarda». Agg. il gen. lab arda e labardé (v. sopra). 4268. illïc. Agg. l’espressione genovese likke lakke «così così, là là » derivata da illic illac (cfr. anche 4265. illac), che postula un accento illic, illac, che del resto è testimoniato da Prisciano (cfr. A. Giusti, Bel Vaccento latino, p. 13). 4503. intima. Agg. il gen. léntima. opp. 1 i n t i m a (v. sopra). 4589. Johannes. Agg. il gen. siine 11 u, il verme delle ciliege, che alla fine di giugno — secondo la credenza popolare, la notte di San Giovanni — bacano. Però con questo nome si chiama anche il verme, che rode le castagne, la farina e altre cose. 4936. laiibja (gemi.) «pergola». Agg. il gen. lobbia «aroaccio. Arnese arcato fatto di strisce di legno, che si tiene sulla zana a’ bambini per te- 40 ANTONIO GIUSTI ner sobbalzate le coperte che non gli affoghino, o il zanzariere per difenderli dalle zanzare e dalle mosche » (Casaccia). 5109 a. lolca (anord.) « far pendere». Agg. anche il gen. IocìÌ «tentennare, traballare », cfr. 1 o c Λ s e « dimenarsi, dondolarsi », e loców (ovv. I o-c ήii specialmente nelle parlate della Riviera) «tentennone, ciondolone», che dicesi di chi nelle azioni è irresoluto. 5125 a. lori (malese) « pappagallo ». Agg. il lig. loro, 1 o r i t u derivato certamente dallo sp. loro (cfr. il cat. llori e il port, louro). 5190. lux, -üce. Agg. il gen. lùzéa «feritoia». 5424. 2. * natta. Agg. il gen. natta « sughero ». In italiano natta, come termine di marineria, indica: « una stoia fatta di canne, o una specie di copertoio fatto di canne spaccate, e intrecciate le une colle altre, ovvero di scorze d’alberi, di cui servonsi sulle navi per guarnire o foderare la sede del biscotto, delle vele, e la stiva, allorché è piena di grani, per difenderla dall'umido » (S. Stratico, Vocabolario di marina. Stamperia Reale Milano 1813). I due significati, come si vede, hanno tra loro una certa rassomiglianza. 5865. nebula «nebbia» Agg. il gen. nega, che è voce del contado e di molte parlate della Riviera, cfr. anche ne g as su « nebbione». 5866. nebula « cialda ». Agg. il gen. nega che è « composizione di fior di farina, la cai pasta fatta quasi liquida si stringe in forme di ferro e cuo-cesi sulla fiamma » (Casaccia). Cfr. n e g à « cialdonaio ». 6117. 2. ustium «porta, uscita». Agg. il lig. liiàóaa (v. sopra). 6153 a. palile «picchiare». Agg. il gen. patta «caduta, colpo», patii ή «scappellotto». Patta nel senso di «caduta, colpo» è anche toscano (cfr. Fanfani, Vocab. delVuso toscano e Petrocchi, Novo Dis. della lingua italiana); « dare il pattone per la terra (anzi, più autorevolmente, come si dice nel contado pistoiese, per le terre) vale cadere in malo modo o anche semplicemente cadere » F. E. Morando. Il genovese nella Divina Commedia e Vitaliano nel genovese in «Gazzetta di Genova», estratto dei η. X, XI, XII 1921. p. 15. 6392. pe(n)silis. Agg, il gen. pisagga «pisolo, pisolino », cfr. pis agg a «dormicchiare, sonnecchiare». 7794. selinum. Agg. il gen. s é 1 o w « sedano ». 7986. 2. skauz (langob.) «grembo ; grembiule ». Agg. il gen. skósu «grembo ». 7996. skip (franco) «nave ». Agg. il gen. Sippe, che è una particolare nave a vela con tre alberi. 8018. 2. sldk (mat.) «colpo». Agg. il gen. salakka , cosi chiamato il fazzoletto attorcigliato (o qualche altro istrumenfco, come corda, frusta e simili), con cui i ragazzi, in certo giuoco, colpiscono, inseguendolo, il compagno perdente. Cfr. anche salakka opp. s a r a k ka «colpo di salacca ». Per ischerzo è chiamata salakka anche la sciabola. Da questo è da distinguersi salakka opp. sarakka pesce di mare del genere delle clupee, che abita non solo nell’Atlantico settentrionale ma anche nel Mediterraneo e nel Caspio; in gen. si chiama anche laccai APPUNTI SUL DIALETTO LIGURE 41 cfr. C. Parona. La pesca marittima in Liguria in « Atti della Soc. Lig* di Scienze Nat. e Geogr. » Vol. IX 1893. La derivazione del nome è certamente dal tedesco beelachs ; tutte le altre etimologie sono poco convincenti. 11 Meyer-Lübke non ne fa menzione. 8035 a. sloppy (ingl.) « sudicio; trascurato». Agg. il lig. (per es. nella parlata di Cogoleto) saloppu (cfr. anche sa lo ρύ ή) nel significato di « stupido, sciocco». 8173. spongia (gr.) «spugna». Agg. il gen. s punsi a. 8414. *suciclus. Agg. il lig. (per es. nella parlata di Val Polcevera, di Cogoleto, ecc.) sussu « brutto, sporco, sozzo». 9603. zà zar (arab.) «crataegus azarolus ». Agg. il gen. na saroll a (v. sopra). Antonio Giusti VARIETÀ PELLEGRINO BROCCARDO Pellegrino Broccardo è autore di una diligente coreografia sull'Egitto, composta nel 1556 e tuttora manoscritta nel R. Archivio di Corte in Torino col titolo « Nova et exacta Cayri Aegiptiorum ohorografia a Peregrino Broccardo ligure una cum. Piramidibus anno Domini 1556 Augusti mense diligenter discripta et per loco-rum distantia commensurata ». (Vedi Canale, Storia del commercio, pag. 481). Di lui si ha qualche notizia in una relazione al Consiglio della Repubblica veneta fatta dal Doge Marco Foscarini e conservata nel Cod. marciano 28, n. 6730, pp. 263 e segg.. e che, sebbene incompleta, fu riprodotta da Jacopo Morelli Bibliotecario della Marciana in Venezia. Il B roccardo la spedì da Ragusa ad un Messer Antonio (forse Foscarini). Questo proverebbe le relazioni che egli aveva con Venezia. Inoltre Andrea Gritti, Domenico Trevisano, Alessandro Giorgio e Pellegrino Broccardo sono ricordati come eruditi visitatori del-PEgitto nel secolo XVI in una mappa nella sala dello scudo del palazzo Ducale di Venezia, ove è detto del Broccardo che piramddes Ceterasque Aegyptiae et Romanae Antiquitatis reliquias graphieer del i neat us in patriam misit. Per questo fu ritenuto erroneamente come veneziano dallo Zurla e dal Morelli. Però noi conosciamo due iscrizioni che non lasciano alcun dubbio sulla patria di lui. La prima trovasi sulla casa del Canonico Primicerio in Ventimiglia e dice così : Pellegkinus Broccardus PlGNENSIS Quasimodo Canonicus et Cantor PROPRIIS PECUNIIS Fere ruentem restauravit et ampliavit MDLXV PELLEGRINO BROCCARDO 43 La seconda, scolpita su pietra di Promontorio, si trova nell’antico Chiostro di S. Lorenzo : MDLXXVI PELLEGRUS BROCCARDUS Canonicus Genuensts Domum hanc refecit PECUNIA SUA L’assegnazione a Pigna era stata già fatta, ma in forma suppositizia, dall’Amat di S. Filippo. Dai documenti dell’Archivio Capitolare di S. Lorenzo in Genova risulta già suddiacono nel 1571 e Canonico nel 1576 e da essi appare pure che egli era in dimestichezza con Monsignor Cipriano Pallavicino, in quei tempi Arcivescovo di Genova (1580). Per lungo tempo fu suo ospite nella Villa di Cornigliano, donde nelle solennità si recava con lui a S. Lorenzo ritornando poi nella villa. Morì in Genova Γ8 febbraio 1590 e colla prebenda del suo Canonicato fu costituito il benefìcio teologale come risulta dagli Atti del Notaro Antonio Moliino (Filza XR. R. Archivio Notarile di Genova). Il manoscritto ricordato fa parte di quel materiale dell’Archivio genovese che per ordine di Napoleone fu portato a Parigi nel 1808 e restituito poi nel 1815 ad un delegato del Re di Sardegna, così si spiega come si trovi a Torino in quell’Archivio di Corte, mentre dovrebbe trovarsi a Genova. È opera assai interessante per la storia e geografia antica. Il Broccardo copiava iscrizioni antiche e lapidi, misurava e disegnava i monumenti che visitava nelle sue numerose peregrinazioni, e descriveva tutto ciò che il suo spirito indagatore lo spingeva ad osservare, in tempi nei quali il viaggiare era difficile e dispendioso, per curiosità intellettuale allo scopo d’arricchire le sue cognizioni e di tramandare ai posteri tutto quanto gli era dato di poter vedere e studiare. La narrazione del suo viaggio incomincia col seguente episodio riportato dal Morelli : « Giunto in Corfù, che da Ragusa è lontano miglia trecento, e non havendosi come speravamo trovato le galee grosse, sendo forzati ad aspettare miglior passaggio, per un mese ivi fermarci, un dì noiato dall’ozio, mi venne capriccio, per passar tempo, di schizzare quella inespugnabile fortezza. Così recatomi di rimpetto ad essa, in luogo alto, cominciai : e già a buon termine l’avea condotta quando mi sopraggiunsero due Zaffi, li quali piacevolmente 44 RICCARDO MAINERI spiando, chi io era, e di donde, e dove fossi inviato, io che a nulla di mal pensava, senza tinta alcuna di tutto il vero dissi. Loro non credendomi punto, dato di piglio al disegno, contro mia voglia nella Rocca del magnifico Balio mi trassero, dicendo che io ero una spia, avendomi trovato a far modello della fortezza. « Il Magnifico Messer Bartolo Vendramino, col quale mi ero accompagnato, a questo spettacolo presente, facendo capace sua magnificenza di mia condizione, non tanto mi fece assolvere, ma grazia ottenni di compiere il mio cominciato disegno ». Da Corfù passò a Zante, a Candia ; in ciascuna isola si fermò parecchie settimane, poscia arrivò ad Alessandria d’Egitto donde si recò al Cairo-Rossetto, alle Piramidi, Matorea, Menfì, all’isola di Fua e si disponeva a partire da Alessandria per l’isola di Cipro e Gerusalemme. Nel viaggio di ritorno visitò Napoli, Roma, Tivoli e poscia fece ritorno a Genova. Il Doge Foscarini e il Morelli ritenendo veneto il Broccardo, contribuirono a rendere dubbiosi gli storici della Liguria sulla sua vera patria d’origine, e perciò molti scrittori omisero di occuparsene: ma egli, nato a Pigna, è autentico ligure; ed ora si stanno facendo pratiche affinchè da Torino venga restituito all’Archivio di Stato di Genova il noto manoscritto, a vantaggio degli studiosi della storia ligure. Riccardo Maineri SAGGIO DI UNA BIBLIOGRAFIA GENERALE DELLA CORSICA (Continuazione ; ved. numero precedente) GRIMALDI. _ Nouvelles corses tirées de J. Y. Grimaldi par E. Bouchez. Pari?, Hachette, 80. GRIMALDI. _ U Curato di Guagno. Padova, Crescini, 1844. GUERRAZZI Francesco Domenico. — La torre di Nonza, Racconto Storico. Torino, Guigoni, 1857, 80, pagg. 166. GUERRAZZI F. D. — Pasquale Paoli ossia la Rotta di Pontenuovo: Racconto corso del sec. XY1II, con ritratto e illustrazioni litografiche, dedica e Alla mia Patria ». Prefazione e Proemio. 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MERI MËE Prosper — Colomba ou Tableau des moeurs de la Corse, par P. Merimée. Précédé d'une notice biographique et critique. Milano, Stella e Giacomo, Libr. Ed., 1844, 32or pagg. XLII-232. Chef-d’oeuvre de la littérature française contemporaine. Tom. III. Ree. M a reaggi, in Reçue de la Corse, 1920, (I), pagg. 44-48. MERIMÉE Prosper. — Mateo Falcone, nouvelle corse accomp. de sept autres nouvelles du même auteur, in Revue de Paris, Mai, 1829. Paris, isd··), ï6o. pagg. 336 MICHEL Ersilio. — Due poesie patriottiche di G. P. Borghstti, in Arcliiv. Storico di Corsica, 1926, pagg. 11S-120. 1) Giuseppe Garibaldi, episodio di guerra ; 2) ode alla libertà. MIRONE Salvatore — Adelina Cervoni: cronaca corsa del sec. XIX. [Amico di Viale; esule catanese a Bastia], 1857. MONTI J. — La Corse et l’Empire: Gennara, roman. [Paris?] Ghio, 1884, 12o. MULTEDO Giuseppe. — Hymne à la Corse traduite par Mad. N. Bastia, 1858, pagg. 6. MULTEDO Giuseppe. — Alla Corsica: Canto. Bastia, 1859, pagg. 15. 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Paris, Oudin e C., 1906, 16o, pagg. 290. [Romanzo: Rivolta corsa contro i Genovesi nel XVII sec.]. TER ETTI della Rocca (F. de). — Sampiero Corso: drame historique en vers, avec préface et prologue. Nice, 1911, fco, pagg. 104. PERETTI Jean. — Seur d’amour (Lunets à Aline). Casablanca», 1923, 16o, pagg. 112. Ree. Regulas, Revue de la Corse, 1925, (VI), pagg. 21-22. PEROSIO. — Bonifacio Calvi: Storia Genovese del sec. XIII. Genova, Tip. Pietro Pellas, 1882, (16o), pagg. 212. PIERHOMME Henri. — Gallochio: roman, in La Corse Touristique, 1926, n. 16, 17. SAGGIO DI UNA BIBLIOGRAFIA GENERALE DELLA CORSICA 47 PINELLI (J. D.). — Corsica de Pietrasanta, roman de moeurs contemporains avec préface de M. Sanipiero Porri. Paris, (s. d.), 16°, pagg. 372. Ree. Regulus, Revue de la Corse Moderne, 1924, (Y), pagg. 70-72. POESIE di alcuni moderni autori corsi, edit. Carlotti. Firenze, Le Monnier, 1870, pagg. 19-23. POLI (Jacques). — Rimes Moroses: avec une préface de Max Roger. 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Ajaccio, 1915, 8o, pagg. 32. SAGGIO di poesie di alcuni moderni autori corsi. (Y. Giubega, Y. Biadelli, A. L. Rafaelli, S. Yiale e G. Multedo), Bastia, Batini, 1827 (fase. I), 1843, (fase. V e VI). SAVELLI Giuseppe. — Sulle azioni di Domenico Leca, carme di Giuseppe Nobili Savelli proposto da Salvatore Yiale e pubblicato e annotato da N. Tommaseo: coll’aggiunta di una vita dell’A. scritta da Giuseppe Ottavio Savelli, in Ardi. Stor. Ltal., Ser. I, Tom. XI, pagg. 280-281, 308. STERBINI Pietro. — Poesie. Bastia, Tip. Fabiani, 1835, pagg. 283. [Canti a Pasquale Paoli e Sampiero Corso. Libro ricercato dalla polizia]. TAYERA. — Le Rivage. Paris, Ed. Du Beffroi, 1910, 16o, pagg. 233. TOMMASEO. — A Giuseppe Multedo in Canti (I) della Patria: La lirica patriottica nella letteratura italiana raccolta e commentata da Arturo Bini e Giuseppe Fatini. Milano, Sonzogno, 1915, (vol. II), pagg. 162-165. TONELLI Filippo. — Scènes de la vie corse: La vierge des Makis, Paris, 1890, 12o, pag. 278. Ree. 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Firenze, Lb Monnier, 1861. VIALE Salvatore. — Il voto di Pietro Cirneo: narrazione storica di un ms. inedito e l’ultima vendetta: novella storica di S. V. 2a ediz. riv. corr. Bastia-, Fabiani, 1837, 8o, pag. 72. [Vi è compresa la novella storica «Gli amanti di Niolo: di Gio. Vito Grimaldi]. VOLTAIRE. — Candide ou l’optimisme. [Cap. XXVI: Immagina elio Candida si trovi a Venezia con sei re spodestati fra cui Teodoro: ciascuno di essi soccorre T. con denari]. WECK (De) René. — Le Roi Théodore, roman corse, in Mercure de France, 1926, Mai-juin. Ree. Colonna de Giovellina, in Revue de la Corse. VTALPOLE Orazio, in The World (1753). [Pubblica un appello per Teodoro in carcere, ma in realtà è una satira]. WITTEK Irma. — Theodor von Korsika Hist. Roman. Deutsche Hausbucherei (Osterreiche, Bundes Verlag, W. 160). Questioni di critica letteraria e storica. A BAS Colomba et Mérimée, in L’Echo de la Corse, 1920, [protesta contro un film dell’opera di Mérimée]. 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SAGGIO Di UNA BIBLIOGRAFIA GENEKALE E ELLA CORSICA 49 L ANGEVIN Eugène. — Merimée et la vraie Colomba, in Action Française, 6 Février 1921. LEVAILLANTI Marcel. — Colomba et Merimée, in Le Petit Marseillais, 8 Avril 1927. MARI (De) Paul. — Le vrai Coup double de Colomba, in Revue de la Corse, 1921, (II), pagg. 71-74. [Dimostra l’esattezza storica del famoso colpo d’Orso della Rebbia contro 12 fratelli Barraci ni}. MICHEL. — Un romanzo di argomento corso di Antonio Benci, in Ardi. Star, di Corsica, 1925, pagg. 454-455. [Inedito ms alla Nazion. di Firenze]. NATALI — Nos Géorgiques: tableau géographique et littéraire de la vie agricole en Corse, in Bull. Soc. hist. Corse, 1921, nn. 429-432, pag. 86. Ree. Paganelli, in Revue de la Corse, 1922, (III), pagg. 33-40. PAGANELLI. — Electre et Colomba, in Revue de la Corsa, 1920, (I), pagpr. 126-130. SILVANI Paolo. — Postilla dantesca: Dante e la Corsica, in Archiv. Storico di Corsica, 1926, (lì), pagg. 175-178. SOURIAU Maurice. — Les variantes de Matteo Falcone, in Revue d'histoire littéraire de la France, 1913, pagg. 332-342. [Studio delle varianti fra la la ediz. di Falcone, in Revue de Paris, 1830, Tom. II, pag. 34 e segg. e l*ediz. definitiva]. SOUVENIR inédits de la vraie Colomba, in Revue de la Corse, 1925, (VI), pagg. 52-53. THIBAULT. — Le vrai Roman de Colomba. [Colomba Bartoli née Carabelli, 1768-1861], in L'illustration, Paris, 10 Juin, 1911, pag. 48. TIRA BOSCHI G. — Storia della letteratura italiana di G. T. Milano, Soc. Tip. dei Classici Italiani, Tom. I, (1822-18'33) (Ìndice) ; Tom. V, 1931 (Giovanni XXII. Studi promossi) ; Tom. VI, 1118, Storia di Corsica, Cirneo; Tom. VII, 1469, Filippini. TRADIZIONE (Per la) popolare di Vannina d’Ornano, in Archir. Stor. di Corsica. 1927. (Ili), pagg. 299-301. [Richiesta d’indagini sull’opera del maestro Fabio Campana, Vannina d’Ornano, Livorno, 1843. Riporta un’ode del Bracci Giovanni con motivi patriottici]. VILLAT. — Étude sur le Mateo Falcone de Merimée, in Revue de la Corse. 1921, janv.-févr.. pagr- 1. VIOLLET-LE-DUC. — Merimée et les monuments historiques, in Revue de Paris, 1895, 6o. (contìnua) RENATO GIARDELLI COMUNICAZIONI DELLA R. DEPUTAZIONE DI STORIA PATRIA PER LA LIGURIA ASSEMBLEA GENERALE DELLA R. DEPUTAZIONE DI STORIA PATRIA PER LA LIGURIA Il giorno 6 giugno-XIV alle ore 17 si è riunita l’Assemblea generale della R. Deputazione di Storia Patria per la Liguria sotto la Presidenza del Sen. M. Moresco. Aperta la seduta, il Presidente ricorda che l’ultima adunanza della Società Ligure di Storia Patria ha avuto luogo quando egli aveva l’onore di essere Regio Commissario della Società e che in questa veste aveva riferito sul proposito di S. E. il Ministro dell’Educazione Nazionale di riordinare tutti gli istituti di studi storici italiaui cominciando dalPistituire in Roma una Giunta Centrale per gli studi storici quadripartita: Istituto per gli studi romani, per il Medio Evo, per l’Età moderna e per il Risorgimento. Già allora il Ministro desiderava che a questa ossatura centrale corrispondesse una ossatura periferica che comprendesse tutta la penisola italiana. E di fatto con decreto 20 giugno 1935-XIII è stato emanato un regolamento particolare delle Deputazioni costituite in numero di 17. una di queste è la R. Deputazione per la Liguria che comprende la Deputazione centrale e quattro Sezioni : Albenga-Yentimiglia, Savona, La Spezia, Massa. Naturalmente per costituire questo organismo è stato necessario sciogliere gli anteriori istituti storici assorbiti dai nuovi enti, così la Deputazione ha assorbito o piuttosto è il nuovo nome della nostra antica e benemerita Società Ligure e le Sezioni di Savona e di Albenga-Ventimiglia corrispondono alla Società Savonese e alPIngauno-Intemelia. Le Sezioni, pure con attività autonoma, si considerano propaggini dell’attività centrale e si sono istituite inserendole sugli organismi preesistenti, dove questi dessero affidamento di vitalità e di proficuo lavoro,‘com’era appunto, la Società Savonese e l’Ingauno-Intemelia. Nella Lunigiana, che è stata aggregata alla nostra Deputazione, esistevano le Sezioni di Massa, prima connessa alla Deputazione di Modena e quella di Pontremoli, appartenente alla Deputazione di Parma. La Sezione di Massa è stata conservata come Sezione della nostra Deputazione, quella di Pontremoli rimarrà pure egualmente aggregata a Genova, ma per ragioni di opportunità e secondo i desideri locali trasporterà la sua sede centrale a La Spezia. Per quest’ultima, il lavoro di riorganamento non è ancora compiuto. C’è stato tutto un lungo la\roro di preparazione per dare vita a questa R. Deputazione in modo da non interrompere alcuna delle iniziative preesistenti perchè il pericolo era appunto di turbare organismi vivi ed efficaci. In sostanza gli organismi periferici hanno mutato nome ma rimangono autonomi come Sezioni della R. Deputazione che lascia loro una libertà vigilata, nel senso di evitare duplicati nel lavoro, lasciando a ciascuna una sfera di attività particolare. Il Consiglio Direttivo, a norma del regolamento, è costituito di quattro deputati centrali (Presidente, Vicepresidente march. Spinola, deputati prof. Pan- COMI \K Vi IONI R. DEPUTAZIONE DI STORIA PATRIA PER LA LIGURIA 51 ùiaui e prot\ Vii ale segretario* più dei quattro Presidenti delle Sezioni, dei liliali per ora è nominato solo il Conte Del Medico di Massa. Es|>osto IVrduuuneuto generale della Deputazione, il Presidente invita il Segretario a riferire sin lavori in corso e sui progetti i>er nn immediato avvenire. Il Segretario dice ohe ^ in corso di distribuzione il primo volume della nuova Serie degli Arti che contiene una raccolta di contratti notarili relativi al Castello di Bonifacio in Corsica, tutti quelli relativi al secolo XIII che si sono potuti trovare neU'Archìvìo di Stato, i quali servono a ricostruire la vita della prima la genovese nell’ìsola durante quél secolo -li grande importanza per i raparti tra Genova e risola contesa ancora con Pisa. E a prò rosit" di atti uotarili. riferisce il programma in corso di studio per la pubblicazione integrale dei più antichi protocolli notarili dell’archivio genovese. prezioso materiate ohe ha un ^importanza di eccezionale valore non solo per la storia cittadina e regionale ma ancor più per la storia delFecono-mìa. del commercio. dei diritto poiché essi costituiscono la più antica serie continuativa di atti li tal genere ehe si conosca. Ci sono notevoli difficoltà tecniche e tiuanzìarie da superare uia è da credere che saranno vinte e in 111 una prossima assemblea spora ohe si potranno riferire progetti concreti e precise proposte. Ricorda - · li. Deputazione subalpin.) ha messo a disposizione della Deputazione Ligure un centinaio di copie dell’ultimo volume pubblicato dalla cessata Deputazione di Torino, perchè si tratta di materia ligure. Sono ì dispacci inviati al Governo di Genova dal suo rappresentante a Parigi durante Ta rivoluzione, che costituiscono una narrazione continuata e dovuta ad uno stesso osservatore delle drammatiche vicende della Francia dal ITT'' al 17K : la pubblicazione è stata curata dallo stesso segretario. Poiché non oì sono copie sufficienti per rutti i soci, sarà data a coloro che ne mostrino desiderio sino a esaurimento delle copie disponibili. Riferisce in fine suITaccordo intervenuto col « Giornale Storico e Letterario della Liguria ». che diventa organo ufficiale della Deputazione per quanto riguarda le sue comunicazioni e sarà inviato a tutti i soci senza aumento di quota sociale- £ un grave onere che la Deputazione si assume: essa si augura che i soci le si stringano sempre più intorno e procurino anzi di accrescerne ie file perchè non mancìiìno i mezzi al compimento del programma fissato. La distribuzione de! giornale, contenente articoli brevi e studi <ìi pR-coìa mole. oltre a varietà rassegna bibliografica e la speciale bibliografia mazziniana renderà necessariamente maio frequente la pubblicazione dei massicci volumi di d» «-^umenti o di ampie monografie, o anche di miscellanee, ma incontrerà indubbiamente il favore di un cospicuo numero di soci. Poiché non p--hi tann -respint il giornale per timore di pagarlo, insiste nel dire che è <:**dir gra-tuitamente. Π Presidente dichiara cbe sarebbe lieto di sentire il parere dei soci spe-eïaïmente ;-*r 'a parte - he riguarda la progettata pubbli :azi·>ne *I-ga antichi notai che impegnerà indubbiamente per qualche anno il più delle ria rse della Deputazione. L'aw. M< rgavi lice lieto della notizia della distribuzione del «Giornale Storie*:* e Letterario lefla Liguria : questo risponde a un desideri*» o^press da tempo, cbe fosse possibile cioè dare ai soci qualche pubblicazione xm po’ differente dai eonsoetì e pesanti volumi di documenti cbe nessuno legge. Così si affenr-i n*r. tr> favorivo!- «1 proposito di impegnare tur - risorse per Ia pobblk~:z!or>- di fonti storiche. che. per quanto importanti, interessai» soltanto gii Passando ad altro, ricorda che il compianto presidente Bensa avé*va ^1-re.H- ripetutamente il proposito di mettere in diverse località di Genova lapidi commemorative di fatti storici ivi avvenuti: sarebbe il :*aso di riprendere l'idea. Il prof. Kevefli ricorda cibe nella riunione interna della Deputazione ha srià avuto one di manifestare tutto il suo pieno consensi» ι-r il piano 52 COMUNICAZIONI R. DEPUTAZIONE DI STORIA PATRIA PER LA LIGURIA di studi proposto. Propone ora che si prenda in considerazione anche l’opportunità di studiare il contributo dei Liguri aìla conoscenza deir Africa nei sec. XVII e XVIII. La Società di Scienze e Lettere intende occuparsi del secolo XIX e del presente. Cosicché, accettando la sua proposta, ci sarebbe la possibilità di addivenire in tempo relativamente breve alla realizzazione di un piano di lavoro suiropportunità del quale nel momento presente non c’è possibilità di dubbio. Il Prof. Revelli conforta la propria proposta con una dotta esposizione nella quale illustra la necessità di ricerche documentarie, cartografiche e toponomastiche per mettere in valore il contributo dei Liguri alla conoscenza deirAfrica. Il comm. Çanevello sente il dovere di congratularsi, anche a nome del Comitato Ligure per l’educazione del popolo da lui presieduto il quale più volte aveva espresso il voto di un organo di pubblicità che rendesse noto il lavoro e l’attività del sodalizio. Altra volta aveva espresso l’idea che si pigliassero accordi col « Bollettino Municipale » ; tanto meglio se ora avremo a nostra disposizione un organo importante. Si associa a quanto ha detto l’avv. Morgavi sulla toponomastica stradale e deplora l’assenza del nome di Spurio Lucrezio a una via; non basta l'iscrizione in piazza Sarzano. Poiché il segretario ha parlato di fotografie dei nostri antichi notai, tratte dall*archivio genovese e conservate in America, ritiene che sia possibile ottenere qualche aiuto dagli ambienti italiani e specialmente dalle Camere di Commercio Italiane del Nord America. Il nob. Maineri ringrazia il Presidente di aver accolto la proposta di creare un organo per comunicare più facilmente e più frequentemente coi soci. Riferendosi anche alle proposte del prof. Revelli, parla dell’opportunità di rivendicare alla Liguria la figura di Pellegro Broccardo primo cartografo dell’E^ gitto, che dai pochi che se ne sono occupati è dato per veneziano e ne espone le vicende e le benemerenze. L'avv. Virgilio osserva che la pubblicazione proposta dei notai più antichi, donde verrebbe un contributo preciso e prezioso alla storia del Commercio ligure nei primi secoli, può non interessare la generalità dei soci; perciò sarebbe utile fosse intercalata con altre. Ma trattandosi di studi che riguardano il commercio sarebbe utile richiedere il contributo del Consiglio provinciale deirEeonomia che, succeduto alla Camera di Commercio, rappresenta il nucleo attuale dell’attività commerciale ligure. Non dovrebbe essere troppo difficile avere un aiuto prospettando che si tratta di cosa importantissima per il commercio; in tal caso non sarebbe necessario che per l’opera stessa fossero assorbite tutte le facoltà economiche della Deputazione, dando nello stesso tempo studi che potessero interessare una maggiore quantità di soci. Il cav. Zonza non vorrebbe rimanesse l'impressione che la maggior parte dei soci, che non fa professione di studi storici, sia contraria al piano di lavoro proposto. Appassionato raccoglitore di cose liguri, egli sa quanto i documenti di cui si parla siano oggetto di studio da parte di italiani e stranieri ; si tratta della base della nostra storia economica e commerciale; se vogliamo che sia posta su fondamenta sicure e scientifiche e non su vacue declamazioni è necessario procedere a una pubblicazione che farà onore a Genova e alla Deputazione. Parlano altri soci in vario senso, quindi il Presidente riassume la discussione. Per quanto riguarda la proposta del compianto Presidente Bensa è idea che può essere ripresa; noi potremmo essere in questo campo i consiglieri tecnici del Comune per le targhe destinate a ricordare i fatti della nostra storia ; è necessario sopra tutto lavorare in perfetto accordo col Comune. Per quanto riguarda la pubblicazione dei notai crede che in fondo tutti siano d’accordo, cioè che non si pubblicheranno soltanto le fonti. Deve ricordare che la R. Deputazione di Torino istituita dal re Carlo Alberto è stata creata ap- COMUNICAZIONI R. DEPUTAZIONE DI STORIA PATRIA PER LA LIGURIA 53 punto per pubblicare le fonti storiche e le altre Società e Deputazioni ne hanno seguito Γesempio, non esclusa la nostra. Le Società fanno quello che non possono fare i privati, quindi resta stabilito che la R. Deputazione continuerà a fare quello che fanno tutte le associazioni storiche, cioè pubblicazioni di fonti, senza di che mancherebbe al suo attributo fondamentale di mettere a disposizione degli studiosi, e in questo caso si può proprio dire di tutto il mondo, il materiale di studio; se non che invece di pubblicazioni sparse e sporadiche, come è stato fatto sinora, si procederà con ordine sistematifico; l’attuale proposta 11011 rappresenta infatti che la sistemazione della pubblicazione delle fonti. Ciò non esclude che, accanto a queste serie di ordine fondamentale, si possano fare altre pubblicazioni purché di carattere scientifico che mettano a contributo documenti nuovi o elaborino scientificamente materiali già noti : per i lavori di minor mole abbiamo aperte le pagine del « Giornale Storico ». A queste varie serie di lavori la Presidenza invita tutti a collaborare : i collaboratori portino alla presidenza lavori che siano fatti scientificamente ed essa sarà lieta di esaminarli ed accoglierli. Ha sentito parlare di volumi « mattonosi » : ebbene sono appunto questi che costituiscono la base e la gloria della R. Deputazione. Quanto alla ricerca dei fondi, se 11e sta occupando personalmente e attivamente e assicura che si rivolgerà a tutti gli enti che possono contribuire. Il Presidente invita quindi il march. Spinola a leggere il bilancio preventivo per l’anno 1935: il march. Spinola comunica il conto e aggiunge che, socio da quarant’anni, si è occupato sempre dell’amministrazione della Società; ora vorrebbe essere sollevato di questo onere. Risponde il Presidente con 1111 caldo elogio dell’opera appassionata del march. Spinola, ora nostro Vicepresidente, augurandogli di prestare ancora per lunghi anni la sua opera preziosa invitandolo a desistere dal proposito; se mai. potrà avere accanto qualche socio giovane come aiuto e sostituito in eventuali assenze. L’Assemblea si associa applaudendo. Il cav. Zonza legge poi la relazione dei revisori dei conti che è approvata a unanimità, come il bilancio consuntivo. Il conte Puccio chiede notizie sui cimeli che sono a Torino relativi alla storia genovese; il Presidente dà spiegazioni. Il prof. Revelli parla come presidente della Commissione toponomastica; espóne lo stato dei lavori che non procedono per difficoltà varie con quella sollecitudine che si potrebbe desiderare. Al dott. Lamboglia che per motivi orofessionali si è dimesso dall’ufficio di segretario della Commissione è stato sostituito il dott. Ascari. Chiede poi se in linea di massima 11011 si creda di poter approvare la pubblicazione delle : arti di lavoro già compiute e domanda che sia rinnovato il fondo di 500 lire assegnato alla Commissione. Il Presidente dà assicurazioni. Π Presidente segnala ai soci la benemerenza del Podestà di Savona che è venuto in aiuto a quella Sezione la quale versava in precarie condizioni finanziarie, raddoppiando il contributo e promettendo l’opera sua anche come Vicepresidente del Consiglio provinciale delPEconomia. L’esempio merita di essere additato ed egli è sicuro d'interpretare i voti dell'Assemblea inviando al Podestà di Savona un fervido ringraziamento. Il Presidente, poiché l’ordine del giorno è esaurito e ΓAssemblea ha cordialmente approvato i primi atti della nuova Deputazione, propone l'invio di un telegramma al Ministro riordinatore degli istituti di studi storici. Il Comm. (’anevello con una eloquente e fervida improvvisazione si associa, proponendo insieme di inviare telegrammi alla Maestà del Re e al Duce provvidenziale che ci ha procurato la gioia del ritorno all'impero che è stato il sogno di Dante e del Petrarca. L’Assemblea si associa con caloroso applauso e la seduta è tolta alle ore 18,80. 54 COMUNICAZIONI R. DEPUTAZIONE DI STORIA PATRIA PER LA LIGURIA * * * Con lettera 7 dicembre 1936-XV S. E. il Ministro delPEducazione Nazionale ha assegnato in qualità di Corrispondenti soprannumerari alla nostra Deputazione i Deputati già appartenuti alla soppressa K. Deputazione per le antiche Provincie e la Lombardia e quindi attribuiti alle RR. Deputazioni Subalpina, Lombarda e di Sardegna. Essi sono i Signori : S. S. Pio XI : S. E. Cesare Maria De Vecchi di Val Gisinon ; Cesare Bertea ; comm. Gian Carlo Buraggi : Sen. Vittorio Cian ; Prof. Francesco Cognasso; Prof. Adolfo Colombo; Prof. Carlo Contessa; S. E. Pietro Fedele: S. E. Giacomo Gorrini; S. E. Alessandro Luzio; S. E. Federico Patetta ; Prof. Silvio Pivano; Cav. Luigi Provana di Collegno; Comm. Costanzo Rinaudo; Comm. Armando Tallone; Comm. Mario Zucclii, della R. Deputazione Subalpina; Prof. Enrico Besta; S. E. Gerolamo Biscaro: Comm. Francesco Carta; Comm. Antonio Monti: S. E. Arrigo S-olmi; Prof. Renato Soriga ; Prof. Alessandro Visconti; Prof. Giovanni Vittani; Prof. Agostino Zanelli, della R. Deputazione lombarda ; Gr. Uff. Silvio Lippi, della R. Deputazione di Cagliari. Con lettera 3 febbraio 1937-XV, sono stati nominati Corrispondenti effettivi : Prof. Emanuele Sella; Dott. Sante Filippo Bignone; Cav. Dott. Francesco Puccio Prefumo; Rag. Comm. Michele Bruzzone; Prof. Francesco Picco; Prof. Roberto Lopez ; Prof. Rosario Russo ; Dott. Bruno Minoletti : Dott. Corrado Astengo; Dott. Pietro Muttini; Dott. Mario Celle; Dott. Raimondo Mo-rozzo Della Rocca ; Dott. Clelia Jona ; Prof. Alberico Benedicenti ; Gener. Comm. Carlo Bruzzo, per la Deputazione di Genova; Prof. Vittorio Pongi-glione; Prof. Cav. Carlo Migliardi; Comm. Dott. Poggio Poggi; Prof. Dott. Nicolò Russo, per la Sezione di Savona; Gr. Uff. Dott. Antonio Anfossi; Nob. Dott. Gerolamo Rolandi Ricci; Dott. Giovanni Pesce; Dott. Dante Scarella; Dott. Carlo Raffaele Amoretti; Dott. Guglielmo De Angelis d'Ossat, per la Sezione di Albenga-Ventimiglia. On Prof. Aw. Carlo Alberto Biggini ; Prof. Avv. Cesare Magni ; Dott. Ferruccio Sassi : Prof. Virgilio Bucchioni ; Avv. Prof. Lanfranco Bellegotti ; Cav. Luigi Poletti; Cav. Michele Ferrari; Dott. Prof. Pier Settimio Pasquali; Dott. Prof. Italo Malco; Cav. Giovanni Podenzana ; Gr. Uff. Mario Buffa; Dott. Luisa Banti; Comm. Prof. Antonio Minto, per la Sezione di La Spezia e Pontremoli; Comm. Prof. Adolfo Angeli; Comm. Ing. Aldo Scarzella; Cav.. Cap. Enrico Lazzoni; N. H. Dott. Cav. Leonello Ricci Armani; Cav. Dott. Gaetano Pappaianni; Comm. Rag. Igino Bassi; Comm. Ubaldo Bellugi; Dott. Marco Vinciguerra; Comm. Avv. Alfredo Brugnoli; Prof. Vincenzo da Milano; Prof. Augusto Bertozzi; Prof. Giuseppe Galanti; March. Azzolino Malaspina; Nob. Avv. Giorgio Casoni, per la Sezione di Massa. Altre nomine di corrispondenti sono in corso. Nello stesso tempo sono stati nominati Presidenti delle Sezioni di La Spezia e Pontremoli : Prof. Comm. Ubaldo Formentini; di Savona, Prof. Comm. Filippo Noberasco e di Albenga-Ventimiglia, Comm. Avv. Luigi Costa. Costituite così definitivamente la Deputazione e le sezioni, ora si può cominciare attivo e proficuo il lavoro dei nuovi organismi storici della regione. * * * Il 27 febbraio hanno avuto luogo successivamente la seduta interna e l’adunanza generale della R. Deputazione, presiedute dal Vicepresidente march. Paolo Alerame Spinola in luogo del Presidente Sen. Mattia Moresco trattenuto da improvviso impedimento. Si è approvato il bilancio consuntivo dell’anno XIV e si è esposto e di- COMUNICAZIONI R. DEPUTAZIONE DI STORIA PATRIA PER LA LIGURIA 55 scusso il piano di lavoro per l’anno in corso, specialmente per quanto riguarda la progettata pubblicazione dei più antichi protocolli notarili del R. Archivio di Stato di Genova, materiale di eccezionale importanza per la storia giuridica commerciale e marinara del secolo XII. La Deputazione ha approvato il programma dell’opera monumentale facendo voti perchè le pratiche per il necessario finanziamento abbiano il successo desiderato. Ha infine espresso il desiderio che i numerosi ma dispersi amatori e cultori dellla storia patria, si raccolgano intorno alla Deputazione che, con assai tenue quota, distribuisce ai propri aderenti le opere di sua edizione e il Giornale Storico e Letterario, antico e benemerito organo degli studi storici liguri. Dopo una breve affettuosa commemorazione del Prof. Giovanni Campora, per lunghi anni consigliere della Società Ligure di Storia Patria, su proposta del Prof. Comm. Monleone e dell’Avv. Comm. Chiossone, è stato deliberato di pubblicare nel Giornale il verbale della seduta del 6 giugno 1936-XIV, quale atto iniziale della R. Deputazione e attestazione delle norme e del modo onde si è compiuto il passaggio dalla Società storica alla R. Deputazione ligure di Storia Patria. RASSEGNA BIBLIOGRAFICA L. Borello e M. Rosazza, Storia d'Oropa. Biella, Libreria Editrice M. Gubello, 1935-XIII, pag. XYIII-403; Oropa storica, preistorica e protocristiana, Illustraz. Biellese, settembre 1935-XIII, anno λ', n. YII-YII1 IX; L. Borello e M. Rosazza, Oropa : Santuario . Celti, Streghe ed altre cose. Appendice alla « Storia dOropa ». Cuneo, 1936-XIV, pagg. IX-149. Luigi Borello e Mario Rosazza hanno affrontato 1111 tema difficile e sono riusciti a interessare molte persone : storici, giuristi, economisti, professionisti e dilettanti, religiosi di ogni grado e condizione. Quando 1111 libro, al suo primo apparire, solleva discussioni e polemiche, trova difensori e denigratori, vuol dire che lia della sostanza e, sebbene non rifaccia la gente, lascia tuttavia neiranimo del lettore un'impronta duratura. La ragione di tutto questo sta in primo luogo nella materia presa a trattare, in secondo luogo nel modo in cui essa è stata trattata. Un libro di storia civile, militare, letteraria, artistica, ecc. ecc., interessa un numero di persone limitato, di solito, ai professionisti di quella branca dello scibile e a non molti dilettanti, che cercano nelFopera recente il soddisfacimento di un desiderio di coltura locale o di una curiosità occasionale e passeggera. Un libro di storia religiosa ha un campo più vasto perchè non tocca soltanto l'intelletto, ma anche il cuore. Nel caso presente poi, l’opera dei signori Borello e Rosazza reagisce ad una tradizione largamente diffusa e accettata da una moltitudine di persone, che, per inerzia mentale, non ama essere disturbata. È noto d’altra parte che l’abito critico non è patrimonio universale e che si acquista soltanto con la esperienza e con una severa disciplina dello spirito: ed è pur vero che, chi non ha Tabitudine della critica, difficilmente riesce a comprenderne il valore. Gli Autori della « Storia di Oropa », si sono proposti un compito lodevole, ma arduo: >i sono accinti all’opera coscienti delle difficoltà che avrebbero incontrate, e scevri di preconcetti di scuole o di tendenze. Nell’introduzione breve e chiara, essi hanno esposto succintamente la « leggenda » : nella prima parte dell’opera hanno indagato la « preistoria » : nella seconda parte hanno narrato la « storia ». RASSEGNA BIBLiOGRAFICA 57 Quando sor.se la leggenda? A questa domanda non è possibile dare una risposta esplicita, perchè le radici della leggenda sono ravvolte nel fitto velo delle tenebre. Si possono invece rintracciare i primi accenni in opere scritte e pubblicate : così sappiamo che il primo scrittore che accennò alla leggenda di S. Emebio fu il cronista Giacomo Orsi, vissuto nella seconda metà del quattrocento. Dopo di lui ne parlò il Cabania (o Cavagna, come vuole il Poma) in un manoscritto ora perduto ed infine Monsig. Giovanni Stefano Ferrerò, vescovo di Vercelli dal 1599 al 1610, che sarebbe stato, secondo gli Autori, « il -primo redattore della leggenda ». Come si formò la leggenda? Neppure a questa domanda si può dare una risposta precisa e perentoria. Gli Autori mossi dal lodevole desiderio di spiegare la formazione della leggenda, sostengono che essa è derivata, per analogia, dalla leggenda di Montserrat in Catalogna. A dir vero le analogie tra la leggenda oropense e la monserratina sono impressionanti. Sia nell’una che nell’altra si tratta di statue di legno raffiguranti la Vergine nera col Bambino in braccio : tutte e due le statue sono opere di S. Luca, tutte e due sono state nascoste e ritrovate miracolosamente; tutte e due per il loro potere taumaturgico sono divenute oggetto di venerazione da parte dei fedeli e hanno dato origine a santuari famosi : quello di Montserrat già celebre nel secolo XIII i1) : quello di Oropa divenuto celebre dopo il secolo XVI. La ragione per cui la leggenda di Oropa fu modellata su quella di Montserrat, si deve ricercare nella grande celebrità del santuario catalano in Italia, dovuta al numero grande di Spagnuoli che nei secoli XVI e XVII, per motivi diversi, corsero ΓItalia in lungo e in largo, signoreggiandone una buona parte, e al numero grande di Italiani che per motivi religiosi, politici, militari, commerciali ebbero frequenti rapporti con la Spagna. Al qual proposito credo opportuno ricordare un Piemontese che dovrebbe essere, ma non è abbastanza conosciuto tra noi : Mer-curino di Gattìnara, Gran Cancelliere di Carlo V dal 1518 al 1530. Il Gattinara costretto a vivere lontano dal paese d’origine, non lo dimenticò mai. Egli spinto dal desiderio di estendere il feudo che gli era stato concesso da Massimiliano I, confermato e aumentato da Carlo V, nel 1524, diede incarico al maggiordomo Carlo Gazino e al genero Alessandro di Lignana di far pratiche per ottenere la contea di Masserano, in cambio di alcuni feudi, che egli possedeva in Monferrato (2). Nella primavera del 1527 avendo ottenuto un (1) Victor Balagxer, Las Legendas dei Montserrat. Las Citeras de Montserrat, Madrid. 1885, cap. XII, Reyes peregrinos, pag. 182 e segg. (2) G. Ct.aretta, Notizie per servire alla vita del gran Cancelliere di Cariti Y Mere urino di Gattìnara, in « Memorie della li. Acc. delle Scienze di Torino ». S. II, t. XLVII, pagg. 125-139-141. 58 RASSEGNA BIBLIOGRAFICA congedo da 1Γ Imperatore per venire in Piemonte e dare assetto ai suoi affari, il Gattinara prima di imbarcarsi andò a fare una novena a Montserrat in adempimento di un voto fatto. A causa delle guerre che infierivano in Piemonte, il Gran Cancelliere fu costretto a fermarsi a Genova, allora assediata dalle forze del Papa e del Re di Francia collegate contro l'imperatore. Dopo qualche giorno di soggiorno a Genova gli parve che la sua presenza fosse necessaria a Madrid, ove erano in corso importanti negoziazioni diplomatiche. Egli partì clandestinamente da Genova e dopo un viaggio avventuroso giunse sano e salvo a Barcellona. Durante le peripezie di questi viaggi, il Gran Cancelliere rinnovò il voto di fare una novena nel Santuario della Beata Vergine di Mon-serrat i1). Questo Piemontese, anzi Gattinarese, devoto alla Beata Vergine, che già nel 1515 aveva fatto voto di visitare il Sacro Monte di Varallo (2) non ricorda il Santuario di Oropa. Tutto ciò può essere giudicato di non grande importanza, ma non è privo di valore per la tesi degli Autori della Storia d’Oropa. La preistoria di Oropa, giunge, secondo gli Autori, fino alla fine del secolo XVI, e poiché la leggenda attribuisce il rinvenimento della statua e il suo trasporto nei monti biellesi a S. Eusebio, vissuto nel secolo IV d. Cr., la preistoria comprende XII secoli. Gli Autori, desiderosi di riunire tutti gli elementi che possono giovare alla conoscenza della verità, fedeli al metodo storico, sono costretti a riconoscere che per nove secoli, cioè fino al secolo XIII non si trovano documenti in cui sia nominata Oropa. Il primo documento è del 1229 e dice che nella Valle di Oropa esisteva una chiesa dedicata a S. Bartolomeo. Un altro documento del 1300 parla di due chiese o cappelle, una dedicata a S. Maria e l’altra a S, Bartolomeo, ma si tratta di cappelle di scarsa importanza officiate da monaci. I luoghi, dove sorgevano le due cappelle erano particolarmente adatti per l’assistenza dei viandanti, che, attraverso i monti, si recavano da Biella alla valle d’Aosta e viceversa. Altri documenti del secolo XIV si riferiscono a lasciti fatti da pii testatori in favore delle stesse cappelle di S. Maria e di S. Bartolomeo. Questi documenti provano che nella valle di Oropa esisteva un culto mariano, ma non parlano nè di Santuario nè di Ospizio. Verso la metà del secolo XIV i Biellesi si ribellarono al vescovo di Vercelli ; passano temporaneamente sotto il dominio visconteo e nel 1379 fanno dedizione ad Amedeo VI di Savoia. Il 1° febbraio i1) C. Bornate, Historia vitaq et gestarum per Dominum Magnum Cancellarium, ecc., in « Miscellanea di Storia Italiana », S. Ili, t. XVII, pagine 343-354. (2) C. Bornate, Op. cit., pagg. 263-2G4. RASSEGNA BIBLIOGRAFICA 59 1439, nell’occasione in cui il priore Giovanni Grosso prese possesso di S. Maria di Oropa, venne redatto l’inventario dei beni mobili e delle suppellettili della Chiesa·. Questo inventario è una prova evidente della povertà della chiesa di Oropa, la quale, finché fu retta dai Priori Commendatori, cioè fino alla metà del secolo XV, non ebbe importanza : non si fa mai cenno nè di Santuario nè di Ospizio. Nel 1459, Pio II concesse al Capitolo dei Canonici di Santo Stefano di Biella parecchi benefici, tra i quali figura Santa Maria di Oropa. Questa concessione ha importanza, perchè ci fa sapere che Santa Maria di Oropa aveva un reddito di dodici fiorini d’oro all’anno e che l’esiguità del reddito non poteva fornire i mezzi per il funzionamento e l’incremento di un Santuario e di un Ospizio, che accogliesse numerosi pellegrini. I canonici cedettero la cappella di Santa Maria di Oropa in affitto al sacerdote Bartolomeo Bracchetto per tre anni, rinnovabili di tre fino a nove. « Però è dovere di storico il dire che la. stessa creazione di un afSttavolo-conduttore, sacerdote, a Oropa ci determina Patto di nascita di un Santuario : piccolissimo, senza importanza alcuna, povero, alieno dalle grandi folle, ma pur frequentato da alcuni pii, devoti montanari e ciò ancora per lunghi anni, ma nato. La svolta della storia d’Oropa era decisiva, ma senza che i canonici di Santo Stefano avvertissero ben chiaramente l’evento e assolutamente ignari fossero dell’enorme sviluppo, che sarà gloria tutta biellese, che il seme pur mò germogliato prenderà nel seicento » (pagg. 123-124). La spedizione di Carlo VIII in Italia, seguita a breve distanza di tempo da quella di Luigi XII, le guerre successive tra francesi e spagnuoli, la lega di Cambrai, la lega Santa, e tutti quegli avvenimenti politici e militari che agitarono l’Italia nella prima metà del secolo XVI, fino alla pace di Chateau Cambrésis, ebbero ripercussioni in tutto il Piemonte e quindi anche nel Biellese. Nel disagio economico, che travagliava sopratutto la povera gente, non si può pensare a un incremento del Santuario, che poteva crescere e prosperare esclusivamente per i lasciti e le donazioni dei fedeli. Tuttavia la fama della miracolosità della Madonna si diffuse e il Santuario si avvantaggiò di qualche nuova donazione. Per tutto il secolo XVI le rendite furono scarse e il Capitolo di Santo Stefano non usò mai, in nessuna occasione, per nessun motivo, delle rendite del Beneficio Oropa-S. Quirico che a proprio personale vantaggio, mentre per la manutenzione delle povere e piccole fabbriche non usarono che parte del provento di offerte « spontanee e procacciate o questuate » (pag. 143). II Santuario modesto, umile è nato. Il rinnovamento religioso eccitato dalla Controriforma non tardò a dare i suoi frutti. Il po- 60 RASSEGNA BIBLIOGRAFICA polo, provato in mille sventure, non avendo più fiducia nei rimedi umani, si volse a Dio e cercò nel cielo quel conforto che gli era negato sulla terra. Sorsero, crebbero, ingigantirono Santuari, centri luminosi, dispensatori di indulgenze e di grazie celesti. Da questo generale rinnovamento, da questo entusiasmo religioso, che penetra e si diffonde in tutte le classi sociali, il piccolo Santuario di Oropa trasse vital nutrimento e si avviò verso la grandezza e la magnificenza dei tempi nostri. Nè a questo poteva mancare il riconoscimento ufficiale che venne sotto le forme delle bolle di indulgenza concesse da Gregorio XIII F8 agosto 1579 e da Clemente Vili il 12 aprile 1595. A questo punto finisce la preistoria e comincia la Storia di Oro-pa. 11 documento capitale, la pietra angolare del Santuario è, secondo gli A A., il voto solenne fatto il 13 luglio 1599 dai decurioni di Biella e dai eh lanari delle arti alla Beatissima Vergine Maria per ottenere la sua protezione contro la peste che infieriva nel paese. 1 rappresentanti della Città offrono cento ducatoni d’implicarsi nella costruzione di una Cappella la quale sin d'hora hano ordinato si hal)ì)i a fare et consiritirsi, ha honor di Dio, della Beatissima Verdine Maria et de S.to Rodio. Siamo nel periodo eroico della Controriforma. La fede religiosa, sublimata dalle sciagure della Patria, « si traduceva in opere di pietà e di bellezza imperitura ». Fioriva il Santuario di Varallo, di Mondovì, di Domodossola, di Graglia e di Andorno ; fra tutti doveva eccellere quello di Oropa. Il Vescovo di Vercelli mons. Giovanni Stefano Ferrerò acconsentì con entusiasmo alla iniziativa dei Biellesi, e vi apportò un contributo inestimabile con la vita di S. Eusebio e con la divulgazione della leggenda eusebiana. La nave è uscita dalle secche e dagli scogli e naviga ormai in mare aperto. Non si tratta più di cercare negli scardi documenti gli scarsissimi accenni alla cappella di Santa Maria per seguire tra mille difficoltà il filo conduttore della storia di Oropa ; la vita del Santuario e dell’Ospizio, che non tarderà a sorgere intorno al Santuario, si può ora seguire in tutti i particolari, in tutte le vicende culturali e giurisdizionali. Gli AA. hanno scritto la storia di Oropa; nessuna meraviglia, quindi, che essi si siano attenuti strettamente ai fatti, che risultano dagli scarsi documenti, ed abbiano respinto tutto ciò che nei documenti non trova conferma. Se, invece (li seguire rigorosamente il metodo storico, avessero ceduto alla tentazione di farsi paladini della leggenda, non avrebbero fatta opera di storici. E giacché abbiamo nominato la leggenda soffermiamoci un istante ad esaminarla. La leggenda autentica si può definire: «un racconto che riposa su qualche fatto storico o ricordo di fatto stori- RASSEGNA BIBLIOGRAFICA 61 co » ('). Nel caso nostro il fatto storico è l’esilio di San Eusebio a Scitopoli, nella Palestina sulla destra del Giordano, il suo ritorno a Vercelli e la lotta contro Γarianesimo. Il resto non è più storia; è invenzione anacronistica. Dico anacronistica per due ragioni: prima, perchè la Chiesa fin dal terzo secolo non ammise il culto delle imagini (2) ; secondo, perchè il culto della Vergine sorse dopo il terzo secolo (3). ÏC noto che la più antica imagine della Vergine si trova nel Cimitero di Priscilla ed è una pittura del secondo seco- lo C1). Le statue raffiguranti la Vergine o i Santi sono di epoca posteriore. Come conciliare questi dati inoppugnabili con la leggenda. delle statue scolpite o intagliate da S. Luca? Facendo la crìtica delle fonti, il Ckivhllucci, a pag. 156 delPop. cit., scrive : « Tradizione orale. La fonte più importante accanto al racconto immediato.... è qui la leggenda, più importante forse sotto l’aspetto negativo che sbotto quello delle testimonianze positive che le dobbiamo; poiché essa è quella fonte che, atteso il suo carattere, è esposta alle alterazioni più forti, a quelle cioè cui va soggetto il racconto che passa di bocca in bocca ». E si potrebbero moltiplicare le citazioni di maestri del metodo storico che mirarono tutto allo stesso fine di escludere la tradizione orale come fonte degna di fede. Sotto questo aspetto gli Autori hanno ragione di 11011 attribuire importanza a una leggenda, che ai difetti comuni a tutte le leggende aggiunge quello di essere sorta troppo tardi e di avere (!) A. Crivejllucci, Manuale del metodo storico, Pisa, 1897. pag. 150. (2) « Stante l’atteggiamento che teneva il Vecchio Testamento riguardo alle imagini, e finché idolatria pagana fu ancora fiorente, non potevano mancare tra i cristiani, nemici alle imagini religiose. Il Sinodo di Elvira [Illiberis (Granata) nella Baetica, 350 d. Or.] decretò (c. 36) : Placuit 'picturas in ecclesìa noti esse debere. ne quod colitur et adoratur in parietibus depingatur. Al modo stesso si espressero Eusebio (di Cesarea), Epifanio, e ancora verino il seicento Sereno di Marsiglia ». Dott. Francesco Saverio Fune:, professore di Teologia nell’Università di Tubinga, Storia della Chiesa, vol. I, Roma, 1903, pag. 233: Alla Sorella dell’imperatore Costantino che lo aveva pregato di un imagine di Cristo (Eusebio di Cesarea) rispose : « Non dobbiamo possedere tali ima gini, per non portare attorno in figura il nostro Dio come i Pagani ». Dott. Gerhard Rausohen, Professore di Teologia nell’Università di Bohn, Manuale di patrologia e delle sue relazioni con la storia dei Dogmi, Firenze, 1904, pag. 150. Per Epifanio cfr. la stessa Opera a pag. 193. Sullo stesso argomento confrontare F. Gregorovius, Storia della Città di Roma nel Medio Evo, vol. I, Roma, 1900, pag. 502. (3) per ü culto della Vergine, sorto nell’Arabia e giudicato eretico nella forma in cui era professato (Eredia dei Colliridiani), e confutato da Epifanio, cfr. Monsig. L. Ducìhesne, Storia della Chiesa Antica, vol. II. Roma, 1911, pag. 344. (!) Orazio Marucohi, Manuale di archeologia cristiana. Roma, 190S, pa gine 354-355. RASSEGNA BIBLIOGRAFICA originalità assai dubbia. L’opera loro, scientificamente parlando, è opera onesta e sincera, e merita lode. Con ciò non voglio dire che l’opera sia perfetta. Qualche neo qua e là si può notare, ma sono errori di stampa o difetti rimediabili, che in una nuova edizione possono essere facilmente eliminati. Così per es. il testamento di Ambrogio de Sole a pag. 66 si dice che è del 10 gennaio 1404, a pag. 85 del 10 gennaio 1414; a pag. 143 e pag. ITO si accenna al santuario di Yarallo, ripetendo (lue volte la stessa cosa ; a pag. 366 si dice che Pio VII era di famiglia Braschi invece di Chiara m oti tili qualche altra svista o ripetizione, che è inutile elencare, avranno avuto agio di asserire gli Autori medesimi. Alcuni periodi sembrano poco chiari. Per es. l’ultimo a pag. 1.09; quello che incomincia : « L’auditore Donuzzetto.... » a pag. 240; l’ultimo a pag. 298, l’ultimo a pag. 345. Ma, ripeto, questi sono nei, che non infirmano la solida costruzione dell’opera, il cui valore reale è indiscutibile. E pure intorno a questo libro si è levato un tale coro di oppositori che pareva volessero subissarlo. Araldo dell’opposizione si è fatta l’Illustrazione Biellese con un fascicolo intitolato: Oropa Storica, preistorica e protostorica. Ben 92 pagine di questo fascicolo occupa il prof. Emanuele Sella con l’articolo: Oropa e le origini della Nazione Mellese. Riassumere questo articolo è un’impresa disperata. L’autore uomo di intelligenza agile e vivace e di molta erudizione indulge troppo alla mobilità della sua fantasia e passa con rapidità sorprendente da un argomento all’altro, lasciando il lettore stordito e disorientato. Secondo il prof. E. Sella, l’opera del P>orello e Rosazza ha « lacune e mende » pag. 5 ; fornisce alimento al « vento gelido dello scettici-ino » pag. 7 : sminuisce l’importanza della cronaca dell Orsi, pag. 10; è fondata sopra una « tesi preconcetta » pagg. 19-20 : non contiene ua parola circa « la statua di Santo Stefano di Oropa » pag. 26 : non nomina il Maffei « come storico scrittore » pag. 29 ; nulla dice della « Via militare romana sotto Bagneri » pag. 43 ; tratta un argomento che supera le forze degli Autori, pag. 54; contiene una ((terminologia errata » circa la preistoria di Oropa, pag. 56 ; afferma inesattamente che « la romanità entrò nel biellese col diritto e con la liturgia romana » pag. 60; non prende in considerazione le testimonianze degli scrittori, pag. 70: non contiene l’analisi del termine cella pag. 82: è, insomma, un libro « pernicioso » pag. 90. L’antologia potrebbe continuare, perchè fiori siffatti sono disseminati un po’ per tutte le 92 pagine del lungo articolo. Messosi sulla via di volere giustificare la leggenda, il Sella non solo accoglie come verità indiscutibili tutti gli argomenti, anche i meno fondati, che giovano alla sua tesi, ma esce di tanto in tanto in affermazioni che lasciano molto incerto per non dire incredulo il lettore. Per RASSEGNA BIBLIOGRAFICA 63 esempio a pag. 6 scrive: « Supponiamo pure che si arrivi non al 1200 ma al ’900. E prima? Sarebbe temerario pensare che Oropa non esistesse, e con ciò convincere di mendacio la tradizione Eute-biana e la popolare leggenda ». Confesso di non comprendere il significato recondito di queste parole. Se l’A. intende parlare del torrente, della valle, della località fisica chiamata Oropa, siamo d'accordo che non può nascere dubbio circa la loro esistenza nel novecento e prima del novecento. Ma se si tratta della Statua della Madonna, del Santuario, non vedo, perchè debba essere temerario pensare che in quel tempo non esistessero. Siccome le prove date finora non provano nulla, ciascuno conserva la propria libertà di giudizio. « Per poter risolvere, scrive il prof. Sella, il problema delle origini di Oropa, bisogna ricorrere pertanto a molte scienze, ciascuna avente la sua propria metodologia scientifica. Un elenco approssimativo di tutte le scienze necessarie alla giustificazione della tradizione eu-s ehi ana può costruirsi comprendendovi alla rinfusa, perchè si soccorrono vicendevolmente: la paleografia e la critica anche filologica dei documenti : la numismatica, l’economia e la storia economica : la storia dell’arte; l’agiografia e quindi anche la teologia; l'archeologia, la glottologia e in particolare la toponomastica : la paletnologia e la etnologia, da valutarsi queste anche sui dati dell'antropo-geografia ; e infine la storia del diritto ». Vuol dire dunque, che la giustificazione della tradizione eusebiana- è ancora di là da venire; e verrà, quando sarà nato quel mostro di sapienza che conosca tutte le scienze sopra elencate o quando si saranno messi d'accordo tutti i dotti necessari per questa impresa. Secondo il prof. Sella, Oropa non deve essere studiata come a se Mante, ma come il centro del culto della B. V. nell'Italia settentrionale (pag. 7). In questo modo si abbandona l’argomento specifico per una trattazione di indole generale; e poiché su tale argomento non tutti i cittadini dell’Italia settentrionale la pensano come il prof. E. Sella, bisognerebbe impelagarsi in una discussione circa il primato che quasi certamente non condurrebbe ad alcuna conclusione. La ra gione dell’affermazione del prof. Sella va cercata nel fatto di « un preesistente culto pagano del concepimento in Oropa. Tutto ciò è squisitamente cuochi-ano (?) » pag. 13, è anche squisitamente anticattolico. I Padri della Chiesa che fino al terzo secolo combatterono il culto delle imagini, giustificavano il loro atteggiamento col timore che quel culto riconducesse i credenti nelle superstizioni dei pagani, e il Sella sostiene proprio il contrario. Tutto ciò che il Sella scrive intorno ad un supposto centro di culti celtici nella Valle di Oropa, e specialmente intorno alla derivazione del culto della Vergine dal culto delle Matrone è inammissibile e come tale è contraddetto da storici autorevoli come il Gabotto, il quale scrive: «Con 64 RASSEGNA BIBLIOGRAFICA maggior ragione il Lucius, Les origines du culte des saints dans ΓEglise Vrétienne, 700 segg., Parigi, 1908, ammette ad esempio, la successione di Maria nelle feste di certe divinità pagane, special-mente agricole, ma contesta che se ne debba ricondurre il culto ad un determinato culto gentilesco » (l). E questi esempi bastino sul metodo del prof. E. Sella. Lo stesso fascicolo Illustrazione Biellese contiene gli articoli seguenti: Arnaldo Bertola, La condizione giuridica del Santuario; Venanzio Sella, Oropa di fronte ai suoi ultimi storici ; Pietro Torrione, Indagine e chiarimenti : in difesa di Gustavo Avogadro ; Antonino Olmo, I vetusti affreschi del Sacello; G. Michele Bionda, / Santi pellegrini di Fontanamora ; Federico Pistono, Fie ’d Maria; Xelson, Le campagne di Oropa ; Pio Costantini, Il poeta delle « Oro-pee » : finalmente un anonimo raccoglie in 91 capi gli Appunti alla Storia di Oropa. Di tutti questi articoli il più ampio è quello del sig. Venanzio Sella, difensore a oltranza della tradizione eusebiàna. Egli, accettando come verità provate e documentate le ipotesi del suo omonimo sul culto precristiano della « Celtide d’Italia » e interpretando i documenti con evidenti stiracchiature crede di aver polverizzato gli argomenti degli Autori della Storia di Oropa del 1935. A tutti gli appunti fatti dai critici, stampati nel fascicolo del-VIllustrazione Biellese, gli Autori hanno risposto pubblicando un Appendice alla « Storia di Oropa ». Questa Appendice, scritta in forma agile e vivace, si legge con vero diletto. Il Borello ed il Rosazza ribattono ad una ad una le accuse mosse all’opera loro, e, riprendendo e ampliando la discussione su alcuni argomenti fonda-mentali, mettono in evidenza gli errori dei loro critici. Con la forza che deriva dalla persuasione di sostenere una causa giusta ed alla conoscenza ampia e sicura della letteratura dell’argomento, essi mostrano l’equivoco in cui è caduto Emanuele Sella di credere le prealpi biellesi abitate, nell’epoca preromana, dai Celti, mentre esse furono abitate dai Leponzi di razza Taurisca provenienti dall’Illirio. Rimane, così, scossa dalle fondamenta la Celtide d'Italia con tutte le fantasticherie che si collegano ad essa. Procedendo, gli Autori dimostrano che il Maffei fu un mistificatore, che la statua di Santo Stefano è stata disegnata e fatta eseguire dal Maffei medesimo, che la strada militare romana di Bagneri è fantasia del Maffei, che la. superstizione circa le virtù miracolose del Sasso, che E. Sella chiama Roc della Vita, sorse nel tardo settecento e non prova nulla. Anche ciò che scrive il Sella circa il culto delle Matrone3 non ha fondamento veruno. Il Bruzza che è la fonte più autorevole sull’ar- (ì) F. G a botto, Storia dell’Italia Occidentale nel Medio Evo. Libro I. I Barbari neiritalia Occidentale, Pinerolo, 1911, pag. 28. RASSEGNA BIBLIOGRAFICA 65 gomento, parla di paesi gallici a piè delle Alpi, quindi posti nella pianura padana, non nelle valli alpine. Difatti le cinque iscrizioni pubblicate dal Bruzza (VI, VII, VII, IX, X) furono trovate a Verdelli, Casalbeltrame, Casalvolone, Vico lungo, Palazzolo Vercellese, lutti paesi di pianura i1). L’ultimo capitolo dell’Appendice contiene le risposte agli appunti critici degli altri collaboratori del fascicolo speciale dell’Illustrazione Biellese. Borello e Rosazza hanno avuto buon gioco a rispondere, nel campo storico, alle critiche di persone che pare non abbiano grande famigliarità col metodo storico, le quali dominate dal desiderio di difendere la loro tesi offrono il fianco scoperto all’avversario. L’impressione che si riceve alla lettura dell’Appendice è pienamente favorevole ai due Autori. Essi hanno difeso l’opera loro con abilità e . con calore; assaliti hanno risposto e hanno rintuzzato gli assalti non con luoghi comuni o con chiacchiere vane, ma con argomenti solidi. E nobilmente concludono la buona battaglia con <( l’augurio angelico della pace cristiana ». C. Bornate Atti della Sezione di Savona della R. Deputazione di Storia Patria per la Liguria, vol. XVIII, 1936-XIV. La torre del Brandale, vetusto usbergo e scolta savonese ha i suoi appassionati studiosi. Ecco qui Martino Nicolò Russo che ha dottamente braccato le oblite carte di molti archivi pubblici e privati e ci lia preparato una sobria monografia, illustrando con severo senso critico una serie di interessantissimi documenti inediti, che vengono presentati in esame ai ricercatori di origini patrie. Ma accanto a questo saggio erudito e meritevole d’encomio, un altro ne compare del dottor Poggio Poggi, il quale, ricalcando indefessamente le severe orme paterne, ha donato ai Savonesi una storia illustrativa, del Brandale, che va dalle sue origini ai nostri giorni. Storia che ha una sua attualità, perchè recentemente, mercè l’opera ardente d’amor patrio della « Campanassa » dal Poggi appunto degnamente presieduta, l’antica torre, un dì soffocata da sovrastrutture, resa quasi irriconoscibile dalle ingiurie di tempi 0) L. Bruzza, Iscrizioni antiche vercellesi. Torino, 1875, pagg. 8-12. A questo proposito faccio osservare che la citazione di E. Sella, Illustrazione Biellese!, anno V, n. VII-VIII-IX, pag. 23 è incompleta. Il testo, pag. 12, dice esattamente così : « La frequenza dei monumenti del loro culto nei territori di Vercelli e di Novara e nei paesi gallici a piè delle Alpi fa anteporre questa divinità a qualunque altra il cui nome cominci con la medesima lettera, come Minerva, Mercurio o Marte, che stimò di ravvisarvi indicato il Reinèsio ». 6G RASSEGNA BIBLIOGRAFICA barbaramente iconoclasti, è risalita a svettare sulla città, nella sua sobria ed agile eleganza di vecchia « domina ». I Savonesi che la venerano e le vogliono bene come alla superstite testimone della loro travagliata stona medioevale, leggeranno con infinito diletto queste pagine dettate dalla penna del dottor Poggi. Ma non solo i Savonesi, perchè l’opera ha pregi intrinsechi per farsi leggere ed apprezzare anche da chi ha poca dimestichezza colla vecchia torre. La quale, leggo, è vecchia davvero, al punto d'aver smarrito Patto di nascita, per cui anche il nome resta una specie di rompicapo nel quale finora gli storici hanno visto poco chiaro. 11 Poggi avanza l'ipotesi che possa derivare da un antico « brand » ossia « luce », « falò ». Sono esattamente del suo parere, perchè una voce simile sopravvive ancora nel dialetto del contado di Genova : « brandon », « rebrandoû » che vuol dire « riverbero », « risplendere ». Dal che si potrebbe dedurre, senza possibilità di equivoci, che al Brandale spettò nella sua prima giovinezza la funzione di faro, o di torre per segnali. Pure in questo XVIII volume ha luce la corrispondenza di Stefano Grosso, dottissimo latinista ed ellenista del secolo scorso, che fu in relazione epistolare con illustri ingegni del suo tempo, quali, per citarne alcuni, il Tommaseo ed il Carducci. Due nomi che nella loro magica potenza evocatrice, diranno da soli l’importanza di questa pubblicazione. Il Bustico che l’ha curata e diligentemente chiosata, ha compiuto opera veramente meritoria. Mi sia concesso di elevare qualche riserva invece, sul saggio che segue, quello di G. B. Parodi e I. Scova zzi, che già vide la luce in altra veste, in occasione del IV Centenario delPApparizione della Madonna al Santuario di Savona. La prima parte corre liscia : ci si sente la mano forte di chi s’è affinato per lunga consuetudine a simili lavori di ricerca storica. E non ci sarebbe nulla a ridire, o meglio ci sarebbe solo da dirne bene. Cosa che faccio di buon grado, sia riferendomi al contenuto storico che è notevole, sia per la narrazione che si veste d’uno stile raro e dilettevole. Ma la seconda parte non mi va giù: quel scivolare nella filosofia, quel partire a lancia in resta contro l’idealismo e lo storicismo, in un lavoro che vuol essere esaltazione della Madonna, mi fa l’effetto d’una ronfata di trombone nel bel mezzo d’un appassionato a solo di violino. E non paia irriverente il paragone. Non era questa la sede adatta per filosofeggiare acremente. Meglio molto meglio, dice la popolana e sgrammaticatissima prosa di Agostino Abate con la sua ingenua esaltazione in laude di Maria. Essa infatti è creatura tutta poetica, e meglio degli aggrovigliati parlari de’ filosofi, ama il dolce plettro RASSEGNA BIBLIOGRAFICA * 07 dei cantori. E Donna, Mistica Donna, ed ascolta perciò più volentieri gli inni soavi vibranti fra] nubi (li incensi che i sottili ragionari di loici spaccatoli di peli in quattro. Ed è per questo, o dottissimi autori, che non riesco a seguirvi, ad approvarvi. Non vogliatemene : è questione di gusti e di sensibilità. Ed ora passiamo all’ultimo saggio, quello che chiude l'interessante volume. E del Noberasco, e questa è di per sè una raccomandazione. Ma le « Noterei le » su Savona dal 1840 al 1850, sono qualche cosa di più di quanto lascia supporre il modesto titolo. Sono pagine di vita intensamente vissuta, appassionatamente narrata. Tutta la Savona d’un decennio di rinascita ha una sua vibrante vitalità in questa mirabile rassegna d’avvenimenti e d’uomini. Anche tantissime piccole cose, « nugae » di sapore un po’ casalingo e provinciale, che per la loro levità di tessuto non trovan posto tra le gravi pagine della storia, hanno qui la loro risurrezione miracolosa. Ma poiché queste « nugae » son quelle che qualche volta san dare «sapore alla narrazione storica, ecco che questo saggio del Nobera- * co si veste spessissimo d’un vigore, d’un calore, d’un sentimento che tocca e commuove, sia che ascoltiamo notizie di gravi argomenti, sia che indugiamo sorridendo, ad ascoltare la sapida musa del Lunario o quella del signor Regina che da Genova amava spesso ficcare il naso fin qui, nelle cose di Savona. E poiché il signor Regina era di buona pasta, non gli farò torto se gli sottrarrò qualche verso per dedicarlo al saggio del prof. Noberasco, a chiusa di questa scorribanda savonese : Ve o dio in breve: o Vè un giojello - hello tutto, tutto hello.... No ghe ninte chi ne o guaste.... Bello! Bello! e questo baste! Renzo Baccino Ludovico Giordano, Vie Liguri e Romane tra Vado e Veiitiìuiglìa. Studi e rilievi col concorso di : Nino Lamboglia, Lorenzo Traverso, Tomaso Calsamiglia, Domenico Fornara, Antonio Canepa, in « Collana Storica Archeologica della Liguria Occidentale », vol. I, n. 5. Imperia-Oneglia. II problema dell’identificazione delle vie romane in Liguria è senz’alcun dubbio arduo, e ben lo sa chi scrive queste brevi note, per lunga e diuturna famigliarità) coll’argomento. Pertanto è assai lodevole il lavoro compiuto da un serio ed entusiasta manipolo di dotti ponentini, i quali, riunitisi in comunità d’intenti, ci hanno dato questo : « Vie liguri e romane tra Vado e Ventimi glia ». Volume interessant|s#mo in cui il problema della viabilità romana è posto 68 RASSEGNA BIBLIOGRAFICA su nuove basi ispirate a moderni criteri di indagine e di critica storica, dove ogni vieto sentimentalismo campanilistico è vinto e superato da una chiara comprensione delle attuali necessita della storiografia. Si deve con sìncero piacere notare come specialmente da parte dei giovani (non è vero prof. Lamboglia?,), in questo rifiorire di romanità e di studi intorno ad essa rampollanti, si affrontino e si risolvano con severo metodo, con serietà di intenti e ponderatezza-di preparazione, problemi che già ebbero nel passato superficiali, monche e particolaristiche trattazioni. Perciò son ben lieto di porgere il benvenuto a questo saggio che porta un serissimo contributo allo studio della dominazione romana in Liguria, e di segnalarlo a quanti hanno vivo nel cuore il sacro culto delle memorie di questa nostra amatissima terra. L’opera si apre con una acuta indagine introduttiva del prof. Ludovico Giordano, indagine che si risolve in un’ampia trattazione, impostazione direi quasi, dell’argomento proposto dal titolo, dove l’autore, pur tenendo in debito conto le conclusioni dei suoi predecessori in materia, quali il Celesia, il Sanguineti, il Rocca, il Poggi, l’Accame, avanza nuove ed originali soluzioni. Così l’aver intuito e dimostrato via vìa, con la collaborazione di solerti compagni, che non una sola strada, l’imperiale « Iulia Augusta », percorreva il litorale ponentino, ma che questa era accompagnata nel suo viaggio verso le Gallie da un’altra arteria minore che spesso si discostava' dall’andamento della, maggiore o militare, deve essere ragione di giusta e comprensibilissima soddisfazione. In questa accertata dualità di percorso si dissolvono e cadono tante polemiche che fecero versare in passato fiumi d’inchiostro. Lo scrivente, per citare un caso particolare, or son pochi anni, volendosi render conto di persona di certe particolarità della viabilità romana che meglio si possono studiare nella riviera di ponente che in quella di levante, si trovò di fronte ad una sequela di dubbi e di esitazioni che gli studi storici consultati valsero più ad aggrovigliare che a schiarire. Ma sulla scolta delle conclusioni di questo benemerito volume, ogni dubbio, ogni esitazione, non ha più ragione di sussistere. Infatti, provato che esisteva anteriormente alla conquista romana un’arteria che dai Vadi conduceva alle Gallie, è ben logico supporre che, allorquando i Romani impresero l’apertura della loro importantissima via strategica, non si siano lasciati indurre a seguire il tracciato della strada preesistente, ma abbiano piuttosto seguite quelle direttive, quei criteri, « munitivi » vorremmo dire, che troviamo dovunque applicati e che obbediscono alle leggi di una mirabile tecnica costruttiva gloria e vanto dell’ingegneria romana. Sicché accanto alla via censoria e poi imperiale rigidamente tesa e vibrata ad un suo fatale destino di conquista e di dominio, si snodava RASSEGNA BIBLIOGRAFICA 69 col primitivo e sinuoso andamento di pista, l’antichissima strada dei Liguri dal mitico nome di Erculea che era sorta da ben diverse necessità di quella militare e che quindi meglio poteva giovare alle ragioni di commercio dei vari agglomerati etnici disseminati lungo la riviera. Ottima pure è la trattazione che riguarda l’andamento delle « vicinales » e delle « communales » di quelle arterie cioè che riunivano i pagi ed i vici delle valli tributarie alla grande strada litoranea. Come al prof. Giordano ed ai suoi collaboratori sarà facile accertare, all’incirca le stesse conclusioni ha tratto il sottoscritto per ciò che riguarda la Riviera di Levante. Non una sola strada romana esisteva, ma molteplici che conservarono attraverso i secoli il loro glorioso appellativo di « romee » e che stavano alla principale o militare nello stesso rapporto degli affluenti al grande fiume che tutti li raccoglie e li convoglia. E ciò anche in relazione alla peculiare attività dei « mancipi » o governatori di stazioni che fra le loro attribuzioni avevano anche quella di raccogliere i regolari tributi delle terre circostanti soggette alla loro giurisdizione. Ma poiché per inciso mi occorse di far menzione delle vie romane o « romee » della Riviera di Levante, mi permetta il prof. Giordano di esprimere la mia alta meraviglia nel legger ripetuto nel suo saggio introduttivo un errore che fu già strenuamente propugnato dal Celesia ed anche dal grande Nissen, ma che il Sanguineti potè sfatare in maniera lucida e conclusiva : quello di affermare che 1’Aurelia da Pisa a Vado non fu opera di Scauro o comunque opera romana, e ciò basandosi soltanto in fondo, sul famosissimo luogo di Strabone. Il fatto è questo : o si accetta la versione del Sanguineti prestando fede alla tavola Peutingeriana e all’itinerario Antoniano, o la si respinge ed allora si nega in blocco l’autenticità dei due documenti itinerari che descrivono nella Riviera levantina una via militare segnata in miglia e frazionata in stazioni e mansioni, simile in tutto alla Vado-Ventimiglia e avente nel suo tracciato, nel suo andamento, nelle sue peculiari caratteristiche le stimmate della più sicura romanità. È chiaro? E quando si giunga a tale catastrofica conclusione si dovrà per forza negare la veridicità dei documenti itinerari anche per ciò che riguarda il tronco ponentino, per non cadere nell’assurdo in cui scivolò ostinatamente il Celesia. E che ciò sia provocato da un discusso e discutibile luogo di Strabone è troppo, via ! Mi lusingo che, sulla scorta del saggio che vede la luce con queste note i dubbi del prof. Giordano abbiano a schiarirsi. Mi sia permessa un’altra piccola osservazione. Nell’elenco delle vie esistenti in Liguria prima dell’Evó Medio, non trovo la Postumia o « Derthona Genua », e francamente me ne dispiace. Specialmente per il fatto che essa è la più antica via romana che sSa 70 RASSEGNA BIBLIOGRAFICA stata aperta tra le nostre aspre montagne dalle legioni conquistatrici. Risale infatti al ISO a. C. circa e fu opera di quelFAulo Postumio Albino console, ferreo repressore d’insorgenti velleità (li lotta dei liguri. La sua romanità è luminosamente attestata dalla famosissima tavola di bronzo del 117 a. C. Nessun dubbio in proposito. Come mai allora?... Voglio per ultimo esprimere le mi·» incondizionate lodi al prof. Lamboglia. 11 suo saggio si fa notare fra gli altri per il rigido metodo di ricerca che lo informa. Metodo moderno questo, che ben si può chiamare d'onestà storica. Occorre infatti, come il Lamboglia fa, citare le fonti cui si è attinto, con la massima precisione. Un nome d’autore buttato là a caso significa un bel nulla se non è accompagnato da precise, inequivocabili indicazioni bibliografiche. Non bisogna supporre che i lettori siano delle enciclopedie ambulanti ! Ë una regola questa che ogni moderno scrittore di storia sarebbe ben lieto di controfirmare, ma che qualche compilatore del presente volume ha più d’una volta dimenticato, non certo, Dio mi scampi dall’affermarlo, per.... disonestà storica, ma per inesatta conoscenza delle moderne esigenze della storiografìa. In avvenire però, mi scusi il prof. Giordano, questa regola assiomatica non dovrà mai essere dimenticata. E ciò senza malignità. È un consiglio d’amico questo. Renzo Baccino L. Giordano, Il Castelvecchio d’Oiieglw. In collana storica, archeologica della Liguria Occidentale, vol. I, n. 1. In questa erudita e pur agile monografia l’avv. Giordano entra in una particolareggiata disamina sulle origini e sulle vicende del Castelvecchio d’Oneglia. Ci congratuliamo con l’autore, sia pure un po’ in ritardo, per la sua dotta fatica che prelude in così degno modo a questa « collana » che molti e succosi frutti saprà darci nella sua futura attività. Per intanto i saggi che a questo primo fanno seguito e che ho avuto occasione d’aver fra le mani, sono degni della più benevola considerazione per la serietà d'intenti che li informa. E poiché l’argomento ed il titolo di questo volume me lo concede voglio rivolgere un consiglio all’avv. Giordano. Trovo ricordata qua e là fra le pagine dei vari saggi già pubblicati, ma specialmente in questo, quella famosa teoria dei « castellari » che, nata in terra francese, trovò assertori illustri fra noi quali l’Issel, il Rossi ed il Ferretto. Purtroppo, in Liguria se ne parlò e se ne parla ancora, ma di concreto si è fatto men che nulla. Orbene, oso sperare sia giunto il momento di passare sul terreno della pratica, affrontando RASSEGNA BIBLIOGRAFICA 71 il problema nella sua complessità per giungere ad una sua soluzione sia pur parziale. E credo che Vambiente adatto per tale soluzione sia appunto la Liguria. Occidentale per il fervore di propositi che anima i componenti le Deputazioni di Storia Patria e per la preparazione che dimostrano alla luce delle loro molteplici attività. Dal « Castelus Alianus » famoso, ai vari « castellari », « castelli », « castlé », « castellaé », « castellacci » c’è una messe certa di scoperte che attende l’amorosa e paziente mano dello studioso. Ogni vallata Ligure abbonda di questi toponimi che, per la massima parte non sono giustificati da costruzioni esistenti, ma che denunciano sempre nella loro munita postazione un antico scopo strategico. Occorre affrontare Pargomento : ne vale assolutamente la pena. Una commissione di dotti all’uopo costituita potrebbe fissare e delimitare i campi ed i metodi d’indagine, partendo da una prima inchiesta toponomastica selettiva, per giungere, ove se ne reputi il caso, a veri e propri lavori d’assaggio e di scavo. E sarebbe opportunissima cosa che tale indagine si svolgesse in tutta la Liguria con comunità di metodi e d’intenti, perchè, e l’avv. Giordano mi corregga se sbaglio, mi pare che il nome di « castellare » ed i suoi toponimi, valga a delimitare i territori occupati dall’antica stirpe ligure, come certi suffissi di nomi locali di cui il Kretschmeri in Germania. e lo Schiaffìni fra noi tanto s’occuparono. Renzo Baccino Italo Scovazzi, Il primo romanzo di A. G. Barrili. Estratto dalla « Rassegna della Provincia di Savona », del marzo 1934, pp. 6; I. Scovazzi, Due inedite poesie giovanili di A. G. Barrili. Istituto di propaganda per la Liguria, s. d., pp. 7 ; I. Scovazzi, A. G. Barrili. Commemorazione fatta il 13 dicembre 1936 in Savona. Istituto di Propaganda per la Liguria, pp. 14 ; I. Scovazzi, Confidenze giovanili di Pietro Sbarbaro. Estratto dalla « Rassegna » della Provincia di Savona », novembre 1934. Istituto di Propaganda per la Liguria, pp. 7. Lodevole, anche solo nell’intenzione, è il contributo dato alla migliore conoscenza della propria terra e degli uomini che la onorarono ; meno lodevoli — purtroppo — i modi con cui — a volte -si concretano tali intenzioni. Così, in questo caso. È difficile capire perchè si sieno pubblicate quelle due « inedite poesie » che, molto opportunamente, il Barrili aveva lasciate tali. Altrettanto si dica per le « Confidenze giovanili » di un non RASSEGNA BIBLIOGRAFICA felice ingegno quale lo Sbarbaro che ha già pagato di persona proprio certi suoi troppi confidenti sfoghi. In che cosa giovino, queste postume riesumazioni di scrittarelli di tal fatta, alla memoria di due liguri, che pur si vogliono onorare, non si vede. Nè il Barrili è poi così grande artista da far considerare di qualche conto alcune lettere giovanili, scritte con la naturale intemperanza e l’inevitabile scipita « maniera » propria dell’età adolescente. Si comprende invece Futilità della commemorazione del Barrili, che lo Scovazzi fa con agile vivezza, presentando un ben disegnato profilo dello scrittore e del patriota, caro a noi liguri, e del tuttodegno del nostro grato ricordo. Leona Ravenna Atti della Società Economica di Ch'mvari, anno 1936-XIV. Siamo sempre nello stesso ordine d’idee : cultura regionale potremmo genericamente chiamarla : voci della nostra terra di Liguria anche questa, ma d’altro timbro. Giuseppe Pessagno vi traccia, infatti, in poco più d’una decina di pagine un colorito schizzo su « Chiavari cinquecentesca » in cui la documentata informazione è piacevolmente presentata ; Giuseppe Micheli, ne « Gli statuti di S. Stefano d’Aveto » mentre ne pubblica alcuni capitoli, dà notizia dell’intero statuto con acconci piani chiarimenti; Ugo Oxilia, finalmente in brevi « Note storiche chia-varesi » tratta della « Controrivoluzione a Chiavari ». Rievocando l’attività rivoluzionaria dei « Viva Maria » della Fontanabuona, l’O. delinea qualche tratto saliente della popolazione di tale vallata che è fra le liguri e fra le più vicine a Genova madre, la più riottosla e rissosa, pur non mancando di valore nell’armi, di qualche gentilezza nel costume, e di una sua sottile capacità d’intelletto e di raziocinio. Con tutte le sue forze, la Fontanabuona difende la sua Fede e la sua tradizione, contro i francesi giacobini. Poco dopo, Fra Diego Argiroffo francescano, per non aver voluto ripetere l’acclamante grido: «Viva l’imperatore» viene fucilato il 1° maggio 1799 dagli austriaci. Così nella stessa terra di Liguria, si combatte, con armi diverse, un diverso nemico, con lo stesso cuore. Leona Ravenna RASSEGNA BIBLIOGRAFICA 73 A. Codignola, La monarchia di Savoia e VInghilterra nell’ultimo periodo del predom/inio napoleonico, in « Rassegna Storica del Risorgimento », dicembre 1936, pp. 1583-1636. In questo succoso saggio, il Codignola si occupa della politica inglese nel Mediterraneo, nei riguardi della Monarchia Sabauda, iu un momento quanto mai delicato: nel declino e nel crollo del-Pimpero napoleonico ; quando cioè s’afferma in modo anche più tangibile, la supremazia britannica nel mare non più nostro. L’Inghilterra era riuscita a tenere nelle sue mani la Sicilia e mirava, cupida, alla Sardegna, le isole, cioè, che, con i Borboni e i Savoia, erano sfuggite all’egemonia napoleonica. Vittorio Emanuele 1 si trovò nella difficile situazione di doversi difendere dai Francesi, dichiaratamente nemici, e dagl’inglesi apparentemente solo amici, ma, in realtà, insidiosamente ostili. Durante il blocco continentale, i legni sardi venivano sequestrati dalla flotta francese che, nello stesso tempo, favoriva le razzie sulla costa sarda, operate, nelle veloci incursioni, da navi barbai-resclie, e rendevano difficile, se non del tutto impossibile il piccolo commercio marittimo per mezzo dei corsari francesi; dall’altro canto, l’Inghilterra, monopolizzando, con i suoi traffici, quanto rimaneva del commercio della povera isola, ne aggravava le già tristi condizioni. Per attenuare le conseguenze di un così doloroso stato di cose, Vittorio Emanuele 1 rilasciò licenze di navigazione per il trasporto di alcune merci che gl’inglesi non curavano perchè troppo meschino il guadagno cbe se ne poteva trarre. Ma neanche queste bricciole, in realtà furono lasciate agli isolani, perchè le licenze, riconosciute valide dal Ministro britannico presso la Corte sarda, non erano ritenute tali dai comandanti delle navi inglesi. Alle proteste si rispose facendo comprendere che i bastimenti sardi erano considerati come quelli siciliani cui si lasciava libero transito perchè avevano una doppia licenza : quella borbonica e quella britannica : facessero altrettanto i sardi. Ciò determinò nuove formali proteste diplomatiche giustificate dalla di ver ssa posizione giuridica della Sardegna nei riguardi del l’Inghilterra. Che non cessò, per questo, di usare quei suoi sistemi, aggiungendovi, anzi, la provocazione aperta. 11 Codignola segue l’opera premeditata, precisa, spietata compiuta dal Regno Unito ai danni della Monarchia Sabauda, opera mirante a provocare reazioni — giustificanti un diretto intervento inglese nell’isola — e ad annientare ogni sua attività economica. Se la resistenza del governo Sardo non poteva in certi casi, che nuocergli, epperò spesso dovette piegare e tacere per impedire il peggio; in altri, giovò, invece, assai. 74 RASSEGNA BIBLIOGRAFICA È ben comprensibile la diffidenza che, verso gl’inglesi, si nutriva alla Corte sabauda, diffidenza che si accrebbe proprio quando, caduto Napoleone, si dovette procedere al riordinamento dell'Italia e, per conseguenza, alla restaurazione sabauda in Piemonte. Il progetto Turri, caldeggiato, sottomano, dall’Inghilterra fin dal 1813, 11011 aveva incontrato il favore di Vittorio Emanuele I che ne sostenne un altro a fondo federalistico tendente a escludere, in ogni modo, l'influenza inglese nella penisola. Di particolare interesse è quanto il Codignola scrive sull’annessione di Genova al Regno Sardo, annessione propugnata da lord Castelreagh e concessa, in gran parte, nei modi da lui imposti. 1 privilegi che il Castelreagh volle fossero riconosciuti al porto di Genova erano determinati dal fatto che, con quelli, in realtà, si favoriva il commercio britannico e si suscitavano urti e dissapori tra il Piemonte e Genova, cosa questa che avrebbe impedito ogni reale, duraturo sviluppo a quel porto che apparentemente si voleva tanto favorire. Abile fu il negoziatore inglese che riuscì nel suo intento, blandì la repubblicana città con le sue conees^oni e creò e acuì i dissidi tra l’amministrazione. genovese che voleva applicati i diritti riconosciutile e il governo sardo che non intendeva sottostare a clausole inceppanti la sua legittima autorità. Questa pagina di storia merita d'essere ricordata, e bene ha fatto il Codignola a esporla, con la chiara evidenza che gli è propria, a quanti la ignoravano o l'avevano dimenticata. Leona Ravenna SPIGOLATURE E NOTIZIE PREISTORIA R. Baccino : λ'eira bissale profondità dei millenni in «Giornale di Genova», 28 gennaio 1937. [Fantasiosa ricostruzione della vita preistorica nella caverna dei Balzi Rossi di Grimaldi]. STORIA ANTICA Il ponte romàno sullo Starla in « Il Lavoro », 8 gennaio 1937. L. S. : L'Italia antica in « Il Lavoro », 16 gennaio 1937. [Acuta recensione del recente volume di P. Ducati con riferimenti agli antichi Liguri]. Pietro Cogliolo parla a Nizza d9 Augusto in « Secolo XIX », 21 febbraio 1937. Romanità c civiltà dell'antica Liguria in «Il Lavoro», 25 febbraio 1937. A. Schulten : Die Grieehen in Spanien in « Rheinisches Museum ftir Philologie», Frankfurt, 1936. [Dotto saggio storico che può interessare anche i cultori liguri di antichità classiche e preclassiche contenendo uno studio ponderato sui Celtiberi]. MEDIOEVALE M. Chiaudano : A proposito di un frammento statutario genovese del secolo XIII in «Bollettino storico-bibliografico subalpino», vol. XXXVII. 1-2. C. Imperiale: Codice diplomatico della Repubblica di Genova. Roma, Tip. del Senato, 1936. [Completa ed organica documentazione della storia politica del Comune genovese dalle più remote origini a tutto il secolo XIII]. R. Baccino: Riverberi di rogo in « Giornale di Genova », 14 gennaio 1937. [Le stregonerie col racconto di un precesso a Cairo Montenotte]. V. Vitale: Antico castello. [Il castello di Trani] in «Giornale di Genova», 15 gennaio 1937. G. M. : Ricordi del vecchio 8. Fruttuoso di Terralba in «Corriere Mercantile», 9 febr braio 1937. Zeta : Girotondo alla Torre del fieno in « Il Lavoro », 14 febbraio 1937. [Recensione al libro del dott. Gajone sulla torre di Nervi]. R. Baccino: Una principessa carbonaia per amore in «Giornale di Genova», 27 febbraio 1937. [Rievocazione della leggenda aleramica]. André-E. Sayous: Studi sul Veconomia genovese del secolo decimosecondo in « Revue historique», Parigi, vol. CLXXVIII, 1936. [Per ΓΑ. è arbitraria la tesi sostenuta da R. di Tucci, nel saggio qui recensito, secondo la quale i banchieri genovesi risalgono al XII secolo, trattandosi invece di banchi dì vendite e talora anche di nomi propri scambiati dal di Tucci per nomi indicanti la professione. li a neh e ri ir# cognome, bandierine, tenutario di un banco]. 7() SPIGOLATURE E NOTIZIE MODERNA Navigatori, esploratori, mercanti e pionieri. G. 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Serra-Vilaro : Fructuòs, Auguri et Eulogi in « Analecta Boliandiana », Tomo IV, fase. IV, Bruxelles-Paris, 1936. [Pubblicazione fondamentale per lo studio dei martiri catalani che riposano nella storica abbazia di S. Fruttuoso in Capodimonte presso Portofiuo]. E. Badino: La Regina di Genova in «Il Nuovo Cittadino », 18 febbraio 1937. GENOVA E LIGURIA Carcos : Porta Soprana e il grattacielo in « Il Corriere Mercantile ». 8 gennaio 1937. Case « earuggiy> e piazze che spariranno dal vecchio volto cittadino in « Il Corriere Mercantile», Ί2 gennaio 1937. Il pirata: Vecchia Genova: Capitan Sfera in «Il Lavoro», 12 gennaio 1937. Γ. V. Cavassa: San Remo in « Il Lavoro », 13 gennaio 1937. G. M. : Un po’ di storia di via XX settembre e dei suoi dintorni in «Il Corriere Mercantile», 15 gennaio 1937. — Star: Difendiamo il panorama di Noli in « Secolo XIX », 15 gennaio 1937. — Genova vecchia e nuora : metamorfosi di piazza Ponticello in « Il Secolo XIX», 1(5 gennaio 1937. G. 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[Breve cenno sul palazzo Spinola]. L. De Simoni: La chiesa dell albergo in « Il Nuovo Cittadino», 14 gennaio 1937. C. Panseri: In au-ten ti co genovese in «Il Corriere Mercantile», 16 gennaio 1937. [Gommosa rievocazione della figura deH’ingegner Cesare Gamba]. L. De Simoni: La chiesa di S. Gottardo in «Il Nuovo Cittadino», 20 gennaio 1937. L. De Simoni : La Madonna della fortuna in « Il Nuovo Cittadino », 24 gennaio 1937. Anonimo: S. Fruttuoso di Terralba in «Il Nuovo Cittadino», 24 gennaio 1937. A. P.: Architettura navale in «Il Secolo XIX», 29 gennaio 1937. L. De Simoni: La chiesa dei patrizi del mare in «Il Nuovo Cittadino», 31 gennaio 1937. Marbet : Piccola Genova ottocentesca in « Il Lavoro », 7 febbraio 1937. [Le peripezie elei monumento a Nino Bixio]. L. De Simoni: La chiesa oratorio degli sbirri in «Il Nuovo Cittadino», 10 febbraio 1937. A. Morera : Per il rinnovamento dell'Accademia ligustica di Belle Arti in « II Corriere Mercantile», 17 febbraio 1937. A. Cappellini: Il Palazzo del Principe in «Il Lavoro », 1articulièrement typique (6). Bien des distinctions établies par Byrne à l’occasion de ces deux contrats n’ont pas plus de valeur. L’auteur n’était pas suffisamment au courant de l’histoire des contrats d’associations privées (1) Commercial Contracta of tlie Gcnoese in thè syrian Trade of thè ticelfth Century. (« Quarterly Journal of Economies, 1916, vol. 31, pag. 135, et Gcnoese Tra de tcith Syria in thè twelfth Century. « American historical Keview », t. XXV, janv. 1920, pag. 213). (2) Sacerdote, La colleganza nella pratica degli affari nella legislazione veneta. (« Atti del R. Ist. Veneto di Scienze, Lettere ed Arti. 1899. 1900), et A.-E. S., Le rôle du capital dans la vie locale et le commerce extérieur de Venise entre 1050 et 1150. (« Revue belge de philologie et d’histoire », 1934, fase. 3-4). (3) nandelsgescliichte der romanischen Voelker des Mittelmeergcbiets bis zum Ende der Kreuzzixge, Munich-Berlin, 1906, pag. 110 (trad. italienne). (4) Rechtsgesehaefte und Rechtsstçllung der Lombarden in der aelteren Zeit ihres Auftreten$ in Frankreich. (« Zeisschrift fiir das gesammte Han-delsrecht », 190S, pag. 302). (5) A.-E. S., Le commerce des Européens à Tunis depuis le Xllème siècle jusqu’à la fin du XVIe, Paris, 1929, et Associations de caractère capitaliste. Venise de 1054 à 1150. (« Compte-rendu des séances de l’Académie des Inscriptions et Belles-Lettres », 1933, pp. 445 et suiv.). (6) Cela ressort d’une façon particulièrement nette des documents que nous avons publiés sur Barcelone aux XIIIe et XIVe siècles (« Estudis Uni-versitaris Catalans », 1932 et 1934) et de notre exposé les méthodes commerciales de Barcelone au XIIIe siècle. (« Compte rendu de l’Académie des Inscriptions et Belles-Lettres », 1932). 86 ANDRÉ-E. SAYOUS entre commerçants au moyen-âge, et ainsi s’est montré tantôt imprécis sur des faits importants, tantôt franchement inexact. En core un historien qui a abordé l’histoire des institutions économiques sans préparation suffisante, alors qu’il eut dû porter ses efforts tout d’abord sur la technique commerciale et l’histoire du droit commercial, si intimement liées l’une à l’autre. Byrne a cru faire une autre découverte sur les parts (loca) de bateaux et, plus spécialement, sur leur nombre ; elles auraient dépendu du nombre de marins à embarquer ou embarqués (f). Il a cité, à l’appui de sa thèse, quelques textes qui ne visent nullement ce point (2). Deux seulement peuvent être retenus, dont un seul net et précis : le protocole d’un notaire génois, en date del 1224, contenant la déclaration d’un marin qu’il y avait vingt-six parts (loca) d’un bateau, parce qu’il y avait vingt-six marins à bord (pro quolibet loco erat unus màrinarms) ; d’un des participants nourrissait même le marin choisi par lui « à sa table » (3). Quant â l’autre texte, il traite du renvoi de marins engagés, lors, de la vente de parts d’un navire : on devait renvoyer d’abord ceux qui avaient été choisis par les vendeurs de parts (4) ; ce qui démontre qu’un participant pouvait désigner un homme d’équipage, non que le nombre des participants était, égal à celui des marins. Avant d’examiner le document principal, il convient d’observer qu’il est isolé, unique, tandis que nous possédons des centaines d’actes ou protocoles de notaires de la même époque, ou antérieurs, rélatifs aux parts (carati) de bateaux, et que tous laissent l’im-préssion très nette que chaque associé y prenait une part d’après ses moyens disponibles et selon son désir de diviser ses risques. Roberto Lopez vient de publier un contrat pour l’exploitation des mines de Sardaigne, en date de 1253, qui a- les mêmes bases capitalistes (5). Rien n’empêchait qu’un bateau appartînt, pour partie ou totalité, à des marins ou anciens marins et que, par suite des traditions et connaissances professionnelles de ceux-ci, ils ne se fissent représenter dans une oeuvre de coopération. La meilleure preuve que tel était le cas dans l’exemple unique de Byrne, c’est que l’un (1) Genoese Shipping, chap. IV. (2) « Atti della Società ligure di Storia Patria », vol. II, parte II, p. 127 {decima de mari) et vol. XVIII, p. 163 et p. 271 (blé remis en paiement de transport). (3) Arturo Ferretto, Liber magistri Salmonis. (« Atti della Società Ligure », voi. 36, pag. 314). (4) « Atti », vol. I, p. 80. (5) Contributo alla storia delle Miniere argentifere di Sardegna. (« Studi economico-giuridici della R. Università di Cagliari », 1936), p. 7 du tirage à part. LZS TRAVAUX DES AMÉRICAINS 87 des marins vivait « à la table » de celui qui Pavait engagé, et que ce dernier travaillait à bord ! Ce texte n’aurait un vrai intérêt pour prouver l’origine des associations entre propriétaires de navires dans le associations entre marins en vue de la navigation, que s’il était possible de lui trouver des précédents et d’en trouver d’assez nombreux exemples; or, nous n’en possédons pas. Il convient dès lors, jusqu’à preuve du contraire, de voir là, non comme Byrne, un document de large portée, mais un cas isolé ou presque,, exceptionnel, d’une valeur très limitée. Certes, il eut été intéressant de pouvoir montrer le capitalisme apparaissant parmi les navigateurs de la Méditerranée de la même façon que dans les mines métalliques de l’Europe centrale, à la suite de la transformation d’associations entre travailleurs et par suite du remplacement d’une personne par une autre, en attendant l’intervention de capitalistes à la suite du développement de fortunes! C). . Ce n’est pourtant là qu’une simple hypothèse, que rien ne vient démontrer. Les exposés plus généraux de Byrne sont meilleurs .(2) ; encore n’ajoutent-ils que peu de choses nouvelles: Adolphe Schaube (3) avait fait des constatations aussi intéressants, et nous leur préférons le classement des protocoles de Scriba par le professeur Carli (4). * * * Calvin B. Hoover est l’auteur d’un assez long article sur le prêt maritime à Gênes au XIIe siècle (5). Il y a établi des distinctions sans grand intérêt et consacré un passage aux opérations de cette nature « masquant l’usure » ; il a évidemment compris dans celle-ci des « prêts d’assurance! » Ayant publié deux seuls textes qu’il jugeait particulièrement typiques, il a, en ce qui concerne Pun d’entre eux, commis une erreur grave d’interprétation, de nature à inquiéter sur la valeur du travail dans son ensemble; il a vu un prêt maritime dans une stipulation d’une commande imposant au commandité de payer une certaine somme dans un port éloigné avec le (!) C’est là un point que nous étudions actuellement avec des documents saxons et dont l’on aperçoit facilement l’importance pour l’istoire du capitalisme. (2) Avec quelques parties de l’article déjà cité de 1’« American historical Review », voir Easterners in Genoa (« Journal of the american oriental Society », XXXVIII, 191S, pp. 176 et suiv.). (3) Dans son Handelsgeschiehte. (4) Storia del Commercio italiano : lì. Il mercato nell’età del comune, Pa-doue, 1936, pp. 412 et suiv. (5) The Sea Loan in Genoa in thè twelfth Century. (« Quarterly Journal of Economies », 1926, vol. 40). 88 ANDRÉ-E. SAYOUS produit de la vente de marchandises emportées par lui. Le texte est très net, et d’autres documents de l’époque contiennent une disposition semblable i1). Oeuvre de jeunesse! * * * Mis Margaret Winslow Hall s’est servie de la nombreuse série de photographies de protocoles génois réunie par Byrne à l’Univer-sité de Wisconsin, pour insister sur des documents de la fin du XIIe rélatifs, crovait-elle, à des banquiers (2), ainsi que Reynolds l’avait déjà fait. Sur cette base, elle a prétendu faire remonter au siècle précédent les observations que nous avions présentées sur les banques italiennes.. au XIIIe (3). Notre première impression a été que des possesseurs ou locataires de « bancs », plutôt des changeurs, avaient eu une activité commerciale, assez mal spécialisée, dés la fin du XII siècle (4) Mais ces textes, déjà connus du professeur Alexandre Lattes, lui avaient paru si extraordinaires qu’il s’était demandé si cette mention « ne s’était pas transformée en un titre de qualité » (5). Des recherches dans les Archives et les Bibliothèques de Gênes devaient seules élucider ce point. La Bibliothèque civique Berio nous a vite fourni la clef du mystère : les Banclîeri étaient de « nobles cittadini de Gênes », originaires de Clavarezza, à l’intérieur des terres de la direction nord-nord-est, et établis à Gênes vers 1150 (6) ; ils y ont d’ailleurs, encore des déscendants portant leur nom. Il s’agit donc, non d’une profession, mais d’une famille, pour le moins très souvent, le.plus souvent : en ce qui concerne les protocoles du notaire Scriba., aucun doute pour Baldo, Ingo, Giberto, Albertone, Banchero ; de même, par 1a, suite pour Anfosso, Rossi (Rubens), Alcherio, Bernardo, Ansaldo, Alfonso, jusqu’à Enricus Bancherius (vers le milieu du XIIIe siècle). Sur les cinquante trois protocoles qui contiennent le mot O) Voir plusieurs exemples du fait dans: A.-E. S., L'activité de deux ca-pitalistes-commerçants marseillais vers le milieu du XIIIe siècle : Bernard et Jean de Manduel. («Revue d’histoire économique et sociale», 1029, p. 18 du tirage à part). (2) Early Bariker in thè genoese notarial Records. (« Economie History Review », oct. 1935). (3) A.-E. S., Les opérations des banquiers italiens en Italie et aux Foires de Ghampage au XIIIe siècle. («Revue historique», t. CLXX, année 1932). (4) A.-E. S., Opérations des banquiers de Gênes à la fin du XIIe siècle. (« Annales de droit commercial », oct.-déc. 1934). (5) Il diritto commerciale nella legislazione statutaria della città italiana, Milan, 1884, p. 211. (6) Voir, notamment, le manuscrit de Giacomo Giscardi, Origine delle nobili famiglie di Genova, t. I, p. 153. Les travaux des américains 89 banclierius et que Raffaele Di Tucci a publiés (*), dont plusieurs ne semblent pas faire partie de la « série Byrne », il n’en resta à peine neuf qui peuvent viser des « banquiers », encore ne s’agit-il sans doute que de trois personnes, possesseurs de « bancs » de changeurs. D’après Di Tucci, le mot hancherhis commence dans les documents par une petite lettre, non par une majuscule ; on peut donc suppo sei* que la conviction de Miss Hall de tenir la vérité était d’autan r plus ferme qu’elle ignorait qu’à l’époque, c’était, en général, le cas pour les cognomina * * * Reprenant un mot de l’illustre historien Fustel de Coulanges, nous sommes obligés de dire : « ce n’est pas ainsi qu’on écrit l’histoire », l’histoire économique. Avant la guerre, les Allemands, et notamment Heinrich Sieveking, avaient parcouru un champ voisin avec une autre solidité et intelligence; leurs études, nécessairement un peu vieillies avec le temps, demeurent fort utiles. Au contraire, que reste-t-il, dès maintenant, des efforts récents des Américains? TJne oeuvre qui, faute d’un contrôle suffisant, est dangereuse à consulter ! Axdré-E. Sayous (Paris) C1) Studi sull’Economìa genovese del secolo decimo secondo, seconde partie du livre : La banca privata, Turin, 1985. * * * Pubblichiamo questo studio del nostro illustre collaboratore, nel testo originale, per evitare deformazioni del suo pensiero. Po' l’odierna ripresa di pubblicazioni e studi sui notari genovesi del Xll e XIII sec., il saggio critico è d’attualità e può interessare tutti gli studiosi. Segnaleremo prossimamente l’articolo del Sayous sulla « Nobiltà genovese » cui VA. accenna in queste pagine, articolo che è in corso di stampa. (Nota della D.) DOCUMENTI DI STORIA LIGURE (1789-1815) NELL'ARCHIVIO NAZIONALE DI PARIGI Chiunque abbia avuto occasione di studiare, nei problemi generali o in qualche particolare episodio, nei fatti o nei personaggi, la storia nostra nell’età della rivoluzione francese e del dominio napoleonico ha sentito l’insufficienza delle ricerche, per quanto ampie e diligenti, compiute sul solo materiale archivistico italiano Materiale abbondantissimo e ben lontano dall’essere interamente sfruttato, e tuttavia insufficiente a una compiuta ricostruzione perchè, così nel rispetto politico come nell’economico e nell’ammini-strativo, le testimonianze sono unilaterali ; mancano infatti quelle dell’altra parte. La Francia in quegli anni non distolse mai l’attenzione dalla nostra penisola e prima la studiò per mezzo degli agenti diplomatici che diligentemente e ampiamente riferirono sulle sue condizioni, poi la vigilò, governò, controllò dirigendone ogni passo e indagandone ogni aspetto della vita. Perciò le. lestimonianze d’oltr’Alpe compiono le nostre e senza di esse la rappresentazione della vita italiana in un periodo di così vivo interesse minaccia di riuscire oscura e manchevole. Altrettanto si può dire, si comprende, della sola documentazione francese, anche per il diverso punto di vista dal quale necessariamente si pongono gli studiosi di qua e di là dalle Alpi. Per gli storici francesi l’interesse è dato dall’azione della Francia, e in particolare di Napoleone, in Italia; per noi l’importante è ricercare la vita, il pensiero, il sentimento italiano in quell’età di profondo rinnovamento ; vedere come l’Italia abbia reagito a quegli eventi turbinosi. Per una visione complessiva e organica occorre perciò anche per noi non fermarci alle fonti italiane tanto più che per alcuni luoghi e momenti esse sono indubbiamente insufficienti. Per quanto riguarda la Liguria, per esempio, l’Archivio di Stato genovese ha per il periodo 1789-90 un amplissimo materiale disseminato in più serie (*) mentre l’intera Sala 50 è dedicata al periodo i1) Sono specialmente da ricordare, nella politica estera e generale, le serie: Collegi diversorum, filze 364-392; Secretorum, f. 97-98; Rerum publicarum,, f. 1054; Propositionum, mazzi 42-43; Confinium, f. 160-179; Copia lettere della Giunta dei Confini, Ms. n. 435; Copialettere della Cancelleria del Senato, reg. 1006-1009; Libri dei ricordi, f. 1644-1645; Atti governativi, reg. 6004; Materie politiche, suplempento, 2737 segg. Per la parte militare: Maritimarum, filze 74-80; Registro della Marina, n. 4; Giunta di Manna, DOCUMENTT DI STORIA LIGURE (1789-1815) ECC. 91 dal 1797 al 1805, quando la Repubblica Ligure è stata in apparenza indipendente ma in realtà appendice della Francia. Sono di questi nove anni oltre G00 tra filze e registri, senza comprendere la corrispondenza diplomatica, essenziale per la ricostruzione della vita politica (*), nè la parte giudiziaria, finanziaria e militare disseminate in altri fondi dell’Archivio. Si tratta cioè di un materiale immenso, anche se non tutto di egual valore, relativo alla vita interna, alle diverse magistrature e comunità della Repubblica. Ma è sempre la vita, dello stato vista dall’interno; della massima importanza certo, ma non sufficiente. Allo stesso periodo si riferiscono undici cartelle intitolate al Governo Provvisorio sebbene la materia comprenda anche il periodo posteriore al gennaio ’98 quando si costituì con relativa stabilità il nuovo governo e arrivi sino al 1802. Tra questi documenti sono comprese anche molte lettere del Belleville, del Déjean, del Saliceti, che sotto diversi nomi hanno rappresentato a Genova la Francia repubblicana e consolare. Ma sono lettere dirette al Governo ligure ; invece quelle inviate a Parigi sono conservate nella corrispondenza diplomatica dell’Archivio parigino degli esteri (2) e naturalmente hanno un’importanza fondamentale per i giudizi che si danno sulla situazione locale e sui rapporti della Liguria così coi generali e funzionari francesi come con la Cisalpina e gli altri Stati italiani e sulle reali intenzioni della Francia verso lo stato vassallo. Questo materiale è stato parzialmente adoperato dal Jobert (3), dallo Sciout (4), dal Guyot (5), % f. 11-14; Magìsti'uto di Guerra e Marina : Lettere, filze 85-88; Pratiche pubbliche, f. 505; Pratiche diverse, f. 403-408; Copialettere della Deputazione di Polizia e Difesa, reg. n. 1014. Per la materia finanziaria : Giunta dei mezzi. filze, 2912 a 2920 e per la giudiziaria: Sentenze criminali e loro esecuzione, reg. 6S2-GS3. Questo ampio materiale è stato in parte adoperato dalla dott. Elsa Ler-tora per la sua tesi di laurea, che meriterebbe di essere pubblicata, sulla Politica interna della Repubblica di Genova dal 1789 al 1796. (R. Università di Genova, 1935-XIII). O) Le indicazioni del materiale diplomatico e consolare nel mio volume Diplomatici e Consoli della Repubblica di Genova, Atti Soc. lig. St. Patria; vol. LXIII, 1934-XII. (2) Importanti lettere ufficiali al Belleville, console generale a Genova, sono in Notes et correspondance du Baron Redon de Belleville consul à Livounie et à Gênes i>av H. du Chanoy, Paris, Librairie Techenez, 1892. vol. II. Il Belleville partendo da Genova nel 1SOO portò via gli Archivi della Legazione per ordine del Moreau e molto distrusse nel 1814; ibd., introduz.. pag. VIII. (3) A. Jobert, La diplomatie française à Gênes à la fine de 1792, in «Revue historique », t. CLXIV, mai-juin 1930. (4) L. Sciout, La République Française et la République de Gênes, in « Revue des questions historiques », .Tan. 1889. (5) R. Guyot, Le Dij'ectoire et la République de Gênes, in «La Révolution Française», a. XXII, 1908, n. 11 e XXIII, n. 1. 92 VITO VITALE dal Driault (M, ma nessuno ne lia fatto una ricerca sistematica e un compiuto sfruttamento dal punto di vista della storia ligure. Per il periodo dalFannessione all’Impero sino all’effimero ristabilimento della Repubblica nel 1814 l’Arehivio genovese è quasi muto, e si comprende, perché, diportimento della Francia, la' parte maggiore delle carte e delle pratiche affluiva al centro di Parigi. Così è avvenuto che quanti si sono occupati del periodo napoleonico a Genova e in Liguria (2), e 11011 solo gl’italiani ma anche i francesi cui sarebbe stato più agevole l’accesso agli archivi parigini, hanno dovuto limitarsi a ricorrere ai giornali e ad altre fonti locali di minore importanza (3). Per altre regioni, come il Regno d’Italia o il Regno di Napoli, si può avere, ed è stato sfruttato, un più vasto materiale archivistico locale ; ma aneli’esse presentano materie e problemi a cui non si può dare una soluzione soddisfacente senza una sistematica esplorazione degli Archivi di Francia. Ora una simile ricerca non è sempre possibile agli studiosi italiani per una serie di motivi facilmente comprensibili tanto più che la stessa ricchezza e varietà dell’Archivio Nazionale contribuisce a dargli una struttura così vasta e un’organizzazione così complessa chef, non ostante l’abbondanza degli inventari e la cortesia degli archivisti, l’indagine vi è sempre lunga e difficile. Preziosa è perciò la recente pubblicazione di Baldo Peroni, edita a cura dell’Accademia d’Italia, contenente un indice sistematico dell’immenso materiale relativo alla storia italiana dal 1789 al 1815 contenuto nell’archivio Nazionale di Parigi (4). A questo indispensabile aiuto dovrà ricorrere chiunque voglia rivolgere la propria attenzione su quel periodo e ne avrà agevolata la via con risparmio di fatica e di tempo sapendo subito dove mettere le mani, qualunque sia l’argomento studiato. Si tratta infatti di una enorme quantità di documenti « dove si trovano riflessi tutti gli atti della, politica e della pubblica amministrazione e tutti gli aspetti della vita nazionale, dall’istruzione i1; J. E. Driauxt, Napoléon en Italie (1800-1810), Paris, 1906. (2) Su questo periodo e le sue fonti v. il mio Onofrio Scassi e la vita genovese del suo tempo, in Atti della Soc. Lig. St. Patria, vol. LIX, 1932, cap. V. Sul periodo napoleonico in Liguria è annunciato uno studio del prof. Ugo Oxilia. (3) Cfr. il mediocre lavoro del Borel, Gênes sous Napoléon Ier, Paris, 1929. Che dire poi dell’amena trovata di chi ebbe il coraggio di designare come storico di Genova napoloenica il prof. Broche nelle Pages Française sur Gênes la Superbe?. Il primo a essere meravigliato sarà stato il prof. Broche. (4) Reale Accademia d’Italia, Studi e Documenti, Bajluo Peroni, Fonti per la Storia d'Italia dal 1789 al 1815 nelVArchivio Nazionale di Parigi, Ro ma, 1936, XV. DOCUMENTI DI STORIA LIGURE (1789-1815) ECC. 93 al commercio e all’industria, dall’annona ai lavori pubblici, all’organizzazione ecclesiastica, all’agricoltura, alle epidemie, alla benifi-cenza ». Inoltre vi è compresa un’abbondante raccolta di corrispondenze di rappresentanti francesi all’estero che costituisce il necessario complemento dell’archivio specificamente diplomatico del Quai d’Orsay. In una dotta e acuta introduzione il Peroni indica i criteri generali del suo catalogo ragionato ed alcuni problemi generali o particolari che si presentano alla semplice enumerazione delle importanti serie archivistiche e si trattiene su alcuni che sono stati già studiati indicandone la bibliografia essenziale. Potrà sembrare pedantesco o troppo pretensioso notare che per quanto riguarda la Liguria le notizie bibliografiche sono troppo arretrate: sulla questione della progettata unione di Genova alla Cisalpina e sull’ostilità che vi oppose la. Repubblica Ligure non è accennato l’importante studio del Ciasca, come non sono ricordati, su diversi argomenti, quelli del Nurra e di altri. Bisogna però riconoscere che si tratta di cenni sommari e a titolo esemplificativo. Per lo più è anche indicato se i documenti successivamente catalogati sono stati adoperati o se la materia cui si riferiscono è stata oggetto di studi particolari. Non sarà il caso di meravigliarsi se qualche pubblicazione in così vasta messe sia sfuggita : per esempio non è detto che i documenti relativi « à l’affaire du sieur Maghella, ex-préfet de police à Naples (1812) » sono pubblicati sin dal 1913 per opera del Weil (*). Piuttosto merita un particolare ricordo la ricca appendice documentaria. L’editore dichiara che non ha voluto dare in essa la scelta dei più importanti tra i documenti precedentemente segnalati, o mettere in evidenza pezzi di eccezione, bensì far conoscere alcuni gruppi di documenti che rappresentano fedelmente la natura di tutto il materiale, il cui valore sta essenzialmente nell’ampiezza, e, spesso, nella- compiutezza della documentazione. Ora il saggio che ci è offerto è tale da dare un’idea della ricchezza e dell’importanza della documentazione stessa. Basta pensare che comprende un rapporto (8 maggio 1805) di Giuseppe Prina, ministro delle finanze del regno d’Italia ; una relazione ministeriale sopra un trattato di commercio tra il regno italico e l’impero francese; un gruppo di dispacci di Francesco Cacault, uno dei più seri diplomatici francesi di quell’epoca, notevole per gli acuti giudizi sulla nazione italiana qual’era avanti la spedizione napoleonica; vari documenti che illustrano lo spirito pubblico in molte regioni della penisola. Per rimanere in Liguria, meritano d'essere ricordate alcune O) M. H. Weil, Le rappel en France d’Antonio Maghella, in o Archivio Storico per le Provincie Napoletane », 1013, pag. 73 segg. I documenti sono indicati dal Peroni a pag. 217. 94 VITO VITALE lettere del Cacault,. un memoriale di Angelo Maria Eymar in data 18 marzo 1794 al Comitato di Salute pubblica contenente un « quadro politico » di Genova ; una. lettera del 1° maggio 1797 del Faipoult Ministro plenipotenziario a Genova e alcune lettere dell’Eymar, allora commissario civile presso il Governo Provvisorio piemontese, che denunciando al principio del febbraio 1799 una temuta cospirazione contro i francesi, organizzata e capitanata da Giovanni Fan-toni, l’arcade Labindo, gettano nuova luce sui motivi dell’allonta-namento da Torino di Francesco Massuccone, Ministro della Repubblica Ligure. Dei documenti riportati integralmente e dei moltissimi altri schematicamente indicati dal Peroni credo utile dare un’informazione sommaria agli studiosi liguri di questa materia, come avviamento alle loro eventuali ricerche. La storia, di Genova e della Liguria tra il 1789 e il 1814 ha avuto una cospicua messe di studi e di indagini, non ancora un’opera organica e sistematica di carattere complessivo, fondata su larga e compiuta preparazione bibliografica e documentaria. Le notizie che qui raccolgo hanno lo scopo d’invogliare qualcuno ad affrontare con ampia visione l’importante argomento nelle sue linee generali o nei numerosi problemi e argomenti particolari ai quali offre materia. I documenti politici di più antica data riferentesi alla Liguria, nel repertorio del Peroni appartengono al 1792 e consistono nella corrispondenza e nelle informazioni sullo stato di Genova mandate al Comitato di Salute Pubblica, da Robespierre il giovane, commissario presso l’esercito del Varo (l). È noto che l’Anselme, comandante di quell’esercito che si trovava in gravi difficoltà finanziarie, tentò invano per mezzo del ministro a Genova, Naillac, di ottenere un prestito dalla Repubblica (2) : ora si apprende che il Montesquiou, comandante dell’esercito di Savoia, se ne fece una’rma contro il collega (3). Erano le prime prove della difficile neutralità genovese, tenacemente difesa contro le molteplici insidie e le aperte violenze (4). (1) È segnata AFII. 63; Peroni, pag. 174. Per questa corrispondenza v. A. Aulard, Recueil des Actes du Comité de Salut Public, t. I, Paris, Imprimerie Nationale. (2) jobert, op. cit.,. pag. 80 segg. ; e v. anche Vitale, I dispacci dei diplomatici genovesi a Parigi (1181-1193), in « Miscellanea di Storia Ita). », III Serie, t. XXIV, Torino 19.35,-XVI, pag. 57 segg. (3) AFII, 281, fase. 2346 «Réfutation de la calomnieuse improbation du général Montesquiou sur Temprunt que le général Anselme avait proposé à la Répubblique de Gênes», ottobre 1792; Peroni, pag. 175. (4) Sulla neutralità genovese e le sue vicende P. Nurra, La coalizione europea contro la Repubblica di Genova, in «Atti Soc. Lig. St. Patria», voi. LXII, 1934. Per i rapporti col Piemonte che hanno tanta importanza nel determinare la neutralità, Ninetta Savelli, La politica di Genova verso il Piemonte, 1791-179$, in « Giorn. Stor. Letter. della Liguria », 1936. DOCUMENTI DI STORIA LIGURE (1789-1815) ECC. 95 Le lettere del Cacault, inviato francese a Roma., recate in appendice dal Peroni, mostrano che per i più illuminati diplomatici francesi la neutralità era quanto di meglio si potesse attendere da Genova. Vi si parla un linguaggio diplomatico che non ha nulla a che vedere con i rumorosi programmi della guerra di liberazione dei popoli e di propaganda rivoluzionaria. Genova era necessaria ai rifornimenti francesi, perciò, qualora conservasse la neutralità e dopo la conquista francese, avrebbe potuto essere stretta in alleanza con la repubblica e avere un ampliamento di territorio a Oneglia, verso le Langhe e anche verso la. Lunigiana. Precisamente le antiche aspirazioni che la repubblica democratica· ligure tentò di attuare con tenace insistenza, riuscendo soltanto per i feudi imperiali, e più tardi per Oneglia e Loano. Le due vecchie repubbliche marinare, secondo il Cacault, dovevano essere conservate; tutto il resto d’Italia diviso in tre repubbliche indipendenti, alleate tra loro e con la Francia, perchè « cette contrée ne doit pas être réunie dans un seul état, les situations géo-graliques s’y opposent. Il seroit impossible de fixer un point central. La république devroit alors dégénérer en monarchie. Qjgant à la division en petits états, qui subsiste actuellement, si elle étoit conservée, en établisant la liberté, le païs seroit rempli de guerres ci ciles » (1). Anche maggiore importanza ha il quadro politico di Genova che Angelo Maria Eymar tracciò il 18 marzo 1704 al Comitato di Salute Pubblica (2). Anch’egli parte dalla doppia premessa che la Francia è alimentata in gran parte dall’Italia e che non potrà esserne padrona se non possedendo Piemonte e Lombardia. Ma per entrare più facilmente in Piemonte consiglia di abbandonare il proposito del passaggio delle Alpi. « La véritable clef de l’Italie est l’Etat de Gênes. Cinq grandes routes dans la rivière du Ponent conduisent droit à Turin. On peut passer à Yentimiglia, à Oneglia, à Albenga, à San Pietro d’Arena, sans éprouver de grandes difficultés, pourvu que les Génois ne disputent pas le passage à notre armée ». ÏÏ stato il piano del Maillebois nel 174Γ>, sarà il piano del Bonaparte nel 1796. Come mezzo politico, fatta un’acuta disamina delle condizioni politiche e sociali di Genova, l’Eymar propone che la Francia si appoggi a quella che egli chiama « l’opposition », cioè il partito dei nobili poveri e novatori. « Quand même on rejetterait le projet d’entrer en Italie per l’état de Gênes, nous aurions toujours un grand intérêt à soutenir le parti de l’opposition, parce que la neutralité de cette République, qu’il nuos assure, nous procurera toujours une partie des avantages dont j’ai parlé ». (1) Lettere 4 marzo e 22 aprile 1794; Peroni, pag. 259 segg. (2) Ardi. Nat. K. 1326, n. 4; Peroni, pag. 272 segg. 96 VITO VITALE I due emissari raccomandano sempre di usare molta prudenza con gli Italiani. A questa norma non si sono attenuti i rappresentati della Francia Genova : Sémonville e Tilly prima, poi Villars è Faipoult. L’opera che essi hanno svolta è stata già largamente studiata (*) ma la ricerca dovrà essere compiuta con Pesame delle loro corrispondenze e di quelle dei Consoli generali, prima il La-chèze e poi, dal 1797, il Belleville che, succeduto nel 1798 al Faipoult e al Sotin, ebbe, come incaricato di affari, una parte assai importante nella vita genovese del tempo (2). Del Lachèze è indicata una relazione delPll ottobre 1796 su lo spirito pubblico a Genova : sarebbe interessante confrontarla con quella redatta da Napoleone Bonaparte dopo la sua missione a Genova nel 94 (3). Il commissariato straordinario di Saliceti ancora nel 96, non ha traccia nelle carte delPArchivio Nazionale; può darsi che le sue corrispondenze si trovino al Ministero degli Esteri ; comunque è certo che egli ha aggiunto Peperà propria a quella di Faipoult, rivolta a scalzare Paristocrazia (V;. Ormai lo sconvolgimento generale recato dalle vittorie napoleoniche portava le sue conseguenze. Il saggio della corrispondenza Faipoult, recato dal Peroni (5), mostra la difficile situazione delPinviato straordinario preso Jpa la posizione ufficiale e le pressioni degli elementi democratici e novatori. In realtà egli, d’accordo col Bonaparte, non riteneva ancora venuto il momento di « rigenerare » la Liguria, ma quando gli elementi più accessi precipitarono le cose coi tumulti del 21 e 22 maggio, obbedendo alle direttive del generale, impose la trasformazione della vecchia repubblica aristocratica. È noto che, come per Venezia, la cosa spiacque al Direttorio e trovò aspri avversari nel Consiglio dei Cinquecento (6) : il rapporto presentato al Di- (1) Dal Levati, dal Bigoni, dal Trucco e da molti altri; v. le indicazioni bibliografiche in Onofrio Scassi, pag. (2) Arch. Nat. AFUI, 65-66; Peroni, pag. 179. Vi sono anche dispacci del Cacault, per breve tempo a Genova tra il Villars e il Faipoult ; e vi è compresa la corrispondenza di Bartolomeo Boccardi dal 1794 a Parigi come incaricato d’affari e poi ministro plenipotenziario. La corrispondenza ufficiale del Boccardi e degli altri agenti genovesi col proprio governo dal 1794 al 1799 è in Colucci, La Repubblica di Genova e la Rivoluzione francese, 4 voi. Roma, 1902. (3) Ë tra gli scritti inediti pubblicati da Simone Askenazy nel 1929. Sulla missione v. lo scritto di P. Nurra in « La Liguria nel Risorgimento », Genova, 1925. (4) Importante relazione degli Inquisitori in « Ardi. St. Genova » ; Confinium, filza 178, 18 marzo 1796; v. anche G. Bigoni, Il Saliceti a Genova nel 1796, in « Giorn. Storico e Lett. della Liguria », 1900, pag. 318 segg. (5) Pag. 287 segg. (6) R. Guyot, op. cit. in «La Révolution Française», a. XXIII, n. 1, 14 luglio 1908, pag.. 50 segg.; Vitale, Cristoforo Vincenzo Spinola e Vinnocuo complotto contro la Repubblica Ligure, in « Giorn. Stor. Letter. della Liguria d, 1935-XIII, pag. 81 segg. DOCUMENT F DI STORIA LIGURE (1789-1815) ECC. 97 rettorie il 22 termidoro anno V (9 agosto 1797) per approvar la condotta dal Bonaparte e del Faipoult ne è una'riprova (x)). Per il periodo dell’agitata Repubblica Ligure, ai dispacci del Faipoult e del Belleville che si trovano nella serie parigina AF III. GG, alla corrispondenza diplomatica del Sotin succeduto al Faipoult e dello stesso Belleville conservata nell’Archivio degli Eteri, sono da aggiungere le lettere del medesimo diplomatico — adoperate in parte dallo Sciout e dal Driault — all’Eymar, commissario civile j)resso il nuovo Governo Provvisorio del Piemonte (2). Tutto questo materiale integra certamente, massime nel rispetto diplomatico, il ricchissimo fondo dell’Archivio genovese (3) e può gettar luce su alcuni punti ancora non ben chiari dei rapporti tra la Francia e la Repubblica Ligure. È assai probabile, per esempio, che la corrispondenza, tra il Belleville e l’Eymar si riferisca ad un episodio rimasto sin qui oscuro e che ora è illuminato da alcune lettere dello stesso Eymar riprodotte in appendice dal Peroni (4). Francesco Massuccone, rappresentante del Direttorio Ligure presso il Governo Provvisorio piemontese, il 9 febbraio del 99 ebbe dal generale Grouchy l’ordine di partire immediatamente e questa intimazione, come scriveva con frase tipica del tempo e più del suo carattere il presidente Luigi Corvetto, veniva « a scuotere dolorosamente la sensibilità » dei governanti genovesi. Tornato a Genova, il Massuccone protestò contro l’accusa di ricettazione di controrivoluzionari e di .conciliaboli segreti, pericolosi per la libertà del Piemonte (5). Certamente nelle lettere al suo Governo si era mostrato poco favorevole all’unione del Piemonte alla Francia, votata per malcelata imposizione appunto in quei giorni, ma quale fosse precisamente Paddebito che gli era mosso non appariva. Ora una lettera, urgente dell’Eymar al Direttorio in data 8 febbraio e gli annessi documenti parlano di un complotto contro i Francesi organizzato e capitanato dal poeta Fantoni e da altri dei più accesi patrioti che i rappresen- (A) De la révolution génoise et de la conduite des agens de la rcpubUf/ue française ani milieu de ces événements; Peroni, pag. 179. (2) Arch. Nat. K 1331; Peroni, pag. 232. (3) Il materiale genovese della serie diplomatica e della Sala 50 è stato ampiamente adoperato dalla Dott. Margherita Castello per una tesi di laurea {La· Repubblica. Ligure Democratica, 17 Gennaio 1798 - 7 Dicembre 1799) che meriterebbe la pubblicazione. (4) Arch. Nat. ΑΓ III. 80; Peroni, pag. 294 segg. Alla guerriceiola tra Pie monte e Rep. Ligure nel Giugno 1798, combattuta per ispirazione dei generali e diplomatici francesi e fatta cessare dal Direttorio, si riferiscono alcuni documenti in F III, 529 (Peroni, pag. 190). (5) Vitale, I dispacci dei diplomatici genovesi a Parigi (1778-1793), pag. So segg. e Un giornale della Rep. Ligure. 11 Redattore Italiano, in « Atti Soc. Lig. Stor. Patria », LXI, pag. 34. 98 VITO VITALE tanti francesi definiscono demagoghi e anarchisti. Il Fantoni, è noto, tentò in ogni modo di opporsi all’annessione; il Botta, che faceva parte del Governo Provvisorio piemontese e si acconciò all’unione per timore di peggio, dice che il poeta « faceva un dimenare incredibile contro il Governo e contro la sua risoluzione, qualificandola di tradimento contro l’Italia ; insomma tanto disse e tanto fece che fu forza cacciarlo in cittadella- » i1). Testimone e partecipe di quei fatti, il Botta è qui reticente. L’organismo segreto, di' carattere nettamente italiano, capitanato dal Fantoni e rivolto a costringere il Governo alla revoca del proposto plebiscito, era la Società dei Raggi, ormai diffusa in molte regioni d’Italia : lo confermano i. particolari esposti dal Grouchy all’Eymar e collimanti con quanto d’altra parte sappiamo della Società stessa. Quello che il Carutti aveva riferito come voce diffusa (2) appare confermato dai rapporti del Grouchy dai quali risulta che la causa dell'allontanamento immediato del Massuccone fu appunto la vera o supposta partecipazione al complotto e quindi alla Società che i francesi chiamarono anche la Lega Nera. Le prepotenze e le ruberie francesi associavano così ai patrioti più fervidi un uomo che non può certo essere considerato una testa calda e un « anarchista » (3) mentre determinavano, come rimedio utile ad un tempo all’Italia e alla Francia, quella chiara concezione unitaria che ha avuto ripercussioni negli appelli al Direttorio e ai Consigli di Francia, conservati anche nelle carte dell’Archivio Nazionale (*). Scarso materiale offrono i documenti parigini per gli ultimi anni della Repubblica Ligure, restaurata dopo l’assedio del 1800, sino all’annessione all’impero nel 1S05. Anche qui bisogna ricorrere? alla parte diplomatica delPArchivio genovese, alla sala 50 per l’azione politica e amministrativa, alle serie militari per l’assedio famoso; ma sopra tutto all’Archivio del Ministero francese degli Esteri per le corrispondenze così del Déjean, rappresentante del Primo Console e opprimente protettore della Repubblica, come del Saliceti che preparò e determinò l’annessione. Qualche cosa ci sarà tuttavia da spigolare anche nell’Archivio Nazionale, per esempio nella serie F 1 e, 81-82, di cui riferisco qui sotto il sommario, e nella AF. Ιλ , Relations extérieures, η. 1681% Ligurie, Gênes, a. VIII- (») C. Botta, Storia άΊ talia dal 1189 ai 1814. (2) D. Carltti, Storia della Corte di Savoia durante la rivoluzione e Vim-pero francese, II, 32 segg.; G. Sforz\, Contributo alla vita di Giovanni Fan-toni (Labindo), in «Giorn. Stor. Letter. della Liguria», 1907. j>ng. 150 segg. (3> Per la biografìa del Massuccone, Dispacci dei diplomatici genovesi a Parigi, pag. 25 segg., 77 segg. (4) Arch. Nat. AD X\ . 50-51; Peroxi, pag. 237-23S. Su questi ap|>e11i e la concezione unitaria nel 179Ì), v. A. Solmi, L’idea dell' unità italiana nell'et à napoleonica, Modena, 1934-XII, e la mia rassegna bibliografica in a Nuova Antologia », 1 marzo 1937-XV. DOCUMENTI DI STORTA LIGURE (1789-1815) ECC. 99 a. XIII (appunto 1800-1805) (l). È un periodo questo non mai studiato a fondo che meriterebbe una vasta e accurata indagine (2). La situazione cambia interamente nell’età napoleonica per la quale, se si tolgono le notizie della ufficiale Gazzetta di Genova (non più ora Gazzetta 'Nazionale) e di qualche archivio particolare (comunale, dell’Università, di Pammatone, ecc.), mancano le fonti locali e la documentazione va cercata a Parigi. Qui il materiale è abbondantissimo: un incartamento di Carattere politico è intitolato Réunion de la République Ligurienne à ΓEmpire, 1805 (3) e una serie sistematica nella categoria F 1 a (Pays annxéft ou dépendants, 1792-1815), oltre al ras sunto degli ultimi atti del Senato di Genova e a informazioni sui diversi rami del l’a m m inist razione, raccoglie i maggiori provvedimenti riguardanti la Liguria nei primi anni del dominio imperiale. L’importante sommario (4) merita di essere integralmente riferito: F 1 c 81 - 1. Sommaire des derniers actes du Sénat de Gènes, 1805. 2. - Actes de l’Arcbi-Trésorier de l’Empire relatifs à la Ligurie. 3. - Correspondance et feuilles d'enregistrement de la correspondance de M. de Cliampagny ministre de l’intérieur, 1805-1800*. 4. - Correspondance et mesures relatives aux élections des députés de la Ligurie au Corps législatif, 1805 1807. 5. * Correspondance du Baron de Giusti, ex-ministre plénipotentiaire de l’Empereur d’Austriçhe à Gênes, 1805. G. - Précis des opérations du ministre de l’intérieur, à Gênes; 20-30 prairial an XIII, 1805. 7. - Rapport sur la situation, les besoins et l’administration des trois départements de la 28.me division militaire (Ligurie): 11 messidor an XIII, 1805. 8. - Renseignements sur la statistique : Travaux publics; situation politique, esprit public, 1802-1805. 9. - Commerce, arts et manufactures: renseignements sur le commerce maritime; port franc de Gênes, 1805. 10. - Divisions territoriales de la Ligurie: Départements de Gênes, de Montenotte et des Apennins: délimitations, an XIII. 11. - Renseignements sur les fonctionnaires, les candidats aux fonctions publiques et les notables de la Ligurie, 1805. (1) Ρεβθχι, pagg. 4β e 105. (2) Le linee generali ). È poi da ricordare che molte di queste serie hanno indici' di nomi, utilissimi a chi faccia ricerche su determinate persone ; così avviene per il personale dei dipartimenti, per le onorificenze, per i rifugiati politici, per molti atti di polizia, per i candidati ai collegi elettorali, per gli appartenenti al Senato conservatore (2). In materia amministrativa può essere utile la raccolta dei decreti dei proclami e delle circolari dei prefetti e anche più la serie degli incartamenti dei singoli comuni, disposti per ciascun dipartimento in ordine alfabetico, e dei rapporti tra i vari dipartimenti e comuni, comprese tutte le questioni relative alla, viabilità ed anche agli alloggiamenti militari che hanno rappresentato uno dei maggiori pesi per le popolazioni (3>). La serie F2 riguarda i corsi d’acqua, i mulini, le fabbriche, la F10 l’agricoltura (al 11. 202, 4, Missione di De Condoli e in Liguria) ; la F11 i prezzi e mercati ; la F12 il commercio e l’industria. In que-st’ultima sono degni di nota gl’incartamenti n. 513 « La Chanibre de commerce de Gênes\ réclame pour les bâtiments marchands qui fréquentent ce port, protection contre les petits corsaires qui infestent la côte » 6 maggio 1808 : e n. 535 contenente prospetti statistici sul numero e la qualità dei colli di merci passati da Genova, e dalla Liguria a Milano negli anni 1806-1807. Un inserto speciale si riferisce al commercio di Genova tra il 1805 e il 1808, altri al movimento dei porti liguri, mentre qualche cosa si potrà ricavare in F14 1269-1270, dalla grande inchiesta del 1811-12, estesa a tutti i dipartimenti, sul commercio e sui mezzi di trasporto (4). La serie F13 si riferisce agli edifici civili (5), la F14 a lavori pubblici, ai ponti, alle strade, alle fabbriche ai porti, sui quali si può vedere anche la serie BB2 Marina n. 77 e 137, in BB3 308 n. 20, un incartamento speciale riguarda il porto della Spezia (6). Agli Istituti Pii e alle Opere di carità sono riservate le categorie F15 e F16 : notevoli gli incartamenti n. 2602 - 2602 e2643, relativi all’istituto (*) BB18, n. 4, 29, 48 e 121-123, 343-346, 583-539 per i singoli dipartimenti; Peroni, pag. .215-216. (2) Peroni, pagg. 30. 40, 194, 223. (3) Id. pagg. 28-31, 113-114. Il numero 547 della serie Fia (Id., pag. 29) riguarda : Serment de fidélité à prêter au Roi de Naples par des propriétaires de rentes sur le gouvernement napolitain domiciles dans le département de Montenotte, 1809. (4) Id., pagg. 113, 137, 140, 143, 148. Da notare anche la Distribution, sous le nom de Loterie, des produits de l'industrie de la ville de Chiavari (Fia, 543, pag. 29) e un inserto sulle ardesie di Lavagna nel 1809 in F14, n. 1312 (pag. 148). (5) Per Genova, n. 1563, 1608-1611; Peroni, pag. 144-145. Sui palazzi Ducale, Doria, Tursi, Pallavicini, Brignole Sale, v. anche O2 1040 (pag. 226). (6) Peroni, pag. 145 segg., e 218-220. DOCUMENTI DI STORIA LIGURE (1789-1815) ECC. 103 dei sordomuti e al monte di pietà di Genova i1). La materia di culto (personale ecclesiastico, congregazioni, edifici, parrocchie, seminari) è raccolta in F19, mentre F20 è riservato a statistiche di vario argomento ; notevoli le statistiche demografiche del 1810, certo in rapporto al censimento del quale si conservano nell’archivio comunale di Genova i registri (2). Particolare ampiezza e importanza ha la serie F17 nella quale è raccolto tutto ciò. che si riferisce alle istituzioni di cultura e alle scuole di vario grado, dalle Università alle primarie. La storia di queste istituzioni nell’età napoleonica, dopo la vecchia opera del-l’Isnardi sull’Università, è stata tentata sulla base dei documenti dell’Archivio universitario e dei verbali dell’istituto Nazionale, poi Accademia imperiale (3) ma è indubbio che l’importante documentazione dell’archivio parigino è indispensabile a una sicura e incompiuta ricostruzione. ' Altrettanto può dirsi di tutti i particolari argomenti studiati sulle fonti localiy le indagini del Bruzzone sul Monte di Pietà e del Mioli sulla Camera di Commercio, del Pessagno sulla marineria, dell’Ansaldo sulle costruzioni navali e su molti altri punti della vita genovese del tempo (4) come-quelle del Noberasco e di altri sulla Savona napoleonica, hanno bisogno di essere integrate per una visione più ampia e meno unilaterale con ricerche nell’Archivio Nazionale. Si è sempre detto che questo materiale ci doveva essere ; ora si sa che c’è, e abbondante, e dov’è e come ordinato : rimane da augurare che gli studiosi abbiano l’opportunità e il buon volere di adoperarlo. Vito Vitale (!) Id., pag. 150-154. Per l’assistenza ai sordomuti di Genova, F17, n. 1145. pag. 158. (2) Peroni, pag. 158 segg. I n. 1276-79 hanno per argomento: Transport en France des objets de sciences et d’ars d'Italie. Sulla stessa materia F21, η. 573-574; pag. 172. (3) Onofrio Scassi, passim e v. indice. (4) Nel « Raccoglitore Ligure », 1933-1935. TOMMASO DI S A V 01A-C ARIGN ΑΝ Ο NELLA GUERRA CONTRO GENOVA (Continuazione - V. numero precedente) 7) Fallimento dell’impresa di Savana; Tommaso evita una catastrofe. Difficile era: la condizione in cui si trovava l’esercito franco-sabaudo : tormentato dalle malattie, impossibilitato ad avanzarsi, perchè dalla Francia non giungevano rinforzi (3), stretto da presso dall'avversario con audacia sempre maggiore (2), non voleva tuttavia rinunziare a qualche più vistosa conquista. Abbandonato l’obiettivo (li Genova, si volle tentare l’impresa di Savona. Il 12 giugno, dato fuoco a Voltaggio, i Franco-sabaudi si diressero verso Rivalta, lasciando a Gavi e a Novi una forte guarnigione e le artiglierie, che per la difficoltà del terreno non potevano essere trasportate. La marcia non fu disturbata dal Feria, che era momentaneamente immobilizzato per una caduta da cavallo e che aveva ordine di non attaccare il Lesdiguières. Solo a Francavilla vi fu un episodio pericoloso. Il La Motte-Verdeyer, che comandava la retroguardia, . cit.. pag. 560 e segg., il Créqui, che era a Torino ammalato, appena ebbe appreso che gli Spaglinoli accampavano dinanzi ad Asti, avrebbe raggiunto il principe Tommaso e obbligato i nemici a ripassare la Versa. (5) In una importante lettera di pugno, Tommaso riassume al fratello tutti gli avvenimenti dal 30 luglio in poi. 110 ROMOLO QUAZZA care gagliardamente sopratutto i punti dove il pericolo appariva più grave, ed attendeva i rinforzi condotti dallo stesso Carlo Emanuele. Questo, seguendo i suggerimenti del tiglio, si avanzò verso Villanova con buon nerbo di gente, di munizioni e di artiglieria, poicnè specialmente quest’ultima scarseggiava in città i1). I preparativi di difesa dovevano apparire anche al nemico tali da far prevedere arduo assai un eventuale assedio : « Per me credo che hanno voglia di ritirarsi ». Così giudica Tommaso la sera del 2 agosto (2). Infatti un solo episodio di lotta si verificò ancora sotto Àsti : una scaramuccia avvenuta il 3 agosto. Poi gli Spagnuoli indietreggiarono in direzione della Croce Bianca e le forze franco-piemontesi si ritirarono in città. « La perdita che habbiamo fatta — scrive Tommaso — è stata del marchese d’Hermance e di Monsieur di Beauvais, i quali contro l’ordine che loro havevo dato piò volte, disarmati, se ben si siano portati valorosissimamente, hanno caricato l’inimico, che poteva essere di mille Cavalli con altrettanti che li sostenevano, con le loro troppe che non passavano il numero di cento (3). Il Signor Marchese Villa che gli ha visti di tal maniera impegnati è andato con alcune altre troppe Piemontesi e sono stati mischiati tutti insieme e venuti in questa maniera sino alla Versa, dove, havendo trovato della nostra infanteria su la riva, i nostri si sono riuniti, e ritirati di qua dell’acqua, et loro dall’altra parte. De prigioni e morti tengo per certo che ve ne siano più di loro che de’ nostri. Questo fatto, habbiamo ritirato ancora alcune troppe eh’erano impegnate di là dell’acqua, et poi essendo stati più di un’hora sul posto ci siamo ritirati come ho detto di sopra et V. A. può assicurare che non si possono vantare di haver guadagnato niente in questa occasione, poiché più di tremila cavalli ch’erano sul fine non hanno havuto altro avantaggio sopra la nostra ch’era loro tifato inferiore » (4). Subito dopo questo fatto si raccolsero intorno ai disegni nemici informazioni discordi. Tommaso, interrogato dal padre sulle misure precauzionali da prendere, dichiarò che sarebbe stato opportuno av- (J) « Habbiamo buona et bellissima gente qua dentro affetta et di buon animo et spero in Dio che potremo fare qualche cosa di buono; ho scritto a S. A. la necessità delle paghe, et di dar qualche soccorsi alla cavalleria, penché in effetto n’ha grandissimo bisogno, massimamente quella che è qui in città.... » si confermava che il nemico non aveva in tutto più di 25.000 uomini e Tommaso scriveva : « Trovo il loro pensiero ben ardito di pensar di pigliare questa città in quindici giorni » Tommaso al fratello, Asti, 2 agosto 1G25. Sede cit., mazzo 50. (2) Altra lettera di Tommaso al fratello, pure del 2 agosto 1025. Ivi. (3) Questo brano è riportato in Claretta, oj). cit., pag. 1, 77. (4j Tommaso al padre, Asti, 3 agosto 1625. Sede cit., mazzo 50. In altra lettera del 3 agosto pregò il padre di dare al Somont suo scudiere e gentiluomo di Camera la compagnia di cavalli del marchese d’Hermance defunto; alla carica di luogot. gen. della cavali., vacante per la morte dell’Hermance, propose il marchese d’Oria, il conte di S. Maurice, il commend. d’Andelot. TOMMASO DI SAVOIA-CARIGNANO NELLA GUERRA CONTRO GENOVA 111 via re parte delle truppe a Crescentino e a Verrua, passando per la strada bassa presso Càstelnuovo, e dislocare le milizie rimanenti verso Càstelnuovo e Buttigliera ()). L’azione del Feria si orientò difatti contro Verrua. 9) Tra i fiancheggiatori della difesa di Verrua. Mentre il Lesdiguières, ancora sofferente a Chaumont, si difendeva dalle molte accuse mossegli per la condotta dell’impresa contro Genova e invocava rinforzi dalla Francia, Carlo Emanuele, accettai! do i consigli del figlio Tommaso, staccò dalle proprie milizie il reggimento francese del marchese di Saint-Réran e lo mandò a Verrua. Egli stesso mosse verso Crescentino; fece costrurre sul Po, tra Cre-scentino e Verrua, un ponte solidamente appoggiato alle mura della rocca con camminamenti e trincee, piazzò le batterie, raccolse sul campo trincerato di Crescentino le migliori truppe e richiamò da Ceva il principe di Piemonte (*). Il 4 agosto, dopo l’allontanamento dell’esercito nemico da Asti, il principe di Carignano era corso a tarda sera a Racconigi, dove si trovava la moglie. Colà l’indomani fu raggiunto da un messaggio ducale invocante la nota-delle truppe rimasta in Asti (8). Le deliberazioni prese da Carlo Emanuele sui nuovi movimenti militari non gli furono preventivamente comunicate, così che la notizia della partenza del padre da Villanova, recatagli l’8 agosto, lo mise in grande orgasmo per il timore di non poter partecipare a eventuali azioni importanti. « Mentre stavo aspettando qualche comando di V. A. — scrisse al padre — per rendermi dove fosse suo servitio, vengo avisato della sua partenza da Villanova che mi fa star in pena se si presentasse qualche occasione ch’io non mi trovassi a servir 1Ά. V. come devo » (4). E al fratello in tono, come sempre più con- Ç1) « .... Il resto mi parrebbe si dovesse spinger verso Càstelnuovo e Bu-tigliera, perchè è luogo proprio a soccorrere da tutte le parti, et a far riso-lutioni che V. A. troverà più a proposito per il suo servitio giudicando necessario di far al più presto qualche effetto, perchè la gente che habbiamo assai in buon numero potrebbe diminuire come ha fatto l’altra. Io cominuni-cherò quanto V. A. mi scrive al S. Mar.le di Crichi et questi altri SS.ri per mandarle tutti unitamente il nostro parere, et daremo avviso delle truppe che si manderanno ai posti suddetti come non mancherò di fare delle nuove del nemico ». Lettera del 3 agosto, cit. Secondo il Foa (Vittorio Amedeo /, Torino, 1930, pag. 56), il duca di Feria avrebbe tentato di assediare Asti, ma alla notizia che Vittorio Amedeo stava per sopraggiungere, si sarebbe ritirato per passare a un piano più grave. (2) Lettera di Vittorio Amedeo dell’agosto 1625. Sede cit., mazzo 40. (3) Tommaso al padre, Racconigi, 5 agosto 1625. Sede cit., mazzo 50. In essa aggiungeva : « Mi pare anche dirle che ora che Spagnuoli hanno assalito lo stato di V. A. li Sig.ri Venetiani per la lega ch’hanno particolare con 4ei come deve saper meglio di me sono obligati se non a saltar in campagna almeno a qualche gente o danaro.... ». (4) Tommaso al padre, Racconigi, 8 agosto 1625. Ivi. 112 ROMOLO QUAZZA ti-denziale : « Sopra le lettere che ricevei l’altro giorno da S. A. e vostre me ne stavo quieto, aspettando qualche comando, mentre che sento che le armate nemica et nostra marchiano senza ch’io ne sia avvertita o almeno mi si dica dove ò d’andare ; ispedisco espressa -mente per questo acciò possi saper al più presto quello ho da fare, il che eseguirò con ogni diligenza. Sopra queste nove sarei già partito se tutta la mia gente non fosse in Asti che mi à fatto star in dubbio cosa habbi ad esser di me ; ho però mandato subito che venghino a Villanova et da ivi a Chieri ; se haverò intanto qualche ordine non mancarò d’eseguirlo subbito.... » t1). Impaziente di agire, non avendo avuta nessuna destinazione, annunziò Γ11 agosto al fratello che, se non gli giungeva avviso contrario, sarebbe partito l’indomani per Asti (2). Vi pervenne infatti il 12 ; e avendo trovato che il Santena non aveva ancora ordini di mandar la gente a Chieri, diede incarico al Mollard di far partire la notte stessa i reggimenti della Griva, del barone d’Entragues e di Rocliefort. Mandò a Villanova con il conte Maurizio Capris i Savoiardi e trattenne in città cinque reggimenti francesi, cioè Costa Morand, Saleran, Cernaeé, Saint-Pol e Valencay e quello del Mar-tinengo. Si propose inoltre di chiamare ad Asti il reggimento del San Giorgio per aver sottomano almeno 2500 uomini (3). Prese queste precauzioni, Tommaso non vedeva l’ora di esser chiamato all’azione ; e il 13 scriveva al padre : « Io vensi qua per ubidire et eseguire i suoi comandi però liora non vedo vi sia cosa mi debba privar di poter esser apresso la persona di V. A. per servirla come devo » (4). Il giorno seguente, apprendendo che la fanteria nemica andava tutta verso Verrua, richiamò i reparti avviati verso Chieri e ripetè la preghiera di esser chiamato sul campo di battaglia- (·*). Intorno a Verrua si era infatti dato principio a quella lotta, fatta di scaramucce e zuffe continue tra i due eserciti, la quale doveva protrarsi per tre mesi con un accanimento, che divenne proverbiale. I difensori di Verrua avevano un grande sostegno nell’armata di Creseentino, e qui, dalla fine di agosto a tutto settembre, troviamo il principe di Carignano (e). Vittorio Amedeo e il Créqui, infati- (1) Tommaso al fratello, Racconigi, 8 agosto 1G25. Ivi. Iu altra lettera, stessa data, al padre, chiede che venga conferita al cav. don Melchiorre Bu-neo suo gentiluomo di Camera e luogotenente della guardia, una pensione annua di 3, 18, 20, 23 ottobre da Torino; altra da Carignano al fratello, 6 novembre 1025. Ivi. LA STRADA ROMANA AÜRELIA (DA PISA A VADO) (Continuazione e fine - V. numero precedente) t Rapallo e Becco. Prima di « ad Solaria » o « Tegwlata » a S. Andrea di Rovereto, si incontra il « casale de taberna » poco al di sotto dell’Aurelia, nelle cui vicinanze il Ferretto rinvenne resti di un vetusto edificio che egli crede possa essere stato un « tesserarium » o posto militare di^ polizia stradale (*). A S. Pietro di Rovereto, nella chiesa parrocchiale, a sinistra di chi entra si conserva un’urna cineraria romana, dedicata a Caio Sestio soldato tesserario, che è usata come acqua-santino. Nella sua squisita fattura si può attribuire al III o al IV secolo dell’era volgare. Dopo 1’« ad Solario » 1’Aurelia ben visibile ancora, tenendosi a monte dell’attuale via Nazionale, supera arditamente una serie di contrafforti, finché, poco prima del Castello detto « dei sogni » si porta sulle rive del Tigullio che rasenta sino alla breve piana di Rapallo dove sorgeva l’antica « Tigullia » di Tolomeo (III, 1) e di Plinio (III, 5), come credo non sia più lecito dubitare. Dopo aver attraversato l’antichissima pianura alluvionale, la romea toccava 8. Michele di Pagana. Esiste a Rapallo un ponte, dalla tradizione popolare detto di Annibaie, che però, probabilmente non ebbe nulla di comune con 1’Aurelia. Lo ritengo di fattura del primo medioevo, facente parte forse d’una « transversa vicinalis ». Oltre il torrentello Tuia appare, quasi del tutto interrato, l’antico porticciuolo romano delle Nagge (corr. di « na/ves »?) che è sfiorato dall’Aurelia, qui ancor bene conservata. (i) Ferretto A., Il distretto di Chiamri, cit., pref. pagg. VII-VIII. La polizia delle strade era affidata a piccoli posti militari « stationes militum » che perlustravano, muniti di parola d’ordine (tessera) i tronchi stradali da una stazione all’altra. Questi posti di sorveglianza eran detti appunto « tesserar! ». LA STRADA ROMANA AURELfA 115 Della romanità di Rapallo ci parlano le monete rinvenute nel 1825 e le picche romane trovate sui monti vicini (1). La stessa chiesa di S. Michele di Pagana è posta sulle fonda-menta di un edilizio romano. Sul sagrato della chiesa son ben visibili ancora i resti delle colonne marmoree di quella costruzione che potrebbe esser stata anche una basilica. Il nome di Pagana che viene forse dalle adunanze che vi facevano i rappresentanti dei « vici » del « pagus » Tigullio : tali adunanze erano infatti dette Paganie (2). Dopo Rapallo, incontriamo FAurelia presso Ponte Nuovo e possiamo seguirla senza possibilità di errore lungo il Bana sino a Ruta, a cavaliere del Promontorio di Portofino. Al di là del valico, seguendo per breve tratto Fattuale via Nazionale cui la via romea sta ben vicina, si scendeva a Camogli, e seguendo Fattuale tracciato di via Romagnano si perveniva a Recco, la « Ricina » della Tavola Peutingeriana (La cifra di m. p, 6 fra F« ad Soiaria » e « Ricina » è certamente errata). L’Itinerario Antoniniano porta invece a 21 m. p. dall’« ad Solaria» un «Delphinis» che potrebbe essere l’odierna Camogli se non addirittura la stessa « Ricina » della Tavola. Plinio (III, 5) parla di un « Portus Delphini » ma la sua locazione è molto dubbia. Forse esso corrisponde all’odierno Portofìno e comprendeva tutte le cale del Promontorio atte a dar ricetto a navi (3). Da, « Ricina » a « Genua » l’itinerario segna 12 m. p. e la Tavola 7 m. p. Distante ambedue inferiori alla realtà, ma già dicemmo quanto siano inesatte queste cifre che subirono chissà quante variazioni nelle innumeri trascrizioni. (1) Giusino N., Oli uomini illustri di Rapallo, Tip. ed. Frugoni, Genova, 1825, pag. 4; Cuneo S., Storia. dell’Insegne Sant, di Λ7. S. di Montallegiv, Ge- nova, 1S96, pag. 10. Ma Rapallo ha anche vestigia più vetuste. Nel porto di Langan, ora interrato, verso la fine del XVIII secolo fu scoperta una stele quadrangolare, greca per lingua e per soggetto che il Ferretto (U distretto di Chiavari, ecc., cit., pag. 721) e l’abate Cavedoni (ibid), attribuirono ai bei tempi dell’arte ellenica, contemporanea o anteriore ad Alessandro Magno. Contiene l’iscrizione funebre di uno stovigliaio greco, Manete, e la sua industria in prossimità del porto è prova dei commerci che lo stovigliaio doveva avere colle persone ivi affluenti. Ed ancora, nel 1911 fu rinvenuta ne’ luoghi detti piani di S. Anna, una tomba con vasi fregiati di svastiche o croci gammate, di valore archeologico rilevantissimo (Vedi: Issel A., La Liguria preistorica. Note supp. al « Boll, della Soç. Ligure di Storia Patria », V, XL, Genova, 1921. Sull’interpretazione moderna di questi simboli, vedi pure: Wilhem Sheuek-mann, Woher Jcommt das Hakcnlcrcuz? Rowolilt, Verlag, Berlin, 1933). (2) Fekretto A., Il distretto di Chiavari, cit., 797. (3) È noto che i Romani chiamavano « portus » ogni tratto riparato dalla natura, ogni costa ricca di cale e di seni (Cic., orat., HI, 19). Soltanto sotto Claudio (42-54 d. C.) si costruì il primo porto romano ad Ostia munito di moli e di un isolotto su cui si ergeva un faro. Prima di quest’epoca le muniture dovevano essere rudimentali (Ennio, n. 76, ediz. Valmaggi). 116 RENZO BACCINO Lasciato « Ricina. » lungo il tracciato della Nazionale, poiché la romea è appena identificabile in brevissimi tratti, superiamo l’odierna Sori (Plehs S&ulorum del M. E.) donde si dipartiva, a dire del Ferretto (2) una « vicinalis » per il Canale, tocchiamo Pieve Ligure, Bogliasco, Nervi (2) finché presso Quinto al Mare (ad quintum lapidem da Genua a Ricina) ritroviamo P Aurelia che da questo punto abbandona l’immediata vicinanza-del mare. Dopo P« ad quintum lapidem », troviamo P« ad quartum » (Quarto dei Mille). Di qui ci dirigiamo verso Sturla, superando il torrente omonimo in località Pontevecchio, indi, per Vernazza, S. Martino d’Albaro, scendiamo nella valle del Bisagno, a Terralba. Il campo trincerato di Genova. Genua nel disegno della Tavola ha importanza grande, pari a quella di Luni. Presso l’antichissimo emporio dovevano sorgere i « castra » stabili, alloggiamenti militari e sedi di legioni. Infatti sin dal lontano 197 a. C. troviamo il campo di Genua in funzione con le legioni del console Minucio Termo (3). È presumibile che dopo la distruzione della Genova preromana per opera di Magone (205 a. C.) (Livio XXVIII, 46) la « Genua. » romana, risorta a. vita novella per opera delle industri legioni di Spurio Cassio pretore della Cisalpina (Livio XXX, 1) sia stata ricostruita in modo da poter assolvere ai compiti strategici a lei destinati come capolinea della via Postumia aperta al transito circa il 180, a. C. (Livio XL, 3) e come principale base d’operazioni contro i Liguri ribelli. Non è il caso di entrare nella disputa, intorno al luogo ove sorgeva il campo romano. Dirò solo che presumibilmente 1 oppidum Genua (Strabone IV, 6) doveva sorgere presso le regioni odierne di Castello e di Sarzano (4). In basso, sul mare, erano i « castra navalia »? il porto : ivi fiorivano i commerci che i Liguri avevano allacciato fiorenti fin dalla più remota antichità. Il Poggi (5) suppone che il « castrum » sorgesse fuori dell’« oppidum » nella valle di Sozi-glia, facendo giustamente notare come i « castra » di Luni, Vado, (1) Ferretto A., Il distretto di Chiavari, cit., pag. 410. (2) Tanto a Bogliasco come a Nervi vi è un ponte chiamato comunemente « romano ». A me sembrano ambedue di fattura del primo M. E. Forse l'appellativo ad essi deriva dalla strada romea o da più antichi ponti, preesistenti agli attuali. (s) Poggi G., Genova preromana, romana e medioevale, Libreria moderna G. Ricci, Genova, 1014, pag. 145. (4) Poggi G., Genova preromana, ecc., cit., pag. 29. (5) Poggi G., Genova preromana, ecc., cit., pag. 133. LA STRADA ROMANA AURELIA 117 Acqui, Pisa, Piacenza: fossero situati in luoghi pianeggianti. Ma queste sonq soltanto ipotesi perchè non abbiamo alcun elemento probatorio in inerito. Per l’attuale via S. Fruttuoso, PAurelia giungeva al Bisagno (Feritor) che valicava vicino alPantico ponte di S. Agata con una gettata di 28 archi, lunga 1150 palmi, che esisteva ancora ai tempi del Giustiniani. Poi, superando Pattuale Stazione Brignole, per via S. Vincenzo, saliva all’« oppidum », sul colle di Sarzano e precisa-mente sul colle di Mascherona· del quale l’antico castello, secondo il De Simoni (τ) serba ancora le proporzioni' e la forma. DelPimportanza della Genua romana, fanno fede due lapidi, una rinvenuta a Roma la quale attesta che Genova era iscritta alla tribù Galeria, e un’altra scoperta ad Alba (Pompeia) che ricorda la Genua municipio romano (2). Dalla famosissima tavola di bronzo del 117 a. C. sappiamo che Genova poteva riscuotere canoni e decime, condizione questa di confederata e non di suddita. Da alleata nell’anno 89 a. C. riceve la cittadinanza romana con la legge Plauzia Papiria (3). Da Genova a Cogoldto, ad Albissola. Lasciando Genua PAurelia volgeva verso la stazione di ad Figlinus (Peut. m. p. 7) punto d’incontro con la più vecchia Postumia che scendeva dai valichi appenninici (4). Il Rocca vuol far passare PAurelia, da «Genua» all’« ad Figlinas», dal colle degli Angeli e ciò concorderebbe, a mio avviso, con la così spesso accertata brevità delle vie romane (5). Il Poggi invece dice che essa valicava il Polcevera (Procobera o Porciferat) con un ponte di cui si rinvennero le pile nella* costruzione dell’attuale ponte di Cornigliano (6). Si potrebbe osservare però che anche a Rivarolo, sul presunto tracciato (1) Cipollina G., Cenni critico-storici di Rivarolo. Arti grafiche Marchese e Campora, Certosa, 1927, fase. V, pag:. 257. Probabilmente in questi luoghi era già sorta nell’antichità più remota la Genova preromana. Tale è il parere del-l’Andriani, in « Enc. It. », vol. XVI, pag. 550, che fa risalire il nome di Genua al significato di «rientranza» toponimo della Geneva (Ginevra) svizzera. Credo però che PAndriani questa etimologia l’abbia tratta dall’HoLDER (Alt. Celtischer Sprachschatz, Leipzig, VMH, I, pag. 199S). (2) Poggi G., Genova preromana, ecc., cit., pag. 130. (3) Poggi G., Genova preromana, ecc., cit., pag. 35. (4) L’Itinerario Antoniano non contempla il segmento Genova-Vado. Sola scorta al nostro cammino ci è ora la Tavola Peutingeriana. (5) Rocca P., Giustificazione della Tavola Peutingeriana. Tip. Monteverde, Genova, 1884, pag. 14. (e) Poggi G., Genova preromana, ecc., cit., pag. 134. 118 RENZO BACCfNO del Rocca, esistono ruderi informi di un ponte antichissimo (*), e perciò la questione rimane insoluta. L'ad Figli/n-as sorgeva a Fegino, presso l’antica abbazia del Boschetto e precisamente là dove il sig. Figari fece edificare la fabbrica di birra. Mi fu assicurato localmente che nei lavori di sterro furono rinvenuti numerosissimi cocci di stoviglie antiche e resti di forni di cottura. Ciò fa derivare, senz’ombra di dubbio, il nome di Fegino così comune in Italia, dall’arte figulùna o dei vasai. Da 11’« ad Figlinas » la romea saliva lungo il torrente Borzoli, correva a S. Giovanni Battista sopra Sestri P. (ad sextum lapidem?) e per Multedo (ant. Fwndm Murtius) giungeva ad « Hasta » dopo un percorso di 13 m. p. Credo si possa collocare fra Pra e Voltri l’antica « mutatio » di Basta. Il Poggi cerca di dimostrare che il nome di essa è un ad-dattamentQ latino del vocabolo ligure « Astu » che per lui significherebbe: capoluogo di popolo o di tribù (2). Da Voltri l’Aurelia si inerpicava a Crevari, e, passando sopra Vesima (ant. Mescene) (3) scendeva ad Arenzano. Le 7 m. p. da « Hasta » ci portano fra Arenzano e Cogoleto. Dove sorgeva P« ad Cavalla » segnato dalla mappa? Il suo nome ci fa supporre che col A esistesse uno di quei cantieri di allestimento di navi che dai latini erano appunto detti « navalia ». Io propendo con il Poggi (*) per Arenzano contro il parere del Fazio (v) e del Rocca (6) che la vorreb bero addirittura a Varazze. Arenzano con il suo breve seno di mare, con le sue fitte boscaglie di conifere ancor fiorenti oggidì, si prestava assai meglio per un « navalia ». Dopo Arenzano l’Aurelia toccava Cogoleto (che il Rocca con la mania solita dei dotti fa derivare da coqiœre lijthos (7) e con una tappa di 13 m. p. tirava ad « Alba Docilia » (Peut). Il Rocca nel suo volume più volte citato conduce l’Aurelia a fare un giro lunghissimo tra i monti che non è giustificato se non dall’idea di far tornare esatto il computo delle miglia che nel tronco Genua-Y adì s sono invero un po’ troppe (8). (J) 11 ponte Soprano il quale forse fu costruito su più antico ponte
  • Staffetti (Giulio Cybo-Malaspina, marchese di Massa, cit., pag. 16), scrisse che la fabbricazione dei cappelli di feltro proserò al Forno dove durò fino ai principi dell’Ottocento. (2) Betti M., Quadro storico dell*escavazione del marmo di Luni-Carrara, Massa, E. Medici, 1034. VARIETÀ UN MECENATE GENOVESE A PADOVA (GIANVINCENZO PINELLI) Nacque Gianvincenzo Pinelli a Napoli, Panno 1535, da Cosmo, nobile genovese, che aveva acquistato nel commercio considerabili ricchezze. Fin da giovinetto si applicò allo studio e fece rapidi progressi in tutti i rami delle cognizioni umane. Oltre l’ebraico, il greco ed il latino aveva appreso il francese e lo spagnuolo e parlava queste due lingue con facilità ed eleganza. La di lui cortesia ed affabilità adeguavano la sua erudizione, ed era sollecito di offrire il frutto delle sue ricerche alle persone che lo consultavano. In Napoli fondò un giardino botanico, acquistando all’estero le piante più rare ; e Bartolomeo Maranta, famoso medico, di Venosa, gli rese il giusto tributo degli studiosi di storia naturale, dedicandogli il suo Metodo per conoscere le piante medicinali. Malgrado la delicatezza della sua salute, il Pinelli non lasciava passar giorno senza dedicare alcune ore allo studio. All’età di ventitré anni si ridusse a Padova, attrattovi dalla celebrità di quel-l’Ateneo. Quivi conobbe e coltivò l’amicizia di Torquato Tasso. Del soggiorno a Padova, del Tasso e del Pinelli e dei rapporti tra il genovese ed il grande, infelice epico italiano, tratta diffusa-mente Antonio Malmignati da Lendinara (*), in una dotta monografia, dalla, quale ricaviamo le notizie di maggior interesse. Dimorava nei dintorni del Santo (Sant’Antonio) Gianvincenzo Pinelli, splendido mecenate degli studiosi e centro dei dotti nostri e forestieri d’allora, intendentissimo d’arti, di scienze, di lettere e di musica ; specie di Vieusseux di que’ giorni, con tale fortuna in più, che gli consentiva di tenere la sua casa., ricca di raccolte artistiche e scientifiche, sempre aperta alla più grande ospitalità. « Il Pinelli era così umile, così schivo di mettersi in mostra, così diffidente del proprio valore, che ricusava perfino i titoli di dottore e di accademico. Non lo troverete perciò nelle anticamere delle reggie, non nelle conventicole e consorterie letterarie ; nè a disturbare i torchi degli stampatori celebri, nè a correre appresso O) Il conte Antonio Malmignati, scrittore forbito, morto ranno 1SS5, nella vegeta età di quarantatre anni, insegnò letteratura italiana nell’Università di Padova. Ci lasciò un quadro insuperato della vita veneziana del ’700, nell’opera Gaspare Gozzi e i suoi tempi. (Padova, 1S90). 130 ANTONIO CAPPELLINI alla tromba della fama perchè divulghi ai quattro venti il suo nome. Sprezzante di ciondoli e di onori, non cercatore delle adulatrici dedicatorie dei contemporanei, passa per la società e per la vita studiando e beneficando ; aiuta gli nitri a procacciarsi quella ripu- * fazione a cui per sè non pensa nemmeno; ama lo studio per lo studio, l’arte per l’arte e per le soavi ed intime compiacenze che ri- „ serba a chi la coltiva con passione e disinteresse ; gli amici più pel bene che a loro fà che perchè ne attenda compenso e ricambio di gratitudine : ecco l’uomo che metteva a disposizione del Tasso la sua casa, la sua libreria, i suoi consigli, che gli donò costante amicizia e al bisogno cordiale ospitalità. Nè in casa del Pinelli poteva mancare a Torquato alcuno di quégli aiuti che ricerca l’uomo di studio ; se gli scienziati vi trovavano copiose e per quei giorni complete le raccolte di fossili, di metalli, di disegni, di sfere e carte geografiche, di strumenti matematici ed astronomici ; se a chi indagava i segreti delle piante s’apriva un vasto giardino botanico, il letterato, il filosofo aveva a sua, disposizione una libreria così ricca di stampati e di manoscritti, così scelta per la qualità e la rarità degli esemplari, che avrebbe formato l’orgoglio di un gran principe. Ma ciò che dal principe si sarebbe indarno cercato era la dottrina vasta e insieme profonda del proprietario, che sapeva illustrare e commentare sapientemente queste sue ricchezze e guidare gli altri a bene usarle e trarne profitto ». Questo illustre figlio di Genova — lasciò scritto il Malmignati —. così modesto comechè possedesse quelle doti che riunite furono e saranno sempre argomento di superiorità nel mondo, dico la nobiltà dei natali, la ricchezza del danaro e della mente, si può dire che elesse per sua seconda patria Padova dove abitò per ben quarantatre anni (1558-1601), e durante questo sì lungo periodo, chiù so soltanto con la sua morte, fu l’oracolo — come scrive un suo biografo — al quale ricorrevano gli studiosi di letteratura. d’Italia e d’Europa. Non è a dire se il gentile animo di Torquato gli serbò perpetua riconoscenza, se portò per tutta la vita fra i più cari ricordi l'impressione di quel gentiluomo, di quella casa e della, società eletta che frequentava. Ci basterebbe la conoscenza del suo carattere ad argomentarlo con sicurezza, anche se non avessimo altre prove : ma le abbiamo. Le abbiamo in tre lettere scritte dal Tasso al Pinelli, in tempi diversi e in più diversa condizione di spirito e di fortuna. La prima è datata di Ferrara il 22 giugno 1575. Torquato gli dice d’aspettare il ritorno d’una copia dei primi dodici canti del suo Goffredo, per inviarla ad esso Pinelli e sentirne il parere. Si scusa di non mandare l’originale, perchè altri che lui medesimo non giungerebbe a decifrarlo, e a lui manca il tempo: lo tengono occupatissimo «la UN MECENATE GENOVESE A PADOVA 131 « revisione del libro e Tesser col duca continuamente, il qual sè-(( guito ora per le lacune di Comacchio, or per selve e per cam-« pagne, con invidia degli emuli, con allegrezza degli amici, non « mia : vorrei poter attendere alla revisione, e v’ho pochissimo temei po, sì che non spero di cominciare la, stampa manzi Natale. I « favori sono grandi; li gusto, ma non me ne inebrio; vorrei qua Ια che cosa di più sodo. Desidero di parlare con Vostra Signoria inanit zi ch’Ella si parta· (il Pinelli era sulle mosse per un viaggio a Naît poli) ; e come io abbia letto tutto il libro al duca, che sarà all’arrivo « de’ dodici canti, o poco più, spero che potrò involarmigli otto o « dieci giorni, i quali tutti voglio spendere con Vostra Signoria. Ho « da conferirle molte cose intorno alla somma della mia vita, e « alcune intorno al giudizio che si fà del poema in Roma ». E qui gli espone in succinto i giudizi di quei critici e la confutazione di taluno di essi e conclude : « Ma di tutte queste cose a bocca più comodamente ». La seconda lettera, comechè senza data, si riferisce ai primi di agosto del 1583, epoca triste in cui trovavasi malato fisicamente e moralmente e rinchiuso a Sant’Anna. Vi si scorge nondimeno che il lungo tempo trascorso e le dolorose vicende non gli aveano scemato nè la memoria nè l’affetto verso il Pinelli, a cui, dopo aver affidato alcune commissioni, scrive : « E tutte queste cose aspetto conforme « a la vostra antica, amicizia ; la qual dal mio lato crescerà sempre « con più illustri testimoni ». Finalmente la terza, anch’essa senza data, scritta però a non dubitarne nello stesso anno, sulla fine di agosto, è brevissima ed allude nel suo laconismo alle molte sventure e alle poche speranze del poeta prigioniero, che si duole e si raccomanda a quanti egli tiene suoi amici, perchè si adoprino ad implorare dal duca la sua liberazione : « Prego Vostra Signoria « per l’amor di Cristo che voglia rispondere alle mie lettere, acciò « ch’io possa col suo favore pensar d'uscire in alcun modo da que-« sta prigionia de l’ospedale dove io sono, e da l'estrema presente « miseria ed infelicità. Ed a Vostra Signoria bacio le mani. Da le « prigioni di Sant'Anna di Ferrara ». Se e quali passa abbia fatto il Pinelli in questo senso a fasore del suo povero amico, nè Torquato nè la storia non dice: ma non è a credersi cbe quell’uomo, così nobile e generoso, non sarà rimasto inerte spettatore dell’immeritato infortunio, ed avrà cercato con ogni sua forza almeno di alleviarlo e di rispondere alla fiducia di chi n'era la vittima. Il Pinelli si era talmente innamorato del soggiorno di Padova, che vi passò tre quarti della sua vita allontanandosi due sole volte dalla città, e onorato e compianto da tutti vi terminò nel 1601 la sua carriera operosa e costantemente benefica. Fin da quando era studente neH'UniversitA egli, provveduto lar- 132 ANTONIO CAPPELLINI gamente di danaro dalla famiglia, viveva modestissimamente per poter venire in aiuto ai condiscepoli suoi più bisognosi. Sin d’allora e per tutta la vita, unico lusso la beneficenza e il museo, massime la. biblioteca, che aperta a tutti, nazionali e stranieri, e fatta più preziosa dall’ospitalità che vi ricevevano anche semplici conoscenti e raccomandati, diventava un’altra forma di provvida beneficenza. « E qui la nostra fantasia. — scrive a ino’ di chiusa il Malmi- gnati _ si compiace, risalendo a ritroso di oltre tre secoli, d’ima - ginare Torquato giovinetto e poi uomo in quella casa, in quella biblioteca passare le ore con le altre ore, e quando era ospite le intere giornate, ora squadernando i volumi dell’antica sapienza, ora delle cose lette e più ammirate ragionando famigliarmente con l’amico Pinelli, ora consultando il parere di lui sui lavori di critica, di filosofia e di poesia cui stava attendendo; ed ogni giorno partire con una notizia acquistata, con qualche dubbio chiarito, fors’anco con qualche nuova ispirazione, con qualcuno di quei concetti che noi oggi più ammiriamo nelle sue opere, e che se dovessero rivelarci l’origine loro, ci si mostrerebbero nati o perfezionati in quelle ore di dolce ozio, di deliziosa ospitalità e di abbandono amichevole nella libreria del Pinelli, quando ancora consentiva la fortuna a Torquato « Nunc veterum libris, nunc somno et inertibus horis « Ducere sollicitae jucunda oblivia vitae ». Quanto era trascorsa pacifica la vita di Gianvincenzo Pinelli, altrettanto fu accidentata la sorte dei suoi libri, dopo ch’egli morì. Lasciata in testamento ai suoi parenti di Napoli la libreria, con moltissimi altri oggetti del museo, venne caricata su tre navi. Lungo il viaggio una delle navi cadde in mano ai pirati, i quali impossessatisi delle cose più preziose ai loro occhi, gettarono in mare e sparpagliarono lungo la spiaggia di Fermo gran parte dei libri. Quelli portati dalle altre due navi arrivarono a Napoli e quivi, alcun tempo appresso, per cura del vescovo di Fermo, furono recapitati i superstiti volumi del naviglio predato. Arenuta la cosa a notizia del cardinale Federigo Borromeo, che allora stava fondando la biblioteca Ambrosiana, egli, che, già conosceva il pregio rarissimo dei libri del Pinelli, si affrettò a salvarne le reliquie e a vincere la gara degli altri concorrenti, pagandone agli eredi il prezzo — enorme per quei tempi — di tremilaquattro-cento scudi d’oro. Pochissimi sono gli scritti rimastici di Gianvincenzo Pinelli. Marco Foscarini ricorda i lavori ordinati e sapienti di Gianvincenzo, intorno alle Cronache latine di Veneziadi Andrea Dandolo. La copia della Cronaca, formata dal Pinelli col fondere insieme la Estesa e la Abbreviata, passò all’Ambrosiana, come c’informa Giuseppe Sassi nella lettera al Muratori, premessa alla Oro- UN MECENATE GENOVESE A PADOVA 133 naca del Dandolo, pubblicata nel tomo XII dei Rerum Italicarum Scriptores. A quanto ci consta, due lettere abbiamo del Pinelli : una riprodotta da Giovanni Fantuzzi nelle Memorie della vita di Olisse Aldrovandi (Bologna, 1774) ; l’altra indirizzata allo storico francese Pietro Dupuy ed inserita a cura di Carlo Castellani, già Prefetto della Marciana, nel Nuovo Archivio Veneto (Venezia, 1892, vol. V). Gianvincenzo Pinelli non è ricordato dagli scrittori genovesi, forse perchè visse lontano dalla terra che fu culla della sua famiglia i1). Giacomo Augusto De Thou scrisse di lui un bell’elogio, paragonandolo per sapere e liberalità a Pomponio Attico, del quale tutta la· vita fu spesa a prò delle belle arti (2) ; lo lodarono senza riserve il Ruscelli, Paolo Manuzio, il Tiraboschi e Santorre Debenedetti, il quale tratta anche dei codici Pinelliani e cita molte lettere indirizzate al Pinelli da celebri scrittori. Ne compose in latino distesa -mente la vita il patrizio Paolo Gualdo da Vicenza, arciprete del duomo di Padova, legato a Gianvincenzo da devota amicizia. La biografia del Gualdo fu inserita da William Bates (3) nella sua Raccolta di vite d’uomini illustri. Antonio Cappellini (J) La famiglia Pinelli, di origine germanica, s’incontra la prima volta a-Genova negli atti notarili del 1226. I Pinelli formarono uno dei ventotto alberghi creati dal principe Andrea Doria colla celebre riforma del 152S. Codesta famiglia diede alla Repubblica due dogi, vescovi, letterati, ambasciatori ed uomini d'arme. (2) Il De Thou, dopo aver accennato al giorno della morte del Pinelli (5 agosto 1601), lasciò scritto : « In cuius laudibus commemorandis, quae alii singularibus libris fusius promerito explicaturi sunt, ne nimis sim, nunc Tito Pomponio ipsum comparasse satis habeo : quippe qui Veneti, ut ille Attici, a Serenissima Repubblica, quae ipsum impense dilexit, nomen promeritus, et in privata vita praenobilis familiae decus servans, amicis cuncta humanitatis officia sedulo ac prolixe praestaret, aliosque quam plurimos, quos mutua virtutis opinione in Gallia, Germania, Hispania, ac longinquioribus Europae partibus sibi conciliaverat, diligenti litterarum mutitatione coleret, ut non solum iis, qui quotidiano convictu fruebantur, gratissimus, sed etiam aliis passim quamplurimis utilissimus esset». Iac. Augusti Thuani Historiarum sui Temporis Tomus Sextus. Londini, 1733. (3) Guglielmus Batesius, Vitae selectorum aliquot virorum qui doctrina dignitate aut pietate inclaruere, Londini, 1681. 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E. il Ministro dell’Educazione Nazionale ha nominato Deputati di questa R. Deputazione i signori: Prof. Gian Piero Bognetti, Prof. Mario Chiaudano, Prof. Raffaele Ciasca e Comm. Orlando Grosso. Con lettera 24 marzo sono stati nominati corrispondenti i signori : Cambiaso sac. Dott. Domenico; Pesce Maineri avv. Ambrogio; Poggi prof. Francesco; Salvi padre Guglielmo; Ferrari prof. Sante per la R. Deputazione di Genova e i signori Betti dott. Marcello e Fregosi don Rinaldo per la Sezione di La Spezia-Pontremoli. Ai nuovi soci : N. D. Baronessa Giuseppina Podestà-Cataldi (categoria vitalizi) e Cerruti comm. Giuseppe, Leale prof. Vittorio e Riggio prof. Achille (categoria annuali) la Deputazione porge un cordiale saluto. SAGGIO DI UNA BIBLIOGRAFIA GENERALE DELLA CORSICA (Continuazione ved. numero precedente) Geografia Fisica. ALBERTI (Fra) Leandro. — Isole appartenenti all’Italia. Venetiis, Avanzi, 1567, l'6o, Tav. Y, pag. 200. G B ALBERTI (Fra) Leandro. — Descrittione di tutta l’Italia aggiuntavi la descrittione di tutte le isole all’Italia appartenenti, eo’ suoi disegni, oollocati ai luoghi loro con ordine bellissimo. Venezia, Tip. Ugolino, 16o, vol. Ï, Vinegia, .Altobello Salicato (1588). ALBERTI (Fra) Leandro. — Isole appartenenti all'Italia di Fra L. A. Bolognese. Nuovamente ristampate e con somma diligenza reviste e corrette. Vinegia, presso Altobello Salicato, 1588. Alla Libreria della Fortezza con canta. [Notizie inviate da Giustiniani, Corsica, pag. 6 e 7]. f AMBROSI A. — Géographie de la Coise. Bastia, Piaggi, 1925, IGo, pagg. 176. BARRAL. — Mémoire sur l’histoire naturelle de l’isle do Corse. Londres, 1783. [Presentata all’Académie des Sciences, 28 Mai, 1782]. BENEVENT. — La pluviosité en Corse (11, in Recueil des Travaux de Géogrüpie Alpine, 1914; 2), in Bulletin Soc. hiet. Corse, 1915, n. 3ftt-3jG6, (Ann. 34), pagg. 65-96. BENNET James H. — La Corse et la Sardaigne. Etude de voyage et de climatologie, par J. B. Paris, 1867, pagg. Vili, 253. BENNET H. — La Coi se et la Sardaigne. Etude de voyage et climatologie. Churchill, 1876. So, Reo. Chauvet, Reo. in Revue de la Corse, 1922, (III), pagg. 89-91. BLANCHARD Raoul. — La Corse. Grenoble, J. Aev. s. a. [1926], pagg. 148- BORDONE Benedetto. — Libro nel quale si ragiona di tutte l'isole del mondo oon li lor nomi, antichi e moderni, historié, favore e modi del lor vivere et in qual parte del mare stanno e in qual parallelo e clima giaciono. Vinegia, per Nic. Zoppino, 1528. [Corsica, pag. XXI] con carta, 2a ediz. Isolari, 1532. BOUGARD. — Lo petit flambeau de la mer ou la veritable guide des pilotes côstiers ; où il e«t clairement enseigné la manière de naviguer le long de toutes les côtes de France.... de Sioile, de Malte et de Corse comme aussi toutes les démonstrations des côtes et de la manière qu'elles paraissent de la mer avec l’heure desmarées.... Les sondes et profondeurs qui se rencontrent.... la qualité des fonds avec tous les dangers qui y sont.·.. Havre, de la Grâce Gruchet, 1751, 8o; Saint Maio, Hovius, 1817, 4o. 136 RENATO GTARDELLI CASTELNAU Paul. — Observations sur des phénomènes de glaciation en Corse, in Comptes rendus de Séances de ΓAcadémie des Sciences, Paris, 1903 (Tome 136), 29 juin (26), pag. 1705. CASTELNAU. »— La Corse: origines et distribution du relief: communication à la Société Fribourgeoise des Scienoes Naturelles. Séance, 26 juin, 1919, 8o, pag. 6. [Argomento geo-logico-geografico]. CASTELNAU Paul. — La traversée de la Corse, in Revue de la Corse, 1920, (I), pagg. 35-39; 59-63. [Stralcio da una tesi inedita: Géographie phisique de la Corse]. CASTELNAU. — Les côtes de Corse: Etude morphologique, in Revue de Géopraphie, 1920; Ree. Maury, in Revue de la Corse, 1921, (II), pagg. 170-174. CAZIOT (Ct). — La visibilitéé de la Corse, in Revue de la Corse, 1921, (II), pag. 2!3. GELLARIUS Cristophorus. — Notitia orbis antiqui sive Geographia plenior ab ortu rerum re-publicarum ad Constantinorum tempora orbis terrarum faciem declarans. Cr. Cellariuss ex vetustis probatisque monumentis collegit et novis tabulis geograpliicis.... illustravit. Adiectus est index locorum. Lipsiae, Impr. Gleditsch, 1701. Corsica, pagg. 957-959. [Riunisce notizie geografiche da Tolomeo, Diodoro Sioulo, ecc. ; altra ediz. Lipsia, 1731]. CLIMATOLOGIE de la Corse. — Temperatura odierna della Corsica: direzione dei venti, clima, rilievo insulare, pioggie, illustrate da grafici: breve bibliografia, in Revue delà Corse, juillet-août, 1927, pagg. 161-181. CLUYERIUS Philippus Gedanensis. — Sardinia et Corsica antiquae ubi harum Insularum nomina situs Incolae Loca alia ad ipsarum antiquitatem pertinentia solidissime explicantur, in Graevius Burmannus. Thesaurus antiquitatum et Historiarum, vol. XV, (2), pagg. 28-32. 2) Lugdunum Batavorum, 1619. CORTAMBERT. — La Corse. Société de Géographie: Questions et Instructions pour les voyageurs et toutes les personnes qui s’intéressent au progrès de la géographie. Ser. II, Paris, (s. d.) 8ο., pagg. 110. COSSU Angelo. — Sardegna e Corsica. Torino, Un. Tip. Ed. Torinese (Tip. Sociale), 1925, 8®, pagg. 184, Tav. VI, in «La Patria», geografia d’Italia, monografie regionali illustrate, n. 17. COTTARD. — Observations sur l’insalubrité attribuée au climat de la Corse, in Bulletin de la Société de Géopraphie, 1822, (I), pagg. 252-274-278. DANEUS. — Geographiae poeticae idest universae terrae descriptiones ex potimis ac vetustissimis quibusdam latinis poetis. Libr. IV. Lugduni, Coquenin, 1550, 16o, Corsica, pagine 279-280. DEPRAT. — Etude analytique du relief de la Corse, in Revue de Géographique annuelle, 1908, (II), pagg. 1-200. [Fondamentale]. DESCRIZIONE geografica di Corsica: epilogo dell’antica e continuazione della moderna istoria dell’isola e del regno di Corsica. Campoloro, Ascione, 1761, 8®, pagg. 4ó. [Contieno una descrizione geografica di tutto il regno con un ristretto della più antica storia fino al 1700. Notizie su storici corsi, organizzazioni amministrative del periodo genovese, ecc.]. SAGGIO DI UNA BIBLIOGRAFIA GENERALE DELLA CORSICA 137 DESCRIPTION Hydrographique et Géographique de l’isle de Corse avec un récit abrégé des troubles qui l’ont agitées depuis 1729. Pour servir d’addition aux Mémoires de et au nouvel Atla3 in 4o de l’isle de Corse. Lausanne chez Grasset, 1769, 16o, pagg. 107. DESCRIPTION Géographique et historique de l’isle de Corse pour joindre aux Cartes et Plantes de cette isle (17G9) par le sieur Bellin, Ingénieur de Marine. Paris, Impr. Didot, 1769, 4o, pagg. 232. [Précis historique des principales révolutions jusqu’à la dernière guerre: moeurs, gouvernement, climat, ecc.]. DIZIONARIO Corografico della Corsica compilato da vari Dotti Italiani.... Milano, G. Civelli e C., 1855, 4-0, pagg. LY-83. EDRISI (sec. XII). — Description do l’Afrique et de l’Espagne, trad. Dozv e de Goeje, pagg. 199-201. EDRISI. — Géographie d’E. traduite de l’arabe en français par Μ. P. Amedée Iaubert, Ree. Quatrèmère in Journal des Savante, 184J, avril-août. ERCHERZOG Ludwig Salvator. — Warum die Nordseste der Mittelmeerinseln die mildere est in Mitteilungen der K K geographischen Gesellschaft in Wien. Vienna, 1908, Band. II, pagg. 237. [climatologia della Corsica]. ERRERA Carlo. — La. Corsica, in La Terra di G. Marinelli, vol. IV, (L’Italia in generale), pagg. 1535-1609 ; 176Q-»66. FERRERÒ Arturo. — I Porti delia Corsica in Monografia storica dei Porti. dell’Italia Insulare. Roma, Ministero della Marina, 1906!, pagg. 1-G4. GALANTI Giuseppe Maria. — Descrizione storica e geografica delle Repubbliche di Genova e di Lucca, dell’isola di Corsica e del principato di Monaco, opera dell’Avv. G. M. G., Torino, presso Francesco Prato. 1795, 16o, pagg. 160. 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Istituto Idrografico, 1927, [Portolano delle Coste d’Italia e isole adiacenti, voi. 2, part la, 2a ediz.]. 8ALLOT de Noyers. — Instructions nautiques sur les côtes de la Corse, Paris, Dépôt de la Marine, 1865. SARDEGNA, Corsica. Malta. — I man d’Italia, (La patria, geografia dell'Italia...*). Torino, Un. Tip. Editr., 1895, 8o, pagg. 463. SCHOENER G. — Korsika und Sardinien in vergleichender Darstellung, in Mittheilungen der Κ. K. GeographiscTien, 1906, pagg. 74-86, Gesellschaft in Wien. SAGGiO DI UNA BIBLIOGRAFIA GENERALE DELLA CORSICA 139 STEFANI G. — Isola di Corsica, Isola di Sardegna (vol. IV, part. II) del Dizionario Corografico universale dell’Ttalia sistematicamente diviso secondo l’attuale partizione politica d’ogni singolo stato italiano, compilato da parecchi dotti italiani. Milano-Ve-rona, 1854-1858, Crivelli, 4 voli., 8 parti, 8o. VOLNEY Costant Franç. 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Quando si chiude il libro del Bonomi, dopo aver letto le parole con cui termina e con le quali il Mazzini prediceva il destino a Luigi Napoleone : « Voi, abbandonato, schernito, maledetto da quei ch’oggi «'avviliscono più di menzogne e di lodi davanti a voi, andrete, vittima espiatrice di Roma, a morire in esilio », il pensiero corre alle parole con cui il Guicciardini confutava l’asserzione del Machiavelli : « che si viene di bassa a gran fortuna più con la frode che con la forza»; l’autore della Storia d’Italia rispondeva: « .... quanto alla fraude, può essere disputabile se sia sempre buono instrumento di pervenire alla grandezza, perchè spesso con lo inganno si fanno di molti belli tratti, spesso anche l’avere nome di fraudolento toglie occasione di conseguire gli intenti suoi ». Certo è che nè la memoria, della partecipazione sua all’insurrezione contro il potere pontificio, e la morte del fratello suo per questa, nè la campagna del 1859, poterono impedire che nell’animo non di un partito, ma degli italiani che nutrirono più ardente amore patrio e più alte idealità, regnasse rancore verso chi andando contro il suo stesso passato, e velando il pensiero proprio del momento, parve aver agito con inganno. E dei francesi irritò e percosse coloro, che insorgendo a sostegno della Repubblica romana per l’onore della novella Repubblica francese, erano destinati, sia pure attraverso la prova del più acerbo dolore, al trionfo. Se potesse dirsi che l’offesa fatta ad una nazióne più particolarmente colpisce una persona, si dovrebbe dire che il più offeso è stato il Mazzini ; e che mentre da una parte, a Parigi1, vi erano uomini che facevano una poli tica d’intrighi di falsità ed occulta, neppur giovevole alla nazione loro, a Roma v’era una luce clic nasceva da nobiltà di sentimenti da idee sane da operare aperto ed onesto, ben riassunto nelle parole che il Mazzinii indirzzava a due dei ministri di Luigi Napoleone, più attivi esecutori della politica di costui, i signori Tocqueville e Fal-loux, e dal Bonomi rievocate : « Io porto con me nell’esilio la calma serena d’una pura coscienza. Posso levare tranquillo il mio occhio sull’altrui volto senza temenza d’incontrar chi mi dica: tu hai deliberatamente mentito. Ho combattuto e combatterò senza posa RASSEGNA BIBLIOGRAFICA 141 e senza- paura, dovunque io mi sia, i tristi opporessori della mia patria ; la menzogna, qualunque sembianza essa vesta·; e i poteri che, come il vostro, s’appoggiano a mantenere o ricreare il regno del privilegio, sulla corruttela, sulla forza, cieca e sulla negazione del progresso dei popoli, ma ho combattuto con armi leali, nè mai mi sono trascinato nel fango della calunnia, o avvilito ad avventare la parola assassino contro chi m’era ignoto ed era forse migliore di me. Dio salvi a voi, signori, il morir nell’esilio, perchè voi non avreste a confortarvi coscienza siffatta ». Una concezione sublime della vita umana fece sì che egli potessere creare quel monumento de’ suoi scritti che, infiniti, costituiscono un solo prezioso appassionato libro di severa. morale per l’individuo e per le genti ; donde, per l’Italia almeno, l’identificarsi, direi, della storia di quasi tutto un secolo col Mazzini, donde l’appassionarsi degli italiani anche di oggi a ciò che lo rievoca, ed il rispetto profondo se non vogliamo difre la venerazione che tutti i buoni e gli onesti, anche se non aderenti ai suoi princìpi o religiosi o politici o sociali, sentono per lui. E da ciò anche la tristezza con cui si avvia a Roma per accingersi all’opera gigantesca attraverso la quale egli, lo prevede, non potrà soccombere qualunque sia l’esito, perchè la fede luminosa lo guiderà per la via per cui non può essere toccato da macchia alcuna ; ma per compiere la quale occorrerebbe lo stesso ardore in tutti i buoni, e l’aspirazione ad una vita degna da parte di coloro per il riscatto dei quali egli ha lottato ed instancabilmente lotta, e la forza per costringere governi e sovrani alla sincerità ed all’onestà politica. Era stata incessante assidua ardente l’opera sua di educazione: ma erano secoli di ineducazione di abbrutimento e di corruzione che si sarebbero dovuti distruggere ; e l’opera sua di educazione sana pura onesta era necessariamente combattuta da chi di ineducazione di abbrutimento e di corruzione del popolo aveva bisogno. Ma affrontare la prova, anzi compiere il sacrifìcio della discesa alla realtà, che sapeva non sufficiente a vivere la vita che egli avrebbe voluta ed aveva indicata, era per il Mazzini continuare nella missione, era malgrado tutto dimostrare l’eccellenza dei suoi princìpi, invitare gli altri al confronto ed alle considerazioni; era mostrare che v’era un’altra realtà oltre quella degli scettici degli egoisti dei potenti e degli adulatori dei potenti: una realtà non meno reale, anche se negletta dai più ; che politica ed arte di governo potevano essere contemporaneamente benefiche efficaci ed oneste. Opera d'immensa responsabilità ma che era per lui anche 1111 premio: Roma! Egli era salito col pensiero e con l’animo alla considerazione di ciò che era la più perfetta costituzione dell’Italia, ed aveva compreso che bisognava congiungere la gloria del passato alle speranze del futuro, che dalla luce non mai spenta del passato doveva sorgere lo splendore dell’avvenire. V’era, stato qualche cosa che aveva 142 RASSEGNA BIBLIOGRAFICA offuscato quella luce per alcuni secoli : il privilegio la prepotenza l'ingiustizia l’assenza di bontà e di equità: ora là sarebbe dovuto essere il trionfo del popolo, il trionfo di Gracco. Eppoi, chi avrebbe osato negare che a Roma potesse trionfare anche ciò, che in ogni altro luogo appariva enormemente superiore alle forze umane? L’invito di Goffredo Mameli al Mazzini, perchè, proclamata ormai la repubblica, accorresse a Roma, era l’espressione del giubilo dell’amore della speranza fatta da un carissimo discepolo a nome di tutti: Roma repubblicana, quando i cuori.di tutti gli italiani palpitavano ansiosi di avere una nazione era, l’identificazione della personalità del Mazzini, e là egli doveva essere, ed essere il primo : il primo non l’uno ; il primo non per volontà propria ma per il bisogno che di lui gli altri avevano ; non l’uno, perchè ciò avrebbe distrutto il principio fondamentale della dotrina mazziniana ponendo qualcuno fra il popolo e Dio. Dice il Bonomi : « Da quel sei di marzo, dall’ingresso di Mazzini nel palazzo della Cancellerìa, l’assemblea sentì ch’essa era. ormai definitivamente sotto il dominio, non di un uomo, ma di una idea, non di una volontà imperiosa nelle parole e nei gesti, ma. di una fede che bruciava ogni dubbio, depurava da ogni scoria, sollevava da ogni bassezza ». Così si affermava l’autorità legittima, spontaneamente, più che riconosciuta voluta e proclamata da coloro che di essa, ripetiamo, sentivano il bisogno, e si costituiva, per la probità di chi la rappresentava, una fortezza invulnerabile ad ogni colpo malvagio, impenetrabile ad ogni veleno che l'improbità suole troppe volte schizzare con violenza proporzionata alla virtù che vuol colpire. Del resto, sia lecito riportare poche righe che mostrano quanto un suo pure accanitissimo avversario l’abbia giudicato in un libro, che vuole essere di piena accusa ai fautori degli avvenimenti del 1849 in Roma (La rivoluzione romana a giudizio degli imparziali, Firenze, 1850, presso Simone Birindelli) « .... egli non fa altro che ribadire il chiodo e raffermare sempre i suoi princìpi, che mantien saldamente. Non si scorgerà mai che in questa parte si contraddica, che adoperi voci o termini ambigui, che si studi con modi coperti e infingevoli di trarre in inganno i suoi lettori. Dirò ancora, ch’egli in ogni suo fare non ha mai mostrato viltà d’animo, nè pochezza di cuore. Non si valse inai dell’adulazione, della doppiezza, dell’ipocrisia per acquistarsi la grazia dei potenti, per conciliarsi l’amicizia degli uguali,, per vantaggiare nella reputazione degli infimi. Non inorpellò con ispeciosi vocaboli le sue dottrine; ma dichiarò sempre di volerla affatto fiilita coi prìncipi, col papato, con la Chiesa ; nè mai ristarebbe dal promuovere con ogni mezzo possibile il conseguimento del suo fine. Molto meno poi si potè mai inchinare a giurar con finte lacrime agli occhi fedeltà a chi egli aveva giurato la rovina, a promettere devozione e servitù cui egli RASSEGNA BIBLIOGRAFICA 143 professava avversione e contrarietà. Mazzini non degnò mai sì basso, e tenne in questo punto incorrotto il suo onore. Ciò che aveva in cuore ebbe pur sulla, lingua ; e quanto covava nell’animo, addimostrò eziandio ab estrinseco negli atti, nelle parole, nei portamenti. Ora e sempre fu il suo motto prediletto, che mantenne non solamente nell’impronta de’ suoi sigilli, ma eziandio a fatti: così il Mazzini nel 1850 è sempre quel desso del 1831... Così potessi lodarlo rispetto alla causa e al fine, che per fede per coscienza, per convincimento debbo necessariamente riprovare e condannare, perchè il tutto perverso e irreligioso. Aggiungo infine che Mazzini a preferenza di tutti gli altri settari, è stato sempre il più logico nelle sue conseguenze. Dopo essersi proposto il fine delle sue operazioni. cercò de’ mezzi; vide quali erano necessari a condurlo direttamente al suo intento, e a questi unicamente, non ad altri, si appigliò. Era fermo di rendere l'Italia una e indivisibile; dunque guerra a tutti i principi italiani. Gli sembrava che il papato fosse un ostacolo insormontabile, dunque a terra il papato : che l’autorità spirituale gli fosse di impedimento, dunque sia essa abolita: che la religione cattolica incatenasse le menti dei popoli, che le massime cattoliche contrariassero alle sollevazioni, alle ribellioni : dunque si faccia ogni sforzo per abbattere e schiantare dall’Italia il cattolicismo ». Chi così scriveva era un cattolico, anzi un ^prelato di idee ultra conservatrici e che non fa alcuna parola di patria ; era il padre Giuseppe Boero della Compagnia di Gesù; ma date le virtù che egli riconosce al Mazzini, qual devozione non doveva avere per questo chi non credeva che principi e papato e Chiesa fossero ii sommi beni, ma sopra ad essi poneva esistenza di nazione e dignità di libero pensiero? Solo per il programma religioso può giudicarsi che quanto era logico, posti i suoi principi, altrettanto il Mazzini avesse nei suoi scritti col ragionamento e le speranze oltrepassato la possibilità del trionfo, almeno completo e nel presente. Ma appunto per questo egli si lascia guidare dalla necessità dell’uomo politico, mentre è al governo a Roma, riguardo a cerimonie e a funzioni religiose, e a doveri del clero; confermando logicamente, del resto, nello stesso tempo che sembra si contraddica, il fondamentale suo principio politico dell’ossequio ài sentimento ed alla volontà del popolo, solo sovrano. E questo sentimento e questo pensiero democratico fa sì che la repubblica mazziniana non sia nè debba essere nè di classe nè di partito, nè che lo stato pretenda di essere fuori e sopra la collettività umana; per questo sentimento e per questo pensiero democratico il Mazzini vuole che in momenti di grandi deliberazioni l’assemblea non possa neppur minimamente, sotto l’influenza sua, perdere alcunché della propria autonomia. Ma sotto la sferza della sfortuna i buoni richiamano tutte le forze dello spirito, e così assemblea triumviri soldati e popolazione, ormai educata a dignità di cittadinanza, rag- 144 RASSEGNA BIBLIOGRAFICA giunsero concordi Paltezza necessaria ad essere, in tale tempo e circostanza, degnamente di esempio. Ed era impresa difficile: non speranza di vittoria, o meglio speranza in una vittoria clie si poteva ritenere sicura, per un giorno ancora lontano, per la sublimità dello stesso insuccesso del momento. Ma occorreva che fosse questo insuccesso spettacolo di un sacrificio che oltrepassasse ogni esempio dato dalla storia, perchè il fine non era mai stato più alto : si trattava di gareggiare in valore con gli uomini della città che più d’ogni altra aveva dato prova di valore, di mantenere la serenità che il Senato antico aveva saputo mantenere nelle ore che sembravano preludere alla imminente rovina ; di essere degni che il mondo dicesse : « Là, a Roma, i tìgli d’ogni parte d’Italia, hanno combattuto e sono caduti, perchè sono tutti di una nazione » ; ed il mondo si commovesse. Ed il trionfo ci fu ; non solo perchè la Roma di prima, se riapparve ancora, fu solo per il tempo necessario per rendersi più odiosa, e poi scomparve per sempre, ma perchè, coloro che senno e valore hanno dedicato alla Roma del 49 hanno educato le generazioni italiane che sono venute dopo, e lo studio dell’opera loro continua ad educare ancora. Le generazioni italiane, ho detto, ma non esse solo ; perchè là ove alla mente dei nostri giovani eroi risplendeva l’Italia redenta dalla servitù e nazione sovrana, combatterono a fianco loro e polacchi e ungheresi e svizzeri e francesi, forse non solo per rispondere « all’appello della libertà, parola magica che in quel secolo delle conquiste liberali aveva un fascino superiore a quello stesso di patria », come dite il Bonomi, ma anche per attestare, sacrificandosi essi là per quegli ideali che sono sacri per Γumanità tutta, che ben a ragione il Mazzini, a rendere più bella e preziosa la causa della nazione italiana, aveva a questa già prescritta una missione benefica a tutte le nazioni sorelle (x). Costantino Panigada (!) Se del libro del Bonomi si faranno, come auguriamo, nuove edizioni sarebbe bene che non figurasse in esse una inesattezza che notiamo in questa prima, a pag. 33, e che è ripetuta a pag. 40. Sd dice a pagina 33 che il governo di Roma, rinnovato, faceva approvare il 2G dicembre 1S4S dai deputati una legge che convocava in Roma la costituente degli stati romani, e a pag. 40 che il Consiglio dei deputati deliberava, sempre il 26, l’elezione a suffragio universale di tale assemblea. Ma il Consiglio non ha deliberato affatto, perchè ad un certo punto la discussione in quella seduta molto burrascosa fu sospesa per mancanza del numero legale; e nella successiva seduta del 28 al Consiglio non si dava che la notizia dello scioglimento. Nello stesso manifesto del 29 con cui il ministero pubblicava il decreto della convocazione della costituente si dice che « videro la giunta ed il ministero perdute le cure loro, avvegnaché i consigli deliberanti non giunsero neppure a discutere » la legge sulla convocazione dell’assemblea generale dei deputati del popolo, e si afferma: «qualunque legalità potesse mancare viene supplita dalla suprema legge della salute pubblica, la quale sana ogni atto che vi conduce ». RASSEGNA BIBLIOGRAFICA 145 Τίτο Rosina, Ceccard\o Roccatar/liata Ceccardi, Genova, Emiliano degli Orfinì, 1037, pp. 264, L. 15. Lentamente si va. determinando ai lumi d’una critica preparatissima per studi e concettosa per idee, la poetica italiana della fine dell’ottocento e del primo decennio dell’attuale secolo. Se l’indagine non è facile, in quanto l’ombra, dei soliti tre grandi oblitera e deforma i limiti dei minori, in sostanza da parte di studiosi insigni e benemeriti si è potuto mettere alla luce i ceppi più sani e più virili, quelli più originali e genuini di coloro che tra Ottocento e Novecento all’ingrosso, pur influenzati e corrotti riuscirono a descrivere un sentimento non indifferente, una visione delicata, della natura, alcuni frammenti di versi significativi nel loro gioco che rifugge dalla vasta influenza di Carducci, Pascoli, D’Annunzio. Se in realtà i critici vedono nei minori poeti questa differen-zazione tenue, ma pur sempre esistente, in generale è da mettere in rilievo come i vari minori abbiano dovuto combattere una ben dura battaglia, talmente l’influenza dei grandi si è esercitata e si esercita tuttora sui poeti e sui prosatori. Se d’altronde si pensa per un istante che un Montale od un Ungaretti annoverano decine di imitatori — ed un residuo di D’Annunzio si trova pure in Montale — si converrà come per quei minori, vissuti a cavallo tra due secoli, fosse ben difficile uscire dagli schemi carducciani, pascoliani e dannunziani che fossero, —j poeti minori che già attraverso l’identica lingua e l’unico vocabolario composto di retorici luoghi comuni, talora corrodevano del tutto anche la propria, semplice vena poetica. Quali i poeti da rammentare? I movimenti di allora, di quel periodo così difficile a concretarsi, si moltiplicano e s’avvicendano senza tregua e senza fare nomi, meriterebbe studiare i cosidetti carducciani o pascoliani, rilevare metodicamente il complesso di poeti che hanno accolto (certamente più dal Versigliese che dal Romagnolo) non solo il vocabolario e Vunica lingua ma sopratutto il ritmo, l’aria, 19aura poetica, la maniera. Per D’Annunzio, secondo noi, il problema è diverso, e quasi vi è da chiedersi, con fare trepidante, chi ha avuto la buona fortuna di riuscire a sfuggire completamente da quell’influenza che ancor oggi affiora in molti scrittori e poeti italiani. Meriterebbe essere tentato uno studio simile che, per la sua medesima vastità, sarebbe sempre incompleto. Ma forse quel ferratissimo critico che risponde al nome di Mario Praz potrebbe darci lo studio comparato con cui si metta concretamente in rilievo l’influenza dannunziana sulla letteratura italiana. 146 "RASSEGNA BIBLIOGRAFICA * # * Uno dei poeti minori trascurato troppo dalla critica, mentre la cronaca e la stessa letteratura lo faceva oggetto d’indagine e di volumi biografici, fu Ceccardo Roccatagliata Ceccardi,; Cec-cardone per gli amici, di cui se alcuno, a Genova, ancora, rammenta la vita grama, la dura miseria, resistenza travagliata, in realtà, è perduta traccia della sua poesia. Intendiamoci: traccia negli ambienti di quel pubblico più o meno coltivato che segue ancora la poesia, chè per contro il Montale, finissimo critico oltre che vero poeta, accennava apertamente al Ceccardi nel trattare di un poeta moderno quale Angelo Barile, come ben ricorda il Rosina nel suo ultimo volume. Ceccardi predecessore della poesia italiana moderna, della lirica ligure, schietta serrata, personalisima, viva? Eh via, nè il Montale arriva ad una cosi categorica affermazione, nè il Rosina lascia presupporre una simile ipotesi che d’altra parte non entra nel suo cani po d’indagine; peraltro il critico genovese lascia ben intendere come oltre le isterilite e plagistiche forme dannunziane, carducciane o pascoliane talvolta aderenti ai classici modi di un Leopardi od a quelli romantici di un Foscolo, vivesse nel Ceccardi una. poesia esigua e lieve ma personale, esile ma singolarmente viva nella sua purezza personale, naturalistica nella, sua lucida immersione in un paesaggio quasi panteistico, per un’adesione totalitaria del Ceccardi alla natura. Attraverso la laboriosa fatica del Rosina che denota un progressivo miglioramento critico, non solo nella metodica indagine delle fonti, ma sopratutto nell’esame estetico da cui si potrebbe eliminare in una nuova edizione qualche acerbità, si nota questo senso naturale del Ceccardi, quella sua poesia che prendeva vita al contatto del passaggio, della terra, del cielo, degli alberi, e si trae alla luce la viva differenziazione che corre tra la visione della natura del generale degli apuani come lo chiama il povero Viani, e quella del Versigliese o dell’Abruzzese. Meriterebbe riportare le stesse pagine scritte del Rosina nel distinguere acutamente questa differenziazione, che più di ogni altra, è base per dare una personalità poetica a Ceccardone, forse unico poète Maudit della Liguria, la cui vita fu triste e la cui miseria fu grande. Ma ritornando essenzialmente al problema critico, ci sembra che non altra possa essere la vena personale del Ceccardi, vale a dire la sua vena naturalistica che fu anche oggetto di scherno, di derisione quasi. Il giovane Ceccardi vedeva la propria poesia circondata da dubbi e da ombre, la critica non rilevava alcuna forza personale, e l’uomo poeta soffriva. RASSEGNA BIBLIOGRAFICA 147 Certo al Ceccardi che sentì, forse il primo in Italia, l’influenza del simbolismo, sopratutto di Verlaine, e che dedicò una poesia al giovane Valéry allora, alle prime armi, era difficile trarsi fuori dagli schemi più formali che spirituali, di coloro che andavano per la maggiore. Ma oltre l’adesione linguistica, oltre la forma, il Rosina rileva questo senso nuovo di una poesia che nel frammento semplice di una strofa raggiunge un’incisiva chiarità, una concreta bellezza., una serena affermazione lirica, nel suo amore verso la natura. Frammenti ripetiamo, semplici monconi, tanto più belli per la loro rarità e per la. perfezione formale, dimostrano quanto non sia distante dal vero il Rosina entusiastico assertore del poeta Ceccardo Roccatagliata Ceccardi, e quanto abbia ben rilevato la limitata vena poetica ma genuina dell’amico del povero Viani, di Ungaretti, di Pea. Premesso questo personale naturalismo poetico, il Rosina colla serrata critica di tutte le opere del Ceccardi, riesce a determinare la sostanza poetica del Nostro. Infatti col metodo rosiniano di non trascurare nessun elemento dell’opera di un artista, col mettere in vivo rilievo gli elementi più trascurati, il critico attraverso la sparsa opera giovanile, attraverso le prose, e quella poesia civilistica che è ancor meno conosciuta, tende a far vedere come l’unità poetica del Nostro si sviluppasse attraverso una ben sicura coscienza della propria poesia. Ben è altrimenti il criticare « II Libro del frammenti », « Sonetti poemi », « Il viandante », « Sillabe e Ombre » (quest’ultimo postumo a cura di Pierangelo Baratono), ove si riesce a scernere con una certa chiarezza quale la natura poetica del Ceccardi, quale la sua adesione alla natura, quale la sua maniera. Ma, ed è qui il miglior risultato critico del Rosina, l’esegeta attraverso le opere minori, attraverso i frammenti e le prose ha aggiunto qualcosa alla conclusione sul poeta ligure apuano; qualcosa che ci dà idea di quanta modernità fosse colmo l’animo ardente e sensibile di questo poète maudit: infatti attraverso l’esiguità del vocabolario poetico usato dal Ceccardi si nota una specie di umiltà nei confronti della parola, da cui da tempo non si era abituati, e sopra tutto si rileva come la parola si arricchisca per una comprensione vivissima del suono dei versi, per semplice illuminazione, per uno scintillamento dell’onda sonora, direi. Questo fu Ceccardo Roccatagliata Ceccardi: un poeta triste come tutti i poeti, vivo perchè illuminato dal canto migliore, aderente all’illusione, credente nella gloria, e questo fu forse Punico segno del secolo a cui appartenne, già moderno nella sua espressione. Il Rosina non si è accontentato di darci la storia critica della poesia di Ceecardone, ma ha voluto giustamente narrarci, oltre le vane sicumere della biografia romanzata del povero Viani, tutta a chiaroscuro ed a colpi d’ascia, la vera biografia del Nostro, il suo RASSEGNA BIBLIOGRAFICA contatto colla poesia cTallora, coi gruppi e coi letterati di Genova e della Liguria., la sua vita grama. Attraverso Pentusiastiche pagine di Tito Rosina, che, per una volta dimentica la sua fredda pacatezza di studioso, seguiamo quest’uomo, errante poeta della vita., sentiamo quale sincerità mettesse nei suoi articoli di prosa come nei suoi versi, ci sembra di vederlo rischiarato da un grande sorriso.... Ed era il sorriso della morte che l’accolse nella notte tra il due e il tre agosto del 1910. ψ Enrico Terracini Renée de Saïjssine, Paganini le « nmge », in « Revue hebdomadaire », Parigi, fascicoli 10, 17, 24, 31 ottobre, 7 e 11 novembre 1936. Approssimandosi il 1040, anniversario della morte di Niccolò Paganini si va accentuando l'interesse sul grandissimo violinista. Si susseguono così biografie, saggi e studi, qualche volta notevoli, specialmente dopo che Arturo Codignola ha messo a disposizione degli studiosi nel suo « Paganini intimo » una ricca messe di documenti, fino a ieri in gran parte inesplorata. Del nuovo materiale dichiara pure di valersi Renée de Saussine in un suo recente saggio anche se. più che attenersi allo scrupolo documentale, preferisce delineare scene brillanti e ad effetto. Paga-nini — quello della leggenda e quello della storia — è proiettato così davanti al lettore come in una sapiente cinematografia, dall’infanzia di Vico Gattamora ai primi successi nella Cattedrale di Genova e fino ai trionfi delle grandi capitali europee. Amori, affetti, entusiasmi, gelosie e invidie si susseguono attorno alla pallida figura spettrale che farà farneticare di Mefistofile e di Satana. Come si usa nelle vite romanzate, gli episodi, non sempre sicuri, sono colorati con abilità e, quando l’interesse lo esiga, si forzano le tinte. Sembra che l’Autrice voglia colpire l’immaginazione del lettore. E bisogna convenire che, valendosi di tutte le scaltrezze della penna, sa raggiungere assai bene il suo scopo. Divulga la vita e la fama del grandissimo artista e insieme interessa e diverte. Ma Renée de Saussine non è immune da alcune mende. Ad esse si riallaccia anche il tentativo di avallare il confronto Lafont e Paganini proprio con la stessa disinvoltura con cui, in questi giorni, alcuni accademici d’Oltralpe si azzardano a paragonare Foch a Napoleone. E non sarà neppure il caso di formalizzarci se, seguendo un’abitudine da cui non sono immuni neppure i suoi più grandi compatriotti, abbonda di citazioni di parole italiane quasi sempre deformate. Piccole mende in complesso in una biografia divulgativa scritta da una ammiratrice convinta ed entusiasta soprattutto RASSEGNA BIBLIOGRAFICA 149 della virtuosità di colui che essa chiama il « Mago ». Ammirazione ed entusiasmo che rivestono particolare valore quando si pensi che non si tratta soltanto di una, scrittrice elegante, ma anche di una virtuosa, di talento, ben nota in Europa come degna continuatrice della bella tradizione violinistica femminile. Appunto perciò può costituire una delusione che proprio una competente non osi affrontare il giudizio sulla sostanza della musica paganiniana. Tanto più che il limitarsi alla esaltazione del virtuoso contrasta con i riconoscimenti di ammiratori di eccezione come Rossini, Schumann, Chopin e Liszt. Ma in questo caso è doveroso ammettere che non è possibile oggi formulare un giudizio defi-nitivo sulle opere paganiiniane che giacciono per la massima parte — G5 su un totale di 80 — ancora inedite. E qui mi sia consentito ripetere un voto che mi è particolarmente caro : non si potrà sperare che il Municipio di Genova compia l’opera incominciata rivelando, dopo l’uomo, anche il musicista? Una semplice riproduzione fotomeccanica penso che potrebbe facilmente aver ragione della difficoltà interpretativa dei manoscritti. Proprio la De Saussine ricorda che negli ultimi anni l’Artista accarezzava la speranza di poter acquistare per sè in Albaro quella mirabile villa che porta il meritato nome di «Paradiso». Nella tranquillità e nella pace della principesca dimora egli si riprometteva di curare la stampa delle sue opere. Speranza che doveva portare con sè nella tomba, ma che potrebbe agevolmente essere attuata dalla sua Patria per commemorare degnamente, in occasione dell’imminente cinquantenario, il suo grandissimo tiglio. Mario Grossi A. Colombo, Gli albori del regno di Vittorio Emanuele II, secondo nuovi documenti, Roma, R. Istituto per la storia del risorgimento italiano, 1937. Ben vivo è tuttora nel popolo di Genova il ricordo del moto che, nel 49, sconvolse la città. Scatto d uno spirito generoso, reazione di una fiera coscienza, resa diffidente e turbolenta da dolorose esperienze e allarmanti vociferazioni, l’insurrezione genovese è, nel suo significato ideale, una pagina, non trista nè volgare, della storia di un popolo non immemore di Balilla. Il Colombo, s’intende, non condivide questo giudizio. Anzi! Ma non perciò i documenti da lui pubblicati ora, anche non portando elementi nuovi riguardo al moto genovese, presentano molto interesse perchè chiariscono non i motivi della repressione —h evidenti e ovvii — ma l’animo di chi quella repressione volle e compì. 150 RASSEGNA BIBLIOGRAFICA Mentre si comprende che il Governo dovesse impedire agli elementi più accesi di aggravare la già turbata situazione interna e di compromettere i rapporti delicatissimi con l’Austria, mal si intenderebbe l’eccessiva durezza di quéi modi se non si conoscesse l’intimo animo e la onesta volontà di quei draconiani repressori. A questo fine, la pubblicazione del Colombo è quanto mai opportuna. ' v Il Dabormida, galantuomo provato, che così fervidi consensi dà al suo « dilettissimo » Alfonso La Marmora è l’esponente di una folta classe di persone che approvavano incondizionatamente il Generale. Ha ben ragione il Colombo di definire « stupenda » la professione di fede nell’avvenire d’Italia che il Dabormida fa in una lettera al De Launay, edita solo ora, e che veramente illumina quell’intima fede sentita, anche dai più temperati e prudenti conservatori. Sprazzi di luce gettano questi documenti sulle difficili trattative per la occupazione di Alessandria che provocò — quando avvenne — la legittima indignazione del popolo tutto, il quale non poteva sapere quanto fosse già costato a, Vittorio Emanuele II ottenere l’occupazione — mista — della città \ sulla resistenza alle minacce e ai tranelli austriaci opposta dai diplomatici sardi durante la stipulazione degli accordi che condussero alla pace di Milano, resistenza che, nelle alterne fasi, ne attraverso alcune quanto mai pericolose. La relazione Pralormo, qui largamente pubblicata, ci presenta un vivace momento di quel duello tra un De Bruk furioso e sma-niante e un molto signorilmente pacato Pralormo che smonta quel-l’imbestiato avversario con sobrie, umanissime riflessioni. Dagli stralci di carteggi e di relazioni, si ricostruisce l’inizio del regno di Vittorio Emanuele II, tempestoso per gl’interni ri-volgimenti e i difficili accordi con l’Austria vittoriosa e scontenta. Inizio di regno che una tragica vicenda regale e l’onda d’incomprensione, diffidenza e rancore nereggiante intorno al giovane re, rendevano drammaticamente minaccioso. Leona Ravenna F. E. Morando, Studi di Lettemtura e dì Storia, Firenze, Ed. « La Nuova. Italia », 1937. Undici scritti inediti qui raccolti e pubblicati postumi, ci riportano ancora una volta dinanzi alla figura e all’opera di F. E. Morando. Le quali sono delineate, con affetuosa efficacia, nella prefazione del volume, stesa da G. Ansaldo. RASSEGNA BIBLIOGRAFICA 151 Questi saggi meritavano di essere resi noti, non tanto per dare un’altra prova della varia cultura, del Morando che ebbe il culto il gusto degli studi severi e sereni e li coltivò per la gioia della sua sempre avida volontà di conoscenza, quanto per sapere in qual modo egli ripensò e riela.borò idee e opere. Se questi ripensamenti e queste rielaborazioni non ci sembrano nè nuovi nello svolgimento, nè originali nelle conclusioni, ci danno però ancora una prova della onesta coscienza, del carattere retto e schietto e sopratutto della coerenza integrale alle idee intorno a cui s’era svolta tutta l’attività del Morando giornalista, studioso, cittadino, uomo : voglio dire quelle idee e quella fede che aveva apprese dal Mazzini. E la personalità del Morando in tanto vale in quanto viene misurata sul metro della fedeltà al Mazzini mai venuta meno e mai posposta a sopravvenute ideologie e personali interessi. Questi saggi di tale fedeltà sono un altro segno : in tutti si sente l’eco del pensiero, del giudizio del Maestro amato anche quando le mutate tendenze della critica letteraria e storica, le posizioni errate di certe visuali, le conquiste del pensiero moderno rendevano naturale, necessario anzi, il distacco. I saggi sul Bini, sul Miçkiewicz mostrano questo tenace attaccamento più chiaramente di quello su Schiller e dei due sulla Rivoluzione nei quali è pur evidente. Di questa nobile dedizione a una fede, di questa fermezza di convincimenti — -di cui il Morando fu così integro esempio — il ricordo non sarà mai inutile. Leona Ravenna Giorgio Pini, Vita di Umberto Cagni - Milano - Mondadori, 1937. pag. 504. L. 25. Piemontese ; di quelli di razza buona la cui vita fu audacia e sprezzo della stessa, irritante ed irritabile col suo forte carattere di uomo di mare che, disciplinatissimo, talora dimenticava la gerarchia e la medesima disciplina ; forse non ricco d’intelligenza di-scriminatrice ma dotato di una capace visione degli interessi politici e morali dell’Italia e di quelli che erano gli interessi tecnici della R. Marina ; esploratore e di quale tempra lo sanno perfino i bambini, marinaio in guerra ed in pace, marinaio in mare ed in terra, senza avere la possibilità di quell’incontro in alto mare che ben conveniva al suo fiero animo desideroso di battaglia navale, Umberto Cagni si meritava una biografia, tutta chiaroscuri, tutta romanzo più che arida cronaca, romanzo per 152 RASSEGNA BIBLIOGRAFICA chè la vita dell’uomo fu infinitamente ricca di vicende, di avventure, d'incontri con uomini eroici, vivi. Umberto Cagni! Il Pini, che scrisse già un popolarissimo Benito Mussolini, ha voluto darci la vita di un uomo eccezionale nel senso vero della parola, di cui coll’aiuto di documeti rimasti inediti a tutt’oggi e cne forse rimarranno inediti, colla testimonianza più acuta· e affettuosa di colleghi e di sottoposti, di superiori, si riesce a delineare magistralmente il corso di una biografia interessante quanto altra mai, a metterla in relazione col complesso degli avvenimenti Jche l’hanno circondata, col complesso di uomini che* hanno vissuto ai margini e al centro della vita di Umberto Cagni ; il Pini ci ha dato il romanzo di un uomo d’azione. Noi eravamo troppo ragazzi per rammentare l’influenza, o più che l’influenza, l’importanza che aveva assunto Umberto Cagni per i genovesi. Ma. nostro padre, astigiano pure lui, ci diceva sempre « guardate queU'uomo seduto ». E allora il ricordo rivive in piazza Corvetto, (anche il Pini rammenta il curioso episodio di quell’uomo che negli ultimi anni della sua vita andava a sedersi modestamente fra vecchi pensionati e uomini di popolo) allora gli occhi si appuntavano su quel viso grifagno, arso un poco dalla salsedine, cogli occhi acuti di falco, col naso aguzzo come prora al vento, colla mascella dura, colla barbetta rada e da eroico moschettiere. Eroico moschettiere era stato nell’anima come nel corpo; portante, ancora, come stigmate, il senso dell’eroismo che avevano gli uomini del Risorgimento ; figlio di un ufficiale del Risorgimento, figlioccio di Re Umberto I, piemontese e astigiano, testardo come l’Alfieri, per strana predilezione uomo di mare. D’altra parte la tradizione degli uomini di mare piemontesi era ricca di bellissimi nomi. Il giovane rimase tre anni a Napoli, un anno a Genova. Colle scuole navali situate ad un di\rerso grado geografico, si cercava di conciliare i differenti climi politici. Poi si addivenne alla decisione di creare la R. Accademia di Livorno, ed allora il Cagni terminò un anno avanti il suo corso di guardiamarina. Partenza quindi per una crociera; aveva vent’anni. Crociera di 42 mesi, mondo nuovissimo da vedere; America, Cina, Giappone, estremi lembi della Terra del Fuoco. Che vita allora! E il giovane Cagni incomincia ad apparire quale è, sotto la guida magistrale di Giorgio Pini che lo segue giorno per giorno direi, passo per passo, azione per azione. Il giovane Cagni ritorna in patria, e poi assieme al fratello segue in Africa suo padre, Generale dell’Esercito ; Badoglio trova un predecessore in questo Generale Cagni (agli ordini di un Cadorna e Comandante di un Cadorna) che si porta i figlioli in Africa. RASSEGNA BIBLIOGRAFICA * 153 Ivi mancarono le gesta eroiche, quelle gesta che il Cagni bramò per tutta la vita evche ricercò invano, quasi volesse morire nell’impeto bello del gesto e non in un letto come egli morì. Infatti prospettata la sua vita, nel piano della storia, si vede come l’ambizione altissima dell’uomo, nonostante tutto quello che fece non fu mai conclusa da una grande azione che l’avrebbe intimamente placato. Che uomo! Occorreva conoscerlo; nella sua decisione non tornava mai addietro e si fidava più della sua audacia che della logica. Caratteraccio t esta rd a mente piemontese, più di’una volta, è stato fatto segno agli strali dei superiori, alle note caratteristiche degli incompetenti che, badando solo all’esteriorità non trovavano altro modo che condannarlo. Amico di Millo, si urtò fortemente con questi ai tempi dell’incidente della corazzata San Giorgio, e gli ultimi tempi della sua vita di marinaio furono fieramente urtati dal contrasto Coll’Ammiraglio Thaon di lievel. Ma riprendendo la vita — giorno per giorno — anno per anno, Pini rileva l’importanza dell’incontro fra Umberto Cagni e il Duca degli Abruzzi. Il Duca, Nipote del Re, incontratosi col Cagni ne comprendeva l’alto, fiero carattere, l’umanità dell’uomo di mare, le qualità meravigliose del Capo e dell’organizzatore. Una crociera condotta assieme per ben ventisei mesi cimentava l’amicizia. Dopo sarà il Sant’Elia, sarà la vicenda della Stella Polare, la Marcia nelle desolate distese verso il Polo Nord; il dito di Cagni quasi in cancrena, tenendo duro per amore del proprio Principe, dell’Italia lontana. Umberto Cagni sarà al Ruvenzori ; sarà presente al tragico terremoto del 1008 a Reggio, sarà a Tripoli, sempre audace, sempre ardito, sempre vivo, sempre impetuoso e fiero. Il Pini oltre che fedele cronista e storico dell’uomo, sottilmente interpreta la psicologia di quest’uomo che dimostra nella sua audacia la più sottile intellingenza. Per nessuno come per lui si può usare il motto latino « Fortuna juvat audaces » e l’uomo fu audace in tutto, audace nella notte di Bu-Meliana, audace nel tentativo di mettere a galla la corazzata San Giorgio sempre audace contro qualsiasi avversario. * # * Giorgio Pini forse prospettandosi il problema di scegliere tra l’arida cronaca e l’opera di storia, ha preferito risolutamente que-st’ultima nel senso d’interpretare con secchezza di giudizio il periodo serrato quanto altro mai, pieno di avvenimenti simbolici, affascinante nella sua medesima varietà. Si pensi : guerre d’Africa dell’84, del 96, guerra di Tripoli, 154 RASSEGNA BIBLIOGRAFICA guerra mondiale, avvento del Fascismo. La semplice enumerazione di questi avvenimenti storici dimostra come la narrazione della vita di un uomo, anche eccezionalmente d’azione, come il Cagni, non potesse sfuggire alla comune sorte di coloro che pur vivi nel senso più alto della parola, sono in complesso dominati da avvenimenti grandiosi e storici. Non che il Pini voglia* far opera di storico nel senso d’illuminare con giudizio sintetico la portata degli avvenimenti ; a lui interessa precipuamente la vita dell’uomo di cui si è fatto biografo e talvolta romanziere, quasi costretto al romanzo del fantastico coni plesso di fatti che formano la vita dell’Ammiraglio; ma nello stesso tempo ha ritenuto giustamente di dover tracciare e con mano maestra, sulla scorta di documenti rari ed inediti, quel convulso formarsi di avvenimenti che accentrarono la vita del Cagni, e di cui noi, essendo semplici testimoni non possiamo averne la giusta portata. Il Pini ha fatto opera di storico, ma appunto per questo ci per metterà di dirgli che forse il suo volume ridente di un mancato equilibrio, nel senso che i fatti avrebbero* dovuto essere narrati più distesamente, e non affollantisi in modo serrato, e talvolta convulso direi. Ma forse il rimarco, più che al Pini, spetta all’editore, che per motivi commerciali avrà dovuto ridurre il ponderoso e coscienzioso manoscritto di Giorgio Pini a volume che possa correre fra le mani del pubblico più vasto, ignorante sempre delle cose nostre. Si pensi ad esempio agli anni 1918-19 lontani ormai, perduti quasi nel passato della storia. Si sapeva qualcosa di' allora, ma non si sapeva, non si conoscevano ancora le difficoltà incontrate dal Cagni per poter condurre la sconfitta flotta del defunto Regio Imperiai Governo Austriaco da Pola alla Regina dell’Adriatico; ed il Pini entra nel vivo della discussione storica, rammentando fatti, ancora ignoti, che ci dimostrano ancora una volta come gli ex alleati guardassero con astio alla Nuova Italia che usciva vittoriosa dalla guera. Ignota era la missione che aveva avuto Cagni a Fiume e anche quella ajjpartiene alla storia, mentre forse alla stretta cronaca, in ispecie oggi ancor troppo vicina per determinare un sereno giudizio, sono gli ultimi avvenimenti di Umberto Cagni ; l’urto fra Cagni e D’Annunzio per la Federazione Italiana Lavoratori Mare è un episodio poco noto che entra più nella cronaca che nella storia. Storia è l’organizzazione del Porto di Genova da parte di Umberto Cagni, storia economica se si vuole, ma anche storia politica, chè in realtà l’arteria, il mare, il Porto di Genova sono troppo pre-potendenti nella vita della Nazione perchè il loro sviluppo non nì ripercuota sulla storia d’Italia. 155 Come si è detto Giorgio Pini, si fa inteprete commosso, e direi passionale della vita del Grande Ammiraglio, chiamato Console del Mare; se ne fa biografo, storico, cronista, interprete. Lo scrittore non abbandona nessuna testimonianza, nessun documento, bada anche alle più misere voci del popolo, che quando parla azzecca sempre giusto, ma il Pini nella sua ammirazione non tralascia il giudizio sereno ed equilibrato. Pure quando si chiude il volume, si rammenta il romanticissimo uomo piemontese, ammiraglio, console del mare, alfiere del più strenuo coraggio, vivo come fu viva la sua azione. Enrico Terracini. SPIGOLATURE E NOTIZIE PREISTORIA P. Peola : L'ambra, il cigno e Vorigine dei liguri in «Atti della Società di Scienze e Lettere », vol. II, fase. I, 1937. [Si tratta di un’opera molto interes sante, anche se qualche conclusione appare assai discutibile. L’Autore di queste note si riserba di parlarne per esteso nel prossimo fascicolo]. E. Wetter : Literaturbericht 1930-33, Italische Sprachen in « Glotta-Leitschrist fiir grie-chische und lateinische Sprachen », Güttingen, 1935, pag. 206. [Da notizia dello studio di V. Bertoldi su casi di sincope nel Gallico e nel Gallo-ligure : Blu-stiemelo, aravo, Procobera]. STORIA MEDIOEVALE F. Sassi: Ricerche sulla organizzazione castrense nella Lunigiana vescovile in «Giornale Storico e letterario della Liguria», fase. IV, 1936. [M. Giuliani in « Giovane Montagna », Parma, maggio 1937, recensisce criticamente il saggio del Sassi pubblicato dal nostro giornale]. L. Guaiino: L’origine moti-ferrina di C. Colombo in « Alexandria », Rivista mensile della Provincia, a. V, 3 marzo 1937. [Anche di questo saggio darò più ampie notizie nella « Rassegna bibliografica» del prossimo fascicolo]. A. Canesi : I Fiaschi, S. Caterina e la sua casa in « Il Secolo XIX », 12 marzo 1937. A. Scagliarini : Commercio e jhjIì-tica a Genova nel AI. E. in « Il Lavoro», 14 marzo 1937. [Ê una lucida e brillante recensione dell’opera di R. Lopez: Studi sull’Economia Genovese nel M. E., S. Lattes, Torino, 1936]. Januensis : Gli Arcivescovi milanesi a Genova al tempo dell'invasione longobardica in «Il Nuovo Cittadino», 18 marzo 1937. Albatros: Caterina Fieschi e i suol tempi in «Nuovo Cittadino t>, 30 marzo 1937. G. Micosi: Lo scoglio di CornigUano in «Il Corriere Mercantile », 7 aprile 1937. [Rievoca una curiosa leggenda già trattata in versi dal Bertolotti]. P. M. Raffo: La figura di Papa Innocenzo IV in «Il Nuovo Cittadino», 24 aprile 1937. [Si tratta del famoso Sinibaldo Fieschi]. F. Nobera-sco : Grandi navigatori liguri in «Cronache Savonesi», 30 aprile 1937. * * · : La battaglia della Meloria e il Conte Ugolino in nuovi studi pisani in « Il Corriere Mercantile », 18-20-22 maggio 1937. G. Marchi : Galeotti lucchesi al selvizio dei Doria in « Giornale di Genova », 27 maggio 1937. MODERNA A. Rossi : Capitani genovesi : Gian Francesco Serra esempio mirabile di guerriere virtù in «Il Corriere Mercantile», 13 marzo 1937. P. Berri : Il «Segreto» di Paganini in «Il Nuovo Cittadino», 16 marzo 1937. |Nulla di nuovo. Questo preteso segreto tale sempre rimarrà per chi vorrà credere che la mirabile tecnica dell’artista fosse legata ad una ricetta]. G. M. : Gli ultimi SPIGOLATURE E NOTIZIE 157 anni della repubblica aristocratica: Navi Genovesi alle prese coi pirati iu «Il Corriere Mercantile», 22 marzo 1937. G. Balestrieri: Matteo Vinzoni cartografo ligure, in « il Lavoro », 26 marzo 1037. R. : L*episodio che concluse la gesta gloriosa iniziata in Portoria- da Balilla in « Il Giornale di Genova », 7 aprile 1037, G. M. : Memorie di 11,0 fa : Il traffico marittimo del Porto di Genova negli ultimi mesi della Repubblica aristocratica in « II Corriere Mercantile », 15 maggio 1037. NAPOLEONICA N.N. : Un amore di Paganini in « Il Corriere Mercantile » 13 marzo 1937. (Con la sorella di Napoleone]. R. Di-Tucei : I Buonaparte di Liguria in « Archivio storico di Corsica », Livorno, gennaio-marzo 1937. [Breve ma interessante saggio. L’A. si occupa del ramo dei Buonaparte fissato in Chiavari forse proveniente da Sarzana. Curioso il fatto che qualcuno di questi già si firmava Bonaparte come poi farà il grande Còrso]. A. Chinari : La aNiobe Còrsa » in «Il Corriere Mercantile», 24 marzo 1937. [Letizia Buonaparte]. RISORGI MENTO Carlo Alberto in attesa del trono in « Sentinella d’Italia », Cuneo, 12 marzo 1937. [Recensione dell’opera con eguale titolo di A. Codignola. La stessa monografìa è stata anche recensita e segnalata dal « Popolo biellese » del 5 aprile; da le «Conquiste d’impero» di Roma del 29 maggio e da 1’«Alleanza nazionale del libro» di Milano del maggio 1937]. E. Morelli: Garibaldi e Nino Bixio per V indi pendenza della Polonia e delV Ungheria in «Camicia Rossa », aprile 1937. A. Codignola : V maggio. Un ignorato fedele di Garibaldi: Ludovico Chiappata. [Illustra la figura di questo umile e silenzioso gregario della causa nazionale nel 1849 e nel 1SG0] in «Genova», Rlv. Municipale, maggio 1037. N. N. : Cose notevoli nel 1853 in « Cronache Savonesi », 15 maggio 1937. E. B. di Santa fiora : Due eroici marinai liguri in «Il Corriere Mercantile», 19 maggio 1037. [Si tratta di Francesco Gustavino da Loano e Nicolò Dodero da Boccadasse illustratisi nel 1859]. CONTE M POR A NE A V. Vitale: 11 dramma c la gloria di Giovanni Bettolo in «Il Giornale di Genova ». 16 aprile 1937. 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Steno: La patrizia genovese morta d’amare in «Il Secolo XIX», 24 aprile 1937. ITommasina Spinola e il suo amore per Luigi XII]. L. De Simoni: Camogli la piccola Olanda del Mediterraneo in «Il Nuovo Cittadino», 2 maggio 1937. F. Noberasco : Particolarità della civica biblioteca in « Cronache savonesi », 15 maggio 1937. [Esamina i libri rari e gli incunaboli posseduti a dovizia dalla biblioteca civica savonesel. G. Morgavi : Una colonia genovese in Sardegna: Carloforte in « Le vie d’Italia», rivista mensile del T. C. I., giugno 1937, n. 6. [Interessantissima e piacevole monografia sui genovesi di Tabarca e sulle loro vicissitudini]. CORSICA F. Guerri : La continuità del pensiero di Santu Casanova in « Corsica antica e moderna» Riv. bim. 3 quadr. 1936. D. Seano : Recensisce l’opera di V. Vitale: Documenti sul castello di Bonifacio nel secolo XIII in «Archivio storico Sardo», fase. 3-4, Cagliari 1936. P. Aimes: L’Evêché de Sagona in « Revue de Corse ancienne e moderne », gennaio-febbraio 1937. [Nello stesso fascicolo interessa: R. Ambrosi: Notes archéologiques. Dom Gaï: Napoléon et Canove\. V. Vitale in «Archivio storico di Corsica», Livorno, gennaio-marzo 1937. [Recensisce il saggio dì M. Moresco sul Trapasso deUa Corsica / SPIGOLATURE E NOTIZIE 159 già. citato in queste uote medesime del fascicolo precedente]. M. F. Peraldi : Sull’origine degli abitanti di Corsica in « A Muvra », Ajaccio, 2 maggio 1937. I Vescovi e le Chiese di Corsica in « Civiltà Cattolica », Roma 15 maggio 1937. IRecensisce le opere: G. Rinieri : 1 Vescovi di Corsica. Ed. Giusti, Livorno, 1934: F. O. Tencaioli : Chiese di Corsica. Ed. Desclée, Roma, 1936]. CRITICA LETTERARIA « Rivista Storica Italiana », Torino, 31 marzo 1937. [Brevi recensioni su : F. Sassi : Ricerche sull’organizzazione castrense nella Lunigiana vescovile. M. Battistlni : Le relazioni di Ausonio Franchi col belga Luigi de Potter. N. Savelli : La politica estera di Genova nei riguardi del Piemonte. R. Gardelli : Saggio di. una bibliografìa generale della Corsica, monografie pubblicate tutte dal nostro Giornale nell'annata 1930]. M. L. Pegna : Genova ed i poeti delle origini della letteratura italiana in « Il Corriere Mercantile », 2 aprile 1937. M. Parodi : Ceccardo rivendicato in « Il Secolo XIX », 17 aprile 1937. Genuensis : S. Caterina Ficschi Adorno nella letteratura in « Il Nuovo Cittadino», 17 aprile 1937. M. Pedemonte: Sei sonate di Antonio Lolli copiate da un violinista genovese sconosciuto in « Rassegna dorica », Roma 20 aprile 1937. A. R. : Carlo Innocenzo Frugoni in «Il Corriere Mercantile», 23 aprile 1937. V. E. Bravetta : Genova in « Il Secolo XIX », 27 aprile 1937. [Ispirata lirica del noto poeta]. N. N. : Libri di autori liguri giudicati in Argentina in « Il Cittadino», 21 maggio 1937. [Bravetta, Ridella, De Simoni]. M. Bettinotti: Ceccardo Rocca tagliata Ceccardi in « Il Lavoro », 5 marzo 1937. CRITICA D’ARTE ARCHEOLOGIA P. Vaccari : Le sculture longobarde di Ventimiglia e i loro raffronti con Pavia in « Bollettino della Società Pavese di Storia Patria ». vol. I, fase. 3-4, pag. 89, 1930. P. Poggi: La lapide di Redeponti in «Cronache savonesi», 30 aprile. [Riporta il testo esatto della lapide in questione, asserendo che essa è in custodia del Museo Civico dal Poggi diretto]. G. Monaco: Memorie genovesi nell’Egeo in « Genova », Rivista municipale, maggio 1937. PITTURA E SCULTURA Ang. : Mostre cittadine: Il pittore Oscar Saccarotti in «Il Lavoro», 0 marzo 1937. Riva: Le mostre d Arte: Oscar Saccarotti in «Il Giornale di Genova». 10 marzo 1937. Riva: La mostra della Lega Navale: il mare ispiratore d’artisti in «Il Giornale di Genova», 11 marzo 1937. Dott. Clelia .Tona: L’antico palazzo del Comune in « Il Lavoro». 4 marzo 1937. O. Grosso: I n ritratto di Andrea Semino in «Il Corriere Mercantile», 10 marzo 1937. Riva: Le mostre d’arte : Beppe Ciardi (Postuma) in « Il Giornale di Genova ». 20 marzo 1937. M. Labò: Pittori liguri e piemontesi dell’800 in « Il Lavoro », 27 marzo 1937. Riva : Le mostre genovesi : Venti firme dell’arte contemporanea in « Il Giornale di Genova», 20 aprile 1937. Riva: Le mastre d’arte: Italo G riselli, lìac-cio M. Bocci. Ennio Pozzi in « 11 Giornale di Genova», 28 aprile 1937. M. Rizzoli : La VITI mostìO interprovinciale di Belle Arti in « Il Corriere Mercantile», 8 maggio 1937. f. r. : Mostre cittadine: Ezo Peluzzi alla « Galleria Genova » in «Il Corriere Mercantile», Il maggio 1937. A. Podestà: Artisti che espongono: Ezo Peluzzi in «Il Secolo XIX», 12 maggio 1937. A. Podestà: La 160 SPIGOLATURE E NOTIZIE pittura ligure alla Vili mostra regionale in «Il Secolo XIX», 15 maggio 1037. Riva:* Le mostre d’arte: opere di artisti moderni in «Il Giornale di Genova», 1S maggio 1937. A. Podestà : Vili Mostra regionale d’arte : La scultura ligure in « Il Secolo XIX», 19 maggio 1937. U. V. Cavazza : Un quadro che deve restare a Genova : « La partenza dei Mille da Quarto » di Gerolamo Induno in «Il Lavoro», 21 maggio 1937. A. Cappellini : £. Caterina Fieschi nell’arte genovese in «Il Cittadino», 23 maggio 1937. [Analizza l’opera del Piola, del Delle Piane ed altri che si sono ispirati alla mistica patrizia genovese]. A. An-giolini : Pittori e scultori alla Mostra sindacale di Palazzo Rosso in « Il Lavoro », 25 maggio 1937. ARCHITETTURA E RESTAURI U. V. Cavassa : Una proposta concreta per il monumento a N. Bixio in « Il Lavoro » 3 marzo 1937. N. N. : Genova per il monumento a Mameli in « Grido d'Italia », Genova 23 maggio 1937. TOPOGRAFIA TOPONOMASTICA ARALDICA INDUSTRIA COSTUMI Arco : Nuovi toponimi genovesi : Achille Stennio, medaglia d’oro in « Il Corriere Mercantile », 2 marzo 1937. Arco : Nuovi toponimi genovesi : Giacomo Balbi Pioverà, scienziato, politico in « Il Corriere Mercantile », 4 marzo 1037. Cesmar : Nuovi toponimi genovesi : Egidio Mazzucco martire fascista in « Il Corriere Mercantile », 4 marzo 1937. G. B. : Ricordi portuali : Le officine laboratori al Molo Vecchio in « Il Corriere Mercantile », 11 marzo 1937. F. Anseimo : La marina italiana, il porto di Genova ed il Sud America in « Il Giornale di Genova », 25 marzo 1937. Carcos : Tuffi nelle tradizioni : Quest’oggi non è « Pasquëta » in « Il Corriere Mercantile », 27 marzo 1937. N. N. : Genova di ieri : Ricordi di Ponticello in « Il Corriere Mercantile », 27 marzo 1937. N. N. : Gli studi per il piano di Piccapietra in « Il Lavoro », 27 marzo 1937. Arco : Nuovi toponimi genovesi : Giovanni Battista Millelire contrammiraglio (1808-1891) in «Il Corriere Mercantile», 30 marzo 1937. N. N. : Turismo ligure : la valle d’Aveto in « Il Lavoro », 7 aprile. 1937. Carcos : Cose di casa nostra : I giornali umoristici di Genova in « Il Corriere Mercantile », 16 aprile 1937. Marbet : Rievocazioni in sordina : Elogio di Murcento in « Il Lavoro », 25 aprile 1937. Past. : Nuovi toponimi genovesi: .Francesco Gandolfi in «Il Corriere Mercantile », 26 aprile 1937. Enzo Marini : Ritagli di Riviera in « Il Giornale di Genova », 27 aprile 1937. D. U. Razeto : La torvnara di Camogli in « Il Giornale di Genova », 2 maggio 1937. Marbet : Rievocazioni in sordina : Levantistì e ponentisti in « Il Lavoro », 11 maggio 1937. N. N. : Come il Duca di Galliera diede i 20 milioni per il porto di Genova in « Il Lavoro », 13 maggio 1937. G. Balestreri : Biografia genovese del caffè in « Il Lavoro », 20 maggio 1937. Nuovi toponimi genovesi in « Genova », Riv. municipale, maggio 1937. [Arco, ossia A. Codignola illustra da par suo la figura di Onofrio Scassi, medico, scienziato, politico. Past. ossia T. Pastorino l’opera di Sofonisba An-guisscla pittrice]. Renzo Baocino Direttore responsabile : ARTURO CODIGNOLA Stabilimento Tipografico L. CAPPELLI - Rocca S Casciaoo, 1937-XV. •ìk ‘ Π VS®8 t f ·ί· · ^ fi LO ZUCCHERO NEL LAVORO E NEGLI SPORTS Dato l’attuale ritmo della vita, lo zucchero dovrebbe essere l’alimento di elezione in ogni campo della vita pratica e intellettuale, dove si lavora e dove si pensi», nelle fabbriche e nelle scuole, nelle caserme e nello sport, là dove necessita attuazione pronta di energia e di velocità. Quando si lavora, il lavoro risulta fisiologicamente più economico se viene eseguito dopo un pasto ricco di zucchero, che dopo un pasto in cui abbondano grassi e carne, E ciò, non solo perchè lo zucchero sealda xieno i congegni del nostro organismo, ma perchè è l’alimento proprio e più indicato nel lavoro dei muscoli. Lo zucchero è il vero carbone del motore animale, e carbone d? prima (jualità, anche perchè non dà scorie, nè origina, nel suo ricambio, alcuna sostanza tossica. Si comprende, quindi, come, ingerendo zucchero dorante il lavoro, si possa dare un maggior rendimento e come esso possa giovare nel ristoro dopo la fatica. Sono classiche le ricerche eseguite dal Mosso e dalla aua scuola, e dal Harley, sul potere ristoratore dello zucchero nelle ascensioni alpine ed, in genere, negli sports violenti. Scrive Angelo Mosso nella “ Fisiologia delTUomc nelle Alpi „ : “ Lo zucchero ha il potere di aumentare la forza dei muscoli. Dal muscolo afiaticato può ottenersi ima più grande energia bevendo semplicemente una soluzione di zucchero nelFacqua. A che cosa è dovnta l’improvvisa caduta di forze, la défaillance che, a volte, coglie l’atleta nel fervore della gara o l’alpinista che ascende la montagna? Indagini moderne hanno dimostrato che dipende da una discesa di zucchero nel sangue, da una ipogïicernia. Basta allora mangiare un po’ di gucchws, be-re uno sciroppo, per sentire rinascere le forze e l’energia di proseguire. „ Lo zucchero, alimento fisiologico, deve essere consumato sopratutto dai lavoratori e dagli sportivi. Dalla pubblicazione del compianto Prof. Gaetano Vialì% Direttore del-J’Iritituto di Fisioiogia della R. Università di Genova : Lo zvcchcro neiralimentazione,, nella terapia, negli sports, nel lavoro. (Genova, 1933, Barab»no e Graeve). GIORNALE STORICO E LETTERARIO DELLA LIGURIA La puLtlIca^ione esce sotto gli auspici del Municipio e della R. Università di Genova, della R. Deputazione di iStoria Patria per la Liguria e del Municipio della £pezia ABBONAMENTO ANNUO : per l’Italia Lire 30 - per l’Ëstero Lire 60 Un fascicolo separato Lire 7,50 - Doppio Lire 15 DIREZIONE E AMMINISTRAZIONE : Genova. Via Lomtìlini, il {Casa Mazzini) “TERNI,, SOCIETÀ PER L'INDUSTRIA E L'ELETTRICITÀ Ànonirro con Sede in ROMA - Via Due Macelli, 66 (Palazzo Proprio) Direzione Tecnica Commerciale ed Àmminist. (n GENOVA - Vis S· Giacomo di Cartonano, 13 (Palazzo Proprio) CAPITALE L. 430.00c.000 Stabilimenti in T'RNI, PAPiGNQ COLIESTATTE, CERVARA, NARNI, GÀLLET0. PRECf, MERA, MONTORO, SPOLETO 6 Centrali Elettriche eoa 250.OCO lcw installati Indirizzo Telegrafico: ELETTROTERNI, per Roma, Genova· Temi e Spoleto Telefoni. per ROMA: 61660 - 65765 - per GENOVA: 34291 - 54295 - 52021 - 52035 PRODOTTIì Lingrtt: in acciaic comune e inossidabile (Steinless) - Bidoni - Getti in acciaio comune, al nichel, al cromo·nichel» al manganese e inossidabile - Getti in ghisa e bronzo - Corazze - Lamiere forti ordinarie, di caldaie, saldubili per condotte d’acqua, al mangauese per cassetorti, in acciaio diamagnetico o in acciaio tenace al nr.he] Lamiere lìere sottili ordinarie e speculi per areoplani, magnetici e per motori e trasformatori ecc. ecc. dello spessore di due decimi di millimetro m su - Latta - Trav ed altri profilati in omogeneo - Tondini per cementi armati - Tubi di ghisa per condutture e relativi apparecchi idraulici - Tubi pluviali - Acciii speciali e da utensili al carbonio e rapidi - Pezzi di qualunque forma e grandezza in acciaio fucinato Forgiiis per cannoni - Proiettili ■ Materiale ferroviario e navals - Linee d’assi per navi - Cerchioni - Assi montati - Costruzioni metalliche - Caviglie - Chiodi Bulloni · Aratri tipo Miliani - Ligniti - Cementi - Materiali refrattari - Carburo di Calcio - Calciocianamide - Ammoi/iaca Sintetica - Alcool Metilico sintetico Acido Solforico - Axido Nitrico - Solfato c’arrmonio - Ossigeno ed altri pro<> dotti dell'elettrochimica - Produzione e commercio di energia elettrica. Spedizione in abbonamento postale ANNO XIII - 1937 - XV Fascicolo III - Luglio-Settembre R. DEPUTAZIONE DI STORIA PATRIA PER LA LIGURIA GIORNALE STORICO E LETTERARIO DELLA LIGURIA PUBBLICAZIONE TRIMESTRALE Direttore: ARTURO CODIGNOLA Direzione e Amministrazione GENOVA, Via Lomellini, 11 (Casa Mazzini) Ferruccio Sassi, Riviera di Levante e Lunigiana nella 'politica navale genovese dopo lo sfacelo della Marca, pag. 161 — Romolo Quazza, Tommaso di Savoia-Carignano nella, guerra contro' Ge-nova (continuazione e fine), pag. 175. — Umberto Valente, Lettere di Reali alVAmmiraglio Conte Giorgio Des Geneys, pag. 182 — Camillo Pariset, Amici e avversari anconitani di Nino Bixio, pag. 191 — Antonio Giusti, Appunti sul dialetto ligure, pag. 197 — Comunicazioni della R. Deputazione di storia patria per la Liguria, pag. 205 — Renato Giardelli, Saggio di una biblio.-grafia generale della Corsica, pag. 206 — RASSEGNA BIBLIOGRAFICA: Gaston - E. Broche, La République de Gênes et la France pendant la guerre de la succession d'Autriche (Vito Vitale); G. Mazzini, Fagine vive (Leona Ravenna) ; Roberto Lopez, Studi sulVeconomia genovese nel medio evo (Onorato ; Pastine) A. M. Ghi-salberti, Lettere di Felice Orsini (Leona Eavenna) ; E. Lazzeroni, Il viaggio di Federico III in Italia (Ferruccio Sassi) ; A. Monti, Gli Italiani e il canale di Suez (Adolfo Bassi), pagg. 212-237 — Renzo Baccino, Spigolature e notizie, pag. 238, CASSA DI RISPARMIO E MONTE DI PIETÀ’ DI GENOYA RICEVITORE PROVINCIALE PER LA PROVINCIA DI GENOVA FILIALI GENOVA - CENTRO ALASSIO PIETRA LIGURE (Agenzia A) ALBENGA PIEVE DI TECO (Agenzia B) ARENZANO RAPALLO GENOVA - SAMPIERDARENA B0R01GHERA RECCO GENOVA - SESTRI BUSALLA REZZOAGLIO GENOVA - PEGLI CAMPOLIGURE S. REMO GENOVA - VOLTRI CHiAVARI S. MARGHERITA LIGURE GENOVA - RIVAROLO FINALE LIGURE SESTRI LEVANTE GENOVA - B0LZANET0 IMPERIA II TAGGIA GENOVA - P0NTEDECIM0 LOANO TORRIGLIA GENOVA - NERVI MONTOGGIO VARAZZE GENOVA - VALBISAGNO NOVI LIGURE VARESE LIGURE CREDITO ITflLIflMO LOCAZIONE CASSETTE DI SICUREZZA DEPOSITI DI TITOLI A CUSTODIA alle condizioni più modiche SERVIZI SPECIALI PER TITOLI DI STATO E OBBLIGAZIONI DIVERSE Appositi uffici e sportelli per fornire a chiunque tutte le possibili informazioni e notizie. Pubblicazioni di due interessanti periodici che vengono spediti gratuitamente a richiesta. TUTTE LE OPERAZIONI DI BANCA Anno XIII - 1937-XV Fascicolo III - Luglio-Settembre GIORNALE STORICO E LETTERARIO DELLA LIGURIA Direttore: ARTURO CODIGNOLA Comitato di redazione : CARLO BORNATE - PIETRO NURRA - VITO A. VITALE RIVIERA DI LEVANTE E LUNIGIANA NELLA POLITICA NAVALE GENOVESE DOPO LO SFACELO DELLA MARCA Sommario : i. La Liguria nella storia marinara del basso Impero e dell'alto Medioevo. —; II. Lo sfasciamento della « Marca Januensis » e le sue conseguenze. — III. L’organizzazione politico-sociale in Riviera nel secolo XII. — IV. La politica navale genovese sino alle campagne di Spagna del 114G-’48. — V. L’affermazione imperialistica di Caffaro. Il consolidamento della conquista. I. Nel quadro, assai multiforme e complesso, che la fine del se-coto XI ed il secolo susseguente offrono all’ammirato esame dello storico, due complessi di fatti ci sembrano emergere sugli altri, come quelli che in modo prevalente annodano attorno a sè le fila della complicata trama. Di origini strettamente continentali l’uno, anche se in un secondo momento attrae nel proprio raggio d’influenza le città marittime e queste anzi finiscono coll’assumere parte decisiva — sebbene nel suo assieme, e per la natura spesso latente delle manifestazioni del potere marittimo, poco avvertita dalla generalità degli studiosi — nel decorso di molti avvenimenti che vi si inquadrano : la lotta contro l’impero nei suoi vari e successivi aspetti di lottareligiosa, e di lotta politica ed economica, della quale appaiono esponenti — sino a conferirle il carattere di epopea — il Papato, la gran Contessa, i Comuni. Di natura esclusivamente marinara l'altro complesso, che giunge ad assumere figura a sè stante di vero e proprio fenomeno storico, ed è l’acquisto effettivo del dominio del Avvertenza. —' Scopo della presente memoria è Γinterpretazione di fatti, già ben conosciuti, visti sotto il particolare aspetto della politica navale. Questa non può non essere evidentemente identica su entrambe le Riviere; ma in quella di Levante può manifestare più apertamente scopi e caratteri,’ per la situazione geografica che rende la Riviera stessa più prossima a quello che era allora il maggior .avversario, in potenza, del Comune genovese. 162 FERRUCCIO SASSI Mediterraneo per opera delle marine « italiane ». Fenomeno notevolissimo per Firrompente audacia delle origini, per Γorganicità degli sviluppi, per la lunga durata- e per la continuità degli effetti. Non è compito di questo breve studio scendere ad un nuovo ed analitico esame degli elementi generali produttivi e costitutivi del fenomeno stesso, del resto sufficientemente illuminati da una lunga e notissima serie di ottimi lavori dovuti ai migliori ingegni italiani e stranieri. Nostro proposito è soltanto quello di rievocare ed illustrare valori storici, assoluti e relativi> indissolubilmente legati ad una terra — la Lunigiana e l’estrema Riviera di Levante — nei suoi rapporti col problema marittimo nel periodo storico sopra accennato : o meglio, determinare per via talora diretta, ma più spesso indiretta, la portata di questi valori colà esistenti « in potenza », e suscettibili quindi di essere prontamente portati ad operare dal campo statico a quello dinamico allorché circostanze generali favorevoli, o l'impulso di forti personalità, vi esercitassero la propria influenza. La storia della nostra regione, vista dall'aspetto marittimo, aveva già offerto a quel tempo parecchi ed istruttivi esempi del come fosse facile, per effetto di fattori estranei, passare dall'imo all’altro di questi due campi, così che ad uno stato di floridezza e di vibrante attività succedesse uno stato di raccoglimento, talora fors’anche troppo quiescente sino a divenir completamente passivo ; e viceversa, naturalmente. Merito appunto dei valori potenziali sopra accennati. Certamente sarebbe assurdo pensare che la minuta vita intimamente legata al mare possa ad un determinato momento, ed anche sotto l'imperversare delle più avverse circostanze, spegnersi del tutto e scomparire senza lasciar tracce di sorta, non dico nella grande storia, ma nelle tradizioni, nelle inclinazioni della razza, nello sciabordio delle attività quotidiane trasparenti non foss’altro attraverso i protocolli notarili. Tanto meno ciò poteva accadere in zone dove — come nella costa· delle Cinque Terre — il mare appariva allora, come sin quasi ai giorni nostri, la via più agevole di comunicazione. È un fatto però che, da quando le grandi basi navali romane erano state spostate per evidenti necessità strategiche alla periferia dell’impero, molto saltuarie erano state le manifestazioni in grande stile di potenza e di attività marinare nel Mar Ligure e nel Tirreno in generale. Dalla spedizione di Stilicone contro il ribelle Governatore dell’Africa, Gidone, che metteva alla vela dal porto di Pisa nell’anno 398 dell’Era Volgare, bisogna scendere sino al 551 prima di trovar memoria d’una spedizione effettuata in forze e con grandi navi (contro la Corsica e la Sardegna) da marinai prevalentemente liguri e toscani. Del resto l'esistenza stessa dei numerosi ma piccoli navigli tirrenici, che al tempo di Totila erano comandati a stabilire crocere permanenti tra la Sicilia e il conti- KIV1ERA DI LEVANTE E LUNIGIANA ECC. 163 nente per tagliare le comunicazioni fra le truppe greche combattenti nell’isola e quelle impegnate in terraferma, mentre attestano con i molti e vittoriosi scontri sostenuti contro le squadre bizantine il valore e la perizia dei nostri marinai, non depongono troppo favorevolmente sulla natura della navigazione comunemente praticata (evidentemente in prevalenza costiera) e sullo sviluppo delle attività marinare in genere. V’è per lo meno un regresso nell’arte delle costruzioni, del resto confermata dal fitto velo di tenebre che successivamente si stende su tutta la storia marinara della costa da Genova a Pisa al tempo della dominazione longobarda. Soltanto la poderosa mente e la ferrea energia di un Carlo Magno potevano scuotere questa pesante coltre, per quanto — a chi ben osservi — l’azione sua in questo campo appaia del tutto secondaria, mancandole nel fatto quella continuità e regolarità di sviluppi, che bastano da sole a dimostrare eloquentemente esatta percezione dell’importanza e dell’essenza del potere marittimo. Due soltanto sono le imprese ricordate dal cronista e biografo Einar-do : la vittoria riportata contro gli Arabi nell’806 dalla « classis de Italia », dopo però un buon quinquennio di preparativi, pagata, e meglio forse sarebbe dire funestata, dalla morte del Conte di Genova Ademaro, dato che il cronista ritiene di doverla espressamente menzionare ; e la presunta vittoria di Comacchio, che sarebbe stata riportata nell’806, forse contro i veneto-greci, dalla flotta francoitaliana, nella quale non potevano non figurare anche contingenti prelevati dal comitato genovese e dalla marca toscana. Ma, nell’intervallo tra le due battaglie, il medesimo cronista ricorda altresì le difese costiere permanenti volute da Carlo Magno allo scopo di meglio proteggere le coste italiane : in questo campo il genio militare dell'ideatore aveva miglior mezzo per rifulgere, trattandosi di applicare concetti che toccavano da presso, ed in parte si immedesimavano, con la condotta della guerra in terraferma. Xon è quindi troppo azzardato il ritenere che « stationes » ed « excubiae » ben organizzate non dovessero difettare in quelle località ed in quelle zone che presentavano geograficamente una maggior facilità di penetrazione nell'interno da parte d'un nemico proveniente dal mare; tali ad esempio l’arco di costa tra Portofino e Sestri, e le foci della Magra. L'importanza assegnata al sistema costiero fisso, di natura strettamente difensiva, per fronteggiare l’azione araba o bizantina — che evidentemente si presupponeva come avente allora ed in un prossimo futuro caratteri prevalentemente offensivi _ importava di per sè un’implicita rinunzia a difendere le coste « sul mare », e costituisce per noi un elemento definitivo per ritenere che si ammettesse, si subisse un predominio marittimo altrui, esercitato da terzi quasi ininterrottamente, suscettibile di essere tutt’al più 16-4 FERRUCCIO SASSI contrastato molto saltuariamente con l'aiuto di qualche favorevole circostanza ed a prezzo di lunga e minuziosa preparazione. La decadenza comincia subito dopo la scomparsa della grande figura del dominatore. Appena pochi anni dopo, nell’828*. il Conte di Lucca, Bonifazio, non riesce a raccogliere se non una piccola flotta per lanciarsi alla polizia dei mari di Sardegna e di Corsica, sboccata poi invece in azioni concrete nei combattimenti impegnati sulle coste africane tra Utica e Cartagine. Il sistema instaurato da Carlo Magno si afferma sino ad assumere nel corso del secolo IX un carattere di assoluta prevalenza, e con esso il moto di decadenza si accelera, nonostante i ripetuti tentativi di estendere la competenza territoriale delle difese limitanee conferendo ad un entroterra sempre più esteso in profondità le caratteristiche ed i compiti specifici della difesa marittima. Istruttive sono al riguardo le ripetute modificazioni territoriali apportate al Ducato di Toscana e la creazione — se risponde al vero la non pacificamente accettata ipotesi del Gabotto — dei « Litora Maris ». Occorreva l'amara esperienza cagionata dallo sbarco di Frassineto dell’889, dall’occupazione o dall'infiltrazione saracenica nelle Alpi Marittime e negli Appennini, e — a coronamento — dal sacco di Genova del 930, perchè finalmente si risvegliasse il senso marinaro, perchè si comprendesse il dovere di abbandonare un sistema troppo pesante e troppo poco efficace di difesa passiva, perchè si avvertisse la necessità di contrastare il nemico sul mare, e di acquistarne il dominio se si volevano efficacemente custodite le coste (1). È inutile ricordare che di questo promettente risveglio le antiche cronache attribuiscono il merito ad un amorfo, giuridicamente indistinto complesso di « cives », cui sarebbero da attribuirsi anche molte e svariate imprese, naturalmente gloriose e vittoriose tutte, e come tali atte a costituire ottimo precedente per corroborare le pretese dei secoli successivi : d,i questo complesso di notizie fantastiche è stata fatta piena giustizia. Ma, là dove altri si è limitato a distruggere, il Formentini ha invece — nel suo lavoro sulla ((Marca Januensis » — osato una ricostruzione: lavoro sotto più aspetti pregevolissimo, e meritevole di essere inserito nel novero dei lavori d’importanza generale, sebbene qua e là il chiaro Autore dia 1 impressione di conferire ancora un certo, se pur debole e velato, credito a qualche racconto di cronisti già dimostrato infondato dal Manfroni (2). La reazione del Formentini alle affermazioni democratiche o demagogiche comunali (per dirla con espressioni anacronistiche), ba- (1) Manfroni, Storia Uella Mattina Italiana dalle invasioni barbariche al trattato di Ninfeo. Livorno, Giusti, 1899-passim. (2) Marca Januensis, in « Giorn. St. Lett. della Liguria », N. S., 1925. RIVIERA DI LEVANTE E LUNIGIANÀ ECC. 165 sata su induzioni del tutto nuove, concatenate fra di loro da un forte nesso logico e sorrette da una valida dottrina, permette di assegnare il merito della rinascita marinara ligure-toscana alla forte politica ottomana ed ai successivi sviluppi dell’indirizzo da essa seguito. Essa sarebbe cioè il frutto, consequenzialmente diretto anche se posticipato nel tempo, d’un’effìcace azione d’iniziativa statale, a tinte accentratrici ed unificatrici sia agli effetti dell’orga-nizzazione interna dell’impero, sia nei rapporti con altre potenze, molto opportunamente però contemperate con criteri di valutazione e di considerazione degli interessi e delle tendenze locali, le quali dovevano così aver avuto agio di svilupparsi nei modi e nei campi più consoni alla natura dei luoghi e all’indole degli abitanti. Non sembra infatti che, pur nei ripetuti e vani tentativi da essi compiuti per raggiungere l'inafferrabile unità -— almeno continentale — d’Italia, tanto gli Ottoni quanto Enrico II intendessero praticare personalmente e pel proprio impero una politica marinara qualsiasi : la natura stessa delle relazioni politiche intrattenute da Ottone II con la Repubblica di Venezia mostra unicamente nell’imperatore l’intuizione dell’importanza del dominio marittimo. La pre- . parazione della flotta tirrenica doveva quindi essere stata opera esclusiva di poteri statali periferici (quale appunto la marca), aperti a comprendere, forse talora disposti a subire, certamente preparati e pronti a valorizzare energie e vocazioni che fossero schietta espressione locale. Ma sul mare nulla si improvvisa ; nè uomini, nè navi, nè basi. Vediamo invece che la vittoria del 1016 segue alla brevissima distanza di appena un anno, come rapida risposta, all’impresa compiuta dallo stesso Re Mugetto con la virtuale conquista della Sardegna. Ciò significa che da tempo ormai esisteva nell’organismo della marca· un ben valido substrato, da tempo ed accuratamente formato sia materialmente che moralmente, ed ormai pronto ad entrare in azione. Riconosciamo in tutto ciò l’effetto certo e indiscutibile (come l’assimilazione d’un insegnamento, tratto ed applicato dalle classi dirigenti della marca e dagli uomini del Tirreno) delle molte campagne esclusivamente, veramente navali, iniziate sin dal secolo IX, proseguite dalla serie dei Dogi di Casa Candiano·, culminate con la vittoriosa spedizione di Pietro Orseolo II negli anni 999-1000, soltanto mediante le quali Venezia si era liberata dal pericolo delle invasioni slave ed aveva poste le basi della propria politica adria-tica ossia il fondamento della propria politica mediterranea. E riteniamo anche di poter nel modo suesposto completare ed integrare opportunamente le originali osservazioni del Fornientini, al cui lavoro rinviamo per le osservazioni riflettenti le fasi di declino e di decadenza della Marca, ed il subingresso dei Comuni o Repubbliche marittime di Genova e di Pisa. 166 FERRUCCIO SASSI II. Dallo sfasciamento dell’unità della Marca, discendono le logiche ed inevitabili conseguenze che solitamente derivano ogni qualvolta venga a cessare un armonico ordinamento superiore, coordinatore ed animatore di energie e di interessi locali. Il substrato comune a questi ultimi, che ne costituiva il canovaccio primitivo e giustificava l’esistenza stessa dell’Ente superiore, viene bruscamente a cessare ; prevalgono gli interessi locali, che d’allora in poi gravitano e si cristallizzano attorno ad un certo numero di nuclei principali, e questi ultimi vanno sempre più e sempre meglio delineando i contorni d’un movimento a carattere e sfondo autonomistico. Per 1111 determinato tempo permane ancora una traccia, un ricordo di interessi e di necessità comuni, ma già sin dall’inizio esso è saltuario e difetta di continuità, di progressione e di sviluppi logici. Così abbiamo ancora comuni imprese pisano-genovesi contro il Sultano Zi rita Temim (Mehedia: 1Q87), e contro Valenza, Tortosa ed il Cid Campeador (1092) ; però sin dal 1035 i Pisani si erano lanciati su Bona contro il Principe Zirita Moezz Ibn-Badis, e nel 1093 i Genovesi avevano cercato contro Tortosa non già l’aiuto dei vecchi compagni d’arme pisani, bensì l’alleanza di Sancio di JSfavarrà e del Conte di Barcellona. Imprese tutte, queste ultime, non certo produttive di vantaggi duraturi e tanto meno capaci di conseguenze politiche ; in un primo tempo, un regresso è nel campo politico inevitabile. Queste considerazioni hanno pesato forse in modo eccessivo sul giudizio espres so dal Manfroni : « Ma a ben altre imprese dovevano volgersi le armate delle nostre città ; ben più largo era il campo che si apriva loro dinanzi. Alle sterili e dispendiose guerre contro i nemici della Fede in occidente dovevano seguire ben presto altre guerre più proficue in Oriente, perchè, mentre soddisfacevano all’entusiasmo religioso, porgevano alle città nostre l’occasione di estendere i loro traffici, di aprire nuovi sbocchi al loro commercio, di fondare colonie che dovevano più tardi avere una straordinaria prosperità » (*). Ci sembra veramente che sul giudizio del grande Maestro nostro abbiano eccessivamente influito considerazioni di natura più strettamente e particolarmente economico-commerciale. In realtà, è proprio mediante le citate imprese di fine secolo, che si gettano le vere e durevoli basi della politica mediterranea delle due città marinare. Il successo orientale è, in fondo, un successo di alleanze 0 almeno di compromessi, e per questo stesso fatto, contingente, anche se il sentimento religioso costituiva in potenza un cemento di rendimento (!) Op. cit.f pag. 103-4. RIVIERA DI LEVANTE E LUNIGIANA ECC. 167 elevata. Il voler consolidare le posizioni conquistate in Oriente, e procurarsi in Occidente nuovi sbocchi atti ad assorbire le vive correnti di traffico affermatesi nel frattempo, implicava anzitutto giungere a svincolare la propria politica dalle fluttuazioni collegate alle vicende della politica supernazionale, che aveva ispirato ed attuato la spedizione crociata, subordinando le altissime idealità di quest’ultima al raggiungimento dei propri scopi particolari. E premessa indispensabile di tutto ciò, era l’acquisto in Occidente d’una posizione preminente tanto da lasciare, a chi giungesse ad afferrarne il possesso, la maggior libertà d’azione possibile, mediante la libera disponibilità delle larghe scorte di mezzi e di uomini che l’Occi-dente poteva fornire. Questo ineluttabile ritorno ai mari di ponente, continuato per tutto il secolo XII, si spiega appunto con l’avvertita necessità di difendere quivi le posizioni raggiunte in Le\ante. Pisa inaugura per prima la nuova polìtica con la notissima spedizione balearica del 1113. Abbiamo accennato al frantumarsi della Marca genovese. Ë noto che dalla rovina nascono sulla costa e, con alterne vicende, si affermano, quattro principali entità politiche, ognuna con finalità e quindi con caratteristiche proprie : le Città-Comuni di Genova e Pisa ; il dominio e poi contea vescovile di Luni ; il restante feudo ober-tengo e successivamente, in modo precipuo, malaspiniano. È note vole però il permanere dovunque del ricordo delle funzioni marinare un tempo devolute a tutte le. terre componenti gli Enti eredi della vecchia Marca. Funzioni diverse, si capisce, in relazione alla stessa diversa natura dei luoghi. È chiaro che l’elemento navigante per eccellenza dovesse esser fornito prevalentemente dalle due Città ; cenni e ricordi, anche documentari, d’un servizio marittimo non proprio trascurabile ritroviamo nella Lunigiana vescovile (*) : ma è altresì noto, dagli atti di sottomissione alla Repubblica genovese, ■che obblighi di un servizio « per mare » gravavano sui Marchesi e sui loro feudatari della Lunigiana e della Riviera di Levante: ob bligo personale dei feudatari di servire con un congruo numero, di volta in volta determinato, di militi e di arcieri, e che ritrova la sua giustificazione in una tradizione risalente a tempi remoti. Ciò è del resto geograficamente e storicamente logico, e dipendente dalla natura dei luoghi della Riviera, non atti a funzionare da porti o scali propriamente detti, ma bensì ad accogliere elementi assuefatti alla minuta vita sul mare e come tali in possesso di un « senso » e di un « piede » marino, e quindi indicatissimi a fornire contili- Cfr. le mie memorie: Saggio sull’economia lunigianese del secolo XIII, \ in « Giorn. Stor. Lett. della Liguria », 1931, III e L’influenza del fattore marittimo nella costituzione e nell’oivanizzazione del potere temporale dei T e-scovi di Limi, in « Memorie deirAccad. Lunig. G. Capellini », XV, 1. 16S FERRUCCIO SASSI genti atti a combattere a bordo e ad essere trasportati per mare nelle località scelte per le operazioni. Dal punto di vista storico, è interessante rilevare che in tutto questo periodo si nota un’eccezionale scarsità di vere, grandi battaglie navali, mentre al contrario abbondano le spedizioni condotte per mare ad operare contro fortezze costiere, porti fortificati, ecc. Una considerazione si presenta subito alla nostra mente : agli effetti dell’allestimento di imprese marittime in grande stile, le singole zone della costa ligure-toscana appaiono come altrettanti elementi vicendevolmente integrantesi. Non soltanto quindi reciproca incompatibilità di idee e di interessi ; non soltanto aspirazioni di rivincita da un lato e necessità di difesa dall-altro, alimentavano Furto tra il Comune genovese e l’elemento feudale. Y'era altresì questo terzo fattore, la cui importanza non pare sia stata sinora posta nel debito rilievo ; la necessità per la Città marinara di accaparrarsi l’elemento uomo della Riviera al fine di integrare con esso i contingenti prelevabili nella città stessa, e di consentire lo sfruttamento pieno e razionale delle grandi risorse econo-mico-fìnanziarie, pel maggior potenziamento del Comune. Al che potevano anche ottimamente servire quelle agevolazioni tariffarie, che ad un certo momento vediamo concesse ad uomini e navi e merci rivierasche e lunigianesi, nei confronti delle tariffe applicate per le provenienze oltre lunensi. I primi tentativi genovesi in Riviera sono chiaramente diretti in tal senso e mostrano netto l’intendimento di stringere tutta la Riviera in una morsa. Caffaro ricorda la costruzione del castello di Por-tovenere ed altresì l’infelice esito della spedizione tentata nel medesimo anno 1111 contro i castelli e le terre dei Conti di Lavagna (*). Pisa, e allora- e dopo, non mostra di avere altrettanto chiaramente compreso l’importanza dell’elemento uomo, o per lo meno si trova dinanzi a· maggiori difficoltà politico-geografiche : Pisa si trova in abbastanza stretto contatto con il dominio temporale dei Vescovi di Luni, che le sbarra direttamente la strada verso il settentrione, e su cui per di più insistono velate aspirazioni lucchesi, trapelate con l’interessamento eccessivo nelle cose di Lunigiana e con l’imposizione del proprio arbitrato nella vertenza scoppiata pel possesso del Caprione tra il Vescovo e i Malaspina (2). Le conseguenze gravissime saranno troppo tardi avvertite, ed in proposito rinviamo a quanto già ne scriveva il Marchese Imperiale (3). Ma i primi e più diretti effetti dell’inazione pisana e dell’infortunio genovese si manifestano nel corso medesimo delle campagne pisano-genovesi del 1119-1122. O) Annules, ad annum. (2) Codice Peìavicino, n. 50. (3) Imperiale di Sant'Angelo^ Caffaro e i suoi tempi. Torino, Roux, 1894, pag. 144. RIVIERA DI LEVANTE E LUNIGIANA ECC. 169 Esse offrono all’esame dello studioso una lunga serie di scorribande e di incursioni, talune delle quali brillanti come concezione ed esecuzione, nonché allusioni ad una rispettabile serie di devastazioni e depredazioni sulle coste della Riviera; non però manovre di masse imponenti di naviglio, nè scontri in grande stile. Quasi parrebbe, nonostante le rodomontate di cronisti zelanti,, che le due parti non amassero e non osassero ricercare con un audace gesto di forza la definizione delle loro controversie. Può darsi che sul contegno dei contendenti influissero considerazioni sull’intempestività d’un urto, dal quale avrebbe legittimamente tratto i maggiori vantaggi il terzo estraneo alla lotta, e cioè la marina normanna che tanti segni di esuberante vitalità aveva dato sullo scorcio del precedente secolo sotto la guida di Roberto Guiscardo ; per quanto decaduta dopo la morte dell’intrepido condottiero, essa non era però affatto scomparsa dalla scena politica : anzi, al tempo di Ruggero, la sua forza era ritornata tale da indurre persino Genova e Pisa ad una momentanea alleanza. Ma è certo che dovevano aver influito potentemente anche le considerazioni sulla scarsità delle riserve disponibili e sull’inopportunità di giungere ad un loro rapido esaurimento. Ciò risulterà ancor più chiaramente dall’esame della linea di condotta successivamente adottata dalla Repubblica genovese. III. Il movimento di espansione del Comune genovese, dettato dai due ordini di ragioni ora esposte, trova la zona immersa in un lentissimo e laborioso processo di dissolvimento e di disintegrazione dell’ordinamento feudale primitivo. Il Formentini, nell'ultima parte di altro suo noto lavoro (*), ha riesumato ed illustrato con nuove illazioni, condotte sul filo di dense osservazioni di carattere giuridico, l'influenza dei fattori economici sul fatto storico accennato e 10 svolgimento del processo di dissoluzione quale conseguenza ineluttabile dell’instaurarsi dell’economia a base capitalistica. Fenomeno quest'ultimo, che — come semplice fatto economico — si afferma potentemente ed anzitutto in Italia, appunto nel corso del secolo XII. Ai nostri fini interessa però porre in luce piuttosto la resistenza che le ormai vecchie forme sociali oppongono all’avvento delle nuove, e quindi determinare la parte che, nel conflitto che ne sorge, assumono le ragioni di carattere politico : ossia determinare 11 grado di vitalità dell’ordinamento feudale, alla cui dissoluzione dette ragioni costituiscono un rallentamento più o meno efficiente. (i) Conciliaboli, pievi e corti nella Liguria di Levante, in « Mem. Acc. Lunig. G. Capellini », 1925. 170 FERRUCCIO SASSI E converrà anzitutto esaminare le forme organizzative più semplici, come quelle che, meglio adeguandosi alle più elementari necessità delle popolazioni e quindi rispecchiandone le condizioni giu-ridico-sociali, si prestano a trarne più esatte deduzioni sull’efficienza del sistema nel suo insieme. Caratteristica specifica· della zona della Riviera di Levante, divenuta ormai confinaria, è naturalmente il pullulare dei castelli, nel senso giuspubblicistico della parola, intesi cioè come veri e propri istituti di diritto pubblico : siano essi antichi centri di vita organizzata, siano dovuti all’iniziativa di membri dei consorzi signorili che, in conseguenza delle nuove forme economiche, hanno creato e creano nuovi centri nei quali trapiantare quel complesso di attività che potevano un tempo far capo alle vecchie sedi curtensi. Un interessantissimo documento del 1145 (l) ci parla della « donatio » del castello di Calosso fatta dagli uomini di Cogorno al Comune di Genova. È noto che, secondo le indagini del Belgrano, i domini di Cogorno troverebbero posto nell’albero genealogico del ramo dei Conti di Lavagna denominato dei Bianchi, e che da uno dei più antichi di loro -— Giovanni, imparentato con i domini di Verzi — sarebbero poi discesi i signori di Levoggi, di Leivi, di Zerli ; un ramo collaterale sarebbe altresì quello dei Cavaronchi, il cui capostipite Cava-ronco figura infatti tra i donatori del castello di Calosso (2). La· carta ci configura in Calosso un vecchio centro dominicale, sviluppatosi passando per più stadi consecutivi e suscettibile ancora di ulteriore incremento sia giuridico che di fatto : quello, soprattutto nei desideri e nelle intenzioni degli offerenti questo, nelle aspirazioni del Comune genovese, interessato per evidenti ragioni — una volta posto piede nel castello — allo sviluppo dell’aggregato per costituirne come un centro di raccolta e di richiamo. Speranze ed aspirazioni concretate nella cessione della terra attorno al castello « unde burgus possit fieri illis qui venerint ad habitandum ». E la tèrra è ceduta « cum toto introitu boschi.... et pascui », che dovrà servire, come la colletta, per sopperire alle spese di custodia del castello : e, se queste ultime supereranno l’entrata, il Comune genovese, più fortemente interessato, dovrà subentrare colmando il deficit; in caso contrario, l’avanzo sarà diviso a metà tra il Comune genovese e gli uomini di Cogorno. Queste clausole ricordano un poco gli impegni assunti dai Vescovi di Luni nel precedente secolo verso gli uomini di Trebbiano e di Monleone (3), ma ne differiscono nel tempo- stesso, e notevol- (1) Liber Jurium, I, col. 108. (2) Belgrano, Illustrazione del Registro Arcivescovile di (renova, in « Atti Soc. Ligure St. Patria », II, 1. (3) Cod. Pel.; n. 488 e 2G7. RIVIERA DI LEVANTE E LUNIGIANA FCC. 171 niente, per altre clausole speciali che ci rivelano la struttura giuridica del castello di Calosso. Ë evidente che, con la carta in esame, si gettano le basi di una vera e propria finanza locale: siamo cioè ^ulla via di costituire un Comune di Cogorno, del quale Calosso viene a costituire parte integrante od. appendice essenziale, o addirittura il minuscolo Comune rurale di Calosso; ma il Comune nel significato classico della parola ancora non esiste. Ë solo un primo passo sulla via dell’abbattimento del regime feudale, il quale però nella stessa carta palesa l’ancor lussureggiante vigoria della propria costituzione : per convincersene, sarà sufficiente osservare la distribuzione dei pesi fiscali. V’è tutta una categoria, e forse — in proporzione — numerica-mente rilevante, di persone esenti da gravami di ogni genere sopra il bosco, il pascolo, la terra circostante al castello, le merci in entrata ed in uscita, ed anche dalla colletta su tutti i menzionati gettiti. Esenti cioè da imposte reali e personali (tanto sui beni immobili come sull’uso dei medesimi), dai dazi come dalle imposte sul reddito. Sono, costoro, gli « homines predictorum dominorum » che <( resident super sua » ovvero « in ipsis rebus steterint » ; e ad essi è concesso lavorare liberamente quei « ronchi » o « terre colte » che <( antiquitus solent roncare vel laborare » : ed è altresì concesso loro di segar Perba nei prati come un tempo. È caratteristico che il diritto di servirsi del bosco porta come conseguenza il diritto di pascolare nei prati, così che questo diritto è condizionato da quello. Ideologicamente possiamo ben ricollegare questo particolare con l’accenno ai ronchi da tempo soggetti a lavorazione e trarne allora Filiazione che il castello, il borgo, il terreno circostante destinato all’ampliamento del medesimo, la terra ridotta a prato ed a coltura, rappresentano e ci attestano una fase di sviluppo dell’aggregato rispetto al tempo in cui l’intera zona era coperta di boschi evidentemente secolari. Abbiamo delineato dalla carta, sotto un certo aspetto, l’apparentemente consueto canovaccio delle comunaglie medievali, modificato però nella struttura giuridica come causa ed effetto ad un tempo delle modificazioni apportate alla struttura fìsica della zona. Leggendo attentamente la carta, troviamo precisata una serie di diritti reali goduti da questi esenti, siano essi diritti di privata proprietà, siano invece diritti di uso rappresentati come veri e propri diritti reali come conseguenza delle speciali configurazioni giuridiche create nel basso impero. Ma l’esenzione dai pesi fiscali delinea una particolare « condicio » di coloro che ne godono ; essa rientra cioè nella categoria dei diritti personali, riconosciuti propriamente a chi lavora manualmente sul pròprio, ed a chi sul proprio risieda abitualmente pur senza lavorarvi. D’altra parte riportiamo l’impressione che — per evidenti ragioni politiche — il Comune genovese intenda mantenere privilegi già precedentemente goduti dai beneficiari e sorti 172 FERRUCCIO SASSI in un periodo di diversa organizzazione sociale alla quale non era peraltro ignota una largamente attuata divisione della proprietà privata. Molti atti del Cartario Genovese ei parlano di vendite e cessioni gratuite effettuate da privati al Monastero di S. Siro nella seconda metà del secolo XI, di terreni coltivi e prativi posseduti « proprietario iure » in Calosso ed in altre finitime località ; troviamo addirittura cenno della donazione d’una cappella di S. Michele di evidente fondazione gentilizia per opera d’un consorzio non bene identificabile, praticante legge salica, e a quell’epoca gi'à suddiviso in parecchi rami (1). Si potrebbe allora pensare alla carta in esame come ad un tentativo di inserire in una preesistente corte signorile l’appena abbozzato regime comunale. Senonchè, al di sopra della concezione storico-economica in cui finirebbe senza dubbio coll’arenarsi la questione, stanno altre considerazioni che ci trasportano nel campo giuridico-politico. Come i diritti dei domini di Vezzano sulle corti omonime e sugli uomini delle corti si basano essenzialmente su rapporti di diritto pubblico (2) ; così in rapporti di diritto pubblico deve essere ricercata la legittima giustificazione della condizione privilegiata riconosciuta alla ricordata categoria degli uomini di Calosso. Questi devono cioè costituire —- a seconda che lavorano o no la terra — la classe dei « milites » e quella degli obbligati alla milizia come semplici « pedites », discendenti però da gente di condizione libera e non servile. Non a caso ho fatto ora un raccostamento alle condizioni ed alla. situazione della Lunigiana propriamente detta, citando i domini di Vezzano. È notorio che i Vezzano insistono largamente in Val d’En-tella e nella Fontanabona, e sono noti i rapporti che li uniscono ai Conti di Lavagna ed ai feudatari della Riviera di Levante. Ma ci soccorrono nell’asserto anche altri documenti ed altre fonti. Il Belgrano, nella sua ottima « Illustrazione del Registro Arcivescovile » della Chiesa genovese, ci attesta — sulla larga messe dei documenti del Cartario — l’esistenza in tutta la Riviera di mansi demaniali o signorili ((lonnicati), di mansi beneficiari (concessi a uomini di condizione libera, con obblighi di fedeltà e di assistenza, ecc.), e di mansi condiziowati (ceduti cioè a semplici villici con obblighi di tributi e servizi personali) (3). All’ombra della Chiesa fiorivano i mezzi per l’affrancamento dei villici e per la loro elevazione al grado di beneficiari : la registrazione delle decime della Pieve di Cicagna (lunga- C1) Cartario Genovese, pubb. da T. Belgrano, in «A. S. L. S. P.», II, 1, docc*. n. 129 (nov. 1059), 133 (30 sett. 1004), 140 (25 giugno 1071), 141 (19 nov. 1071). · (2) V.,in proposito l’illustrazione data dal Formentini, in Conciliaboli, etc.r cit., pagg. 0G-&. (3) Op. cit., passim. RIVIERA DI LEVANTE E LUNIGIANA ECC. 173 niente rimasta sotto l'alta giurisdizione dei Marchesi) ci dice ad esempio che una quarta parte delle decime ecclesiastiche della pieve stessa appartengono ai « servi marchionis », i quali « emerunt ab herede Rainardi de Modellisi quia habebat pro libellaria » i1). Ed è noto altresì che le decime ecclesiastiche venivano percette dalla Chiesa genovese (documentariamente a mezzo il secolo XII ; ma trattasi senza dubbio di fatto risalente ad epoca molto anteriore) ben entro, la Val di Vara. Dal punto di vista deirordinamento civile, le carte di questi decenni, consacranti le sottomissioni ripetute — ma non mai in allora pienamente osservate — dei Marchesi Malaspina e dei Conti di Lavagna, presentano al nostro esame una serie di distinzioni sociali. Ripetutamente vi si parla di « domnicati arimanni », di « domnicati manentes », di « comandi » : parole non prive di significato (anche se il concetto di arimannia non è più quello clàssico dell'epoca longobarda, ma ha subito coi secoli una modificazione) ; definizioni di altrettante categorie sociali legate alla terra dominicale direttamente lavorata, ovvero sfruttata per mezzo di rapporti di natura reale-personale e con fini nettamente politico-milita ri, ovvero legate al signore dà semplici vincoli prevalentemente personali, fiduciari, svincolati anzi da ogni rapporto giuridico-territoriale. A quest’ultima categoria sembrerebbero appartenere i «comandi». I rapporti che uniscono ai Conti di Lavagna quelli di essi risiedenti in Borzone, Muscarolo, Zerli, Repia, Varese Ligure, si mantengono vivi ed efficienti, così come li regolava la consuetudine, anche se essi si fossero successivamente trasferiti nei castelli dell’isola di Sestri o di Riva-rolo, cioè in territorio ormai pienamente attratto nell’orbita dell’alta giurisdizione del Comune di Genova (2). Rapporti che non vengono invece riconosciuti pei « comandi » residenti in altre zone ancor controllate dai Lavagna forse il riconoscimento si limita a quelle parti nelle quali non era avvenuta subinfeudazione da parte dei Conti. Il carattere giuridicamente personale del vincolo spicca in modo decisivo nella sottomissione dei Malaspina dell’anno 11G8 (3) : « exceptis comandis illis et arimannis quos speciali pacto et gratuita voluntate se michi marchioni aut vassallis meis de aliquid dando vel faciendo obligasse constiterit in 30 proximis transactis anni ». Il rapporto reale, essenziale elemento delParimannia, non costituisce per i « comandi » null’altro che un rapporto incidentale ; la sottomissione dei Conti del 11G6 (4) riunisce in unica posizione, agli effetti dell'esenzione dai pesi fiscali, dalla colletta, dalle gabelle; arimanni e manenti (!) Registro c*it., pag. 19. (2) Lib. Jur. cit., I, col. 103, anno 1145. (3) Jb., col. 222. <4J lì)., col. 232-5. 174 FERRUCCIO SASSI donnicati per quanto essi tengono delle « possessiones » dei Conti. II vincolo poi cbe lega i manenti alla terra marchionale o dei vassalli marchionali, quando essi non risiedano sulla terra stessa dei domini,, assume più tardi anche un contenuto personale che si manifesta nel fatto che essi sono uniti ai domini « quamdiu terra in prò qua nobis· serviunt tenuerint ». Ma trattasi di tutt’altra cosa. Ho già rilevato in mia precedente memoria che consuetudini feudali e pattuizioni particolari, liberamente contratte da comandi e da arimanni, avevano finito col costituire un vero e proprio diritto locale. Le carte non definiscono il contenuto, la natura e l’essenza intima di questo « ius » ; ma Paccenno fattone dai Marchesi a proposito degli irrequieti arimanni di Cicagna induce a ritenere cher in qualche caso, la base territoriale potesse esser costituita· dalla pieve: così almeno sembra potersi affermare per Cicagna, dove Punita territoriale pievana trova esatta corrispondenza nelPunità ed organicità del distretto giurisdizionale soggetto al ceppo capitaneale primitivo. Il caso della pieve di Cicagna, la coincidenza rilevata,, non è in verità molto comune nella nostra zona, anzi tutt’altro ; ed avevo già tentato di spiegarla considerando la pieve predetta come una propaggine lanciata al di qua delPAppenniiio, verso la costa, di un organismo territoriale (gastaldato) di Torresana, nettamente differenziato,-dal punto di vista territoriale, dall’altro organismo sul quale venne costituito il comitato di Lavagna (l). Più genericamente, potremo quindi'presupporre che si tratti d’un vero e proprio « diritto locale » sorto dalle reminiscenze dei « pacta conciliaricia », rielaborato da un diritto sculdasciale (è noto che in Val Graveglia ad esempio rimangono parecchie tracce delPesisten-za di sculdasciati) o da un diritto curtense (o pievano dove corte e pieve coincidono), ed in ultimo cristallizzatosi nelPambito territoriale delle minori circoscrizioni civili. (continua) Ferruccio Sassi (!) lì Comitatulus di Lavagna e Vorganizzazione del territorio fra il Tirreno e la Valle del Po, in « Mem. Acc. Lunig. G·. Cappellini », XI-1 e ΧΙΙ-2. TOMMASO DI SAVOIA-CARIGNANO NELLA GUERRA CONTRO GENOVA (Continuazione e fine) 10) Campagna eli Tommaso nella valle del Tanaro e fine della guerra. Il ritorno del Lesdiguières, ristabilito in salute e accompagnato da un numero considerevole di truppe, procurando maggiori disponibilità di uomini e di comandanti, permise di affidare a Tommaso la campagna nella valle del Tanaro e sull’Appennino ligure, ove il marchese di Santa Croce aveva ottenuto successi notevoli (λ). Il principe di Carignano, avviati innanzi il Purpurato e il conte della Trinità, partì il 9 novembre per Mondovì (2), giungendovi due giorni dopo. Fece subito chiamare il di Lodes per studiare quali azioni si potessero compiere e per meglio conoscere la dislocazione del nemico. Gli Spagnuoli occupavano i dintorni di Garessio e attendevano le artiglierie, ritardate dalle pioggie. Ma di questa circostanza favorevole i Sabaudi non potevano approfittare, avendo disponibili soltanto i 2000 soldati del marchese di Lanzo. Così, con molta amarezza del principe, furono per il momento costretti alla difensiva (3). La sera del 14 novembre, mentre Tommaso e il marchese di Lanzo stavano esaminando la situazione, giunse a Mondovì la notizia della resa di Garessio e dell’avanzata di alcune truppe nemiche fino a Ba-gnasco. Fu allora deciso che il marchese di Lanzo si sarebbe recato a Bagnasco per sorvegliare insieme col di Lodes le mosse e le intenzioni dell’avversario e agire secondo l’occasione. Tommaso, invece, con le milizie di cui disponeva si sarebbe avanzato verso Ceva. « Tra il gastaldo — egli scrisse — alcune militie di Pinerollo, il mio Reggimento et li Valesani non saranno più di mille uomini di servitio, però tra questi et quelli sono a Ceva spero si potrà far testa, mentre l1) La campagna contro il Santa Croce fu erroneamente attribuita a Vittorio Amedeo e fu spostata! Cfr. Ricotti, op. cit., IV, pag. 205; Foa, op. cit., pag. 57 . (2) Tommaso al fratello, Carignano, S e 9 novembre 1025; altre al padre pure del 9 novembre. Sede cit., mazzo 50. Il principe si era fermato a Racconigi due giorni. Tommaso al fratello, Racconigi, 11 novembre 1625. Ivi. (3) Tommaso al padre, Mondovì, 12, 13 e 14 novembre ltì25. Ivi. 176 ROMOLO QUAZZA arriveranno gli altri. Se il nemico si retira, non si mancar à di dar quel calore si potrà, per la diversione ha bisogno il contado di Nizza » i1). Nonostante tutte le cure prodigate, non fu possibile far partire da Mondovì i Yallesani in tempo per poter giungere in giornata a Ceva. Pernottarono quindi a Lesegno e l'indomani entrarono in città ad ora tarda, causa le strade pessime. Tommaso già stava per avviarli a· Priero e dislocare parte delle soldatesche a Càstelnuovo di Ceva e a Montezemolo, donde avrebbero potuto « dar una botta x\ Calissano », quando giunse l’avviso che gli Spagnuoli erano partiti da Garessio, dopo aver dato il paese alle fiamme, e che cercavano di raggiungere Castelvecchio. Poco dopo si seppe che il nemico, ritirandosi, aveva abbandonata l’artiglieria. Subito il principe mandò il di Lodes, coi reggimenti del marchese di Bagnasco, del Flechet, del conte di Millesimo e con 150 cavalli, affinchè mettesse i cannoni al sicuro. Ma il di Lodes avvertì da Noceto che pareva « l’inimico havEessel fatto crepar il cannone et portatolo via in quattro pezzi » e che perciò avrebbe atteso a Bagnasco nuove istruzioni. Tommaso gli ordinò di mandare uomini in ricognizione e di agire prontamente, qualora il cannone fosse stato davvero abbandonato. In caso contrario si portasse il 17 novembre nella valle di Murialdo, dove si sarebbero trovate anche le altre truppe « per far l’azione su Calissano et rendergli la pariglia di Garessio ». Intanto, mentre gli informatori assicuravano concordi che il nemico si dirigeva in tutta fretta verso Albenga, il principe di Cari-gnano si rammaricava di non aver maggiori forze a sua disposizione. « Assicuro però Y. A. che siamo rutti in volontà di aprosi-marsegli tanto che li possiamo dar maggior paura et danno di quel- lo hanno ». Occorreva però agire subito, senza attendere le milizie del Piemonte, che procedevano troppo lentamente. I soldati fuggiti dalle linee nemiche asserivano che gli Spagnuoli avevano intenzione di svernare in Riviera, da Savona in giù. Nel dubbio che potessero avere qualche disegno contro il contado di Nizza, Tommaso avvertì il marchese di Lanzo e don Felice di Savoia di far interrompere la marcia dei Provenzali di recente reclutati ; appena penetrate le intenzioni dei nemici, si sarebbe stabilito se farli, o non proseguire. Era chiaro ormai che gli Spagnuoli battevano in ritirata ; perciò il principe poteva concludere la lettera del 16 novembre al padre : « Pregarò il Signore che permetta, apresso la fuga di costoro, quella di quelli son a Verrua, sicuro che non la farrano senza incomodo » (2). (!) Tommaso al padre, Mondovì, 15 novembre 1625. Ivi. (2) Tommaso al padre, Ceva, 16 novembre 1625; altra, stessa data, al fratello. Ivi. TOMMASO DI SAVOIA-CARIGNANO NELLA GUERRA CONTRO GENOVA 177 A Λ erma, proprio in quei giorni, il gran dramma volgeva al termine. Il Lesdiguières, accortosi del movimento di ritirata iniziato dal Feria, volle approfittarne per gettarsi sul nemico. Arrivato a Creseentino il 17 novembre, lanciò contro gli Spagnuoli un centinaio di cavalieri, comandati dal La Perse. Essi erano sostenuti dai reggimenti dello Chappe, del conte di Sault e del marchese di Uxelles e appoggiati a forze notevoli, scaglionate nella pianura. Il nemico accentuò la ritirata ; ma il quartiere dei Tedeschi oppose seria resistenza; prima il conte di Salm, che venne ucciso, poi il conte di Schultze resistettero animosamente. I Francesi avrebbero subito gravi perdite, se Gonzalo di Cordova non avesse dato l’ordine di ritirarsi immediatamente. Ciò si fece in grande silenzio durante la notte; e l’indomani Carlo Emanuele e il conestabile entrarono trionfalmente in Verrua (’). L’annunzio della ritirata spagnuola da Verrua pervenne a Tommaso il 19 novembre (2), mentre stava ventilando l’assalto contro Calissano. Ma per riuscire nell’intento, come pure per tentare una azione contro Ormea, occorreva disporre del « cannone grosso ». Diede quindi ordine di trasportare l’artiglieria pesante da Mondovì e da Ceva, cosa resa assai ardua dalla stagione inclemente (3). (!) Du fa yard, op. cit., pag. 060 e segg. O «Mi rallegrerò solo ohe la ritirata di Verrua habbia succeduta a questa poiché è stata poco dopo; dobbiamo hora con ogni ragione sperare che ogni cosa anderà di bene in meglio...... Tommaso al fratello, Castelnuovo, 19 novembre 1625. Sede cit., mazzo 50. (3) Il di Lodes si era impadronito dell’artiglieria abbandonata dal nemico a Garessio — « due pezzotti et un canone » di quaranta libre —j e poi, ritenendo che Castelvecchio fosse ancora in mano degli Spagnuoli, aveva mandato a chiedere rinforzi per dirigersi colà. Tommaso aveva condotto gente fino a Caragna, paesello a due miglia da Calissano e a cinque da Castelvecchio, con l'intenzione di congiungersi con il di Lodes sopra il giogo tra Castelvecchio e Garessio. Ma si apprese nel frattempo la resa di Castelvecchio; e allora, sapendo gli abitanti di Calissano in grande ansia, si studiò l’opportunità di gettarsi su questa località. Avendo però notato un piccolo castello, che senza artiglieria non si sarebbe potuto prendere, fu deciso di condurre le truppe a Castelnovo per dar loro un po’ di riposo. Da Castelnovo si poteva « voltar da che banda si vorrà potendo in una notte dar la botta a Calissano..... andar verso il Cairo e per far l'effetto o caso passasse la soldatesca verso il statto di Milano ». Alcuni abitanti di Ormea riferirono che non vi erano colà più di 400 fanti invasi dal panico, che avevano già portato via due pezzi e avrebbero presto trasportati i rimanenti; soggiungevano che avevano minato il castello con « pensiero di farlo saltare et dar il fuoco alla villa ». Tommaso mandò il Pi-sieux a Bagnasco, dove aveva già inviato circa 800 fanti, la sua compagnia di carabini e alcuni uomini del Pisieux, scelti fra i piti valorosi, per tentare d'assalire i soldati nemici intenti a salvare l'artiglieria e impadronirsene. Per operare in quella zona era necessario il « canone grosso », essendoci da per tutto castelli; perciò si sentiva più di ogni altra cosa la mancanza di polvere. Gli uomini erano pochi, non più di 3000; ma i Provenzali, se si davano loro le paghe, potevano arrivare in due giorni e anche le milizie reclutate in Pie- 178 ROMOLO QUAZZA Intanto, avendo il marchese di Bagnasco annunziato che la cavalleria nemica aveva pernottato alle Carcare e stava per passare in Lombardia (1), Tommaso si portò subito a Camerana, precedendo le truppe ; ma quivi apprese che i nemici erano già passati la mattina presto e che si erano diretti verso Bistagno. In questa occasione ebbe a lagnarsi di alcuni dei suoi ufficiali, fra cui il capitano Bracco, che era a Millesimo, e così pure della lentezza e svogliatezza degli abitanti di Ceva nel cooperare ai servizi necessari all’esercito (2). Il non aver potuto, a causa delle informazioni troppo tardive, sorprendere la cavalleria nemica lo irritò assai ; stavano ormai per venire i primi freddi e l’azione su Ormea, ritardata per il mancato arrivo dell’artiglieria, si presentava pur essa assai ardua (3). I cannoni, incamminati da Mondovì e da Ceva alla svolta di Ormea, procedevano con estrema lentezza. La notte del 28 novembre incominciò a cadere la neve e seguitò tutto il giorno ; e poiché ne soleva venire « come dicono questi del paese ne’ contorni grandissima quantità ogni anno et tale che rende la campagna piena di boschi e montuosa quasi impraticabile », e poiché inoltre i nemici per il raggio di un miglio avevano bruciato le cascine e distrutta ogni comodità di riparo, Tommaso era. del parere di aspettare uno o due giorni ; ma se la neve perdurava, gli pareva « soverchio perdere il tempo indarno ». monte cominciavano ad affluire a Mondovì. (Tommaso al padre, Càstelnuovo, 19 novembre 1625. Ivi). Però le notizie date dai paesani di Ormea non risultarono esatte; anzi si constatò che gli Spagnuoli avevano «riparata la brec-chia, munito il castello e fatta una piattaforma per piazzarvi il cannone»; il che indusse Tommaso a mandare a Mondovì e a Ceva a prendere 1 artiglieria con le munizioni necessarie per poter impadronirsi di Ormea. La stagione inclemente rendeva però più arduo ogni movimento ; se tutto si svolgeva tempestivamente, il principe contava il 23 novembre di occupare Calissano. (Tommaso al padre, Castelnovo, 22 novembre 1625. Ivi). Fu informato che gli Spagnuoli, conosciuto il suo arrivo nella zona, avevano fatto ritornare ad Albenga la soldatesca, che, uscita da Garessio, si era diretta a Savona. (Nella stessa lettera del 22 novembre, al padre, Tommaso informava che il cardinal Barberini, giunto da Marsiglia a Savona, si era rifiutato di entrare in città ed alloggiava fuori in una villa privata (Gavotti). Ritardando i cannoni, causa la mancanza di « bovi et attellaggi », il principe si trasferì da Castelnovo a Ceva per affrettare i preparativi e vigilare sul passaggio di truppe spagnuole in Lombardia; venne a sapere che il Santa Croce e il Brancaccio erano partiti per Genova, lasciando ad Albenga 4000 uo mini circa. Tommaso al padre, Ceva, 25 novembre 1625. Ivi. i1) Tommaso al padre, Ceva, 26 novembre 1625. Ivi. Π Tommaso al padre, Ceva, 27 novembre 1625. Ivi. Il Bracco fu sottoposto a processo. Una lettera di Tommaso del 27 dicembre da Racconigi al presidente Galeani, governatore di Mondovì, parla del Bracco da tradurre a Torino. (3) Tommaso al fratello, Ceva, 27 novembre 1625. Ivi. TOMMASO DI S A V 01A -C ARIGN AN O NELLA GUERRA CONTRO GENOVA 179 Egli suggeriva pertanto di prendere nuove misure e innanzi tutto rimettere nei presidi vicini le milizie pagate per un mese dal paese e assegnare i quartieri alle altre truppe già pagate, affinchè entro un mese si ricostituissero i reggimenti nella dovuta efficienza, cosa che tutti i capi, ricevendone il denaro, s’impegnavano a fare. « Vi sarebbe a quel tempo — osserva il principe — il numero di dodicimila fanti, quali essendo inutili al servigio di V. A. da ogni altra parte, si potrebbe con un nerbo tale, per non consuma* re intieramente l’inverno in ozio, sul principio dell’anno fare l’impresa di Savona ; poiché quivi la temperie dell’aria rende il paese men horrido e più facile al campeggiare. Et così io con quest’occasione, poiché il diffetto del tempo et non la volontà m’hanno tenuto inutile nell’esecutione dei pensieri concertati, dimostrerei di non havere perduto nulla nel consolare il mio desiderio, et con testimonio di tanta stima sigillare l’attione con fine assai glorioso. In questa maniera si terrebbe in freno la Riviera di Ponente, intimiditi i Genovesi, et si prohibirebbono da quella parte i soccorsi de’ Spagnuoli per Lombardia ». Durante il mese destinato alla reintegrazione dei reggimenti, Tommaso si sarebbe potuto recare presso il padre per intendersi con lui ; il Landes, sofferente per una piaga, avrebbe potuto portarsi in Savoia e là provvedere al proprio reggimento; come comandante a Ceva e nel marchesato si sarebbe potuto nominare il cav. Operto e a Mondovì il conte di Masino (λ). L’impresa di Savona appariva a Tommaso relativamente facile, « breve e di poco costo » ; giudicava infatti di aver sufficiente artiglieria, poiché in tutto disponeva di cannoni « quattro grossi un mezzo et doi quarti si che si crede che con un mezzo cannone ancora et qualche pezzotti ve ne sarà a compimento » (2). Il perdurare del mal tempo, la neve copiosa arrestarono definitivamente la spedizione su Ormea. Vedendo che non si poteva tentar nulla per l’ingrossare delle acque, il principe di Carignano si risolse a condurre le milizie nei quartieri d’inverno e poi si recò a Mondovì in attesa degli ordini paterni. Dopo la liberazione di Verrua dall’assedio, il Lesdiguières aveva valicato il Po, dirigendosi verso Santhià. Carlo Emanuele, cui pareva opportuno il momento, propose a Luigi XIII, inviandogli 0) Tommaso al padre, Ceva, 29 novembre 1625. Ivi. Il Claretta.. op. cit., μ. I, pag. 78, riporta un solo periodo di questa lettera; gli sfugge il vero contenuto del documento. (2) Tommaso al fratello, Ceva, 29 novembre 1625. Sede cit., mazzo 50. Sì trovavano agli ordini di Tommaso: il conte di Millesimo, il Gastaldo. don Carlo, il signor di Mons con un reggimento di Provenzali assai difficili da contentare, i Vallesani, il Fleehet, il Balbiano, il signor di Lodes, il conte della Trinità, il Borriglione. 180 ROMOLO QUAZZA il cav. di Valencay, di attaccare il Milanese per la valle del Ticino. I Veneziani si sarebbero potuti avanzare per le valli dell’Oglio e del Chiese. In conformità di questo nuovo disegno, Carlo Emanuele ordinò a Tommaso di far partire le sue truppe alla volta di Asti. Il principe diede in proposito immediate istruzioni, ma la pessima stagione faceva sì clie il convogliarle colà richiedesse circa una settimana (x). Partì subito egli pure, lietissimo, nella fiducia di poter prendere parte alla spedizione ideata : « Mi sono messo in strada per rendermi al più presto sarà possibile — scrisse il 6 dicembre da Racconigi al fratello — acciò essendo il tèmpo bello mi possa trovar anch’io all’esecutione di quanto si è risolto ». Ed annunziò che dopo il breve soggiorno a Racconigi, dove aveva veduta la principessa, si sarebbe diretto a Santhià l’8 dicembre (2). Ma lo trattennero ancora a Racconigi nuovi ordini. Il Conestabile, vecchio e stanco, non osava o non voleva agire con energia. Respinse i piani audaci di Carlo Emanuele; e il 17 dicembre firmò col duca a Santhià un ultimo accordo : se Luigi XIII e i Veneziani vi consentivano, si sarebbe effettuata nel febbraio successivo- l’invasione del Milanese (3). L'inverno e la partenza del Lesdiguières arrestarono così la campagna militare, che i Sabaudi ritenevano si potesse riprendere a primavera (4). Ma mentre Carlo Emanuele nutriva ancora sogni di guerra, la Francia e la Spagna trattavano nel più grande .segreto quella pace di Monçon (5 marzo 1626), in virtù della quale il governo di Luigi XIII abbandonava con inganno gli alleati d’Italia. La notizia della pace conclusa pervenne a Parigi il 17 marzo; ben presto si diffuse pel mondo, attraverso i dispacci degli ambasciatori residenti nella capitale, l’eco delle altissime proteste, che, nonostante la solita finzione della sconfessione del du Fargis, avevano presentato l’ambasciatore veneto Contarmi e il principe di (i) Tommaso al padre, Racconigi, 6 dicembre 1625. Ivi. (*) Ibidem e lett. al fratello, stessa data. Ivi. (3) A Parigi la mancata avanzata nel ducato di Milano fu spiegata assai diversamente. Cfr. Quazza, Politica europea nella questione valtellinica, cit., pag. 81 e segg. . . (4) La situazione sulle Alpi Marittime era rimasta stazionaria. Verso la line di dicembre gli Spagnuoli avevano fatto ad Ormea la rassegna delle truppe, armando anche gli abitanti dei paesi vicini ; ma non avevano più di 600 fanti effettivi. A Savona erano giunte sei galere di privati genovesi da Napoli, cariche di fanti, che si pensava destinate allo stato di Milano. Partito il Santa Croce per Napoli, il comando era rimasto a Mio Brancaccio. Nel castello di Savona si faceva gran provvista di zolle e di fascine, ma non ne trapelava la ragione. Gli abitanti di Savona erano sotto l’incubo dell’armata ed erano ridotti assai male per la carestia. Avviso del 26 dicembre 1625, mandato il 28 dal Landes a Tommaso. Sede cit., mazzo 50. TOMMASO Di SAVOIA-CARIGNANO NELLA GUERRA CONTRO GENOVA 181 Piemonte. L’abate Scaglia proclamò apertamente che il duca, dopo l’ingiurioso procedere del governo francese, si sarebbe staccato per sempre dall’alleanza col re cristianissimo ed avrebbe prestato maggior fede alle promesse spagnuole. Aveva infatti perduto ogni valore l’indirizzo politico, che la casa di Savoia aveva seguito, salvo necessarie misure di prudenza, dagli ultimi anni di vita di Enrico IV in poi ; e si era dimostrato privo di efficacia politica il vincolo familiare, che lo aveva coronato con l’unione del principe di Piemonte e di Cristina. Il mondo diplomatico ritenne che acquistasse, all’incontro, somma importanza la parentela stretta, per mezzo di Tommaso, con la potente e turbolenta casa di Soissons; e nei mesi successivi alla pace di Monçon, avvenimento capitale nella storia del governo di Carlo Emanuele, mentre il principe di Carignano riprendeva il suo posto in Savoia, furono spesso interpretate tenendo conto di questo secondo legame l’azione dei principi malcontenti e l’agitata politica interna della Francia. Romolo Quazza LETTERE DI RE ATJ ALL’ AMMIRAGLIO CONTE GIORGIO DES GENEYS Proveniente dagli archivi dei Conti Figoli-Des Geneys in Arenza-no, è stato affidato alla custodia della Biblioteca Municipale « Al-liaudi » di Pinerolo tutto il carteggio del Conte Des Geneys coi Reali Sabaudi e con illustri personaggi del suo tempo, uomini d’arme e di politica, di chiesa e di mondo, italiani e stranieri. Per la cortesia del Direttore Dott. Renato Zanelli, ci è dato di pubblicare oggi l’intero gruppo epistolare, che riguarda i Sovrani e i Principi del sangue: in tutto lettere ventuna, per la maggior parte interessanti il periodo dal 1814 al 1837, dalla Restaurazione alle prime intese di un vero programma nazionale. Non sono oggetto di questo studio una lettera del Re Vittorio Emanuele I, tre di Carlo Felice, una di Carlo Alberto, perchè già pubblicate da Paolo Boselli e da Emilio Prasca (x). Maria Teresa appare dal carteggio quale fedelmente la ritrasse il Costa De Beauregard nel suo libro su Carlo Alberto (2) : « Etait une femme vraiment supérieure, ses levres pincées contrastaient avec le débonnaire sourire de son mari, autant que leurs deux âmes contrastaient. « Marie Thérèse d’Autriche était belle, mais d’une beauté singulièrement sévère 5 on sentait, chez elle, toute volonté implacable, toute haine éternelle, toute ambition inestinguible. De sa mère Béa-trix d’Este, la Reine tenait la souplesse et l’intrigue ; de son père, l’archiduc Ferdinand d’Autriche, le froid et inflexible orgueil des Habsbourg ». Non altrimenti essa si appalesa negli scritti raccolti da Domenico Perrero (3). Carlo Felice si mostra preoccupato di soffocare la rivoluzione piemontese e sollecita un abboccamento col fratello per ben conoscere i motivi della sua abdicazione; riconosce le benemerenze del Conte Des Geneys, al quale era affidata la. difesa del litorale e del commercio marittimo del Regno. (1) P Boseixi, Carlo Alberto e VAmmiraglio D. G. nel 1821. Torino, Clau-sen, 1892, pagg. 18, 19, 20 e 22; E. Prasca, L’Ammiraglio Giorgio D. G. e i suoi tempi. Pinerolo, Mascarelli, 1926, pagg. 273, 274, 278. (2) Costa de Beaüregard, La jeunesse du Roi Charles Albert, Paris, Plon, 1892 pag 24 Ο) Γ). Perrero, Gli ultimi Reali di Savoia. Torino, Casanova, 1889, pag. 175. LETTERE DI REALI ALL’AMMIRAGLIO CONTE GIORGIO DES GENEYS 183 Le lettere di Carlo Alberto, vergate nella sua giovinezza ed al principio della virilità, rispecchiano veracemente l’animo suo; voleva la libertà, ma consentiva nel pensiero del Principe della Cisterna, di Gino Capponi, di Cesare Balbo; nelle sue storiche riflessioni, già pensava di essere maestro ai figli nella preparazione politica. Il cugino Eugenio di Savoia, che raggiunse i più alti gradi nella marina, è qui descritto agli inizi della sua fortunata carriera, •ed appare dotato di nobilissimi sensi. L’Ammiraglio Conte Giorgio Des Geneys (1761-1839) (divenuto Barone di Fenile dopo la morte del padre) Comandante in capo della Marina Sarda e governatore di Genova, è il più stimato dei consiglieri Beali, perchè onorò la, patria e se stesso con opere egregie. Esule col suo Re in Sardegna, condusse felicissime imprese contro i barbareschi ; dopo la Restaurazione, cresciuto in fama, dedicò tutta la sua attività ed il suo ingegno alle cose marittime. Nel 1821 fu sincero interprete del pensiero del Reggente quando tenne per breve ora le redini del potere, nè si distaccò da, lui quando fu allontanato dal Piemonte. Fedele gli rimase fino alla morte, sebbene, non oltre i limiti del dovere, vagheggiasse in cuor suo le riforme liberali. Ecco i documenti surriferiti secondo l’ordine di data. Precedono le lettere di Maria Teresa; seguono quelle di Carlo Felice, di Car 10 Alberto e di Eugenio di Savoia. Cagliari, ce 29 avril 1815. Monsieur le Comte, Le Chevalier de May, partant pour Gênes, sur l’une de deux demi-galères que j’y expédie d’après votre proposition pour y être darroublées, je ne puis -saisir de meilleure occasion pour vous remercier pour votre lettre du 28 mars et la relation jointe à celle-ci, et qui, quoique bien triste, ne m’en a paru pas moin assez interessante, pour vous être très reconnaissante. Je dois aussi vous avertir que j’ai persuadé le Chevalier De May de faire la séparation des hommes capables, et non, de servir dans le nouveau Corps dont 11 est Colonel, et de prendre les uns pour la Compagnie du Major de May, en laissant les autres dans celle du Capitaine Masala; mais vu le peu de forces qui nous restent, et les motifs qui vous ont fait esclure ce dernier officier dans le tableau du nouveau Corps, qui se forme à Gênes, je n’ai pas crû pouvoir permettre pour le moment ni au Major De May, ni au Lieutenant Boggio, destinés dans le sudit Corps, ni à aucun des Bas-Officiers et •soldats, qui devront en faire partie, de s’embarquer dans ce moment-ci, à l'exception de 29 allemands, qui par leur mécontentement personel ici, loin ) E. Frasca, L’Ammiraglio Giorgio Des Geneys e i suoi tempi, cit.. pagg. 229-230. 188 UMBERTO VALENTE <( più di una volta, in momenti di estrema carestia, avevano recato incrociato del nemico, con eroismo pari al suo patriottismo l ). i questo egregio cittadino, che in gioventù combattè per la libertà della patria e nella virilità diede l’ingegno acuto e fecondo agli studi e a pubblici uffici, e nella vecchiaia operosa fu esempio fulgidissimo di onestà e gentilezza, dissero degnamente l’elogio il sindaco aw. Felici ora senatore e il prof. Spadolini per la r. deputazione di stona (1) Pietro Silva, II sessantasei, studi storici, Milano, Treves 1917. (2) Ardi, march, del Risorg., anno I, 1906, Sinigaglia, Puccini e Massa pag. 142. AMICI E AVVERSARI ANCONITANI DI NINO BIXIO 195 patria per le Marche, di cui ring. Bevilacqua era socio onorario (*). Conoscitore profondo della storia anconitana, lasciò una copiosa raccolta di memorie inedite. Degli scritti a stampa ricordiamo quello sul porto e sull’arco di Traiano (Ancona, Morelli 1889) e l’altro su alcuni glidografì anconitani (Ancona, Bastianelli 1862). Era una biblioteca di peregrine notizie sulla storia marinara di Ancona e sulla topografia antica della città (2). Ecco la lettera del Bevilacqua al Barattani: Genova, li 30 maggio 1866. Caro amico, Quante volte ho principiato una lettera per te, e quante volte ho dovuto metterla in disparte. Da qualche mese non si fa che lavorare o rimanere preoccupati sull’avvenire. Con quell’antifona che gli Uffici del Genio residenti nelle piazze forti devono restare al loro posto, capirai bene che nemmeno il carattere più melenso può rimanere indifferente allo spettacolo che gli si para dintorno. Io per verità confido che se ha luogo la guerra, dovranno far capitale anche di me che forse ultimo fra i miei colleghi pure sono il solo che abbia un requisito idoneo per l’occasione; difatti sono il solo ufficiale del genio ferito dal ’59 in qua. Comunque però vadano le cose, resto sempre in una posizione terribile, e ciò mi sconforta al segno che gli affari affidatimi da qualche tempo sono male condotti. Io non vado mai a prendere un divertimento. Ora non conosco che l’Uffizio (e questo pochissimo), il cavallo e lo studio preparatorio per lavorare sotto Mantova o sotto Verona. Ma questo studio è un furore, una rabbia, e, dico il vero, non ho mai imparato così celermente come in questi momenti. Gli è vero che dopo mi sento spossato, ma una buona dormita compensa tutto, e tutti i giorni si ripete la stessa cosa. Sento che anche costì, come dappertutto, v’è grande entusiasmo per la guerra. Benedetti! Il paese questa volta ne ha proprio bisogno, coraggio, e tanti sacrifizi saranno largamente compensati. Vorrei sperare che i volontari di costì fossero un poco più contentabili di questi di Genova che per primo segno della loro esistenza hanno principiato a insinuare che il Governo non li vuol armare, perchè li teme ; temendoli, non li vuol aumentare, altrimenti sarebbe costretto ad ogni costo di fare la guerra. Se da un lato questi pensieri ti dimostrano che i volontari credono di essere qualche cosa, dall’altro ti fanno vedere che sono diretti da persone che non amano il paese, ma unicamente il proprio partito. E da qui anzi si vede la cocciutaggine mazziniana che vuol mettere le mani dappertutto, tirando a sò anche ciò che è devoluto alla patria. Ma comunque sia, Garibaldi farà tacere come sempre questa maledetta _razza ringhiosa, e dopo aver operato qualche suo miracolo se la sentirà scatenata contro di sè, che sopportandoli paziente-mente lascierà riprender fiato al pilota che vuol condurre la barca a salvamento. Pare impossibile, ma pure è cosa che accade sotto gli occhi nostri. Il Governo prima che questi rimestatori perpetui se lo sognassero, ponevasi d’accordo con Garibaldi : poi domandava 20 mila volontari. Dopo pochi giorni stavano per presentarsi 40 mila; ma dove alloggiarli, come vestirli, come nu- 0) Atti e Memorie della R. Deputazione dì Storia Pat ria per la provincia delle Marche 111,'Aficona 1906. (2) Palermo Giangiacomo, Guida Spirituale di Ancona, (importante fatica), Ancona, Stab. Tip. Arte della Stampa, pp. 384-3S5, 1932. 196 CAMILLO PARISET trirli, come armarli? Si sospende l'arruolamento, perchè a questo seguiva per parte dei Municipi l’invio degli iscritti. Si sospende per preparare locali, per combinare una nuova fornitura. Allora si mettono a gridare che il Ministero tradisce il paese, che si è venduto alla Francia, la quale non vuole i volontari, dei quali ha paura ( !) . Ma corpo dell’ostia, s’è vista mai tanta insipienza? tanta ignoranza? al diavolo gli articolisti, e la gente esclusiva ( !) Non cosi la pensa il Governo che quantunque calunniato procede con una imperturbabile calma ai preparativi per ottenere il Veneto o con le armi o con i mezzi diplomatici. So anch’io che colpisce più l’immaginazione una dichiarazione di guerra, ed una serie di vittorie. So anch'io che vedendo la nazione determinata ad unificarsi con le armi si deve desiderare di venire ai fatti per vendicare degnamente la ingiuria patita da tanti anni. Ma se per l'Italia il compito è così chiaro e palese, chi conosce l’interesse delle altre nazioni, chi l’ambizione di qualche potente sovrano? E se riuscisse al nostro Ministro di avere il Veneto senza le armi, si avrà da fare la guerra ad ogni modo se non altro pel gusto di far combattere i volontari, che quel coglione di Dumas pretende che potrebbero dare dei fastidi enormi al paese se non avessero a combattere. Ma vedi con quale canaglia ha da fare il paese. Io credo che siano più pericolosi questi S.ri Dumas grandi e piccoli dei briganti che dopo un paio di fucilate o se la dànno a gambe o si danno prigionieri. Ma non si è finora trovato un rimedio per far tacere questa gente ignorante e ambiziosa. Ohè, caro Filippo, ci siamo perduti nella politica, e negli affari che riguardano me ; ciò vale a riconfermarti che l’egoismo è il primo motore di questa povera umanità. E di te, delle tue occupazioni letterarie, dei tuoi disgusti col Municipio, cosa mi dici? Ho letto un articolo sul Corriere che mi ha insegnato che sopra un virtuoso vi sono mille mezzi-birbanti. Questo è il mondo, e noi non ne dobbiamo fare le meraviglie. Parlami di te, dei tuoi, del nostro paese. Ed io ti prometto che non starò senza risponderti come accadde 1 ultima volta. La parola di un amico è cosa che in mezzo alla prosa della vita conforta fino a dimenticare i più gravi dispiaceri. Saluta Boni, Rinaldini, la signora e chi si ricorda di me. Addio, sempre tuo G. Bevilacqua Il mellifluo Mercantini ed il bravo Dall’Ongaro hanno scritto degli Inni popolari. Barattani che li supera nei concetti e negli affetti non scriverà neppure un verso? Quanti prodi si troveranno sotto le armi scossi dalla tua musa! Ti domando un Inno nazionale, dove si parli non di Garibaldi esclusivamente (alla Mercantini per strisciamento) ma anche dell’eroe di S. Martino. Addio, addio. È triste che proprio un marchigiano la pensasse così di quell’anima candida che fu il marchigiano Mercantini il quale non per strisciamento dettò l’inno di Garibaldi, ma invece per incarico lusinghiero avuto dal Generale, la sera del 19 dicembre 1858 compose l’inno divenuto subito popolare, per i suoi volontari. La canzone di guerra del 1866 sarà intonata non dal Mercantini o dal dairOngaro o dall’oscuro Barattani, ma dal patriota e scrittore piemontese Angelo Brofferio di cui l’ultimo canto : Delle spade al fiero lampo.... fu ripetuto da tutto l’esercito nel 1866. Roma^ febbraio 1937 Camillo Parisett APPUNTI SUL DIALETTO LIGURE 1. Modi di dire I. U.ia particolare forma di contrapposizione dell’io e del θυμός rappresentano in Omero i monologhi con 1 apostrofe al θυμός. Scegliamo come esempio II. XI 403 sgg.: Ulisse è rimasto solo, tatti gli altri son fuggiti, όχθήσας δ’αρα είπε πρός ον μεγαλήτορα θυμόν (cfr. anche II. XVII 90, XVIII 5, XX 343, XXI 53) ; un’altra formula è pure κινήσας ρα [κάρη προτί δν μυθήσατο θυμόν (II. XVII 205, 442, cfr. Od, V 285, 376); un’altra formula ancora ha Esiodo (op. 499) πολλά δ’άεργό5 άνήρ κακά προσελέξατο θυμω. Tali colloqui, ad eccezione di II. XVIII 5, si hanno sempre quando improvvisamente ci si vede soli davanti ad una inaspettata difficile situazione : οχθησας (nell’altra formula κινήσας ρα κάρη) indica lo sdegnato stupore e μεγαλήτωρ mette in rilievo l’interna agitazione (cfr. J. Bohme, Die Sceele u. clas Idi ini lriom. Epos, Berlin 1929, p. 79). Dopo tale introduzione il colloquio corre in j rima persona come un semplice monologo. È questo un fenomeno di sdoppiamento di persona, la rappresentazione di una forza diversa dall’io elementare (cfr, Njlsson in « Arch. f. Rel.-Wiss. » XXII, 1923-24, p. 374) ; il Bickel (Hom. Seelenglanbe usw., Berlin 1925, p. 83) ci vede « un’opposizione tra uomo, cioè persona corporale (o fisica), e sè stesso, cioè il proprio interno, il θυμός*. Le espressioni είπε πρός ον θυμόν e προτί ον μυθήσατο δυμόν corr spon-dono semplicemente alla nostra « disse tra sè > ; traducendo « parlò al suo cuore », ci si serve di una metafora, che non è comune all’italiano. E così pure dicasi di altre lingue moderne; un recente traduttore delPOdissea, il Mülder (Der walire grosse u. nnverg àngliche Homer, Leipzig 1935, p. 112 = Od. V 285) interpreta « kopfnickend sprach es in seinem starken Machtbe-wusstsein bei sich ». L’espressione greca ha invece la sua perfetta corrispondente nel dialetto genovese. Comunissimo infatti in tutti gli strati sociali è il modo di dire dì in tu so ko per « dire tra sè, pensare»; e l’esclamazione, non meno comune, in tu më ko! «nel mio cuore! », che corrisponde a momenti d’emozione, è usata per esprimere i più varii sentimenti: ira, compassione, proposito di vendetta, ecc. II. In Dante Purg. XIII62 sg. si legge : li ciechi, a cui la roba falla, - stanno a’ perdoni a chiederlor bisogna ; e tutti i commentatori intendono che qui Dante alluda alle indulgenze, che in certe solennità si dispensano, e per le 198 ANTONIO GIUSTI quali le chiese (« dove vanno le persone per li perdoni » Buti) sono molto frequentate. In uguale significato è usato perdu n nell’espressione genovese a Γ u s p i ó e t u g? ê u perdùù « all’ospedale dei cronici c’è il perdono (= l'indulgenza) ». Con senso affine si usa pure il vocabolo nella frase and a a pigi n perdùù « andare a prendere il perdono », e cioè, come spiega il Casaccia, « andare in qualche chiesa per farvi una breve preghiera ». III. A ii d h i ή senét a significa « andare in consunzione, perire per lento disfacimento ». L’Ouvieri (Dision. — gen. itcìl.) scrive seneeta « cenere leggera », facendo una sola cosa dei due vocaboli; meglio il Parodi (Saggio di etimologie genovesi in « Giornale Ligustico » 1885, p. 266 sg.), richiamando la parafrasi lombarda del « neminem laedi nisi a se ipso » (pubblicata dal Forster in « Arch. Glott. » VII 42, 3031) provar le gran catevetae e vive in senechia, interpreta « ire in senectani è reso tutto intero dalla frase genovese, nonostante il senso alquanto mutato, mutazione per la quale si può hance considerare il valore del senium latino ». 2. Osservazioni e Aggiunte al < Romanisches Etymologisches λΛ orterburch » del Meyer-Lübke 672. * arredare « apparecchiare », Il vocabolo genovese non è areo (far areo dice il Meyer-Lübke), ma r e u , che si trova in molte espressioni e specialmente in : f à r e u « far comparita », veni a reu detto dell acqua « piovere a dirotto », ése da reu detto di un bambino «essere un frugolo, che non sta mai fermo » ecc. (cfr. Casaccia). L etimologia proposta dal Parodi (in G. L. 1885, 259 sg.) da ad retro non pare probabile. 853. * baba « bava ». Aggiungere il gen. bœzinü, che nella riviera di Ponente si presenta come bai (-ei)zinà (per es. nella parlata di Cogro-leto), babazinà (Taggia), bavezinA (Bussana) ecc * piovigginare>. Cfr. pure il rom. bavaja « pioggerella, nevischio », il piac. sbavine «-piovigginare ». Cfr. Parodi G. L. 1885, 251 sg. 898. balbus. Aggiungere il gen.; 1. barbuti u «balbo, balbuziente, bleso, scilinguato, troglio » (Casaccia) ; 2. a b 5 t ί u * intontito, sbigottito, mogio », che già il Randaccio (Bell’Idioma e della Letter. genovese, Roma 1894, p. 154) allacciava con l’afr. abaiibi (cfr. il nfr. ébaubi) e il piem. ababià. Macchinosa mi pare la derivazione del Parodi (G. L. 1885, 246) da un * ad-pavitito. 952. barca. Aggiungere il gen. barki « fontana : tutta 1 opera d architettura con cui si adornano le fontane artificiali collocate a comodo de cittadini in varie piazze della città » (Casaccia). 1103. bilancia. Aggiungere i vocaboli genovesi : b â û s a « bilancia », b â û s a s. f. « una bilancia piena ; quanto può contenere una bilancia », b â 11 s a s. m. « bilancialo », bânsette « bilancette * ; b a (fi)s i g & s e « giocare all’altalena » (nella parlata di \ oltri si ha il curioso balisigàs e), b â (ή) s ï g u « altalena ». L’etimologia del Parodi (G. L. 1885, 251) da APPUNTI SUL DIALETTO LIGURE 199 *balsìgu, da connettersi con balzare, ampliato col snffisso -ic-, no11 convince. 1235. * botina (gallico) « segno di confine ». Aggiungere il gen. boria « bernoccolo, bernocchio, corno ; queirenfiato, che fa la percossa, specialmente nel capo in cadendo » (Casaccia). Cfr. l?it. borni « ronchi, schegge »; Dante Inf. XXVI 13 sgg.: noi ci partimmo, e su per le scalee — che n’avean fatte i borni a scendere pria, ·— rimontò il duca mio, e trasse mee. 1261. * bragere « gridare ». Aggiungere il gen. (sj b r a g â « gridare ». 1381. bïile (mat.) «drudo, amante». Aggiungere il gen. bùi In. « buio...· voce volgare dell’alta Italia: smargiasso, bravaccio, teppista.... A Genova e altrove, buio ha senso più mite ; dicesi di giovane popolano, contadino» bene in arnese, franco, svelto, dall’aspetto e dal fare sicuro e ardito. A Roma, bullo. Gigi er bullo, tipo della malavita » (A. Panzini, Dizionario Moderno, 9a ed., Milano 1935). 1506. caldus «caldo». Aggiungere il gen. kàdâùe (app. kadannie) « sudamini ». 1636. capitellum. Aggiungere il gen. a kadellu «a partito, a segno* (cfr. le frasi mette testa a k. , mette un ak. ecc.). Il Parodi (G. L. 1885, 246), richiamando il candelando (in cui però riconosce piuttosto un cadelando rifatto sulFafr. cadeler, prov. capdelar da * capitellare) dell’A-nonimo Genovese (in « Arch. Glot. » II, XLIX 121, p. 225) e il cadella di un manoscritto della Biblioteca delle Missioni Urbane di Genova (ms. 31, 3, 14, fl. CCCLXVI1I) scrive: ora è appunto questo cadelâ che ci spiega l’odierna frase avverbiale, che ha certamente con esso comune l’origine, e che dovè significare da principio, « mettere sotto un capo, sotto una guida ». Però la stampa del codice dà la lezione caudelando invece del candelando proposto dall’editore N. Lagomaggiore. E mi pare che caudelando sia da preferirsi. Da cdp(i)téllum (si sa che in sillaba interfonica le vocali divennero, verso la fine dell’impero, sempre più indistinte e talvolta scomparvero, cfr. C. H. Grandgent. Introd. allo studio del Lat. Yolg., Milano 1914, p. 129). e forse più influsso di küu da caputo piuttosto da * capum (cfr. k fi u « promontorio, capo * [v. i miei Appunti nel « Giornale » di luglio-settembre 1936, fase. Ili, p. ITI], k ι\ u d’Óvia «capomastro*, kâudôggu « capodoglio », ecc.), si ebbe kaudellu (onde caudelando, cfr. lo sp. caudillo e il pg. caudilho « capo, comandante », e poi kadellu, onde il cadella del ms. delle Missioni Urbane. Altre etimologie (da cadellus diminutivo di cadus, da catellus, ecc., v. Randaccio) sono impossibili. 2966 a. 1. excerpere. Aggiungere il gen. skripiliti (òggi skr.). che non è che Fit. scerpellini, che pure manca nel Meyer-Lübke. Per la de-jivazione cfr. Parodi G. L. 1885, 264 sg. 2. * excarpere. Aggiungere il gen. skravfi (per metatesi, cfr. i miei Appunti in « Giorn. ster. e lett. della Lig. » 1936, 99 sg.) « sfrondare », cfr. il piem. scarué « tagliar la cima dei rami, scapezzare ». Cfr. Parodi G. L, 1885, 267. 200 ANTONIO GIUSTI 3011. exlialare. Aggiungere i vocaboli genovesi: Satu «frastuono, chiasso »r § a 11 a ! § a 11 a ! « allegri ! ex vi va ! » esclamazione di gioia, § a 1Π s e « rallegrarsi, gioire». Circa Saia il Parodi (G. L. 1885, 263) osservar « la forma più completa è sciarattu, che tutt’ora s’usa, specialmente al plurale, per scialo, sfoggio smodato in vesti o altro ». 3145. fagus. Aggiungere il ligure (per es. nella parlata di Cogoleto) fuetti « conciar la pelle », che deriva certamente dal fr. ]oueiter. 3542. * frustiare « spezzettare ». Aggiungere il gen. f r u § il «seccare, importunare ». Cfr. Parodi G. L. 1885, 255. 3581. fundere «fondere». Aggiungere il gen. fundiia «crema fatta con cacio dolce, stemperato e cotto con acqua e tuorli d’uova ». Cfr. il pieni. fondua, il fr. fondue «entremets au fromage et aux œufs brouillés*. In italiano si chiama cacimpéro* o cacimperio. 3625. gabàta « piatto, scodella». Aggiungere il gen. zatta «scodella ». Un g gutturale, che si muti in palatino, è inammissibile nel genovese ; è quindi giusto derivare la parola di seconda mano dal fr. jatte, che si potè introdurre presso di noi in tempo assai antico. Nel linguaggio militare, durante la guerra, in Francia jaffe « minestra, zuppa » arrivò ad indicare la « gavetta », come la jatte « gavetta » a significare la « minestra » (cfr. A. Dauzat, L'argot de la guerre, Paris 1919, p. 152). 3646. galbinus. Aggiungere il gen. ganu « giallo ». Cfr. Parodi G. L. 18.85, 255 sg. 3827. grabatus « letto basso ». Aggiungere il gen. ravattu «carabattola, ciarpa » per lo più usato al plurale. Cfr. Parodi G. L. 1885, 259. 3893. grundvre. « grugnire ». Aggiungere il gen. r ufi ï « grugnire ». 4163. hodie. Aggiungere il gen. aùko (agen. ancói), cfr. Tafr. encui (cfr. La vita di S. Alessio v. 400, a cura di V. Todesco, e p. 87) e Fait, ancoi (Dante Purg. XVIII 52, cfr. Parodi, Bull. Ili 133 e 145) (1). 4205. a. 3. ranke (nat.) « viticcio, tralcio ». Aggiungere il gen. r ail g u e In e r a ή g i n e 11 u (per es. nella parlata di Cogoleto) «racimolo». Cfr. Parodi G. L. 1885, 258 sg. 4634.juscellum (diminutivo di jus) «brodo». Aggiungere il gen. gusëllu « brodetto, cordiale : brodo da bere con nova e zucchero stemperati dentro, che si dà alle puerpere o impagliate» (Casaccia). Cfr. Parodi G. L. 1885, 256. 4789. a. küfa (arabo) «cesta». Aggiungere il gen. kuffa specie di cesta,, di cui si servono i facchini del porto pel carico e scarico delle merci ; è un termine comune nel litorale genovese. Errata è la derivazione dal greco κόφινος, cui pensa qualcuno (cfr. Panzini, op. cit.)· 5094. locare· Aggiungere il gen. alügâ «riporre» e metaforicamente « met- (1) Il Rohlfs (La struttura linguistica dell'Italia-, Leipzig 1937) su una cartina dell’Italia pubblicata a pag. 7 con una linea punteggiata indica dove si arresta il galloitalico inco. Ugualmente encores ( a hanc horam) nell’afr. era sinonimo di « actuellement, à cette heure ». APPUNTI SUL DIALETTO LIGURE 201 tere in prigione », cfr. la frase (per es. nella parlata di Cogoleto) pu§i-twése (opp. oSitése) aliigów « possa tu esser messo in prigione »► 5112. lolium· Aggiungere il gen. 1 ô g g u « loglio » e aliigów propr. « intagliato », e cioè « quasi addormentato », giacché è noto che « al seme di questa pianta, mangiato, si attribuisce la virtù di sbalordire e d’addormentare » (Parodi G. L. 1885, 247). Infelix lolium dice Virgilio (Georg. I 154) e Ovidio pensa pure che faccia male alla vista, et coreani loliis oculos vitiantibus agri (fast. I 691). 5136. 2. * lucire. Aggiungere il gen. abarlügâ «abbagliare; stordire ». 5208. rnaeh'O (germ.) «muratore». Agginngere anche il gen. masakan dovuto certamente ad ampliamento. 5426. * matteüca « mazza ». Aggiungere i vocaboli genovesi : m a s ü k k a « infreddatura di testa », m a s ü k ó w « infreddato », a m a s ü k ά « stordire » con pugni ecc. * 5773. musculus una specie di conchiglia bivalve, arsella (cfr. Plauto Rudens 298, Celso II 29 e III 6, Marcello Empir. 34 p. 137 ed. Aid.). Aggiungere il gen. muskulu. Anche in it. è usato muscolo, «termine dei con-chigliologisti » dice il Dizionario della lingua italiana, vol. V, Padova. Tip. Minerva, 1829. 5856. nâ'ürah (arabo) «ruota per attingere acqua ». Aggiungere il lig. (per es., nella parlata di Cogoìeto, Varazze ecc.) noia «mazzacavallo». 6134. pachys (greco) « spesso, grasso ». La stessa cosa che l’it. paffuto, è il gen. buftiu (cfr. Parodi G. L. 1885, 252), che IOlivieri così spiega « paffuto, grassotto, acceso. Russu bufiiu diciamo di uomo grasso, acceso in viso ». Altre etimologie (v. Randaccio) sono da scartarsi. 6407. * perexsucare «prosciugare*. Aggiungere il gen. p r e s i ù s ϋ a «latte rappreso e inacidito che, separato dii siero, si mette dai Genovesi nei ripieni, nelle torte e in molte altre vivande. Non ha termine proprio italiano, perchè generalmente in Italia non si usa, ma si adopera in sua vece la ricotta» (Casaccia). Cfr. Parodi G. L. 1885,258: «analogamente a prosciutto da perexsuctus (cfr. Diez, Etym. IFòrt. d. roman. Spraclien, 312),. così anche preSinsÓa da «perexsuctiòla, con ü atono passato in i, e n inserto ». 6483. picula «pece». Aggiungere il gen. peiguléa « pegoliera : specie di barca vecchia, nel mezzo della quale evvi un luogo adatto a mettervi un fornello per farvi cuocere e riscaldare la pece ed altre materie servibili a dar carena ai bastimenti » (Casaccia). 7061. * raptiare «rapire, rubare», Aggiungere i vocaboli genovesi: rüsu neirespressione fa ròsu «far largo, trarsi da banda», ruùsun « ur-tone », i u ή sa (per es. nella parlata di Cogoleto) « spingere, urtare » (1) E perciò molto verosimile, come pensa il Parodi (G. L. 1885, 249 sg.) (1) Cfr. Pespressione aiidit de runsa che si applica a un bastimento che « caduto sottovento, va di continuo in deriva » (Randaccio). 1202 ANTONIO GIUSTI oh© il moderno a r ò s A « ritirare, rimuovere, scostar^ ,* trar da banda, mettere da banda; fig. involare, rubar di nascosto» (Casaccia) e arò-s ;i s e n. p. «ritirarsi, arretrarsi, far largo, ecc.» riposi su un primitivo ròsi. Cfr. il bresc. rosei « spingere » (Biondelli, Dialetti Gallo-Italici). 7384. ross (inat.) «cavallo». Aggiungere il gen. rósua «rozza: cavallo vecchio e pieno di magagne ». 7396. rotulare. 2. Aggiungere anche il gen. a r i g w e 1 A , che non è altro che a r i g w fi « rotolare » ampliato col suffisso - e 1 - (cfr. Parodi G. L. 1885, 248 sg.). 7636. * scabrare (da scaber) «grattare». Aggiungere i vocaboli genovesi: (s) gar b  « bucare ", g a r b u « buco »; cfr. s g a r b e l fi « scalfire » da * scabrellâre·, * scarbellàre. Perciò non accetto pia l’etimologia, già da me annunciata (v. i miei Appunti sul « Giornale» di Aprile-Giugno 1936, II fase. p. 101), da grapliium. Inaccettabile è pure la derivazione, proposta dal Parodi (G. L. 1885, 267), di s gar belìi da * excarpellare, come anche quell'altra su;ì (ib.) di skar peiitìl da *excarpentare; meglio è, col Meyer-Lübke (Bew. 7663), collegare skar pentì» «graffiare, lacerare la pelle » con scarpinare. 7663. scarpinare. Mettere accanto al gen. skarp entri anche il ligure (per es. nella parlata di Cogoleto) skrapeiitfi (per metatesi, v. i miei Appunti sul « Giornale » di Aprile-Giugno, 11 fase. p. 99 sg.). 8010. 2. skraffen (langob.) « raschiare ». Aggiungere il gen. g r a f i fi fi opp. grafi finà opp. graûfüfiâ (per es. nella parlata di Cogoleto) «graffiare ». S855 d. tra(n)smütare. Aggiungere i vocaboli genovesi : stram ùa «sgomberare (= levar le masserizie da una casa che si lascia e trasportarle in altra che si va ad abitare); tramutare il vino », stramiiiìse « mutar casa », stram ilu « sgomberamento «, s t r a ni ii ó w « traimi tatore : colui che nelle antiche nostre Gasacce era destinato a tramutare da persona a persona lo stendardo (k unfaùή), il Cristo o le Croci ». (Casaccia). 9390. vitrarius. Forse è da aggiungere il gen. vë « stovigliaio ». Dice il Parodi (G. L. 1885, 268) : « non parrà.... inverosimile, il supporre una forma anteriore veré di dove sarebbe caduto il solito r, e il trarre questo veré da vitrarius secondo vogliono le leggi fonetiche del nostro dialetto ». Dall’ingl.'brake «carrozza» deriva il geo. brek «carrettone: specie di carro .che serve a domare ed esercitare i cavalli ». Cfr. il romanesco brecche (« appartiene all’800 » dice il Panzini). Al ted. biegen (cfr. got biugan) « incurvare, piegare » fa risalire il Parodi (G. L. 1885, 259) il gen. rebigu « ghirigoro, svolazzo». Ad un * comptuceus (da comptus, participio di comere ; v. Parodi G. L. 1885, 254) risale forse il gen. kuntüssu «farsetto a bustino, quello la cui vita, sul davanti in basso, termina in punta libera, cioè non cucita alla sottana » (Olivieri, cfr. kuntüssu da nòtte « camicia da notte: specie di farsettino larghetto, accollato, con maniche larghe, e che non arriva oltre i lombi» Casaccia). APPUNTI SUL DIALETTO LIGURE 203 Ad un * excausire riconduce il Parodi (G. L. 1885, 264) il gen. skòzf « dir male di uno », cfr. ffi s e skôz ï « farsi beffare ». La forma * excaù-sire « riconduce al latino classico causari accusare, accagionare, mutato' di coniugazione ». Ad un * excurtineare riconduce il Parodi (G. L. 1885, 265 sg.) il gen. skrukunàse (cfr. nel dialetto di Sassello skurcinése; si sente anche iûkrikinâse) « accoccolarsi, accosciarsi », attraverso * skur-tifiâ, skurtufiâ, skurkuüâ, skrukuïïâ. Quanto ad iùkri-k i fi ì\ se, si vede che in un solo punto Pevoluzione sua differisce da quella del verbo precedente, in quanto non Vu attrasse con sè Vi, ma Vi rese simile a sè Vu. Da un * factari a attraverso * faitaria e *feitaria con perdita infine dell’e del dittongo atono (Parodi G. L. 1885, 255), deriva forse il gen. fìtaja «conceria di pelli». A * lavatucula risale certamente il gen. 1 alig a opp. lôüga « rigovernatura di piatti, minestra poco buona, brodo»; cfr. lavaugu e lava ii m e nella parlata di Taggia. Cfr. Parodi G. L. 1885, 257 sg. Del vocabolo 1 i g a il Casaccia dice « greppo ; luogo dirupato e scosceso; altrim. balza, dirupo, bricca, burrone» (cfr. anche Olivieri). Il Parodi (G. L. 1885, 257) pensa alla stessa etimologia di lépegu (cfr. Meyer-Lübke Rew. 8030). La forma lisga, che si trova nella parlata di Pieve di Teco, è « una bella riprova dell’esistenza anteriore di un s nel nostro vocabolo.,., dove non mi pare si possa spiegare quel s interno altrimenti che con la metatesi che dalla prima sillaba lo trasportò nella seconda ». A * manustructiare (cfr.il postclassico structio, ERNouret Meillet, Dict. élym. de la langue latine, p. 948 s. v. struo ; per la forma cfr. masturbai: manuturbat in Corp. Gloss. Lat. II 127, edd. Goetz, Loewe, Schoell) risalgono certamente i vocaboli genovesi: m a s t r ii s i\ « imbrogliare, confondere, avviluppare ; brancicare, mantrugiare, stazzonare » (Casaccia), m a s t r ü s é « imbroglione ecc. », mastriissu « imi loglio ecc. ». Cfi\ il piem. mastrojé e mastron, il venez, mastrutsar (cfr. Vidossich in « Bei-helfe z. Ztschft f. roman. Philologie » 27, 759) e mastronsar del dialetto di Cespedosa de Tormes in Ispagna (cfr. Sanchez Sevilla in « Revista de Filologia espafiola » 15, 261). Al fr. sage-femme «levatrice» corrisponde, nell’identico significato, il gen. bu ή adonna. Io stesso ricordo che a Cogoleto anche il marito della levatrice si chiamava una volta b u n o m m u . Durante la guerra in Francia, nel linguaggio militare, bonhomme si diceva il soldato ; < le foyer de bonhomme doit être la Normandie (ou les femmes appellent lemmari « mon bonhomme»), ou le centre: le mot signifie «paysan» en Bourbonnais » (A. Dauzat, L'argot de la guerre, p. 51 e cfr. p. 177). Ad un * fonduta (cfr. Grandgent, Introd. allo studio del latino volgare^ Milano 1914, p. 28 sg.) da fundere « spargere » risale certamente il lig. «(per es. nella parlata di Cogoleto) fuûdüa « abbondanza ». ANTONIO GIUSTI Ad un * subacquare pensa il Parodi (G. L. 1885, 250 sg.) por spiegare il gen. subakà opp. asubakd, ohe, oltre il significato di « superare, soperchiare, vincere ecc. », ha nell'antico genovese un senso, che il Casaccia non registra, quello di « tuffarsi nell’acqua », cfr. despiasse e sitasse dentro e sobachasse tutto in questa aygoa (Proso Genovesi pubblicate dairivE in « Arch. Glott ». Vili 66, 40) o s'intra vostra dose fonta-netta — no me lascie ra testa sobacca — fin che ne sciorbe quarche ga~ raretta (Foglietta, Ed. Torin. 1612, p. 69) Il trapasso da un significato all’altro non è difficile. Il vocabolo skuùa deriva dalTingl. schooner «brigantino goletta; veliero a due grandi alberi, il trinchetto a vele quadre, e la maestra a vele auriche » (Panzini). La voce non è registrata dal Casaccia. Alla voce onomatopeica zun zun è allacciato evidentemente il vocabolo, che si trova per es. nella parlata di Cogoleto, sunéùru che si dice tanto di ogni istrumento, che dia un suono monotono, quanto del suono stesso. Cfr. il provenzale zounzouna (Mistral, Miréio I, XIII 26 en soun-zounant e X zounzounavon) « bourdonner, fredonner sur un instrument à cordes, mendier d’une voix monotone, murmurer etc. » (cfr. L. Boncoiran, Dict. anal. et étym. des Idiomes méridionaux, Paris 1898 e F. Mistral, Dict. provençal-français, Avignon-Paris). Antonio Giusti COMUNICAZIONI DELLA E. DEPUTAZIONE DI STORIA PATRIA PER LA LIGURIA Con R. Decreto in·corso, S. E. il Ministro dell’Educazione Nazionale ha determinato noi modo seguente la sfera d'azione delle Sezioni della R. Deputazione : Sezione Ingauno-Intemelia : Provincia di Imperia e cessato circondario di Albenga nella Provincia di Savona. Sezione di Savona : il resto della provincia di Savona. Sezione di Massa: tutta la Provincia di Massa-Carrara, eccettuate Aulla e Pontremoli. Alla Sezione Ingauno-Intemelia sono assegnati 3 Deputati e S Corrispondenti. Alla Sezione di Savona 3 Deputati 8 Corrispondenti. Alla Sezione di Massa 3 Deputati e 10 Corrispondenti, oltre a 6 soprannumerari (già appartenenti alla cessata Deputazione di Modena). Alla Sezione di Spezia 4 Deputati e 10 Corrispondenti, oltre a 6 soprannumerari (già appartenenti alla cessata Deputazione di Parma). In tal modo l’inquadramento della Deputazione e delle Sezioni è compiuto. Non rimane che augurare a tutte alacre ed efficace lavoro. E imminente la distribuzione del II volume degli Atti (LXVI dell’intera collezione) dovuto al P. Guglielmo Salvi su Galeotto Del Carretto e la Repubblica di Genova. La Deputazione ha il dolore di annunciare la scomparsa dei soci vitalizi : Copello comm. avv. Giovanni Mario; De Fornari Marchi Luigi; e dei soci annuali Centurione Scotto S. E. Marchi Carlo; De Amicis Mons. Giacomo M., Vescovo Ausiliare di Genova; Fabre Rodolfo; Pareto Spinola March. Damaso. Agli estinti va il mesto ricordo e l’estremo saluto, ai parenti la deferente espressione del cordoglio della Deputazione. SAGGIO DI UNA BIBLIOGRAFIA GENERALE DELLA CORSICA (Continuazione ved. numero precedente) CARTE géologique de Corse, 1:800.000 par Eugène Mauray. Service de la Carta Géologique de France, 1925. CARTE géologique de la Corse au 1:80.000 par M. Levy et Termier. Servioe de la Carte Géologique de France, 1900. CARTES (Les) géologiques de la. Corse, in Revue de la Corse moderne, 1925, (YI), pagg. 52-55. CARTE topographique de l’île de Corse en six feuilles dressée par ordre du Roi d’après ses opérations géodésiques et les levées du cadastre executées de 1770-1771 par feu M. M. Testevuide et Bedigis.... à l’échelle de 1:100.000 m. et terminée sous la direction de M. le Comte Guilleminot,... par les soins de M. le colonel Jacotini. Ree. Bull, de la Société de Géographie, 1825, (Tom. 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Peut-on passer l’hiver en Corse? Quelles sont les meilleures stations? La vie y est-elle mouvementée?, in Touring Club de France, 1923, Mars. COTE Azur et Corse [Album]. Paris, Libr. Hachette, 4o, Tav. XVIII, pag. 5. Ree. Revue de la Corse, 1926, (VII), pag. 89, Coll. Pays de France. COW EN William. — Six Week s in Corsica. — Londra, Thomas Cautley Newbis, 1848. [Sei settimane in Corsica nel 1840. Importante per le inoisioni e per la descrizione del paese durante quel periodo]. Ree. Chauvet, in Revue de la Corse, 1920, I. pagg. 130-133. CRETEUR Fernand. — La Corse île de bea.uté et de lumière, in Revue de la Corse moderne, 1925, (Y), pagg. 61-62. DESCRIPTION and historv of Corsica dans Cornhill Magazin, 1868, XVIII· DORANGE F. — L’île parfumée: texte par Dupont Ferrier. Paris, société d’éditions artistiques de tourisme et de sport, (1913), 4o, pag. XII, 140. «La France inconnue». Ree. Bull. Soc. Hist. Corse (Anno 33), 1913, (nn. 385-360), pagg. 106. 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Dinanzi a questo studio importante, diligente, coscienzioso deve inchinarsi, accogliendone e apprezzandone il molto che c’è di buono, anche chi non convenga in tutte le sue affermazioni e conclusioni. In primo luogo è da lodare l'impostazione del tema. Infinite volte è stato ripetuto che sarebbe tempo di non rimanere più ipnotizzati davanti al solo episodio della rivoluzione del 1716, per quanto grande e glorioso e assurto al valore di simbolo. Dal punto di vista dell’indagine storica c’è altro da fare ; non ripetere sempre le stesse cose, e magari i medesimi errori, ma collocare quel fatto nel complesso della politica del tempo, nella quale ha avuto un’importanza eccezionale. Questa più larga visione storica è merito del Broche, che, francese, ha studiato il fenomeno storico e politico soprattutto nei riguardi della Francia ; e qui appunto la sua, del resto spiegabile e ammirevole passione nazionale, gli ha preso la mano. La preconcetta pregiudiziale francese di una Francia costantemente e generosamente disinteressata e cavalleresca, dà al lavoro il carattere di tesi prestabilita, esagerata e tendenziosa, diminuendone il cospicuo valore scientifico. Senza dubbio il prof. Broche è un felice uomo, molto soddisfatto dell’opera propria ; ma- quel perpetuo ripetere che nessuno aveva trattato l’argomento prima di lui, anche se risponda in buona parte a verità, finisce con lo stancare il lettore. Temperamento evidentemente enfatico ed esuberante, egli abbonda nei punti esclamativi, che costellano, persino a tre e quattro per volta, le sue pagine, e nelle innocue ridondanze che si esplicano anche in appendici, note aggiunte e divagazioni ; ma la generosa abbondanza si manifesta egualmente nella scrupolosa indagine delle fonti diligentemente vagliate e nella preziosa ed esauriente ricerca archivistica e documentaria. Uno degli excursus alla fine del 3° volume (pp. 105 sgg.) parla delle opere precedenti su « le sujet que je suis le premier à avoir traité, bien ou mal, dans ce travail » ; ma qui non mi pare esatta-l’affermazione che la storia del Vincens sia caduta anche a Genova RASSEGNA BIBLIOGRAFICA 213 in un totale oblio, poiché anzi, come lavoro serio e sereno, è spesso e autorevolmente citata. Sottoscrivo interamente alla piena approvazione della tesi del Pandiani sull’atteggiamento della nobiltà e del popolo nella insurrezione del 1746, anche se questo possa dispiacere a qualcuno ; ma non so vedere come nulla sia stato trovato sulPargOmento in questo nostro giornale dopo l’articolo di Antonio Costa su Gian Luigi Pallavicino (perchè un G. L. P.?, non era Cameade). Evidentemente le ricerche si sono fermate al 1926; qualche cosa si sarebbe potuto trovare nel terzo fascicolo del 1928, nel quarto del 1930 e soprattutto nel primo del 1931, specialmente a pag. 37. Ma forse ragioni che credo di intuire hanno indotto a trascurare briciole insignificanti tra tanta dovizia. Piuttosto non mi sento di aderire all’affermazione alquanto ardita che il solo ad avere nel secolo XVIII la visione e il desiderio di un’Italia indipendente e relativamente unita sia stato un francese, il marchese d’Argenson, che sarebbe poi quasi la sola voce in proposito tra il Petrarca e Girolamo Gastaldi, ambasciatore, segretario della repubblica ed anch’esso poeta. Non so che cosa ne direbbe Arrigo Solmi che da tanto tempo afferma la continuità delle aspirazioni unitarie in Italia e ne persegue le manifestazioni; e nel plebiscito per la patria ideale, come fu chiamato, prima dell’oscuro petrarchesco Gastaldi — senza notare che il suo lamento è puramente declamatorio — c’è stato il petrarchesco Bembo e soprattutto il Guicciardini e infiniti altri, nei secoli dal XVI al XVIII. L’accenno al Gastaldi porta per associazione ai Segretari della Repubblica, dei quali si parla nell’introduzione al primo volume. È verissimo che non appartengono alla nobiltà, ma non mi pare siano soltanto dei commessi e degli scribi. In realtà sono gli esecutori degli ordini e dell’azione dei Serenissimi Collegi, ma nella funzione di tramite tra il potere esecutivo e i rappresentanti esteri a Genova o i genovesi all’estero, esercitano spesso, senza parere, una funzione molto importante. Quanto ai Senatori e ai Procuratori che — se non sono ex Dogi — si rinnovano periodicamente, essi rappresentano la continuità dell’ufficio e della tradizione : qualche cosa come i più alti funzionari stabili nei moderni ministeri, special-mente nei regimi parlamentari. Abile e sottile ma affatto arbitraria la spiegazione del famoso mi chi del doge Imperiale Lercari costretto ad andare a Versailles dopo il bombardamento del 1684. No, no : il doge con quella frase, che il Broche dice a un tempo celebre e incompresa, non esprimeva tanto la meraviglia di aver potuto evadere dalla clausura del palazzo ducale quanto quella di trovarsi là, a chieder scusa di un affronto subito. Tutte queste però sono piccole cose e osservazioni che minacciano di far disperdere nella loro minuzia, la visione complessiva· del- 214 RASSEGNA BIBLIOGRAFICA _*__ Topera. Nella quale, come dicevo, è particolarmente importante e accurata la documentazione: basta vedere, per averne F idea, il lungo elenco alla line del terzo volume. Contrasta con tanta minuziosa diligenza il silenzio sul volume LXIII degli Atti della Società Ligure di Storia. Patria ; è strano infatti che siano ricordate le opere francesi generiche sul materiale archivistico genovese, non la sola italiana, che dà le precise indicazioni delle fonti diplomatiche. Base del lavoro sono le corrispondenze dei diplomatici genovesi in Francia dei quali sono messi in evidenza il valore e la fondamentale importanza, cui contrasta l’insignificante contributo dei dispacci dei rappresentanti francesi a Genova. Il fatto, che ha cause e significato di carattere non transitorio ma generale, è spiegato con acute e interessantissime considerazioni. La ricerca inoltre non si è limitata a Genova e a Parigi, ma .si è estesa agli archivi di Marsiglia e della Spagna, cosicché il lavoro, tanto per la parte bibliografica quanto per le fonti inedite e archivistiche, poggia sopra una larga e solida documentazione. Suo scopo è richiamare il ricordo dell’alleanza franco-genovese nella guerra di successione austriaca sotto un duplice aspetto : storico e generale nelFesaltare la generosità cavalleresca francese di quell’alleanza ; x>olitico e contingente nel rievocarla mentre dopo diffìcili momenti, Francia e Italia si incontravano negli accordi Mus-solini-Laval del 7 gennaio 1935. Buon francese e sincero amico dell’Italia, il prof. Broche, che vive da anni a Genova circondato di molta e deferente stima e simpatia, si allietava della coincidenza-di quelle memorie e di questi accordi per i quali « s’est trouvée rétablie, dans sa plenitude, l’union des coeurs et des volontés, entre les deux grandes nations latines filles et hérétières de Rome ». Pur troppo, le speranze del nostro amico e quelle del suo recensore nel Temps del 18 settembre 1936 (« L’érudition conduit à tout, même à· consolider la paix. Elle engage les peuples qui furent unis à se sentir solidaires.... nous devons vivifier toutes les affinités latines ») non si sono avverate. Perchè questo sia avvenuto è inutile qui ricordare : evidentemente, la solidarietà latina non comprende le necessità imperiali italiane e non si concilia con l’internazionalismo dei successori di Lavai. Ma questa è materia contingente politica che sarà oggetto di studio per gli storici futuri. Noi possiamo ricavare soltanto la conclusione che l’epiteto di « patetica » dato dallo stesso collaboratore del Temps all’alleanza franco-genovese è storicamente e politicamente infelice ed erroneo. Se c’è cosa che non possa essere patetica è proprio un’alleanza, un atto politico, cioè, che, se pur si rivesta nelle opportunità contingenti dei colori del sentimento, è sempre un’unione e una coincidenza più o meno temporanea di interessi. Niente spappolamento sentimentale, niente dolciastro chiarodiluna nelPal- RASSEGNA BIBLIOGRAFICA 215 leanza tra la Francia e Genova, ma una serie di concreti interessi ; e qualche volta anche tener fede agli impegni assunti può essere un interesse, specialmente se giovi a impedire il rafforzamento dell’avversario. Ora l’aggettivo incriminato, esprimendo il giudizio di un recensore, non meriterebbe di essere rilevato se a sua volta non fosse quasi la sintesi del pensiero e dello spirito che informa tutte le pagine del lavoro e ne anima e colora la ricerca scientifica e documentaria. Fatta questa riserva, occorre aggiungere che si tratta di una delle opere più importanti e più utili nella produzione storiografica genovese degli ultimi- anni, infinitamente superiore agli affrettati raffazzonamenti o alle sconclusionate diatribe pseudocritiche destinate a rumorosa quanto effimera fortuna. I tre volumetti (ecco la solita sovrabbondanza ; perchè non uno solo anche se di quattrocento pagine?) comprendono tre periodi distinti : la neutralità genovese tenacemente mantenuta sinché il trattato di Worms che, con inaudito sopruso, cedeva al Re di Sardegna il Finale, costrinse la Repubblica ad accogliere le non disinteressate offerte della Francia e della Spagna e ad allearsi con loro ; gli eventi della guerra sino alla sconfitta degli alleati di Genova e all’occupazione austriaca della città ; il periodo della gloriosa insurrezione e dell’assedio che ne seguì sino alla conclusione della pace di Aquisgrana. Cose nel loro complesso e nelle linee generali ben note, che qui però si indagano e si chiariscono nei retroscena diplomatici, nel giuoco delle cancellerie, nelle discordie tra gli stessi alleati, così nell’uno come nell’altro campo, nei moventi delle azioni militari felici o sfortunate. Ne risulta sempre più chiarito il fatto che Genova non rappresentò un episodio o un diversivo di secondaria importanza in quella complicata guerra che mise in armi tutta l’Europa, ma uno dei punti centrali perchè, per varie ragioni, vi puntavano, e coi più diversi interessi e sentimenti, Austria, Inghilterra e Piemonte da un lato, Francia e Spagna dall’altro ; mentre, nella irriducibile tenacia quasi caparbia, nell’ostinata difesa della propria indipendenza e anche nelle mire espansioniste, Genova appariva non passivo oggetto di ambizioni e di mercato ma partecipe attiva e delle guerre e delle trattative diplomatiche. A questo proposito è doveroso segnalare la giustizia che il Broclie rende alPimportanza, all’abilità, al fervido amor patrio, tenace sino alla petulanza dei diplomatici genovesi: essi sono qualche cosa di ben diverso da quegli inutili e pomposi fantocci che una tradizione radicata anche tra gli storici liguri, tende a rappresentare: anzi tutta l’azione diplomatica della Repubblica piccola e debole in mezzo alle tempeste della politica europea gli appare abile e fortunata. Esposte le vicende della prima metà del settecento, il Broche 216 RASSEGNA BIBLIOGRAFICA conchiude : « Se maintenir en paix et trouver cependant chaque fois le moyen de gagner quelque chose à toutes ces commotions qui ébranlent l'Europe, voilà évidemment qui fait honneur à la diplomatie génoise ». Onore che scompare però non appena si affacciano le questioni di Corsica. Che quel governo così abile a destreggiarsi divenga nell’isola incapace sino al ridicolo, è affermazione che non si comprenderebbe e apparirebbe contradittoria se non si pensasse che il Broche è, in pieno, nella teoria franco-corsa delle colpe inespiabili del governo genovese nelFisola e dell’attesa invocata liberazione per opera della Francia. Sarebbe troppo lungo seguire analiticamente la narrazione del Broclie che, occorre ripeterlo, dovrà essere tenuta presente da chiunque studi la storia di questo periodo, come quella che, pur con esuberanze e tesi preconcette è la sola che abbia abbracciato nel suo insieme, inserendola nelle vicende della guerra generale, la storia e la funzione di Genova in quegli anni. A parte quel suo giudizio esagerato nei riguardi della Francia, il Broclie è equo e sereno nel valutare la situazione e generalmente benevolo verso Genova, purché non si tratti della Corsica. Però anch’egli giudica con eccessiva severità quella cessione della città agli austriaci, dopo l’abbandono degli alleati, il 6 settembre 1746, che la narrazione tradizionale considera obbrobriosa· viltà contrapponendole il generoso ardimento popolare nelFinsurrezione del dicembre. Senonchè quel fatto non deve essere giudicato con motivi sentimentali ispirati alla consueta condanna della vile incapacità nobiliare, ma nelle condizioni di fatto e nel timore del peggio. E il peggio era, per i genovesi del tempo, il pericolo del dominio sabaudo. Una resa all’esercito austriaco poteva essere un malanno doloroso ma transitorio ; allontanare i piemontesi quando fossero entrati in città, sarebbe stato molto più difficile, forse impossibile. Preoccupazioni da non giudicare evidentemente con criteri odierni ; e che non fossero infondate provano la fiera indignazione del Re di Sardegna per non aver avuto parte nella capitolazione e nell occupazione della città e l’aspro conflitto che ne seguì e che il Boz-zola ha assai bene illustrato in uno studio sfuggito alla diligenza del Broche. In due punti questi insiste in modo particolare : la candida e disinteressata generosità francese e il programma italiano del ministro degli esteri, marchese d’Argenson. Così F abbandono di Genova nel 1746 è tutta colpa degli spagnoli, dei quali i francesi hanno dovuto subire l’iniziativa ; gli aiuti del Boufflers e poi del Richelieu hanno salvato la città (ma la risposta del Doge al Boufflers e le stesse Memorie del Richelieu che a Genova si occupò di ben altro, e che vi fu troppo onorato) e persino la sconfitta del· FAssietta nel 1747 finisce con l’apparire una specie di sacrificio RASSEGNA BIBLIOGRAFICA 217 compiuto sull’altare dell’alleanza genovese per alleggerire il peso-dell’esercito austro-sardo assediante la città; e il disinteresse culmina con una politica da mani nette alla pace di Aquisgrana. Qui la tesi è soverchiamente forzata ; qualche volta, come ad Aquisgrana, quel sedicente disinteresse parve piuttosto incapacità politica,, onde l’opinione pubblica francese bollò quella pace con l’epiteto di <( pace stupida ». E quanto al d’Argenson è vero che, partendo dalla- realtà politica dell’Italia divisa in tanti piccoli stati deboli e discordi e perciò soggetti alle esterne influenze, vagheggiò un piano inteso a dare alla penisola un assetto stabile e a legarne le sparse membra in una confederazione che la rendesse indipendente dall’Austria. Ma il progetto, che non aveva neanche il pregio dell’originalità perchè era stato adombrato anni prima dallo Chauvelin, era un momento della costante azione politica francese in Italia, rivolta ad esercitarvi l’egemonia a danno della Spagna prima, dell’Austria poi. Del resto il d’Argenson era un ideologo astratto che non tardò· ad essere licenziato e contemporanei e posteriori lo hanno giudicata un mediocre utopista. Qualcuno potrebbe desiderar di conoscere l’opinione del Broche sui due punti più controversi e appassionatamente discussi dell’insurrezione nel dicembre 1746. Per quanto riguarda i rapporti tra nobili e popolo, egli accetta e corrobora di nuove prove documentarie, l’opinione del Pandiani sulla partecipazione, sia pure indiretta, della nobiltà all’azione popolare ; sull’identità personale del Balilla si accontenta di parlare del sasso lanciato da un monello e aggiunge che : « par ce geste symbolique cet humble et héroïque gamin, sur le nom de qui les érudites génois disputent encore mais, que la tradition sur nomme Balilla, entre dans l’histoire et conquiert le coeur de tout un peuple! ». Egli sorvola cioè sulla questione e così faremo anche noi. Non si sa mai ; potrebbe anche capitare che qualche malcontento, in un momento di dispetto o di oscuramento mentale, ci accusasse di.... tenebrosa cospirazione massonica ! Vito Vitale: G. Mazzini, Po (fine vive, con una premessa e note a cura di Arturo· Codignola, Milano, Soc. Ed. Nazionale, 1937. A dover rispondere, tino a poco fa, alla domanda : come si fanno* conoscere ai giovani delle nostre scuole, gli scritti del Mazzini, in qual misura e con quali criteri, si rimaneva perplessi e sconcertati. C’erano, sì, nelle letture annesse ai testi di storia, nelle antologie letterarie, stralci di prosa mazziniana. E con commovente accordo, quelle pagine eran sempre le stesse, quasi che il Mazzini con 218 RASSEGNA BIBLIOGRAFICA i suoi settantaquattro volumi (parlo dei già editi) fosse un così povero scrittore da obbligare alla scelta di quei passi, i quali, per •quanto belli e buoni, a furia di ripetersi, stuccano. Ed erano anche troppo pochi e non davano un concetto adeguato alla grandezza del loro autore. Le antologie poi tratte dagli scritti del Maestro, alcune delle quali buone sotto molti aspetti, mancavano di quella vivace succosa agilità che sola può consentire al l'inesperienza giovanile di comprendere e gradire pensieri e sistemi complessi ed elevati. I)i quel vitale nutrimento che è il pensiero mazziniano — ora — i giovani delle scuole medie possono alimentarsi. E non solo essi, ma quante, tra le persone colte, vogliano accostarsi al Mazzini per conoscerlo e intenderlo, senza affrontare la poderosa mole dell’o-pera intera di chi avendo presenti i molteplici problemi morali, politici, sociali ed economici della Nazione potè su tutti dire una sua parola durevole. Tanto durevole che oggi le pagine del Mazzini sono vive più di quando egli le scriveva lasciando fluire, com’egli diceva, ie idee dalla cannuccia della penna, e riempiva i sottili fogli della sua minuta disperante scrittura. Questa vitalità irrompente dal pensiero mazziniano, questa eterna modernità di alcune idee centrali del grande Apostolo dell'unità, il Codignola ha saputo cogliere e raccogliere appunto in queste Pagine vìve, la cui premessa non solo illumina il lettore sui criteri seguiti nella scelta, ma dimostra come il pensiero del Mazzini inseritosi nella vena pulsante del più moderno sistema di vita sia più o meno scopertamente esso stesso un creatore di modernità. La conoscenza del Mazzini è nel Codignola quanto mai ampia e sicura : le pagine dense e limpide che precedono questa raccolta ne sono — da sole — una prova. Le note che accompagnano il testo non soffocanti e affliggenti di dottrina, sono sempre sobrie, chiare, opportune. La scelta dei passi è ottima sotto tutti i rapporti. La triplice partizione della vastissima materia già ne chiarisce il carattere e ne segna i termini. Nella prima parte la raccolta presenta pagine stupende tratte dalle più commosse delFEpistolario e da altri scritti in cui l’intimo mondo di fede, credenze, affetti del Mazzini è rivelato con suggestiva evidenza. Pagine che devono essere lette dai giovani i quali d’una sincera parola di fede hanno tanto bisogno. Ë merito del raccoglitore d’avere scelto qua*i interamente brani poco o punto noti ai non specialisti, e degnissimi, invece, d’esser ben conosciuti. La seconda parte, oltre a contenere passi di una attualità che stupirà i lettori giovanissimi, altre ne offre che giovano a illuminare il pensiero e l’azione politica del grande genovese con viva efficacia. Benissimo ha fatto il Codignola a inserirvi la lettera al Manin RASSEGNA BIBLIOGRAFICA 219 nella (piale il Mazzini confuta la stolta e menzognera accusa della « teorica del pugnale » ; anche meglio ha fatto a ripubblicare queH’« appello ai giovani » squillante anch’oggi per quanti hanno mente e cuore. E se nelle pagine di critica storica, artistica e letteraria, costituenti la terza parte, alcuni atteggiamenti, giudizi e idee del Mazzini non sono tutti — oggi — accettabili, altri sono tutt’ora tali da considerarsi definitivi. La « Missione dello storico » può essere meditata, con profitto, da molti. Della opportunità di far conoscere il Mazzini — direttamente — ai giovani mi pare che nessuno possa discutere. Non solo per quello che di vitale c’è nel grande genovese, ma per il fascino che su di essi il pensiero e la parola di lui hanno sempre esercitato. Quella sincera passione di patria, quel calore nei convincimenti, la trascinante eloquenza di quella prosa prendono l’animo giovane e vi s’imprimono per sempre. Alla nostra gioventù — come ad ogni spirito chiaro e sincero — non si deve far perder tempo nelle vuote esercitazioni retoriche, ma nemmeno si deve, per fuggir quelle, condannarla all’aridità, all’inerzia intellettuale, facendo credere ad essa che l’arido, il piatto, l’incolore siano sinonimo di realismo e praticità e serietà. Le pagine del Mazzini sono tra le più necessarie ai giovani per far comprendere* come l’altezza della mente non basti alla grandezza umana, se non è unita ad un carattere robusto e ad un cuore capace di sentire la bellezza di una fede e di una idea. In questo, il Mazzini è maestro di tutti e di sempre. Leona Ravenna Koberto Lopez, Studi sull'economia genovese nel medio evo, Torino, Lattes, 1936-XIV, pagg. 270. Ottimo volume che arricchisce la bella collezione di « Documenti e studi per la storia del Commercio e del Diritto Commerciale italiano » diretta da Patetta e Chiaudano, e su cui si è tosto rivolta l'attenzione dei cultori delle discipline storiche ed economiche. Il volume comprende tre lavori, dei quali i primi due hanno l’ampiezza e la struttura di studi organici e robusti ; l'ultimo presenta il suo maggiore interesse nella raccolta stessa dei documenti pubblicati. In tutti l’autore rivela sicura maturità scientifica, competenza specifica e felice intuito storico. Egli pensa ed elabora i suoi studi in un piano di lavoro meditato ed armonico, di cui si attende, secondo la promessa, il completo svolgimento. Intanto abbiamo qui pregevolissime trattazioni di particolari periodi ed aspetti della vita economica genovese, secondo punti di vista non comuni e sul fondamento di ricerche originali ; trattazioni 220 RASSEGNA BIBLIOGRAFICA alle quali l’agilità del concepimento e della forma assicura anche una maggior vivezza e un’attrattiva in più per il lettore. Sotto questo riguardo va messo in primo piano il saggio su « / Genovesi in Affrica Occidentale nel medio evo ». Delineato con abilità e con nitidezza di disegno — e non nuoce anche un certo sapore d’attualità — il lavoro mette in evidenza una sicura ed ampia informazione sull’argomento, una sagace valutazione dei particolari e una visione dell’insieme chiara e sensata. Il XIII è il secolo prediletto dal Lopez, che di tale periodo aureo del Comune genovese si è già occupato anche in altri scritti precedenti di riconosciuto valore. Anche il presente volume si riferisce prevalentemente a tale secolo ; tuttavia il saggio ora ricordato abbraccia più vasto spazio di tempo, giungendo tino all’epoca moderna. Se l’espansione di Genova in oriente è stata oggetto di una ragguardevole messe di ricerche storiche, non così si può dire per quella verso occidente, non ostante ottimi lavori come quelli del Caddeor del Ciasca, del Di Tucci; onde più che opportuna si ritiene la pubblicazione di questo studio, che è anche e sovratutto lavoro di sintesi e che si spera possa essere completato per altre epoche e per altre zone di particolare interesse. Lo scopo della ricerca è indicato con precisione dallo stesso autore, in quanto essa « non vuole essere una storia annalisticamente narrata, ma soprattutto una messa a punto generale fondata su alcune pubblicazioni recenti e sulla nostra personale esperienza ; e una segnalazione di punti interessanti e mal noti ». Carte portolaniche e scrittori arabi sono fonti preziose già interpretate, ed egregiamente, da altri come il La Roncière ; ma una ricca fonte da esplorarsi è costituita dai cartulari notarili, specialmente per chi voglia studiare il fenomeno dal punto di vista economico che'è poi quello che, secondo giustamente afferma il Lopez, deve essere posto a fondamento di ogni ricerca al riguardo. Le finalità prevalentemente commerciali — che per la segretezza che esigevano furono purtroppo causa delle scarse notizie tramandateci — sono perseguite per secoli da intere famiglie quali i Vivaldi, i Malfante. i Malocello. Ma vi sono altri aspetti che occorre considerare e che l’autore esamina con efficace rilievo : il religioso e il militare. L’opera dei Francescani al Marocco nel XIII secolo e in generale il fattore religioso nella penetrazione dell’Affrica sono argomenti degni di particolare segnalazione. Qui sono ricordati rapidamente insieme con le spedizioni militari, delle quali il nostro autore esamina quella più importante di Ceuta, che porta alla creazione della prima « maona ». A una successiva politica fondata su pacifici trattati si avvicendano le due crociate di Luigi IX, alle quali tanti genovesi parteciparono privatamente, e che provocarono per qualche tempo· RASSEGNA BIBLIOGRAFICA 221 un arresto dei rapporti commerciali con le terre d’Affrica, come attestano gli atti notarili. Seguono infine l’istituzione dell’« Officium Robarie » — ricondotta dal Lopez verso il 1290 — e le spedizioni punitive del doge Antoniotto Usodimare (1389 e 1390), quando già il prestigio genovese in occidente era in piena decadenza. Se poco nota è la storia economica di Genova dei secoli ΧΙΥ-Χλ , un’opera del Krueger di questi ultimi anni dovrebbe colmare la lacuna per il sec. XII, specialmente in quanto essa è fondata sui sette cartulari di detto secolo giunti fino a noi. Il Lopez analizza, con la sua competenza in materia, l’opera del Krueger facendo interessanti osservazioni. Manca in questa il regesto, clie pur sarebbe stato opportuno, dei documenti adoperati ; le statistiche, ricavate da notai non contemporanei fra loro e non fondate su una media di dati, non possono avere valore sicuro; imprecisi restano talora questi ultimi, come quelli relativi alla questione delle stagioni in cui i \iaggi avevano luogo. Preziose invece sono le notizie sulle persone e famiglie che attendono ai traffici nell’Affrica occidentale, per i quali aumentano gli investimenti negli ultimi decenni del secolo. Ma quello che è trascurato del tutto dal Krueger è da una parte « la natura, la provenienza, le proporzioni degli articoli di scambio », dall’altra « l’ordinamento interno delle colonie commerciali genovesi ». Il secondo è argomento mal noto anche per il Levante. Quanto all’occidente sembrerebbe dalle fonti che fra il XII e il XIII secolo non esistesse che la sola magistratura degli « scribi », mentre di consoli non si parla che a partire dal 1237 per Ceuta e dal 1232 per Tunisi, senza però che possiamo ricavare deduzioni sicure in proposito. Il Lopez si sofferma quindi a tratteggiare la figura dello « scriba », che troviamo nel Maghreb fin dal 11G1 e vi sopravvive alla istituzione dei consoli. Ma osserva che finora tale magistrato è stato confuso con gli appaltatori della scribania o con i soliti scribi della metropoli, laddove « lo scriba coloniale non è tanto un cancelliere e uno scrivano quanto il rappresentante del fisco della madrepatria », e come tale è probabile che esercitasse di fatto attribuzioni che furono poi dei cònsoli, la cui istituzione sarebbe stata per tale ragione ritardata. Circa la quantità, il valore e la provenienza delle esportazioni ed importazioni l’autore, riferendosi ai dati più o meno completi raccolti dal Krueger e dallo Schaube e a fonti inedite, ci presenta una sintesi interessante delle caratteristiche del commercio col Maghreb, alla quale fa seguire una rapida rassegna delle svariate merci di scambio^ Fra queste merci particolarmente prende in esame l’oro proveniente, con gli schiavi e rallume, dall’interno dell’Affrica, dalla re- 222 RASSEGNA BIBLIOGRAFICA gione del Bambuk fra Senegai Faleine e Niger, intorno alla quale si costituirono tutti i grandi imperi sudanesi dagli antichi imperi di Ghana e di Mali tino ai moderni di All-Hagg-Omar e di Samory. Gelosamente era celato dai cercatori il procedimento con cui ricavavano la polvere preziosa, e il curioso scambio muto del metalla con le merci importate avveniva nel medioevo in un’isola fluviale del Bambuk, senza incontro e contatti con i mercanti, che lasciavano colà i propri articoli ritornando più tardi a ritirare l’oro che i negri vi depositavano in compenso : la religione animistica giustificava poi il mantenimento di quel segreto. L’oro del Sudan per le carovaniere del Sahara sboccava ai porti della Barberia e dell’Egitto e alla costa atlantica. I Genovesi sino alla fine del XIII secolo avevano concentrato il proprio commercio nel Mediterraneo ; tuttavia il primo contratto pervenutoci per Salehr oltre Gibilterra, segue immediatamente il trattato stipulato da Genova con lo stato Almohade nel 1161. Ma dopo il 1161 la denominazione di Saleh è sostituita da quella generica di « Garbo », che serviva a tutelare maggiormente quella segretezza commerciale, che rende tanto reticenti gli atti notarili del tempo. Questo scalo, che sullo scorcio del duecento occupa per attività nei commerci di Genova il terzo posto dopo Oeuta e Bugia precedendo Tunisi, era frequentato dai Genovesi — come suppone il Lopez — specialmente per l’oro del Bambuk, che veniva da quei mercanti trasportato dal Sudan all’Affrica mediterranea; ed i rapporti pacifici durarono fin oltre il vano tentativo di dominio religioso di Innocenzo IV e l’effimera conquista cristiana del 1260. Intanto le navi genovesi avevano già raggiunto un nuovo porto più meridionale e vicino alla regione dell’oro, quello di Safi ; fatto questo che il nostro autore mette in relazione e spiega con la simultanea coniazione del genovino d’oro avvenuta nel 1252. Ed ecco la-sublime impresa dei Vivaldi (1291), quella di Lanzerotto Malocello alle Canarie (1312), ed altri sempre più frequenti viaggi, dal XIII al XV secolo, verso l’Atlantico meridionale ; viaggi che hanno certo un fondamento ed uno stimolo economico ma che nulla perdono per ciò della loro luce eroica ; imprese a cui forse giovarono i perfezionamenti della tecnica navale (pur discutibile in qualche caso), ma che rimangono testimonio soprattutto dell’audacia dei marinai italiani. Purtroppo però, con la decadenza politica di Genova, l’ardimento dei suoi figli veniva ormai messo a servizio dello straniero. Interessante è pure la penetrazione terrestre dei Genovesi nel-l’Affrica occidentale, anche più difficile però a conoscersi dell’esplorazione marinara. Il primo viaggio a noi noto è del 1202 ed ha per meta Tazuta (a sud di Melilla). Secondo l’ipotesi dell’autore, si tratta della spedizione di un inviato del Comune genovese o di Be- RASSEGNA BIBLIOGRAFICA 223 nedetto Zaccaria in rapporto alla vittoria allora riportata da quest’ultimo su la flotta marocchina. Altro anonimo è il viaggiatore e « dignus mercator » genovese, dimorante a Ligelmessa e in relazioni commerciali con i mercanti Fonaregh, che — senza accennare all’oro — aveva fornito notizie a Giovanni Mauro di Carignano per il suo planisfero, in cui sono segnate le località riguardanti il muto baratto dell’isola Palolus. Più tardi, nel 1447, dall’oasi di Tuat a dodici giornate di cavalcata nell’interno del deserto, manda, con una lettera al socio Pei -civalle Marioni, il suo poco favorevole « rendiconto commerciale » Antonio Malfante, del quale già si è occupato particolarmente il Di Tucci. 11 viaggio gli era stato certo ispirato dai cartografi ebrei di Maiorca e lo scopo dovette essere senza dubbio il solito : l’oro del Bambuk. Egli aveva portato panni per il baratto; ma quei benedetti negri andavano nudi ! Onde suggeriva al socio altre merci di scambio : sale e rame. Anche questa volta, come intorno al 1252, motivo determinante della spedizione dovette essere una nuova trasformazione monetaria avvenuta in Genova appunto nel 1447, quando cioè la casa di S. Giorgio instaurava, per consiglio di Benedetto Centurione, una specie di monometallismo aureo. Ma certo di numerosi altri viaggi non giunse a noi notizia, come ce ne pervenne invece di quelli compiuti da Antoniotto Usodimare col Ca’ da Mosto lungo il Gambia e fino alle isole Bissagos, sempre intensi alla medesima ricerca. Si intensificavano frattanto le spedizioni nel Sahara e nel Sudan, alla fine del XV sec., quando la scoperta dell’America e quella della via per le Indie, venivano a modificare sostanzialmente la situazione ; non così però da stroncare del tutto la penetrazione dei Genovesi nell’Affrica occidentale durante l’età moderna, intorno alla quale l’autore ci promette un altro saggio. Studio ben inquadrato e solido è quello sulle « Origini dell'arte della lana ». Erudizione ed acuta interpretazione di documenti e di situazioni non cedono dinanzi alla ponderata agilità del saggio precedente. L’autore, dopo uno sguardo all’antichità e all’alto medioevo, prende le mosse da una constatazione di fatto : il commercio in Genova riassorbe naturalmente in sè le migliori e le maggiori energie e i più cospicui capitali, di fronte all’industria ristretta, oscura, per lo più finanziata da donne, da provinciali e da vecchi mercanti a riposo. Denaro e braccia sono chiamati irresistibilmente al mare: debole è l’operosità industriale anche poco studiata del resto dagli storici, specie per il periodo più antico ; inoltre fra le tipiche figure del mondo medioevale genovese quella dell’artigiano non è stata peranco completamente tratteggiata. 224 RASSEGNA BIBLIOGRAFICA Il Lopez concorre a colmare siffatta lacuna con lo studio di una delle arti più importanti. Egli pensa che non sempre, come comunemente si fa, possa ricostruirsi il periodo di formazione dell’industria comunale sulla base di tardivi statuti delle arti; così per Genova osserva che la situazione del XIII sec. non è per nulla rispecchiata dagli statuti del Boucicault e che « il regime economico e giuridico delle origini dell’arte laniera è totalmente diverso da quello che si stabilirà più tardi ». Al qual proposito una premessa fondamentale è anzitutto necessaria. Ed è questa : che il lavoro che stiamo per esaminare non ha un semplice interesse locale, ma possiede un suo particolare valore di carattere generale, che lo distacca nettamente da tutte le precedenti opere pubblicate sulle arti delle diverse regioni. Di fatto è in esso tracciato ed applicato un metodo nuovo nello studio della storia-delie attività artigiane: quello di rifarsi, nelle ricerche sul periodo delle origini, non alle regole statutarie di epoche posteriori, ma agli atti sincroni, che il Lopez anche qui sa scegliere con felice mano dai preziosi cartulari notarili. Ciò premesso, notiamo che, fra gli ostacoli che si opponevano al progredire dell’industria della lana in Genova l’autore ricorda subito il commercio estero, data la forte concorrenza che questo creava all’interno. E più temibile ancora della concorrenza dei panni fran-ceschi e inglesi era quella dei lombardeschi, per quanto meno pregiati, che a Genova confluivano anche per la riesportazione verso altre parti d’Italia e fuori. Mancavano poi misure protezionistiche, che sarebbero state svantaggiose alla massa preponderante dei mercanti e dei navigatori, i quali tenevano nelle proprie mani il Comune. Così dell’arte della lana non si ha per lungo tempo traccia nei documenti. Nel notulario di Giovanni Scriba (1154-1164) non si trova nessuna indicazione di lanaioli, e scarsi riferimenti si hanno in quelli dei notai successivi, rinvenendosene un numero meno esiguo soltanto negli atti di Maestro Salmone (1222-1226), che pur ci fornisce il nome di appena trentasette artigiani della lana, e questi quasi tutti forestieri, immigrati isolatamente o in cerca di fortuna o per sfuggire persecuzioni religiose, favoriti dalla larga ospitalità concessa dal Comune genovese. Fra di essi va ricordato un nucleo di Umiliati, i quali nel 1228 fondavano in Genova una Aliale della casa madre di Alessandria. A proposito di questi però il Lopez mostra sulla scorta dei documenti e correggendo l’opinione corrente, che la loro importanza circa lo sviluppo dell’arte della lana nella città ligure va alquanto limitata, esistendovi già tale industria prima della venuta di essi, e non apparendo la loro attività maggiore di quella degli altri lanaioli. Cinque monasteri esercitavano in città l’arte, ma, a quanto si può dedurre dagli atti notarili illustrati dal nostro autore, non ec· RASSEGNA BIBLIOGRAFICA 225 Gelivamente prosperi dovevano essere i loro affari ; mentre intanto si accresce, fra il 1234 e il 1240, il numero degli artigiani nuovi immigrati che vengono in Genova con la fiducia di trovarvi un campo meno sfruttato e perciò più redditizio, e le condizioni dei lavoratori sembrano migliorare ed essi cominciano a fissarsi in un quartiere proprio fra la- Cliiesa di S. Stefano e il Rivotorbido. L’incremento dell’arte si accentua dopo il 1241 per culminare nel primo semestre del 1255; e il Lopez, che ne documenta la consistenza, ne dà pure ingegnosa spiegazione in rapporto alla guerra del Comune con Federico II e al sistema bimetallico del 1252. Aumentano i contratti di garzonato e di lavoro ; si aprono nuove botteghe e nuove vie nel Borgo dei Lanaioli ; nativi della città sempre in maggior numero si aggiungono ai forestieri nell’esercizio dell’arte. Notizie importanti sui vari generi di panni, sulle qualità delle lane e loro provenienze e sulle sostanze coloranti portano l’autore alla conclusione che il minor progresso di tale industria rispetto alle Fiandre ed a Firenze non dipendeva certo dalla deficienza di buone materie prime in Genova, dove anzi queste ultime in parte si accentravano per la riesportazione un po’ dovunque. Utilizzando opportunamente i dati forniti da numerosi atti, il Lopez può parlarci poscia delle condizioni delle apothecae del duecento genovese, delle diverse categorie di artigiani e lavoratori in rapporto all’arte studiata, ricostruendo le diverse fasi della lavorazione dei panni. Una particolare trattazione hanno alcuni mestieri più o meno intimamente collegati con l’industria laniera. Così i tintori, che ci presentano con i loro rectores del 1222 il primo esempio conosciuto di magistratura professionale in Genova (i più antichi consules mulionum appartengono a un mestiere propriamente fuori del campo artigiano), costituiscono una categoria più antica e conservarono in generale una certa superiorità rispetto ai lanieri. Come i tintori, così i tonditori e garzatori sono quasi tutti genovesi e precedono in tempo i lanieri, fatto dovuto alla precedenza dell’introduzione dei panni forestieri di fronte alla tessitura locale. E con i tavernarii (mediatori di panni) e i negozianti di lana sono pure ricordati i maclia/t'oUi, che gareggiano con i lanieri, ottengono propri capitoli nel 1306 ed abitano in un quartiere distinto e lontano a Porta dei Vacca. A completare il quadro della vita dei nostri artigiani non mancano infine accenni alla figura della moglie del laniere (laneria), alle risse interne, ai costumi familiari e alle condizioni economiche di detti artefici. Riguardo al loro ordinamento interno, vengono esaminati anzitutto i contratti di garzonato, che sono contro la consuetudine variabilissimi di forma. 226 RASSEGNA BIBLIOGRAFICA La distinzione fra discipuli e laborantes e quindi fra discepolati e contratti di lavoro, come quella fra il lanerius stesso e il lavorante non è sempre ben chiara e netta ; in generale si può affermare che il progresso delParte si accompagni con un miglioramento delle condizioni dei garzoni, probabilmente, come osserva il Lopez, per l'interesse che avevano i lanaioli ad attirare alla loro industria gio vani, che si sarebbero altrimenti dedicati ad altre attività più rimunerative quali quelle del commercio e della navigazione. Il numero dei collaboratori nella bottega del lanaiolo era vario ma non mai molto elevato; talvolta il maestro ricorreva all’opera di lavoratori a salario, e meno frequentemente ancora dava lavoro da eseguirsi fuori della sua bottega : si hanno inoltre anche forme di societates fra artigiani dovute al bisogno di reciproco aiuto, tanto che col diminuire della penuria di capitali, tali rapporti associativi vanno pure scomparendo. 1 grossi capitali non venivano investiti in questa industria e gli stessi minuti risparmi trovavano spesso impiego più redditizio nel traffico internazionale. Tale penuria^ di denaro determinava conseguenze deleterie nell'arte, come lo scarso numero di vendite a credito, che il Lopez, a differenza di altri, ritiene dovuto alla necessità di vendere a contanti per realizzare il denaro occorrente per il pagamento della lana comperata a credito, a breve scadenza e naturalmente di solito al minuto. E tale mancanza di denaro, prima ancora del formarsi di regole comparative, stringe i lanieri in solidarietà vicendevole, la quale a sua volta, nell isolamento in cui essi vivono in mezzo alle altre varie forme di attività economiche, provoca una inevitabile e generale ripercussione di ogni dissesto che colpisca anche pochi di detti artigiani. Trattando della prima organizzazione giuridica dell’arte,^ l’auto-re non si riferisce di proposito, per le ragioni già dette, nè a statuti contemporanei di altre città, nè a quelli tardivi del Bucicaldo. Se detta organizzazione va delineandosi per tutti i mestieri nel secolo XIII, giungendo al principio del trecento al suo completo sviluppo, essa non presenta dapprima, in tutti i casi, un egual grado di evoluzione, variando il tempo in cui si formarono le diverse attività artigiane. Da una perspicua interpretazione dei documenti esaminati, il Lo pez deduce le non molte notizie che si possono fissare sul primo periodo delParte della lana. Certo il Comune, fin dai primi tempi emanò norme riguardanti i diversi mestieri (si veda il breve della Campagna del 1143) : ma nulla si conosce relativamente ai lanieri fino al 1244. In quest'anno abbiamo il primo esempio pervenutoci di un accordo collettivo di lanaioli : ma solo nel 1255 troviamo menzionati in altro istrumento « ministri seu rectores laneriorum », senza però che Parte propriamente detta risulti organicamente costituita^ man- RASSEGNA BIBLIOGRAFICA 227 cando i consoli di tale corporazione ancora nel 1261 fra quelli che sottoscrivono il trattato di Ninfeo. Finalmente nel 1274 dopo la co. stituzione della « felix societas apostolorum Simonis et Judae » con l’Abate del popolo, troviamo menzione di uno statuto delParte della lana, retta ormai da due consoli e da un regolare Consiglio. Se si considerano però le attribuzioni di questi magistrati, non pare che esse fossero sempre ben definite, come nel caso dell’arbitrato, deferito, per quanto ci risulta, a compagni di lavoro. Da questa osservazione e dalle altre fatte precedentemente sull’incertezza di regole interne relative al garzonato, ai dipendenti del maestro, ai rapporti con le arti affini, all’ingresso dei forestieri, si giunge alla conclusione che la nostra corporazione non dovette avere quella saldezza di organizzazione che possedeva tale arte in altre città italiane. Fu anche questa una delle cause principali della crisi che si determinò a Genova in questa sfera di attività industriale verso la fine del 1255. Il fatto è per la prima volta portato a nostra conoscenza dal Lopez, che attraverso lo studio attento ed acuto dei numerosi atti notarili consultati, ricostruisce i momenti fondamentali di tale crisi, adeguatamente valutata nelle sue cause e nelle sue conseguenze. Nulla fa pensare al tracollo: in quello stesso anno vi è movimento insolito nell’arte e si avvia anche una esportazione di panni genovesi, iniziata già negli anni precedenti. Nel 1255 i lanaioli dàn-no più di frequente la loro merce in accommenda, anziché a credito, per mercati relativamente vicini in Italia e in Provenza, ed essi stessi esercitano in persona tale commercio marittimo : segno della difficoltà di vendita· sul mercato interno e di una crisi di sovrapro-duzione che non può essere superata, per la scarsezza dei capitali di riserva di cui possono disporre. Ed ecco la serie dei fallimenti improvvisi e per somme che non paiono davvero cospicue con la conseguente depressione dei prezzi e la ripercussione inevitabile — per le ragioni già accennate — anche nelle più solide aziende e per gli anni successivi, che registrano un allentamento negli affari e nella vitalità delParte laniera. Dall’esposizione di tali avvenimenti il Lopez prende inoltre lo spunto per riesaminare rapidamente i torbidi popolari che portarono alla creazione del primo Capitano del popolo, Guglielmo Boccane-gra, nel 1257. Più che nelle malversazioni del Podestà Filippo Della Torre, la causa del rivolgimento egli vede specialmente nella reazione contro l’aristocrazia ; nè crede doversi respingere fra i motivi determinanti del moto la introduzione negli statuti comunali delle costituzioni pontificie contro gli eretici (1256) ; cosa che ebbe certo a suscitare malcontento fra i lanaioli, non pochi dei quali inclinavano all’eresia. Si presenta quindi a questo punto il quesito: quale parte ebbero 228 RASSEGNA BIBLIOGRAFICA le arti nella rivoluzione del 1257? Nulla si sa di preciso. È da osservarsi per altro che tutte le corporazioni artigiane propriamente dette potevano avere ragioni di malcontento e per la concorrenza delle merci importate dai traffici dominanti, e per la distrazione di capitali e di uomini dal loro campo di attività, donde le deboli risorse finanziarie, l’affluire di artigiani forestieri, e un certo disagio generale (fatta eccezione per l’arte della seta) nel periodo dei molti fallimenti dei lanieri sopra ricordati. Per questi ultimi poi i mali risultavano sempre più accentuati : la loro crisi cadeva nello stesso anno dell’infelice podestariato del Della Torre, sotto il quale il gravoso sistema di tassazione con relativo appalto a benefìcio della nobiltà aveva determinato danni e proteste da parte del popolo. Nulla più verosimile, dunque, anche se ne manchino le prove, che gli artigiani e fra questi i lanaioli avessero parte nella rivoluzione che creò il Capitano del popolo, pur non avendo gli artifices potenza di organizzazione sufficiente per esercitare essi stessi una preminente azione nel nuovo ordinamento politico. Piuttosto si dovrà pensare che il Boccanegra — figura che, come rilevò il Vitale, molto si accosta a quella del « signore » — cercasse nella classe artigiana un appoggio e una base contro la nobiltà, come mostrò chiamando intorno a sè i « consules ministeriorum ac capitudinem artium ». Lo studio si chiude con la pubblicazione integrale di una serie di importanti docuinenti e con ampie ed accurate Tabelle, le quali per se stesse costituiscono una fonte utilissima di dati che, desunti dai cartulari notarili, valgono a comprovare molte delle precedenti asserzioni e a dare, per i diversi lanaioli, una precisa idea dell’attività commerciale, del potere d’acquisto e delle forme della loro produzione. L’ultimo lavoro è una « Nota sulla composizione dei patrimoni privati nella prima metà del Duecento » : lavoro che veramente, come dice l’autore, « considera e riflette la vita economica e sociale da un punto di vista insueto ». Il principale valore della pubblicazione consiste proprio nei venti documenti tolti essi pure dai cartulari dell’Archivio genovese. Si tratta di una serie interessante di inventari, che vanno dal 1227 al 1201, dai quali si può comprendere quale fosse la consistenza dei patrimoni privati in detta epoca, per le diverse classi sociali, quanto a ricchezza mobiliare e immobiliare, commende, terreni, case, ecc. Gli inventari sono razionalmente scelti fra molti altri esaminati, in modo da fornire una esemplificazione sufficientemente completa suH’argomento studiato, che non è qui, come di solito, il costume o la linguistica, bensì la vita economica e sociale della città. Anche sotto questo particolare riguardo molte sono le deduzioni che se ne RASSEGNA BIBLIOGRAFICA 229 potrebbero ricavare ; e il Lopez ne dà nelle pagine introduttive un saggio rapido e succoso. Pone egli in rilievo le caratteristiche patrimoniali di membri di famiglie feudali, come il marchese di Gavi, o di famiglie viscontili, come i I)e Castro o De Cassello e i Dalla Volta antagonisti degli Avvocato, da cui si differenziano oltre che nel campo politico anche in quello economico, manifestandosi una; maggiore resistenza di potere da parte dei primi, che avevano rivolto tutta la loro attività al commercio, mentre gli avversari ne erano rimasti del tutto estranei. Altri inventari riguardanti nobili famiglie vengono illustrati ; inventari nei quali appariscono numerose commende e in un caso anche quietanze di commende. Immobili rurali si riscontrano in prevalenza fra i beni di famiglie minori venute dal contado, quando già esse non abbiano investito, come talora si verifica, il loro patrimonio nei traffici. Di interesse particolare sono poi gli inventari di professionisti, bottegai, artigiani, come quelli di un giudice, di uno scriba del comune, di uno speziale e di vari a/ì'tifices fra cui un lavaiolo, il più modesto di tutti. Importante osservazione generale è che, nonostante la poca uniformità patrimoniale delle diverse classi, la proprietà della terra ed il commercio risultano di regola nettamente separati, almeno per l’epoca qui considerata. Cose degne di nota sono infine l’intensa attività affaristica delle donne ; la larga diffusione delle commende ; il fatto che denaro liquido, gioielli, oggetti di abbigliamento non si trovano più abbondanti presso le famiglie maggiormente ricche; il possesso generale di armi ; lo scarso numero di servi, ecc. La lettura di quest’ultimo lavoro completa così una visione sufficientemente precisa, colorita ed anche organica — non ostante le lacune e le ombre — del duecento genovese studiato sotto Paspetto economico-sociale, che è poi fondamento al processo politico e ci permette di penetrare più a dentro nella vita reale del popolo. Visione eminentemente plastica, penetrazione viva, realtà e concretezza che solo si possono attingere attraverso il documento palpitante, attuale, quando questo si sappia analizzare, intendere ed interpretare con intelligenza e dottrina. Ed è ciò appunto che il Lopez sa fare egregiamente. Onorato Pàstintb 230 RASSEGNA BIBLIOGRAFICA A. M. Ghisalberti, Lettere Lasciano, 1937-XV. LO ZUCCHERO NEL LAVORO E MEGLI SPORTS Dato l’attuale ritmo della vita, lo zucchero dovrebbe essere l’alimento di elezione in ogni campo della vita pratica e intellettuale, dove si lavora e dove si pensa, nelle fabbriche e nelle scuole, nelle caserme e nello sport, là dove necessita attuazione pronta di energia e di velocità. Quando si lavora, il lavoro risulta fisiologicamente più economico se viene eseguito dopo un pasto ricco di zucchero, che dopo un pasto in cui abbondano grassi e carne. E ciò, non solo perchè lo zucchero scalda meno i congegni del nostro organismo, ma perchè è l’alimento proprio e più indicato nel lavoro dei muscoli. Lo zucchero è il vero carbone del motore animale, e carbone di prima qualità, anche perchè non dà scorie, nè origina, nel suo ricambio, alcuna sostanza tossica. Si comprende, quindi, come, ingerendo zucchero durante il lavoro, si possa dare un maggior rendimento e come esso possa giovare nel ristoro dopo la fatica. Sono classiche le ricerche eseguite dal Mosso e dalla sua scuola, e dal Harley, sul potere ristoratore dello zucchero nelle ascensioni alpine ed, in genere, negli sports violenti. Scrive Angelo Mosso nella “ Fisiologia dell’uomo nelle Alpi „ : “ Lo zucchero ha il potere di aumentare la forza dei muscoli. Dal muscolo affaticato può ottenersi una più grande energia bevendo semplicemente una soluzione di zucchero nell’acqua. A che cosa è dovuta l’improvvisa caduta di forze, la défaillance che, a volte, coglie l’atleta nel fervore della gara o l’alpinista che ascende la montagna ? Indagini moderne hanno dimostrato che dipende da una discesa di zucchero nel sangue, da una ipoglicemia. Basta allora mangiare un po’ di zucchero, bere uno sciroppo, per sentire rinascere le forze e l’energia di proseguire „. Lo zucchero, alimento fisiologico, deve essere consumato sopratutto dai lavoratori e dagli sportivi. Dalla pubblicazione del compianto Prof. Gaetano Viale, Direttore dell’istituto di Fisiologia della R. Università di Genova : Lo zucchero nelValimentazione, nella terapia, negli sports, nel lavoro. (Genova, 1933, Barabino e Graeve). GIORNALE STORICO E LETTERARIO DELLA LIGURIA La pubblicazione esce sotto gli auspici del JMunicipio e della R. Università di Genova, della R. Deputazione di Storia Patria per la Liguria e del JMunicipio della Spezia ABBONAMENTO ANNUO: per l’Italia Lire 30 ^ per l’Estero Lire 60 Un fascicolo separato Lire 7,50 - Doppio Lire 15 DIREZIONE E AMMINISTRAZIONE : Genova. Via Lomellini, n (Casa Mazzini) “TERNI SOCIETÀ PER L’INDUSTRIA E L’ELETTRICITÀ Anonima con Sede in Roma - Yia Due Macelli, 66 (Palazzo Proprio) Direzione Tecnica Commerciale ed Amminist. in GENOVA - Via S. Giacomo di Carignano, 18 (Palazzo Proprio) CAPITALE L. 430.000.000 Stabilimenti In TERNI, PAPIGNO, COLLESTATTE, CERVARA, NARNI, GALLETO, PRECI, NERA, MONTORO, SPOLETO 6 Centrali Elettriche con 250.000 kw installati Indirizzo Telegrafico: ELETTROTERNI, per Roma, Genova, Temi e Spoleto Telefoni, per ROMA: 61660 -65765 - per GENOVA: 54291-54295-52021-52035 PRODOTTI: Lingotti in acciaio comune e inossidabile (Steinless) - Bidoni -Getti in acciaio comune, al nichel, al cromo-nichel, al manganese e inossidabile - Getti, in ghisa e bronzo - Corazze - Lamiere forti ordinane, da caldaie, sal-dabili per condotte d'acqua, al manganese per casseforti, in acciaio diamagneti-co o in acciaio tenace al nichel - Lamiere nere sottili ordinarie e speciali per areoplani, magnetiche per motori e trasformatori ecc. ecc. dello spessore di due decimi di millimetro in su - Latta - Travi ed altri profilati in omogeneo -Tondini per cementi armati - Tubi di ghisa per condutture e relativi apparecchi idraulici - Tubi pluviali - Acciai speciali e da utensili al carbonio e rapidi - Pezzi di qualunque forma e grandezza in acciaio fucinato Forgine per cannoni - Proiettili - Materiale ferroviario e navale -Linee d’assi per navi - Cerchioni - Assi montati - Costruzioni metalliche - Caviglie · Chiodi - Bulloni - Aratri tipo Miliani - Ligniti - Cementi - Materiali refrattari - Carburo di Calcio - Calciocianamide -Ammoniaca Sintetica - Alcool Metilico sintetico - Acido solforico — Acido Nitrico - Solfato d’ammonio - Ossigeno ed altri prodotti dell’elettrochimica - Produzione e commercio di energia elettrica. Spedinone in abbonamento postale ANNO XIII - 1937 - XVI Fascicolo IV - Ottobre-Dicembre R. DEPUTAZIONE DI STORIA PATRIA PER LA LIGURIA GIORNALE STORICO E LETTERARIO DELLA LIGURIA PUBBLICAZIONE TRIMESTRALE Direttore: ARTURO CODIGNOLA Direzione e Amministrazione GENOVA, Via Lomellini, 11 (Casa Mazzini) SOMMARIO Mario Pedemonte, Paganìniana, pag. 241 — F. Hosmer-Zam-belli, Gli scavi in Val delVAquila, pag. 249 -— Umberto Valente, Lettere di Reali alVAmmiraglio Conte Giorgio Des Geneys, pag. 257 — Renzo Baccino, Discussioni e commenti, pag. 267 — Ferruccio Sassi, Riviera di Levante e Lunigiana nella politica navale genovese dopo lo sfacelo della Marca, pag. 271 — RASSEGNA BIBLIOGRAFICA: Vito Vitale, 1 dispacci dei diplomatici genovesi a Parigi (Arturo Codignola) — Paolo Peola, L'Ambra, il Cigno e Vorigine dei Liguri (Renzo Baccino) — Carlo Agrati, I Mille nella storia e nella leggenda ; Da Palermo al Volturno (Leona Ravenna) — Pietro Ferrari, Il «Comune» di Pontremoli e la sua espansione territoriale in Val di Vara (Ferruccio Sassi), pag. 279 — Renato Giardelli, Saggio diuna^ 5i-bliografia generale della Corsica, pag. 294 — Comunicazioni della R. Deputazione di storia patria per la Liguria, pag. 303 — Renzo Baccino, Spigolature e notizie, pag. 306 — Appunti per una bibliografia mazziniana, pag. 311. CASSA DI RISPARMIO E MONTE DI PIETÀ’ DI GENOVA RICEVITORE PROVINCIALE PER LA PROVINCIA DI GENOVA FILIALI GENOVA GENOVA GENOVA GENOVA GENOVA GENOVA GENOVA GENOVA GENOVA GENOVA CENTRO (Agenzia A) (Agenzia B) SAMPIERDARENA SESTRI PEGLI VOLTRI RIVAK0L0 B0LZANET0 P0NTEDECIM0 NERVI VALB SAGNO ALASSIO ALBENGA ARENZANO BORDIGHERA BUSALLA CAMPOUGURE CHAVARI FINALE LIGURE IMPERIA II L0AN0 MONTOGGIO NOVi LIGURE PIETRA LIGURE PIEVE DI TECO RAPALLO RECCO REZZOAGLIO S. REMO S. MARGHERITA LIGURE SESTRI LEVANTE TAGGIA TORRIGLIA VARAZZE VARESE LIGURE Accogliete con amicizia ed ascollale con attenzione IΔ-gente produttore dell’ ISTITUTO NAZIONALE DELLE ASSICURAZIONI che viene a proporvi un contratto. Esaminando senza preconcetti le sue offerte, agirete da persona intelligente e perspicace. I pochi minuti di attenzione che esso vi chiederà e che voi riterrete di avere dedicati a lui, SARANNO INVECE I MEGLIO SPESI PER VOI E PER LA VOSTRA FAMIGLIA NON RIMANDATE A DOMANI CIO’ CHE POTETE FARE OGGI AGENZIA GENERALE DI GENOVA - VIA G. BOCCARDO 1 p. Agente Generale Grand’Ufficiale ALBERTO P. SALT Tel. 2-51-265 - 51-593 - 580-814 Anno XIII - 1937-XVI Faecicolo IV - Ottobre-Die· rubre GIORNALE STORICO E LETTERARIO DELLA LIGURIA Direttore: ARTURO CODIGNOLA Comitato di redazione : CARLO BORNATE - PIETRO NURRA - VITO A. VITALE PAGrANINIANA Il titolo, trovato da Arturo Codignola per comprendervi la mia prima recensione a « Paganini intimo » ed alcuni spunti polemici riguardanti la « Vita di Nicolò Paganini » del Conestabile, nuovamente edita ed annotata da Federico Mompellio, mi pare convenga ottimamente ad una specie di rubrica, che intendo iniziare in questo numero del « Giornale » e spero continuare nei successivi, per enunciare, esporre, discutere argomenti che abbiano un preciso riferimento, mediato o immediato, alla vita o all’arte del grande violinista italiano. In altre parole il titolo riassume un vasto programma di lavoro per me, nello stesso tempo rivolge un cortese invito a tutte le persone di buona volontà, perchè comunichino al « Giornale » dubbi, ipotesi, supposizioni, proposte, dati certi o probabili, insomma tut te le notizie comunque interessanti il tema « Paganini », comprese le segnalazioni di opuscoli occasionali ignorati, di articoli in quotidiani o periodici vecchi e nuovi, di passi o accenni trovati in libri o riviste delle più disparate specialità. Se l’iniziativa germoglia e cresce ad albero robusto, apporterà indubbiamente nn notevole contributo alla preparazione dell’immi-nente centenario, che Genova, come suol sempre fare, celebrerà in modo degno. Πο detto che il titolo fu trovato per la mia prima recensione a « Paganini intimo », lasciando così supporre che di recensioni io ne abbia scritte più d’ima. Finora ho pubblicato soltanto quella, nella quale però accennavo che sarei ritornato sull’argomento, anche per tener viva la fiamma accesa dal Codignola. A questo scopo e insieme per documentare la vasta risonanza destata in tutta Europa ed in America dal libro di Arturo Codignola, avrei voluto pubblicare anzitutto una rassegna particolareggiata delle numerose recen sioni che ho potuto raccogliere, e completare di poi il mio primo 242 MARIO PEDEMONTE giudizio esponendo quanto mi hanno suggerito i giudizi altrui. Infatti i molteplici recensori, illuminando con varia predilezione questo o quel dettaglio della vita o dell’arte paganiniana, mi hanno lasciato scorgere indizi ed elementi, ai quali non avevo badato prima, come del resto non vi hanno badato gli altri, mentre ora riconosco che meritano di essere considerati con attenzione. Avevo anzi pensato di iniziare questa « Rubrica » colla « Recensione delle Recensioni » a « Paganini intimo », senoncliè mi è sembrato che una tale rassegna di giudizi si presentasse piuttosto come una conclusione. non come un inizio. D’altra parte, poiché il libro di Arturo Codignola acquista ogni giorno importanza più evidente e diffusa, sarà sempre di attualità il parlarne anche fra qualche tempo, quando se ne potrà constatare l’influenza decisiva sui biografi e commentatori, la cui attività ferve intensa in questa vigilia del centenario. Intanto comincio col dichiarare che proprio « Paganini intimo » mi ha suggerito l’idea di questa « Rubrica » e in certo modo me ne ha tracciato il Programma preventivo. Ho detto preventivo perchè attualmente il programma si presenta come un elenco di interrogativi, ai quali sarebbe utile rispondere in modo esauriente e preciso, mentre invece ci dovremo accontentare di ben altro. Purtroppo molte risposte saranno incomplete, altre soltanto probabili, alcune continueranno ad essere un desiderio insoddisfatto. Ma se anche la speranza più rosea per certi interrogativi ci lasci.a prevedere tutto al più una conseguente concatenazione di ipotesi, più o meno fondate, non si deve rinunciare al tentativo generoso. Le ipotesi hanno spesso la capacità di suscitare ed infervorare la discussione, ed è appunto questa la meta che si propone la « Rubrica » . Interessare all’argomento una sempre più vasta cerchia di persone e indurle a interloquire con sempre più animata vivacità. La meta è lontana, forse inaccessibile, ma la difficoltà ne accresce l’attrattiva, anzi addita un’altra meta più lontana, più impervia, più seducente ancora: ridestare tra le folle il fascino paganiniano e creare un’atmosfera di passione e di fervore, perchè le manifestazioni celebrative del prossimo centenario si svolgano in un clima di entusiasmo vivo, diffuso, sincero, fecondo. Non mi faccio illusioni; so benissimo che per destar echi sonori e multipli si richiede una voce possente, ma è pur bello lanciar alto il nostro grido nell’aria, che lo porti lontano e ripeterci col poeta. Heu milvi, quod nostro est parvus in ore sonus! Sed tamen exiguo quodcumque e pectore rivi Fluxerit, hoc patriae serviet omne meae. PAGANI NI AN A 243 * * * Dato il carattere e lo scopo della « Rubrica » essa si dividerà in due parti ; nella prima vi sarà la trattazione di un argomento pa-ganiniano, nella seconda saranno catalogate le comunicazioni ricevute, a ciascuna delle quali seguirà subito· un commento o il preavviso di un commento più vasto nella puntata successiva. Gli argomenti che per ora propongo a me ed ai miei ipotetici col-laboratori sono : I) L’ambiente musicale genovese nel ’700, considerato nelle tre manifestazioni : musica in chiesa; musica in teatro; musica in concerto. II) I ‘maestri genovesi di Nicolò Paganini, con speciale riguardo a Giacomo Costa esecutore, didatta, compositore. Ili) I musicisti genovesi, di nascita o di elezione, coetanei di Nicolò Paganini. IV) I grandi esecutori ammirati da Nicolò Paganini nella sua adolescenza e giovinezza. V) Paganini esecutore. VI) Paganini compositore. VII) L’orgoglio dell’artista, la fierezza dell’italiano, la generosità dell’uomo verso i famigliari, gli amici, ed anche verso i nemici. Vili) La tecnica violinistica prima e dopo Paganini. IX) L’arte della strumentazione prima e dopo Paganini. X) La storiografia e la critica paganiniana contemporanea, immediatamente posteriore, attuale. Quest’elenco di argomenti può subire varianti impreviste e imprevedibili, sopratutto nell’ordine ; inoltre ogni argomento può essere svolto sotto vari aspetti, e, speriamo, anche in contradditorio. Se nessuno interloquisce, sono deciso a continuare da solo il monotono monologo, nella certezza di riuscii* egualmente utile, e cercherò io stesso in giornali, riviste e libri qualche accenno paganiniano, degno di commento. Se invece la conversazione sboccia e si propaga vivace ed arguta tra parecchi, non solo la « Rubrica » acquisterà importanza ed interesse ed attrattiva, ma dal rapido intrecciarsi di proposte e risposte improvvise sorgeranno altri argomenti, altre idee, altre interpretazioni ed una sempre più intima e diffusa conoscenza dell’uomo e dell’artista. Nella speranza, a dir il vero tenue e vaga, di trovar sul mio cammino una compagnia numerosa e garrula, affronto serenamente la prima tappa. 244 MARIO PEDEMONTE L’AMBIENTE MUSICALE GENOVESE NEL SETTECENTO I LA MUSICA IN CHIESA Quando, all’inizio del seicento, la severa polifonia vocale pura cedette il posto alla polifonia ed alla monodia accompagnata; quando all’organo si associarono altri strumenti e tra gli esecutori cominciò ad eccellere un gruppo di solisti, poi un unico solista, la musica in Chiesa acquistò sempre maggior popolarità, non solo nei grandi centri, ma anche nei minori e persino nelle umili borgate, tutte ambiziose di sfoggiare nelle loro feste solenni un decoro musicale attraente e fastoso. Mentre da prima un’esecuzione decorosa di sacre polifonie vocali era esclusivo privilegio di Cappelle gentilizie e di Basiliche insigni, quando cominciò ad affermarsi la musica mista di canto e suono, con prevalenza di suono e di virtuosità canora e strumentale, le esecuzioni eccezionali si moltiplicarono, si diffusero, si susseguirono a intervalli più brevi, perchè il popolo, anche il più minuto, se ne compiacque'e pretese che fossero organizzate con diligente cura e che non vi mancasse il solista meraviglioso. Genova, che al tempo della polifonia vocale pura celebrava le sue solennità religiose in modo splendido, anche musicalmente, soltanto nella Cattedrale e in poche chiese gentilizie, dove le rispettive cantorie erano dirette da maestri eminenti, continuò in seguito, fino al Motu proprio di Pio X, a mantenere elevato il tono delle esecuzioni musicali in queste sue Chiese privilegiate, ma nello stesso tempo favorì il manifestarsi di un’attività musicale promettente anche nelle Chiese Minori e periferiche, alla quale attività un generoso fermento di emulazione ha subito dato un impulso vivacissimo. All’inizio del settecento si accende nel popolo genovese e ligure un nuovo fervore musicale, appunto perchè la Chiesa gli fa conoscere un nuovo genere di musica, più aderente al gusto del popolo. Già si delinea la fama di qualche concertino ; già si preannunziano gli imminenti virtuosi strumentisti. Qualche celeberrimo cantante ritorna spesso e si indugia alcun tempo o nella città o nei paesi delle due· riviere, tutti inghirlandati da ville sontuose di patrizi mecenati, e, forse richiesto dal benefattore, partecipa alle esecuzioni che, in occasione di feste, si svolgono nella Chiesa Parrocchiale o nel Santuario. Un famoso tenorista, Giovanni Paita (di lui solo abbiamo notizia dettagliata), si stabilisce definitivamente in Genova ed apre una scuola di virtuosismo canoro, che si affianca alle varie scuole di strumenti e di canto corale, già ben avviate. PAGANINI AN A 245 Gli allievi di queste scuole costituiscono la massa strumentale e corale, da cui emerge con spiccato risalto il solista ed il virtuoso, nelle molteplici e varie esecuzioni di musica sacra, che s’avvicendano ininterrottamente nelle numerose Chiese, grandi e piccole, dove il popolo accorre in folla, ammira, si entusiasma. !La cronaca di queste esecuzioni, come la cronaca di tutta Fattività musicale genovese e ligure nei secoli passati, non è mai stata compilata, nè sarebbe facile abbozzarne subito un disegno organico. Noi possediamo, è vero, alcuni riferimenti, che sembrano sfuggiti inavvertitamente agli autori delle più disparate pubblicazioni con temporanee e posteriori, ma con un simile materiale, così sparso, di verso e discontinuo, si può concludere ben poco. Per ora bisogna accontentarci di radunare le poche notizie sicure e significative, controllarne per quanto è possibile l’esattezza, coordinarle cronologicamente e conseguentemente, cercando in esse un suggerimento per indovinare le notizie complementari, la cui documentazione è forse seppellita in archivi inaccessibili. In tal modo si potrà continuare, sia pure con toppe e rammendi multipli, una trama provvisoria del racconto die c’interessa, per giungere, mercè la collaborazione, attesa e sperata, di cui ho parlato nella premessa, a tesserne un’altra senza toppe e rammendi. Cominciamo da una constatazione, che può assurgere a documento probativo. Nella quasi totalità delle Chiese di Genova e Liguria, o sulla tribuna dell’organo o altrove, fu trovato e attrezzato convenientemente uno spazio per collocarvi l’orchestra. Siccome la tribuna orchestrale, che il Motu Proprio di Pio X ha reso superflua, lascia facilmente capire di essere un’aggiunta, un adattamento, un ripiego, se ne può dedurre die aggiunta, adattamento, ripiego furono imposti dal desiderio di poter ospitare l’orchestra. L’elenco delle Chiese in cui la tribuna orchestrale rimane una stonatura architettonica non è forse necessario ; un esempio tipico e di una certa importanza può sostituirlo efticacemente. In S. Ambrogio, la cui cappella nel ’700 raggiunse una notorietà particolare, i due prolungamenti laterali della tribuna dell’organo sono un evidente supplemento, richiesto dal bisogno di spazio non dalla linea architettonica. Dimostrata, sia pure molto alla buona, l’esistenza di complessi 01* chestrali e corali, sarebbe necessario individuare i nomi dei solisti e dei direttori dei singoli gruppi. Forse si potrebbe giungere a co noscere anche i nomi di tutti i componenti le varie orchestre e i vari nuclei corali, se si avesse sottomano un’ampia raccolta di libretti d’opera settecentesca, stampati in Genova e Liguria. In tali libretti era quasi sempre riportato l’elenco completo degli esecutori, coni- 246 MARIO PEDEMONTE presa l’orchestra, il coro e il corpo di ballo, quindi, confrontando con accorgimento i vari elenchi, se ne ricaverebbero notizie utili. Di tali libretti ne ho visto qualuno, conservato nella Biblioteca Bri-gnole-Sale, ma il loro numero esiguo non mi ha permesso di ricavarne molte notizie. Probabilmente il fondo musicale e librettistico dell’antica Casa patrizia uon è giunto integro alla Biblioteca attuale. Ho accennato a questo campo di ricerche non certo per accingermi subito a scavarlo, che non sarebbe fatica breve, ma per iscriverlo subito nel programma di lavoro. Per ora credo conveniente una rapida sintesi, che vedremo svolgersi in seguito attraverso sempre più dettagliate analisi. Noi sappiamo che Genova nel ’TOO lia educato una bella schiera di esecutori e di maestri, i quali, dopo aver fatte le prime prove nelle Chiese della città, emigrarono e furono assunti da Cappelle famose, dove si segnalarono e furon considerati elementi di primo piano e qualcuno fu anche chiamato alla direzione in Basiliche insigni. Di costoro si trovano cenni in varie pubblicazioni, ma dei rimasti si sa molto poco, anche perchè diffìcilmente son riusciti a crearsi una rinomanza, anche locale, e divenire i solisti o i direttori delle cappelle cittadine, dove pare si sia data la preferenza a maestri forestieri. E di maestri forestieri a Genova nel ’700 ne son venuti molti. Presento subito un primo elenco di nomi, non inutile, credo, per mettere in opportuno risalto l’importanza ed il fervore della vita musicale genovese nel ’TOO. Nella prossima puntata esporrò alcune considerazioni intorno al repertorio delle Cappelle genovesi e incominceremo a vedere l’elenco attuale arricchirsi di nuovi nomi e per ciascun nome elencato comincieranno ad emergere dettagli, dati, precisazioni, riguardanti l’attività artistica dei singoli esecutori e maestri. e, col procedere delle considerazioni su altre attività musicali, le notizie aumenteranno e si chiariranno. Cosi a poco a poco la trama si farà' sempre più unita e consistente, permettendo la stesura di una cronaca di una certa continuità e precisione. Tra i maestri genovesi e liguri che nel settecento furono in Genova direttori di Cappella, eccellono : Nicolò Rinaldi, ignorato da tutti, forse perchè non si è mai allontanato da Genova ed ha dedicato tutta la sua attività alla musica da Chiesa, ma non per questo deve esser trascurato; la sua produzione è degna di uno studio diligente e minuzioso. Matteo Bisso, citato in parecchie pubblicazioni perchè alcuni suoi oratori sono «tati eseguiti a Venezia, a Roma, e fuori d’Italia. Gaetano Isola, vissuto a lungo in Sicilia, operista di bella fama, fecondo autore di musica da Chiesa. Luigi Cerro, direttore in varie città italiane, ma tornato spesso a Genova a dirigervi esecuzioni isolate, di particolare importanza. PAGANINI AN A 247 Francesco Federici, operista non oscuro e direttore di cappella occasionale. Francesco Gnecco, operista, quartettista degno di molto migliore fama, autore di musica sacra interessantissima, direttore molto stimato. Luigi Degola, vissuto a lungo fuori Genova, compositore di varia musica. Come vedremo in seguito, l’elenco è incompleto per varie ragioni, ma sopratutto perchè di alcuni, che non si sono mai allontanati da Genova, nulla si conosce di preciso e le supposizioni, peiora, sono troppo vaghe e confuse. Tra i maestri forestieri, stabilitisi a Genova e divenuti direttori di cappelle gentilizie, sono ricordati da tutti i dizionari il veneto Andrea Ad oliati ed il francese Onorato Lauglé. Probabilmente si è fermato a Genova lungo tempo anche Gregorio Sciroli, musicista fecondissimo, ma poco conosciuto, che alcuni dicono napoletano, altri lombardo, e probabilmente non è nè lombardo nè napoletano, la cui musica ha tutta l’apparenza di improvvisazione, ma è spontanea e sincera, specialmente la sua musica da Chiesa ha pagine di intenso fervore. Noto ancora i due Brunetti, Gaetano e Gualberto, Carlo Sturla e Giuseppe Gazzaniga, maestri pochissimo noti, però non indegni di esser ricordati e studiati. Sono rimasti a Genova solamente pochi mesi Luigi Boccherini, che tra l’altro in Genova ha composto l’oratorio « Giuseppe riconosciuto » appunto per la Famiglia Filippina locale ; Tommaso Traetta, Nicolò Piccinni, Giovanni Maria Rutini, Pietro Guglielmi. Per i solisti nostrani è un po’ difficile compilare ora un elenco approssimato, per la stessa ragione accennata a riguardo di Nicola Rinaldi. Indubbiamente tra Martini Bitti, violinista insigne, che se ne è andato da Genova nei primi anni del settecento, e Giovanni Pedevilla, che ne ha seguito l’esempio sul finir del secolo, sono compresi una ventina di violinisti genovesi, che si distinsero all’estero testimoniando così l’efficacia e l’efficienza della scuola violinistica genovese. Coi violinisti possiamo mettere altrettanti violoncellisti, ricordati anch’essi come elementi ottimi di cappelle estere, e qualche oboista, clarinettista, fagottista. Per costoro sono nomi certi quelli di Mario Stella, dei Gallo, dei Gambaro, del Lasagna, esecutori di una nitidezza limpida e trasparente, che senza dubbio si è impressa nella mente vivacissima di Paganini giovinetto. Indubbiamente a Genova nel settecento fiorì una elettissima schiera di flautisti, ma è un po’ difficile segnalare ora qualche nome sicuro. Dei solisti forestieri chiamati a Genova per qualche manifestazione importante ne potrei ricordare una lunga teoria, ma desidero evitare il sospetto che io esageri. Considerando gli indizi che sug- 248 geriscono l’ipotesi di un loro soggiorno in Genova, vedremo quali nomi si possono accogliere nell’elenco, sia pure con qualche riserva. Di due soli e grandissimi abbiamo notizie precise, del violoncellista Stefano Galeotti, che fu indubbiamente un esecutore eccezionale ed un compositore poderoso, e del sopranista Gaspare Pacchia-rotti. Quest’ultimo, che era stato a Genova prima di recarsi a Londra, vi ritornò dopo il 1790 e in questo suo secondo soggiorno cantò esclusivamente in Chiesa, dove eseguiva in modo mirabile i Mottetti per voce sola ed orchestra, vera apoteosi del più ardito acrobatismo canoro. Gaspare Pacchiarotti era paurosamente magro e brutto d’aspetto, ma quando cantava nessuno più si accorgeva della di lui bruttezza, nessuno si poteva sottrarre al fascino di quella voce dolcissima, agilissima, sicurissima. Paganini giovinetto lo ascoltò in'dubbiamente, forse lo ammirò anche da vicino, sedendo nell’orchestra a fianco del suo1 maestro. Notò quella bruttezza che si trasformava in una bellezza ideale e la sua mente accesa divinò l’avvenire e formulò il vaticinio : Tu sarai come lui, meglio di lui. Mario Pedemonte GLI SCAVI IN VAL DELL’AQUILA (1) La cava Simonetti, situata sulla sinistra del torrente Aquila che si innesta a valle di Finale Borgo col torrente Porrà, è a quattro gradi sette primi e 20 secondi di longitudine -Owest del Meridiano di Roma, quarantaquattro gradi dodici primi- e venticinque secondi di latitudine Nord (tav. Finale ligure I.S.E. del Foglio 92). Questa cava nettamente orientata ad Owest è aperta in una vasta concavità della parete rocciosa a picco ; ai piedi della quale avvi un cono di deiezione formato di grossi blocchi di pietra e di terra vegetale, dove si notano tre caverne principali ed una piccola ca-vernetta, A sinistra di chi guarda la- pianta della località si presenta uno speco con direzione Nord Est da noi denominato cunicolo di sinistra. Esso è certamente originato da una profonda spaccatura della montagna ed uno scivolamento della parete ovest del cunicolo. La sua sezione è triangolare, fortemente allungata. Nella parete di fondo, non ancora esplorata per la sua ristrettezza, si nota una forte corrente d’aria. A destra di questo cunicolo, ancora ricoperto all’ingresso da un blocco di pietra in equilibrio, vi è una piccola cavernetta non ancora da noi esplorata nel sottosuolo ; poco più a Sud si apre la caverna centrale che era chiusa da un muro a secco di non antica data ; e dopo altri venti metri circa più a Sud si scorge un antro ove sembra abbiano origine due cavità molto limitate in profondità, e divise da un diaframma di roccia. Su tutte le pareti di queste caverne si riscontrano tracce profonde di fuochi antichi, e qua e là strati di rocce cariate (Issel-, Liguria Preistorica). Dall’esame degli strati composti del solito calcare triassico del Finalese, sopra le cavità descritte, risulta chiaramente che in tempi non del tutto remoti, in seguito a movüjmenti tellurici e ad azione degli agenti atmosferici, è crollata una parte della parete che formava come un grande antro al disopra delle cavità in esame. I massi franati cospargono la piattaforma e la scarpata; quest’ultima è costituita da un ammasso di blocchi di varie dimensioni e di terriccio nerastro o bruno commisto a carboni, frammenti di fittili di varie epoche, ossami e frammenti di oggetti dì i1) Relazione sugli assaggi eseguiti dall’istituto D. Mochi (li Imperia alla cava di pietre Olinto Simonetti a Finale Ligure Borgo. 250 F. HOSMER-ZAMBELLI serpentina. Nello strato più profondo è composta di terreno argilloso mescolato anch’esso a carboni, ocra, frammenti di fittili ed ossa di animali. Si direbbe che questa scarpata o Talus sia un ammasso di rifiuti commisto ai massi caduti. 11 franamento di questi massi deve essere avvenuto· certamente in due tempi. Il Simonetti ha aperto nel Talus varie trincee per utilizzare i massi in esso contenuti, ed è appunto da queste trincee che abbiamo potuto farci un concetto della stratificazione di questa massa di detriti. Durante l’apertura delle trincee gli operai del Simonetti hanno rinvenuto asce, macinelli, fìttili ed ossa che sono stati consegnati al museo di Finale. Cunicolo di sinistra. - Il livello di questo cunicolo è di circa tre metri superiore allo spiazzo anteriore alla caverna centrale. Vi si accede da un cumolo di rocce accatastate che appaiono corrose sia) dagli agenti atmosferici che da un intenso e prolungato calpestio. Alla imboccatura vi è la traccia di un grosso muro a secco, in parte demolito, di costruzione non troppo remota, e che doveva servire a tappare in parte l’imbocco del cunicolo. La prima parte di questo cunicolo fino alla strettoia misurante metri uno e sessanta, appare priva dello strato superficiale, per uno spessore di 50 o 60 centimetri. Ciò può essere stato originato da antichi scavi regolari, con asportazione della terra, oppure dalla utilizzazione del terriccio da parte degli indigeni, per gli orti. Eseguito un primo piccolo assaggio ci siamo trovati di fronte ad un terreno asciutto, polverulento, commisto a detriti vegetali e frammischiato di pietre delle dimensioni di un dee. cubo a dieci circa; qualche frammento di ossa di Ursus e nuli’altro. Ë stato allora deciso di praticare una trincea trasversale per tutta la larghezza del cunicolo. L’assaggio è stato fatto per una larghezza di metri uno e 20 circa. Sono stati riscontrati tre strati : 1) Questo strato è composto di terra color bruno con residui vegetali, frammenti di fittili eneolitici e neolitici frammischiati ad ossa umane e di animali, in parte con tracce di cottura. Tanto i fittili quanto le ossa sono stati trovati ai lati della caverna, evidentemente già sconvolti. Lo spessore di questo strato varia da 18 a 25 centimetri e contiene poche pietre di non grande dimensione. Indubbiamente anche qui lo strato· superficiale è stato asportato. 2) Ha uno spessore che varia da tre a cinque centimetri ed è di colore quasi nero perchè eminentemente ricco di carboni e di ceneri. Non vi si sono trovati avanzi. 3) Non è stato possibile determinare lo spessore di questo strato, perchè l’assaggio è stato sospeso doj>o circa 00 centimetri di scavo. Piantata una barramina nel centro della trincea fino ad un metro GLI SCAVI IN VAL DELL’AQUILA 251 (li profondità, non se n’è trovato il fondo e non si è riscontrato alcun cambiamento di colore del terreno. In questo strato, che è di colore più bruno del primo, subito sotto lo strato dei carboni, sono state rintracciate ossa e denti di felini e di Ursus giovane, qualche piccolo osso umano ; verso il centro dello scavo ossa lunghe di Ursus adulto (Speleus?) e denti dello stesso animale. Assenza o quasi di fìttili. La profondità del terreno in questa caverna è certamente rilevante e quindi per una esplorazione completa occorrerà asportare un considerevole volume di terra. Caverna centrale - Questa caverna si presentava chiusa da un muro a secco con uno stretto passaggio. L’imboccatura è ad arco ellittico più basso in chiave della volta interna. La pianta di questa caverna è pressoché pentagonale. Essa è riempita lino al livello dell'imboccatura e cosparsa di massi caduti dalla volta particolarmente verso il fondo. Il primo strato è formato da pulviscolo, proveniente dalla erosione della roccia, commisto a ceneri ; è dello spessore variabile da 50 a 55 centimetri fortemente commisto a pietre. 11 suo colore è grigio bruno ; appare evidentemente sconvolto. Poiché a sinistra dell’ingresso la caverna ha tendenza a scendere con sensibile svasatura, abbiamo deciso di praticare una trincea di assaggio che partendo dall’asse della caverna arrivasse alla parete di sinistra. Il secondo strato è anch’esso dello spessore di 10 50 centimetri, di colore più chiaro del precedente, meno ricco di residui vegetali e di ceneri, e commisto a blocchi di pietra. Apparirebbe vergine da scavi. In questo strato è stata trovata una diramazione di corno di Cervus perfettamente conservata. Il terzo strato appare più chiaro in colore, quasi bianco, e privo di residui vegetali. A circa un metro e 60 di profondità lo scavo è stato sospeso, non senza aver prima praticati due fori con una barramina fino alla profondità di metri uno e cinquanta dal fondo dello scavo, i quali hanno rivelato che il terzo strato ha termine a circa un metro dal fondo dell’assaggio e che poscia ha inizio un quarto strato sensibilmente colorato da argilla e del quale non è stato possibile trovare il fondo. Il terzo strato ha fornito pochissimo materiale ; è stato rinvenuto rotta in vari pezzi, la porzione ossea di un grande corno di Capra Hybex e due denti di cervide. Il fondo della caverna centrale è indubbiamente molto basso ; probabilmente coincide con la porzione media del Talus. Il quantitativo di materiale da scavare è considerevole. Sarà necessario praticare una trincea secondo l’asse longitudinale della ca- 252 F. HOSMER-ZAMBELLI verna lino al Talus per poter asportare il materiale in senso orizzontale e non fare false manovre. Antro di destra. - Indubbiamente qui ci· troviamo di fronte ad un antro inesplorato. Abbiamo deciso di aprire una trincea all’ingresso di un cunicolo che si apre nel fondo e verso sinistra, prolungando lo scavo in avanti verso l’ingresso ed il talus. 11 primo strato dello spessore variabile di 50-70 centimetri, è quasi interamente composto di sfaldatura della roccia soprastante, con residui vegetali, ceneri di fuochi recentissimi ed ossa di ani mali moderni. Verso il fondo lo strato assume una colorazione sempre più bruna (strato primo bis) fino a che si incontra lo strato secondo che è dello spessore di 5 10 centimetri, di color nero perchè quasi interamente composto di carbone e cenere. Sotto il secondo strato appare il terzo di color bruno dello spessore di 30 centimetri circa, ove abbiamo trovato fìttili eneolitici e del neolitico superiore ed ossa cotte. Il quarto strato è composto di residui di carboni e ceneri dello spessore di 4-5 centimetri, sterile, e il quinto appare al di sotto dei carboni dallo spessore di 30-35 centimetri. Anche esso è di colore bruno e con ossa umane e cocci neolitici ed eneolitici. Al disotto dii un sottile strato di carboni e ceneri che delimita questo strato appare un sesto strato di color grigio, assolutamente sterile ed intatto. In corrispondenza dell’arco dell’antro e degli strati II, III, IV e V è stato trovato un muretto a secco clie chiudeva il fondo della] caverna. Evidentemente questo muro è stato eretto per tappare il fondo del cunicolo, inutilizzabile perchè troppo basso, e contro il quale venivano accesi i fuochi. Al di là del muro mancano il II e III strato. In una ulteriore esplorazione condotta nella primavera del 1937, in corrispondenza del quarto strato ed immediatamente sotto la corda dell’arco dell’ingresso del cunicolo terminale dell’antro di destra, a metà ed al disotto di un grosso masso caduto dalla volta in epoche lontane, si scoperse una tomba intatta. La tomba scavata nel quarto strato ed appoggiata direttamente sullo strato sesto indifferente, appartiene al gruppo delle sepolture a cassone, formata da lastre di pietra giustapposte. Orientata da Est a Owest, delimitata da due grandi lastre di pietra,, lateralmente, da una più piccola al piede (verso Owest), dei massi alla testata (ad Est), coperta da due lastre di pietra presentanti tracce di assottigliamento artificiale ed annerite dai fuochi', misura all’interno metri uno per 30 centimetri, in altezza solo 13 centimetri essendo il contenuto e le lastre delimitanti compresse ed affondate per la caduta del gran masso di cui si diceva sopra. Caduta avvenuta in GLI SCAVI IN VAL DELL’AQUILA 253 epoca non molto lontana dalla inumazione (come è dimostrato dalla mancanza del terzo strato, nella sua parte superiore tra il masso e la copertura della tomba e per il fatto che i vari strati descritti per Pantro di destra si succedono perfettamente paralleli ed indi-sturbati ai lati del masso stesso). AlPinterno della tomba si notarono, nel terriccio del quarto strato, rare ossa umane, frammenti di ossa di animali vari e denti di cervide, non disposti in modo da potere ricostruire la loro posizione stratigrafica (forse materiale di rigetto dallo scavo della tomba al tempo della inumazione) come pure in vicinanza si notarono numerosi frammenti di fittili di vario tipo appartenenti a varie epoche del neolitico ed eneolitico. Scoperchiata la tomba, questa apparve ripiena di un terriccio grigiastro, ricco di ceneri, frammenti di carbone, piccoli nuclei di calcare. Subito al disotto, il terriccio ha il caratteristico colore marrone del quarto strato. Asportando il terriccio compaiono le ossa di uno scheletro umano, appartenente ad un individuo di sesso femminile, rannicchiato sul lato sinistro, con le due mani sotto la testa; le gambe fortemente flesse sulle cosce, e queste sul bacino, anzi addossate al tronco. Bacino in posizione non naturale. Tutte le ossa presentano numerose fratture, il cranio è completamente schiacciato. Suppellettile tombale assolutamente mancante. Si ritrovarono due frammenti di fittili, parte di un molare di cervide ed una scheggia di selce non lavorata. Numerosi frammenti di carboni. Il suddetto materiale molto probabilmente è penetrato nella tomba attraverso aperture tra le lastre limitanti. Lo scheletro appartiene ad un individuo di sesso femminile della apparente età di circa 40 anni; altezza (desunta dalla misura comparativa delle ossa lunghe, essendo la colonna vertebrale assolutamente frammentaria) metri uno e quarantasette circa. Il cranio appartiene ad un tipo brachicefali co, mesoprosopo; or-togonato, a fronte lievemente sfuggente, arcate zigomatiche fortemente sviluppate in lunghezza, forte sviluppo delPapofisi mentoniera, branche mandibolari ascendenti quadrangolari. Denti piccoli a radici corte, fortemente usurati nella superficie masticatoria. Si notano carie dentarie, e segni di periodontiti e periosteiti, notevole sviluppo delle creste pterigoidee ed ioidee. Clavicole fortemente incurvate e sottili, la destra meno incurvata della sinistra e più lunga. Coste e sterno normali. Ossa lunghe generalmente esili e molto sviluppate nei processi articolari che appaiono più spugnosi ed areolati del normale (spazio midollare esageratamente voluminoso, pareti della porzione diafi-saria assai sottile). Notevoli le inserzioni muscolari a carico della cresta deltoidea e delle soprascapolari. Gli omeri presentano una 254 F. HOSMER-ZAMBELLI incurvatura antero laterale deltoidea affatto caratteristica. Ossa dell’avambraccio esilissime. Il braccio destro è più lungo del sinistro, specie nel suo segmento superiore (omero). Scapole esili, grande sviluppo del processo acromiale. Femori fortemente incurvati in avanti, angolo tra dialisi e collo del femore quasi retto ; testa del femore piccola, apofìsi trocante-rica molto sviluppata, capo articolare distale piccolo, tibia platie-mica presentante due incurvature, all’innanzi ed all’esterno, tracce di lesioni in corrispondenza della spina tibiale superiore (da recisione dei tendini?). Notevole sproporzione tra arti inferiori e superiori a tutto svantaggio degli inferiori. Bacino piccolo, svasato e ad ossa esili ; sacro incurvato. Mancano le ossa dei piedi. Mani lunghe con dita ben sviluppate. Le poche vertebre restanti non presentano note anatomiche particolari, tranne le addominali le quali sono proporzionalmente più voluminose che nei tipi umani attuali. Le due vertebre addominali e la prima sacrale presentano gravi lesioni distruttive da carie ossea specifica. Tutto lo scheletro appartiene ad un individuo rachitico. Lo scavo venne sospeso in attesa di un sopra-luogo della Regia Sopraintendenza. Venne solo eseguito qualche assaggio all’ingresso dell’antro di destra, ove dagli operai della cava furono rinvenuti un macinello (in quarzite) e parte del cranio di un equus asinus (?) e numerose ossa appartenenti al Cervus Capreolus. Verranno in seguito ripresi i lavori con la speranza di poter addivenire alla scoperta di altre tombe. È questa la prima volta, forse, che nel Finalese viene eseguito lo scavo di una tomba controllandone la posizione stratigrafica e paleontologica, avvalendosi della tecnica insegnata dalla moderna Paletnologia. A sinistra di chi guarda la cava Simonetti esisteva una specie di promontorio, oggi scomparso, perchè ha servito ad alimentare la cava di blocchi di pietra. Alla sua base esisteva una cavernetta che si apriva a circa dieci metri sotto il livello dello spiazzo superiore situata sulla rampa di accesso alle altre caverne, portante tracce di lunghi fuochi che doveva costituire come l’avamposto della colonia. È da ritenersi pertanto, allo stato delle cose, che qui esistesse una tribù od almeno un gruppo di famiglie durante il Neolitico ed Eneolitico, ma le grotte debbono aver servito di abitazione o di ricovero anche in epoche moderne, come apparirebbe dai frammenti fittili recenti trovati anche ad una certa profondità. Il materiale scientifico rinvenuto durante gli assaggi è stato in parte già consegnato al Museo di Finale Ligure. GLI SCAVI IN VAL DELL’AQUILA 255 ELENCO DEL MATERIALE SCIENTIFICO RINVENUTO NEGLI ASSAGGI ALLA CAVA SIMONETTI IN VAL DELL’AQUILA FI N ALBORGO (FINALMARINA) Caverna di Sinistra : I Strato : Frammenti di vasellame neolitico a pasta omogenea ; Anse a tipo vario, arrotondate e fascicolari; Fittili a coste rettilinee senza pizzicature; Fittili a costa ornata scalare; Denti di piccoli felini. Ili Strato : Frammenti diafisari di ossa lunghe di Ursus ; Frammenti calcaneari di Ursus ; Frammenti omero di Homo ; Frammenti Ulna Equus; Denti mascellari superiori di Equido; Frammento mascellare inferiore di Sus; Ossa e denti di Ursus/ Caverna Centrale : I Strato : Frammenti di fittili moderni ; Frammenti di fìttili medioevali (’400 ’500) ; Frammenti di fittili eneolitico e neolitico superiore ; Frammenti di fittili a costura rettilinea. I e II Strato : Ossa e denti di ovini ; Denti di Bos? Denti di Ovis Aries ; Ossa lunghe di Bos? (assai frammentarie) ; Fusarola di cotto ; Frammento di cucchiaia in cotto a pasta rossastra e a grossa grana ; Frammenti di fittili a coste con pizzicature a pasta omogenea e granulata; Frammenti di anse forate ed a linguetta; Diramazione di corno di cervide. Ili Strato : Frammento mascellare di Sus domestico ; Frammento di corno sinistro (porzione ossea) di Capra Hybex ; Denti di mascellare Superiore di Cervide; Denti di mascellare superiore di Ovis Aries. Caverna di Destra : I Strato : Frammenti ed ossa varie e denti di ovino. II e III Strato : Frammenti ossa volta cranica di infante con tracce di abbruciatura ; Frammento mascellare inferiore di neonato; Frammenti di ossa cranio di Canis Vulpes e qualche dente; Ulna di Meles Taxus e frammenti vertebrali del medesimo; Vasellame eneolitico e neolitico ; Frammento di bacino e femore di Canis Lupus (tutto con tracce di cottura). IV Strato : Scheletro umano quasi completo a tipo brachicefali co, inesoprosopo-ortognato ; Denti di ovis aries e di bos ; Mascellari ed ossa di ovini ; Frammenti di bacino e femore di Lepus tutto con tracce di cottura ; Frammenti di fittili eneolitici ; Frammenti di fittili neolitici a pizzicature sulle coste; Macinello di diaspro; Due macinelli completi; Una scure di serpentina a taglio semilunare; Un ago in osso ; Oggetto non ben classificato (frammento di cuspide di lancia?). 256 F. HOSMER-ZAMBELLI Yr Strato : Ossa di infante e denti dello· stesso (età anni uno e sei) ; Ossa di capra e di ovini ; Numerosi frammenti di fittili neolitici a pasta grossolana con rilevature di vario tipo; Fusarola in osso spezzata. VI Strato: Sterile. Dal Talus : Strati superiori: Frammenti di vasellame romano (?) e dell’eneolitico e neolitico superiore ; Frammenti di ossa di cervide ; Frammenti di ossa di Ovini. Strati medi : Frammenti di fìttili eneolitico e neolitico superiore e medio commisti ; Fusarola di cotto ; Fittili neolitici a costure con pizzicature ed altri a costoni diritti ed ornati ; Anse di fìttili di vario tipo e forma; Anse a manicotto, digitate, ed a bottone.; Frammento di lampada in cotto (eneolitica) ; Anse neolitiche di serpentina di vario tipo (una a taglio a sezione triangolare, altra a sezione ellittica) ; Denti di Bos e di Cervide ; Ossa di Bovini, cervidi, ovini ed umane; Frammento di cranio di Equus Asinus (?). Strato profondo : Breccia con rare ossa di Ursus. F. Hosmer-Zambelli LETTERE DI REALI ALL’AMMIRAGLIO CONTE GIORGIO DES GENETS (Continuazione e fine ; ved. numero precedente). LETTERE DI CARLO ALBERTO ALL’AMMIRAGLIO DES GENEYS Sono tredici in tutto e acquistano importanza dal momento storico in cui furono dettate: 1816-1837. La più importante della raccolta, quella datata da Torino il 20 marzo 1821, fu inserita da Paolo Boselli in una ben nota monografìa ricca di ampio commento, perchè la missiva del Principe di Ca-rignano è scritta « con sì manifesta sincerità, che essa va annoverata fra quelle pochissime testimonianze che ci rimangono rispetto all’intimo dell’animo suo, ai motivi delle sue azioni, in quel momento che fu il più combattuto e che parve a molti il più enigmatico della sua vita » t1). Il gruppetto epistolare dimostra all’evidenza come fossero ben saldi i sentimenti di amicizia del Principe verso il Conte, al quale egli si rivolgeva fiducioso in quegli anni tristi, rivelandogli per intero il suo cuore e la sua passione. Diamo di ognuna di esse qualche cenno schematico, rimandando il lettore, che volesse approfondire le indagini, alla bibliografia strettamene indispensabile dell’argomento (2). (!) P. Boselli, Carlo Alberto e VAmmiraglio Des Geneys nel 1821. Torino, Clausen, 1892, pagg. 4 e 7. (2) C. Balbo, Autobiografia, in Meditazioni storiche. Torino. U.T.E., 1858. N. Bianchi, Scritti e lettere di G. Alberto. Carlo Alberto, Réflexions historiques. Commento di A. Monti, suU’e-dizione torinese del 1838. Modena, Soc. Tip. modenese, 1936. L·. Cibrario, Ricordi di una missione in Portogallo. Torino, 1850. --Notizie sulla vita di C. Alberto. Torino, 1861. Tip. Eredi Botta. A. Colombo, Gli albori del Regno di Y. E. II secondo nuovi documenti. (« Rass. stor. del Risorgimento Italiano», 1936, fase. X). Costa de Beauregard, La jeunesse du Roi Gharles Albert, 1892. Paris. Pion, pag. 24. --Epilogue d’un Règne. --Les derniers années du Roi Charles Albert. ---Un homme d’autrefois. L. Cappelletti, Vita di G. Alberto. A. Conti, C. Alberto (nel vol. Letteratura e patria. Firenze, Barbera, 1892). Cortanze (Marquise de) Notice sur la Reine Marie Thérèse. 258 Monsieur le Comte Des Geneys, Je me plais à me rappeler dans la personne de V. E. un Général également distingué par sa valeur et par sa prudence. Votre entier dévouement au service du Roi m’est connu. Avec de tels sentimene il m’a été bien agréable d’apprendre à la nouvelle année les souhaits heureux que vous m’avez a-dréssés. J’aime à vous marquer de ma main toute ma satisfaction aussi bien que le désir de vous en donner de preuves. Je suis, monsieur le Comte, avec la plus grande considération de V. E. Turin, ce 10 Janvier 1816. Le très affectionné Charles Albert de Savoie P.ce de Carignan Questa prima lettera di Carlo Alberto, ritornato in patria nel 1814, dopo la restaurazione* le riconosciuto nel 1815, dal Congresso di Vienna, erede della Corona, non è soltanto un gentile ricambio di frasi augurali, ma è pure giusta valutazione di uomini ; dote non sempre comune ai giovani diciottenni. Mon Cher Comte, Je profite de l’arrivée de mon cheval à Gênes pour vous assurer par cette lettre que malgré qu’il y ait déjà quelque temps je ne vous ai vu, et que vous A. D’Ancona, C. Alberto giusta notizie e documenti nuovi. L. Des Ambrois, Notice sur Bardonnéche. Firenze, Civelli, 1873. F. G salterio, Gli ultimi rivolgimenti italiani, Firenze, 1850-51. F. Lemmi, La politica estera di C. Alberto nei suoi primi anni di regno. Firenze, Le Monnier. A. Luzio, C. Alberto e Mazzini. Torino, Bocca, 1923. A. Manno, Spicilegio nel Regno di C. Alberto. _x — Scorsa nel mio portafogli. --Lettere inedite di C. Alberto al suo scudiere Carlo di Robilant. --Ventuno in Piemonte. E. Masi, Il segreto del Re C. Alberto. A. F. Pinelli, Storia Militare del Piemonte, voi. 2°, pag. 216. Torino-, Tip. De Giorgis, 1851. D. Perrero, Gli ultimi Reali di Savoia. Torino, Casanova, 1899. E. Poggi, Storia d’Italia dal 181Jf al 1846, vol. I e scritti vari. C. Randaccio. Stona delle Marine Militari Italiane dal 1Ί56 al 1860, voi. I, parte I. N. Rodolico, ΰ. Alberto negli anni 1831-1843. Firenze, Le Monnier, 1935. --C. Alberto, Principe di Carignano. Firenze, Le Monnier, 1935. Studi Carlo Albertini, Pubblicazioni del Comitato Piemontese della Società Nazionale per la Storia del Risorgimento Italiano, vol. XI. F. Salata - Da C. Alberto a V. E. II in « R. St. R. I. », 1935. M. Zucchi, I moti del 182.1 nelle memorie inedite di Alessandro Saluzzo, in « La Rivoluz. Piemontese del 1821 ». Studi e documenti. Bibl. Soc. Stor. Subalpina, Torino, 1927, vol. I. M. Zucchi, C. Alberto dalla restaurazione alVavvenimento al trono nelle memorie inedite di A. Saluzzo. Bibl. di St. Ital. Recente, vol. XII. LETTERE DI REALI ALL*AMMARAGLIO CONTE GIORGIO DES GENEYS 259 ne m’avez pas même écrit, comme je l’esperais; je n’en conserve pas moins pour vous une amitié bien vive et que je désirais beaucoup pouvoir vous montrer, étant bien persuadé de vos sentimene à mon égard. Vous avez voulu en cette occasion, comme en tant d’autres, me témoigner votre amitié, et en vous assurant du nouveau de la mienne, je suis par la vie Votre très affectionné Charles Albert de Savoie Turin, ce 9 Janvier 18.18. Qui il Principe ormai ventenne e lanciato nella vita, esprime acconciamente il desiderio di stringere col Governatore di Genova, così alto nella pubblica stima, rapporti più cordiali e durevoli di amicizia. Le plaisir que me procurent toujours vos lettres, étant en raison de la haute estime et de l’amitié bien sincère que je vous porte, la dernière que vous avez bien voulu m’écrire, dans laquelle vous m’esprimez les voeux que vous formez pour moi, me produisit une satisfaction d’autant plus grande, que je ne peux mettre en doute votre sincérité, et que je me fais honneur de vos sentimens à mon égard. J’éspère, mon Général, que vous serez aussi bien persuadé des voeux ardents que je forme pour votre prospérité, pour votre bonheur, ainsi que j’ai de pouvoir toujours posséder votre amitié. Nous fasons ici les préparatifs pour envoyer à Gênes trois compagnies d’artillerie ainsi que vous en avez montré le désir; je ferai toujours mon possible pour seconder en tout vos vues. Le Comte de Saluces vous aura communiqué la demande que je fus obligé de faire du Colonel de l’artillerie de marine; je ne l’ai fait qu’au dernier moment, lorsqu’on m’ôta toute espérance de voir venir aucuns de ceux actuellement en France. Je leur aurais toujours préféré Rappallo, puisqu’il avait une réputation à toute épreuve et qu’ayant eu l’avantage d’être plusieurs années sous vos ordres, il ne pouvait manquer de posséder, surtout pour notre pays, tous le avantages désirables. Je retardai toujours craignaut que la sortie ne vous fut point agréable; mai pensant maintenant que vous verriez l’utilité majeure qu’il résulterait pour notre pays à ce qu’il passe à l’artillerie de terre, vous ne m’en tiendriez point de rancure. Je vous embrasse, mon cher Général, et vous prie de me croire pour toujours Turin, ce 2 janvier 1820. Votre affectionné ami Charles Albert Espressione di sentita amicizia. Il Principe, mentre assicura die fervono i preparativi per inviare a Genova, tre compagnie di artiglieri, gli conferma la notizia datagli dal Conte Alessandro Saluzzo di Monesiglio (lo stesso che nel febbraio 1821 sarà chiamato al Ministero della Guerra e della Marina) di aver egli disposto il passaggio agli artiglieri di terra del Colonnello degli artiglieri di mare. Si scusa di non avergli data partecipazione diretta del provvedimento, e confida che il Comandante di Genova abbia, a riconoscerne ropportunità. 260 UMBERTO VALENTE Quoique depuis bien long temps je n’ai pas eu de vos nouvelles, mon cher Des Geneys, je vous régarde trop comme de mes amis pour ne pas laisser passer la journée sans vous parteciper le bonheur que j’épreuve par la demande officielle qui eut lieu ce matin par le Prince de Staremberg, au nom de l’Empereur, de la main de ma soeur pour l’Archiduc Ranieri, Vice-Roi du règne Lombardo-veneto; j’épreuve un si grand contentement de rétablissement convenable de cette pauvre soeur, que ne doute pas, vous connaissant assez, du plaisir que ça vous procurera. Je suis pour toujours Turin, ce 2 mars 1820. Votre affectionné ami Charles Albert Il Principe comunica all’amico il fidanzamento della sorella Elisabetta di Savoia-Carignano (1783-1853) con l’Arciduca Giuseppe Ranieri (figlio dell’imperatore Leopoldo II) viceré del Lombardo Veneto dal 1818 al 1848. Figlia di Elisabetta fu Maria Adelaide, la sposa del Gran Re Vittorio Emanule II. En accusant à Votre Excellence la réception de la lettre qu’Elle a bien voulu m’écrire, j’éprouve le besoin de vous exprimer, mon cher Comte, toute la reconnaisance, que je vous ai, par tant de bontés que vous avez bien voulu avoir pour moi pendant mon séjour à Gènes. Je regrette infiniment tous les ennuis que vous aurez eu à cause de nous, et ai été d’autant plus sensible a la manière aimable avec laquelle vous me les cachez. Mon amitié est peu de choses, mais pourtant si jamais je peu être à même de vous en donner des preuves, je vous assure que je me régarderai comme heureux. Si les choses ici n’allassent pas avec autant de lenteur, j’aurais déjà pu vous envoyer votre Frère, puisque le Roi a approuvé la translation du surplus des pièces d’Alexandrie à Gênes. Mais, lorsque j’en aurai l’autorisation, je le ferai avec d'autant plus de plaisir, que j’attends son retour avec impatience. Nous venons de terminer l’état de dotation de la place de Gênes, d’après le projet que vous aviez communiqué au Colonel De Andreis; aussi comme j’eus l’honneur de le dire au Roi, nous n’avons fait que profiter de votre travail et étendre le plan d’armement. Avec un nouveau plaisir je vous assure, mon cher Comte, de l’amitié la plus sincère que je vous porte, et vous prie de me croire pour toujours Turin, ce 4 novembre 1820. Votre affectionné ami Charles Albert Scritto in forma succinta, ma efficace. Tralasciando di annotare la conferma del proposito sovrano di aumentare le difese di Genova con dotazione di cannoni trasportati da Alessandria., e l’intenzione di destinare a quella città il T. Colonnello Giuseppe Des Geneys, fratello dell’Ammiraglio, è da notarsi l’accenno alle preoccupazioni ed alle noie che la momentanea comparsa di Carlo Alberto a Genova aveva procurato al governatore della città e comandante della marina militare. LETTERE DI REALI ALL’AMMïRAGLIO CONTE GIORGIO DES GENEYS 261 Fin da quei giorni cominciavano a circolare per tutto il territorio ligure-piemontese libelli e fogli volanti diretti ad ottenere dal Re Vittorio Emanuele I riforme costituzionali. L’Austria era considerata come nemica della Nazione; si gridava: Viva la Costituzione, morte al Marchese Brignole e al Conte Roburent, cioè ai personaggi ritenuti contrari ad ogni riforma. Mon cher Général, je suis doublement content de la promotion de Monsieur votre Frère, puisque j’ai réussi à vous faire plaisir, en même temps que j’ai fait un avantage au Corps, en priant S. M. d’élever du grade un officier aussi distingué qu’est le Chevalier Des Geneys. Dans la nouvelle organisation du Corps Royal, ayant obtenu de pouvoir transporter dans les places fortes tous les canons de siège disponibles, et de mettre les dites-places en état de defense, j’envois un officier à Alexandrie pour diriger les travaux à y faire, ainsi que les transports des canons, que nous ésperons vous envoyer. Monsieur votre Frère est celui que j’ai destiné pour cette commission, éspe-rant qu’il vous serait plus agréable d’avoir à traiter avec lui, et qu’il ne manquerait point d’occasions qui l’obligeassent d’aller à Gênes, où je me rendrai je crois dans peu, pour y concerter avec vous l’armement des fortifications. En attendant, je vous fais mes plus sincers remercimens pour l’obligeance que vous avez bien voulu montrer dans la translocation de deux officiers de votre Corps dans le notre, et vous prie de croire à la sincère amitié de votre affectionné ami Ch. Albert. (senza data) Importante l’allusione al Maggiore Cav. Giuseppe Des Geneys, già Ufficiale dell’esercito francese agli ordini di Massena, promosso Tenente Colonnello per suggerimento di Carlo Alberto. La lettera continua nella, descrizione dei preparativi per la fortificazione di Genova. Le Lieutenant Vicino se rendant à Gênes, je le charge de ces peu de paroles pour vous, ainsi que des cartes qui vous feront voir tout ce que j’ai été obligé de faire ici ; quoique dans le malheur, je sens l’honneur plus que jamais, ainsi je ne peux vous recommander que vos devoirs; votre affectionné ami Charles Albert. A S. E. Le Comte Des Geneys, governeur de la province de Novare. (senza data) Il biglietto senza data contiene la bella affermazione del Principe Magnanimo: Je sens l’honneur plus que jamais. In realtà Carlo Alberto, anche nel periodo più angustiato del suo regno non comprese mai la vita senza onore, e non ondeggiò mai un momento fra un dolore e un dovere (1). i1) C. Rinaxtdo, Discorso ai giovani su «Lo Statuto». Torino, Botta, 1898, pag. 14. 262 UMBERTO VALENTE J’ai reçu avec bien vive satisfaction, mon cher Amiral, le charmant tableau que vous m'avez envoyé par votre neveux et qui représent les manoeuvres, qu’éxécute l’escadre devant la ville de Gênes; ce fut une bien belle journée pour mon coeur que celle où je vis notre marine, après avoir armé si promptement les bâtimens, de montrer puis d’une manière si brillante qui nous donnait l’assurance qu’elle contribuera toujours puissamment à l’honneur et à la gloire de notre Patrie. Elle est entièrement votre ouvrage, mon cher Amiral, c’est votre création ; vous rendîtes par là un service immense à notre pays, dont je me trouve heureux de vous devoir la plus vive reconnaissance. En vous réitérant mes remercimens, mon cher Comte, croyez moi à jamais Votre ami Charles Albert. (senza data) Ben meritato il caldo elogio tributato da Carlo Alberto all’Am-miraglio, cbe aveva mobilitate le sue navi, armandole di tutto punto, con grande solennità, in occasione della visita del Principe. Esse infatti rappresentavano la potenza marittima del Regno di Sardegna : i Genovesi festeggiarono l’avvenimento con vive acclamazioni di simpatia, ed altre patriottiche manifestazioni. Avant de descendre du bâtiment, je viens vous exprimer, mon très cher Général, mes remercimens les plus sincères, pour la lettre obligeante que vous avez bien voulu m’écrire, et pour tous les soins qu’on m’a prodigué sur le bâtiment, sûrement d’après vos ordres. Je prie votre Excellence de vouloir bien remettre à Sa Majesté le Roi la lettre ci-incluse; et d’accepter, en même temps, les assurances de mes sentimens d’affection les plus invariables. Albert I)f Savoie Le 7 avril 1S23. È forse la lettera che prelude alla spedizione del Duca d Angoli-lème nella Spagna per reprimere con centomila soldati francesi l’insurrezione costituzionale e rimettere sul trono l’assoluto monarca Ferdinando VII. Al Trocadero, presso Cadice, l’esercito francese soffocò nel sangue la sommossa liberale ; all’espugnazione di quella fortezza (31 agosto 1823) partecipò Carlo Alberto di Ca-rignano, segnalandosi per ardimento e bravura militare. Je ne saurais assez vous exprimer, mon très cher Général, comme je suis ravi et enchanté des superbes barques que vous eûtes 1 extrême bonté de faire faire pour moi; elles sont l’admiration de tout le monde et mes délices, l’homme, qui les a accompagné, nous a été aussi extrêmement utile pour toute notre petite marine; et si ce ne fut point une indiscrétion, j’oserais vous demander l’autorisation de le conserver encore quelques jours. Je désirerais bien vivement pouvoir vous posséder quelques jours à Racconis; c’est un souhait, que je forme depuis longtems, et dont la possibilité de realité est une de mes plus douces expérances. En vous renouvellant, mon très cher Général, les expressions de mon plus vive gratitude, je vous embrasse, et suis pour toujours votre très affectionné ami Albert De Savoie. Racconis, ce 14 juin 1827. LETTERE DI RE ALT ALL’AMMIRAGLIO CONTE GIORGIO DES GENEYS 263 Allude ai modelli delle piccole navi corvetta « Aurora » di 20 cannoni, « Aquila » di 24, ed alle fregate « Beroldo », « Haute-Combe » di 50 cannoni, fatte costruire dal Des Geneys nel 1827. Fu quello il periodo più importante per l’organizzazione della Marina Sarda. Il regio naviglio fu potenziato, la darsena rimodernata e fornita di mezzi idonei al trafi&co accresciuto. Al termine della missiva, il Principe esprime il desiderio di ospitare qualche giorno l’Ammiraglio nel grandioso Castello di Racconigi, costruito da Emanuele Filiberto nel 1570, e dato in appannaggio da Carlo Emanuele al suo secondogenito Tommaso, principe di Carignano. Com’è noto, Carlo Alberto lo ampliò nel 1834, e lo arricchì di marmi e di sculture. Mon cher Général, Je viens recommander à vos bontés Eugène, gui vous remettra cette lettre, l’aimant autant que s’il fut un de mes propres enfans. J’éprouve un vrai bonheur en pensant qu’il va commencer sa carrière sous votre direction, dans un Corps que vous avez formé, et qui a acquis, sous vos auspices, un si juste et brillante réputation. En vous le recommandant, je n’entends parler que de votre bienveillance que je lui désire, car vous m’obligerez infiniment, au contraire, en ne le ménageant aucunement; eu l’embarquant le plus souvent possible; en lui faisant faire le même service qu’aux autres élèves; car c’est ce que je vous demanderais pour un de mes propres enfans. Je regrette de devoir avouer qu'il est fort retardé dans le études pour son âge; mais j’ose me flatter qu’il fera tous les éftorts pour mériter d’appartenir a un Corps aussi distingué. Croyez moi à jamais, mon cher Général. votre bien affectionné ami Albert de Savoie Turin, ce 4 avril 1830. Questo scritto rivela ?e premure ui Carlo Alberto verso il cugino Eugenio di Savoia, che stava per imprendere la carriera della marina. La lettera che segue, è in parte dedicata allo stesso argomento, ma le raccomandazioni sono più insistenti. Ebbe Eugenio animo nobilissimo e mente superiore; alla morte del Des Geneys, avvenuta Γ8 gennaio 1839, gli successe nell’alto ufficio di Comandante generale della marina sarda. Tenne altre cariche di responsabilità, di cui si dirà in appresso. Je ne.puis assez vous exprimer de reconnaissance, mon cher Général, pour la bonté que vous eûtes de me communiquer la relation du Général de Cha-teau Vieux, qui m’a infiniment intéressé, ainsi que pour les nouvelles que vous voulez me donner d’Eugène. Je suis bien heureux de ce que vous me dites a son égard, formant des voeux bien ardens pour qu’il puisse, de toutes manières, se meriter toujours de plus votre affection, votre estime; qu’il puisse se rendre digne de faire parti d’un Corps qui justifie toujours de plus la juste célébrité qu’il vous doit, et qu’il vient de si bien prouver par la seule et énergique présence devant Tunis. Ayant toujours désiré d’avoir un de mes 264 UMBERTO VALENTE enfans sous vous, dans la marine, je desire, s’il peut y réussir, qu’il y fasse toute sa carrière, qu’en y acquérant des connaissances, des talens, qu’il puisse y rendre de continuels services à la patrie. Croyez moi à jamais, mon cher Général, votre très affectionné ami, Albert de Savoie Racconis, le 17 juin 1830. Con parole di profonda ammirazione e di giusta lode per l’Am-miraglio, Carlo Alberto prende atto dei progressi fatti dal Principe Eugenio nella marina. Esalta gli sviluppi delle forze armate, e la vittoria di Capo Malfatano riportata nel 1811 contro i pirati tunisini dai marinai della Sardegna. Ad essa contribuì il Des Geneys, che preparò accuratamente uomini e navi. A quel primo scontro navale, altri seguirono, più memorabili e più degni : la spedizione di Tripoli del 1825 e quella di Tunisi del 1830, a cui più volentieri ripensa Carlo Alberto in questa missiva, scritta pochi mesi prima di salire al trono. Racconis, le 17 août 1837. Je vous remercie, mon cher Général, de l’état de la Marine, que vous m’avez envoyé, et à l’exception du grade pour le Major Orrù, que je n’ai pu accorder, parce qu’il a dans l’armée près de cinquante capitaines devant lui, j’ai approuvé hier, dans la Relation de Villamarina, toutes les promotions que vous m’avez proposé; et j’ai aussi fait ce que vous désiriez pour Eugène. Soignez bien votre précieuse santé, mon cher Général, et croyez moi à jamais Votre affectionné ami Charles Albert Re Carlo Alberto discorre, in questo biglietto, di ordinaria amministrazione; comunica all’Ammiraglio che, ad eccezione di una, tutte le promozioni da lui proposte sono state approvate su rapporto del Marchese Emanuele Pes di Villamarina, Ministro della Guerra e della Marina. LETTERE DI EUGENIO DI SAVOIA-CARIGNANO ALL’AMMIRAGLIO DES GENEYS Le due lettere che seguono furono dirette all’Ammiraglio da Eugenio di Savoia (14 aprile 1816-15 die. 1888), figlio del principe Giuseppe (1783-1829) appartenente a quel ramo cadetto Savoia-Villafranca, che ebbe per fondatore Eugenio, Conte di Villafranca, nato dal principe Luigi di Carignano (1721-1778). Durante le guerre per l’indipendenza, nazionale, dal 1848 al 1866, LETTFRE DI REALI ALL*AMMIRAGLIO CONTE GIORGIO DES GENEYS 265 Eugenio di Savoia coprì l’alto ufficio di Luogotenente generale del Regno. Nel 1861 tenne con onore la Luogotenenza di Napoli. Carlo Alberto, come vedemmo, mostrava particolare affetto a questo suo parente, che teneva in conto di figlio. Con lettere patenti 28 aprile 1834 lo dichiarò principe di sangue reale e capace di succedere al trono. Turin, ce 7 janvier 1837. Excellence, Je ne puis suffisament vous témoigner la satisfaction que mon coeur éprouva à la récéption de votre aimable lettre du 30 décembre dernier vos félicitations et vos sincères souhaits pour la nouvelle grâce que S. M. Mon Auguste Souverain a bien daigné me faire, en me nommant Chevalier de ΓOrdre Suprème de l’Annonciade. Les bontés, que V. E. a toujours eûes pour moi, ne s’effaceront jamais de mon coeur. Vous voudrez bien, par un nouvel acte de votre bonté, témoigner mes vifs remerciements à ces braves officiers, qu’ont pris part à l’honneur que S. M. a bien daigné me faire; chacun d’eux n’est oublié de moi, et je fais des voeux pour leur bonheur, auquel je souhaiterais occasion de pouvoir y contribuer. Agréez, Excellence, mes sentimens d’affection et de reconnaissance, et croyez que je ne manque pas de prier pour votre prospérité. Fu gè ne de Savoie Carignan Turin, ce 3 septembre 1837. Excellence, Je vous suis infiniment redevable des félicitations que vous me faites et des marques des satisfactions que vous me donnez, ainsi que de la part du Corps de la Marine, pour ma nomination à Capitaine de Vaisseau, que S. M. mon Auguste Souverain et Seigneur a bien voulu faire en mon faveur. Je tiens, non moins que vous, au Corp de la Marine, qui a le bonheur d’avoir pour son chef une personne de tant de merites, tels que vous, qui veillez a leur bonheur, et sous la direction de qui j’ai fait mes premiers pas dans la carrière des armes. Veuillez témoigner ma satisfaction et mes remercimens à tous ces braves officiers, et agréez vous même les sentimens de ma plus parfaite considération et de la plus haute estime, que j’ai pour V. E. Eugène de Savoie Carignan Nella prima missiva, il Principe ringrazia l'Ammiraglio degli auguri rivoltigli in occasione del Sovrano conferimento dell’Ordine supremo della SS. Annunziata, avvenuto su proposta del Des Geneys, e lo prega di ringraziare altresì gli ufficiali che parteciparono alle onoranze in suo onore. Nella seconda esprime la sua gratitudine agli ufficiali di Marina per aver festeggiato la sua nomina a, Capitano di vascello conferitagli dal Re, ed accenna simpaticamente ai primi anni della sua carriera marinara, trascorsi sotto la guida saggia ed esperta delPAmmiraglio. 266 UMBERTO VALENTE L'epistolario ha termine quando in Europa si determina la rinascita idealistica, sotto l’impero di nuove forze sociali e politiche. Vincenzo Gioberti sarà costretto ad esulare a Parigi e a Brusselle ; ivi pubblicherà il suo celebre « Primato » preconizzando all’Italia una missione di civiltà universale ; Massimo d’Azeglio ne Gli ultimi casi di Romagna accentuerà l’opera di rigenerazione civile già iniziata; Cesare Balbo riporrà le « Speranze d’Italia » principalmente nel Piemonte. Rinasce intanto la fiducia nel governo dei Principi ; si chiedono riforme, si riassume il programma delle rivendicazioni nazionali nella sola formula: unità e indipendenza. Umberto Valente DISCUSSIONI E COMMENTI A PBOPOSITO DELL’ « AURELIA » Negli ultimi fascicoli del « Giornale Storico e Letterario della Liguria », R. Baccino tratta della « strada romana Aurelia » nel percorso da Pisa a Vado : non vi porta alcun contributo nuovo e ripete anzi alcuni degli errori in cui altri prima di lui eran caduti. Nel 1924, nelle « Memorie della Accademia Lunigianese di Scienze » io avevo pubblicato uno studio sugli « Itinerari romani in Lu nigiana ». Le conclusioni cui pervenivo rimangono, anche dopo lo studio del Baccino, senza positiva opposizione. Per questo A. Boron e Boaoeas sono una medesima cosa mentre ciò non è detto in alcuna fonte nè lo si può dedurre perchè i due nomi cominciano con l·. L’uno o l’altro luogo non identificabile assolutamente col Borghetto di Vara che è borgo storicamente datato (1274). Se il Baccino ebbe un dubbio su questa identificazione quando osservava come fossero poche le 12 miglia indicate dall’itinerario di Antonino come intercedenti tra Luni e il Borghetto, questa sua stessa considerazione avrebbe dovuto condurlo a diversa conclusione. Manca ancora una prova della salita della Aurelia dal Boron-Boaceas-Borghetto all’attuale Roverano : come manca ancora la prova che l’Aurelia romana seguisse quell’assurdo incomprensibile tracciato che segue l’Aurelia di oggi. Le visibili tracce dell’Aurelia sul Bracco aspettano ancora, io dicevo allora, una autorevole conferma sulla loro età e questa, di per sè sola, difficilmente proverebbe che esse avessero fatto parte della romea, meglio dell’Aurelia. Tracce visibili si osservano ancora, e meglio, lungo il tracciato da me indicato, che, non ostante lo studio del Baccino, è ancora quello che è sostenuto dai migliori argomenti, ancora inoppugnati. Afferma il Baccino che « resta di squisitamente romano il tracciato dell’Aurelia ». Ma che sia romano il tracciato per il Bracco è voler affermare un poco troppo e troppo affrettatamente. Si è chiesto il Baccino perchè i romani si siano arrampicati fino a quota 600 quando a quota assai minore la strada avrebbe potuto, conservando i suoi caratteri, valicare i contrafforti di monte S. Nicolao? Evidentemente, no. Si è chiesto il Baccino perchè fra Luni e Moneglia, secondo il tracciato da lui seguito, non si incontrino luoghi di sicura antichità? I 268 Μ. N. CONTI Percorra, non in comoda automobile, Fattuale Aurelia, ma un poco più faticosamente quella strada che da Trigoso, che è quasi certamente la Tegulata dell*Itinerario di Antonino, per la valle di S. Lazzaro raggiunge Moneglia e per Lemeglio, valicata l’incisa a quota 309 (presso le rovine di S. Bernardo) — dove va identificato In Alpe pennino — raggiunge Mezema. Troverà, ho detto, visibilmente tracce dell’Au relia. Prosegua- per Passano e raggiunga Framura (a Vico presso Framura furon trovate monete romane dell’impero; sul Bracco, ch’io sappia, non ne furon mai trovate) e prima di giungere alla chiesa di Framura passerà accanto a due case che si chiamano oggi Ca’ Ressa (e non potrebbe in questo luogo· essere identi fìcato il Rexum indicato da Guido Geografo e dall·’Anonimo Ravennate?). Lasciata la chiesa (ch’è pieve, ch’è vetusta) di Framura raggiunga quella, pur pieve e pur vetusta, del Montale di Levanto (l’an tica Ceula) indi per gli attuali Legnaro e Chiesanuova e valicando il Piccino al Termine (per i luoghi di Albaredo che ci han dato segni di indubbia antichità) raggiunga Pignone e Padivarma. Quindi il suo tracciato sino a Luni. Avrà percorso in tal modo 18 km. circa pari a XII m.p.m. tra Trigoso e Framura e in essa identificherà Bodetìa ; ne avrà percorsi altri 40 pari a XXVII m.p.m. tra Fra-mura e Ceparana che identificherà con Boaceas dell’itinerario, e ancora altri 18 pari a XII m.p.m. tra Ceparana e Luni: ossia esatta mente e precisamente quanti ne indica l’itinerario di Antonino. Avrà incontrato luoghi i cui ricordi storici non recenti abbondano: avrà incontrato 7 pievi di cui almeno 6 datano dal 1000 (indizio d’aver incontrato almeno 6 pagi romani) e avrà percorsa una strada veramente romana nel tracciato nella concezione nel percorso. Da Padivarma al Bracco non un solo luogo le cui notizie positive risalgono oltre il 1100 : non una pieve, solo un tracciato, errato, assolutamente indegno di esser detto romano. Troppo scarsa è nello studio del Baccino la bibliografia; s’egli ha conosciuto quanto si è scritto sull’argomento, anche incidental mente, male ha fatto a non ricordare e* soprattutto a non confutare. Μ. N. Conti E debito d’onestà affermare che all’epoca della compilazione .del mio piccolo saggio sull’Aurelia, non ebbi la ventura di conoscere lo “ studio ,, del Conti per quanto il mio lavoro di ricerca sia stato allora non indifferente. Colui che s’occupa di storia e che si sente mondo d’un qualche peccato, scagli lo prima pietra! Confesso che O) M. N. Conti, Itinerari romani in Lunigiana, in « Memorie della Accademia Lunigianese di Scienze Giovanni Capellini >>, vol. V, 1924, pagg. 137 e segg. DISCUSSIONI E COMMENTI 269 quando venni a conoscenza di ciò che il Conti aveva scritto a mio riguardof provai vivo dispiacere nell’apprendere d’aver trascurato, sia pure in buona fede, un autore tanto importante e così sicuro del fatto suo. Oggi che conosco questo “ studio ,, tanto autorevole, mi sento la coscienza tranquilla. Starei per dire che se anche l’avessi conosciuto prima cfti trattare la romea di Levante, l’avrei lasciato dormire i sonni del giusto. Il perchè apparirà ovvio ma/n mano che tenterò di scagionarmi delle.... terribili accuse che mi sono state scaraventate addosso. E per cominciare dalla prima, che è quella di non aver portato alcun contributo nuovo allo studio dell’Aurelia ligure, dirò che questa gratuita affermazione prova a lume di sole, come al Conti sia sfuggito lo scopo del mio lavoro che era quello di raccogliere organicamente tutto ciò che di serio e di ponderato era stato scritto svi tracciato della via romana da Luni a Vado, per darne un profilo d’insieme, chiaro, per quanto succinto. E che mi spetti un po’ di priorità in questo, il Conti, non potrà negare. In quanto poi ai famosi errori che il mio contradditore ha rilevato, è un altro paio di maniche! Perchè nella logica matematica e stringente dell’ing. Conti, tutto ciò che non collima ammodino con le sue personali (troppo personali!) vedute, è buttato sdegnosamente al macero. Vediamoli un po’, questi errori! Ed ecco Boron e Boaceas. Tralasciando la storia puerile del b che fa sorridei'e e prendendo la questione con le molle della serietà, mi pare che nulla vieti di identificare i due toponimi colla stessa località o stazione militare, tanto più che indubbiamente, seguendo la tradizione classica del tracciato del Bracco, Vuna e l’altra stazione son da porsi nella vallata del Vara. Ma questa è mia personale opinione tutt’altro che indiscutibile. Che poi Borghetto Vara sia sorto di punto in bianco nel 1274, quasi per opera dello Spirito Santo, e che questa data natalizia escluda assolutamente la preesistenza, nella località o nei pressi, d’una stazione milita/re romana, è grossa, via! Ed ora veniamo al nocciolo. Al famoso tracciato dell’Aurelia. La quale per me, e me ne sto in ottima compagnia, saliva al Bracco e lo valicava! L’itinerario da me seguito, che è all’incirca quello del Bollo, (ma il Conti non lo cita quest’autore fondamentale, e forse non lo conosce!) è quanto corrisponde alle mie personali osservazioni e non ha proprio nulla di cervellotico. Seguo le ome del Ferretto, del Risso, del Oabotto, e non sono labili orme! (Ma il Conti forse ignora‘quanto questi signori han detto in merito, perchè non ne fa menzione!). Del tracciato che dal mio oppositore è recisamente affermato con incì'ollabile sicurezza come quello autentico, già avevo avuto nOtizia 270 nel Bono (Memorie di Montarcto) che il Conti non conosce, ma l’ho reputato sempre ed ancor oggi lo reputo il tracciato d’una “ vicinalis ,, tributariar della romea,. Ed ecco come si spiega il fatto che su questa strada di allacciamento si siano allineate tante pievi antiche (le quali non si può affermare che corrispondano ad altrettanti pagi romani come il Conti fa, perchè nulla ri è di assoluto, di matematico nel campo della storia e il fatto di datare dal 1000 non autorizza una pieve a proclamarsi crede d’un pago romano. Andiamo, adagio con questa famosa regola che soffre tante eccezioni!). Quando si rifletta poi che VAurelia, strada tipicamente militare, con scopi esclusivamente strategici quindi, aveva ben altre esigenze d’una comune via d'allacciamento fra pagi e vici e che dai Romani.... £i la brevità fu sempre anteposta all’agevolezza,, (Risso), ci si spiega come I’ (c assurdo ,, percorso del Bracco, che affronta/va una regione aspra e selvaggia, incontrasse scarsissimi agglomerati etnici. Ma questo poco vuol dire. E che il tracciato del Bracco fosse il più breve, allora come oggi, basti pensare che fu scelto anche per la nazionale. (Ma anche questo tracciato moderno il Conti chiama assurdo!). Data l’assoluta disparità di vedute fra me e il Conti, tralascio di confutare quanto si riferisce alle sue identificazioni. Voglio in-1 vece citarne una carina per quel che riguarda il computo delle miglia, che dimostrerà luminosamente quali sono i metodi usati dal mio contradditore. Ber far tornar giusta la distanza in miglia· fra ” Genua ,, e ” Monilia ,, , crea di punto in bianco una nuova stazione fra ” Genua ,, e ” Ricina ,, , a Nervi, interpolando a suo piacimento la tavola pentìngeriana. Sicché fra ” Genua ,, e ” Ricina ,, (da tutti fino ad oggi identificata con Recco) corrono ben 22 miglia, pari a Km 32,5. Troppi? Niente paura! L’autore trasloca ” Ricina ,, a Rapallo, ” Delphinis ,, , ” ad. Soiaria ,, a Lavagna, e tutto è accomodato nel migliore dei modi. E questo fia suggel.... Resta un’ultima accusa, quella cioè di “ troppo scarsa ,, bibliografia. Non voglio difendermi da una così gratuita affermazione. Chi fa professione seria, non dilettantistica, di studi storici, potrà pronunciare un giudizio sereno sul mio lavoro. Non il Conti, il quale oltre a trascurare tutti gli autori che ho già segnalato, dimostra di non conoscere, ad esempio, i lavori dell’Oberziner che sono, sino a prova contraria, quanto di più obbiettivo, di più erudito si sia scritto sulla Liguria antica. E se oggi in essi, qualche cosa v’ha di superato, restano sempre come opere classiche, delle quali non può fare a meno chi abbia veri intenti di storico. Ma il lettore l’ha capita prima di me. E evidente che questa accusa di “ troppo scarsa ,, bibliografìa, deriva dal solo fatto di non aver citato il saaqio del Conti. ... Renzo Baccino />' RIVIERA DI LEVANTE E LUNIGIANA NELLA POLITICA NAVALE GENOVESE DOPO LO SFACELO DELLA MARCA (Continuazione ; ved. numero 'precedente). Sinora abbiamo accennato ai feudatari maggiori. Ma possiamo spingere la nostra indagine anche ai feudatari minori o vassalli, sia pure per sommi capi. Sono i Lagneto, che nella sottomissione del 1145 accennano alPesistenza di propri « valvassori » ; sono i Passano che, rispettivamente nelle pattuizioni del 1157 e del 1171, parlano di propri « homines vassallos » e di proprie « masnate », di propri « domnicati arimanni » e « domnicati manentes » (3). Passando allora a trattare direttamente del potere giurisdizionale, troviamo una prova ancor più decisiva della vigorosa esistenza di un regime feudale in tutta la Riviera in questo periodo. Le clausole della citata sottomissione dei Conti di Lavagna, del 1166, limitano, nel territorio soggetto alla loro sovranità, precisamente l’esercizio del potere giurisdizionale, cioè di quello tra i poteri che più d’ogni altro definisce in regime feudale la qualità e la natura delle « pubblice functiones » attribuite alla classe signorile. Se vi sono delle limitazioni, delle rinunzie all’esercizio di questo potere da parte dei Conti, è segno evidente che in esso si estrinsecava ancora in modo particolare l’autorità comitale. In conclusione insomma, l’imperio dell’organizzazione feudale appare pienamente efficiente; la Riviera di Levante e la Lunigiana non si trovano ancora, al momento in cui il Comune genovese inizia la sua azione di conquista, in una fase avanzata di trapasso da un precedente sfruttamento terriero a caratteri feudali-curtensi ad una fase di sfruttamento con caratteri di economia capitalistica. L’organizzazione dell’intera zona è tuttora imperniata sul concetto particolare di sovranità caratteristico dell’epoca feudale; la base dell’ordinamento sociale riposa tuttavia sulla natura e sulla qualità delle pubbliche funzioni, dei poteri attribuiti nel campo del diritto pubblico ai feudatari. Il rapporto tra signori e vassalli, tra vassalli e a sudditi » delle inferiori classi sociali va ricercato in questo campo : sarebbe a nostro parere intempestivo ricercarlo nella definizione di diritti privati di proprietà. (J) Lib. Jur. cit., I, col. 110-195-263 il 265. FERRUCCIO SASSI IV. Questo, che abbiamo descritto, è per sommi capi il quadro politico-sociale trovato dai Genovesi nella Riviera di Levante al momento in cui la necessità d’un più vigoroso moto di espansione li sospinge a porvi stabile piede. Il moto procede, con naturali interferenze, con azioni e reazioni reciproche, nel campo militare ed in quello politico; i mezzi impiegati sono diversi a seconda dei momenti, e duttili ne sono le applicazioni. Tutto rivela insomma mentalità agili, in possesso d’una chiara percezione dei rapporti in ogni momento intercorrenti tra i mezzi ed il fine ultimo da conseguire. Abbiamo accennato ai ben magri risultati ottenuti dai Genovesi nelle azioni svolte nel 1110-1111 ed agli inizi della posteriore campagna iniziata nel 1132. Se, più o meno apertamente, si capisce, lo confessa Caffaro — abilissimo tra gli abili nel lasciare in chiaroscuro le imprese ritenute non onorevoli perchè non vittoriose (quasi che onore e gloria non vadano talora uniti alle più brucianti sconfitte) — non vediamo proprio alcun motivo per dubitarne noi. La campagna del 1110-11 si era chiusa in terraferma con uno smacco ; l’altra aveva prodotto come soli risultati tangibili la conquista della località di Rivarolo, seguita dall’erezione del castello omonimo, e la sottomissione dei domini di Passano pel castello di Frascaro. È vero che il Caffaro assegna al 1133 la distruzione dei castelli dei Conti e la resa di questi ultimi ; ma, a prescindere anche dal fatto che il giuramento di fedeltà e di cittadinanza dei Conti più prossimo agli avvenimenti narrati dal cronista avviene soltanto nel 1138 (l), e cioè ben cinque anni dopo l’asserita resa, è certo che l’atto relativo non ci dice sostanzialmente nulla più di quanto si può arguire dal precedente decreto consolare dell’aprile 1128 (2), esonerante i Conti da oneri fiscali superiori a quelli da essi corrisposti antecedentemente « si steterint in voluntate Januensium consulum et comunis populi ». Elemento sgusciante, quello feudale, elemento infido, d’accordo ; ma quale differenza fra il tenore degli atti ora indicati e quello delle più tarde pattuizioni del 1145 e seguenti ! In queste ultime, possiamo effettivamente scorgere — e li vedremo — gli effetti della morsa genovese gradatamente attanagliante alia gola i vecchi feudatari della Riviera. Ma non nelle prime, nelle quali tutto si limita in fondo ad un atto di semplice valore formale, che avrebbe anche potuto impegnare — in quanto e perchè tale — i feudatari medesimi, ma che non sarebbe stato evidentemente osservato da una volontà difforme e ribelle, se questa non fosse stata gravata O) n., col. 58. (2) /&.. I, col. 31. V. a col. 32 la revoca per inosservanza dei patti da parte dei Conti. RIVIERA DI LEVANTE E LUN1G1 ANA ECC, 273 dall’imposizione d’una forza superiore. Convien dedurre che, neppure nel 1138, il Comune genovese si sentisse sufficientemente potente per imporsi con un deciso atto di forza. Che dire allora delle decantate vittorie del 1133? Evidentemente esse dovevano ridursi a ben poca cosa, assai lontana dalla distruzione delle fortezze lavagnine e dalla resa del consorzio comitale : forse alla conquista, forse a qualche slabbratura nella cinta dei castelli comitali eretti lungo quella che potremmo definire la fascia di frontiera. Acquisti facilitati dall’esser venuto meno ai Conti il tempestivo, efficiente aiuto dei Marchesi, impelagati ed impastoiati in altre avventure lunigianesi, tortonesi, piacentine. Dobbiamo pensare che, proprio contro la cintura dei castelli, fosse venuto a rompersi, in lunghi e penosi travagli, lo spirito offensivo delle schiere genovesi. E ci induce a ]itenere verisimile tale presunzione, il deciso mutamento nell’orientamento del Comune avvenuto proprio a cominciare dal 1132. Notiamo, a partire da questo anno, un ritorno a più sani principi, allo sfruttamento razionale dei mezzi disponibili e delle tendenze innate; una ripresa di quella sana politica marinara, che sola poteva consentire il raggiungimento di quei successi definitivi sino ad allora invano ricercati con mezzi esclusiva -mente terrestri. Dalla pace stipulata con la città di Narbona nel 1132, passando per l’adesione del Marchese Aleramo alla cittadinanza genovese, si era giunti in breve volger d’anni all’affermazione di un vero e proprio protettorato genovese su tutta la costa dalla Catalogna a Nizza (*). È, questo, un vero trionfo ottenuto, si noti bene, su un complesso di città, o di stati retti a forme feudali, che traevano dal mare ogni loro ragione di prosperità e di esistenza. È l’imposizione d’una città marinara su altre città ed enti parimenti viventi sul mare e pel mare, cioè su rivali per lo meno nel campo commerciale e quindi facilmente nemici anche nel campo politico. Ma questo trionfo non può essere che naturale fase di sviluppo d’un germe dato da un successo anteriormente ottenuto nel campo conteso e fonte di contestazioni, cioè sul mare : successo non necessariamente militare, ma squisitamente politico quale può essere conseguito mediante un tempestivo, adeguato, persuasivo schieramento di forze, vale a dire di squadre navali relativamente potenti ed in piena efficienza. Caffaro non ne fa cenno nei suoi Annali; ma il fatto rientra troppo nell’ordine naturale delle cose, perchè sia consentito dubitarne. E sono le stesse squadre che, con il fatto solo della loro esistenza, e fors’anche della loro presenza nelle acque della Riviera dopo lo spie- i1) II)., col. 39-51-56. Cfr. Manfroni, op. cit., pag. 195 e Schaube, Stoica del commercio dei popoli latini del Mediterraneo sino alla fine delle Crociate. Torino, Utet. 1915, pag. 337-8. 274 FERRUCCIO SASSI gamento nelle acque occidentali, influiscono sull’atteggiamento dei Conti di Lavagna e dei loro feudatari inducendoli a più miti consigli ed alla rinnovazione dei vecchi patti, che si tentava far cadere nel dimenticatoio. Si apre ora un nuovo periodo di intensa attività, genovese in Riviera ed in Lunigiana, col preciso intento di estendere i risultati conseguiti dall’audace e brillante politica inaugurata. Rientra in questo quadro la regolarizzazione giuridica dello stato di fatto compiuto creato con l’occupazione di Portovenere sin dal 1111. Per ben tre decenni il costruito castello di Portovenere era rimasto indisturbato, in pacifico e tranquillo possesso del Comune, presidiato sì in terraferma — si capisce — ma guardato sostanzialmente dal mare e per mezzo del dominio del mare. È noto che la regolarizzazione avviene nel 1139, mediante la vendita e la « traditio » — da parte dei domini di Vezzano a favore dei Consoli genovesi — del terreno sul quale erano stati costruiti il castello ed il borgo ; ed è altrettanto noto che i rapporti tra Comune e domini sono stati illustrati dallo Sforza (J). Sarà quindi sufficiente ricordare che dalla definizione dei rapporti hanno origine determinati vincoli ed obblighi personali dei domini medesimi, concretati essenzialmente nella generalità del servizio « per mare » esteso a tutti i domini ed a tutti gli uomini loro, mentre pel servizio in terraferma — a meno che non si trattasse della difesa del borgo e del castello — si ritenevano sufficienti le prestazioni d’un solo dei domini per ogni « casa » senza seguito d’armati. Certamente, pur se Caffaro tace in proposito, non si trattava d’una inconsueta generosità del Comune o d’un atto di politica, per così dire, interna, diretto a sviluppare correnti di simpatia. Probabilmente lo sforzo fatto per estendere l’influenza genovese nei mari di Provenza si era appalesato alquanto grave, e necessitava ora conservare in efficienza l’apparato di forze spiegato in quella circostanza. I quadri e gli organici delle squadre venivano validamente rinforzati dalla conclusione dei patti con i domini di Vezzano, a prescindere da ogni altra considerazione sul valore militare e politico della terra il cui dominio veniva così non indispensabilmente perfezionato dal lato formale. Con la già precedentemente avvenuta cessione da parte dei domini di Passano delle ragioni loro spettanti sulle zone di Levanto e di Moneglia, e con la presa di possesso dell’isola di Sestri seguita dalla costruzione del relativo, immancabile castello, tutta la costa da Portofino al golfo della Spezia è addentata nei suoi punti più vulnerabili dal mare, là dove può esercitare tutta la sua efficacia il potere marittimo. Ne risulta facilitata la già iniziata penetrazione at- (!) La vendita di Portovenere ai Genovesi e i primi signori di Vezzano, in « Giorn. St. Lett. della Liguria », 1902. RIVIERA DI LEVANTE E LUNJGIANA ECC. 275 traverso le maglie della cinta fortificata di confine; Poccupazione di fatto, ormai non più facilmente eliminabile, consiglia ai feudatari particolari accordi per salvare il salvabile ; un’altra politica subentra alla prima, avvalendosi delle premesse poste da quest’ul-tima, e gradualmente si afferma in modo sempre più efficente : una politica che sa di blandizie e di lusinghe, nella quale il Comune genovese può lanciarsi per alquanti anni con passo sicuro attendendo pazientemente che ne giungano a piena maturazione i copiosi frutti. Tanto a maggior ragione in quanto in buon punto, e forse sotto mano attizzati da Genova stessa, sopravvengono i dissensi pisano-lucchesi scoppiati nel 1143> e proprio i Pisani sentono il bisogno di intrattenere con Genova amichevoli rapporti, possibilmente — nelle intenzioni loro — sinché durerà il contrasto tra i due Comuni toscani (*). L’Imperiale di Sant’Angelo, nella sua opera citata, traccia un avvincente quadro della figura di Caffaro e pone l’insigne uomo alla testa dell’attività politica genovese in tutto questo periodo e per molti anni ancora : sia che egli abbia mano diretta nel governo del- lo Stato, sia che — divenuto per un certo tempo impopolare — influisca ed ispiri le decisioni del corpo consolare. L’appassionata rievocazione sembra quasi conliuire in un’esaltazione apologetica; ma in realtà il lavoro mostra una serie di fini intuizioni, condotte o sulla scorta di documenti o sull’interpretazione dei dati offerti dalle scarse notizie rimaste o» pervenute sino a noi. Effettivamente (ed abbiamo cercato di trarre nuovi indizi dall’esame degli avvenimenti) la politica genovese di questo periodo mostra una serietà e una fondatezza d’impianto non comuni a quell’epoca, una continuità di sviluppi, un’organicità ed una bontà di vedute, tali da confermare pienamente il sospetto che tutto ciò sia dovuto alle percezioni chiare ed unitarie d’una mente ben quadrata, sia che quest’ultima abbia concepito ed eseguito da sola, sia che abbia saputo infondere a tutto l’organismo consolare e burocratico del Comune ferma fede nella bontà intrinseca delle proprie convinzioni, maturate per mezzo della lunga esperienza formatasi, sin dalla non più recente giovinezza, dall’attiva partecipazione alle spedizioni oltremare e dal non infruttuoso contatto con tante stirpi, razze, regni e stati diversi. Certamente, anche dalla lotta contro i feudatari, solitamente presentata come tradizionabile ed inevitabile per insanabile contrasto, vediamo sbocciare le linee maestre d’una sana politica navale di vasto respiro. » * * Possiamo ora scendere ad esaminare, nelle manifestazioni essenziali, le direttive seguite ed applicate dal Comune in Riviera. Non (3) TAb. Jur., I, col. 82 e 87. 276 FERRUCCIO SASSI mancavano allora elementi favorevoli, atti ad offrire all’azione del Comune ottimi punti di appoggio. Anzitutto, notevole il latente stato di urto — scoppiato talora in aperta guerra nell’ulteriore corso del secolo — esistente tra i Conti ed alcune delle maggiori famiglie vas salle, principalmente i domini di Passano e di Nasso; successivamente — ina d’importanza non meno decisiva —. i rapporti cordialissimi, anche troppo cordiali, correnti tra il Comune e la Chiesa di Genova specialmente dopo che il notissimo decreto di Papa Innocenzo Il sottometteva all’archidiocesi genovese le sedi episcopali di Bobbio e di Brugnato in terraferma nonché una parte della Corsica (x). Nelle vertenze nobiliari, il Formentini intravvedeva — oltre l’eco di remote contese di probabile origine familiare — un’espressione di tendenze capitalistiche, o almeno con caratteri di formazione capitalistica. Su questo ultimo punto si può concordare, quando si tenga presente — per le ragioni già precedentemente accennate — l’opportunità di tenere ben distinte le attività di carattere econo-mico-patrimoniale (svolte dai ceppi signorili e dai singoli membri di essi, e concretate essenzialmente nelle concessioni livellarie di grandi tenute in prevalenza monastiche od in genere ecclesiastiche), dalle attività dipendenti invece dall’esercizio dei pubblici poteri nella zona o in singole parti di essa. In questo secondo campo le vertenze appaiono meno frequenti ; un accenno esplicito lo ritroviamo soltanto nella promessa fatta dai Consoli ai domini di Lagneto di salvare le ragioni che a questi ultimi spettassero sul castello di Zerli o su altri della Val Graveglia. Ma siamo già arrivati con quest’atto all’anno 1156 (2), e non si può escludere che — in vista del non più lontano crollo del sistema feudale, e sotto la spinta delle riforme ormai in corso di applicazione da parte del Comune — gli stessi beneficiari ritenessero un qualsivoglia diritto feudale facilmente convertibile in un diritto di esclusiva natura patrimoniale mediante un riscatto « una tantum » ovvero mediante il pagamento d’un « feudo » annuo. Circa il carattere originariamente familiare delle contese, mi permetto ricordare l’ipotesi da me espressa in precedente studio sulla consanguineità od almeno stretta affinità dei domini di Passano e di Nasso (3). Inizialmente la politica genovese non si presenta certamente con caratteri decisamente rivoluzionari, e ne abbiamo veduto un esempio nella pattuizione relativa al castello di Calosso; se così non avesse operato, non avrebbe certamente raggiunto lo scopo. Pre- O) II·., col. 41. (2) Ih., col. 193. (3) Il Comitatulus etc., cit. RIVIERA DI LEVANTE E LUNI GHANA ECC. 277 vale invece il riconoscimento dei diritti acquisiti, e solo a grandi , linee, se-non proprio di soppiatto, compaiono qua e là tinte dii carattere « comunale » ; giocando poi sul dissenso, ancora contenuto, fra le stirpi feudali, riesce più facile senza dubbio sedurre ed attrarre gradualmente i domini di quei castelli così fastidiosi e così poco digeribili. Dopo i domini di Passano — per la sua posizione sembra importantissimo il castello di Frascati, da essi tenuta — si passa agli altri ceppi più direttamente legati ai Conti di Lavagna ed allo stesso ramo comitale. Un secondo solenne giuramento, quel- lo del 1144 (1), non è ritenuto sufficiente salvaguardia, così come si era reputato evidentemente insuffìcente allettamento l’offerta del Comune, che si adatta a spendere complessivamente ben 300 lire di « brunetorum » per l’acquisto della terra e la conseguente costruzione di case in Genova, per abitazione e dei Conti e dei Passano (2>. La politica può espugnare quei castèlli dinanzi ai quali l’azione militare pura e semplice potrebbe esaurirsi, e può costruirne agevolmente dei nuovi. E sono allora i domini di Lavaggi che, nel 1145 (3), donano al Comune di Genova quanto già era stato da esso occupato di fatto, e cioè tutto il « ronco » (ritorna la caratteristica terminologia di Calosso) sul quale erano stati costruiti borgo e castello, ed era stato escavato il fossato di recinzione. E nello stesso 1145 è la volta dei Conti di cedere al Comune i loro diritti in Riva-rolo e sulle terre della collina dell’isola di Sestri « a terragiis superius » : « a terragiis inferius », potranno, se lo vorranno, costruire case di ordinaria abitazione col beneplacito del Comune, al quale è riconosciuta facoltà di acquistare il resto al giusto prezzo corrente avanti la costruzione del castello (4). Costruzione che doveva avere evidentemente contribuito a rialzare i valori dei beili immobili nella località. L’atto dei domini di Lavaggi è rogato nel castello di Rivalsolo, che diviene un poco, in terraferma, il nodo od il punto focale dal quale si dipartono, e nel quale trovano scioglimento, le pazienti tessiture genovesi. Ad ogni modo — insegna la tattica dell’epoca — non è molto salutare che case di comune abitazione siano costruite troppo vicine alle mura di un’opera fortificata; ed ecco allora spuntare un caratteristico atteggiamento della politica religiosa del Comune, piena di rispetto sì, ma anche discretamente tendente ad esercitare una vera e propria tutela sull’Autorità ecclesiastica. Un decreto dei Consoli basta per dichiarare appartenente al demanio comunale la terra su cui era stato costruito il castello e, assieme con questa. (i) TJb. Jur., I, col. 90. (?) Ih., col. 60 e 62. (3) lb., col. 102. (i) lì)., col. 103. 278 FERRUCCIO SASSI l’altra che dal vecchio muro a secco circondante il castello stesso scende giù sino al colle verso Genova. Nè l’Abbate di S. Fruttuoso osi contraddire : il decreto torna anche a benefìcio della Chiesa. Il Comune darà infatti ogni anno una lira d’incenso ; chi verrà ad abitare sulla terra porterà a sua volta annualmente due denari per ogni tavola di terra occupata da abitazioni, uno per ogni tavola di terra destinata a vigneto o ad altra coltivazione. Gli interessi sono così conciliati, ed il Comune potrà liberamente vigilare sulle persone che verranno a stabilirsi nella zona. Anzi, poiché coi provvedimenti adottati si tende, pur senza dirlo, a provocare lo sviluppo del borgo favorendo l’immigrazione di ceti sociali liberi e formandone un luogo di rifugio per chi intenda sottrarsi* a vincoli di natura feudale, il Comune farà di più e tutelerà convenientemente le necessità spirituali della popolazione assegnando spontaneamente trenta tavole di terra sul colle per la costruzione d’una nuova chiesa pievana: salvo in seguito a ritogliere la terra stessa ai sacerdoti della Pieve, e a distruggere la casa da essi costruita, adducendo la mancata costruzione della nuova chiesa (*). È nell’assieme una manifesta zione di quella politica protezionistica, non ancora del tutto spinta, per la quale i Consoli interverranno nel 1155 (2) ad annullare una remissione di decime, disposta nientemeno dall’Arcivescovo Siro a favore degli uomini di Passano e di Nasso, dichiarandosi « conservatores jurium et bonorum arcliiepiscopatus ». Ma ritorniamo pure alle pattuizioni del 1145 che segnano, come abbiamo già chiarito, un decisivo abbassamento del prestigio e della forza dei Conti di Lavagna e dei loro fedelissimi vassalli, i domini di Lagneto, di Cogorno e di Calosso. Gravissimo il colpo inferto ai Conti con le restrizioni loro imposte all’uso dei poteri giurisdizionali. Nessuna giurisdizione più sulle cose che, come essi sono costretti a dichiarare, hanno in altri tempi tolte « irrationabiliter » ; nessuna, « infra domignonem » dei castelli di Muscarolo e di Zerli (nel cuore stesso del comitato), nè sulle persone di Tedisio di Pe-traruta e fratelli, nè sugli uomini residenti fuori dell’arcivescovado genovese, addirittura. Nullo per diritto ogni patto infine, che li legava agli uomini del vescovado. A coronamento, si impone d’autorità la pace tra i Conti ed i Lagneto da una parte, e l’avverso schieramento dei Passano e Nasso dall’altra (3). Ferruccio Sassi ( Continua) (!) lì)., col. 112 e 156. (2) lì)., col. 181. <3) lì)., col. 103-108 a 110. RASSEGNA BIBLIOGRAFICA Vito Vitale, I dispacci dei diplomatici genovesi a Parigi (1787-1793), in « Miscellanea di Storia italiana », S. Ili, vol. XXIV, Torino, 1935 (ma 1936), Torino, Bocca, pagg. I-XII, 1-681. Questa nuova opera del nostro Vitale porta un notevolissimo contributo alla storia della diplomazia italiana nel periodo della rivoluzione francese integrando, sia per la ricostruzione critica, sia per l’importanza dei documenti resi noti, l’opera del Lemmi e del-l’Olmo per la storia diplomatica di quegli anni del regno sardo, del Ciampini per il Granducato di Toscana, del Kovalewskv e del Mazzucckelli per la repubblica di Venezia e del Morandi, il quale però ba rese note le relazioni degli ambasciatori sabaudi, genovesi e veneti di un periodo storico più remoto. Vito Vitale, che i nostri lettori seguono con particolare interesse, per i suoi sagaci studi sulla storia medievale, dove eccelle, e per quelli intorno al settecento e alla prima metà dell’ottocento (*) era forse tra i nostri storici, il più preparato e capace di darci, insieme con la conoscenza dei documenti diplomatici genovesi, una ricostruzione critica esauriente sopra un periodo tanto ricco d’esperienza politica come fu quello che precedette e seguì lo svolgersi della rivoluzione francese. (!) Ved. Onofrio Scassi e la vita genovese nel suo tempo, in « Atti della Società Ligure di Storia Patria», Genova, 1932; Informazioni di polizia sull'ambiente ligure (1814-1815), in «Atti Soc. Lig. Storia Patria», 1933; Un giornale della repubblica ligui'e: Il Redattore italiano e le sue vicende, in «Atti della Soc. Lig. di Storia Patria», 1933; Diplomatici e consoli della Repubblica di Genova, in «Atti della Soc. Lig. di Storia Patria », 1934; Genova. Piemonte e Inghilterra nel 1814-1815, in questo Giornale, 1930, fase. Ili, U insurrezione genovese nel dicembre llJfi, ibid, 1931, fase. IV; Ancora sulki rivoluzione genovese del 111/6, ibid, 1931, fase. I; Cristoforo Vincenzo Spinola e Vinnocuo complotto contro la repubblica di Genova, ibid, 1935. fase. II ; Osservatori genovesi della rivoluzione di Francia, ibid, 1936, fase. I e II, Documenti di storia ligure (1789-1815), ibid, 1937. fase. II. Non elenchiamo le numerosissime recensioni critiche. Facciamo un’eccezione per quella dedicata al volume del Borei — pubblicata nell’ultimo fascicolo — per correggere vari intelligenti errori tipografici: a pag. 213 riga 24 Guidiccioni si è trasformato in Guicciardini; nella stessa pag. a riga 32 accanto è stato sostituito da quanto ; a pag. 216 l'ultimo capoverso invece di cominciare: «Su due punti....» comincia «In due punti.... » ; a pag. 217 i «posteri» giudici del march. d’Argenson, sono diventati «posteriori».... 280 RASSEGNA BIBLIOFRAFICA Il Colucci aveva già reso noti i dispacci dei diplomatici geno vesi dal 1794 al 1799, degli anni cioè nei quali la prevalenza francese nella repubblica di Genova era già un fatto compiuto; i di spacci invece presi in esame e resi noti dal Vitale di Cristoforo Vincenzo Spinola e di Francesco Masuccone non solo ci fanno assistere agli eventi così eccezionali dei primi sei anni della nuova èra, ma soprattutto alla lotta delle influenze politiche esercitate sulla repubblica di Genova, la quale dopo aver difeso in ogni modo la sua neutralità, dovette rinunciarvi, ponendo così in forse la sua stessa indipendenza, con conseguenze incalcolabili per la futura storia della penisola italiana. Prima di iniziare l'esame analitico della nuova monografia del Vitale, è necessario rilevare l'importanza dell'atto di rinuncia alla neutralità nella storia italiana; e su ciò non potremo dir meglio di quanto ha già detto il Vitale stesso, presentando un'altra importantissima opera sua: « Posta accanto alle grandi potenze marittime del Mediterraneo a volta a volta protettrici e insidiatrici, sbocco alla Lombardia, perpetuo teatro della lotta, minacciata dall’espansione del Piemonte desideroso di arrivare al mare, in costante contatto con l’impero, così per la continua sua partecipazione alle vicende italiane come per diritti su terre alle spalle e dentro gli stessi confini della Repubblica, Genova ha avuto per qua si tre secoli a principale strumento di azione e di difesa la diplomazia. Una diplomazia nella quale ai più cospicui rappresentanti della nobiltà cittadina si alternano quelli della nobiltà minore e rivierasca; una diplomazia tanto più importante e organica e informata in quanto per lo più composta di appartenenti ai supremi Consigli della Repubblica e perciò partecipi del governo e pienamente consapevoli dei suoi intendimenti. Diplomazia che ha avuto non pochi uomini degni di ricordo, tenaci difensori degli interessi del proprio paese, abili negoziatori, acuti osservatori degli avvenimenti e conoscitori dei caratteri e della vita dei popoli e governi coi quali si sono trovati a contatto. « I)i questa seconda parte della vita della Repubblica dominata dall'azione diplomatica molte corrispondenze e non poche istruzio ni del governo e relazioni di ambasciatori meritano di essere tolte dall’oblio, indagate e studiate, talune anche in tutto o in parte pubblicate.... « Nessun dubbio che l’età medioevale sia il momento eroico ilei la storia genovese e ligure, quello sul quale con maggiore compia cimento e maggiore orgoglio, si fermano gli studiosi. Ma è canone illogico quello di chi vorrebbe trascurate o escluse le ricerche sulle età dette di decadenza, canone curioso che sopprimerebbe per i po steri una parte di verità ed climinerebl>e arbitrariamente una parte 281 di vita. Ogni età storica ha la sua importanza e ha compiuto la sua funzione, senza notare che questa famosa decadenza va intesa con certa discrezione.... « La vitalità con la quale Genova si è difesa, la destrezza duttile degli atteggiamenti tra i grandi vicini pericolosi e a volta a volta minaccianti, la resistenza palese o coperta- anche in momenti difficili, talvolta addirittura tragici (basta ricordare i rapporti con la Spagna nel 1548 e nel 1054, con la Francia nel 1084, con l’impero nel 1746, coi coalizzati dal 1792 al 1790) mostrano che questa de cadenza, se tale debba ancora essere chiamata, non è stata inerte 0 imbelle come troppo si è detto e ripetuto. « A una più equa valutazione della storia di Genova, negli ul timi secoli della sua esistenza nulla può valere quanto Pesame della corrispondenza diplomatica scambiata con gli ambasciatori presso 1 diversi Stati d’Italia e d’Europa, attraverso la quale si vede « farsi »> giorno per giorno nelle istruzioni del governo, nelle in formazioni dei diplomatici, nelle laboriose, talvolta interminabili trattative, nelle soluzioni politiche che ne derivano, la storia della Repubblica » (*). Per ciò che riguarda i rapporti fra Genova, la Francia e i coalizzati dal 1787 al 1793 la monografia che stiamo esaminando nei suoi ultimi risultati pienamente conferma quanto abbiamo udito teste affermare dal Vitale. L’infj»ortanza dell’opera non sta, intendiamoci bene, in nuove rivelazioni su una delle più profonde rivoluzioni che la storia abbia registrato, ma nei commenti degli osser valori e soprattutto nella rielaborazione critica dell’editore. Nell'ampia e nutrita introduzione è criticamente rievocata ad ogni momento la situazione internazionale in cui venne a trovarsi la repubblica eli Genova negli anni immediatamente precedenti la rivoluzione e in quelli in cui più violentemente esplose; e le relazioni acute dello Spinola e del Massuccone degne talvolta di grandi diplomatici, servono al Vitale per rettificare con sicuro sguardo di storico certi giudizi avventati, ma che sino ad ora hanno fatto testi», sui rapporti intercorsi tra Genova e i suoi potenti vicini. E valeva la spesa di far conoscere questi dispacci: vi sono in essi certe pagine che meriterebbero di essere scelte per una anto logia. Non è lo storico paludato, ina è l’osservatore partecipe sentimentalmente degli eventi che viene narrando, il quale informando come venne ρο/sto sotto processo e sopportò l’estremo supplizio Luigi XVI. scrive pagine degne non solo di un fine ed accorto di plomatico. ma anche di uno scrittore non di secondo ordine; altrettanto si dica di quelle in cui si narra la fine della Gironda, l’esplo ii) Ved V. Vitalk, IH pi omni ici r roncoli ree., cit., pngg. Vil-V III. 282 RASSEGNA BIBLIOCRAFICA sione rivoluzionaria avvenuta nell’estate del 1793, il conflitto tra girondini e giacobini, e gii errori dei collegati contro la Francia « rigenerata ». Ma l’importanza della monografia appieno si rivela nella trattazione di due importanti problemi : quello della neutralità della repubblica di Genova, oggetto di tanti studi tra loro contrastanti nelle conclusioni ed ora finalmente esaurientemente trattato; c Quel- lo della cessione della Corsica alla Francia, intorno alla quale, attingendo ai dispacci dello Spinola, il Senatore Mattia Moresco, presidente della nostra Deputazione, potè con una profonda e bril lante disamina rivendicare la sovranità di Genova e cioè dell’Italia sull’isola dal punto di vista giuridico, anche se la prepotenza potè più del giure. Né è superfluo ricordare, concludendo, che con questa raccolta di dispacci si ha ora a stampa una narrazione ininterrotta degli eventi della storia francese nei riguardi di uno Stato italiano dai prodromi della rivoluzione al Consolato. Nessun altro degli Stati italiani, del tempo in cui la penisola era tanto divisa, ha questo privilegio. Arturo Codignola Prof. Paolo Peola, L’Ambra il Cigno e Vorigine dei Liguri, in « Atti della Società di Scienze e Lettere di Genova », vol. II, fase. I, 1937. Il Ligure fu uno fra i più antichi popoli che abitarono la terra nostra. La sua origine si smarrisce nella caligine dei tempi remoti che non valgono a diradare le poche e frammentarie notizie giunte a noi attraverso le narrazioni monche ed imprecise degli scrittori greci e latini che vissero troppo stranieri alle vicende dei Liguri, perchè sulla loro autorità si possa tentare la ricostruzione d’un profilo storico qualsiasi. Neppure in questi ultimi tempi si è riusciti a frangere il velario che cela le origini della razza ligure : anzi, direi, la questione è più aperta che mai. A tale conclusione che ha valore di premessa giunge pure il prof. Paolo Peola in questo recente suo saggio che porta alla complessa questione un originale contributo. L’autore, noto ed apprezzato naturalista, rileva col Barrili, col Pais, col Pullè la fra/m-mentarietà e la unilateralità di vedute « ... colla quale (è il Pullè che parla) i singoli studiosi, restando fermi nelle trincee della rispettiva disciplina, pretesero risolvere i problemi complessi della preistoria ». D’accordo. Fra storici, archeologi, antropologi, glottologi c’è guerra a morte. Ma è anche fatale che sia così, voglio aggiungere io, finché qualche ingegno alla Pico non rampolli ancora dalla nostra inesauribile stirpe, perchè le varie discipline di per RASSEGNA BIBLlOGRAFfCA 283 sè stesse son così formidabili e complesse al punto che l’approfon dimento d’una soltanto di esse, assorbe interamente la vita d’un uomo. Sicché difficilmente si troverà uno storico che sia del pari buon antropologo, glottologo, archeologo, o viceversa. Lo stesso Tais che il Peola cita moltissimo, storico di valore indiscusso, quando si mette a trarre etimologie toponomastiche diventa per lo meno molto discutibile. Lo stesso credo non abbia mai aspirato alla fama di antropologo e neanche, in fondo, a quella di archeologo. E quel poco dissimulato disprezzo che trapela dalle pagine del Pais a proposito degli « incolti paletnologi » non è in fondo un irrigidirsi nella propria disciplina, supervalutandola a danno delle altre? Ho citato l’esempio ciel Pais come il più alla mano, ma altri in finiti se ne potrebbero scovare. La tendenza alla specializzazione, propria dei giorni nostri, tende ad acuire questa frammentarietà, anziché a lenirla. Ed ecco che il Peola il quale, in illustre compagnia la depreca, si presenta in veste di naturalista a dare il suo autorevole giudizio in merito a due questioni marginali : quella dell’ambra e quella del cigno che si ricollegano nella loro soluzione al dibattutissimo problema delle origini dei Liguri. * * * È indubbio, a quanto afferma Strabone (IV-6) che i Liguri ave vano in « abbondanza » l’ambra, cespite d’importantissimi scambi commerciali. I reperti archeologici delle nostre caverne e delle terramare confermano la notizia del grande geografo. Ma la questione viva non è qui. Essa invece si pone col dilemma seguente. Ricava vano i Liguri questa preziosa resina fossile da giacimenti indigeni come affermò Teofrasto, o, secondo il parere di Erodoto e di Plinio, dobbiamo credere che l’ambra, di origine esclusivamente baltica, la possedessero solo per via di successivi scambi commerciali? Il quasi unanime parere dei dotti è che l’ambra non fosse indi gena e che il prezioso succino a noi giungesse dalle sponde del Baltico per la via del Brennero che, come asserisce il Mommsen (Star. Rom. 1-X) in antico era detta appunto strada dell’Ambra Gialla. Di tale parere fu pure l’Oberziner (■) che però con meraviglia, non trovo citato nello studio del Peola. Il quale è in fondo anche lui di questo parere ma, da buon naturalista ha voluto affrontare il dilemma con serietà scientifica, ponendosi questa domanda : in Li guria vi sono state le condizioni necessarie per la formazione del l’ambra fossile? Sì, risponde l’autore dopo maturo esame. E questa, analisi delle (i) Oberziner G., I liguri antichi e i loro commerci. In « Giorn. stor. e lett. della Liguria », anno Ili Genova 1902, pagg. 220 e 225. 284 RASSEGNA BIBLIOGRAFICA possibilità forma appunto la parte più originale e viva del suo dire. Ma poi, trascinato dall’argomento il Peola passa dal terreno delle possibilità a quello delle probabilità e qui non oso seguirlo. Infatti ammesso che speciali condizioni geologiche dei terreni liguri e piemontesi diano come teoricamente possibile la presenza d’ambra fossile, non è detto con ciò che quest’ambra effettivamente sia stata; trovata ed estratta. E se si trovò e fu estratta perchè oggi non è più reperibile? Per esaurimento dei depositi, risponde il Peola, dato l’intenso sfruttamento dei giacimenti. Ma poiché già Erodoto ai suoi tempi (V secolo) affermava che l’ambra era un prodotto esclusivamente proprio dei paesi settentrionali, io sono piuttosto incline a prestar fede al grande corografo d’Alicarnasso del quale la scienza moderna ha rivendicato la sincerità ed onestà, che non a Teofrasto, del quale non conosciamo le fonti. Lo stesso Strabone, quando afferma che i Liguri posseggono· in « abbondanza » l’ambra, non dice esplicitamente che la estraessero dal sottosuolo della loro terra. E neppure posso accettare l’accostamento etimologico fra il « lingurio » (ambra) e il nome dei Liguri. ·* * * E a proposito di questo nome di Liguri mi sia concessa una osservazione. Ricorda Plutarco (Mario, 194) come alla battaglia di Aquae Sextiae, i Liguri dell’esercito di Mario, primi fra gli italici, si avventarono nella pugna con indomabile valore facendo tuo nare il loro fatidico grido di guerra (Ambroi? — Ambrò?) che essi stessi affermavano fosse il nome della loro nazione. Ebbene, furono ben stupiti nell’intendere che era pure il grido degli Ambroni invasori. Questo episodio così chiaro nel testo di Plutarco dà occasione al Peola di citare una lunga tirata d’un certo A. Valle nella quale si vuol dimostrare che questi famosi Ambroni alleati dei Cimbri. non erano già un popolo, ma un’accozzaglia mostruosa d’uomini senza tetto, senza fortuna, senza morale che vivevano rubando, ardendo, disonorando. E ciò il Valle, alle conclusioni del quale il Peola inclina, lo afferma fondandosi su un luogo di Festo che a me pare malissimo interpretato. Ecco il testo : — Ambrones fuerunt gens quaedam Gallica, qui subitu inundatione maris cum ami-vissent sedes suas rapinis praedationibus se suoque alere coeperunt. Eos et Cimbros Teotonosque C. Marius delevit. Et quo tractum est ut turpis vitae homines ambrones dicerentm. — E dal fatto che gli uomini di vita scellerata eran per antonomasia detti « Ambroni » all’affermare che questi stessi Ambroni non fossero un popolo, ci corre ! Non diciamo oggi ancora « vandalo » ad un distruggitore brutale, e con ciò neghiamo forse l’esistenza del popolo vandalo? 285 Sicché, a mio credere, gli Ambroni erano un popolo ben definito. E il fatto che i Liguri portassero lo stesso nome (è Plutarco solo che lo dice !) non obbliga di necessità ad affermarli della stessa razza. Se questa dell’omonimia fosse una regola assiomatica, si dovrebbe attribuire ad un’unica razza i Veneti italici e quelli ar moricani ! E neppure credo che vi sia parentela etimologica fra i due nomi d’« ambra » e di « Ambroni », perchè col Pais son convinto della latinità del nome «ambra» (*). Aggiungerò che mi pare non poco strana la pretesa di questo A. Valle (ma perchè il Peola ha stanato fuori costui?) nel volerci convincere che in sostanza Liguri e Ambroni se le suonarono di maggior lena, quando s’accorsero di aver lo stesso grido di guerra : e ciò per gelosia di mestiere, essendo consuetudine dell’uno e l’altro popolo di fare il mercenario. Che i Liguri usassero di preferenza dedicarsi alle armi per mercede, è pacifico, ma non lo è del pari per gli Ambroni. I quali s’erano uniti ai Cimbri volontariamente e s’eran mossi coll’intero popolo che aveva perduto le prische sedi. E questo non è costume di mercenario, ma semplice-mente di popolo barbaro. In caso contrario anche i Cimbri, anche i Teutoni e magari gli Elvezi vinti da Cesare potrebbero dirsi mercenari (ma di chi?). E che non avendo sedi proprie da tempo si fossero dati alle rapine, qui si vuol intendere per tutto il popolo, che si spostava ove meglio lo attirava miraggio di preda. * * * Ed ora tralasciando le deduzioni di A. Valle che non credo facciano testo, passiamo ad un’altra interpretazione, del Peola questa, del luogo plutarchiano famoso. (Interpretazione che l’A. chiama egli stesso « del tipo di quella data dall’A. Valle »). La riproduco interamente per non aggiungere nulla di mio (pag. 66 dell’e.). «Gli Ambroni assalgono l’esercito di Mario e gridano: Ambroni, Ambroni, sia per dire chi erano, sia per incutere terrore agli avversari. I primi a presentarsi loro sono i Liguri, i quali ripeterono lo stesso grido, poiché i Liguri con questo nome appunto si chiamavano. Noi abbiamo visto che la maggior parte dell’ambra veniva dal Baltico, che essa era commerciata specialmente dai Liguri, i quali prendevano l’ambra dai Baltici, la vendevano ai Romani ed ai Greci, e portavano così oro é ricchezza ai Settentrionali. Gli Ambroni, bimillenari precursori degli odierni sanzionisti, col grido di Ambroni, intendevano qualificarsi come produttori O) Vedi anche: Diez E., Etimologisclies Wortcrbucìi der Roinanischen Rpra-chen, Bon, 1861. Voce: ambra. 286 RASSEGNA BIBLIOGRAFICA d’ambra, di quell’ambra cbe alimentava il commercio e la ricchezza dei Liguri e.nello stesso tempo intendevano di intimorire i Liguri che anche allora avevano fama di mercatores, minacciandoli di rovinare il loro commercio e la loro ricchezza col divieto del commercio dell’ambra. Ma i fieri Liguri, bimillenari precursori degli odierni fascisti risposero che anche essi erano Ambroni, cioè produttori di ambra ; cd alle minacciate sanzioni risposero con un feroce attacco ». Ecco, premesso che certi avvicinamenti con la storia odierna li trovo del tutto fuori luogo, mi limito a notare che un’interpretazione così architettata fa per lo meno sorridere. In sostanza fra Liguri ed Ambroni si sarebbe svolto questo bel dialoghetto. Ani brani : — Ohe, Liguri ! O vi togliete di mezzo o vi mandiamo in ma lora il commercio, perchè ambra non ve ne venderemo più ! — Liguri : — Davvero? Bravi merli ! Ma l’ambra se non lo sapete (e pare che non lo sapessero) noi la produciamo nostrale e ce ne in- ii schiantò delle vostre proibizioni ! — Dai l’uno, dai l’altro, si viene alle mani col risultato che tutti sanno. Mi piacerebbe però sapere che faccia avrà fatto Mario a questa lite fra bottegai ! Sicché, scherzi a parte, mi pare che questa interpretazione del luogo plu-tarchiano, più che « ragionevole » e « umana » come il Peola la classifica, sia piuttosto amena. * * * Non ho ancora parlato del mito del cigno, secondo l’interpreta zione dell’A. La. quale è attendibilissima, dimostrando egli come il fatto che i Liguri si fregiassero eli questo animale, per nulla, prova che questo popolo fosse di origine nordica, essendo la pianura padana abbondantissima di cigni. Che poi non ci sia un significato mitico religioso in questo emblema, il Peola per quanto ci si accinga, non può dimostrare, perchè intorno alle credenze degli antichi Liguri siamo pressoché al buio. E qui voglio fare di scorcio un’osservazione. Il Peola a proposito del mito del Cigno, ci parla di Liguri senz’altro. Direi che sia il caso di parlare di Liguri padani. I Liguri della marina ed i montani probabilmente poco sapevano del cigno, animale ad essi sconosciuto o quasi, e non ci risulta assolutamente che si fregiassero di tale animale. Sicché è poco meno che assurda la domanda che si pone la dott. A. Brambilla e che il Peola riporta, se cioè non possano essere cigni quei modelli di terracotta a forma d’uc cello trovati nella caverna· (sic) del Finale. Ma per amor di Dio Î Possono essere tutto ciò che si vuole, tanto sono informi ! Al punto che a me proprio non sembrano neanche uccelli ! RASSEGNA BIBLIOGRAFICA 287 Ed ora concludiamo sullo studio del Peola e sui « lumi » che la storia naturale ci lia dato là dove le altre discipline brancolano nel buio. Per l’ambra abbiarn visto: siamo al punto di prima e cioè, ammessa teoricamente possibile resistenza di giacimenti liguri, non è stato provato che effettivamente ne esistessero. Anzi fidando su Erodoto e su Plinio (ottimi testimoni, il secondo de visn, fino a prova contraria) direi che non ne siano mai esistiti in barba a Teofrasto di cui non conosciamo le fonti e che perciò merita poco credito. Per ciò che riguarda il mito del cigno la storia naturale pressa poco ci dice : la vallata del Po era ricca di cigni, quindi per spiegare il mito di questo emerito uccello non è necessario attribuire ai Liguri un’origine nordica. Ma che il tignò fosse comunissimo nella valle padana l’ha detto quasi duemila anni fa Properzio: Cy-fjnus olorifer venit al· amm Padi e quell’« olorifer » è più eloquente di tutte le deduzioni scientifiche d’oggi. Quindi? Negativo lo studio del Peola? Non voglio dir questo. È anzi opera notevole e si legge con molto interesse. Solo voglio sottolineare che di « lumi » la storia naturale ne ha portati pochini al dibattuto problema delle origini. Meno, con buona pace del Peola, delle altre discipline. Renzo Baccino Carlo Agrati, I Mille nella storia e nella leggeiìda, Milano, Mondadori, 1033. Carlo Agrati, Da Palermo al Volturno, Milano, Mondadori, 1937. Questi due volumi sono il risultato di un’imponente mole di ricerche, di una paziente e diligente preparazione, di un lavoro fatto con probità d’intenti: perciò è spontaneo e doveroso un senso di sincero rispetto. Il quale fa sentire più vivo il rammarico di non trovare in questo complesso studio, quello che si attendeva. L’A. pare non riesca a dominare la vastissima materia, sopraffatto dall’analisi minuta; preoccupato di dire sempre tutto: il particolare insignificante come il fatto di rilievo, ma non di giungere alla sintesi risolutiva. Non vi è sceverato il grano dal loglio: accade di trovare il documento decisivo quale argomento di discussione come il fantasioso racconto di un qualsiasi rievocatore di quella grande vicenda. Nel primo volume — in modo speciale — non c’è un’esposizione organica e viva, ma un’angosciosa serie di contraddizioni, inesattezze, erronee interpretazioni rilevate dall’A. e — tutte coscienziosamente esposte — nei racconti di coloro che o parteciparono al· 288 RASSEGNA BIBLIOGRAFICA l’impresa o ne furono informati da chi vi partecipò o comunque ne scrissero. Disgraziati tutti — a- quanto pare — e considerati, spesso, come falsi testimoni e messi lì uno di fronte all’altro a veder di sbrogliarsela tra loro poiché uno dice bianco e l’altro nero e un terzo big)Lo. Con questo sistema, 1Ά. stanca e distrae il lettore; toglie ogni consistenza al racconto il quale si frantuma e si perde nelle continue rettifiche, che non riescono poi sempre nell’intento. Non è infrequente il caso, in cui, dopo· aver messo in evidenza le contraddizioni e le incongruenze dei vari informatori e aver palleggiata l’attenzione del lettore, lo lasci poi insoddisfatto. (( La conclusione è, purtroppo, che nulla è dato stabilire con piena sicurezza » (p. 143). Questa volta lo dice, altre volte lo lascia dire a chi legge. In qualche caso, la narrazione limpida e sicura non ammette dubbi e controversie, allora è l’A. che va proprio a /'escare chi « arruffa la matassa » (p. 150). O perchè non lasciar da parte gli arruffoni e non procedere spediti e franchi? Le « varianti » nel racconto dei vari diaristi diventano un incubo per il lettore. È peggio che tuffarsi nello spinoso roveto dell’e-dizione critica di un mutilo testo classico. E per faticar sulle varianti, l’A. non fa. caso che esse risultino dalla narrazione di Garibaldi o del Dezza, dell’Abba o dell’Oddo, del Crispi o del Bandi, del Nievo o del Sylva, del Pozzi o del De Cesare. Il fatto stesso di esporre un particolare diversamente da un altro dà pieno diritto a quello di provocare una lunga discussione. Nel racconto dei reduci della spedizione non si può cercare l’esattezza; ma nell’esaltata, inconscia o voluta deformazione, si trova il segreto del fascino che dal racconto emana, il valore psicologico del documento è così assai maggiore e migliore di una precisa, impersonale esposizione controllata e controllabile. Tale controllo sarà compito dello storico che, per essere tale, dovrà però fare qualcosa di pili, s’intende. Vicenda quanto mai prestigiosa quella dei Mille e, nella sua singolarità, tale da rinnovare in chi la studia, ogni volta ammirata-sorpresa e, per quanto soppesata alla bilancina d’orafo della critica e ricostruita nei suoi elementi e nei suoi termini, mai si riesce a spiegarla interamente con la sola scorta· dei dati materiali. Nel suo lavoro, l’A. non dà la dovuta importanza e il necessario sviluppo all’opera mirabilmente tenace e fruttuosa della propaganda mazziniana senza della quale l’impresa dei Mille non sarebbe avvenuta. Qui, invece, il Mazzini è il grande assente, il grande dimenticato ed è colpa grave: non certo pei riguardi del Mazzini che, riconosci- RASSEGNA BIBLIOGRAFICA 289 mento più riconoscimento meno, rimane quel che è ; ma per chi detta critica storica con insufficiente senso storico. Al Mazzini s’accenna appena con un inciso, con un generico richiamo ; nemmeno si allude alla sua opera di cauta, abilissima riconquista del Bertani diffidente e avverso, che, manovrato dal Mae stro, a sua volta, influirà decisamente su Garibaldi. E chi sono i Mille se non unitari, cioè consci o inconsci Mazziniani? E la Sicilia dei picciotti, degli insorti, senza della quale l’impresa non avrebbe avuto l’esito che ebbe, da chi, se non dal Mazzini, fu moralmente preparata? E i danari e i fucili dati dal partito mazziniano non contano? E Tessersi il Mazzini messo da parte, pur facendo agire i suoi, per non suscitare sospetti e diffidenze non deve essere messo in evidenza? Cos’è il « partito del Bertani » di cui l’A. parla? Niente altro che il partito mazziniano. L’unico riconoscimento dell’opera dell’Apostolo FA. lo fa in forma dubitativa : « Senza il Mazzini forse il principio dell’Italia una e indipendente non avrebbe conquistato gli animi di tutti gli Italiani ». Quel forse non lo avrebbe messo nemmeno il Cavour che lia avuto la certezza di quell’azione e l’ha temuta e com* battuta con tutte le sue forze. Il successo « favoloso » di Garibaldi preoccupa il grande Mini stro perché ha « dato al partito unitario un potere irresistibile » e amaro nota : « tutti son diventati unitari ». E il Cavour non teme Garibaldi, ma teme il Mazzini, che ha ben altra mente. « Noi soli possiamo controbilanciare l’influenza di Garibaldi alla condizione di non lasciargli il monopolio dell’idea unitaria » scrive lo Statista piemontese, cìiè, per non lasciare il monopolio a chi con l’esilio e il sacrificio di trent’anni se l’era ben meritato, spiega tutta la sua sagacissima opera per trasformare in successo monarchico l’impresa voluta dal Mazzini, diretta da Garibaldi, compiuta dagli unitari. Nel giudizio del Nigra: « Garibaldi non è buono che a distruggere » c’è una gran verità e per nulla irriverente. Altri giù dizi del Mazzini, di Crispi e del Cavour son più severi perchè anche più realistici. Ma tale realtà non distrugge e non diminuisce i grandissimi meriti di quest.’Uomo che ebbe il cuore pari al valore nell’armi. Ed è ciò che spiega il fascino che ancor oggi la sua figura suscita e propaga. L’accurata esplorazione fatta- dall’A. dell’Archivio Sirtori, l’esame delle carte Orsini, Guastalla, Canzio, Bertani e Missori, anche se — e non era possibile — non portano notevoli fatti ed eJ ementi nuovi, hanno però il pregio di rettificare e chiarire momenti e posi zioni di quella famosa vicenda, e talvolta di documentarne altri finora dubbi o controversi. 290 RASSEGNA BIBLIOGRAFICA Vasto quadro questo dell’impresa dei Mille in cui le immancabili ombre rendono più vivide le luci e i caldi colori di quelle luci ; quadro dove si fondono in armonia le più discordanti tonalità», dove i drammi dei singoli scompaiono in quello trionfale dell’Unità vittoriosa e che, sempre, avvince ed esalta. Leona Ravenna Pietro Ferrari, Il « Comune » di Pontremoli e la sua espansione territoriale m Val di Vara, Pontremoli, Bertocchi, 1937. Il Generale Dott. Ferrari, proseguendo nell'opera indefessa di studioso amante della sua Lunigiana, ha recentemente riunito in volume, sottratto al commercio, una collana di articoli pubblicati sul « Corriere Apuano ». Per la stessa destinazione originaria degli scritti, non si tratta, come l’A. premette, d’un’opera di carattere volutamente critico : ciò che peraltro non ha impedito al Ferrari di sfiorare in alcune pagine del testo, e specialmente nelle conclusioni e nelle note, numerosissime ed accurate, le principali questioni storiche relative al medioevo lunigianese, e soprattutto il processo di formazione del Comune pontremolese, l’organizzazione e l’evoluzione politica sociale-economica della Lunigiana, il sorgere e raffermarsi delle stirpi signorili minori di Val di Magra e di Val di Vara. Ma l’aspetto del volume più interessante per noi, o meglio, l’aspetto della trattazione che riteniamo necessario porre in maggior risalto, sta nell’esame dei rapporti territoriali che ad un certo momento legano, nel basso medioevo, le due vallate, come diretta con seguenza di rapporti politici e di fatti storici ben definiti, in seguito ai quali e Comune di Pontremoli e Marchesi Malaspina dilagano dalle loro sedi tradizionali in Val di Vara. Il tema, così come — per osservanza di limiti di tempo e di spazio — è stato impostato dall’A., si può dire prenda le mosse appunto dall’affermazione d’un dominio territoriale effettivamente esercitato dal Comune e dai Mar chesi, frutto di atteggiamenti politici consigliati od imposti alla Ln-nigiana dal contegno dei maggiori potentati viciniori. Ora, il porre a pietra basilare dell’edificio fatti più o meno rigorosamente determinati nelle loro cause ed effetti, se pienamente giustificato da necessità di compilazione, potrebbe però indurre un lettore, non ben addentro nei meandri della storia lunigianese, a ritenere che i rapporti tra le due vallate presentino un carattere artificioso come di cosa innaturale ed antistorica, ovvero abbiano un’origine del tutto casuale ed accidentale. In realtà gli studiosi delle cose lunigianesi, l’A. compreso, son ben convinti del contrario. Nella notte dei tempi (è il caso di dirlo) si perde l’origine di tali rapporti, particolarmente intensi fra la RASSEGNA BIBLIOGRAFICA 291 zona eli Zeri e quella di Chiusola-Godano-Sesta. Persistenti al tempo della dominazione ligure e deir unificazione romana, essi non debbono aver mai praticamente subito interruzioni notevoli neppure al tempo delle contese longobardo bizantine. Mi vien fatto di rilevare a questo proposito che mi sembrerebbe eccessivo collegare il toponimo Chiusola ad uno sbarramento difensivo costruito da- genti del nord. Come enuncia il Ferrari, riportando il giudizio d’un glottologo, il Prof. Maccarone, il termine « tanga » (che vediamo usato negli Statuti pontremolesi per designare le difese di Chiusola e di Godano) veniva adoperato nel medioevo lungo tutta la costa medi-terranea dalla Liguria alla Catalogna, ed è ancor oggi in uso nel dialetto genovese sotto la forma « tangon » come termine pretta nente marina reeco. Più che la nordica derivazione, mi sembra me-•iti considerazione il fenomeno della diffusione dei vocabolo. Questo, cioè, non mi pare presenti alcun necessario riferimento concettuale al toponimo « Chiusola » (che raccosterei piuttosto, idealmente, al bizantino « cleisura »), per modo che la sua apparizione negli Sta tuti pontremolesi appare null’altro che una manifestazione dell’in-fluenza genovese. Influenza non contrastata», ma anzi da tempo attivamente sollecitata dall’elemento dirigente pontremolese, per controbilaaciare in qualche modo sul terreno economico politico gli atteggiamenti di volta in volta tutori od aggredivi dei Marchesi e dei limitrofi Comuni di Piacenza, di Parma, di Lucca (si veggano in proposito i patti del 1153). Influenza successivamente accresciutasi, allorché i Fie-schi ponevano piede in Pontremoli col noto Niccolò nel 1251, e che si dimostra lampante negli att^ notarili del secolo XIII, attestanti resistenza d’una buona corrente di traffici e di relazioni tra la Val di Magra e Genova, nonché la presenza, in quest’ultima Città, d'una colonia pontremolese abbastanza numero*sa. Considerata sotto quest’aspetto, ed in questa cornice storica, l'occupazione pontremolese delle località di Chiusola e di Godano — previa liquidazione dei diritti dominicali della consorteria nobiliare di Godano — si presenta come il naturale appagamento d’un’aspi-razione lungamente coltivata dai Pontremolesi: il desiderio, la necessità anzi, d’intrattenere più sicuri rapporti commerciali, politici, culturali con la metropoli ligure mediante il passaggio diretto dalle terre dell’un Comune a quelle dell’altro, evitando il lungo giro pe ricoloso e vizioso attraverso le terre dei Marchesi a piè di monte per la confluenza Magra-Vara. E che proprio questa direttrice Pontremoli-Zeri Sesta, rappresenti la soluzione più naturale e più logica del problema delle comuni-eazioni tra l’alta Magra e la Riviera, è comprovato dalla persistenza tuttora di relazioni commerciali tra la vallate del Gottero e della 292 RASSEGNA BIBLIOGRAFICA Gordana : ancor oggi, nonostante l'intervenuto progresso nei mezzi di trasporto renda maggiormente sensibile la mancanza di strade degne di tal nome e minacci di provocare gradualmente l’abbandono delle terre e lo spopolamento delle valli. * * * Che non si trattasse di avvenimenti fortuiti, ma invece di frutti di ponderato calcolo dei pontremolesi, lo si rileva fra l’altro dalia-stessa minuziosa cura posta nella redazione delle norme statutarie regolanti la difesa militare e l'amministrazione civile delle due rocche e dei due distinti distretti di Godano e di Chiusola. E bene' ha fatto il Ferrari a pubblicare ed illustrare le norme stesse, che costituiscono realmente una novità. Ma il possesso dei due luoghi citati ed il controllo di tutta la vallata del Gottero, costituivano nella mente dei pontremolesi soltanto una tappa, non già la meta : è molto eloquente al riguardo la menzione, negli atti ufficiali del Comune, degli impegni assunti dai domini di Vezzano per la cessione dei luoghi di Zignago e di Serramaggiore al Comune di Pontremoli. Tutta la zona dominata o sospirata dai pontremolesi in Val di Vara, e specialmente il forte castello di Godano, occupa una parte rilevante nelle lotte del 1273 tra Genova da un lato ed i guelfo-angioini dall’altro. Nella seconda metà del secolo XIII, e nei primi decenni del successivo, il casato dei Fieschi, genovese ma fuoruscito, grandeggia sullo sfondo dell’intricata storia lunigianese come l’ideatore ed il centro propulsore d’una tendenza palese all’unificazione della regione lunigianese. Concetto questo che, mercè le relazioni e le parentele da esso contratte, appare in più occasioni caldeggiato e sostenuto anche con le armi dal Comune di Parma, ed in certo momento persino da quello di Reggio. Nè, tenuti presenti i casi occorsi a Messer Niccolò, troviamo in fondo motivo alcuno per chè il progetto dovesse incontrare la decisa ostilità di Genova. Non altrettanta fortuna hanno i Fieschi presso il Comune di Lucca. Se mercè l’appoggio di quest’ultimo, il Cardinal Luca ed i fratelli riescono a riporre piede in Pontremoli nel 1313, non è però men vero che proprio Lucca aveva già provveduto ad infeudare Godano e Chiusola ai Malaspina di Mulazzo e di Villa-franca. Libertà, vigilata, insomma.... Ma, in generale, fatta eccezione per la costruzione tutta perso naie di Castruccio, si può affermare che l’azione politica delle città toscane si è sempre mostrata ostile a qualsiasi tentativo od aspirazione di unità regionale della Lunigiana; unità che esse non furono mai capaci di realizzare — od almeno conquistarsi durevolmente — sotto la propria egida, tendendo invece a spezzare un’unità consa.- RASSEGNA BIBLIOGRAFICA 293 orata dalla stessa configurazione geografica. Per motivi politici, si capisce, che gli studiosi non avrebbero esitato a classificare tran seunti. Molto sviluppata, e ricchissima di dettagli, è anche quella parte del lavoro del Ferrari che espone i successivi avvenimenti sino all’assorbimento del feudo di Godano da parte della Repubblica genovese. Riuscendo impossibile, sotto questo aspetto, una recensione accurata, data la grande varietà dei dettagli e la limitazione dello spazio, basterà confermare che si tratta, nel complesso, di opera di utilissima consultazione, buon complemento di quella notissima dello Sforza nonché del classico lavoro del Branchi, che dal Ferrari vengono molto opportunamente integrati e qua e là corretti con l’aiuto di materiale inedito o mediante la revisione di interpretazioni errate. Questi pregi raccomandano il lavoro del Ferrari all’attenzione degli studiosi di storia lunigianese, come ausilio alla- visione completa della storia della Lunigiana che, pur essendo stata ormai superata in buona parte la fase aneddotica, rimane ancora da tracciare. Invero troppi sono gli ostacoli che ancora si frappongono al raggiungimento della meta; troppi, i periodi oscuri; troppi, i legami ancora ignoti : palestra per ora di saggi critici, nella quale la buona volontà di studiosi trova campo di cimentarsi in ardue questioni, spesso col risultato di dare convincenti spiegazioni per alcuni lati di esse, e di lasciarne gli altri in penombra. Malattia, questa, della quale dal più al meno siamo affetti un poco tutti: tanto che, a questo punto, non so resistere alla tentazione di porre in guardia l’emerito A. dai pericoli derivanti dalla tendenza ad estendere eccessivamente nel tempo e nello spazio presunti o presumibili vincoli di sangue di carattere agnatizio, e quindi — in Lunigiana e nelle regioni finitime — dalla concezione d’un longobardismo totalitario, esclusivista, soffocante, che si sarebbe affermato nello spazio ed anche nel tempo per opera dei ceppi usciti dalla longobarda fucina lucchese. Ë pur necessario conferire la debita importanza agli effetti dei molteplici istituti di diritto privato, sia personale e di famiglia, che reale. È poi necessario tener ben aperto l’occhio sullo svolgersi degli avvenimenti politici. Purtroppo, si sa, non sono molti i documenti lunigianesi atti a gettar luce in proposito. Comunque, giustamente lia avvertito il Ferrari la necessità di accingersi all’esplorazione delle molte zone incolte o caliginose, senza idee preconcette, anche contro più o meno pacifiche acquisizioni, e, in ogni caso, con molta cautela. Ferruccio Sassi SAGGIO DI UNA BIBLIOGRAFIA GENERALE DELLA CORSICA (Continuazione e fine) MARCAGGI J. B. — L'ile de Corse. Guide pratique aveo préface de M. Emmanuel Arène. — Ajacoio, Syndicat d’initiative de la Corse, Valence, Duoros et Lombard, 1908, Ιθο, pagine VTII-204. MARCEL E. — A travers la Corse. Revue Générale. — Bruxelles, 1891, XXVII, Agosto. Reo. in Riv. Stor., IX, pag. 347. 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Paris, Bastia, 1909 ; Ree. Abbatucci, in Revue de la Corse, [da pag. 161 a pag. 225 parla di Orezza]. RENATO GIARDELLI COMUNICAZIONI DELLA R. DEPUTAZIONE DI STORIA PATRIA PER LA LIGURIA li giorno 4 dicembre 1937-XVI hanno avuto luogo successivamente presiedute dal Sen. Mattia Moresco, l’adunanza interna e l’adunanza generale della R. Deputazione. Dopo le commemorazioni del deputato prof. Leopoldo Λ alle e del corrispondente prof. Costanzo Rinaudo tenute rispettivamente dai proff. Vitale e Pandiani, è stato riferito sulle opere presentate per ia pubblicazione ed è stato deliberato che il prossimo volume sarà una miscellanea contenente quattro o cinque studi. Sarà anche edito col valido concorso del Comune un volume di importanti iscrizioni genovesi della moschea di Arab Giamé di Costantinopoli. Il Presidente ha dato notizia del lavoro preparatorio per la pubblicazione dei più antichi notai, annunciando imminente una relazione, redatta per incarico della Deputazione stessa e della Collezione di Documenti e Studi per la storia del commercio e del diritto commerciale, dal prof. G. P. Bognetti, dalla quale risulteranno evidenti l’importanza e il programma dell’opera. Aggiunge che alcuni aiuti finanziari sono già assicurati, altri verranno indubbiamente quando la pubblicazione sarà avviata e se ne vedrà l’importanza per la storia del commercio e del diritto non soltanto a Genova ma in tutto il bacino Mediterraneo nel secolo XII. Si spera che almeno due volumi possano essere pubblicati nel prossimo anno. Approvato il bilancio consuntivo per l’anno XV e il preventivo del XVI, il Presidente ricorda come il Capo del Governo abbia disposto che quest’anno le celebrazioni delle glorie italiane siano destinate a ricordare i grandi Liguri ed l·. sicuro interprete del sentimento delFAssemblea inviando al Duce l’espressione della devota riconoscenza di tutti gli studiosi delle glorie liguri. Propone perciò l’invio del seguente telegramma che è approvato per acclamazione : « A S·. E. il Capo del Governo - Roma. La R. Deputazione di Storia Patria per la Liguria riunita in assemblea generale rivolge alla E. V. un ringraziamento devoto per avere ordinato che nel ciclo delle glorie italiane siano celebrati quest’anno i grandi Liguri. Deferenti ossequi II Presidente Moresco » I NOSTRI LUTTI LEOPOLDO VALLE Nato a Buenos Aires, di famiglia genovese, nel 1873, e venuto giovanissimo a Genova, fece i suoi primi studi al Giunasio Liceo Colombo che doveva averlo per 40 anni valoroso insegnante. Docente provetto e indefesso lavoratore, volle evitare ogni occasione che potesse allontanarlo dalla sua scuola e dalla sua città e rimase costantemente a quel Ginnasio che ha onorato con la coltura e col valore. È stato un tipico esempio di quelFoscuro eroismo che non è infrequente, anche se rimane inosservato e incompreso, tra gli insegnanti medi, perchè con resistenza mirabile e indomita volontà, tra le fatiche di un la- 304 COMUNICAZIONI DELLA R. DEPUTAZIONE DI STORTA PATRIA ECC. voro continuo e sfibrante per la scuola e per le necessità familiari, trovava il tempo e la forza di dedicarsi agli studi; studioso per pura passione, ba lavorato per sè, per il bisogno e la soddisfazione del suo spirito, senza nulla chiedere e senza nulla sperare. Ricercatore dotato di molteplici curiosità spirituali, sì è rivolto con eguale fervore ai canti carnascialeschi del Foglietta e al canzoniere di Alessandro S-forza, all’illustrazione dei codici danteschi liguri e alle indagini sugli atti dei più antichi notai, specialmente chiavaresi ; e in ogni campo ha portato quelle sicure doti di chiarezza, di esattezza scrupolosa, di precisione impeccabile che lo facevano ricostruttore sicuro, paleografo insigne e insuperabile bibliografo. Basta ricordare quella sua bibliografìa nel volume « Dante e la Liguria » curato dall’allora Sezione Ligure della Deputazione di Torino, che è un modello del genere. La stessa coscienziosa esattezza esigeva negli altri ed era severo, talvolta sino all’asprezza, soltanto verso la leggera faciloneria e l'incompetenza presuntuosa : l’opuscolo « Per una edizione veramente critica degli Annali di J acopo Doria » ne è saggio eloquente. bi era dato con passione alla ricerca dei più antichi documenti politici genovesi e di revisione dei « Libri Jurium » per la redazione di un vero Coe dice Diplomatico e stava studiando le pergamene degli antichi monasteri : e continuò le sue ricerche anche quando il programma primitivo sfumò e uno solo dei tre iniziatori continuò per proprio conto la raccolta. Di queste indagini, compiute anche all’estero, è frutto la scoperta di documenti inediti sui rapporti di Genova con la Catalogna nel secolo XII trovati a Barcellona e pubblicati nell’Annuario del R. Liceo Colombo. Sulla sua diligente competenza, sulla perizia paleografica, sulla specialissima conoscenza della toponomastica ligure la Deputazione faceva assegnamento per 1 ardua opera della pubblicazione dei più antichi notai, in modo particolare per la compilazione di quegli indici che egli nella nostra ultima adunanza aveva caldamente raccomandato e che rimangono per noi come il suo testamento scientifico. Ed invece alla Deputazione non rimane che inchinarsi riverente alla memoria dello studioso forte e severo nella schiva e scontrosa modestia; e il collega che lo ebbe accanto per 25 anni nel quotidiano lavoro scolastico e collaboratore prezioso nell’opera rimasta sospesa, è sicuro interprete di tutti i colleghi della Deputazione mandando alla cara memoria l’espressione del più profondo rimpianto e alla desolata famiglia le più vive e commosse condoglianze. y1T0 vitale COSTANZO RINAUDO Si è spento pochi mesi or sono a Torino il prof. Costanzo Rinaudo, membro della R. Deputazione genovese, notissimo da anni nell’ambiente degli studiosi di storia. Il suo stato di servizio dimostra la vasta base culturale con cui egli iniziò la sua vita di studioso e la sua larga partecipazione alla vita politica e scientifica della Patria. Valgano come esempio pochi dati cronologici : a 16 anni consegue il diploma di Licenza liceale ed ottiene un posto di allievo al R. Collegio C. Alberto di Torino e tre premi consecutivi; a venti anni è dottore in Lettere, a ventuno è dottore in Filosofia, a ventidue è dottore in Teologia (dopo un corso di cinque anni), a ventitré anni è laureato in Giurisprudenza e tutte le sue dissertazioni di Laurea sono dichiarate degne di stampa. A venti sei anni è professore di Storia nel R. Liceo Gioberti di Torino, a ventinove è dottore collegiato nella Facoltà di Lettere di Torino, a trentuno è consigliere comunale di Busca, sua patria, e consigliere provinciale di Cuneo. COMUNICAZIONI DELLA R. DEPUTAZIONE DI STORIA PATRIA ECC. 305 A trentadue anni è scelto ad insegnare l’italiano, poi la Storia nella Scuola di Guerra. A trentasette anni, nel 1884, assume la direzione della « Rivista Storica Italiana », e qui interrompiamo questo brillante stato di servizio per raccogliere in sunto la sua vita, che si affermò nella scuola, nella scienza e nelPamore di patria e potè svolgersi armonicamente per l’ambiente fido e sereno della famiglia amata teneramente. L’opera scolastica fu forse meno appariscente, ma la più efficace e duratura perchè le sue lezioni di Storia furono utile viatico a generazioni di Rovani studenti e di giovani ufficiali. Per la scuola, anzi per tutte le scuole medie, compose una serie di manuali di storia, che per molti anni furono i più pregiati ed i più diffusi nelle scuole italiane. Anche per gli insegnanti delle scuole medie d’Italia egli si adoperò fiondando la associazione nazionale degli Insegnanti ed assumendo la direzione del giornale sociale, che fu palestra di ampie discussioni didattiche e punto di partenza per miglioramenti economici. Svolse ugualmente opera politica per la parte amministrativa, sia in favore della sua piccola Busca, sia per la regale Torino, ove fu per trenta anni consigliere comunale e spesso assessore con numerosi incarichi, dando la sua attività per importanti opere di bene, come i soccorsi alle popolazioni colpite dal terremoto nella Marsica, e la raccolta di fondi per le famiglie bisognose dei combattenti della grande guerra. Tuttavia più che uomo politico egli fu un grande, coscienzioso, solerte studioso della Storia d’Italia. Egli ne percorse tutte le età, dalle fonti della storia d’Italia nei tre primi secoli del medio-evo alla età moderna; poi lentamente si avvicinò alla grande epopea del nostro Risorgimento e se ne dimostrò sicuro conoscitore in una serie di conferenze alla scuola di Guerra. Queste conferenze furono meritamente famose per la ricchezza di notizie, per la larga visione sintetica, per la forma fluente e simpatica e furono raccolte in due poderosi volumi, che per alcuni anni rappresentarono quanto di meglio poteva dirsi sul Risorgimento. Ma neppure questi lavori storici sono il maggiore merito del grande studioso. A nostro parere il Rinaudo fu veramente benemerito degli studi di storia in Italia per avere diretto dal 1884 fino al 1922 la « Rivista storica italiana ». Questa Rivista fu per quaranta anni la più importante raccolta di memorie e di recensioni di lavori storici italiani e stranieri, con particolare riguardo alla storia d’Italia. Ad essa collaborarono numerosi e valenti studiosi, ma innanzi tutti vi lavorò lo stesso Rinaudo con moltissime recensioni. La Rivista storica fu utilissima per le notizie che essa forniva agli studiosi, per la critica serena delle opere storiche e per lo spirito di emulazione che destava nella Gioventù studiosa. Alla altezza dell’ingegno, alla serietà del lavoro, alla integrità della vita egli unì anche la cordiale affabilità, la dignità dell’eloquio e della figura, che sapevano attirare la simpatia e la devozione di chi aveva a trattare con lui. A questa felice combinazione di buone qualità, sono da attribuirsi gli onorevoli incarichi che egli ebbe dal Municipio di Torino, da Enti universitari, da Ministeri, da Commissioni, incarichi che egli seppe assolvere sempre degnamente. Perciò egli fu compensato da numerosissime onorificenze nazionali e straniere. Malgrado tanti titoli egli fu sempre modestissimo e molti di noi lo ricordano mite e sorridente nelle adunanze della R. Deputazione di Storia patria di Torino, presso al grande Presidente Paolo Boselli, e riodono la sua voce calma, il suo periodare semplice ed elegante, e specialmente, in ogni occasione, il geueroso dono della sua amicìzia e della sua esperienza della vita. Emilio Pandiani SPIGOLATURE E NOTIZIE PREISTORIA G. B. A. : L’ultima giornata del Congresso di Paleontologia, in « Il Lavoro », 2 settembre 1937. E. Astori: «Rivista di Storia, Arte, Archeologia », 1937. [Recensisce benevolmente il Saggio del Peola sui Liguri di cui si discorre in questo fascicolo. Nella rivista stessa si trova un sommario circa il congresso di Paletnologia già citato]. P. Peola: Note sulla preistoria ligure in «Genova », rivista municipale, ottobre 1937. G. B. A. : L’ambra, il Cigno e l’origine dei Liguri in « Il Lavoro », 29 ottobre 1937. [Recensione dell’omionimo saggio del Peola]. R. Baccino: Il mistero dei laghi delle meraviglie in «Il Giornale di Genova », 18 novembre 1937. STORIA ANTICA E MEDIOEVALE Wiken Erik: Die Kunde der Hellenen von dem haude und den Vólken der Appenninenhalbinsel bis 300. v. Chr. hund Gleesupska Universitetsboklandeln, 1937, pp. VII-210. [Utile per lo studio dell’espansione elleua sulle coste italia-che]. N. Lamboglia : La via « Æmilia Scanriy) in « Athenaum », Pavia, fascicolo I, pag. 57. [Risolleva con nuovi, interessanti argomenti la questione del tracciato della via di Scauro]. A. Pasini: Vita e scritti di Cristoforo Scannello, Forli, 1937-XV. [Fra i vari documenti riportati, può interessare « La cronica universale dell’antica Toscana » con accenni a Luni ed alla Lunigiana e la «cronica di tutta la Lombardia», con qualche riferimento a Tortona]. M. 1. Formigé : Le comblement du port romain de Fréjus (Var) in «Mémoires de la S. N. des Antiquaires », Paris, Serie VIII, vol. X. M. Giuliani : Livio ed 11 preteso monte Anido dei Liguri Apuani in « Giovane Montagna », Parma, 1 settembre 1937. L. Balestrieri : La spedizione del JU/6 contro Minorca ed Air merla in «Nuovo Cittadino», S settembre 1937. R. Baccino: Una bega in Pol-ceyera 2054 anni fa in « Giornale di Genova », 2 ottobre 1937. M. Foresi : Luni fAgure-Romana in « Il Lavoro », 9 ottobre 1937. V. Fumagalli : Documenti contabili del ’400 in « Giornale di Genova », 23 ottobre 1937. MODERNA E CONTEMPORANEA Navigatori, esploratori, mercanti, pionieri. G. B. Ferrari: Leone Pancaldo e la sua spedizione in «Il mare», Rapallo, 18 settembre 1937. E. Pisani: L’insegnamento di Colombo in «Il Secolo XIX», 12 ottobre 1937. E. Balestrieri : Rielnumazioni colombiatic in « Corriere Padano », 13 ottobre 1937. G. Descalzo : G. B. Posterie fondatore di Valparaiso in « Giornale di Genova », 3 novembre 1937. NAPOLEONICA X. : L’umile nostromo MilleUre che sconfisse il giovane Buonaparte in « La Stampa », 13 ottobre 1937. SPIGOLATT/RE E NOTIZIE 307 RISORGIMENTO F. Geraci : La leggendaria impresa di Garibaldi in « Giornale di Genova », 25 novembre 1937. F. Geraci : L’arrivo e lo sbarco a Genova di Carlotta Aglae d*Orléans in « Giornale di Genova », 14 novembre 1937. i. po. : Teodoro kor-n&)' e Goffredo Mameli in « Il Secolo XIX », 7 novembre 1937. G. Falzone : Nino Bixio, precursore delVImpero in « Giornale di Sicilia », Palermo, 3 novembre 1937 ; « Corriere Padano », 29 ottobre 1937. [Recensione del saggio <11 A. Codignola: Carlo Alberto in attesa del trono]. G. B. Miramonti : Camogli nel patrio Risorgimento in « L’Italia combattente », 31 ottobre 1937. G. Zi-bordi : Garibaldi, come lo vide e lo senti un popolano in « Il Lavoro », 26 ottobre 1937. M. Lupinacci : Vita temera^'ia di Bixio in « Omnibus », 9 ottobre 1937. M. Fierli : Nino Bixio in « Argento vivo », Roma, 9 ottobre 1937. E. B. di Santafiora : Le gesta eroiche dei marinai di Sivori e di Cagni in « Il Corriere Mercantile », 27 settembre e G ottobre 1937. 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Fonterossi sulla cessione del Lombardo e del Piemonte a G. Garibaldi e della contro-relazione di Arturo Codignola, che ha nettamente demolito l’arbitraria tesi del relatore]. Anonimo: Saranno pubblicati i regesti dei processi contro i Carbonari in «Piccolo», Trieste, 15 ottobre 1937. [Si dà notizia di una pubblicazione deliberata il 14 ottobre durante una seduta del congresso del R> Istituto per la storia del Risorgimento. Si tratta di pubblicare i registri dei processi dei Carbonari conservati nel R. Archivio di Stato di Milano. Fu nominata all’uopo una Commissione presieduta da S. E. De Vecchi e composta dal prof. Codignola, dal prof. Alberti e dal prof. Ghisalberti]. Per un grande Museo delle guerre d’Italia a Genova in « L’Italia combattente », Roma, 31 agosto 1937. [Si rende nota l’iniziativa presa dal Podestà di Genova. A far parte della Commissione è stato chiamato il nostro direttore prof. Codignola]. R. Baccino : La Monarchia di Savoia e VInghilterra nelVultimo periodo del predominio napoleonico in « La nuova scuola italiana », Firenze, 25 luglio 1937. [Recensione della monografìa di A. Codignola già segnalata]. A. Belviglieri : Perchè fu pubblicato a Torino il romanzo «7 mille di Marsala » di Giuseppe Garibaldi » in « La Stampa della Sera » di Torino, 5 maggio 1937. [Il B. da elementi tratti dal volume III deiredizione nazionale degli Scritti di Garibaldi rievoca, naturalmente senza indicare la fonte delle sue osservazioni, le vicende della pubblicazione del noto romanzo dell’Eroe]. MISTICA ED ECCLESIASTICA F. Noberasco : Il primo secolo del Santuario di N. S. della Misericordia. Savona, S.t.e.r., 1937. [In quest’opera d’alto interesse, PA. fa la cronistoria degli avvenimenti che contrassegnarono la vita del Santuario dal 1536 al 1636]. A. Muston : I primordi delVopera evangelica a Nizza M. e i Valdesi in « Bollettino della Società di Studi Valdesi», settembre 1937. L. 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De Simoni: La !L t « % centenario di S. Caterina in « Il Nuovo Cittadino », ii r Salvatorelli : La politica ecclesiastica di Raffaello Lambru- delV AnminU'nt l;? ottobre 1987· E· Canesi : La chiesa e il convento lì ™ Portoria m «Il Secolo XIX», 15 ottobre 1937. Sac. P. M. ivi* na’i™ * M. 6 iav0ia in ((T1 Nuovo Cittadino», 15 ottobre 1937. : Genova> Clttà di Maria Santissima in « Il Nuovo norn iìf Ti XT ^ 193T* 0ard· Dalmazio Minoretti : 5. Caterina da Gerii Timiì'in ;Λ°;° Cittadino», 26 ottobre 1937. L. De Simoni: Terre e Chiese Caterina r' I li ^ “ 11 Nllovo Cittadino», 28 ottobre 1937. L. De Simoni: . J >nvJÌ Ad°rn° m « Genova », Rivista Municipale, ottobre 1937. A. Co-90 Ah-^v· dinale Dura zzo in «Il Nuovo Cittadino», 17 settembre. , W 0tt.0bre’ 3 novembre 1937. E. Martire: Romanità di S. Leonardo ? - *αΊ“Τπ1° m (<11 Nuovo Cittadino», 26 novembre 1937. Fra Ginepro: Ln parIre dell Eremo a Bordigli era [S. Ampelio] in «Il Nuovo Cittadino», 27 novembre 19o7. P. Luigi M. 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Dellepiane : Le Capanne di Marcarolo in « Il Lavoro », 19 settembre 1937. G. Peschiera : In quel di 1 Rosso in « Il Lavoro », 24 settembre 1937. G. M. : Vita e miracoli dell9antico artigianato genovese in « Il Corriere Mercantile », 2 ottobre 1937. R. Baccino : 11 passo delle cento croci in « Giornale di Genova », 18 ottobre 1937. G. M. : S. Benigno e il promontorio di Capo Faro in « Il Giornale di Genova », 5 ottobre 1937. P. Ferrari: Due lettere del Marchese Azzo Giacinto Malaspina di Mula zzo in « Giovane Montagna », 10 ottobre 1937. Sac. E. Badino : Gabriello Chiabrera in «Il Nuovo Cittadino», 14 ottobre 1937. Marbet : Un cappellaio spezzino poeta e commentatore dantesco in « Il Lavoro », 15 ottobre 1937. G. S. : Montanesi in « Il Lavoro », 16 ottobre 1937. G. M. : L9antico artigianato genovese in « Il Lavoro », 25 ottobre 1937. e. c. * Genova nella storia della lettera- SPIGOLATURE E NOTIZIE 309 tura inglese in « Il Secolo XIX », 20 novembre 1937. [Recensione dell’opera omonima del prof. Viglione edita per i tipi Fratelli Pagano]. R. Baccino: II convegno dei morti in « Il Giornale di Genova », 2 novembre 1937. R. Baccino : Agonia del Santuario nella Pineta in « Giornale di Genova », 13 novembre 1937. a. p. : Jm grande storia d’una piccola città : Noli in « Il Secolo XIX », 13 novembre 1937. M. Bettinotti : Ricordo di Bacheri in « 11 Lavoro », 16 novembre 1937. Vìetti : Di notte verso Portofino in « Il Secolo XIX », 23 novembre 1937. G. M. : Il Beverato in « 11 Corriere Mercantile », 27 novembre 1937. F. Striglia : Un giornalista male informato di cent’anni fa in « Genova », rivista municipale, novembre 1937. G. Pesce: Il Magistrato di Sanità della Repubblica di Genova in «Genova», rivista municipale, novembre 1937. L. De Simoni : Capitan Cano in « Genova », rivista municipale, novembre 1937. B. Mi-noletti : Di alcuni istituti ausiliari dei traffici nel porto di Genova. Genova, 1937. B. Minoletti : Der Hafen von Genua in den Jaliren, 1935 und 1936. Estr. da « Navigazione e Commercio Italo-Austriaco », Amburgo, aprile 1937. CORSICA Archivio storico di Corsica, Livorno, 1937, n. 3. [Contiene : C. Bornate : Clero corso e caccia ai benefizi alla fine del ’lfQO. G. Simonetti : Cristoforo Saliceti e la Repubblica di Lucca. W. Savelli : La Corsica non fu venduta alla Francia. V. Vitale: Una lettera protesta del Commissario D. Invrea sulla politica genovese in Corsica']. Bartoli Sabate: Le Général Bonaparte à. Ajaccio in «Revue de la Corse Ancienne e Moderne», Paris, agosto 1937. ***: / Pe-gliesi di Carìoforte in « Il Corriere Mercantile », 12 novembre 1937. F. Guerri, M. Grosso, A. Fropiani : La traduzione in francese della « Conquista francese della Corsica » in « Il Telegrafo », Livorno, 11 agosto 1937. Delta : Barbarie genovese o francese? in « Fronte unico », 21 luglio 1937. PAGANINIANA Anonimo : In gloria di Paganini in « Gazzetta Azzurra », 1937. [L’autorevole giornale turistico fa propria la proposta fatta da M. Grossi su questa nostra rivista di pubblicare nella ricorrenza del centenario della morte di Paga-nini, la musica da lui lasciata]. Anonimo: Paganini intimo in «L’Assalto» di Ferrara del 13 novembre 1937. [Acuta recensione della monografia di A. Codignola già segnalata]. C. Volpati: La quasi moglie di Niccolò Paganini: Antonia Bianchi in «Cultura moderna», Milano, ottobre 1937. [Sugli elementi forniti dalla monografìa su Paganini di A. Codignola e su una lettera della Bianchi fornitagli dallo stesso, il Volpati traccia un indovinato profilo dell’amica di Paganini]. CRITICA D'ARTE PITTURA E SCULTURA A. Podestà: Pittori e scultori alla II mostra del 8.N.B.A. in «Il Secolo XIX », 15 settembre 1937. B. Biancini : Giulio Monteverde in « Giornale di Genova », 6 ottobre 1937. A. Dellepiane : Nel centenario della nascita di G. Monteverde in « Il Lavoro », 8 ottobre 1937. A. Canesi : Pitture murali quattrocentesche scoperte nel Chiostro di S. Caterina in « Il Secolo XIX », 23 ottobre 1937. Fav. : L’arte in Liguria : L’antica chiesa dei « cinque campanili » in « Giornale di Genova », 29 ottobre 1937. M. R. : I nuovi monumenti di Staglieno 4 3.10 RENZO BACCINO in « Il Corriere Mercantile », 1 novembre 1937. Monumenti nuovi a Staglìeno in « Il Secono XIX », 2 novembre 1937. Riva : L’arte a Staglieno in « Giornale di Genova », 2 novembre 1937. a. po. : Una mostra di pittori ungheresi in « Il Secolo XIX », 5 novembre 1937. Riva : Le mostre d'arte : pittori ungheresi in « Giornale di Genova », 5 novembre 1937. Ang. : Diciannove pittori ungheresi al ridotto del Carlo Felice in « Il Lavoro », 10 novembre 1937. Riva : Mostre d’Arte : A. Dafomo Casonati e R. Da forno in «Giornale di Genova», 10 novembre 1937. Riva : Mostra d’arte : Ottone Rosai in « Giornale di Genova », 20 novembre 1937. Ang. : Mostra d’arte : Ottone Rosai in « Il Lavoro », 20 novembre 1937. Riva : Mostra d’arte : La mostra postuma di Dante Conte in « Giornale di Genova », 25 novembre 1937. L’inaugurazione delle Collezioni Frugone a Palazzo Bianco in «Il Lavoro», 26 novembre 1937. O. Grosso: Giulio Monteverde in « Genova », rivista municipale, ottobre 1937. ARCHITETTURA, RESTAURI, MUSEI A. Cappellini: Le fortificazioni di Genova: Le mura antiche in «Genova», rivista municipale, ottobre 1937. Film : La ricostruzione della villa di Stono tò Bocca negra in «Il Lavoro», 12 ottobre 1937. Per il Museo delle guerre d’lUn Ha: Le prime adesioni in «Il Corriere Mercantile», 30 settembre 1937. G. B. F. : Il museo marinaro municipale in « Giornale di Genova », 15 luglio 1937. Per il Museo delle guerre d’Italia in « Genova », rivista muncipale, agosto 1937. Il Museo del Risorgùnento in « Il Piccolo », Genova, 2 agosto 1937. Offerta di cimeli per il Museo del Risorgimento in « Il Nuovo Cittadino ». 3 agosto 1937. Per il Museo delle guerre in « Il Secolo XIX », 3 agosto 1937. D. P. : La Basilica dei Fieschi e la strada di accesso alla zona monumentale in « Il Seco- lo XIX », 2 settembre 1937. Per il Museo delle guerre d’Italia in « Il Corriere Mercantile », 30 settembre 1937. Il palazzo del « melograno » in Campetto in « Il Nuovo Cittadino », 7 novembre 1937. TOPOGRAFIA, TOPONOMASTICA, ARALDICA INDUSTRIA, COSTUMI M. Ascari, R. Baccino, Gr. Sanguineti : Le spiagge della· Riviera Ligure. a cura del Consiglio Naz. delle Ricerche C. N. G. Roma, Aternum, 1937. ^Ricerche sulle variazioni storiche della linea di Battigia]. M. Pognet : Fra· ventagli, merletti e miniature alla mostra di Genova in « Èva », Milano, 21 ago- <> sto 1937. A. Codignola (Arco) : Antonio Cantore l’eroe alpino in « Il Corriere Mercantile », 8 settembre 1937. G. Carraro : Toponomastica spicciola in « Il Nuovo Cittadino », 22 settembre 1937. Pizzi e ricami attraverso la storia in « Il Corriere Mercantile», 29 settembre 1937. T. Pastorino (Past): Nuovi toponimi genovesi: Vico Giovanni Scan zio in «Genova», rivista municipale. In difesa della bellezza [di Portofino] : La nuova legge delVEnte Autonomo in « Giornale di Genova », 31 ottobre 1937. G. Descalzo: Arguzie popolaresche in « Giornale di Genova ». 10 novembre 1937. Lo Duca : Per una storia della ceramica in « Giornale di Genova », 2 dicembre 1937. T. Pastorino (Past) : Nuovi toponimi genovesi : lo scultore Giuseppe Gaggini in « Genova », rivista municipale, novembre 1937. Renzo Baccino * APPUNTI PER UNA BIBLIOGRAFIA MAZZINIANA Opere e scritti su G. Mazzini pubblicati all’estero Richard Wichterich, Giuseppe Mazzini, der Prof et (les neuen Italiens, Berlino, Keil-Verlag, 1937. Una grave lacuna nella bibliografia germanica si colma con questa monografia dedicata al Mazzini oon vigile spirito di comprensione e con scria preparazione culturale. Anche la Germania potrà oggi avvicinarsi all'Apostolo dell’Unità per mezzo di una guida sioura e serena. Ferruccio Cafpi Rentivegna, Con Giuseppe Mazzini lungo il lago di Bienne, in « Squilla italica », Berna, 9 gennaio 1937. L’A. rievoca il breve periodo dell’esilio svizzero passato dal Mazzini a Bienne e i più notevoli suoi amici ed ammiratori colà residenti. Enrico Discoli, 1 primi giorni londinesi di Mazzini, in « L’Italia nostra ». Londra, 15 gennaio 1937. L A. rievoca, dopo cent’anni dell’arrivo di G. Mazzini e dei Ruffini in Londra, le prime amare ore passate dall’esule in terra inglese. H. I., Cavour et Mazzini, in « La Tribune », Losanna, 28 gennaio 1937. Resoconto di una conferenza con tale titolo tenuta a Losanna il 26 gennaio da Georges Wagnière, già ambasciatore svizzero i Roma. Un altro ampio resoconto della stessa conferenza fu pubblicato da I. Nr. nella «Gazette de Lousanne» del 29 gennaio 1937. ---·, Alla scuola di S. Pietro. Commemorazione mazziniana, in « L’Italia nostra », Londra, 19 marzo 1937. Ampio resoconto della commemorazione di Mazzini avvenuta in Londra nella ricorrenza del centenario del suo arrivo in Inghilteira. --, Commemorazione di Giuseppe Mazzini, in « Gazzetta del Massa- ckussetts », Boston, 20 marzo 1937. Succinto resoconto della commemorazione tenuto dalla colonia italiana di Bostn nel 65o anniversario della morte di Mazzini. Richard Wichterioh, Dante, Machiavelli, Mazzini, in « Kolnische Volkszei-tung », Essen, 13 giugno 1937. Acuta disamina della dottrina nazionale dei tre grandi italiani. Nikolas Benokiser, Mazzini, in « Frankfurter Zeitung », Francoforte sul Meno. 24 ottobre 1937. Ampia recensione della nuova monografia tedesca di R. Wichterich, già segnalata. Richard Wenz, Mazzini, in « Kolnische Zeitung », Koln, 17 ottobre 1937. Ampia recensione della monografia di R. Wichterich. 31 2 APPUNTI Richard Wenz, Ai azzini, der It aliener, in Italien g efang en, ìli « Kolnische Volkszeitung », Koln, 5 settembre 1937. Notizia sulla monografia di R, Winoliterioh. Kurt Loiuar Tank, Der « Prophet des neuen Italien », in « Germania », Berlino, 16 novembre 1937. Sagace recensione della monografìa di R. Wichterich. Opere e scritti su G. Mazzini pubblicati in Italia Giuseppe Mazzini, Scritti editi ed inediti, voli. LXXII, LXXI1I, LXXIV, LXXV, Imola, 1937. Si prosegue alacremente la stampa dell’edizione nazionale degli scritti mazziniani. Col voi. 75 si è giunti alla pubblicazione dell’epistolario sino al luglio del 1S63 e della «Politica» sino alla lettera inviata il 5 ottcbre del 1863 dali’Apostolo alla società del Progresso di Ravenna. L’edizione, come di consueto, è molto accurata. Giuseppe Calogero, Il pensiero filosofico di Giuseppe Mazzini. Prefazione di Francesco Orestano, in 8°, pag. 338, Brescia, Vannini, 1937. Facciamo nostro il seguente giudizio espresso sull’opera da Pietro Filarelli : «È di questi giorni una pubblicazione sul pensiero filosofico del Genovese da parte di certo G. Calogero, giovane dottore. Pare che sia questa la sua tesi di laurea. Il libro risente l'influsso di una fede giovanile, ma voglio subito osservare che esso manca di vera combattività. Si nota il pericolo di compromettersi, la paura di assumere una presa di posizione personale. Ne è venuta fuori \ina sintesi oi dinata e ben condotta di quanto era noto, con molte oitazioni e molta pesante erudizione. Avremmo preferito un’analisi particolare del pensiero del Mazzini e non delle opinioni sul Mazzini. Un’analisi spregiudicata vivace serrata. Così 'come ora è stato presentato al pubblioo, il libro del giovane Calogero, s’intuisce subito, è frutto di una mentalità da cattolico convinto, da mazziniano in buona fede, da fascista accomodante. Più che un rivoluzionario, è un temperato e pacifico ohe scrive. Il libro è molto interessante per chi non conosce Mazzini. Libro utile anzi un poco a tutti; ma libro che lascia le cose al punto di prima». Livio Pivano, Mazzini e Giuditta Sidoli con prefazione di Innocenzo Cappa, Modena, Guanda, 1936. Questo volume, sul quale si sono precipitati come su ghiotta preda non pochi gazzettieri della penisola, dice ben poco di nuovo sull’argomento. Facciamo per ciò nostro il giudizio dato su di esso dal «Meridiano di Roma» del 7 febbraio 1937. «L’autore avverte che il suo libro non è storia romanzata; ma un poco lo è, quel poco che a lavori di questo genere è lecito esserlo. Se poi badiamo a certa maniera di esporre, e a qualche divagazione sentimentale, possiamo anche dire, senza timore di esagerare, che questa storia ha ridondanze che infastidiscono il lettore intelligente e non commuovono il lettore passionato. Forse per il Pivano c un pregio del libro quello che qui ei addita come difetto: questione di gusti. Comunque il valore sostanziale del libro ne risulta meno appariscente anahe se non ne rimane, come è ovvio, infirmato. Valore che si apprezza nella cura della documentazion-3, nella penetrazione delicata ma sicura dell’animo dei protagonisti, nella cautela delle congettur3 e delle deduzioni, nel tatto con cui le interpretazioni si pongono e si svolgono, nella giustezza di talune vedute originali 6u personaggi e aspetti del Risorgimento. L’analisi della corrispondenza fra Mazzini e la Sidoli è specialmente notevole per la Sua efficacia nel mostrare come taluni dei più nobili ideali dell’apostolo fossero per lei inaccessibili. La questione del figlio di Mazzini e di Giuditta Sidoli è di nuovo attentamente esaminata con l’effetto di approfondire i dubbi sugli argomenti di coloro che ne affermano l’esistenza: ma si tratta di argomenti che se anche APPUNTI 313 non conferiscono cortezza restano sempre assai impressionanti per far pensare ad una grande probabilità. Da tutto il libro emerge infine un ritratto di Mazzini, in cui non ravvisiamo forse nessun segno che già non conoscessimo, ma così attraente, così amorosamente disegnato da renderci più famigliare, più intimamente ammonitrice e ispiratrice la grande figura di lui». Luigi Pizzolorusso, La Carboneria ed il pensiero di Mazzini e di Gioberti nel Risorgimento nazionale, in « Idea », Andria, 23 marzo 1937. Saggio critico che non pecca di eccessiva originalità. G. Mazzini, Paffine vive, con una premessa e note a cura di Arturo Codignola, Società editrice nazionale, Milano, 1937. Un cenno informativo su quest’opera è già stato dato dal nostro Giornale nel fase. Ili di quest’anno. Giuseppe Caprarelli, Ombre e luci di Mazzini, Milano, Edizione del Convivio letterario [1937]. Sono poche pagine nelle quali si tenta un’interpretazione del pensiero di G. Mazzini con molto colore e passione ma non con altrettanta preparazione. Giulio Gaggiano, La peste bolscevica. L’umanesimo di Mazzini. Il Fascismo. Ed. « La Prora », Milano, 3937. In tre saggi raccolti in questo volumetto l’a. rievoca le tristi condizioni in cui è stata ridotta la Russia di oggi, opponendo a quella bolscevica la concezione umanistica di Mazzini θ la ricostruzione compiuta in Italia dal Fascismo. La monografia è stata recensita da all Popolo» di Torino del 9 novembre 1937. Aldobrandino Malvezzi, Cristina di Beigioioso, vol. II e vol. Ili, Milano, Tre-ves, 1937.. Si è già accennato in questi Appunti alPimportanza di quest'opera, anche in riferimento al Mazzini, aU’apparire del primo volume. Ad opera compiuta non possiamo che confermare il nostro giudizio, segnalando non soltanto varie lettere inedite del Ligure rese note daJ. Malvezzi, ma l'acuta disamina che egli fa dei rapporti intercorsi fra la patriota lombarda e l’Apostolo deU’Unità. Bruno Nediani, Il pensiero e Vazione educatrice di Giuseppe Mazzini, pagg. 1-90, Como, Cavalieri, 1937. Ottimo saggio di interpretazione del pensiero e dell’opera di G. Mazzini. Prima di essere raccolto in opuscolo venne pubblicato a puntata in «Toga praetexta» di Como dal gennaio all’agosto. «Camioia Rossa» di Roma ne pubblicò una parte nel fascicolo del luglio 1937. Ermanno Amicucoi, Pier Carlo Boggio, Torino, Soc. Editrice Torinese, 1937. Nell’appendice sono ripubblicati integralmente i carteggi Mazzini-Diamilla Muller e Mazzini-Boggio. --f Lettera inedita di G. Mazzini, in « Grido d’Italia », Genova, 2S marzo 1937. La lettera del 25 agosto 1864 è indirizzata ad una società operaia di Genova. Jenny Griziotti Kretsohmann, Lettere di Mazzini a N. A. Ogareva, in « Rassegna storica del Risorgimento », Roma, settembre 1937. Finalmente si ha una traduzione di queste importantissime otto lettere di Mazzini alla Ogareva. che già sino dal 1931 oi erano servite per trattare del pensiero religioso del Ligure nella prefazione al II volume dei Fratelli Ruffini. 314 APPUNTI Pietro de Seta, Una lettera inedita di Giuseppe Manzini, in « Cronaca di Calabria », Cosenza, 22 agosto 1937. La lettera è stata scritta dal Mazzini il 1 agosto 1862 alla nobildonna Filomena Aceti in Fuscaldo per esortarla a prestarsi a prò della redenzione di Roma e Venezia. Francesco Viglione, Genova nella storia della letteratura inglese, in rivista « Genova », fascicoli dal marzo al settembre 1937. Importante la parte dello studio che si riforisoe ai rapporti culturali fra il Mazzini e la letteratura inglese. Articoli vari in riviste e eiornali G. L. Capo bianco, Mazzini triumviro della repubblica romana, in « Opere e i giorni », Genova, 1 gennaio 1937. Recensione dell’opera di I. Bonomi già segnalata. Si occuparono della monografia anche a Meridiano di Roma» del 3 gennaio, «Italia» di Milano del 13 gennaio, il «Popolo Biellese» del 14 gennaio, «Problemi del lavoro» di Milano del 16 gennaio, «Nuovo Giornale» di Firenze del 19 gennaio, «Polesine Fascista» di Rovigo del 24 gennaio, «Politica nuova» di Roma del 31 gennaio, «Leonardo» di Firenze del gennaio, «L’Urbe» di Roma del gennaio, «Bibliografia Fascista» del gennaio, «Grido d’Italia» di Genova del 7 febbraio, «Il Lavoro» di Genova del 9 febbraio, «Il Giornale d’Italia» di Roma del 19 febbraio, «L'Ora della Sera» di Palermo del 20 febbraio, «L’Italia che scrive» di Roma del gennaio-febbraio, «La parola e il libro» di Milano del febbraio, «Il regime corporativo a del febbraio, a Provincia di Bolzano» del 4 marzo, «Il Periodico» di Ferrara del 7 marzo, «Voee di Bergamo» del 25 marzo, «Rivista di storia economica» di Torino del marzo, «Nuova Italia» di Firenze del marzo, «Rassegna storica del Risorgimento» di Roma del marzo, «Civiltà moderna» di Firenze del marzo-giugno, «Il Veneto della Sera» di Padova del 9 agosto, «Religio» di Roma del novembre 1937. Romolo Capannini, Cospirazioni di Mazzini, in « Corriere del Tirreno », Livorno, 2 gennaio 1937. Articolo divulgativo condito con non poca retorica. Pier Palumbo, Ritorno a Mazzini, in « Il Riccio », Roma, 3 gennaio 1937. Notevole, caldo, efficace richiamo alla dottrina mazziniana nel momento presente. Il P. prende le spunto dalla monografia del Bonomi segnalata. Giulio Del Bono, Mazzini e Kossuth, in « Il Popolo di Roma », 7 gennaio 1937. Parallelo non troppo felice, certo discutibilissimo in sede storica. 11 «Grido d’Italia» di Genova del 24 gennaio 1937 ripubblicandolo, fa parecchie giuste riserve a varie affermazioni dell'autore. Giovanni Ansaldo, F. E. Morando, i Mazziniani e i Garibaldini, in « Telegrafo », Livorno, 8 gennaio 1937. È la prefazione di G. Ansaldo alla silloge di scritti postumi del compianto Morando, già segnalata. Fram, Maestri d’arte e di vita, in « Il Bò », Padova, 9 gennaio 1937. Recensione alla raccolta di saggi di Regdo Scorno, già segnalata, -‘he è stata recensita anche da «Grido d’Italia» di Genova del 10 gennaio, dal «Corriere del Tirreno» di Livorno del ii febbraio, dal «Meridióne di Roma» del 7 febbraio e da «L’Eroica» di Milano del marzo-aprile 1937. Michiele Siviero, Etica del Mazzini, in « Roma della Domenica », Napoli, 10 gennaio 1937. Notevole articolo di carattere divulgativo. APPUNTI 315 Giuseppe Intelisano, Amore (li Mozzini : Gvuditta Sidoli, in « Popolo di Sicilia », Catania, 19 gennaio 1937. Oose troppo volte ripetute senza apportare nuova luce sull'argomento. L’articolo è stato ripubblicato nella a Gazzetta di Venezia» del 25 gennaio 1937. Alessandro Cutolo, Centenario di una fuga, in « Ambrosiano », Milano, 20 gennaio 1937. Sono rievocati i primi tempi dell’esilio inglese di G. Mazzini. M., Mazzmi e Giuditta Sidoli, in « Pensiero », Bergamo, dicembre-gennaio 1937. Recensione alla monografìa di L. Pivano segnalata. Scrissero dell’opera «Combattere» di Torino del 1-15 febbraio, «Corriere emiliano» di Parma del 2 marzo, «Corriere del Tirreno» di Livorno del 13 marzo, «Il Popolo» di Torino del 27 marzo, «Il ragguaglio librario» di Milano del marzo, «Rassegna delle poste, dei telegrafi dei telefoni» di Roma, «Stampa della Sera» di Torino del 16, 17, 19, 20, 23, 24 aprile, «La Voce di Bergamo» del 17 aprilo, «La Marca» di Treviso del 17 aprile, «Nuova rivista storica» del gennaio-aprile, «Il Telegrafo» di Livorno del 14 maggio, «Universo» di Firenze del maggio, «Voce di Bergamo» del 9 giugno, «Corriere della Sera» di Milano del 12 agosto, «Giornale delle donne» di Milano del 20 settembre, «Pagine» di Milano del settembre e «Ambrosiano» di Milano del 6 novembre 1937. --Grandezza di Mazzini, in « L'Opinione », La Spezia, 0 febbraio 1937. Il giornale spezzino ripubblica dal «Quadrante» di Roma del Bardi, una breve nota nella quale si illustra l’attualità del pensiero e dell’opera di Mazzini. --L’ex Ministro di Svizzera a Roma parla a Losanna su Cavour e Mazzini, in « Piccolo della Sera », Trieste, 15 febbraio 1937. Succinta notizia della conferenza tenuta a Losanna da Giorgio Waguière, già segnalata. Arturo Carcassi. Mazzini e il diritto, in «L’Opinione», La Spezia, 27 febbraio 1937. Si ripubblioa una parte della conferenza tenuta dall’esimio giurista al corso di storia del Risorgimento promosso l’anno decorso dal Comitato di Genova del R. Istituto per la storia di Genova. --, Ombre e luci di Mazzini, in « Politica nuova », Roma, 2S febbraio 1937. Succinta recensione dell’opuscclo di G. Caprarelli, già segnalato. —1 —. Che c’entrano?s in « Camicia rossa », Roma febbraio 1937. Un periodo, che contiene un inconcepibile giudizio sul Mazzini, dettato da Francesoo Casnati, apparso nella «Illustrazione vaticana» del 16-28 febbraio 1937, ha provocato questa fierissima nota polemica. L’incriminato periodo è il seguente: «Lo avvolsero perciò [Carlo Alberto] di propizie ombre, parlarono di re amletico, di re enigma, lo respinsero discretamente nei fondali della storia perohè la sua presenza non guastasse il quadro d’un Risorgimento nazionale falsificato in cui la parte bella toccava a quel Subdolo ipocrita del Mazzini». Alla violenta protesta di * Camicia Rossa» fecero eco il «Regime Fascista» del 12 marzo, «L'Idea Fasoista» di Pisa del 19 marzo, il «Popolo Biellese» del 19 marzo, «L’Evangelista» di Roma del 24 marzo, il «Popolo di Lecco e dìi 27 marzo, «L’amministrazione locale» di Foligno del 10 aprile, il «Meridiano di Roma» dell’ll aprile, «Il Bò» di Padova del 24 aprile, il «Grido d’Italia» di Genova del 25 aprile e il «Popolo Biellese» del 26 aprile 1937. L. S., Letteratura mazziniana, in «Il Lavoro», Genova, 10 marzo 1937. Il Salvatorelli sottopone ad acuta oritica, noll'anniversario della morte di Mazzini, le tre opere sul pensiero e la vita dell’Apostolo, già da noi segnalate, di Bonomi, di Calogero e di Pivano. 316 APPUNTI L. S., Meni. Mazzini, in cc II Gazzettino », Venezia, 10 marzo 1937. Breve nota commemorativa nel 65o annuale della morto di G. Mazzini. --, I. Cappa commemora il grande pensatore all’istituto mazziniano, in « Secolo XIX », Genova, 11 marzo 1937. Ampio resoconto della conferenza tenuta il 10 marzo alla Casa di Mazzini dal senatore Cappa. La conferenza fu pubblicata integralmente dal «Grido d'Italia» di Genova del 28 marzo successivo. Lodovico Barattisi, Attualità di Mazzini, in «L’Opinione», La Spezia, 13 marzo 1937. Articolo di carattere divulgativo. Renzo Baccino, La pietrificazione tifila salina di Mazzini, in « Giornale di Genova » del 10 marzo e in « Provincia di Bolzano », 13 marzo 1937. Il B. soprattutto sulla scorta dell’Abba rievoca l’opera del Gorini per la conservazione della salma di G. Mazzini. L’articolo fu anche ripubblicato nel «Resto del Carlino» di Bologna del 15 marzo successivo. G. S., Triulzi, Sorrisi femminili e voti virili nell'onomastico di Mazzini e di Garibaldi, in « Lavoro », Genova, 19 marzo 1937. Articolo di varietà. Antonio Julia, Vincenzo Julia cantore di Giuseppe Mazzini, in «Cronaca di Calabria », Cosenza, 22 marzo 1937. L’Julia rievoca vari saggi e discorsi del padre suo dettati in onore del Mazzini. --, Mazzini and Byron, in «Le lingue estere». Milano, 1 aprile 1937. Si ripubblica la nota pagina di Swinburne sul Mazzini, unendovi la traduzione ed un sobrio commento. P. A. Conti, Mazzini alla Spezia nei Vici, in « L’Opinione », La Spezia, 3 aprile 1937. Il Conti, con nuove notizie sui Solari, parenti della famiglia Mazzini, rievoca i luoghi ove si rifugiò e stabilisce la data di una non lunga permanenza a la Spezia dell’Àpostolo del-rUnità. Giuseppe Bronzini, Iniziatrice Italia, in « Quadrivio », Roma, 4 aprile 1937. Recensione all’antologia mazziniana di Armando Lodolini, già segnalata. Giuseppe Capalbo, Mazzini critico e Mazzini a Roma nel ./,9 di Vincenzo lulia, in « Cronaca di Calabria », Cosenza, 4 aprile 1937. A complemento di quanto ha scritto Antonio Julia sul suo genitore, già segnalato, il C. piende in esame le due opere di argomento mazziniano lasciate da Vincenzo Julia. Pietro Pizzarelli, Il pensiero filosofico di Giuseppe Mazzini, in « La Gazzetta del lunedi », Messina, 5 aprile 1937. Recensione della monografia di G. Calogero segnalata ; essa fu ripubblicata nel « Corriere del Tirreno» di Livorno del 20 aprile successivo. Si occuparono dell’opera anche il «Popolo di Brescia» d'.*l 23 gennaio, la «Sera» di Milano del 12 marzo, il «Popolo di Roma» del 6 aprile, la «Voce di Napoli» del 19 aprile, la «Civiltà cattolica» del 7 agostc e i «Diritti della scuola» di Roma del 10 agosto 1937. Aldobrandino Malvezzi, Cristina di Beigioioso all’assedio di Roma, in « Nuova Antologia », Roma, 16 aprile 1937. I rapporti fra il Mazzini e la Beigioioso vengono illustrati in queste pagine che sono apparse poi nel II volume dell’opera del Malvezzi sulla stessa Belgioiso. 317 Emilia Morelli, Scritti editi ed inediti di G. Mazzinit in « Rassegna storica del Risorgimento », Roma, aprile 1937. Recensione sii voli. LXXI e LXXII della edizione nazionale degli scritti di Mazzini. --, Il 65° anniversario della morte di G. Mazzini, in « Genova », aprile 1937. Resoconto sulle onoranze rese alla memoria di Mazzini in Genova il 10 marzo 1937. Francesco Vairo, Mazzini a Gaeta, in « Giornale della Sicilia », Palermo, S maggio 1937. Sulla scorta dei ricordi di Lorenzo Gioia l’a. rievoca la brave permanenza di Mazzini nel forte di Gaeta nel 1870. --. Il 73° volume degli seiritti di Mazzini, in « Corriere padano », Ferrara, 9 maggio 1937. Si dà notizia dell’uscita del nuovo volume degli scrìtti mazziniani e si danno i seguenti particolari su quanto verrà compiuto da oggi sino al 1941: • Altri tre volumi della pregevolissima opera verranno pubblicati entro il corrente aniio ; seguiranno dal 1938 in ragione di sei all’anno sino al completamento dell’opera che si comporrà di 100 volumi, di modo che sarà ultimata entro il 1941: ciò a seguito di recente deliberazione adottata per interessamento del Senatore Gentile, dal Ministro Bottai, che La voluto esaudire il voto degli studiosi e dei cultori della storia patria che lamentavano la eccessiva lentezza con la quale avveniva sino ad oggi la pubblicazione». Giuseppe Bianchini, Mazzini e Proudhon, in « Il Lavoro fascista », Roma. 14 maggio 1937. Sagace saggio critico n?l quale vengono riesaminate le caratteristiche tanto diverse fra questi due pensatori coetanei. L’articolo è stato ripubblicato da cTl Popolo» di Torino del 14 maggio successivo. Arnaldo Cervesato, « Signora Maria ». La madre di Guseppe Mazzini, in « Roma », Napoli. 22 maggio 1937. Rievocazione di carattere divulgativo, della figura di Maria Mazzini. Mamerte, La filosofìa nazionale di Mazzini, in « Lavoro fascista », Roma, 3 giugno 1937. Ottimo saggio critico sulla filosofia del Mazzini. AValther Angelini. Attualità di Mazzini, in «Corriere del Lunedi». Ferrara. 7 giugno 1937. L’a.. riesaminando l’opera del Griffith sul Mazzini, rintraccia nella dottrina del Genovese, quanto in essa vi sia ancora oggi di vivo. Augusto Mancini. Sote mazziniane, in « Via dell'impero », Pisa. 24 maggio- 8 giugno 1937. Recensione della monografia di G. Nicolefcti, segnalata. --Le visite genovesi del ministro Bottai, in « La Tribuna ». Roma. 9 giugno 1937. Resoconto delle visite compiute 1*8 giugno dal ministro Bottai a Genova ed in particolar modo di quella all’istituto mazziniano. Il diciannovista. La civiltà di Mazzini, in « L’Opinione ». La Spezia, 19 giugno 1937. Articolo di carattere divulgativo. 318 APPUNTI Il Diciannovi sta, Il Jf5° libro dell'Epistolario di Giuseppe Mazzini, in « Corriere Padano », Ferrara, 22 giugno 1937. Si dà notizia della avvenuta pubblioazione del 7Φο volume degli scritti mazziniani. Ersilio Michel, Un corse à Joseph Mazzini, in «Archivio storico di Corsica», Roma, aprile-giugno 1937. Il Michel dà notizia di un libello anonimo antimazziniano soritto nel 1858 da un fautore di Napoleone III identificandone l’autore in O. Martelli. G. G. Triulzi, Le amiche di Maria Mazzini, in « Il Lavoro », Genova, 2 settembre 1937. Rapido excursus sulle fedeli amiche della madre di Mazzini: Isabella Cambiaso, Carolina Celesia, Fanny Balbi Pioverà, Maria Quartara Passano e Carlotta Benettini. Miles, Germania e Italia nel pensiero di Mazzini, in « Popolo d’Italia », Milano, 16 settembre 1937. Quanto il Mazzini propugnò dopo Mentana è oggi un fatto compiuto. L’a. pone in rilievo con sagace interpretazione critica-, quanto sia diversa la teoria e la prassi politica di Mazzini e di Bismarck. 11 «Lavoro fascista» del 18 settembre ripubblica, in parte, l’articolo. Alfredo Rota, Maria Mazzini e ì Gia/nsemsti, in rivista « Genova », settembre 1937. Cose sapute e risapute ma presentate dal Rota con una certa eleganza. Giuseppe Bruni, L9intemazionale comunista nella profezia di Mazzi/m, in « Fronte unico », Roma, 10 novembre 1937. Il giornale romano ripubblica un indirizzo di Mazzini agli operai italiani, dettato il 13 luglio 1871, facendolo precedere dalle seguenti parole: «Esattamente sessantasei anni or sono Giuseppe Mazzini si rivolgeva al popolo italiano commentando il sorgere dell’Internazionale, alla quale egli negò subito la sua partecipazione e ne profetizzava oon lucidità e con cristallina critica i fini e i mezzi. Allo spirito romano del Mazzini l’Internazionale apparve sin dal primo momento nella sua vera sinistra luce e le parole oon le quali egli ha fustigato l’associazione al suo nascere, tornano oggi alla nostra memoria, vivificate e palpitanti di realtà, nell’eco mondiale del patto italo-germanico-nipponico. L’indirizzo del Mazzini fu ripubblicato anche dal «Corriere del Tirreno» del 16 novembre successivo. Taulero Zulberti, Giuseppe Mazzini profeta della nuova Italia, in « Il Resto del Carlino », Bologna, 10 novembre 1937. Ampia e ben informata notizia sulla monografia, già ricordata, di R. Wichterich. Dopo undici anni di questa appassionata fatica, lascio la cura di continuare la redazione degli Appunti di bibliografia mazziniana alla Prof. dott. Leona Ravenna, nostra collaboratrice, tanto attentamente seguita dai nostri lettori. ARTURO CODIGNOLA INDICE DELL’ANNATA 1937 Romolo Quazza, Tommaso di Savoia Carignano nella guerra contro Genova Pagg. 1$ 104, 175 Renzo Baccino, La strada romana Aurelia......Pagg. 15, 114 Gaetano Pappaianni, Notizie sulla manifattura dei cappelli in Massa di Lunigiana (secoli XVII-XIX)..........Pagg. 26, 121 Antonio Giusti, Appunti sul dialetto ligure......Pagg. 35, 197 André E. Sayous, Les travaux des américains sur le commerce de Gênes aux XII et XIII siècles.............Pag. 81 Vito Vitale, Documenti di storia ligure (1789-1815) nell’Archivio Nazionale di Parigi ................ Pag. 90 Ferruccio Sassi, Riviera di levante e Lunigiana nella politica navale genovese dopo lo sfacelo della Marca.........Pagg. 161, 271 Umberto Valente, Lettere di Reali all’Ammiraglio Conte Giorgio Des Geneys Pagg. 182, 257 Camillo Pariset, Animi ed avversari anconitani di Nino Bixio . . Pag. 191 Mario Pedemonte, Paganiniana...........Pag. 241 F. Hosmer Zambelli, Gli scavi in Val dell’Aquila.....Pag. 249 Renato Giardelli, Saggio di una bibliografìa generale della Corsica Pagg. 45, 135, 206, 294 VARIETA’ Riccardo Maineri, Pellegrino Boccardo.........Pag. 42 Antonio Cappellini, Un mecenate genovese a Padova .... Pag. 129 DISCUSSIONI E COMMENTI Μ. N. Conti, Renzo Baccino, A proposito della via Aurelia . . . Pag. 267 COMUNICAZIONI Comunicazione della R. Deputazione di Storia patria . . Pagg. 50, 134, 205, 303 RASSEGNA BIBLIOGRAFICA L. Borello e M. Rosazza, Storia d’Oropa ; Oropa storica, preistorica e protocristiana - L. Borello e M. Rosazza, Oropa : Santuario, Celti, Streghe ed altre cose (Carlo Borriate) - Atti della Sezione di Savona della R. Deputazione di Storia patria per la Liguria (Renzo Baccino) - Ludovico Giordano, Il Castelvecchio d’Oneglia (Renzo Baccino) - Italo Scovazzi, Il primo romanzo di A. G. Barrili - Italo Scovazzi, Due inedite poesie di A. G. Barrili - Italo Sco-vazzi, A. G. Barrili - Italo Scovazzi, Confidenze giovanili di Pietro Sbarbaro (Leona Ravenna) - Arturo Codignola, La Monarchia di Savoia e l’Inghilterra nelFultimo periodo del predominio napoleonico (Fæona Ravenna) Pagg. 56 74 320 INDICE I. Bonomi, Mazzini triumviro della repubblica romana (Costantino Panìgada) -Tito Rosina, Ceccardo Roccatagliata Ceccardi (Enrico Teiracmi) - Renée de Saussine, Paganini le « mage » (Mario Grossi) - A. Colombo, Gli albori del regno di Vittorio Emanuele II (Leona Ravenna) - F. E. Morando, Studi di letteratura e di storia (Leona Ravenna) - Giorgio Pini, Vita di Umberto Cagni (Enrico Terraccini)...........Pagg. 140-155 Gaston E. Broche, La repubblique de Gênes et la France pendant la guerre de la succession d’Autriche (Vito Vitale) - G. Mazzini, Pagine vive {Leone Ravenna) - Roberto Lopez. Studi sull’economia genovese nel medio evo (Onorato Pastine) - A. Μ. Ghisalberti, Lettere di Felice Orsini (Leona Ravenna) -E. Lazzeroni, Il viaggio di Federico III in Italia (Ferruccio Sassi) - A. Monti, Gli italiani e il canale di· Suez (Adolfo Bassi) .... Pagg. 212-237 Vito Vitale, I dispacci dei diplomatici genovesi a Parigi (1787-1793) (Arturo Codignola) - Paolo Peola, L'Ambra, il Cigno e l’origine dei Liguri (Renzo Baccino) - Carlo Agrati, I Mille nella storia e nella leggenda; Da Palermo al Volturno (Leona Ravenna) - Pietro Ferrari, Il « Comune » di Pontremoli e la sua espansione territoriale in Val di Vara (Ferruccio Sassi) Pagg. 279-293 Renzo Baccino, Spigolature e Notizie.....Pagg. 75, 150, 238, 306 Arturo Codignola, Appunti per una bibliografìa mazziniana . . . Pag. 311 NECROLOGIE Leopoldo Valle, Costanzo Rinaudo ........Pagg. 303-305 Direttore responsabile : ARTURO CODIGNOLA Stabilimento Tipografico L. CAPPELLI - Rocca S. Casciano, 1937-XVI. LO ZUCCHERO riEL LAVORO E MEGLI SPORTS Dato l’attuale ritmo della vita, lo zucchero dovrebbe essere l’alimento di elezione in ogni campo della vita pratica e intellettuale, dove si lavora e dove si pensa, nelle fabbriche e nelle scuole, nelle caserme e nello sport, là dove necessita attuazione pronta di energia e di velocità. Quando si lavora, il lavoro risulta fisiologicamente più economico se viene eseguito dopo un pasto ricco di zucchero, che dopo un pasto in cui abbondano grassi e carne. E ciò, non solo perchè lo zucchero scalda meno i congegni del nostro organismo, ma perchè è l’alimento proprio e più indicato nel lavoro dei muscoli. Lo zucchero è il vero carbone del motore animale, e carbone di prima qualità, anche perchè non dà scorie, nè origina, nel suo ricambio, alcuna sostanza tossica. Si comprende, quindi, come, ingerendo zucchero durante il lavoro, si possa dare un maggior rendimento e come esso possa giovare nel ristoro dopo la fatica. Sono classiche le ricerche eseguite dal Mosso e dalla sua scuola, e dal Harley, sul potere ristoratore dello zucchero nelle ascensioni alpine ed, in genere, negli sports violenti. Scrive Angelo Mosso nella u Fisiologia dell’uomo nelle Alpi „ : “ Lo zucchero ha il potere di aumentare la forza dei muscoli. Dal muscolo affaticato può ottenersi una più grande energia bevendo semplicemente una soluzione di zucchero nell’acqua. A che cosa è dovuta l’improvvisa caduta di forze, la défaillance che, a volte, coglie l’atleta nel fervore della gara o l’alpinista che ascende la montagna ? Indagini moderne hanno dimostrato che dipende da una discesa di zucchero nel sangue, da una ipoglicemia. Basta allora mangiare un po’ di zucchero, bere uno sciroppo, per sentire rinascere le forze e l’energia di proseguire „. Lo zucchero, alimento fisiologico, deve essere consumato sopratutto dai lavoratori e dagli sportivi. Dalla pubblicazione del compianto Prof. Gaetano Viale, Direttore dell'istituto di* Fisiologia della R. Università di Genova : Lo zucchero nell9alimentazione, nella terapia9 negli sports, nel lavoro. (Genova, 1933, Barabino e Graeve). GIORNALE STORICO E LETTERARIO DELLA LIGURIA La puLMicasione esce sotto gli auspici del Municipio e della R. Università di Genova, della R. Deputazione di /Storia Patria per la Liguria e del Municipio della Spezia ABBONAMENTO ANNUO: per l’Italia Lire 30 - per l’Estero Lire 60 Un fascicolo separato Lire 7,50 - Doppio Lire 15 DIREZIONE E AMMINISTRAZIONE : Genova. Via Lcmellini, n (Casa Mazzini) “TERNI,, SOCIETÀ PER L’INDUSTRIA E L’ELETTRICITÀ Anonima con Sede in Roma - Via Due Macelli, 66 (Palazzo Proprio) Direzione Tecnica Commerciale ed Amminist. in GENOVA - Via S. Giacomo di Carimano, 18 (Palazzo Proprio) CAPITALE L. 430.000.000 Stabilimenti in TERNI, PAPIGNO, COLLESTATTE, CERVARÀ, NARNI, GALLETO, PRECI, NERA, MONTORO, SPOLETO 6 Centrali Elettriche con 250.000 kw installati Indirizzo Telegrafico : ELETTROTERNI, per Roma, Genova, Temi e Spoleto Telefoni, per ROMA: 61660 - 65765 - per GENOVA: 54291 - 54295 - 52021 - 52035 PRODOTTI! Lingotti in acciaio comune e inossidabile (Steinless) - Bidoni -Getti in acciaio comune, al nichel, al cromo-nichel, al manganese e inossidabile - Getti in ghisa e bronzo - Corazze - Lamiere forti ordinarie, da caldaie, sal-dabili per condotte d'acqua, al manganese per casseforti, in acciaio diamagnetico o in acciaio tenace al nichel - Lamiere nere sottili ordinarie e speciali per areoplani, magnetiche per motori e trasformatori ecc. ecc. dello spessore di due decimi di millimetro in su - Latta - Travi ed altri profilati in omogeneo -Tondini per cementi armati - Tubi di ghisa per condutture e relativi apparecchi idraulici - Tubi pluviali - Acciai speciali e da utensili al carbonio e rapidi - Pezzi di qualunque forma e grandezza in acciaio fucinato Forgins per cannoni - Proiettili - Materiale ferroviario e navale -Linee d’assi per navi - Cerchioni - Assi montati - Costruzioni metalliche - Caviglie - Chiodi - Bulloni - Aratri tipo Miliani - Ligniti - Cementi - Materiali refrattari - Carburo di Calcio - Calciocianamide -Ammoniaca Sintetica - Alcool Metilico sintetico - Acido solforico -Acido Nitrico - Solfato d’ammonio - Ossigeno ed altri prodotti dell’elettrochimica - Produzione e commercio di energia elettrica.